Volontariato e gratuità come

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Volontariato e gratuità come
NIENTE HA PIU’ VALORE DI UN ATTO DI GRATUITA’
Cuneo, 24.10.2008
VOLONTARIATO E GRATUITA’ COME DONO
di Renato Frisanco - FEO-FIVOL
La gratuità, insieme alla solidarietà, rappresenta il fondamento etico del
volontariato, ne qualifica il modus operandi e lo distingue da tutte le forme di azione
sociale. Non a caso l’organizzazione di volontariato è l’unica realtà del Terzo settore
che non può remunerare in alcun modo i propri aderenti né avere ricompensa o
rimborso dai beneficiari delle prestazioni che offre. D’altra parte il volontariato non
è solo “socialmente utile” - l’utilità sociale è il paradigma di tutto il terzo settore ma è anche “eticamente necessario” come soggetto che testimonia valori e che crea
legami sociali, beni relazionali e “capitale sociale”.
Attraverso la gratuità il volontario “dona” il proprio tempo e la propria competenza
per fare qualcosa di creativo e di utile per gli altri, per la comunità di appartenenza o
per l’umanità intera. Ciò significa “farsi carico”, “sentirsi responsabili” rispetto a
qualcuno o a qualcosa con cui si è in relazione non strumentale ma autentica e tale
da fondare condivisione e reciprocità. Senza dono di sé agli altri - come nel caso in
cui si offre semplicemente del denaro - vi è filantropia, non volontariato. La logica
del dono si caratterizza per la sua finalizzazione all’altro in un’ineliminabile risultato
di socialità e di relazionalità. E’ in virtù di questa specifica “missione” che il
volontariato si caratterizza come spazio concreto e simbolico del dono che come tale
non può prescindere dalla gratuità.
D’altra parte il volontariato non esiste per sé, per i volontari o per le loro
organizzazioni, ma esiste in funzione degli esclusi e delle comunità per le quali si
prodiga e a cui deve dare conto del proprio operato. E’ questo il fondamento del
dono, il suo statuto reale.
Dopo aver chiarito che il volontariato è dono nella misura in cui risponde alla sua
missione di servizio agli altri/alla comunità, quali sono le manifestazioni coerenti con
tale logica?
- Anzitutto nel costituire un laboratorio di sperimentazione di nuovi
servizi/interventi, nell’operare facendo innovazione in virtù della sua presa diretta
con i bisogni, il territorio, le risorse esistenti che è in grado di mobilitare. E’ questa la
missione profetica del volontariato.
- Il volontariato è dono quando, oltre ad affrontare dei problemi con specifici ed
efficaci interventi, contribuisce ad elevare la cultura dell’operatività nel sociale, ad
esempio, mutuando una funzione preventiva piuttosto che riparativa, assumendo
un ruolo promozionale e non semplicemente assistenziale, operando come attore
consapevole (“agire”) alla costruzione di nuova società piuttosto che limitarsi al
“fare”. “Partecipazione”, “prevenzione” e “promozione” sono, non a caso, le tre “P”
su cui si basa il nuovo sistema di Welfare dove il volontariato è partner progettuale e
non solo gestionale.
- Nella prospettiva del dono e, quindi, di costituire risorsa per la comunità,
l’organizzazione di volontariato opera in una “strategia delle connessioni” con gli
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altri attori sociali facendosi carico dei bisogni dei propri utenti o beneficiari senza
trascurare una visione d’insieme dei bisogni e delle risorse, costruendo reti e alleanze
con cui realizzare interventi e avanzare proposte. Ciò significa che se opera per
sollevare lo stato di povertà di gruppi di cittadini svantaggiati o ai margini si
impegna anche per determinare politiche sociali incisive di sostegno o di lotta alla
povertà con tutti i soggetti in campo - con spirito critico e creativo rispetto a quelle
esistenti - così come essa non può non interrogarsi e agire su fenomeni correlati alla
povertà - l’immigrazione, la disoccupazione, la solitudine, la perdita del bene casa
(barbonismo) - in connessione con le altre OdV che se ne fanno carico.
- Il “dono” rappresentato dal volontariato può fornire oggi un contributo non
secondario in una duplice prospettiva di sviluppo sociale e della solidarietà: a) quella
di concorrere a garantire condizioni di cittadinanza che evitino un accesso ineguale al
bene comune e incrementino l’attuazione di una reale “giustizia sociale”; b) quella di
garantire una responsabilizzazione diffusa dei cittadini al “bene comune”. Per le
organizzazioni di volontariato ciò significa svolgere una funzione di sussidiarietà reale
promuovendo, da una parte, la capacità dei cittadini più deboli di tutelarsi rispetto
ai propri diritti (funzione di empowerment) e, dall’altra, di favorire, attraverso una
comunicazione efficace e di sensibilizzazione sui temi e problemi sociali, processi di
partecipazione dei cittadini alle attività di “interesse generale”.
- Nella logica del dono si intuisce l’importanza di un rapporto di stimolo critico ma
costruttivo con le Amministrazioni pubbliche, titolari della programmazione dei
servizi, oltre che garanti prime della risposta ai diritti dei cittadini. Tale rapporto
non può che essere di reciprocità ben sapendo che il Pubblico non può fare a meno
del volontariato e il volontariato non può fare a meno del Pubblico. Ciascuno dei due
soggetti deve essere interessato alla crescita e alla promozione dell’altro perché dal
buon funzionamento dell’uno dipende anche il buon funzionamento dell’altro.
Due indicatori configurano una vera e propria strategia del dono orientata a
corroborare la società:
1) la capacità di diffondere e allargare la cultura della solidarietà, della
cittadinanza attiva, della partecipazione dei cittadini. Si tratta della funzione
principale del volontariato che prima ancora che per quello che fa è
importante per il suo “saper essere”, per i valori che testimonia attraverso il
proprio agire (è “testimonianza saldata al fare”). Da qui anche quella
«passione etica ed educativa» - come diceva Tavazza1 - del volontariato, non
tanto per acquisire nuovi adepti quanto per formare cittadini solidali in grado
di farsi responsabili del “bene comune”. Persone che vivano una cittadinanza
attiva nell’arco delle 24 ore e si attivino eventualmente nel volontariato come
ulteriore libero dono;
2) il largo coinvolgimento e la partecipazione alla realizzazione del nuovo
sistema di welfare comunitario e plurale al fine di favorire un soddisfacente
tasso di solidarietà e di risorse necessarie da ripartite secondo priorità di spesa
che tengano conto della realtà dei bisogni e dei problemi. Ciò richiede alle
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Cofondatore, Presidente e poi Segretario generale della FIVOL, Fondazione Italiana per il Volontariato
dal 1991 al 2000.
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organizzazioni di volontariato di avere non solo “mission” ma anche “vision”,
ovvero una concezione del sociale, delle politiche sociali, del modello di
società che intendono contribuire a qualificare, avvalendosi di un sistema di
rappresentanze per essere incisive nei luoghi/momenti dell’elaborazione delle
politiche sociali. Dentro una programmazione comune o partecipata è
importante anche il ruolo del volontariato come gestore di servizi agili e
“leggeri” (a bassa complessità organizzativa e sostenibilità finanziaria, non
certo poco impegnativi e importanti) integrati o complementari a quelli più
strutturati, realizzati da soggetti diversi, come ulteriore e specifico contributo
alla qualità complessiva delle risposte ai bisogni e ai problemi dei territori
comunitari.
In definitiva il volontariato moderno è orientato ad un “dono di qualità" quando non
si pone come fine ma come strumento, come movimento spontaneo di liberazione,
quando si occupa del disagio sociale, del degrado ambientale, delle povertà varie
dell’umanità e dei “beni comuni” da tutelare e valorizzare, senza dimenticarsi della
società, dei suoi meccanismi di funzionamento, delle scelte istituzionali, dei valori
imperanti, per incidere criticamente e costruttivamente sulle politiche sociali,
sperimentare nuove soluzioni ai problemi e sensibilizzare l’opinione pubblica. L’esito
del dono è il cambiamento sociale.
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