Il negozio di paese, specie in via d`estinzione

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Il negozio di paese, specie in via d`estinzione
Il negozio di paese,
specie in via d’estinzione
I negozi di alimentari sono molto cambiati nell’arco degli ultimi
cinquant’anni. Nei paesi rappresentavano piccoli, ma importanti luoghi d’incontro, dove ci si incontrava e ci si conosceva, soprattutto fra donne. Non c’era il servisol, ma la commessa, oggi
si dice venditrice, stava dietro al bancone e serviva il cliente.
A.P., commessa
Ho fatto le scuole maggiori, poi un anno di avviamento. Ho cominciato nel 1963 come apprendista alla C. di Bellinzona perché
a Biasca, allora, non c’era la possibilità di intraprendere un apprendistato. Ho lavorato in città, poi mi sono spostata a Claro,
poi sono andata un po’ di qua e un po’ di là. Prima dei 25 anni
ho iniziato a Biasca. Ho lavorato, dall’apprendistato fino a 55
anni, sempre per la stessa azienda. Ho sempre detto, fin da piccola, che avrei fatto la commessa. È un lavoro che ho sempre
svolto con grande piacere. C’era la nonna paterna che faceva la
gerente a L.
Nel corso dei tuoi quarant’anni di attività, come è cambiato il
tuo lavoro?
Il modo di lavorare è molto cambiato. Una volta si aveva un
contatto diretto con le persone, specialmente in paese: una veniva, ti chiedeva il caffè e glielo davi senza bisogno di dire che
marca fosse, perché già si sapeva. Poi, eravamo dall’altra parte
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del banco, ma c’era molta confidenza con i clienti, si parlava di
tutto. Gli ultimi anni, invece, sempre alla cassa a far passare gli
articoli.
Facevamo anche il servizio a domicilio, prendevamo le ordinazioni e si consegnava a casa la spesa. Va ricordato che c’era anche chi non poteva pagare e faceva “marcare sul libretto” l’ammontare della spesa e saldava a fine mese. Le carte di credito
erano sconosciute.
Quando veniva in filiale il signor T. a noi apprendiste ci faceva
lucidare le mele rosse. Oggi non c’è più tempo per queste cose.
Adesso si fa tutto in fretta, per esempio prima dei morti ci saranno già gli addobbi di Natale.
Non è più il lavoro di una volta, non c’è paragone. Noi eravamo
in tre, c’era il tempo per sedersi e bere un caffè. Adesso hanno
tutti i minuti contati. Capitava anche che una cliente o un bambino ci chiedesse di andare in bagno.
Alla fine, negli ultimi anni, erano solo gli anziani che facevano la
spesa da noi. I giovani comperavano poche cose urgenti, il burro
e qualcosa che mancava.
Com’era organizzato gerarchicamente il negozio?
C’era una gerente, una capa, il rapporto era buono. Alla gerente
si dava del lei, ma la gerente a noi dava del tu.
Quanto guadagnavi all’inizio e quanto alla fine?
Io portavo tutta la paga al papà. Il primo anno d’apprendistato
portavo a casa 150 franchi mensili, eravamo nel 1963. Il secondo
anno 178 franchi. Nel 2003, ultimo anno di attività, il mio salario orario era di franchi 18,10!
Con il diploma oggi si arriva a 4300, senza diploma 3900. Grazie
all’iniziativa per il salario minimo di 4 mila franchi, molte grandi
magazzini hanno adattato e aumentato i loro salari base.
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Come ha potuto coniugare la vita familiare con quella professionale?
Quando è nata la mia prima figlia sono stata a casa e poi ho
ripreso, lavorando a ore. Non avrei mai immaginato di lasciare
mia figlia ai miei genitori. Gli asili nido non esistevano. Quando
è nato il mio secondo figlio sono stata a casa di nuovo per qualche tempo, poi ho ripreso, sempre a tempo parziale.
Il negozio apriva alle 8 del mattino, ma eravamo già lì alle 7.30.
Prima di Natale c’era già qualche apertura domenicale, ma non
si poteva vendere di tutto.
Che rapporto avevate con le organizzazioni sindacali?
Non eravamo iscritte al sindacato. Nei primi anni non c’era
niente, poi il sindacato si è visto negli anni seguenti, venivano a
distribuire i foglietti, ma i gerenti non gradivano.
Ha sempre svolto la stessa mansione?
Non ho mai voluto fare carriera, mi hanno proposto di diventare gerente, ma ho sempre rinunciato.
Con gli anni il lavoro è diventato più automatico, “buttato là”.
Noi avevamo ancora i sacchi della crusca per le galline che vendevamo a peso. A un certo punto preparavamo noi i sacchetti
di due o di cinque chili. Il formaggio e i salumi si vendevano al
banco. Se ci serviva qualcosa chiamavamo la centrale e ci portavano il necessario.
Che rapporto avevate con la clientela?
Ai tempi eravamo molto apprezzate dai clienti, eravamo ancora
un punto di riferimento per la gente del paese. Si discuteva di
ciò che accadeva, c’era dialogo fra commesse e clienti. Eravamo
tutte del paese, c’era solidarietà tra di noi, d’altra parte lavoravamo bene, facevamo quello che ci dicevano di fare senza discussioni, non come oggi, che magari la commessa “risponde”!
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Il posto di lavoro è sempre stato sicuro?
Il posto di lavoro era sicuro, all’inizio non c’era nessun problema, poi hanno cominciato a chiudere qualche filiale, ma noi venivamo spostate. Molte filiali della zona sono state chiuse, Osogna , Lodrino, Pollegio e Arbedo.
Come mai ha deciso di andare in pensione anticipata?
Ci sono stati almeno due fattori. Uno professionale, si cominciava con l’informatica e tutto si complicava, poi mia madre ha
avuto problemi di salute per cui era necessaria la mia presenza a
casa. Noi viviamo nella casa dei genitori.
Sono andata in pensione a 55 anni con una liquidazione in funzione degli anni di lavoro. Io avevo un contratto a ore e quindi
non avevo nessun secondo pilastro. Un mese magari lavoravo
venti ore e un altro solo cinque. Però non ho mai cambiato lavoro, sono sempre stata fedele.
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Contratto a ore o licenziamento
Le giovani venditrici sono confrontate con condizioni di lavoro
sempre peggiori. I contratti collettivi, quando ci sono, stabiliscono i minimi salariali. Ma c’è chi impone contratti a ore, per
garantirsi la massima elasticità. Inoltre, per le mamme con figli
piccoli c’è poca sensibilità.
E.M., venditrice
Sono nata nel 1984. Non sono io che ho scelto la professione,
è lei che ha scelto me, nel senso che io volevo fare la fiorista e
non ho trovato un posto di apprendistato perché era un settore
che aveva un po’ di problemi. Un giorno mi sono ritrovata ad
andare a prendere gli occhiali da vista al negozio e parlando con
il padrone mi ha detto che cercava un’apprendista e, voilà, sono
andata a fare la venditrice. Ho fatto tre anni di apprendistato
che mi sono comunque piaciuti, mi piaceva la scuola, il lavoro
un po’ meno. Finito i tre anni di apprendistato ho fatto una piccola parentesi quale segretaria, tipo 4 mesi, non di più, e poi a
gennaio del 2003 sono andata a lavorare alla C.
Ho mandato una candidatura spontanea e loro mi hanno risposto subito, così per caso. L’idea era quella di andare alla C. perché è una ditta grande e potevo stare bene.
Rispetto alle tue aspettative iniziali, sei stata soddisfatta del
posto di lavoro?
Devo dire che nei primi anni c’è stata un po’ di delusione. Quan15
do ho iniziato avevo l’idea di andare avanti, di fare carriera e
questa cosa non mi è stata permessa. Infatti non ho mai avuto un
contratto al 100%. Ho sempre lavorato all’80% fin quando ho
avuto il primo bambino. Lavoravo a Sant’Antonino ed eravamo
una quarantina di dipendenti, era divertente. Poi, hanno cambiato gerente, hanno incominciato a tirare sul personale, c’era
sempre meno gente e io ho dovuto cambiare negozio, nel 2006.
Torniamo all’apprendistato, le condizioni salariali com’erano?
Il primo anno di apprendistato prendevo 330-350 franchi al
mese, 460 il secondo anno, poi 930 il terzo anno.
Alla C. avevo un contratto fisso al 85%. All’85% siamo sui 4000
franchi lordi. Devo dire che quando ho iniziato, per diversi anni,
tutti gli anni c’era un aumento di un centinaio di franchi.
Negli altri negozi c’era da scordarselo uno stipendio simile.
Poi hai avuto il primo figlio, quanti anni ha?
4 anni, adesso è all’asilo.
Quando è nato ho fatto 4 mesi di congedo pagato più 6 mesi di
congedo non pagato, perché io volevo stare con il bambino e
allattarlo.
Quando sono rientrata ho cominciato ad avere problemi. Già in
gravidanza, mi sono messa in malattia perché ad un certo punto
non era sostenibile il lavoro a turni, dovevo lavorare dalle 6.30
alle 14.30, con 15 minuti di pausa, non ce la facevo, non si conciliava con la gravidanza.
Prima di andare in congedo, quando ero incinta, ho avuto uno
scontro con la gerente e così ho avuto una nota negativa sulla
valutazione. Quando sono rientrata ho avuto la sorpresa. Pensavo di avere un contratto fisso al 50%, invece mi sono ritrovata
con una lettera di licenziamento: “se ti va bene qui c’è un contratto ad ore se no sei a casa”, mi hanno detto. Il contratto ad
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ore era un 8 e 20, quindi avevo un minimo di 8 ore settimanali
e un massimo di 20 ore, vacanze non retribuite perché venivano
compensate nella paga oraria.
Quindi o contratto ad ore o licenziamento?
Si, mi ricordo ancora le parole del capo, mi ha detto: “se il problema è lo stipendio puoi iscriverti alla disoccupazione che per
due anni ti dà la differenza”. Grazie, e dopo i due anni?
L’azienda in questo caso scarica la responsabilità sullo Stato,
non paghiamo noi ma paga lo stato.
Io mi ricorderò per sempre queste parole, ci sono rimasta molto
male. Da quel momento sono pagata ad ore. Prendo più o meno
sui 26 franchi all’ora, però sono lordi. Non c’è una certezza fissa
delle ore, possono variare da un mese all’altro. Posso passare da
uno stipendio di 800 franchi al mese ad uno stipendio di 2000
franchi.
Adesso stai lavorando?
Adesso sono appena rientrata dalla seconda gravidanza, ho dovuto diminuire ancora il contratto perché non era possibile trovare una soluzione per le mie ore.
Quindi tu con la gerente non avevi buoni rapporti.
No, la gerente è una senza figli e non vede di buon occhio chi ne
ha. Ritiene che tutte quelle che hanno figli si rincoglioniscono,
quindi non ha nessuna disponibilità.
Con me c’e l’ha sempre avuta un po’ su, perché ha capito che
con me determinati cose non poteva farle. Io e lei di carattere
proprio non andiamo d’accordo. Anche con l’altra ragazza che
lavora con noi, che è appena diventata mamma, oltretutto con
due bambini piccoli, divorziata con gravi problemi di salute. Fa
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pesare a questa ragazza che è malata, ma cosa può fare se non
sta bene? Stare a casa?
C’è pochissima sensibilità nei confronti dei dipendenti ammalati
o che attraversano momenti difficili.
In Ticino ci si comporta un po’ all’italiana, non c’è rispetto per
la donna che lavora. Sono convinta che a Basilea queste cose
non accadono. Secondo me in Svizzera interna c’è più sensibilità
nei confronti dei lavoratori e soprattutto delle donne.
Poi va detto che dall’alto arrivano direttive allucinanti. Gli stessi
gerenti dei negozi sono messi sotto pressione e non riescono a
gestire i conflitti.
La maggior parte dei problemi sono di natura contrattuale che
poi finiscono per diventare problemi di natura relazionale. Gerenti incapaci di dialogare, di trovare soluzioni mediate e quindi
si rompe la corda.
Adesso il rapporto con le colleghe com’è?
Ci sono alti e bassi. C’è stata una fase in cui vi era tensione fra le
dipendenti e si era creato un brutto ambiente. C’era una spaccatura tra coloro che stavano dalla parte della gerente e le altre.
Poi qualcuno ha cambiato filiale e le cose sono migliorate.
Adesso si è creato un bellissimo gruppo, ci si aiuta tanto tra di
noi.
Penso che nel nostro negozio mettono le persone che devono
essere castigate, ho questa impressione. Quelli che non vogliono
negli altri negozi, vengono nel nostro.
Siamo assillati dai ritmi di lavoro, perché una volta per esempio
una comanda potevi mandarla entro mezzogiorno, adesso entro
le 9.30 -10.00. È vero che io adesso lavoro sempre praticamente
in cassa quindi non subisco più questi ritmi, però personalmente mi si ritorcono contro perché io so che in cassa devo lavorare
super veloce perché gli altri devono fare la comanda entro un
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orario e, quindi non posso chiamare la seconda cassa. Devo riuscire ad arrangiarmi.
Se c’è il vecchietto che vuole parlarti devi fargli capire che non
puoi, non hai tempo e questo mi dispiace. Come il signore che
abita vicino e che è rimasto vedovo, adesso chiede sempre a noi
consigli perché prima faceva tutto la moglie. Quando trovi questa gente che ha bisogno e devi dargli il mena via perché non hai
tempo, è peccato.
Ci sono malattie frequenti?
Ho sentito che un sacco di persone si sono ammalate di nervi, veramente tante. Ragazze che sono state ricoverate anche in clinica.
Che ridere, mi ricordo una volta che quando c’era il problema
delle epidemie, come la SARS, avevano appeso all’albo un foglio
che se avevamo dei sintomi dovevamo stare a casa perché non
era bello verso il cliente. Quindi loro dicono che se abbiamo
qualcosa dobbiamo stare a casa, ma dall’altra parte però se chiami e dici che non stai bene ti dicono di prendere un Neo citran
e andare al lavoro al pomeriggio. Da questo lato c’è una grande
pressione.
Sei iscritta al sindacato?
Io si. Bene o male da noi sono iscritti tutti. È un po’ un’eccezione.
Noi siamo al punto che senza il sindacato, senza Unia, non riusciamo ad ottenere i diritti contrattuali, per esempio per conciliare il lavoro con certi impegni famigliari, come quando abbiamo un figlio ammalato.
Non hai mai pensato quindi di cambiare lavoro ?
Ci sarebbe la possibilità di cambiare o è difficile?
A me piacerebbe cambiare anche completamente ambito lavorativo. Adesso come adesso a me piacerebbe andare a lavorare
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in un ufficio. In cassa il lavoro è sempre ripetitivo, anche in ufficio sarebbe così, ma con gli orari sarebbe più facile conciliare il
lavoro con i bambini.
Andare a lavorare in una boutique sarebbe bello, non arrivi a
casa con il mal di schiena o con le mani sporche, però lo stipendio sarebbe di 1000 franchi in meno ed è una bella differenza.
Il rapporto con l’utenza com’è? La tua collega anziana racconta
di un negozio che era il punto di ritrovo in paese, dove si conoscevano un po’ tutti.
Adesso sono in un comune non troppo grande e tutti mi conoscono. Sono di una famiglia conosciuta. Ho visto adesso quando
sono rientrata dopo la maternità, c’era una festa in cassa. La
gente mi chiedeva, mi davano i bacini.
Da quando lavoro lì, ovunque vado incontro i miei clienti che
mi salutano, mi parlano. Tanti conoscono l’ambiente di lavoro e
quindi si preoccupano, mi chiedono informazioni.
Questo è un aspetto positivo, faccio fatica a staccarmi dalla bambina, ma sono contenta di essere tornata al lavoro. Mi piace lavorare e incontrare i miei clienti, questo però è un vantaggio che hai
nello stare in cassa. Quando lavori nei reparti non hai queste cose.
Malgrado il piacere di lavorare, lo fai per necessità?
Certo, starei a casa se avessi sufficienti soldi. Ho sempre visto
mia mamma che fa la casalinga e ho sempre detto, il giorno in
cui mi sposo sto a casa e faccio la mamma. Però con gli stipendi
che girano al giorno d’oggi non è possibile. È vero, ci sono sussidi, però se vuoi permetterti, non dico una vacanza, ma una cena
fuori, solo con uno stipendio e i sussidi non ce la fai.
Abitate in affitto o è casa vostra?
Siamo in affitto. Paghiamo l’affitto a mio padre, i miei genitori
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sono al piano di sopra. Nell’affitto è compresa la babysitter, i
miei mi aiutano moltissimo. Al mattino mia madre scende oppure io porto su la “radiolina”: se dovevo ogni mattina alle 5.30
spostare i bambini per andare a lavorare 4 - 8 ore alla settimana
no, allora si che avrei rinunciato.
Ci sono tanti stranieri fra di voi?
Da noi è tutta gente che è qui da una vita. Sono tutti prevalentemente italiani, siamo in due che parliamo dialetto. Però sono
qui da tanto tempo, magari da generazioni.
Mi è capitato di lavorare a S. con frontalieri che erano lì per
aiutare.
Io che lavoravo all’80% e che volevo fare carriera dovevo aiutare il frontaliero che veniva preso come capo reparto. Non è stata
una bella cosa, un po’ pesante.
Essendoci un contratto collettivo, con salari minimi, è più difficile per l’azienda mettere in concorrenza domiciliati e frontalieri.
Si, è vero, però io ti dico, dovessi lavorare al 100%, mi prendo 4100 franchi e lavoro le mie 41 ore e finisce lì. Il frontaliere
prende 4100 franchi, ti lavora le 41 ore marcate poi quante te ne
lavora non marcate? Adesso abbiamo fatto un calcolo delle ore
con la vice gerente, più o meno 20 ore a settimana lei le risparmia su di noi, di ore che non ci marca.
Cosa vuol dire, sono straordinari non riconosciuti?
Esattamente. Per dire, io oggi dovevo finire alle 11.00 ma sono
uscita alle 11.30, c’era colonna in cassa, la collega che doveva
darmi il cambio non è arrivata immediatamente e il tempo è
passato. Sono stata pagata però fino alle undici; la mezz’ora in
più non viene marcata.
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Quindi tu avresti diritto ad essere pagata di più? Perché nessuno dice niente?
Non è che nessuno lo dice, ma la gerente non calcola le ore in
più che facciamo.
Come vedi questa professione in futuro? Tu pensi di continuare?
Si io voglio continuare a lavorare, chiaro che se le cose migliorano e si sistemano, si va a lavorare volentieri, se non si sistemano
non è bello, vai a lavorare anche solo 8 ore alla settimana con il
mal di pancia.
Come lavoro, io penso che i negozi ci saranno sempre.
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Non posso costruire il mio futuro
Dalla fine degli anni novanta, il precariato, con conseguenti
bassi salari, è diventata una regola presso l’Amministrazione
cantonale ticinese.
A.M., impiegato statale
Sono di origine kossovara, sono nato nel’ 83 e sono arrivato in
Svizzera nel 1999. Subito mi sono attivato per andare a scuola.
Il primo anno ho fatto un corso di italiano, poi sono andato alla
scuola di commercio, scuola media di commercio a Locarno.
Finito quella ho fatto la maturità professionale, poi un bachelor
in economia alla Supsi e un master in economia-business aministration.
Quando ho incominciato la SUPSI nel 2006, avevo bisogno un
lavoro perché era una formazione parallela al lavoro e ho trovato, con qualche difficoltà, un posto presso il Cantone, all’ufficio invalidità. Ho lavorato come stagiaire, per un anno e mezzo
all’80%, con uno stipendio di CHF 600.- lordi. Terminata questa attività, ho lavorato presso l’Ufficio attività e giovani, sostituivo una signora che era in maternità. Lì percepivo uno stipendio
pari a quello della classe 19a, ma il posto prevedeva una classe
26-27.
Eri sempre uno stagiaire?
No, lavoravo come impiegato amministrativo. Era un tempo
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determinato, alla SUPSI andavo alla sera e al sabato. Lavoravo
anche qui all’80%.
Anche qui ho lavorato un anno e mezzo, poi sono andato all’Ufficio assistenza per tre mesi, l’unico posto che mi hanno pagato
per il posto che occupavo, classe 23.
Poi sono rimasto senza lavoro per sei mesi. Intanto dovevo finire
il mio bachelor. Dopo ho trovato lavoro presso la Sezione dell’agricoltura, Dipartimento Finanze ed Economia. Visto che avevo
bisogno di un’attività per continuare con il master ho accettato
questo lavoro, anche se mi hanno inserito nella classe 17, con
uno scatto di anzianità.
Lavoro da quattro anni, e nel frattempo ho ottenuto il master.
La classe di stipendio non è mai cambiata.
Che lavoro fai?
Sono nominato come impiegato amministrativo, ma svolgo
funzioni di controllo delle finanze, sono responsabile, quindi il
lavoro va al di là della classe. In più sono responsabile di un
ragazzo che percepisce la classe 22, e devo seguirlo nel lavoro.
In tutto questo periodo, al di là degli stipendi, come stai vivendo il rapporto di lavoro?
Diciamo che io sono munito di grande pazienza, già di carattere
non sono uno che molla tutto perché lo stipendio è basso, spero
sempre che le cose migliorino. Ho buoni rapporti con i capi,
buoni rapporti con i colleghi, quando tocco il tasto stipendio,
ormai è anni che mi dicono che non si può fare nulla, che è
tutto bloccato, non si possono fare riqualifiche. Una cosa molto
interessante è questa: quando lavoravo presso l’Ufficio giovani
e sostituivo la signora, che era in classe 26, a me dicevano che
non avevo ancora il bachelor e quindi non potevano darmi la
stessa classe (percepivo la 19). Adesso che ho tutti i diplomi, mi
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dicono che sono stato nominato per una determinata posizione,
nonostante io abbia tutti i diplomi non possono pagarmi perché la funzione è come impiegato amministrativo. Me la girano
come vogliono loro!
Secondo me, poi i lavori che faccio sono parificati a quelli dei
miei colleghi, quindi una 28-30.
Hai chiesto di adeguare lo stipendio, hai parlato con i capi?
Ho parlato più volte con il mio capo ufficio e con il capo sezione.
Loro mi ha sempre detto a voce tutto, non c’è mai stato niente
di scritto. Detto molto chiaramente, per chi vogliono riescono a
fare qualcosa, per chi non vogliono dicono che è tutto bloccato.
Questo per te pone un problema, sei nominato ma in una classe
inadeguata, quindi per aiutare la famiglia, diventa un problema.
Più che aiutare loro, vorrei essere indipendente, riuscire a prendere delle decisione per la mia vita, ma in questa situazione questo non è possibile. Lavoro all’80%, dedotte tutte le spese, sono
2300.- franchi netti. Veramente poco. Sono 9 anni che lavoro.
A volte ho sostituito colleghi che prendevano la classe 25-26,
l’ultima volta ho sostituito un collega per malattia, ho fatto esattamente il suo lavoro ma non mi hanno mai dato l’aumento perché dovevo fare più di 3 mesi, invece io ho fatto esattamente
“solo” tre mesi.
È una cosa inaccettabile, ma malgado diversi tentativi non cambia nulla.
Come sono i rtimi di lavoro?
Lo stress è normale che ci sia. Si può gestirlo.
Ci sono sempre maggiori richieste, viene sempre richiesto di più.
Però io ho un carattere particolare: quando sono stressato , rendo di più. Ovvio siamo sotto stress, questo si.
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Al di fuori del lavoro fai qualcosa?
Adesso non faccio nulla, ho preso un po’ di tempo di relax.
Spero che questa storia possa cambiare. Sto facendo concorsi,
sono stato convocato, ma non mi hanno preso, sempre all’interno dell’amministrazione cantonale.
Non sono iscritto al sindacato. Perché penso che dal momento
che subentrano i sindacati vuol dire che c’è qualcosa che non
va, quindi la mia presenza all’interno di quell’ufficio sarebbe un
po’ così.
Ma sono due cose diverse: un conto essere membro del sindacato, e un altro conto è chiedere al sindacato di intervenir. Tu
perché non sei iscritto? Cosa pensi del sindacato?
Non lo so. Mio fratello è iscritto.
Beh, conosco diversi casi in cui è stato molto d’aiuto, che ha
risolto le situazioni, è stato molto positivo.
Come la vedo io, quando subentrano i sindacati, i rapporti si
rovinano.
Io sono consapevole del fatto che se un capo ufficio giustifica
bene una richiesta di riqualifica o l’aumento di classe per qualcuno, sono sicuro che verrebbe accettata.
Ogni classe ha le sue funzioni, la classe 17 corrisponde a un operaio agricolo. La 17 non è giustificata, alla Sezione dell’agricoltura, se ti prendono a rispondere ai telefoni, sei nella classe 21.
Magari facciamo un passo indietro, tu sei arrivato in Svizzera
quando avevi 16 anni. È un’età un po’ così, tu che aspettative
avevi?
Mio padre era qui per lavoro. Sinceramente non mi aspettavo
granché, ho incominciato a costruire poco alla volta. Sono arrivato qui, ho incominciato ad imparare l’italiano, poi volevo
fare una scuola, da lì ho incominciato a conoscere meglio, cosa
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richiedeva questo posto, quali erano i bisogni. Man mano sono
cresciuto anch’ io e capivo cosa volevo fare. Ma all’inizio non
sapevo bene cosa fare, c’erano tantissime idee per la testa.
Hai avuto problemi per la tua nazionalità, per non essere nato
qua?
Questo non lo so, io vado sempre avanti, non mi soffermo sui
problemi. Problemi di razzismo non ne ho mai visto. L’unica
cosa è la questione della paga, che fa pensare un po’, sono l’unico della Sezione che prende una classe 17 con un master in
economia e questo ti fa pensare. Quale è il problema? Il mio
cognome?
Perché il lavoro che faccio è quello che fanno i miei colleghi,
loro sono nella classe giusta. Loro possono decidere il loro futuro, mentre io no.
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