Dossier n. 10-bis/2012 - Consiglio Nazionale Forense

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Dossier n. 10-bis/2012 - Consiglio Nazionale Forense
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
Ufficio Studi
LA DETERMINAZIONE
DELL’OGGETTO DEL CONTRATTO
E I CRITERI DI CALCOLO DEL
COMPENSO PROFESSIONALE FORENSE
Commento al d.l. 24.1.2012 n.1 2012 conv. in l. 24.3.2012
n. 27 e al d.m. 20 .7. 2012 n.140 (tariffe e parametri)
SEMINARIO
Roma, 18 ottobre 2012
Università di Roma La Sapienza
Facoltà di Giurisprudenza - Aula Calasso Piazzale Aldo Moro, 5
Dossier di documentazione e analisi a cura
dell’Ufficio studi del Consiglio nazionale forense
I dossier dell’Ufficio studi del Consiglio nazionale forense
n. 10/2012
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
Ufficio Studi
INDICE*
1.
PAG. 3
2.
RELAZIONE MINISTERIALE ILLUSTRATIVA DEL D.M. 140/2012
PAG. 19
3.
TABELLE DEI COMPENSI PROFESSIONALI DEGLI AVVOCATI ALLEGATE
AL D.M. 140/2012
PAG. 43
ART. 13 (CONFERIMENTI DELL'INCARICO) A.C. 3900-A (RIFORMA
ORDINAMENTO FORENSE) – TESTO DELLA DISPOSIZIONE APPROVATA IN
DATA 9 OTTOBRE 2012 DALLA CAMERA DEI DEPUTATI
PAG. 61
OSSERVAZIONI SULLA BOZZA DI DM RECANTE PARAMETRI (A CURA
DELL’UFFICIO STUDI DEL CNF)
PAG. 63
CRITICITÀ RELATIVE AI PARAMETRI PER LA DETERMINAZIONE DEL
COMPENSO DELL’AVVOCATO. PROPOSTE PER UN INTERVENTO
CORRETTIVO (A CURA DELL’UFFICIO STUDI DEL CNF)
PAG. 79
4.
5.
6.
*
DECRETO 20 LUGLIO 2012, N. 140 (PUBBL. IN GAZZ. UFF. N. 195 DEL 22
AGOSTO 2012) REGOLAMENTO RECANTE LA DETERMINAZIONE DEI
PARAMETRI PER LA LIQUIDAZIONE DA PARTE DI UN ORGANO
GIURISDIZIONALE
DEI
COMPENSI
PER
LE
PROFESSIONI
REGOLAMENTATE VIGILATE DAL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, AI
SENSI DELL’ART. 9 DEL DECRETO-LEGGE 24 GENNAIO 2012, N. 27.
Il presente dossier è stato realizzato da Francesca Mesiti e Riccardo Cremonini, con il coordinamento di Giuseppe
Colavitti
I dossier dell’Ufficio studi del Consiglio nazionale forense
n. 10/2012
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
Ufficio Studi
7.
IL CONTRATTO DI INCARICO PROFESSIONALE (MODELLO ELABORATO
DAL PROF. AVV. UBALDO PERFETTI, VICEPRES. CNF)
PAG. 93
TRIBUNALE DI COSENZA, ORDINANZA 1 FEBBRAIO 2012, G.U. GRECO
(Q.L.C.)
PAG. 101
T.A.R. LOMBARDIA – BRESCIA, SEZIONE I, ORDINANZA 10 SETTEMBRE
2012, N. 1528
PAG. 107
TRIBUNALE DI CREMONA, ORDINANZA 13 SETTEMBRE 2012, G.U BORELLA
(Q.L.C)
PAG. 109
TRIBUNALE DI VARESE, SEZIONE I CIVILE, SENTENZA 26 SETTEMBRE 2012,
N. 1252
PAG. 113
12.
CASS. SEZ. II CIVILE, SENTENZA 23 MAGGIO – 28 SETTEMBRE 2012, N. 16581
PAG. 117
13.
CASS. SEZ. UNITE CIVILI, SENTENZA 25 SETTEMBRE – 12 OTTOBRE 2012, N.
17406
PAG. 123
CLAUDIO COLOMBO, “LIBERALIZZAZIONI E PROFESSIONI: PRIME
CONSIDERAZIONI SUL DECRETO MONTI”, ALTALEX, 26 GENNAIO 2012
PAG. 127
GIUSEPPE COLAVITTI, “PASSI DA COMPIERE ED ERRORI DA EVITARE NEL
CONTRATTO D’OPERA PROFESSIONALE DOPO IL DECRETO SULLE
LIBERALIZZAZIONI”, GUIDA AL DIRITTO, 3 APRILE 2012
PAG. 133
8.
9.
10.
11.
14.
15.
I dossier dell’Ufficio studi del Consiglio nazionale forense
n. 10/2012
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
Ufficio Studi
16.
17.
18.
19.
20.
MAURO DI MARZIO, “NOVITÀ NORMATIVE IN TEMA DI COMPENSI PER
PRESTAZIONI PROFESSIONALI DI AVVOCATO”, GIUR. MERITO, 2012,
FASC. 6, P. 1274
PAG. 139
STEFANO CALVETTI, “CHIEDERE È LECITO; RISPONDERE È CORTESIA. MA
GUAI A NON CHIEDERE!”, DIRITTO E GIUSTIZIA, 2012, P. 634
PAG. 143
VITO AMENDOLAGINE, “OSSERVAZIONI A PRIMA LETTURA SUL
REGOLAMENTO MINISTERIALE PER LA DETERMINAZIONE DEI
PARAMETRI DI LIQUIDAZIONE GIURISDIZIONALE DEI COMPENSI PER
GLI AVVOCATI”, JUDICIUM.IT, 17 SETTEMBRE 2012
PAG. 145
MASSIMO VACCARI, “UNA PANORAMICA DELLE NOVITÀ RIGUARDANTI
LA PROFESSIONE DI AVVOCATO CIVILISTA DOPO L’ENTRATA IN VIGORE
DEL REGOLAMENTO SUI PARAMETRI”, JUDICIUM.IT, 5 OTTOBRE 2012
PAG. 167
ANTONIO PORRACCIOLO, GIOVANBATTISTA TONA, “LEGALI, SUI
PARAMETRI CON VALORE RETROATTIVO URGE UN CHIARIMENTO”,
ILSOLE 24ORE, 8 OTTOBRE 2012
PAG. 197
ALLEGATI:
ELENCO DOSSIER PUBBLICATI DALL’UFFICIO STUDI AL 17 OTTOBRE 2012
COMPOSIZIONE UFFICIO STUDI
I dossier dell’Ufficio studi del Consiglio nazionale forense
n. 10/2012
DIPARTIMENTO DI SCIENZE GIURIDICHE
MASTER UNIVERSITARIO DI II LIVELLO IN
DIRITTO PRIVATO EUROPEO
seminario su:
LA DETERMINAZIONE
DELL’OGGETTO DEL CONTRATTO
E I CRITERI DI CALCOLO DEL
COMPENSO PROFESSIONALE FORENSE
Commento al d.l. 24.1.2012 n.1 2012 conv. in l. 24.3.2012
n. 27 e al d.m. 20 .7. 2012 n.140 (tariffe e parametri)
partecipano:
Guido Alpa Giuseppe Colavitti Antonio Damascelli
Andrea Fusaro Cesare Imbriani Aldo Morlino
Giampaolo Parodi Andrea Pasqualin
Federico Pernazza Cesare Pinelli Vincenzo Vigoriti
18 ottobre 2012 ore 14
Aula Calasso Facoltà di Giurisprudenza
Piazzale Aldo Moro 5
-1-
-2-
DECRETO DEL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 20 luglio 2012, n. 140
(in Gazz. Uff., 22 agosto 2012, n. 195)
Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo
giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia,
ai sensi dell'articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla
legge 24 marzo 2012, n. 27
IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA
Visto l'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400;
Visto l'articolo 9, comma 2, primo periodo, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 convertito, con
modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27;
Udito il parere del Consiglio di Stato n. 3126/2012, favorevole con osservazioni, espresso dalla
Sezione consultiva per gli atti normativi nell'adunanza del 5 luglio 2012;
Vista la comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 16 luglio 2012;
Adotta
il seguente regolamento:
CAPO I
Disposizioni generali
Art.1
Ambito di applicazione e regole generali
1. L'organo giurisdizionale che deve liquidare il compenso dei professionisti di cui ai capi che
seguono applica, in difetto di accordo tra le parti in ordine allo stesso compenso, le disposizioni del
presente decreto. L'organo giurisdizionale può sempre applicare analogicamente le disposizioni del
presente decreto ai casi non espressamente regolati dallo stesso.
2. Nei compensi non sono comprese le spese da rimborsare secondo qualsiasi modalità, compresa
quella concordata in modo forfettario. Non sono altresì compresi oneri e contributi dovuti a
qualsiasi titolo. I costi degli ausiliari incaricati dal professionista sono ricompresi tra le spese dello
stesso.
3. I compensi liquidati comprendono l'intero corrispettivo per la prestazione professionale, incluse
le attività accessorie alla stessa.
4. Nel caso di incarico collegiale il compenso è unico ma l'organo giurisdizionale può aumentarlo
fino al doppio. Quando l'incarico professionale è conferito a una società tra professionisti, si applica
il compenso spettante a uno solo di essi anche per la stessa prestazione eseguita da più soci.
5. Per gli incarichi non conclusi, o prosecuzioni di precedenti incarichi, si tiene conto dell'opera
effettivamente svolta.
6. L'assenza di prova del preventivo di massima di cui all'articolo 9, comma 4, terzo periodo, del
decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n.
27, costituisce elemento di valutazione negativa da parte dell'organo giurisdizionale per la
liquidazione del compenso.
-3-
7. In nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei
massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono
vincolanti per la liquidazione stessa.
CAPO II
Disposizioni concernenti gli avvocati
Art.2
Tipologia di attività
1. Le prestazioni professionali forensi sono distinte in attività stragiudiziale e attività giudiziale. Le
attività giudiziali sono distinte in attività penale e attività civile, amministrativa e tributaria.
Art.3
Attività stragiudiziale
1. L'attività stragiudiziale è liquidata tenendo conto del valore e della natura dell'affare, del numero
e dell'importanza delle questioni trattate, del pregio dell'opera prestata, dei risultati e dei vantaggi,
anche non economici, conseguiti dal cliente, dell'eventuale urgenza della prestazione.
2. Si tiene altresì conto delle ore complessive impiegate per la prestazione, valutate anche secondo
il valore di mercato attribuito alle stesse.
3. Quando l'affare si conclude con una conciliazione, il compenso è aumentato fino al 40 per cento
rispetto a quello altrimenti liquidabile a norma dei commi che precedono.
Art.4
Attività giudiziale civile, amministrativa e tributaria
1. L'attività giudiziale civile, amministrativa e tributaria è distinta nelle seguenti fasi: fase di studio
della controversia; fase di introduzione del procedimento; fase istruttoria; fase decisoria; fase
esecutiva.
2. Nella liquidazione il giudice deve tenere conto del valore e della natura e complessità della
controversia, del numero e dell'importanza e complessità delle questioni trattate, con valutazione
complessiva anche a seguito di riunione delle cause, dell'eventuale urgenza della prestazione.
3. Si tiene altresì conto del pregio dell'opera prestata, dei risultati del giudizio e dei vantaggi, anche
non patrimoniali, conseguiti dal cliente.
4. Qualora l'avvocato difenda più persone con la stessa posizione processuale il compenso unico
può essere aumentato fino al doppio. Lo stesso parametro di liquidazione si applica quando
l'avvocato difende una parte contro più parti. Nel caso di controversie a norma dell'articolo 140-bis
del decreto legislativo 6 settembre 2005 n. 206, il compenso può essere aumentato fino al triplo,
rispetto a quello liquidabile a norma dell'articolo 11.
5. Quando il procedimento si conclude con una conciliazione il compenso è aumentato fino al 25
per cento rispetto a quello liquidabile a norma dell'articolo 11.
6. Costituisce elemento di valutazione negativa, in sede di liquidazione giudiziale del compenso,
l'adozione di condotte abusive tali da ostacolare la definizione dei procedimenti in tempi
ragionevoli.
Art.5
Determinazione del valore della controversia
-4-
1. Ai fini della liquidazione del compenso, il valore della controversia è determinato a norma del
codice di procedura civile avendo riguardo, nei giudizi per azioni surrogatorie e revocatorie,
all’entità economica della ragione di credito alla cui tutela l'azione è diretta, nei giudizi di divisione,
alla quota o ai supplementi di quota in contestazione, e nei giudizi per pagamento di somme, anche
a titolo di danno, alla somma attribuita alla parte vincitrice e non alla somma domandata. In ogni
caso si ha riguardo al valore effettivo della controversia, anche in relazione agli interessi perseguiti
dalle parti, quando risulti manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di
procedura civile o alla legislazione speciale.
2. Nelle cause davanti agli organi di giustizia amministrativa il valore della causa è determinato a
norma del comma 1 quando l'oggetto della controversia o la natura del rapporto sostanziale dedotto
in giudizio o comunque correlato al provvedimento impugnato ne consentono l'applicazione.
Quando ciò non è possibile, va tenuto conto dell'interesse sostanziale tutelato.
3. Per le controversie di valore indeterminato o indeterminabile si tiene particolare conto
dell'oggetto e della complessità della stessa.
Art.6
Procedimenti arbitrali
1. Per i procedimenti davanti agli arbitri, nel caso di arbitrato rituale, è dovuto il compenso stabilito
per le controversie davanti ai giudici competenti a conoscere sulle stesse.
2. In ogni altro caso di arbitrato o fattispecie analoga, per la liquidazione dei compensi si applicano
i parametri previsti per l’attività stragiudiziale.
Art.7
Procedimenti cautelari o speciali o non contenziosi
1. Fermo quanto specificatamente disposto dalla tabella A - Avvocati, nei procedimenti cautelari
ovvero speciali ovvero non contenziosi anche quando in camera di consiglio o davanti al giudice
tutelare, il compenso viene liquidato per analogia ai parametri previsti per gli altri procedimenti,
ferme le regole e i criteri generali di cui agli articoli 1 e 4.
Art.8
Cause di lavoro
1. Nelle controversie di lavoro il cui valore non supera 1.000 euro, il compenso è ridotto di regola
fino alla metà.
Art.9
Cause per l'indennizzo da irragionevole durata del processo e gratuito patrocinio
1. Nelle controversie per l'indennizzo da irragionevole durata del processo, il compenso può essere
ridotto fino alla metà. Per le liquidazioni delle prestazioni svolte a favore di soggetti in gratuito
patrocinio, e per quelle a esse equiparate dal testo unico delle spese di giustizia di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 n. 115, si tiene specifico conto della concreta
incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa, e gli importi
sono di regola ridotti della metà anche in materia penale.
Art.10
Responsabilità processuale aggravata e pronunce in rito
-5-
1. Nel caso di responsabilità processuale ai sensi dell'articolo 96 del codice di procedura civile,
ovvero, comunque, nei casi d’inammissibilità o improponibilità o improcedibilità della domanda, il
compenso dovuto all'avvocato del soccombente è ridotto, di regola, del 50 per cento rispetto a
quello liquidabile a norma dell'articolo 11.
Art.11
Determinazione del compenso per l’attività giudiziale civile, amministrativa e tributaria
1. I parametri specifici per la determinazione del compenso sono, di regola, quelli di cui alla tabella
A - Avvocati, allegata al presente decreto. Il giudice può sempre diminuire o aumentare
ulteriormente il compenso in considerazione delle circostanze concrete, ferma l'applicazione delle
regole e dei criteri generali di cui agli articoli 1 e 4.
2. Il compenso è liquidato per fasi.
3. Nella fase di studio della controversia sono compresi, a titolo di esempio: l'esame e lo studio
degli atti a seguito della consultazione con il cliente, le ispezioni dei luoghi, la ricerca dei
documenti e la conseguente relazione o parere, scritti oppure orali, al cliente, precedenti la
costituzione in giudizio.
4. Nella fase introduttiva del procedimento sono compresi, a titolo di esempio: gli atti introduttivi
del giudizio e di costituzione in giudizio, e il relativo esame incluso quello degli allegati, quali
ricorsi, controricorsi, citazioni, comparse, chiamate di terzo ed esame delle relative autorizzazioni
giudiziali, l'esame di provvedimenti giudiziali di fissazione della prima udienza, memorie iniziali,
interventi, istanze, impugnazioni, le relative notificazioni, l'esame delle corrispondenti relate,
l'iscrizione a ruolo, il versamento del contributo unificato, le rinnovazioni o riassunzioni della
domanda, le autentiche di firma o l'esame della procura notarile, la formazione del fascicolo e della
posizione della pratica in studio, le ulteriori consultazioni con il cliente.
5. Nella fase istruttoria sono compresi, a titolo di esempio: le richieste di prova, le memorie di
precisazione o integrazione delle domande o dei motivi d'impugnazione, eccezioni e conclusioni,
ovvero meramente illustrative, l'esame degli scritti o documenti delle altre parti o dei provvedimenti
giudiziali pronunciati nel corso e in funzione dell'istruzione, gli adempimenti o le prestazioni
comunque connesse ai suddetti provvedimenti giudiziali, le partecipazioni e assistenze relative ad
attività istruttorie, gli atti comunque necessari per la formazione della prova o del mezzo istruttorio
anche quando disposto d'ufficio, la designazione di consulenti di parte, l'esame delle corrispondenti
attività e designazioni delle altre parti, l'esame delle deduzioni dei consulenti d'ufficio o delle altre
parti, la notificazione delle domande nuove o di altri atti nel corso del giudizio compresi quelli al
contumace, le relative richieste di copie al cancelliere, le istanze al giudice in qualsiasi forma, le
dichiarazioni rese nei casi previsti dalla legge, le deduzioni a verbale, le intimazioni dei testimoni,
comprese le notificazioni e l'esame delle relative relate, gli atti comunque incidentali comprese le
querele di falso e quelli inerenti alla verificazione delle scritture private. Al fine di valutare il grado
di complessità della fase rilevano, in particolare, le plurime memorie per parte, necessarie o
autorizzate dal giudice, comunque denominate ma non meramente illustrative, ovvero le plurime
richieste istruttorie ammesse per ciascuna parte e le plurime prove assunte per ciascuna parte. La
fase rileva ai fini della liquidazione del compenso quando effettivamente svolta.
6. Nella fase decisoria sono compresi, a titolo di esempio: le precisazioni delle conclusioni e l'esame
di quelle delle altre parti, le memorie, illustrative o conclusionali anche in replica, compreso il loro
deposito ed esame, la discussione orale, sia in camera di consiglio che in udienza pubblica, le note
illustrative accessorie a quest'ultima, la redazione e il deposito delle note spese, l'esame e la
-6-
registrazione o pubblicazione del provvedimento conclusivo del giudizio, comprese le richieste di
copie al cancelliere, il ritiro del fascicolo, l'iscrizione di ipoteca giudiziale del provvedimento
conclusivo stesso.
7. Nella fase esecutiva, fermo quanto previsto nella richiamata tabella A - Avvocati, per l'atto di
precetto, sono ricompresi, a titolo di esempio: la disamina del titolo esecutivo, la notificazione dello
stesso unitamente al precetto, l'esame delle relative relate, il pignoramento e l'esame del relativo
verbale, le iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, gli atti d'intervento, le ispezioni ipotecarie, catastali,
l'esame dei relativi atti, le assistenze all'udienza o agli atti esecutivi di qualsiasi tipo.
8. Il compenso, ai sensi dell'articolo 1 comma 3, comprende ogni attività accessoria, quali, a titolo
di esempio, gli accessi agli uffici pubblici, le trasferte, la corrispondenza anche telefonica o
telematica o collegiale con il cliente, le attività connesse a oneri amministrativi o fiscali, le sessioni
per rapporti con colleghi, ausiliari, consulenti, magistrati.
9. Per le controversie il cui valore supera euro 1.500.000,00 il giudice, tenuto conto dei valori di
liquidazione riferiti di regola allo scaglione precedente, liquida il compenso applicando i parametri
di cui all'articolo 4, commi da 2 a 5. I parametri indicati nel periodo precedente si applicano anche
ai procedimenti per ingiunzione.
10. Per le procedure concorsuali si applicano per analogia i parametri previsti per la fase esecutiva
relativa a beni immobili.
Art.12
Attività giudiziale penale
1. L’attività giudiziale penale è distinta nelle seguenti fasi: fase di studio; fase di introduzione del
procedimento; fase istruttoria procedimentale o processuale; fase decisoria; fase esecutiva. Se il
procedimento o il processo non vengono portati a termine per qualsiasi motivo ovvero
sopravvengono cause estintive del reato, l'avvocato ha diritto al compenso per l'opera effettivamente
svolta.
2. Nella liquidazione il giudice deve tenere conto della natura, complessità e gravità del
procedimento o del processo, delle contestazioni e delle imputazioni, del pregio dell'opera prestata,
del numero e dell'importanza delle questioni trattate, anche a seguito di riunione dei procedimenti o
dei processi, dell'eventuale urgenza della prestazione. Ai fini di quanto disposto nel periodo che
precede, si tiene conto di tutte le particolari circostanze del caso, quali, a titolo di esempio, il
numero dei documenti da esaminare, l'emissione di ordinanze di applicazione di misure cautelari,
l’entità economica e l'importanza degli interessi coinvolti, la costituzione di parte civile, la
continuità, la frequenza, l'orario e i trasferimenti conseguenti all'assistenza prestata.
3. Si tiene altresì conto dei risultati del giudizio e dei vantaggi, anche civili e non patrimoniali,
conseguiti dal cliente.
4. Qualora l'avvocato difenda più persone con la stessa posizione processuale il compenso unico
può essere aumentato fino al doppio. Lo stesso parametro di liquidazione si applica, in caso di
costituzione di parte civile, quando l'avvocato difende una parte contro più parti.
5. Per l'assistenza d'ufficio a minori il compenso può essere diminuito fino alla metà.
6. Costituisce elemento di valutazione negativa in sede di liquidazione giudiziale del compenso
l'adozione di condotte dilatorie tali da ostacolare la definizione del procedimento in tempi
ragionevoli.
7. Si applica l'articolo 9, comma 1, secondo periodo.
-7-
Art.13
Parte civile
1. I parametri previsti per l’attività giudiziale penale operano anche nei riguardi della parte e del
responsabile civile costituiti in giudizio, ma per quanto non rientri nelle fasi penali, operano i
parametri previsti per l’attività giudiziale civile.
Art.14
Determinazione del compenso per l’attività giudiziale penale
1. I parametri specifici per la determinazione del compenso sono, di regola, quelli di cui alla tabella
B - Avvocati, allegata al presente decreto. Il giudice può sempre diminuire o aumentare
ulteriormente il compenso in considerazione delle circostanze concrete, ferma l'applicazione delle
regole e dei criteri generali di cui agli articoli 1 e 12.
2. Il compenso è liquidato per fasi.
3. Nella fase di studio sono compresi, a titolo di esempio: l'esame e lo studio degli atti, le ispezioni
dei luoghi, la ricerca dei documenti, le consultazioni con il cliente e la relazione o parere, scritti
ovvero orali, al cliente precedenti gli atti di fase introduttiva o che esauriscono l’attività.
4. Nella fase introduttiva sono compresi, a titolo di esempio: gli atti introduttivi quali esposti,
denunce, querele, istanze, richieste, dichiarazioni, opposizioni, ricorsi, impugnazioni, memorie.
5. Nella fase istruttoria sono compresi, a titolo di esempio: le richieste, gli scritti, le partecipazioni o
le assistenze, anche in udienza in camera di consiglio o pubblica, relative ad atti o attività istruttorie,
procedimentali o processuali anche preliminari, funzionali alla ricerca dei mezzi di prova, alle
investigazioni o alla formazione della prova, comprese le liste, le citazioni, e le relative
notificazioni ed esame di relata, dei testimoni, consulenti e indagati o imputati di reato connesso o
collegato. La fase si considera in particolare complessa quando le attività ovvero le richieste
istruttorie sono plurime e in plurime udienze, ovvero comportano la redazione scritti plurimi e
coinvolgenti plurime questioni anche incidentali.
6. Nella fase decisoria sono compresi, a titolo di esempio: le difese orali o scritte anche in replica,
l'assistenza alla discussione delle altre parti, in camera di consiglio o udienza pubblica.
7. Nella fase esecutiva sono comprese tutte le attività connesse all'esecuzione della pena o delle
misure cautelari.
8. Fermo quanto specificatamente disposto dalla tabella B - Avvocati, nei procedimenti cautelari
ovvero speciali anche quando in camera di consiglio, il compenso viene liquidato per analogia ai
parametri previsti per gli altri procedimenti, ferme le regole e i criteri generali di cui agli articoli 1 e
12.
9. Il compenso, ai sensi dell'articolo 1 comma 3, comprende ogni attività accessoria, quali, a titolo
di esempio, gli accessi agli uffici pubblici, le trasferte, la corrispondenza anche telefonica o
telematica o collegiale con il cliente, le attività connesse a oneri amministrativi o fiscali, le sessioni
per rapporti con colleghi, ausiliari, consulenti, investigatori, magistrati.
CAPO III
Disposizioni concernenti i dottori commercialisti ed esperti contabili
SEZIONE I
Disposizioni generali
Art.15
-8-
Tipologia di attività
1. Per l'applicazione delle disposizioni del presente capo sono individuate le seguenti attività svolte
dai dottori commercialisti ed esperti contabili:
a) amministrazione e custodia;
b) liquidazione di aziende;
c) valutazioni, perizie e pareri;
d) revisioni contabili;
e) tenuta della contabilità;
f) formazione del bilancio;
g) operazioni societarie;
h) consulenza contrattuale ed economico-finanziaria;
i) assistenza in procedure concorsuali;
l) assistenza, rappresentanza e consulenza tributaria;
m) sindaco di società.
2. Quando la prestazione professionale ha per oggetto attività diverse da quelle elencate al comma
1, per il professionista iscritto negli albi dei dottori commercialisti e degli esperti contabili il
compenso è determinato in analogia alle disposizioni del presente capo.
Art.16
Definizioni
1. Ai fini del presente decreto e per l'applicazione delle disposizioni del presente capo, si intendono
per:
a) «professionista iscritto negli albi dei dottori commercialisti e degli esperti contabili»: il dottore
commercialista, il ragioniere commercialista, l'esperto contabile iscritti all'albo;
b) «valore della pratica»: entità numerica espressa in euro che costituisce il parametro di base per la
liquidazione delle singole attività professionali;
c) «componenti positivi di reddito lordi», la sommatoria dei seguenti componenti reddituali
risultanti dal conto economico:
1) il valore della produzione, con esclusione delle variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di
lavorazione, semilavorati e finiti; delle variazioni dei lavori in corso su ordinazione, e degli
incrementi di immobilizzazioni per lavori interni;
2) il valore complessivo dei proventi finanziari;
3) tutte le rideterminazioni dei valori, quali rivalutazioni e ripristini, dell'attivo dello stato
patrimoniale imputate al conto economico;
4) il valore complessivo dei proventi straordinari;
d) «attività'»: il valore complessivo dell'attivo dello stato patrimoniale di cui all'articolo 2424 del
codice civile;
e) «passività'»: la somma dei valori delle voci B, C, D ed E della sezione "Passivo" dello schema di
cui all'articolo 2424 del codice civile;
f) «assistenza tributaria»: la predisposizione su richiesta e nell'interesse del cliente di atti e
documenti aventi rilevanza tributaria sulla base dei dati e delle analitiche informazioni trasmesse
dal cliente, che non richiedono particolare elaborazione;
g) «rappresentanza tributaria»: l'intervento personale, quale mandatario del cliente, presso gli uffici
tributari, presso le commissioni tributarie, e in qualunque altra sede anche in relazione a verifiche
fiscali;
-9-
h) «consulenza tributaria»: la consulenza, in qualsiasi materia tributaria, di carattere generale o
specifico, prestata, in particolare, per l'analisi della legislazione, dell'interpretazione e applicazione,
anche giurisprudenziale e dell'amministrazione finanziaria, di disposizioni, in sede di assistenza
tributaria e in sede di scelta dei comportamenti e delle difese in relazione all'imposizione fiscale,
anche in ambito contenzioso.
Art.17
Parametri generali
1. Il compenso del professionista è determinato con riferimento ai seguenti parametri generali:
a) valore e natura della pratica;
b) importanza, difficoltà, complessità della pratica;
c) condizioni d'urgenza per l'espletamento dell'incarico;
d) risultati e vantaggi, anche non economici, ottenuti dal cliente;
e) impegno profuso anche in termini di tempo impiegato;
f) pregio dell'opera prestata.
2. Il valore della pratica è determinato, in relazione alle singole attività svolte dal professionista,
secondo i criteri specificati nelle disposizioni della sezione seconda del presente capo.
3. Il compenso è di regola liquidato, salve ulteriori variazioni determinate dai parametri di cui al
comma 1, applicando al valore della pratica le percentuali variabili stabilite nella tabella C - Dottori
commercialisti ed esperti contabili allegata, nonché' utilizzando, di regola, gli ulteriori valori
monetari indicati nella stessa tabella.
Art.18
Maggiorazioni e riduzioni
1. Per le pratiche di eccezionale importanza, complessità o difficoltà, ovvero per le prestazioni
compiute in condizioni di particolare urgenza, al compenso del professionista può essere applicata
una maggiorazione fino al 100 per cento rispetto a quello altrimenti liquidabile.
2. Nel caso in cui la prestazione può essere eseguita in modo spedito e non implica la soluzione di
questioni rilevanti, al compenso del professionista può essere applicata una riduzione fino al 50 per
cento rispetto a quello altrimenti liquidabile.
SEZIONE II
Disposizioni e parametri specifici
Art.19
Amministrazione e custodia
1. Il valore della pratica per la liquidazione relativa a incarichi di amministrazione e custodia di
aziende è determinato dalla sommatoria dei componenti positivi di reddito lordo e delle attività, e il
compenso è liquidato, di regola, in misura pari a quanto indicato dal riquadro 1 della tabella CDottori commercialisti ed esperti contabili.
Art.20
Liquidazioni di aziende
1. Il valore della pratica per la liquidazione concernente incarichi di liquidatore ai sensi degli
articoli 1977, 2275, 2309 e 2487 del codice civile, ovvero di liquidatore giudiziale, è determinato
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dalla sommatoria sul totale dell'attivo realizzato e sul passivo accertato e il compenso è liquidato, di
regola, in misura pari a quanto indicato dal riquadro 2 della tabella C - Dottori commercialisti ed
esperti contabili.
Art.21
Valutazioni, perizie e pareri
1. Il valore della pratica per la liquidazione concernente perizie, pareri motivati, consulenze
tecniche di parte, valutazioni di singoli beni, di diritti, di aziende o rami d'azienda, di patrimoni, di
partecipazioni sociali non quotate e per la redazione delle relazioni di stima richieste da disposizioni
di legge o di regolamenti, è determinato in funzione del valore risultante dalla perizia o dalla
valutazione, e il compenso è liquidato, di regola, secondo quanto indicato dal riquadro 3 della
tabella C - Dottori commercialisti ed esperti contabili.
Art.22
Revisioni contabili
1. Il valore della pratica per la liquidazione relativa a incarichi di revisioni amministrative e
contabili, di ispezioni, nonché' per il riordino di contabilità, per l'accertamento dell’attendibilità dei
bilanci, previsti dalla legge o eseguiti su richiesta del cliente, dell’autorità giudiziaria o
amministrativa, anche ai fini della erogazione di contributi o finanziamenti pubblici, anche
comunitari, nonché' per l'accertamento della rendicontazione dell'impiego di risorse finanziarie
pubbliche, è determinato in funzione dei componenti positivi di reddito lordo e delle attività e il
compenso liquidato, di regola, secondo quanto indicato nel riquadro 4 della tabella C - Dottori
commercialisti ed esperti contabili.
Art.23
Tenuta della contabilità
1. Il valore della pratica per la liquidazione di incarichi di tenuta della contabilità ordinaria, è
determinato in funzione dei componenti positivi di reddito lordi, delle attività e delle passività
risultanti dal bilancio di fine esercizio, e il compenso è liquidato, di regola, secondo quanto indicato
dal riquadro 5.1 della tabella C - Dottori commercialisti ed esperti contabili.
2. Il valore della pratica per la liquidazione di incarichi di tenuta della contabilità semplificata, è
determinato in funzione dei componenti positivi di reddito lordi, e il compenso è liquidato, di
regola, secondo quanto indicato dal riquadro 5.2 della tabella C - Dottori commercialisti ed esperti
contabili.
Art.24
Formazione del bilancio
1. Il valore della pratica per la liquidazione relativa a incarichi per la formazione del bilancio, è
determinato in funzione dei componenti positivi di reddito lordi, delle attività e delle passività, e il
compenso è liquidato, di regola, secondo quanto stabilito dal riquadro 6 della tabella C - Dottori
commercialisti ed esperti contabili.
Art.25
Operazioni societarie
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1. Il valore della pratica di liquidazione di incarichi per la costituzione e per le successive variazioni
dello statuto sociale, incluse le trasformazioni, di qualunque tipo di società, ente o associazione, è
determinato in funzione del capitale sottoscritto ed è liquidato, di regola, secondo quanto indicato
dal riquadro 7.1della tabella C - Dottori commercialisti ed esperti contabili.
2. Il valore della pratica per la liquidazione di incarichi per le fusioni, scissioni e altre operazioni
straordinarie di qualunque tipo di società, ente o associazione, è determinato in funzione del totale
delle attività delle situazioni patrimoniali utilizzate per l’attività professionale svolta, e il compenso
è liquidato, di regola, secondo quanto indicato dal riquadro 7.2 della tabella C - Dottori
commercialisti ed esperti contabili.
Art.26
Consulenza e assistenza contrattuale e consulenza economico-finanziaria
1. Il valore della pratica per la liquidazione di incarichi di consulenza o assistenza nella stipulazione
di tutti i tipi di contratti, anche preliminari, atti, scritture private, è determinato in funzione del
corrispettivo pattuito al lordo delle eventuali passività accollate dal cessionario, e il compenso è
liquidato, di regola, secondo quanto indicato dal riquadro 8.1 della tabella C - Dottori
commercialisti ed esperti contabili.
2. Il valore della pratica per la liquidazione di incarichi riguardanti contratti di mutuo, di
finanziamento e contributi a fondo perduto, sono determinati in funzione del capitale mutuato o
erogato, e il compenso è liquidato, di regola, secondo quanto indicato dal riquadro 8.2 della tabella
C - Dottori commercialisti ed esperti contabili.
3. Il valore della pratica per la liquidazione di incarichi di consulenza economica e finanziaria è
determinato in funzione dei capitali o dei valori economico-finanziari oggetto della prestazione, e il
compenso è liquidato, di regola, secondo quanto indicato nel riquadro 8.2 della tabella C - Dottori
commercialisti ed esperti contabili.
Art.27
Assistenza in procedure concorsuali
1. Il valore della pratica per la liquidazione di incarichi di assistenza al debitore nel periodo
preconcorsuale e, altresì, nel corso di una procedura di concordato preventivo, accordo di
ristrutturazione di debiti e di amministrazione straordinaria, è determinato in funzione del totale
delle passività, e il compenso è liquidato, di regola, secondo quanto indicato dal riquadro 9 della
tabella C - Dottori commercialisti ed esperti contabili.
2. Le percentuali di liquidazione indicate in tabella per l'ipotesi del comma 1 sono ridotte fino alla
metà nel caso in cui le procedure si concludono con esito negativo.
Art.28
Assistenza, rappresentanza e consulenza tributaria
1. Il compenso per gli adempimenti dichiarativi e le prestazioni connesse è liquidato, di regola,
secondo quanto indicato nel riquadro 10.1 della tabella C - Dottori commercialisti ed esperti
contabili.
2. Il valore della pratica per la liquidazione di incarichi di predisposizione di ricorsi, appelli e
memorie alle commissioni tributarie e ad altri organi giurisdizionali, nonché' per la rappresentanza
tributaria, è determinato, per ogni grado di giudizio, in funzione dell'importo complessivo delle
imposte, tasse, contributi, sanzioni, interessi che sarebbero dovuti sulla base dell'atto impugnato o in
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contestazione oppure dei quali è richiesto il rimborso, e il compenso è liquidato, di regola, secondo
quanto indicato dal riquadro 10.2 della tabella C - Dottori commercialisti ed esperti contabili.
3. Il valore della pratica per la liquidazione di incarichi di consulenza tributaria è determinato in
funzione dell'importo complessivo delle imposte, tasse, contributi, sanzioni, interessi che sarebbero
dovuti sulla base dell'atto impugnato o in contestazione oppure dei quali è richiesto il rimborso, e il
compenso è liquidato, di regola, secondo quanto indicato dal riquadro 10.3 della tabella C - Dottori
commercialisti ed esperti contabili.
Art.29
Sindaco di società
1. Il valore della pratica per la liquidazione della funzione di sindaco di società che svolge i
controlli di legalità e sull'amministrazione della società è determinato in funzione della sommatoria
dei componenti positivi di reddito lordi e delle attività, e il compenso è liquidato, di regola, secondo
quanto indicato nel riquadro 11 della tabella C - Dottori commercialisti ed esperti contabili.
2. Quando la funzione di sindaco è svolta in società di semplice amministrazione di beni immobili
di proprietà, in società dedicate al solo godimento di beni patrimoniali, in società in liquidazione o
in procedura concorsuale, le percentuali di liquidazione stabilite in tabella per l'ipotesi del comma 1
sono ridotte fino alla metà.
3. Quando il professionista riveste la carica di sindaco unico le percentuali di liquidazione stabilite
in tabella per l'ipotesi del comma 1 sono aumentate fino al 100 per cento. Quando il professionista
riveste la carica di presidente del collegio sindacale le percentuali di liquidazione stabilite in tabella
per l'ipotesi del comma 1 sono aumentate fino al 50 per cento.
CAPO IV
Disposizioni concernenti i notai
Art.30
Tipologia di attività
1. Ai fini della liquidazione di cui all'articolo 1, l’attività notarile si distingue nelle seguenti
tipologie: atti relativi a beni immobili, atti relativi beni mobili, inclusi i beni mobili registrati, atti
societari, altri atti.
2. Le prestazioni di garanzia, reale e personale, sono considerate atti relativi a beni immobili o
mobili a seconda del bene cui accedono.
3. Gli atti societari sono quelli che attengono alla costituzione, trasformazione, modifica della
società.
4. Rientrano tra gli «altri atti» tutte le attività non riconducibili a una delle tipologie di atti indicate
al comma 1, e le attività di valore indeterminato o indeterminabile.
5. La autentica di firma, quando costituisce la sola prestazione richiesta, è compresa tra gli «altri
atti».
Art.31
Criteri
1. Per valore di riferimento si intende:
a) per gli atti relativi a beni immobili e a beni mobili: il valore del bene indicato nell'atto ovvero
desumibile dallo stesso, o, in mancanza, quello di mercato;
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b) per le prestazioni di garanzia reale o personale: l’entità del credito garantito;
c) per i contratti di affitto e di locazione: l'importo del canone pattuito per la durata del contratto
fino alla prima scadenza;
d) per gli atti societari: il valore dell'oggetto dell'atto come indicato dalle parti o desumibile dall'atto
o, in mancanza, quello di mercato; in ogni altro caso l'atto si considera di valore indeterminato.
Art.32
Parametro
1. Ai fini della liquidazione, l'organo giurisdizionale tiene conto, orientativamente, per ciascuna
categoria di atti, della percentuale riferita al valore medio dell'atto come indicata nelle allegate
tabelle A-Notai, B-Notai, C-Notai. Il compenso è liquidato, di regola, in una percentuale del valore
reale dell'atto compresa nella forbice indicata in tabella, con aumento ovvero diminuzione, rispetto
a quella riferita al valore medio, in misura inversamente proporzionale all'aumento o alla
diminuzione del valore stesso.
2. Se uno stesso atto ha per oggetto beni mobili e immobili, il valore medio di riferimento è quello
relativo ai beni immobili.
3. Per le prestazioni di garanzia il compenso è liquidato, di regola, in percentuale tra lo 0,14 per
cento e lo 0,025 per cento dell'ammontare del credito garantito fino all'importo di euro 400.000,00;
per importi superiori si applica il comma 7.
4. Il compenso può essere aumentato o ridotto, anche derogando alle forbici indicate nelle tabelle
allegate, in considerazione, oltre che del valore di riferimento dell'atto, della natura, difficoltà,
complessità, importanza delle questioni trattate, dell'eventuale urgenza della prestazione
professionale, dell'impegno profuso anche in termini di tempo impiegato, del pregio dell'opera
prestata, dei risultati e dei vantaggi, anche non economici, conseguiti dal cliente.
5. Per la determinazione del compenso complessivo possono essere utilizzate più tabelle e più voci
della medesima tabella.
6. Per la tipologia relativa agli «altri atti», tabella D-Notai, il compenso complessivo può essere
liquidato sommando i compensi relativi ai singoli atti.
7. Per gli atti il cui valore supera euro 5.000.000,00 per la tipologia della tabella A-Notai e C-Notai,
euro 4.500.000,00 per la tipologia della tabella B-Notai, l'organo giurisdizionale, tenuto conto dei
valori di liquidazione riferiti di regola allo scaglione precedente, liquida il compenso tenuto conto
del valore dell'atto, della natura, difficoltà, complessità, importanza delle questioni trattate,
dell'eventuale urgenza della prestazione professionale, dell'impegno profuso anche in termini di
tempo impiegato, del pregio dell'opera prestata, dei risultati e dei vantaggi, anche non economici,
conseguiti dal cliente. Il medesimo criterio si applica per gli atti il cui valore è inferiore a euro
25.000,00 per la tipologia della tabella A-Notai e C-Notai, euro 10.000 per la tipologia della tabella
B-Notai.
8. Per il rilascio di copie, estratti e certificati, per le letture, le ispezioni e per qualsiasi altra
operazione relativa agli atti notarili conservati presso il notaio, è, di regola, liquidato al notaio
quanto dovuto all'Archivio notarile.
CAPO V
Disposizioni concernenti le professioni dell'area tecnica
Art.33
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Ambito di applicazione
1. Il presente capo si applica alle professioni di agrotecnico e agrotecnico laureato, architetto,
pianificatore, paesaggista e conservatore, biologo, chimico, dottore agronomo e dottore forestale,
geometra e geometra laureato, geologo, ingegnere, perito agrario e perito agrario laureato, perito
industriale e perito industriale laureato, tecnologo alimentare.
Art.34
Parametri generali per la liquidazione del compenso
1. Il compenso per la prestazione dei professionisti di cui all'articolo 33 è stabilito tenendo conto dei
seguenti parametri:
a) il costo economico delle singole categorie componenti l'opera, definito parametro «V»;
b) il parametro base che si applica al costo economico delle singole categorie componenti l'opera,
definito parametro «P»;
c) la complessità della prestazione, definita parametro «G»;
d) la specificità della prestazione, definita parametro «Q».
Art.35
Costo economico dell'opera
1. Il costo economico dell'opera, parametro «V», è individuato tenendo conto del suo valore
determinato, di regola, con riferimento al mercato, tenendo anche conto dell'eventuale preventivo,
del consuntivo lordo nel caso di opere o lavori già eseguiti, ovvero, in mancanza, dei criteri
individuati dalla tavola Z-1 allegata.
2. Il parametro base «P» è determinato mediante l'espressione:
P=0,03+10/V 0,4
applicato al costo economico delle singole categorie componenti l'opera come individuato in base
alla tavola Z-1 allegata.
Art.36
Complessità della prestazione
1. La complessità della prestazione, parametro «G», è compresa, di regola, tra un livello minimo,
per la complessità ridotta, e un livello massimo, per la complessità elevata, secondo quanto indicato
nella tavola Z-1 allegata.
2. In considerazione, altresì, della natura dell'opera, pregio della prestazione, dei risultati e dei
vantaggi, anche non economici, conseguiti dal cliente, dell'eventuale urgenza della prestazione,
l'organo giurisdizionale può aumentare o diminuire il compenso di regola fino al 60 per cento
rispetto a quello altrimenti liquidabile.
Art.37
Specificazione delle prestazioni
1. Le prestazioni si articolano nelle seguenti fasi :
a) definizione delle premesse, consulenza e studio di fattibilità;
b) progettazione;
c) direzione esecutiva;
d) verifiche e collaudi.
2. Le prestazioni attengono alle seguenti categorie di opere, specificate nella tavola Z-1 allegata:
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a) edilizia;
b) strutture;
c) impianti;
d) viabilità;
e) idraulica;
f) tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ICT);
g) paesaggio, ambiente, naturalizzazione;
h) agricoltura e foreste, sicurezza alimentare;
i) territorio e urbanistica.
3. Ad ogni singola prestazione effettuata, corrisponde un valore specifico del parametro «Q»,
distinto in base alle singole categorie componenti l'opera come indicato nella tavola Z-2 allegata.
4. Il compenso per le prestazioni non comprese nelle fasi di cui al comma 1, e nelle categorie di cui
al comma 2, è liquidato per analogia.
Art.38
Consulenze, analisi ed accertamento
1. Il compenso per le prestazioni di consulenza, analisi ed accertamento, se non determinabile
analogicamente, è liquidato tenendo particolare conto dell'impegno del professionista e
dell'importanza della prestazione.
Art.39
Determinazione del compenso
1. Il compenso per la prestazione professionale «CP» è determinato, di regola, dal prodotto tra il
valore dell'opera «V», il parametro «G» corrispondente al grado di complessità delle prestazioni e
alle categorie dell'opera, il parametro «Q»
corrispondente alla prestazione o alla somma delle prestazioni eseguite, e il parametro «P», secondo
l'espressione che segue:
CP=V×G×Q×P
CAPO VI
Disposizioni concernenti le altre professioni
Art.40
Altre professioni
1. Il compenso relativo alle prestazioni riferibili alle altre professioni vigilate dal Ministero della
giustizia, non rientranti in quelle di cui ai capi che precedono, è liquidato dall'organo giurisdizionale
per analogia alle disposizioni del presente decreto, ferma restando la valutazione del valore e della
natura della prestazione, del numero e dell'importanza delle questioni trattate, del pregio dell'opera
prestata, dei risultati e dei vantaggi, anche non economici, conseguiti dal cliente, dell'eventuale
urgenza della prestazione.
CAPO VII
Disciplina transitoria ed entrata in vigore
Art.41
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Disposizione temporale
1. Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata
in vigore.
Art.42
Entrata in vigore
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti
normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo
osservare.
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Relazione illustrativa del D.M. 140/2012
Premessa
L’articolo art. 9, comma 1, del decreto‐legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla
legge 24 marzo 2012, n. 27, ha espressamente abrogato le tariffe professionali.
È stata quindi abbandonata una disciplina dei compensi professionali non direttamente rapportata al
mercato quanto, invece, alla predeterminazione amministrativa, aggiornabile, varata su proposta degli
stessi Ordini professionali di riferimento, sia pure poi approvata dal Ministro competente.
Il comma 2 dello stesso articolo appena menzionato stabilisce che «ferma restando l’abrogazione di cui al
comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è
determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante».
Si tratta peraltro di previsione che lascia intatta la specialità della disciplina dei compensi spettanti agli
ausiliari del giudice di cui al testo unico delle spese di giustizia di cui al D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Il Consiglio di Stato, nel suo parere, suggerisce di specificare che l’organo giurisdizionale applica le
disposizioni del presente decreto anche alle ipotesi di liquidazione d’ufficio «quando previsto dalla legge».
La specifica risulta superflua posto che la modalità d’impulso della liquidazione, se officiosa o su domanda,
non si riflette sull’ambito di applicazione oggettivo del regolamento, riferito appunto all’assenza di accordo
sul compenso (art. 9 citato, commi 2 e 4, in combinato disposto). Seppure l’organo giurisdizionale liquiderà
il compenso d’ufficio, sulla base di una disposizione normativa primaria, il decreto non potrà che applicarsi
(salva diversa disposizione di legge) se non quando manchi l’accordo sul compenso medesimo tra
professionista e soggetto tenuto al pagamento.
Del resto, che nella norma regolamentare sia inclusa l’ipotesi di liquidazione d’ufficio è già reso evidente
dalla sottolineatura che l’organo giurisdizionale applica il decreto quando «deve» liquidare il compenso.
Si è quindi chiarito che la mancanza di accordo si riferisce, come logico, al compenso.
Il comma 4 del citato art. 9 enuncia, inoltre, che «il compenso per le prestazioni professionali è pattuito,
nelle forme previste dall'ordinamento, al momento del conferimento dell'incarico professionale. Il
professionista deve rendere noto al cliente il grado di complessità dell'incarico, fornendo tutte le
informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla conclusione dell'incarico
e deve altresì indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell'esercizio dell'attività
professionale. In ogni caso la misura del compenso è previamente resa nota al cliente con un preventivo di
massima, deve essere adeguata all'importanza dell'opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni
tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi».
Ancora, il comma 5 indica che «sono abrogate le disposizioni vigenti che, per la determinazione del
compenso del professionista, rinviano alle tariffe di cui al comma 1».
Ne consegue che:
i) la regola è divenuta quella del mercato, ripristinandosi la centralità dell’accordo già enucleabile dall’art.
2233 c.c., in incipit del primo comma;
ii) in mancanza di accordo, e a seguito dell’abrogazione delle tariffe, la norma di legge speciale, e successiva
a quella codicistica appena ricordata: a) non menziona gli usi – concetto più ampio di quello di mercato – e
b) esclude implicitamente la necessità, per l’organo giurisdizionale che debba procedere alla liquidazione, di
sentire «l’associazione professionale» cui si riferisce l’art. 2233 c.c.;
iii) i punti di riferimento in sede giurisdizionale divengono quindi: importanza e complessità dell’opera e,
implementando la chiave sistematica dell’art. 9 rispetto all’ultimo inciso del secondo comma dell’art. 2233
c.c., il pregio della stessa, che riflette in termini giustificativi il razionale rilievo del decoro della professione.
Il presente decreto – a natura evidentemente regolamentare stanti i caratteri di generalità e astrattezza
delle previsioni che deve contenere – non può quindi riprendere la logica tariffaria della rigida
predeterminazione di griglie liquidatorie, ma, orientando in modo tendenzialmente omogeneo la funzione
giurisdizionale in relazione ai generali principi di ragionevolezza e unicuique suum tribuere, offra alla stessa
«parametri» e non più «tariffe».
Questa differenza impone un ruolo centrale alla valutazione latamente giudiziale del caso concreto, con
conseguenti rilevanti forbici di implementazione dei parametri numerici comunque ritenuti utili alla
suddetta funzione di orientamento, ed esclusione di ogni inderogabilità, minima e massima, delle soglie
individuate ai fini di un’applicazione cui «di regola», ma senza alcun vincolo, si guida l’organo giurisdizionale
stesso.
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La descritta impostazione risulta l’unica che rispetta non solo la differenza altrimenti vanificata tra
«parametro» e «tariffa», ma anche, e contestualmente, la manifesta valorizzazione dell’accordo, e cioè del
mercato, operata dalla novella del 2012, attesa la conseguente induzione all’accordo che, all’opposto, con
la rigidità delle tariffe, è stato strutturalmente disincentivato.
Le professioni interessate, poiché sottoposte all’alta vigilanza del Ministero della giustizia, sono state
suddivise nelle seguenti categorie: avvocati, commercialisti ed esperti contabili, notai, professioni dell’area
tecnica, altre professioni vigilate.
Al capo I sono state dettate alcune norme generali, la cui esplicazione può ora trovare base per una
migliore comprensione.
All’articolo 1 si enuncia dunque che in ogni caso in cui l’organo giurisdizionale – fuori dei vincoli derivanti da
un accordo – debba liquidare il compenso dei professionisti di cui ai capi successivi, esso si attiene alle
disposizioni del decreto, applicate anche per via di analogia interna. Quanto a quest’ultima ipotesi si può
pensare all’ipotesi dell’avvocato cui si debba liquidare il compenso, nei presupposti sopra descritti, per la
sua attività di revisore contabile, per cui l’organo giurisdizionale potrà utilizzare analogicamente i parametri
previsti per i revisori contabili, sistematicamente più contigui a quelli per la generica attività stragiudiziale
forense.
Aderendo al suggerimento del Consiglio di Stato si è soppresso, perché sovrabbondante, il doppio
riferimento all’analogia contenuto nel comma 1, primo periodo, dell’art. 1, ipotizzato – come indicato
nell’iniziale relazione illustrativa – per alludere alla possibilità di applicazione analogica delle norme
decretali anche in via “interna” al medesimo regolamento (si pensi a segmenti dell’attività professionale
non espressamente normati), e non solo, nella ricorrenza dei presupposti perché operi l’analogia, con
riferimento a fattispecie “esterne” al perimetro oggettivo normato (si pensi a nuove competenze, e quindi
attività, della singola professione, aggiunte da successiva normativa). Si condivide, però, l’assunto che la
conclusione può essere egualmente raggiunta senza duplicazione del riferimento all’analogia.
Nei compensi – che pure ricomprendono l’intero corrispettivo per la prestazione professionale, non escluse
le attività accessorie alla stessa – non sono incluse le spese da rimborsare secondo qualsiasi modalità,
anche quella concordata in modo forfettario (si pensi alla voce “spese forfettarie” propria di molte
precedenti tariffe). Non sono altresì compresi oneri e contributi dovuti a qualsiasi titolo. Logicamente, i
costi degli ausiliari incaricati dal professionista sono ricompresi tra le spese dello stesso.
Il Consiglio di Stato suggerisce di modificare l’art. 1 comma 2 nel senso di specificare che il compenso,
unitario e onnicomprensivo, comprende anche le spese, ferma restando la possibilità di indicarle in modo
distinto come componente del compenso stesso.
Nel parere si rinviene base normativa per questo assunto nell’art. 9, comma 4, del citato d.l. n. 1 del 2012,
come convertito, in cui, al penultimo periodo, si enuncia che il compenso va pattuito «indicando per le
singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi».
Non si condivide l’assunto e, pertanto, non è stata accolta l’osservazione. Nella norma in parola la locuzione
“spese” è utilizzata in senso lato all’evidente finalità di indurre a formulazioni chiare e compiute del
preventivo, e non per snaturare il concetto di compenso che, come tale, sul piano logico prima che
giuridico, è da sempre distinto da quelle.
L’art. 9 comma 4 menzionato, infatti, riguarda il ben diverso caso del compenso pattuito. Caso in cui,
logicamente, può ipotizzarsi e pretendersi che l’accordo si estenda al computo o meno delle spese,
tipicamente forfettarie, ovvero alle modalità di quel computo. Il precetto mira cioè a contenere al massimo
le asimmetrie informative ma, appunto, in una cornice negoziale e negoziata.
È evidente che quando invece l’accordo e, ancor prima, la negoziazione non vi siano stati, l’organo
giurisdizionale liquiderà le spese in base alle prove – e quindi, tipicamente, liquiderà quelle documentate –
non esistendo alcun parametro che le possa surrogare. Si pensi alle spese di trasferta che possono esservi o
meno, possono crescere, come costi, a seconda delle urgenze e distanze, e di cui l’organo giurisdizionale
non potrà che accogliere la domanda di liquidazione non già in base a non meglio precisati né precisabili, e
dunque arbitrari, parametri, ma solo ed esclusivamente, mancando la pattuizione che le riguardi, a fronte
di quello che effettivamente risulta, secondo i principi generali e primari che sovrintendono l’attività
giurisdizionale, qui naturalmente non derogabili.
Di quanto appena detto vi è anche un’inequivoca, anche se indiretta, conferma normativa: il concetto di
compenso cui l’art. 9 fa riferimento al comma 4 è, difatti, letteralmente comprensivo di tutte le voci di
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«costo» (del servizio professionale), quali gli «oneri e contributi», confermando che si ha riguardo a una
categoria solo latamente e quindi impropriamente qualificata “compenso” nel senso di corrispettivo.
L’art. 9 comma 4, cioè, menziona voci, come quelle appena menzionate, per cui neppure astrattamente
sarebbe ipotizzabile alcun parametro. E se, riguardo a quelle voci, si tratta di componenti del “costo”
discendenti e regolati da altre norme, nel caso delle spese di tratta di segmenti del “costo” che l’organo
giurisdizionale deve liquidare, parimenti in forza di altre norme di legge, in base alle risultanze, se non ne
risulti concordata l’imputazione in ragione del fatto che si tratta di componente disponibile del costo
medesimo.
Naturalmente ciò non toglie che l’assenza di prova del preventivo di massima di cui all’articolo 9, comma 4,
terzo periodo, comprensivo delle spese, non possa costituire elemento di valutazione negativa dell’organo
giurisdizionale per la liquidazione del compenso. In questo senso, accogliendo una specifica osservazione
del Consiglio di Stato, si è aggiunto un apposito comma all’art. 1, per l’ipotesi in cui, appunto, nel corso del
procedimento non sia emersa prova in merito all’assolvimento degli obblighi informativi di cui costituisce
sintesi il preventivo di massima.
Proseguendo nell’illustrazione dell’articolato, si stabilisce poi che nel caso di incarico collegiale il compenso
è unico ma l’organo giurisdizionale può aumentarlo fino al doppio. Va nuovamente rammentato, pure sul
punto, che la liquidazione cui si riferisce il decreto è conseguente non a una prestazione latamente imposta
come quella, ad esempio, di un consulente tecnico d’ufficio, ma fiduciaria, e in cui, però, le parti non hanno
previamente voluto accordarsi sul corrispettivo.
Si aggiunge che quando l’incarico professionale è conferito a una società tra professionisti, si applica il
compenso spettante a un solo di essi anche per la stessa prestazione eseguita da più soci.
Per le gli incarichi non conclusi, o prosecuzioni di precedenti incarichi, si tiene conto dell’opera
effettivamente svolta.
Infine una norma più ricognitiva che costitutiva che costituisce una fondamentale ricaduta del superamento
delle tariffe: in nessun caso, come già si anticipava, le soglie numeriche indicate per la liquidazione, di
regola, del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione
stessa.
Va qui rilevato che il Consiglio di Stato ha evidenziato che la scelta, espressamente qualificata come
legittima, effettuata dall’amministrazione di prevedere, quali parametri, anche forbici percentuali operanti
su valori medi di liquidazione, innescherebbe un rischio di riedizione surrettizia delle griglie tariffarie. Il
Consiglio ha pertanto proposto di eliminare qualsiasi riferimento in particolare alle diminuzioni minime,
anche se appare evidente che dovrebbe trarsi la medesima conclusione per il simmetrico tetto massimo.
Non si condivide l’osservazione, che, pertanto, non è stata accolta.
Messa da parte la pur rilevante considerazione che, così facendo, fattispecie come le liquidazioni dei
compensi forensi per le assistenze legali dei soggetti in gratuito patrocinio avrebbero più che probabili,
significative e attualmente insostenibili ricadute negative per la finanza pubblica (venendo meno il
parametro minimo di riferimento, sia pure derogabile), va rimarcato con forza che privando l’organo
giurisdizionale di forbici di oscillazione dei valori medi di liquidazione, si innescherebbe un altro e ben più
consistente rischio: quello di appiattire le liquidazioni giudiziali sul valore medio di liquidazione, rimasto
unico e del tutto anelastico parametro certo di riferimento. Il tutto, per un verso, con l’alto rischio di
pregiudizio dell’unicuique suum tribuere, per altro verso, con l’alto rischio di deviazioni disomogenee nelle
liquidazioni giudiziali, che non potrebbero considerarsi un obiettivo da perseguire, e, per altro verso ancora,
con serio rischio di conseguente incremento del contenzioso.
La soppressione delle forbici anche solo orientative, cioè, non potrebbe che avere come effetto quello di
irrigidire il valore medio di liquidazione, privandolo dei dati che ne segnano il significato ponderale, nella
logica della liquidazione per fasi di attività, del compenso professionale. Si avrebbe così la più che alta
probabilità di offrire allo stesso mercato un segnale marcatamente rigido, laddove la logica dei parametri,
rapportata al superamento delle tariffe in chiave di liberalizzazioni e promozione della concorrenza, si
ritiene debba fare proprio dell’elasticità un dato distintivo volto a indurre al puntuale accordo sul
compenso (e le spese) il professionista e il cliente che fruisce del suo servizio.
Il tutto si inscrive, del resto, come sembra opportuno tornare a sottolineare, in una logica, esplicitata
normativamente, di piena derogabilità delle forbici stesse, costituenti mera “fascia di orientamento” per
l’organo giurisdizionale.
- 21 -
Avvocati
Generalità
Traendo qualche spunto dalla riforma tedesca del 2004, Rechtsanwaltsvergütungsgesetz, RVG, che ha
sostituito la legge federale sulla retribuzione degli avvocati (Bundesrechtsanwaltsgebührenordnung,
BRAGO) del 1957, il Consiglio Nazionale Forense, nel settembre del 2010, all’esito di un proficuo confronto
con il Ministero della giustizia, aveva formulato una proposta innovativa e già strutturata nel senso poi
valorizzato dalla modifica legislativa cui con il presente regolamento viene data più specifica attuazione.
Si era proposto infatti di semplificare la tariffa forense accorpando le voci di onorari, diritti, indennità,
fondendole in funzione di una suddivisione in fasi dei procedimenti giudiziali (cfr. § 19 RVG), anche per
contenere possibili incentivazioni delle lungaggini processuali, e invece favorire un’attenzione al
contenimento dei tempi a sua volta correlato al comune valore costituzionale della ragionevole durata dei
procedimenti.
La proposta indicava 4 fasi e una macrovoce complementare: fase di studio della controversia, fase
introduttiva del procedimento o del processo, fase istruttoria a sua volta articolata in semplice e complessa,
fase decisionale, compenso accessorio inteso, quest’ultimo, con sostanziale riferimento alle sessioni di
lavoro collaterali residue rispetto a quelle fatte rientrare nelle fasi vere e proprie.
L’impianto è stato utilmente ripreso per razionalizzare i parametri di riferimento, di cui, come anticipato,
non si è inteso dare declinazione solo per clausole generali, articolando 5 fasi: di studio, introduttiva del
procedimento o del processo, istruttoria, decisoria, esecutiva, così da ricomprendere anche quest’ultima
quale completamento per la realizzazione del bene della vita perseguito nel settore civile, amministrativo,
comprensivo del contenzioso contabile, e tributario, e quale segmento terminale nel penale. Ferma la
diversa regolazione dei parametri per l’attività stragiudiziale, di cui si darà conto più sotto.
La stessa proposta del CNF, del settembre 2010, aveva quindi indicato l’opportunità di aggiornare i valori
della precedente tariffa di cui al decreto del Ministro della giustizia 8 aprile 2004 n. 127, secondo gli indici
ISTAT riferibili alle professioni liberali, del 24,1%.
Nel presente decreto, ferma restando la radicale soluzione di continuità che la norma di legge fondante ha
determinato con il precedente sistema tariffario, si è analogamente inteso prendere le mosse dalla
precedente tariffa non nel senso, altrimenti in frizione con la norma primaria, di aggiornarla o rimodularla o
mutarne le vesti, ma quale orientamento razionale rispetto all’attività forense e, al contempo, quale
momento di raccordo tra il precedente sistema e quello nuovo nella lata chiave degli usi sinora invalsi.
È necessario sottolineare, dunque, che non si sarebbe potuto in alcun modo riversare la precedente tariffa,
aggiornata, nel nuovo sistema dei parametri. I rifermenti alla precedente tariffa sono quindi stati solamente
e ragionevolmente orientativi.
Il decreto si propone, anche per gli avvocati, infatti, di stabilire dei parametri generali (quali sono ad
esempio la complessità, l’importanza, il pregio o l’urgenza dell’opera), e dei parametri specifici, numerici e
rapportati all’attività forense davanti ai vari organi giurisdizionali e in funzione del vario valore della causa,
in interrelazione tra loro.
Per un verso i parametri numerici – che, come anticipato, lasciano marcato spazio all’attività di concreta
determinazione giudiziale, con pochi scaglioni e larghe forbici – orientano i parametri generali traducendosi
in segnalazione del grado di complessità della prestazione, e, non trattandosi di tariffari, sono aggiornabili
giudizialmente nel tempo, tipicamente secondo gli indici ISTAT rilevanti. Per altro verso i parametri
generali, che segnano il connotato specifico della liquidazione non tariffaria, possono sempre e
motivatamente prevalere sul risultato della determinazione per parametro numerico, appunto non
vincolante.
Si è pertanto proceduto innanzi tutto ad aggiornare la precedente tariffa del 2004 – quale mero termine di
riferimento nei sensi sopra illustrati – tenendo conto degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per l’intera
collettività, e, in specie, della componente Professioni liberali, con un aumento del 24,1%. Sul punto va
specificato che la bozza di proposta del CNF del settembre 2010 sottolineava che il dato, ottenuto e
confermato dal Centro elaborazione dati dell’ISTAT (le serie storiche sono comunque reperibili sul sito
ufficiale www.istat.it), è riferibile, per la componente Professioni liberali, al periodo aprile 2004‐aprile
2009. Tenuto conto, però, che la generale variazione dei prezzi al consumo è stata tra il 2004 e il 2010 (per
anno successivo) dell’11,4%, (serie storiche, tavola 21.8, con una media dell’1,9%) è sembrato ragionevole
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non incrementare ulteriormente l’aggiornamento raggiungendo e superando la soglia di ¼ dei precedenti
valori.
L’incremento di riferimento 2004‐2012 è stato quindi del 3% all’anno di media.
All’esito della rivalutazione sono stati utilizzati i medesimi arrotondamenti previsti dal D.M. n. 127 del 2004,
come indicati nella relativa relazione accompagnatoria.
Si è poi proceduto a individuare gli onorari e diritti di riferimento per ogni fase.
Si è infine adattato il risultato:
a) con criterio di ragionevolezza, che impone di considerare il problema dell’aumento dei costi legali anche
sotto l’aspetto dell’incidenza degli stessi sul reddito medio reale degli utenti, e dunque pure in rapporto al
valore, e cioè al costo di acquisto, dei beni della vita contesi, così da evitare che, in frizione con i principi
costituzionali, «il ricorso alla giustizia possa diventare privilegio per pochi» (parere interlocutorio del
Consiglio di Stato, 27 ottobre 2003, n. sez. 4061/2003, con riferimento al procedimento per l’approvazione
della precedente tariffa del 2004);
b) con criterio di proporzionalità, che si traduce non solo nel rispetto del criterio di adeguatezza del
compenso professionale rispetto all’opera svolta, ma che impone anche, e proprio per ciò, la
considerazione di un adeguato rapporto di regola sussistente tra le controversie di dato valore e tra i
relativi procedimenti davanti ai diversi organi di giustizia dei singoli gradi o nei gradi (latamente) superiori.
Un’altra importante precisazione di metodo: con l’abrogazione delle tariffe risulta definitivamente superata
la distinzione tra onorari e diritti, oltre che indennità. Questo è un necessario precipitato sia in termini di
rottura con il sistema tariffario sia in termini sistematici.
Infatti:
i) il «compenso» evoca chiaramente un concetto unitario;
ii) come conferma anche la disciplina del preventivo (art. 9 comma 4, cit.), lo scopo della riforma è rendere
massimamente intellegibile la focalizzazione del corrispettivo dovuto, e dunque semplice, nella massima
misura possibile, la sua struttura, superando perciò parcellizzazioni e duplicazioni anche parziali;
iii) non si giustificherebbe, quindi, una duplicità o una differenza di parametri, cui invece la legge assegna
un’univoca funzione unitaria, oltre che residuale rispetto all’accordo.
Ciò posto, non resta che prendere a riferimento principale, per il parametro, il precedente onorario perché:
a) unitariamente riferito all’opera prestata (tanto che, a differenza con i diritti, secondo il tradizionale
orientamento della Suprema Corte, andava liquidato «con la tariffa in vigore al momento in cui l'opera è
portata a termine e, conseguentemente, nel caso di successione di tariffe, [con] quella sotto la cui vigenza
la prestazione o l'attività difensiva si è esaurita»: Cass. n. 8160 del 2001);
b) parametricamente declinato rispetto agli stessi valori di controversia, e non fisso come per il “diritto”.
Ciò non toglie che, nella individuazione dei parametri numerici di orientamento per fasi, si è tenuto conto
anche dei valori di costo riferiti ai precedenti diritti, in quanto relativi, in via integrativa, alla componente
“attuativa” piuttosto che propriamente “valutativa” dell’attività professionale. Senza, però, obliterare che:
‐ non poteva in alcun modo rivivere sotto altre formali spoglie la duplicità in esame (si pensi all’onorario per
la redazione e non solo per la preparazione di un atto introduttivo della lite davanti al giudice: voce 15 della
tabella A delle tariffe, e corrispondente diritto, voce n. 3 della tabella B), e
‐ la suddivisione in fasi, correlata alla parametrazione in funzione di un compenso unitario, supera l’idea di
un “diritto” distinto per ogni frazione di attività anche quando, ad esempio, consista nella partecipazione a
un’udienza di mero rinvio (voce 19 della tabella B della tariffa: v. Cass. n. 920 del 1994).
L’unicità del compenso mira dunque a dare spessore alla semplificazione insita nell’abrogazione delle
tariffe. Questa semplificazione costituisce a sua volta un utile supporto alla riduzione delle asimmetrie
informative che possono essere implicate non solo da fisiologiche lacune di trasparenza del mercato, ma
anche da un eccesso d’informazioni incidenti sullo stesso, dovute alla frammentazione e parcellizzazione
delle componenti delle informazioni stesse, come poteva ragionevolmente dirsi delle più che complesse e
non facilmente intellegibili tariffe precedenti.
Il Consiglio di Stato ha suggerito, nel merito, di diminuire il quantum assunto come base per congegnare il
valore medio di liquidazione, e, pertanto, di ridurre gli importi individuati come parametri. Ha osservato
che, come da propria giurisprudenza (Cons. di Stato, parere 2 luglio 2010 n. 3229, riguardante le tariffe dei
dottori commercialisti ed esperti contabili), l’adeguamento ISTAT «non necessariamente» deve essere
operato per intero, soprattutto «in un momento in cui gran parte del Paese è stata chiamata a sostenere
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sacrifici per far fronte alla contingenza economica». Considerazioni ancora più valide oggi – si aggiunge –
che la «crisi finanziaria» risulta aggravata. E ancora più valide – si afferma – con il passaggio dalle tariffe ai
parametri.
Naturalmente il Consiglio propone di estendere il contenimento ovvero la riduzione ai valori medi di
liquidazione propri delle altre professioni.
Non si è ritenuto di accogliere il suggerimento per i seguenti motivi. Il tema è affrontato riguardo ai
compensi forensi perché sono quelli che soffrivano di un mancato adeguamento ISTAT delle tariffe
realmente significativo in relazione al lungo tempo trascorso, come rilevato, dall’ultimo aggiornamento. E
questo è stato per l’amministrazione un ulteriore motivo per aggiornare i valori tariffari forensi al fine di
contribuire a individuare ragionevolmente i parametri numerici dati dal valore medio di liquidazione,
seppure strutturalmente diversi, e, in particolare, come visto, con un’elasticità e variabilità del tutto
estranee alla logica degli importi tariffari.
Sul punto va poi considerato che della congiuntura economica soffre anche il mondo lavorativo delle libere
professioni.
Ciò posto, deve preliminarmente rilevarsi che l’adeguamento ISTAT in parola, assunto, secondo quanto
appena illustrato e che qui va ribadito, solo quale piattaforma di riferimento iniziale:
a) non è stato operato per intero, posto che, come rilevabile già da quanto prima specificato, l’indice ISTAT
(componente professioni liberali) aprile 2009‐aprile 2012 è del 29,3% (contro il 24,1% applicato) con una
differenza di oltre il 5% (cfr., sempre, in www.istat.it );
b) è stato contenuto, come pure già illustrato, proprio in funzione dei criteri di ragionevolezza e
proporzionalità sopra spiegati, in ragione della tutela dei valori, storicamente contestualizzati sul piano
economico, inerenti all’accesso alla giustizia;
c) è stato contenuto (anche in questo caso si tratta di un tema già affrontato nella iniziale relazione) dalla
fusione tra diritti, onorari e indennità, sia pure parzialmente bilanciata dalla considerazione che questa
fusione ha avuto nella determinazione del valore medio di liquidazione (su cui vedi infra);
d) è stato poi ulteriormente contenuto dall’assorbimento della voce, propria delle precedenti tariffe, data
dalle spese forfettarie (mentre si è visto che ora le spese saranno liquidate giudizialmente, in difetto di
accordo, solo in quanto attestate).
Da ultimo si deve notare come nella determinazione degli importi si è mirato a contenere l’attuale rapporto
medio ponderale tra costi legali concretamente sostenuti e valore del bene oggetto della lite giudiziaria,
rilevato secondo gli indici doing business della Banca mondiale (v. infra).
Tipologia di attività. Attività stragiudiziale. Tipologie di controversia e procedimento
Le prestazioni professionali forensi sono state distinte in attività stragiudiziale e attività giudiziale. Le
attività giudiziali sono state a loro volta distinte in attività penale; e attività civile, amministrativa,
comprensiva come si diceva del contenzioso contabile, e tributaria.
L’attività stragiudiziale si prevede sia liquidata tenendo conto del valore e della natura dell’affare, del
numero e dell’importanza delle questioni trattate, del pregio dell’opera prestata, dei risultati e dei
vantaggi, anche non economici, conseguiti dal cliente, dell’eventuale urgenza della prestazione. Si tiene
altresì conto delle ore complessive impiegate per la prestazione, valutate anche secondo il valore di
mercato attribuito alle stesse.
Non si è previsto alcun parametro a vacazione, eccessivamente rigido (anche quando meramente
orientativo) rispetto alla complessa varietà dell’attività
stragiudiziale, strettamente connessa alle dinamiche di mercato.
Si stabilisce che quando l’affare si conclude con una conciliazione, il compenso è aumentato (sempre senza
vincoli insuperabili, e cioè di regola) sino al 40 per cento rispetto a quello liquidabile in base ai parametri
altrimenti rilevanti per l’attività stragiudiziale. Viene cioè valorizzata la componente non conflittuale
dell’attività forense, di supporto a una giurisdizione intesa quale extrema ratio, rispetto a quella
amichevole, per la soluzione delle controversie, in attuazione del principio costituzionale di proporzionalità
nell’uso della risorsa giudiziaria a sua volta direttamente connesso con quello del giusto processo e della
ragionevole durata collettiva della complessiva dinamica giudiziaria.
Attività giudiziale civile, amministrativa e tributaria
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Quanto all’attività giudiziale dell’area civile, ferma la distinzione in fasi, nella liquidazione il giudice deve
tenere conto del valore e della natura e complessità della controversia, del numero e dell’importanza e
complessità delle questioni trattate, con valutazione complessiva e quindi tendenzialmente unitaria anche
a seguito di riunione delle cause, dell’eventuale urgenza della prestazione. Si tiene altresì conto del pregio
dell’opera prestata e dei risultati del giudizio e dei vantaggi, anche non patrimoniali, conseguiti dal cliente.
Qualora l’avvocato difenda più persone con la stessa posizione processuale il compenso unico può essere
aumentato fino al doppio. Lo stesso parametro di liquidazione si applica quando l’avvocato difende una
parte contro più parti. Nei casi di azione di classe, attesa la tipica complessità della controversia, si stabilisce
la possibilità di aumento del compenso liquidato fino al triplo.
Quando il procedimento si conclude con una conciliazione il compenso è (analogamente a quanto sopra)
aumentato fino al 25 per cento rispetto, logicamente, a quello ordinariamente liquidabile. Si conferma la
valorizzazione dell’attività forense diretta alla conciliazione nella stessa prospettiva sopra illustrata quanto
all’attività stragiudiziale.
Accogliendo un’osservazione del Consiglio di Stato, pienamente coerente con le implicazioni sistematiche
appena descritte, si è previsto che debba costituire elemento di valutazione negativa, in sede di
liquidazione giudiziale del compenso, l’adozione di condotte processuali abusive tali da ostacolare la
definizione dei procedimenti in tempi ragionevoli.
L’art. 5 stabilisce i criteri di valutazione del valore della controversia ai fini della parametrazione,
riprendendo quelli, consolidati, della precedente tariffa.
Ai fini della liquidazione del compenso, il valore della controversia è determinato a norma del codice di
procedura civile avendo riguardo, nei giudizi per azioni surrogatorie e revocatorie, all’entità economica
della ragione di credito alla cui tutela l’azione è diretta, nei giudizi di divisione, alla quota o ai supplementi
di quota in contestazione, e nei giudizi per pagamento di somme, anche a titolo di danno, alla somma
attribuita alla parte vincitrice e non alla somma domandata.
In ogni caso si ha riguardo al valore effettivo della controversia, anche in relazione agli interessi perseguiti
dalle parti, quando risulti manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura
civile o alla legislazione speciale.
Nelle cause davanti agli organi di giustizia amministrativa, latamente compresi quelli di giustizia contabile
(in linea con le concettualizzazioni della precedente tariffa), il valore della causa è determinato allo stesso
modo quando l’oggetto della controversia o la natura del rapporto sostanziale dedotto in giudizio o
comunque correlato al provvedimento impugnato ne consentono l’applicazione. Quando ciò non è
possibile, va tenuto conto dell’interesse sostanziale tutelato.
Per le controversie di valore indeterminato o indeterminabile, per un verso si prevede, nella tabella
allegata, un allineamento allo scaglione generale di riferimento (25.001‐50.000 euro), con ampia forbice di
variazione (da +150% a ‐50% del valore medio di liquidazione di cui si dirà più sotto), per altro verso si tiene
«particolare» conto dell’oggetto e della complessità della stessa controversia.
L’art. 6 specifica che per i procedimenti davanti agli arbitri, nel caso di arbitrato rituale, è dovuto il
compenso stabilito per le controversie davanti ai giudici competenti a conoscere sulle stesse. In ogni altro
caso di arbitrato o fattispecie analoga quali gli arbitraggi, per la liquidazione del compensi si applicano i
parametri previsti per l’attività stragiudiziale, sintetizzando, questi casi, ipotesi di mandato a transigere.
L’art. 7, poi, indica che, fermo quanto specificatamente disposto dalla tabella A – Avvocati, nei
procedimenti cautelari ovvero speciali ovvero non contenziosi anche quando in camera di consiglio o
davanti al giudice tutelare, il compenso viene liquidato per analogia ai parametri previsti per i procedimenti
diversi, ferme le regole e i criteri generali (artt. 1 e 4).
L’art. 8, riprendendo la precedente tariffa, stabilisce che nelle controversie di lavoro il cui valore non supera
1.000 euro, il compenso è ridotto di regola fino alla metà. Si tratta di un parametro orientativo volto ad
assicurare il principio costituzionale di accesso alla giustizia per la tutela di posizioni fondamentali e a forte
connotazione personalistica, usualmente connesse a situazioni di disparità di forze tra le parti coinvolte,
come tali considerate sotto vari profili, processuali e sostanziali, dall’ordinamento.
Per la particolare semplicità seriale, a sua volta connessa a oneri della finanza pubblica, si è stabilito (art. 9),
che il compenso può essere ridotto fino alla metà nelle controversie per l’ottenimento dell’indennizzo da
irragionevole durata del processo (legge n. 89 del 2001).
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Per i compensi relativi alle prestazioni svolte in favore di soggetti ammessi al gratuito patrocinio, e per
quelle a esse equiparate dal testo unico delle spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 30 maggio 2002 n. 115 (si pensi alle previsioni di cui agli artt. 115, 116, 117 e 118 del testo unico
in parola), anch’essi connessi a rilevanti ricadute erariali, si prevede che si tenga specifico conto
dell'incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa. Questa menzione è
attualmente contenuta nell’art. 82 del D.P.R. n. 115 del 2002 che, però, prevede riferimenti non più fruibili
alle tariffe.
Restano ferme le altre riduzioni previste dal testo unico spese di giustizia quale quella di cui all’articolo 130
di tale testo normativo, che qui si estendono per omogeneità di parametro anche al settore penale.
Si specifica che sebbene nell’individuazione dei parametri numerici per i compensi si sia partiti da un
aggiornamento della tariffa forense del 2004, specie la già evidenziata fusione delle voci di onorario con
quelle dei diritti, e la previsione della riduzione del 50% del valore medio di liquidazione dei compensi
anche in materia penale, determina in ogni caso l’assenza di riflessi negativi sulla finanza pubblica, come
confermato dalla relazione tecnica della Direzione generale del Bilancio del Ministero della giustizia.
L’art. 10 indica che nel caso di responsabilità processuale ai sensi dell’art. 96 del codice di procedura civile,
ovvero, comunque, nei casi d’inammissibilità o improponibilità o improcedibilità della domanda, il
compenso dovuto all’avvocato del soccombente è ridotto, di regola, del 50 per cento. La ragione è
chiaramente relativa all’esercizio professionalmente inappropriato dei diritti processuali. Quanto alle
pronunce in rito, seppure risulta rispondente al vero che non necessariamente potrebbero essere
conseguenza delle premesse professionali appena richiamate, va detto che l’ormai consolidato diritto
vivente esclude possano andare a danno della parte i mutamenti giurisprudenziali, posto che in ipotesi di
overruling in senso proprio, e cioè processuale, la parte viene rimessa in termini (Cass., S.U., n. 15144 del
2011, Cass., n. 3042 del 2012).
‐ Fasi e parametri. Metodo
L’art. 11 indica i criteri di determinazione del compenso per l’attività giudiziale civile, amministrativa e
tributaria, in relazione alle fasi.
Si ribadisce che i parametri specifici per la determinazione del compenso sono solo di regola quelli di cui
alla tabella A – Avvocati. Il giudice può sempre diminuire o aumentare ulteriormente il compenso in
considerazione delle circostanze concrete, ferma l’applicazione delle regole e dei criteri generali di cui agli
articoli 1 e 4.
Si specifica che nella fase di studio della controversia sono compresi, solo a titolo di esempio: l’esame e lo
studio degli atti a seguito della consultazione con il cliente, le ispezioni dei luoghi, la ricerca dei documenti e
la conseguente relazione o parere, scritti oppure orali, al cliente, precedenti la costituzione in giudizio.
Nella fase introduttiva del giudizio sono compresi, sempre a titolo di esempio: gli atti introduttivi del
giudizio e di costituzione in giudizio e il relativo esame inclusivo di quello degli allegati, quali ricorsi,
controricorsi, citazioni, comparse, chiamate di terzo, memorie, istanze, impugnazioni, le relative
notificazioni, l’esame delle corrispondenti relate, l’iscrizione a ruolo, il versamento del contributo unificato,
le rinnovazioni o riassunzioni della domanda, le autentiche di firma o l’esame della procura notarile, la
formazione del fascicolo e della posizione della pratica in studio, le ulteriori consultazioni con il cliente.
Nella fase istruttoria sono compresi, ancora a titolo di esempio: le richieste di prova o controprova, le
memorie di precisazione o integrazione delle domande o dei motivi d’impugnazione, eccezioni e
conclusioni, ovvero meramente illustrative, l’esame degli scritti o documenti delle altre parti o dei
provvedimenti giudiziali pronunciati nel corso o in funzione del giudizio, gli adempimenti o le prestazioni
connesse ai suddetti provvedimenti giudiziali, le partecipazioni e assistenze relative ad attività istruttorie o
altri atti anche connessi nel corso del giudizio, gli atti necessari per la formazione della prova o del mezzo
istruttorio anche quando disposto d’ufficio, la designazione di consulenti di parte, l’esame delle
corrispondenti designazioni delle altre parti, l’esame delle deduzioni dei consulenti d’ufficio o delle altre
parti, la notificazione delle domande nuove o di altri atti nel corso del giudizio compresi quelli al contumace
inerenti a mezzi di prova, le relative richieste di copie al cancelliere, le istanze al giudice in qualsiasi forma,
le dichiarazioni rese nei casi previsti dalla legge, le deduzioni a verbale, le intimazioni dei testimoni,
comprese le notificazioni e l’esame delle relative relate, gli atti comunque incidentali comprese le querele
di falso e quelli inerenti alla verificazione delle scritture private. Al fine di valutare il grado di complessità
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della fase rileveranno, in particolare, le plurime memorie per parte, necessarie o autorizzate dal giudice,
comunque denominate purché non meramente illustrative, ovvero le plurime richieste istruttorie ammesse
per ciascuna parte e le plurime prove assunte per ciascuna parte. Logicamente, fase rileva ai fini della
liquidazione del compenso quando effettivamente svolta, secondo quanto più sotto si dirà in aggiunta.
Nella fase decisoria sono compresi, fermo il carattere non tassativo dell’elencazione: le precisazioni delle
conclusioni e l’esame di quelle delle altre parti, le memorie, illustrative o conclusionali anche in replica,
compreso il loro deposito ed esame, la discussione orale, sia in camera di consiglio che in udienza pubblica,
le note illustrative accessorie a quest’ultima, la redazione e il deposito delle note spese, l’esame e la
registrazione o pubblicazione del provvedimento conclusivo del giudizio, comprese le richieste di copie al
cancelliere, il ritiro del fascicolo, l’iscrizione di ipoteca giudiziale, quale precipitato del titolo decisorio
ottenuto.
Nella fase esecutiva, fermo quanto previsto nella richiamata tabella A – Avvocati, per l’atto di precetto
formalmente estraneo all’esecuzione in senso proprio, sono ricompresi, a titolo di esempio: la disamina del
titolo esecutivo, la notificazione dello stesso unitamente al precetto, l’esame delle relative relate, il
pignoramento e l’esame del relativo verbale, le iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, gli atti d’intervento, le
ispezioni ipotecarie, catastali, l’esame dei relativi atti, le assistenze all’udienza o agli atti esecutivi di
qualsiasi tipo.
Riprendendo l’articolo 1 comma 3, si ribadisce che il compenso comprende ogni attività accessoria, quali, a
titolo di esempio, gli accessi agli uffici pubblici, le trasferte, la corrispondenza anche telefonica o telematica
o collegiale con il cliente, le attività connesse a oneri amministrativi o fiscali, le sessioni per rapporti con
colleghi, ausiliari, consulenti, magistrati.
Va premesso che – come si tornerà a sottolineare – il comma 9 dell’art. 11 stabilisce che, ferma la
suddivisione in fasi, per le controversie il cui valore supera euro 1.500.000,00 il giudice, tenuto conto dei
valori di liquidazione riferiti di regola allo scaglione precedente, liquida il compenso tenuto conto natura del
procedimento, del numero e dell’importanza delle questioni trattate, del pregio dell’opera prestata, dei
risultati e dei vantaggi, anche non economici, conseguiti dal cliente, dell’eventuale urgenza della
prestazione. I parametri appena indicati si applicano anche ai procedimenti per ingiunzione oltre tale
valore.
L’articolo chiude enunciando che per le procedure concorsuali si applicano per analogia i parametri previsti
per la fase esecutiva riferita ai beni immobili.
Nella ricostruzione delle fasi si è tenuto conto di tutto quanto emergente dalla bozza CNF del settembre
2010 e dai lavori del correlativo gruppo di studio.
Queste indicazioni sono poi quelle seguite per elaborare i parametri numerici di riferimento.
Il dettaglio del procedimento seguito è il seguente.
Si è assunto a riferimento, su cui tarare gli parametri numerici (per valore, grado e organo di giudizio), lo
scaglione 25.001‐50.000 euro, nei procedimenti davanti al tribunale di primo grado e agli organi equiparati
della giustizia tributaria. Questo scaglione ha avuto quale termine di riferimento, per la precedente tariffa,
lo scaglione, pressoché sovrapponibile, ma lievemente diverso, 25.900,01‐51.700,00.
Prima fase: studio.
Nella bozza CNF settembre 2010 già si segnalava che per la fase di studio può aversi a tipico riferimento,
della precedente tariffa, le voci di onorario (tabella A precedente tariffa) studio (n. 12), consultazione (n.
13) e ispezione e ricerca di luoghi e documenti (n. 14). Gli importi degli onorari, incrementati come sopra si
è detto, sono stati sommati nel loro valore medio (somma di minimi e massimi, divisione per due), per un
totale di circa 1.148. La proposta CNF settembre 2010 segnalava, quale diritto (tabella B precedente tariffa),
riferibile a tale fase, solo quello della disamina (n. 2), ma certamente possono imputarsi altre voci di
“diritto” quali consultazioni e corrispondenza con il cliente (nn. 21 e 22).
Il valore medio di liquidazione, seguendo i criteri metodologici sopra richiamati (esclusione di duplicità di
voci, ragionevolezza dei costi), è stato così determinato in euro 1.200.
Questo, dunque, il valore medio di liquidazione, su cui orientativamente operare le concrete
determinazioni che sono esplicazione dei parametri generali. Il valore medio di riferimento è logicamente
riferibile a tutta l’area valoriale della controversia e non solo alla sua linea media (37.500 euro). Il valore
della controversia, d’altra parte, refluirà sulla concreta determinazione della liquidazione, quale parametro
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generale – e quindi unitamente agli altri – di cui all’art. 4 comma 2, richiamato infatti espressamente
dall’art. 11 comma 1.
Le variazioni sul valore medio sono orientativamente incanalate, dalla tabella allegata al decreto, entro
forbici percentuali come si diceva non inderogabili. I relativi moltiplicatori percentuali della forbice (per
questa fase da +60% e ‐50%) sono stati individuati tenendo conto, sempre orientativamente, dei minimi e
dei massimi degli onorari coinvolti nell’elaborazione.
Seconda fase: introduzione.
Qui la bozza CNF settembre 2010 proponeva di imputare le seguenti voci: (onorari di) preparazione e
redazione dell’atto introduttivo anche in risposta (ricorso, citazione, comparsa di risposta) (n. 15 tabella A
della precedente tariffa), e, quanto ai diritti (tabella B precedente tariffa): domanda introduttiva, comparsa
di risposta e/o intervento (n. 3), rinnovazione o riassunzione della domanda (n. 4), chiamata di terzo in
causa (n. 5), autentica di firma (n. 6), esame dell’eventuale procura notarile (n. 7), versamento del
contributo unificato (n. 8), iscrizione della causa a ruolo (n. 9), ovvero costituzione in giudizio (n. 10), esame
di provvedimenti giudiziali relativi (n. 15, come quelli riferibili al decreto di fissazione dell’udienza o di suo
differimento o di autorizzazione alla chiamata prima dell’udienza), la formazione del fascicolo (n. 18), le
(ulteriori) consultazioni con il cliente (n. 21), la notifica di ogni atto e il relativo esame (n. 23 e n. 24),
l’eventuale richiesta di documenti (n. 29). Può aggiungersi l’esame della costituzione in giudizio avversaria
riconducibile alla voce n. 11 della tabella A della precedente tariffa.
Seguendo lo stesso metodo sia quanto agli onorari (media: 520 euro) sia in funzione dell’unicità del
compenso, con esclusione di ogni duplicazione a qualsiasi titolo (voce n. 3 della tabella B e n. 15 della
tabella A); sia in funzione della ragionevolezza del parametro numerico, si è determinato il valore medio di
liquidazione in 600 euro.
Va tenuto conto che, logicamente, molte delle voci di diritto sopra elencate, attengono alla complessità
della fase, e quindi restano assorbite dal margine di oscillazione del valore medio di liquidazione (pluralità
di notifiche, rinnovazione della citazione).
Deve considerarsi, inoltre, che l’unicità del compenso comporta l’assoggettamento del valore medio di
liquidazione ai moltiplicatori inerenti alla forbice orientativa abbinata, contro la natura fissa dei precedenti
diritti.
Per la forbice delle oscillazioni si è tenuto conto, orientativamente, del margine di oscillazione proprio dei
minimi e dei massimi della precedente tariffa per la voce di onorario rilevante (n. 15 della tabella A della
precedente tariffa): di qui le percentuali di incremento e diminuzione del 60% e del 50%
Terza fase: istruzione.
Riprendendo e sviluppando anche per questa fase la bozza CNF settembre 2010, si è considerata, in
conseguenza, l’imputazione delle voci di onorario riferibili alle memorie e assistenze alla prova (n. 18 e n.
17), e, tipicamente, quanto ai diritti (tabella B della precedente tariffa), le voci relative a: esame di scritti
difensivi anteriori alla pronuncia di ordinanze e sentenze (n. 11), della documentazione prodotta dalla
controparte nella stessa cornice temporale (n. 12), istanze, ricorsi o simili (n. 14), esame dei provvedimenti
giudiziali (dispositivo) interlocutori (n. 15), dichiarazioni rese nei casi previsti dalla legge (n. 17), assistenza
alla parte comparsa davanti al giudice (n. 20), notifica e relativo esame (n. 23 e n. 24), esame
dell’interrogatorio formale o non formale della parte (n. 36), e le altre voci relative ai mezzi istruttori, come
le intimazioni di testi o le designazioni di consulenti di parte (nn. 26, 27, 28).
L’art. 11, comma 5, penultimo e ultimo periodo, stabiliscono, come anticipato, che «al fine di valutare il
grado di complessità della fase rilevano, in particolare, le plurime memorie per parte, necessarie o
autorizzate dal giudice, comunque denominate ma non meramente illustrative, ovvero le plurime richieste
istruttorie ammesse per ciascuna parte e le plurime prove assunte per ciascuna parte. La fase rileva ai fini
della liquidazione del compenso quando effettivamente svolta».
Ne consegue che la fase può mancare del tutto, come nelle cause esclusivamente in diritto, o può ridursi al
minimo quando manchino memorie o assunzioni di prove costituende, come nelle cause documentali, o
quando, tipicamente, le stesse memorie o assunzioni non siano plurime per ciascuna parte. Dal che la
particolare semplicità delle cause contumaciali.
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Ciò che rileva è dato, comunque, dalle attività difensive necessarie per legge o ad avviso del giudice (incluse
pertanto, e tipicamente, quelle conseguenti a eventi processuali incidentali, quali querele di falso o
verificazioni di scritture private quando, appunto, non attivate in via principale), e le assistenze alle
assunzioni probatorie.
Prendendo spunto ma senza vincoli dal sistema delle precedenti tariffe, ai fini della determinazione del
parametro dato dal valore medio di liquidazione si sono quindi considerate tre componenti: un’udienza di
trattazione e un’assunzione istruttoria per parte.
Su questo è parametrata una forbice orientativa più ampia rispetto alle altre fasi (+150%, ‐70%) per
l’obiettiva presenza di una più ampia gamma di variabili.
La media delle voci di onorario aggiornato delle voci nn. 16 e 17, porta al risultato di 1.165 euro. Alla luce
delle voci relative a diritti, non sovrapponibili, quali l’esame delle deduzioni avversarie, e dei criteri sopra
discussi, si è ritenuto ragionevole integrare questo valore medio di liquidazione a 1.200 euro, simmetrico a
quello proprio della fase di studio, seppure maggiormente soggetto a modificazioni parametriche per i
motivi detti. La fase introduttiva, d’altra parte, costituisce, rispetto alle fasi di studio e istruttoria,
rispettivamente un precipitato e una premessa.
Quarta fase: decisione.
Stesso metodo di elaborazione è stato seguito per il parametro numerico della fase decisionale.
Le voci di onorario della precedente tariffa sono relative all’udienza, alla redazione delle difese conclusive,
dirette e in replica, e alla discussione, in udienza pubblica o camera di consiglio (nn. 16, 19 e 20 della tabella
A), cui può aggiungersi l’iscrizione d’ipoteca giudiziale quale atto che accede direttamente alla tutela
inerente al provvedimento finale ottenuto dalla parte (n. 53). Sui diritti la bozza CNF settembre 2010
imputa le seguenti voci: precisazione delle conclusioni (n. 38, tabella B), e relativo esame di quelle di
controparte (n. 39),
redazione della nota spese (n. 40), registrazione della sentenza (n. 42), esame del dispositivo e del testo
integrale del provvedimento giurisdizionale (nn. 16 e 16), partecipazione all’udienza (n. 19), richiesta di
copie (n. 30), deposito atti in cancelleria (n. 31), ritiro del fascicolo (n. 32), iscrizione nel F.A.L. (n. 34) e ogni
altra registrazione (n. 33).
Si è ritenuto ragionevole assumere a riferimento la più scansionata discussione scritta, facendo la media
degli onorari relativi all’udienza e alle difese, e aggiungendo le voci dei diritti non ritenuti assorbiti, quali la
precisazione e l’esame delle conclusioni avversarie e la registrazione della sentenza, ottenendo la somma di
circa 1.600 euro (arrotondamento da 1.616,5 euro). D’altra parte, considerando che per la discussione orale
la tariffa precedente stabiliva costi inferiori, anche se la stessa può essere preceduta da note illustrative
finali (tipicamente previste dall’art. 429, secondo comma, c.p.c.) e può vedere autorizzate repliche, si è
ritenuto ragionevole assumere a valore medio di liquidazione il parametro numerico di 1.500 euro.
Per la forbice di oscillazione si è tenuto conto, orientativamente, del margine di oscillazione degli onorari
della precedente tariffa, individuando gli incrementi e le diminuzioni di regola operabili in +60% e ‐50%, in
simmetria con le fasi di studio e introduzione.
Quinta fase: esecuzione.
Per l’esecuzione nulla indicava la bozza CNF settembre 2010, ma si sono assunte a riferimento le voci di
onorario sub n. 54 e 55 della tabella A, e le voci di diritti nn. 46‐74 della tabella B.
Si è quindi considerata la media degli onorari immobiliari (870 euro) e il maggior peso specifico che in
questa fase assumono i singoli atti richiesti dalla sequenza esecutiva.
Simulando un’ipotesi semplificata di procedimento esecutivo immobiliare, con unicità di voci quanto ai
certificati o alle ispezioni ipotecarie o catastali, senza pluralità di esecutati e senza interventi (e fermo
restando che l’eventuale incidente cognitivo oppostivo resta estraneo alla fase, quale momento di
autonoma e propria, seppur connessa, cognizione), con esito di vendita e distribuzione del ricavato su
progetto amichevole, si è ottenuta l’ulteriore somma (da sommare alla precedente) di circa 1.071 euro.
Anche considerando il parziale assorbimento che pure per le altre fasi ha determinato l’unicità del
compenso, si è quindi ritenuto ragionevole individuare il valore di 1.800 euro per i procedimenti aventi ad
oggetto immobili.
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Considerando il margine di variazione degli onorari per le procedure esecutive mobiliari (sub VII della
tabella B della precedente tariffa), si è individuato il valore medio di liquidazione per questa ipotesi in 800
euro con un ulteriore contenimento correlato alla usuale natura di queste procedure esecutive.
Non si è ritenuta di fare distinzione con le ipotesi di beni mobili registrati, lasciando refluire questa
componente nella complessità e importanza della prestazione correlata al suo oggetto.
Anche in questo caso la forbice di oscillazione, simmetrica a quella delle fasi di cognizione eccettuata la
peculiarità istruttoria (+60% e ‐50%), è stata individuata tenendo conto anche di quella della precedente
tariffa per gli onorari.
Operando alcune semplici simulazioni rispetto allo scaglione, ne emerge, ad esempio, che rispetto al valore
medio della controversia, 37.500 euro, il valore medio di liquidazione può essere portato, dalla forbice sia
pure non inderogabile, sino a 7.200 euro, che corrispondono al 19,2% del valore conteso, di poco inferiore
alla percentuale che gli indici doing business della Banca mondiale indicano essere attualmente il rapporto
medio ponderale, in Italia, tra costi legali concretamente sostenuti, e valore del bene oggetto della lite
giudiziaria, in ipotesi di non impugnazione di merito, ossia il 21,8% (http://www.doingbusiness.org/, pagine
ufficiali,
sub
“data”,
“enforcing
contracts”,
“Italy”,
alla
sottopagina:
http://www.doingbusiness.org/data/exploreeconomies/italy/enforcing‐contracts/).
Da questi indici emerge che si tratta di un rapporto marcatamente superiore rispetto a quello di aree
contigue quali Francia (17,4%) Germania (14,4%) Spagna (17,2%).
Naturalmente lo scaglione qui assunto a riferimento dell’impianto (per questo confrontabile
concettualmente con il valore ponderale doing business) permette di superare la percentuale rispetto a una
controversia di valore corrispondente al minimo dello scaglione stesso, ma l’ipotesi che in questo caso si
liquidino compensi previsti sia pure orientativamente come massimi, iscriverebbe la fattispecie in un’area
di eccezionalità estranea alla logica del confronto in parola.
Altri scaglioni
Determinati i valori medi di riferimento e le oscillazioni orientative, per lo scaglione di riferimento, si sono
individuati gli altri scaglioni fino all’ultimo, di 1.500.000,00 di euro, oltre cui non si sono stabiliti parametri
numerici per i motivi sopra accennati e che vengono qui ripresi.
Le aree valoriali sono state individuate in modo molto più ampio rispetto alla precedente tariffa, proprio
perché si tratta di parametri di riferimento per l’attività di liquidazione giudiziale, e non dell’applicazione di
rigide griglie tariffarie.
Per individuare una proporzionata variazione dei singoli valori medi di liquidazione, per le altre macro aree
valoriali (scaglioni), è stata considerata, orientativamente, con arrotondamenti, la percentuale di variazione
prevista dalla precedente tariffa rispetto alle voci di onorario imputate alla fase di studio, il cui peso
specifico è certamente maggiore, e cioè più qualificante, posto il riferimento all’intera impostazione
gestoria, sul piano professionale, della controversia.
Per lo scaglione fino a 25.000 euro si è individuata una diminuzione del 55% circa del valore medio di
liquidazione, con un contenimento dei costi rispetto alla percentuale rigidamente risultante dalla
impostazione sopra riportata (di circa il 50%), in funzione del principio di proporzionalità e accesso alla
tutela giurisdizionale.
Per la fase esecutiva di questo scaglione non si è operato il suddetto contenimento per mantenere il
compenso professionale in termini proporzionati all’opera complessivamente e usualmente necessaria.
Per lo stesso motivo (inversamente operante) si sono operati lievi contenimenti dei valori medi di
liquidazione riferiti alle fasi esecutive degli scaglioni successivi. Si è tenuto anche conto del fatto che i sopra
ricordati indici doing business segnalano una percentuale di costi esecutivi, in Italia, del 5.2%, che, per lo
scaglione di riferimento, nel caso di beni immobili, porterebbe, rispetto al valore medio della controversia
nello scaglione, all’importo di 1.920 euro contro i 1.800 fissati.
Per lo scaglione tra 50.001 e 100.000 euro, allo stesso modo, si è quindi computato un aumento di circa il
65%, sempre rispetto allo scaglione di riferimento.
Per lo scaglione tra 100.001 e 500.000 euro si è computato un aumento di circa il 170%, rispetto allo
scaglione di riferimento. È stata contenuta la forbice in aumento per la fase istruttoria, in funzione del
principio di ragionevolezza dei costi.
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Per lo scaglione tra 500.001 e 1.500.000,00 di euro si è computato un aumento di circa il 350%, rispetto allo
scaglione di riferimento. È stata ulteriormente contenuta la forbice in aumento per la fase istruttoria, in
funzione del principio di ragionevolezza dei costi.
Va nuovamente sottolineato che in tutti i casi sono stati operati degli aggiustamenti tenendo conto che le
percentuali sopra citate sono solamente orientative, quali parametri, sia pure numerici.
Gli stessi parametri percentuali, d’altra parte, sono stati utilizzati, come tali, per un’adeguata proporzione
dei valori relativi alle magistrature superiori.
Come si diceva, non si è operata la proporzione per l’area valoriale superiore a 1.500.000,00 di euro (che
era pur possibile tradurre in una percentuale destinata a moltiplicarsi per il valore crescente della
controversia come per lo scaglione superiore ai 5.164.600,00 della precedente tariffa), posto che in tal caso
potranno operare più appropriatamente rispetto al caso concreto i parametri generali, tenuto logicamente
conto dei valori medi di liquidazione dello scaglione precedente. La percentuale, infatti, irrigidisce il
parametro numerico e si pone in frizione con il concetto di valore medio di liquidazione.
Per le controversie di valore indeterminato o indeterminabile il parametro numerico si riferisce,
coerentemente alla logica dell’impianto, allo scaglione di riferimento, con ampi margini di incremento e
diminuzione del valore medio di liquidazione (+150%, ‐50%).
Giudice di pace
Per le controversie davanti al giudice di pace si è seguito lo stesso metodo, operando una distinzione per
quelle entro i 5.000 euro, data la competenza generale (su beni mobili) per valore di questo organo
giurisdizionale (art. 7 primo comma c.p.c.).
Rispetto a questo scaglione si sono operati analoghi rapporti alla precedente tariffa, considerando la media
ponderale (media della media) degli scaglioni tra 600 euro e 2.600 euro, e poi la stessa media con i valori
dello scaglione davanti al tribunale fino a 5.200 euro, con conseguenti temperamenti in funzione di
proporzionalità e conseguente accesso alla giustizia.
Esempio: per la fase di studio, la media (con arrotondamenti dei decimali) per le voci di onorario nn. 2, 3 e 4
della tabella A (sub I) della precedente tariffa, dà, per gli scaglioni da 600 a 2.600 euro, l’importo di euro
207; mentre la media delle corrispondenti voci per le controversie davanti al tribunale (nn. 12, 13 e 14) per
lo scaglione fino a 5.200 euro, dà 215 euro. La media ponderale sopra menzionata è di euro 211. Di qui,
considerando le voci di diritto imputabili anche se in parziale assorbimento in funzione dell’unicità del
compenso (v. sopra per la fase di studio davanti al tribunale), e l’assorbimento della voce (unica: n. 1) per le
controversie fino a 600 euro davanti al giudice di pace, è stato ritenuto ragionevole determinare l’importo,
per la fase di studio davanti a questo giudice, di euro 300.
Rispetto alle simmetrie proporzionali dei valori medi di liquidazione per lo scaglione di riferimento davanti
al tribunale, emerge una differenza per la fase decisoria, che però è la conseguenza dei valori delle voci di
onorario corrispondenti davanti al giudice di pace (specie la n. 9). Differenza che del resto, e infatti,
permette di mantenere una ragionevolezza dei costi rispetto al valore e alla tipologia della controversia (si
noti che la sommatoria è di 1.150 euro per un valore medio della controversia di 2.500 euro, sia pure
diminuibile fino a meno della metà in funzione delle forbici orientative).
Le forbici sono state contenute in funzione dei principi sopra richiamati di proporzionalità e accesso alla
giustizia: sono stati quindi contenuti gli incrementi e aumentate le diminuzioni.
Per lo scaglione oltre i 5.000 euro si è prevista una diminuzione del 40%, rispetto al valore medio di
liquidazione dello scaglione di riferimento davanti al tribunale, tenendo conto della proporzione con i valori
dello scaglione precedente davanti al giudice di pace.
Corte di appello, organi di giustizia tributaria di secondo grado, organi di giustizia amministrativa e
contabile di primo grado
SI è stabilito un incremento del 20% del valore medio di liquidazione rispetto al corrispondente scaglione
davanti al tribunale, tenuto conto, orientativamente, dei valori medi di liquidazione davanti a quest’ultimo
ma anche di quelli fissati per le prestazioni davanti alle magistrature superiori, e considerate le proporzioni
risultanti dalla precedente tariffa (ad esempio, per la fase di studio, le corrispondenti voci degli onorari
segnalavano un incremento, nello scaglione di riferimento, del 23% circa).
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Si sono accomunati, alle corti di appello ordinarie, gli organi di giurisdizione amministrativa e contabile di
primo grado sia in considerazione dei valori medi della precedente tabella sia data la sovrapponibile
competenza territoriale e conseguente rilevanza degli stessi.
Suprema Corte di cassazione, magistrature superiori, compreso il tribunale di prima istanza dell’Unione
europea
Si sono individuati valori medi di liquidazione tenendo conto sia dei valori medi risultanti dalla precedente
tabella sia dei valori medi orientativi della liquidazione del compenso secondo il presente decreto.
Si è incrementata la forbice alta relativa alla fase di studio e di discussione, posto il valore aggiunto dato
dalla natura dell’organo giurisdizionale nazionale di ultima istanza, e di quelli a questi fini equiparabili, e il
peso specifico, in rapporto a tali giudizi, della fase di studio e di discussione finale.
Procedimento per ingiunzione
Stante la sua peculiare natura, e in continuità con la precedente tariffa, sono stati individuati valori
orientativi forfettari per il procedimento in parola, tenuto conto di quelli stabiliti nel D.M. n. 127 del 2004.
Precetto
Attesa la natura peculiare dell’atto, che prevede un’autoliquidazione da parte dell’istante, si è proceduto in
modo analogo alla fattispecie ingiuntiva, anche qui in continuità con la precedente tariffa e tenendo conto
dei relativi valori medi.
Procedimento di espropriazione presso terzi e per consegna o rilascio
Tenuto conto della peculiare semplicità di tali procedimenti e anche in questo caso in continuità
concettuale, in parte qua, con la precedente tariffa, è stata stabilita una diminuzione del 10% del valore
medio di liquidazione relativo ai procedimenti esecutivi mobiliari, con i medesimi aumenti e diminuzioni.
Affari tavolari
Tenuto conto della peculiare natura di tali procedimenti e anche in questo caso in continuità concettuale, in
parte qua, con la precedente tariffa, è stata stabilita una diminuzione del 20% del valore medio di
liquidazione relativo ai procedimenti esecutivi mobiliari, con i medesimi aumenti e diminuzioni.
Attività penale
Per l’attività giudiziale penale è stato seguito il medesimo metodo.
L’attività in parola è distinta nelle seguenti fasi: fase di studio; fase di introduzione del procedimento; fase
istruttoria procedimentale o processuale; fase decisionale; fase esecutiva.
Si stabilisce che se il procedimento o il processo non vengono portati a termine per qualsiasi motivo o
sopravvengono cause estintive del reato, l’avvocato ha diritto al compenso per l’opera effettivamente
svolta. La norma ripete quella generale (art. 1 comma 5) con l’importante riferimento all’estinzione del
reato.
Il comma 2 dell’art. 11 specifica che nella liquidazione il giudice deve tenere conto della natura, complessità
e gravità del procedimento o del processo, delle contestazioni e delle imputazioni, del pregio dell’opera
prestata, del numero e dell’importanza delle questioni trattate, anche a seguito di riunione dei
procedimenti o dei processi, dell’eventuale urgenza della prestazione. A questi fini si terrà conto di tutte le
particolari circostanze del caso, quali, a titolo di esempio, il numero dei documenti da esaminare,
l’emissione di ordinanze di applicazione di misure cautelari, l’entità economica e l’importanza degli interessi
coinvolti, la costituzione di parte civile, la continuità, la frequenza, l’orario e i trasferimenti conseguenti
all’assistenza prestata. Ma si terrà pure conto dei risultati del giudizio e dei vantaggi, anche civili e non
patrimoniali, conseguiti dal cliente.
Qualora l’avvocato difenda più persone con la stessa posizione processuale il compenso unico può essere
aumentato fino al doppio. Lo stesso parametro di liquidazione si applica, in caso di costituzione di parte
civile, quando l’avvocato difende una parte contro più parti.
Riprendendo anche qui i criteri della precedente tariffa, si prevede che per l’assistenza d’ufficio a minori il
compenso può essere in particolare diminuito fino alla metà.
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In linea con la corrispondente previsione dettata in materia civile ed equiparate, si stabilisce che debba
costituire elemento di valutazione negativa in sede di liquidazione giudiziale del compenso l’adozione di
condotte dilatorie tali da ostacolare la definizione del procedimento in tempi ragionevoli. Anche in tal caso
si è tratto spunto dai suggerimenti offerti dal Consiglio di Stato. Si è omesso un più ampio riferimento
all’abuso processuale in considerazione del fatto che nel procedimento penale dell’azione dispone la parte
pubblica.
Viene quindi richiamata la disposizione sui compensi nel caso di gratuito patrocinio introdotta per l’attività
giudiziale civile e quelle ad essa equiparate.
I parametri previsti per l’attività giudiziale penale operano anche nei riguardi della parte e del responsabile
civile costituiti in giudizio, ma per quanto non rientri nelle fasi penali, operano i parametri previsti per
l’attività giudiziale civile.
I parametri specifici per la determinazione del compenso sono quindi, di regola, quelli di cui alla tabella B –
Avvocati, ma giudice può sempre diminuire o aumentare ulteriormente il compenso in considerazione delle
circostanze concrete, ferma l’applicazione delle regole e dei criteri generali di cui agli articoli 1 e 4.
Il compenso è liquidato per fasi.
L’art. 14 indica che nella fase di studio sono compresi, a titolo di esempio: l’esame e lo studio degli atti, le
ispezioni dei luoghi, la ricerca dei documenti, le consultazioni con il cliente e la relazione o parere, scritti
ovvero orali, al cliente precedenti gli atti di fase introduttiva o che esauriscono l’attività.
Nella fase introduttiva sono compresi, a titolo di esempio: gli atti introduttivi quali esposti, denunce,
querele, istanze, richieste, dichiarazioni, opposizioni, ricorsi, impugnazioni, memorie.
Nella fase istruttoria sono compresi, sempre a titolo di esempio: le richieste, gli scritti, le partecipazioni o le
assistenze, anche in udienza in camera di consiglio o pubblica, relative ad atti o attività istruttorie,
procedimentali o processuali anche preliminari, funzionali alla ricerca dei mezzi di prova, alle investigazioni
o alla formazione della prova, comprese le liste, le citazioni, e le relative notificazioni ed esame di relata, dei
testimoni, consulenti e indagati o imputati di reato connesso o collegato. La fase si considera in particolare
complessa quando le attività ovvero le richieste istruttorie sono plurime e in plurime udienze, ovvero
comportano la redazione scritti plurimi e coinvolgenti plurime questioni anche incidentali.
Nella fase decisoria sono compresi, a titolo di esempio: le difese orali o scritte anche in replica, l’assistenza
alla discussione delle altre parti, in camera di consiglio o udienza pubblica.
Nella fase esecutiva sono comprese tutte le attività connesse all’esecuzione della pena e delle misure
cautelari.
Per i procedimenti cautelari o speciali (si pensi a quelli in materia di misure di prevenzione) si fa espresso
richiamo al principio dell’analogia specifica interna.
Il compenso liquidato comprende ogni attività accessoria, quali, a titolo di esempio, gli accessi agli uffici
pubblici, le trasferte, la corrispondenza anche telefonica o telematica o collegiale con il cliente, le attività
connesse a oneri amministrativi o fiscali, le sessioni per rapporti con colleghi, ausiliari, consulenti,
investigatori, magistrati.
‐ Fasi e parametri. Metodo ed esiti
Prendendo spunto per questo aspetto dalla bozza CNF settembre 2010, è stato assunto come
procedimento di riferimento quello davanti al tribunale monocratico e magistrato di sorveglianza, e sono
state pertanto imputate alle singole fasi le seguenti voci della precedente tariffa penale.
Fase di studio: voci nn. 2, 7.7
Fase di introduttiva: voci nn. 7.1, 7.2, 7.5
Fase istruttoria: voci nn. 3, 5, 6.1, 6.2, 7.3, 7.4
Fase decisoria: voci: nn. 6.1, 6.2, 6.3, 7.6.
Anche in questo caso si è operata la media tra i minimi e i massimi della precedente tariffa a fini di generale
riferimento per individuare il valore medio di liquidazione relativo alle singole fasi.
Le forbici abbinate ai valori medi di liquidazione sono stati individuati tenendo conto in specie del peso
specifico variabile dell’attività di studio e dell’istruttoria.
Per i rapporti proporzionali con i procedimenti davanti agli altri giudici e negli altri gradi, è stato seguito il
metodo di elaborazione seguente.
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Partendo anche in questo caso dalla bozza CNF settembre del 2010, sono stati computati gli scostamenti
percentuali nei minimi e nei massimi della precedente tariffa rispetto ai minimi e massimi davanti al
tribunale monocratico (e magistrato di sorveglianza), e quindi la media (aritmetica) tra le varie sottovoci, al
fine di elaborare la media generale delle voci e quella generale davanti al giudice. Si sono ottenuti così i
seguenti risultati tendenziali e orientativamente rilevanti.
La media delle variazioni percentuali davanti al giudice di pace è: minimo ‐24%, massimo ‐16%.
Davanti al giudice per le indagini preliminari e al giudice dell’udienza preliminare: minimo +1%, massimo
+35%.
Davanti al tribunale collegiale: minimo +25%, massimo +34%.
Davanti alla Corte di appello e al tribunale di sorveglianza: minimo +59%, massimo +67%.
Davanti alla Corte di assise o alla Corte di assise d’appello: minimo +152%, massimo +169%.
Davanti alle magistrature superiori: minimo +213%, massimo 236%.
Su queste basi si sono è stato ritenuto ragionevole individuare gli incrementi percentuali individuati nella
tabella allegata, riguardanti il valore medio di liquidazione.
Si torna a sottolineare che si tratta di parametri numerici orientativi che interagiranno con quelli generali.
Per la fase di esecuzione penale, si è rivalutato l’onorario a vacazione della precedente tariffa, traendo
anche qui spunto dalla bozza CNF del settembre 2010.
Conclusivamente va rimarcato poi che la ben maggiore semplificazione del sistema dei compensi così
delineato determinerà un esponenziale incremento dell’agilità decisionale, per gli organi giurisdizionali,
(anche) in sede di liquidazione delle spese all’esito del contenzioso.
Commercialisti ed esperti contabili
Il Capo III del decreto contiene disposizioni concernenti i dottori commercialisti e gli esperti contabili, quali
professionisti iscritti in unico albo.
Anche per questa categoria professionale l’abrogato sistema tariffario è stato sostituito secondo quanto
disposto dall’articolo 9, comma 2, del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, in base a criteri di
semplificazione dell’attuale assetto regolamentare e tenendo conto della finalità di formazione dei
parametri, destinati ad essere utilizzati esclusivamente nel caso di liquidazione da parte di un organo
giurisdizionale. La finalità della determinazione dei parametri connoterà anche in questo caso il contenuto
del decreto, consentendo all’organo giurisdizionale un ampio spettro di discrezionalità nella valutazione
dell’opera del professionista e spingendo, indirettamente, a una regolazione negoziale preventiva del
compenso che sottragga il cliente (e lo stesso professionista) al rischio di incertezze.
L’attuale regolamento recante la disciplina degli onorari per le prestazioni professionali dei dottori
commercialisti e degli esperti contabili, contenuta nel decreto del Ministro della giustizia del 2 settembre
2010, n. 169, distingue macrocategorie di voci che compongono la retribuzione nel suo complesso. Il
compenso, secondo la tariffa oggi abrogata (e salva sempre la sua limitata applicazione temporanea per
effetto del regime transitorio), è strutturato in rimborsi di spese, indennità, onorari specifici (determinati
unitariamente in relazione all’esecuzione dell’incarico), onorari graduali (determinati con riferimento al
costo delle singole prestazioni), onorari preconcordati e onorari a tempo. In molti casi dette componenti
del compenso sono cumulabili e le singole voci sono determinate attraverso l’applicazione di criteri generali
per la determinazione degli importi (natura, caratteristiche, durata e valore della pratica), nonché di criteri
specifici (quali l’eccezionale importanza, complessità o difficoltà della pratica, le condizioni d’urgenza,
l’esercizio della professione in un comune con un certo numero di abitanti, l’incarico conferito a una
pluralità di professionisti, gli incarichi connessi tra loro conferiti da più clienti, l’incarico non giunto a
compimento, l’incarico già iniziato da altri professionisti, il concorso del cliente o di terzi alla definizione
della pratica). La particolare complessità del sistema tariffario in via di superamento è poi ulteriormente
accentuata dalle previsioni di onorari specifici calibrati su una dettagliata individuazione delle singole
attività di possibile competenza professionale dei dottori commercialisti e delle categorie iscritte nel
medesimo albo (l’attuale tariffa individua le attività professionali, per le quali competono onorari specifici,
nel capo III del decreto n. 169/2010, ripartito in 13 sezioni e composto di 28 articoli).
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La proposta normativa qui illustrata mira a perseguire l’obiettivo primario della semplificazione degli
strumenti idonei a consegnare all’organo giurisdizionale parametri di massima non vincolanti per la
liquidazione giudiziale. A tal fine secondo l’intervento normativo proposto:
‐ è eliminata la distinzione tra rimborsi spese, indennità ed onorari e, all’interno di questa categoria, tutte le
ulteriori distinzioni richiamate (secondo il modello generale del decreto, il compenso ha una sua struttura
unitaria ed onnicomprensiva);
‐ sono ridotte a 11 le tipologie di attività per le quali sono previsti parametri per la determinazione del
compenso (opera in via residuale l’analogia per le attività non previste);
‐ sono razionalizzati e ridotti i criteri per la determinazione del valore delle pratiche.
L’ulteriore obiettivo di rimettere all’organo giurisdizionale parametri applicabili di regola in sede di
liquidazione, secondo limiti ampi di valutazione, è specificamente perseguita, anche per gli iscritti all’albo
dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, mediante la previsione che stabilisce la ripartizione in
scaglioni progressivi del valore della pratica e l’applicazione di una forbice percentuale (da un minimo ad un
massimo) da calcolare sul predetto valore. In altri termini, all’interno dello stesso scaglione è possibile che il
compenso possa essere determinato in un range percentuale nell’ambito del quale di regola si colloca il
giudizio di liquidazione dell’organo giurisdizionale avuto riguardo ai parametri generali che connotano
ulteriormente la prestazione. In applicazione dei parametri generali di cui all’art. 17 comma 1, sono in ogni
caso possibili più ampie variazioni, posta la derogabilità dei parametri numerici, aventi valore meramente
orientativo.
Il Capo III, che comprende gli articoli da 15 a 29, è ripartito in due sezioni, la prima contenente disposizioni
generali, la seconda concernente la individuazione di parametri di dettaglio per ognuna delle tipologie di
attività professionali.
Ferma l’applicazione delle regole generali contenute nell’articolo 1 del regolamento illustrato, l’articolo 15,
che apre la sezione prima, individua le seguenti attività svolte da dottori commercialisti, ragionieri
commercialisti ed esperti contabili:
a) amministrazione e custodia;
b) liquidazioni di azienda;
c) valutazioni, perizie e pareri;
d) revisioni contabili;
e) tenuta della contabilità;
f) formazione del bilancio;
g) operazioni societarie;
h) consulenza ed assistenza contrattuale ed economico‐finanziaria;
i) assistenza in procedure concorsuali;
l) assistenza, rappresentanza e consulenza tributaria;
m) funzione di sindaco di società.
La necessità di mantenere una essenziale distinzione delle singole attività del professionista in questione
deriva dal fatto che a ciascuna di esse corrisponde l’applicazione di parametri specifici idonei a costituire, in
ragione della peculiarità della prestazione, una differenziata base di calcolo, non omologabile per tutte le
ipotesi.
Il secondo comma dell’articolo 15 richiama la regola generale dell’applicazione analogica dei parametri nel
caso in cui debba essere liquidato il compenso del professionista per prestazioni non comprese nell’elenco
delle attività disciplinate.
L’articolo 16 contiene definizioni necessarie a determinare la portata di alcuni criteri (componenti positivi di
reddito lordo, attività, passività, ecc.) sulla scorta dei quali determinare il valore della pratica, quale
parametro generale di base.
Al valore della pratica, l’articolo 17 aggiunge altri parametri generali quali: l’importanza, difficoltà,
complessità della pratica; le condizioni d’urgenza per l’espletamento dell’incarico; i risultati ed i vantaggi
ottenuti dal cliente; l’impegno profuso anche in termini di tempo impiegato; il pregio dell’opera prestata.
Il comma 2 dell’articolo 17 introduce la norma generale per la determinazione del compenso, secondo la
quale il valore della pratica è determinato, per le singole attività del professionista, in base ai criteri
specificati nella sezione seconda del capo. La liquidazione avviene poi applicando al valore come
determinato le percentuali previste nella tabella allegata al decreto. Tali percentuali, per ogni scaglione di
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valore, sono previste secondo una forbice minimo‐massimo, che di regola l’organo giurisdizionale considera
quale parametro di riferimento ai fini della liquidazione.
L’articolo 18 definisce i limiti orientativi entro cui far operare il parametro della complessità della
prestazione, prevedendo una maggiorazione sino al 100% in caso di prestazione complessa ed una
riduzione sino al 50% per le prestazioni che vengano effettuate senza particolare impiego di risorse,
speditamente e in assenza di questioni rilevanti.
La sezione seconda (articoli da 19 a 29) raccoglie disposizioni aventi struttura analoga. In ciascuna di esse è
individuato il criterio per la determinazione del valore della pratica in relazione all’attività considerata,
secondo il seguente elenco:
a) amministrazione e custodia: sommatoria dei componenti positivi di reddito lordi e delle attività;
b) liquidazioni di azienda: totale dell’attivo realizzato e passivo accertato;
c) valutazioni, perizie e pareri: valore risultante dalla perizia o dalla valutazione;
d) revisioni contabili: componenti positivi di reddito lordi, attività e passività;
e) tenuta della contabilità ordinaria: componenti positivi di reddito lordi, attività e passività;
e.1) tenuta della contabilità semplificata: componenti positivi di reddito lordi;
f) formazione del bilancio: componenti positivi di reddito lordi, attività e passività;
g) operazioni societarie consistenti in costituzioni di società e variazioni successive: capitale sottoscritto;
g.1) operazioni societarie consistenti in fusioni, scissioni ed altre: totale delle attività delle situazioni
patrimoniali;
h) consulenza ed assistenza contrattuale: corrispettivo pattuito;
h.1) consulenza ed assistenza per la stipulazione di mutui e finanziamenti: capitale mutuato o erogato;
h.2) consulenza ed assistenza economico‐finanziaria: capitali e valori finanziari;
i) assistenza in procedure concorsuali: totale delle passività;
l) rappresentanza tributaria: importo complessivo delle imposte, tasse, contributi, sanzioni, interessi che
sarebbero dovuti sulla base dell’atto impugnato o in contestazione oppure dei quali è richiesto il rimborso;
l.1) consulenza tributaria: importo complessivo delle imposte, tasse, contributi, sanzioni, interessi che
sarebbero dovuti sulla base dell’atto impugnato o in contestazione oppure dei quali è richiesto il rimborso;
m) funzione di sindaco di società: sommatoria dei componenti positivi di reddito lordi e delle attività.
Ciascun articolo della sezione seconda richiama, per la concreta individuazione delle percentuali applicabili
ai valori della pratica come determinati, gli specifici riquadri della tabella allegata, dove sono espresse le
percentuali orientative minime e massime da sviluppare di regola in sede di liquidazione giudiziale.
All’articolo 28, comma 1, per gli adempimenti dichiarativi e le prestazioni connesse, si prevede (attraverso il
richiamo del riquadro 10.1. della tabella) l’applicazione, di regola, di un compenso fisso, in considerazione
della impossibilità di individuare, in tale contesto, un criterio medio di riferimento, che risulterebbe
altrimenti del tutto arbitrario.
Per l’attività di sindaco di società (articolo 29) sono previste riduzioni in relazione all’ipotesi di società di
semplice amministrazione di beni immobili o di società dedicate al solo godimento di beni (comma 2). Di
contro, maggiorazioni sono ragionevolmente stabilite per l’ipotesi del sindaco unico e per la carica di
presidente del collegio sindacale (comma 3).
Quanto agli sviluppi numerici della tabella va rilevato che essi sono stati ricavati attingendo dai valori delle
tariffe abrogate, ma di recente adozione, cosicché gli attuali scaglioni di valore e le percentuali applicabili
consentono di giungere a liquidazioni perequate rispetto ai valori attuali, salvi i diversi, semplificati criteri di
determinazione dei compensi e l’elasticità stessa del giudizio di liquidazione oggi affidato all’organo
giurisdizionale sulla base dei parametri voluti dalla legge.
Notai
Il ricorso ai parametri, anche per i notai, è concepito come ipotesi residuale e non fisiologica (la circostanza
che sia l’organo giurisdizionale il solo destinatario dei predetti, evoca palesemente la patologia del rapporto
tra professionista e cliente). Anche in questo caso, naturalmente, nella sua attività liquidatoria l’organo
giurisdizionale potrà farne ricorso “di regola”, non necessariamente, e soprattutto sono individuate fasce
parametriche anche numeriche in modo tale da consentire margini di discrezionalità particolarmente ampi,
così da indurre le parti a preferire senz’altro l’accordo sulla determinazione del compenso.
Art. 30. Descrive come è strutturato, in linea generale, il compenso l’attività professionale del notaio.
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Tenuto conto di quanto illustrato in premessa e richiamata l’attenzione sulla circostanza che il “parametro”
al quale l’organo giurisdizionale si rapporta in sede di liquidazione è qualche cosa di profondamente diverso
dalla “tariffa”, con la quale non deve essere confuso, né deve prestarsi a fungere da “tariffa mascherata”, si
è ritenuto di distinguere nell’ambito dell’attività professionale del notaio, macro categorie sulla base
dell’oggetto del negozio.
Sono state quindi individuate cinque macro categorie di atti: quella degli atti aventi ad oggetto beni
immobili; quella degli atti aventi ad aggetto beni mobili (inclusi i beni mobili registrati: specificazione che si
ritiene opportuna, posto che, spesso, sotto il profilo normativo, tale tipologia di beni è assimilata agli
immobili); quella avente ad oggetto atti societari.
Per atti societari si intendono tutti quegli atti che attengono tipicamente alla vita della società: costituzione,
modifica, trasformazione della società (incluse, quindi, scissioni e fusioni).
Gli atti di valore indeterminato o indeterminabile, nonché quelli che non possono essere ricondotti a una
delle categorie sopra individuate, formano la macro categoria degli “altri atti”.
Si è ritenuto opportuno precisare, al fine di evitare equivoci, che anche la attività di autenticazione della
sottoscrizione, ove sia la sola prestazione professionale richiesta al notaio, rientra nella categoria degli “altri
atti”.
Per le prestazioni di garanzia reale o personale, il compenso è calcolato in percentuale sull’ammontare del
credito garantito: la forbice dell’aumento o diminuzione in percentuale è volutamente ampia e senza
determinazioni di scaglioni ma con l’indicazione del solo limite massimo di € 400.000 di credito garantito:
oltre tale importo, la liquidazione avverrà sulla base dei parametri generali e cioè, a titolo esemplificativo,
della difficoltà e complessità dell’atto, dell’impegno profuso, del tempo impiegato.
Non si è ritenuto di raggruppare in un’autonoma categoria di atti anche quelli “successori”, in analogia a
quanto emerso dai contributi resi dal Consiglio Nazionale Notarile nel corso dei tavoli tecnici finalizzati
all’(ormai superato) aggiornamento delle tariffe notarili (contributo del quale, peraltro, si è tenuto conto
anche nella individuazione delle percentuali, sopra ricordate, per la liquidazione del compenso in caso di
atti aventi ad oggetto prestazioni di garanzia).
Si tratta infatti per lo più di atti la cui natura mal si concilia con la elaborazione di un compenso calcolato
sulla base di un parametro rapportato al valore economico dell’oggetto. Ad esempio, la redazione di un
testamento in cui il testatore vuole devolvere il suo modesto patrimonio a più eredi, istituire oneri e legati,
garantire la quota di legittima ai figli ma favorire comunque la seconda moglie, presenta, certamente, una
maggiore complessità rispetto alla redazione di un testamento in cui il testatore intenda lasciare il suo
notevole patrimonio ad un unico erede.
Parimenti, la accettazione di eredità o la pubblicazione di un testamento sono atti che richiedono una
prestazione professionale che non muta in base all’entità del patrimonio del de cuius, mentre, per la
accettazione con beneficio di inventario, il compenso al notaio dovrà essere calcolato tendo conto anche
della necessaria attività di inventario.
Le relative prestazioni rientreranno, ai fini dei parametri, nelle altre macro aree di volta in volta rilevanti.
Art. 31. Il parametro è strutturato muovendo dal concetto base di “valore” del bene oggetto dell’atto.
La norma in esame si preoccupa di chiarire cosa debba intendersi per “valore” del bene oggetto dell’atto.
Laddove tale valore non sia definito dalla concorde volontà parti (come in tutti gli atti di natura
contrattuale), il valore dovrà essere desunto da quello di mercato.
Per le prestazioni di garanzia, il valore è quello dato dall’entità del credito garantito, mentre, per gli atti
societari, il valore è quello dell’oggetto dell’atto.
Quando non vi sia un “oggetto dell’atto” suscettibile di valutazione economica – come può essere, ad
esempio, una modifica statutaria attinente al solo trasferimento di sede – l’atto sarà considerato di valore
indeterminato.
Art. 32. La norma affronta in dettaglio la determinazione del parametro, rinviando, per il dato numerico da
applicare in concreto, alle tabelle allegate al decreto.
Il dato di partenza della liquidazione sarà, per ciascuna categoria di atti, il valore medio di riferimento.
Il valore medio di riferimento è in questo caso quello che si ottiene considerando il valore medio di un
determinato atto all’interno di uno scaglione: nel caso di atti immobiliari, ad esempio, si è ritenuto valore
medio di riferimento quello di un atto relativo a un immobile del valore commerciale di € 500.000,00
all’interno di uno scaglione che va da € 25.000,00 a € 1.000.000,00.
- 37 -
La forbice percentuale opererà invece rispetto al valore concreto dell’atto, tenendo conto che più alto è
tale valore reale dell’atto, più bassa dovrà essere la percentuale di aumento.
Il compenso determinato è poi suscettibile di aggiustamenti correttivi che tengano conto della difficoltà
della prestazione, della sua complessità, della urgenza con la quale si è chiesto al notaio di provvedere:
criteri che possono essere valutati tanto congiuntamente quanto disgiuntamente. Ciò varrà, logicamente,
anche l’impegno profuso, nel cui ambito potrà essere considerato non solo il mero dato temporale, cioè il
tempo impiegato, ma anche e soprattutto l’impegno di studio, ricerca, approfondimento, che si è reso
necessario per fornire la richiesta prestazione.
Gli scaglioni presi in esame sono volutamente ampi e ciò al fine di rimarcare il carattere assolutamente
residuale che deve avere il riscorso ai parametri di cui al presente decreto che non doveva né potrà fungere
da dettagliata griglia di riferimento, sostanzialmente applicativa, per le parti nel corso della loro libera
contrattazione del compenso.
Resta fermo, in ogni caso, che, per la elaborazione della tabella, come già ricordato, si è tenuto conto dei
contributi provenienti dall’ordine notarile nel corso dei tavoli tecnici finalizzati all’aggiornamento delle
precedenti tariffe di settore.
Il calcolo complessivo del compenso, peraltro, potrà risultare, ove necessario, dall’applicazione di più
tabelle e/o dall’applicazione di più voci della medesima tabella (si pensi ad una accettazione della eredità
con richiesta di trascrizione degli immobili).
Laddove, poi, l’atto abbia per oggetto sia beni mobili sia beni immobili (una divisone ereditaria, ad
esempio), si applicherà la tabella relativa al valore usualmente più alto che, nella specie, è quella dei beni
immobili.
È stato ribadito come per norma generale che tutte le forbici sono derogabili.
Professioni dell’area tecnica
Ai fini della determinazione del compenso spettante al professionista in caso di liquidazione da parte di un
organo giurisdizionale, per le professioni dell’area tecnica, si è ritenuto opportuno individuare alcuni
specifici parametri di calcolo, resi necessari dalla pluralità di categorie professionali e quindi tipologie di
prestazioni coinvolte.
Si consideri infatti che per area tecnica si intendono le professioni di agrotecnico e agrotecnico laureato,
architetto paesaggista e conservatore, biologo, chimico, dottore agronomo e dottore forestale, geometra e
geometra laureato, geologo, ingegnere, perito agrario e perito agrario laureato, perito industriale e perito
industriale laureato, tecnologo alimentare come previsto dall’articolo 33 del presente provvedimento
(ambito di applicazione). È stato quindi necessario tener conto dell’alto numero delle professioni
interessate in questa rilevante semplificazione. Di qui il significativo utilizzo di parametri numerici ed
espressioni matematiche di sintesi, emerse all’esito della consultazione con tutti gli ordini e collegi
interessati.
Ciò posto, è stata basilarmente considerata, come per le altre professioni, la complessità delle prestazioni
necessarie per il corretto espletamento dell’incarico, denominato parametro “G”, elemento la cui rilevanza
risponde a esigenze a carattere generale, e ricompreso tra un livello minimo, per la complessità ridotta, e
un livello massimo, per la complessità elevata, secondo quanto indicato nella tavola allegata. A questo si è
abbinato quello inerente alla specificità delle prestazioni, definito parametro “Q”. In particolare, a ogni
singola prestazione effettuata, corrisponde un valore specifico del parametro «Q», distinto in base alle
singole categorie componenti l’opera come indicato nella tavola Z‐2 allegata.
Si è poi tenuto specifico conto delle caratteristiche e del valore dell’opera, soprattutto del suo costo
economico, parametro rispetto al quale l’attività professionale richiesta è chiamata a incidere in termini
prestazionali (art. 34, parametri generali per la liquidazione del compenso).
Al riguardo, è opportuno sottolineare che si è espressamente individuato un parametro di riferimento del
costo economico dell’opera – detto parametro “P” – da calcolare tenendo conto, di regola, del suo valore di
mercato.
Nell’articolo 35 (costo economico dell’opera), anche per semplificare l’attività giudiziale di liquidazione, il
costo economico dell’opera è individuato, in termini matematici, intendendo per “V” il valore, mediante
(come anticipato) l’espressione: P=0,03+10/V alla 0,4, applicato all’importo delle singole categorie
prestazionali componenti l’opera secondo la tavola allegata.
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Come osservato dal Consiglio di Stato l’uso di formule matematiche non è inibito a livello normativo, specie
quando siano riferite a soggetti tecnicamente in grado di comprenderle, mentre per quanto concerne gli
altri soggetti, quale, in tal caso, il cliente ovvero consumatore, resta essenziale ma anche sufficiente che
siano intellegibili quanto necessariamente precise, e che ai fini della intelligibilità sia contenuta una
esplicazione non solo nella relazione illustrativa ma anche negli allegati, come si è provveduto a fare.
In ogni caso, sulla scia dei suggerimenti dell’organo consultivo, si è provveduto a semplificare anche il dato
normativo.
Il parametro “P”, in particolare, individua una curva decrescente in rapporto al valore dell'opera “V”. Esso
consente di riconoscere, di regola, percentuali di compenso inversamente proporzionali al valore dell'opera
in questione, coerentemente alla scelta già compiuta dal legislatore per la determinazione delle tariffe delle
principali professioni tecniche (si veda, tra tutte, la legge 2 marzo 1949, n. 143 recante "Approvazione della
tariffa professionale degli ingegneri e degli architetti" e successive modifiche) e per la determinazione dei
corrispettivi per le attività di progettazione e per le altre attività tecniche di cui all'art. 90, comma 1, del
decreto legislativo n. 163 del 2006 (D.M. 4 aprile 2001). Tale scelta è motivata dal fatto che, lasciando
inalterate le percentuali di compenso, quest’ultimo raggiungerebbe somme non proporzionate all’effettivo
impegno profuso per l’erogazione delle prestazioni professionali proprio per le opere dal valore più elevato;
il parametro P consente di correggere tale distorsione, rendendo il compenso delle prestazioni professionali
non linearmente correlato al valore dell’opera V.
Per chiarire, si rappresenta quanto segue, in forma schematica.
È stato dato rilievo, poi, in termini di parametri generali, alla natura dell’opera, al pregio della prestazione,
ai risultati e ai vantaggi, anche non economici, conseguiti dal cliente, all’eventuale urgenza della
prestazione, tutti elementi in base ai quali l’organo giurisdizionale può aumentare o diminuire il compenso
di regola fino al 60 %.
Come si anticipava in incipit, in virtù delle molteplici peculiarità caratterizzanti le attività svolte dai
professionisti dell’area tecnica, è stata d’altra parte considerata la tipologia specifica prestazione, che viene
innanzi tutto valutata in maniera differenziata a secondo delle sue diverse fasi di espletamento. Anche in
questo caso è stata assegnata pregnante rilevanza alle fasi della prestazione stessa.
L’articolo 37, quindi, individua le seguenti fasi in cui si può articolare la prestazione: la definizione delle
premesse, la consulenza e lo studio di fattibilità; la progettazione; la direzione esecutiva; le verifiche ed i
collaudi.
In questa cornice, per consentire l’adeguata e idonea valorizzazione delle specificità delle singole
prestazioni a carattere tecnico, si sono poi considerate, come già si rilevava, le seguenti categorie di opere,
specificate nella tavola allegata: a) edilizia; b) strutture; c) impianti; d) viabilità; e) idraulica; f) tecnologie
dell'informazione e della comunicazione (ICT); g) paesaggio, ambiente, naturalizzazione; h) agricoltura e
foreste, sicurezza alimentare; i) territorio e urbanistica.
L’art. 39 (Determinazione del compenso) indica quindi una finale formula di calcolo, di agevole utilizzo,
secondo la quale il compenso per la prestazione professionale «CP» è determinato, di regola, dal prodotto
tra il valore dell’opera «V», il parametro «G» corrispondente al grado di complessità delle prestazioni,
secondo le categorie dell’opera, il parametro «Q» corrispondente alla specifica prestazione o alla somma
delle specifiche prestazioni eseguite rispetto all’opera stessa, e il parametro «P», secondo l’espressione che
segue: CP=V×G×Q×P.
Di seguito lo sviluppo di un esempio.
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Nella scheda sopra riportata, viene esemplificata la procedura per la determinazione del compenso per le
prestazioni corrispondenti alla progettazione
preliminare di un edificio scolastico; nell’ordine, a partire dalla destra, nella scheda si incontrano le colonne
compilate nel procedimento di calcolo. La procedura può essere effettuata da un comune foglio di calcolo,
dal quale è estrapolata la scheda .
Definito il valore dell’opera suddiviso nelle categorie d’opera che la compongono si procede come segue:
colonne (1‐ 2) :valore dell’Opera V suddiviso per categorie :
valore complessivo € 400.000; di cui: Opere edilizie € 200.000, Opere strutturali € 80.000; impianti
meccanici € 70.000; impianti elettrici € 50.000.
colonna (3) sulla base dei precedenti importi si determinano i corrispondenti valori del parametro “P”
colonna (4) in relazione al grado di complessità si stabiliscono i valori del grado di complessità “G”
colonne (5‐6) all’interno della fase prestazionale considerata:
vengono individuate le prestazioni professionali affidate cui corrispondono specifiche incidenze “Q“
il cui totale è riportato nella colonna (7)
colonna (8) il compenso, al netto di spese, viene stabilito sommando i compensi parziali riportati nella
colonna (8) ottenuti dalla espressione riportata:
= V*P*G*ΣQ (art 39).
Tale procedura di calcolo va ripetuta per ogni prestazione svolta dal professionista. Diventa dunque
essenziale verificare la prestazione del professionista in tutte le sue componenti in modo da poter appurare
se essa è stata completa o parziale, salve ulteriori considerazioni in ordine – tipicamente – all’eventualità
che siano state richieste prestazioni aggiuntive inizialmente non previste o, quando previste, che esse, in
particolare, siano state richieste con speciali modalità e tempi. Tutto ciò, naturalmente, permetterà di
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individuare l’eventuale parzializzazione o maggiorazione del compenso così come esso scaturisce dalla sua
iniziale valutazione. Per la stessa ragione vanno individuate puntualmente tutte le categorie che
compongono l’opera, ed il loro costo.
Come norma di chiusura, si prevede che il compenso per le prestazioni non comprese nelle fasi e nelle
categorie appena indicate, è liquidato per analogia.
Per evitare invece lacune e incertezze interpretative, l’articolo 38 (consulenza, analisi e accertamento)
prevede che il compenso per le prestazioni di consulenza, analisi e accertamento, se non determinabile
analogicamente, è liquidato tenendo conto dell’impegno del professionista e dell’importanza della
prestazione.
Resta ferma anche in tali casi la concreta derogabilità dei risultati ottenuti con i parametri numerici, in
funzione dei parametri generali diversi.
Altre professioni vigilate
Si stabilisce che il compenso relativo alle prestazioni riferibili alle altre professioni vigilate dal Ministero
della giustizia, non rientranti in quelle di cui ai capi che precedono, è liquidato dall’organo giurisdizionale
per analogia alle altre disposizioni del decreto, ferma restando la valutazione del valore e della natura delle
prestazioni, del numero e dell’importanza delle questioni trattate, del pregio dell’opera prestata, dei
risultati e dei vantaggi, anche non economici, conseguiti dal cliente, dell’eventuale urgenza della
prestazione.
Disposizione transitoria
Le disposizioni di cui al decreto si applicheranno alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore.
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DECRETO del MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
20 LUGLIO 2012, N. 140
(pubbl. in Gazz. Uff. n. 195 del 22 agosto 2012)
Tabella A – Attività giudiziaria civile
TRIBUNALE ORDINARIO E ORGANO DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO
SCAGLIONE FINO A EURO 25.000
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Fase istruttoria
Fase decisoria
mobiliare
Fase esecutiva
immobiliare
Valore medio di liquidazione
euro 550; aumento: fino a +60%;
diminuzione: fino a -50%
Valore medio di liquidazione:
euro 300; aumento: fino a +60%;
diminuzione: fino a -50%
Valore medio di liquidazione:
euro 550; aumento: fino a
+150%; diminuzione: fino a -70%
Valore medio di liquidazione:
euro 700; aumento: fino a +60%;
diminuzione: fino a -50%
Valore medio di liquidazione:
euro 400; aumento fino a +60%;
diminuzione: fino a -50%
Valore medio di liquidazione:
euro 900; aumento: fino a +60%;
diminuzione: fino a -50%
IMPORTI IN EURO
minimo
medio
massimo
275
550
880
150
300
480
165
550
1.375
350
700
1.120
200
400
640
450
900
1.440
SCAGLIONE DI RIFERIMENTO: VALORE DELLA CAUSA TRA EURO 25.001 ED EURO 50.000
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Fase istruttoria
Fase decisoria
Fase esecutiva
mobiliare
Valore medio di liquidazione
euro 1.200; aumento: fino a
+60%; diminuzione: fino a -50%
Valore medio di liquidazione:
euro 600; aumento: fino a +60%;
diminuzione: fino a -50%
Valore medio di liquidazione:
euro 1.200; aumento: fino a
+150%; diminuzione: fino a -70%
Valore medio di liquidazione:
euro 1.500; aumento: fino a
+60%; diminuzione: fino a -50%
Valore medio di liquidazione:
euro 800; aumento fino a +60%;
diminuzione: fino a -50%
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IMPORTI IN EURO
minimo
medio
massimo
600
1.200
1.920
300
600
960
360
1.200
3.000
750
1.500
2.400
400
800
1.280
immobiliare
Valore medio di liquidazione:
euro 1.800; aumento: fino a
+60%; diminuzione: fino a -50%
900
1.800
2.880
SCAGLIONE DA EURO 50.001 A EURO 100.000
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Fase istruttoria
Fase decisoria
mobiliare
Fase esecutiva
immobiliare
Valore medio di liquidazione
euro 1.900; aumento: fino a
+60%; diminuzione: fino a -50%
Valore medio di liquidazione:
euro 1.000; aumento: fino a
+60%; diminuzione: fino a -50%
Valore medio di liquidazione:
euro 2.000; aumento: fino a
+150%; diminuzione: fino a -70%
Valore medio di liquidazione:
euro 2.600; aumento: fino a
+60%; diminuzione: fino a -50%
Valore medio di liquidazione:
euro 1.300; aumento fino a
+60%; diminuzione: fino a -50%
Valore medio di liquidazione:
euro 2.900; aumento: fino a
+60%; diminuzione: fino a -50%
IMPORTI IN EURO
minimo
medio
massimo
950
1.900
3.040
500
1.000
1.600
600
2.000
5.000
1.300
2.600
4.160
650
1.300
2.080
1.450
2.900
4.640
SCAGLIONE DA EURO 100.001 A EURO 500.000
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Fase istruttoria
Fase decisoria
mobiliare
Fase esecutiva
immobiliare
Valore medio di liquidazione
euro 3.250; aumento: fino a
+60%; diminuzione: fino a -50%
Valore medio di liquidazione:
euro 1.650; aumento: fino a
+60%; diminuzione: fino a -50%
Valore medio di liquidazione:
euro 3.250; aumento: fino a
+150%; diminuzione: fino a -70%
Valore medio di liquidazione:
euro 4.050; aumento: fino a
+60%; diminuzione: fino a -50%
Valore medio di liquidazione:
euro 2.100; aumento fino a
+60%; diminuzione: fino a -50%
Valore medio di liquidazione:
euro 4.800; aumento: fino a
+60%; diminuzione: fino a -50%
IMPORTI IN EURO
minimo
medio
massimo
1.625
3.250
5.200
825
1.650
2.640
975
3.250
7.475
2.025
4.050
6.480
1.050
2.100
3.360
2.400
4.800
7.680
SCAGLIONE DA EURO 500.001 A EURO 1.500.000
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Valore medio di liquidazione
euro 5.400; aumento: fino a
- 44 -
IMPORTI IN EURO
minimo
medio
massimo
2.700
5.400
8.640
Fase introduttiva
Fase istruttoria
Fase decisoria
mobiliare
Fase esecutiva
immobiliare
+60%; diminuzione: fino a -50%
Valore medio di liquidazione:
euro 2.700; aumento: fino a
+60%; diminuzione: fino a -50%
Valore medio di liquidazione:
euro 5.400; aumento: fino a
+150%; diminuzione: fino a -70%
Valore medio di liquidazione:
euro 6.750; aumento: fino a
+60%; diminuzione: fino a -50%
Valore medio di liquidazione:
euro 3.600; aumento fino a
+60%; diminuzione: fino a -50%
Valore medio di liquidazione:
euro 8.100; aumento: fino a
+60%; diminuzione: fino a -50%
1.350
2.700
4.320
1.620
5.400
10.800
3.375
6.750
10.800
1.800
3.600
5.760
4.050
8.100
12.960
SCAGLIONE SUPERIORE A 1.500.000
PARAMETRI
Si tiene conto dei valori di liquidazione riferiti di regola allo scaglione precedente, applicando i
parametri:
- art. 4, comma 2: valore e della natura e complessità della controversia, numero e dell’importanza
delle questioni trattate, con valutazione complessiva anche a seguito di riunione delle cause,
dell’eventuale urgenza della prestazione;
- art. 4, comma 3: pregio dell’opera prestata, risultati del giudizio e dei vantaggi, anche non
patrimoniali, conseguiti dal cliente;
- art. 4, comma 4: qualora l’avvocato difenda più persone con la stessa posizione processuale, il
compenso unico può essere aumentato fino al doppio. Lo stesso parametro di liquidazione si
applica quando l’avvocato difende una parte contro più parti. Nel caso di controversie a norma
dell’art. 140-bis del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, il compenso può essere aumentato
fino al triplo, rispetto a quello liquidabile a norma dell’art. 11;
art. 4, comma 5: quando il procedimento si conclude con una conciliazione, il compenso è
aumentato fino al 25 per cento rispetto a quello liquidabile a norma dell’articolo 11.
VALORE INDETERMINATO O INDETERMINABILE
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Fase istruttoria
Fase decisoria
Valore medio di liquidazione
corrispondente a quello dello
scaglione
di
riferimento,
aumentato fino al 150% ovvero
diminuito fino al 50%
- 45 -
IMPORTI IN EURO
minimo
600
300
600
750
medio
1.200
600
1.200
1.500
massimo
3.000
1.500
3.000
3.750
GIUDICE DI PACE
SCAGLIONE FINO A EURO 5.000
FASI
Fase di studio
Fase introduttiva
Fase istruttoria
Fase decisoria
PARAMETRI
Valore medio di liquidazione
euro 300; aumento: fino a +50%;
diminuzione: fino a -60%
Valore medio di liquidazione:
euro 150; aumento: fino a +50%;
diminuzione: fino a -60%
Valore medio di liquidazione:
euro 300; aumento: fino a
+100%; diminuzione: fino a -80%
Valore medio di liquidazione:
euro 400; aumento: fino a +30%;
diminuzione: fino a -70%
IMPORTI IN EURO
minimo
medio
massimo
120
300
450
60
150
225
60
300
600
120
400
520
SCAGLIONE DA EURO 5.001
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Fase istruttoria
Fase decisoria
Valore medio di liquidazione
corrispondente a quello dello
scaglione previsto per il tribunale
diminuito del 40%
- 46 -
IMPORTI IN EURO
minimo
165
90
99
210
medio
330
180
330
420
massimo
528
288
825
672
CORTE DI APPELLO, ORGANI DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO,
ORGANI DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA E CONTABILE DI PRIMO GRADO
SCAGLIONE FINO A EURO 25.000
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Fase istruttoria
Fase decisoria
Valore medio di liquidazione
corrispondente a quello dello
scaglione
previsto per il
tribunale, aumentato del 20%
IMPORTI IN EURO
minimo
330
180
198
420
medio
660
360
660
840
massimo
1.056
576
1.650
1.344
SCAGLIONE DA EURO 25.001 EA EURO 50.000
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Fase istruttoria
Fase decisoria
Valore medio di liquidazione
corrispondente a quello dello
scaglione
previsto per il
tribunale, aumentato del 20%
IMPORTI IN EURO
minimo
720
360
432
900
medio
1.440
720
1.440
1.800
massimo
2.304
1.152
3.600
2.880
SCAGLIONE DA EURO 50.001 A EURO 100.000
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Fase istruttoria
Fase decisoria
Valore medio di liquidazione
corrispondente a quello dello
scaglione
previsto per il
tribunale, aumentato del 20%
IMPORTI IN EURO
minimo
1.140
600
720
1.560
medio
2.280
1.200
2.400
3.120
massimo
3.648
1.920
6.000
4.992
SCAGLIONE DA EURO 100.001 A EURO 500.000
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Fase istruttoria
Fase decisoria
Valore medio di liquidazione
corrispondente a quello dello
scaglione
previsto per il
tribunale, aumentato del 20%
IMPORTI IN EURO
minimo
1.950
990
1.170
2.430
medio
3.900
1.980
3.900
4.860
massimo
6.240
3.168
8.970
7.776
SCAGLIONE DA EURO 500.001 A EURO 1.500.000
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Fase istruttoria
Fase decisoria
Valore medio di liquidazione
corrispondente a quello dello
scaglione
previsto per il
tribunale, aumentato del 20%
IMPORTI IN EURO
minimo
3.240
1.620
1.944
4.050
medio
6.480
3.240
6.480
8.100
Massimo
10.368
5.184
12.960
12.960
SCAGLIONE SUPERIORE A 1.500.000
PARAMETRI
Si tiene conto dei valori di liquidazione riferiti di regola allo scaglione precedente, applicando i
parametri:
- art. 4, comma 2: valore e della natura e complessità della controversia, numero e dell’importanza
- 47 -
delle questioni trattate, con valutazione complessiva anche a seguito di riunione delle cause,
dell’eventuale urgenza della prestazione;
- art. 4, comma 3: pregio dell’opera prestata, risultati del giudizio e dei vantaggi, anche non
patrimoniali, conseguiti dal cliente;
- art. 4, comma 4: qualora l’avvocato difenda più persone con la stessa posizione processuale, il
compenso unico può essere aumentato fino al doppio. Lo stesso parametro di liquidazione si
applica quando l’avvocato difende una parte contro più parti. Nel caso di controversie a norma
dell’art. 140-bis del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, il compenso può essere aumentato
fino al triplo, rispetto a quello liquidabile a norma dell’art. 11;
art. 4, comma 5: quando il procedimento si conclude con una conciliazione, il compenso è
aumentato fino al 25 per cento rispetto a quello liquidabile a norma dell’articolo 11.
SCAGLIONE DI VALORE INDETERMINATO O INDETERMINABILE
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Fase istruttoria
Fase decisoria
Valore medio di liquidazione
corrispondente a quello dello
scaglione
di
riferimento,
aumentato fino al 150% ovvero
diminuito fino al 50%
- 48 -
IMPORTI IN EURO
minimo
720
360
720
900
medio
1.440
720
1.440
1.800
massimo
3.600
1.800
3.600
4.500
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE, MAGISTRATURE SUPERIORI, COMPRESO IL
TRIBUNALE DI PRIMA ISTANZA DELL'UNIONE EUROPEA
SCAGLIONE FINO A EURO 25.000
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Variazione del valore medio di
liquidazione: -55% rispetto allo
scaglione di riferimento; stesse
variazioni percentuali in aumento
o diminuzione
Fase decisoria
IMPORTI IN EURO
minimo
360
225
medio
720
450
massimo
1.224
720
427
855
1.453
SCAGLIONE DI RIFERIMENTO: VALORE DELLA CAUSA TRA EURO 25.001 ED EURO 50.000
FASI
Fase di studio
Fase introduttiva
Fase decisoria
PARAMETRI
Valore medio di liquidazione
euro 1.600; aumento: fino a
+70%; diminuzione fino a -50%
Valore medio di liquidazione
euro 1.000; aumento: fino a
+60%; diminuzione: fino a -50%
Valore medio di liquidazione
euro 1.900; aumento: fino a
+70%; diminuzione: fino a -50%
IMPORTI IN EURO
minimo
medio
massimo
800
1.600
2.720
500
1.000
1.600
950
1.900
3.230
SCAGLIONE DA EURO 50.001 A EURO 100.000
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Variazione del valore medio di
liquidazione: +65% rispetto allo
scaglione di riferimento; stesse
variazioni percentuali in aumento
o diminuzione
Fase decisoria
IMPORTI IN EURO
minimo
1.320
825
medio
2.640
1.650
massimo
4.488
2.640
1.567
3.135
5.329
SCAGLIONE DA EURO 100.001 A EURO 500.000
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Variazione del valore medio di
liquidazione: +170% rispetto allo
scaglione di riferimento; stesse
variazioni percentuali in aumento
o diminuzione
Fase decisoria
IMPORTI IN EURO
minimo
2.160
1.350
medio
4.320
2.700
massimo
7.344
4.320
2.565
5.130
8.721
SCAGLIONE DA EURO 500.001 A EURO 1.500.000
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Variazione del valore medio di
liquidazione: +350% rispetto allo
scaglione di riferimento; stesse
variazioni percentuali in aumento
o diminuzione
Fase decisoria
- 49 -
IMPORTI IN EURO
minimo
3.600
2.250
medio
7.200
4.500
massimo
12.240
7.200
4.275
8.550
14.535
SCAGLIONE SUPERIORE A 1.500.000
PARAMETRI
Si tiene conto dei valori di liquidazione riferiti di regola allo scaglione precedente, applicando i
parametri:
- art. 4, comma 2: valore e della natura e complessità della controversia, numero e dell’importanza
delle questioni trattate, con valutazione complessiva anche a seguito di riunione delle cause,
dell’eventuale urgenza della prestazione;
- art. 4, comma 3: pregio dell’opera prestata, risultati del giudizio e dei vantaggi, anche non
patrimoniali, conseguiti dal cliente;
- art. 4, comma 4: qualora l’avvocato difenda più persone con la stessa posizione processuale, il
compenso unico può essere aumentato fino al doppio. Lo stesso parametro di liquidazione si
applica quando l’avvocato difende una parte contro più parti. Nel caso di controversie a norma
dell’art. 140-bis del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, il compenso può essere aumentato
fino al triplo, rispetto a quello liquidabile a norma dell’art. 11;
art. 4, comma 5: quando il procedimento si conclude con una conciliazione, il compenso è
aumentato fino al 25 per cento rispetto a quello liquidabile a norma dell’articolo 11.
SCAGLIONE DI VALORE INDETERMINATO O INDETERMINABILE
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Valore medio di liquidazione
corrispondente a quello dello
scaglione
di
riferimento,
aumentato fino al +150% ovvero
diminuito fino al -50%
Fase decisoria
- 50 -
IMPORTI IN EURO
minimo
800
500
medio
1.600
1.000
massimo
4.000
2.500
950
1.900
4.750
CORTE COSTITUZIONALE, E ALTRI ORGANI DI GIUSTIZIA SOVRANAZIONALI
SCAGLIONE FINO A EURO 25.000
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Variazione del valore medio di
liquidazione: -55% rispetto allo
scaglione di riferimento; stesse
variazioni percentuali in aumento
o diminuzione
Fase decisoria
IMPORTI IN EURO
minimo
382
247
medio
765
495
massimo
1.300
792
450
900
1.530
SCAGLIONE DI RIFERIMENTO: VALORE DELLA CAUSA TRA EURO 25.001 ED EURO 50.000
FASI
Fase di studio
Fase introduttiva
Fase decisoria
PARAMETRI
Valore medio di liquidazione
euro 1.700; aumento: fino a
+70%; diminuzione fino a -50%
Valore medio di liquidazione
euro 1.100; aumento: fino a
+60%; diminuzione: fino a -50%
Valore medio di liquidazione
euro 2.000; aumento: fino a
+70%; diminuzione: fino a -50%
IMPORTI IN EURO
minimo
medio
massimo
850
1.700
2.890
550
1.100
1.760
1.000
2.000
3.400
SCAGLIONE DA EURO 50.001 A EURO 100.000
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Variazione del valore medio di
liquidazione: +65% rispetto allo
scaglione di riferimento; stesse
variazioni percentuali in aumento
o diminuzione
Fase decisoria
IMPORTI IN EURO
minimo
1.402
907
medio
2.805
1.815
massimo
4.768
2.904
1.650
3.300
5.610
SCAGLIONE DA EURO 100.001 A EURO 500.000
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Variazione del valore medio di
liquidazione: +170% rispetto allo
scaglione di riferimento; stesse
variazioni percentuali in aumento
o diminuzione
Fase decisoria
IMPORTI IN EURO
minimo
2.295
1.485
medio
4.590
2.970
massimo
7.803
4.752
2.700
5.400
9.180
SCAGLIONE DA EURO 500.001 A EURO 1.500.000
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Variazione del valore medio di
liquidazione: +350% rispetto allo
scaglione di riferimento; stesse
variazioni percentuali in aumento
o diminuzione
Fase decisoria
- 51 -
IMPORTI IN EURO
minimo
3.825
2.475
medio
7.650
4.950
massimo
13.005
7.920
4.500
9.000
15.300
SCAGLIONE SUPERIORE A 1.500.000
PARAMETRI
Si tiene conto dei valori di liquidazione riferiti di regola allo scaglione precedente, applicando i
parametri:
- art. 4, comma 2: valore e della natura e complessità della controversia, numero e dell’importanza
delle questioni trattate, con valutazione complessiva anche a seguito di riunione delle cause,
dell’eventuale urgenza della prestazione;
- art. 4, comma 3: pregio dell’opera prestata, risultati del giudizio e dei vantaggi, anche non
patrimoniali, conseguiti dal cliente;
- art. 4, comma 4: qualora l’avvocato difenda più persone con la stessa posizione processuale, il
compenso unico può essere aumentato fino al doppio. Lo stesso parametro di liquidazione si
applica quando l’avvocato difende una parte contro più parti. Nel caso di controversie a norma
dell’art. 140-bis del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, il compenso può essere aumentato
fino al triplo, rispetto a quello liquidabile a norma dell’art. 11;
art. 4, comma 5: quando il procedimento si conclude con una conciliazione, il compenso è
aumentato fino al 25 per cento rispetto a quello liquidabile a norma dell’articolo 11.
SCAGLIONE DI VALORE INDETERMINATO O INDETERMINABILE
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Valore medio di liquidazione
corrispondente a quello dello
scaglione
di
riferimento,
aumentato fino al +150% ovvero
diminuito fino al -50%
Fase decisoria
- 52 -
IMPORTI IN EURO
minimo
850
550
medio
1.700
1.100
massimo
4.250
2.750
1.000
2.000
5.000
PROCEDIMENTO D’INGIUNZIONE
SCAGLIONE
Intero
procedimento
Scaglione fino a 5.000
Scaglione da 5.000,01 a 500.000
Scaglione da 500.000,01 a 1.500.000
Scaglione superiore a 1.500.000
- 53 -
IMPORTI IN EURO
minimo
massimo
50
700
400
2.000
1.000
2.500
Si tiene conto dei valori di
liquidazione riferiti di regola
allo scaglione precedente,
applicando i parametri:
- art. 4, comma 2: valore e della
natura e complessità della
controversia,
numero
e
dell’importanza delle questioni
trattate,
con
valutazione
complessiva anche a seguito di
riunione
delle
cause,
dell’eventuale urgenza della
prestazione;
- art. 4, comma 3: pregio
dell’opera prestata, risultati del
giudizio e dei vantaggi, anche
non patrimoniali, conseguiti dal
cliente;
- art. 4, comma 4: qualora
l’avvocato difenda più persone
con
la stessa posizione
processuale, il compenso unico
può essere aumentato fino al
doppio. Lo stesso parametro di
liquidazione si applica quando
l’avvocato difende una parte
contro più parti. Nel caso di
controversie a norma dell’art.
140-bis del decreto legislativo 6
settembre 2005, n. 206, il
compenso
può
essere
aumentato fino al triplo,
rispetto a quello liquidabile a
norma dell’art. 11;
- art. 4, comma 5: quando il
procedimento si conclude con
una conciliazione, il compenso
è aumentato fino al 25 per
cento
rispetto
a
quello
liquidabile
a
norma
dell’articolo 11.
PRECETTO
SCAGLIONE
Intero
procedimento
Scaglione fino a 5.000
Scaglione da 5.000,01 a 500.000
Scaglione da 500.000,01 a 1.500.000
Scaglione oltre i 1.500.000
IMPORTI IN EURO
minimo
20
150
400
700
massimo
100
350
600
900
PROCEDIMENTO DI ESPROPRIAZIONE PRESSO TERZI E PER CONSEGNA O RILASCIO
Intero
procedimento
PARAMETRI
SCAGLIONE
Diminuzione del 10%
del valore medio di
liquidazione relativo ai
procedimenti esecutivi
mobiliari,
con
i
medesimi aumenti e
diminuzioni
Scaglione fino a
25.000
Scaglione da
25.000,01 a 50.000
Scaglione da
50.000,01 a
100.000
Scaglione da
100.000,01 a
500.000
Scaglione da
500.000,01 a
1.500.000
Scaglione superiore a
1.500.000
- 54 -
IMPORTI IN EURO
minimo
medio
massimo
180
360
576
360
720
1.152
585
1.170
1.872
945
1.890
3.024
1.620
3.240
5.184
Si tiene conto dei valori di
liquidazione riferiti di regola
allo scaglione precedente,
applicando i parametri:
- art. 4, comma 2: valore e
della natura e complessità della
controversia,
numero
e
dell’importanza delle questioni
trattate,
con
valutazione
complessiva anche a seguito di
riunione
delle
cause,
dell’eventuale urgenza della
prestazione;
- art. 4, comma 3: pregio
dell’opera prestata, risultati del
giudizio e dei vantaggi, anche
non patrimoniali, conseguiti
dal cliente;
- art. 4, comma 4: qualora
l’avvocato difenda più persone
con la stessa posizione
processuale, il compenso unico
può essere aumentato fino al
doppio. Lo stesso parametro di
liquidazione si applica quando
l’avvocato difende una parte
contro più parti. Nel caso di
controversie a norma dell’art.
140-bis del decreto legislativo
6 settembre 2005, n. 206, il
compenso
può
essere
aumentato fino al triplo,
rispetto a quello liquidabile a
norma dell’art. 11;
- art. 4, comma 5: quando il
procedimento si conclude con
una conciliazione, il compenso
è aumentato fino al 25 per
cento
rispetto
a
quello
liquidabile
a
norma
dell’articolo 11.
AFFARI TAVOLARI
Intero
procedimento
PARAMETRI
SCAGLIONE
Diminuzione del 20%
del valore medio di
liquidazione relativo ai
procedimenti esecutivi
mobiliari, con i
medesimi aumenti e
diminuzioni
Scaglione fino a
25.000
Scaglione da
25.000,01 a 50.000
Scaglione da
50.000,01 a
100.000
Scaglione da
100.000,01 a
500.000
Scaglione da
500.000,01 a
1.500.000
Scaglione superiore a
1.500.000
- 55 -
IMPORTI IN EURO
minimo
medio
massimo
160
320
512
320
640
1.024
520
1.040
1.664
840
1.680
2.688
1.440
2.880
4.608
Si tiene conto dei valori di
liquidazione riferiti di regola
allo scaglione precedente,
applicando i parametri:
- art. 4, comma 2: valore e
della natura e complessità della
controversia,
numero
e
dell’importanza delle questioni
trattate,
con
valutazione
complessiva anche a seguito di
riunione
delle
cause,
dell’eventuale urgenza della
prestazione;
- art. 4, comma 3: pregio
dell’opera prestata, risultati del
giudizio e dei vantaggi, anche
non patrimoniali, conseguiti
dal cliente;
- art. 4, comma 4: qualora
l’avvocato difenda più persone
con la stessa posizione
processuale, il compenso unico
può essere aumentato fino al
doppio. Lo stesso parametro di
liquidazione si applica quando
l’avvocato difende una parte
contro più parti. Nel caso di
controversie a norma dell’art.
140-bis del decreto legislativo
6 settembre 2005, n. 206, il
compenso
può
essere
aumentato fino al triplo,
rispetto a quello liquidabile a
norma dell’art. 11;
- art. 4, comma 5: quando il
procedimento si conclude con
una conciliazione, il compenso
è aumentato fino al 25 per
cento
rispetto
a
quello
liquidabile
a
norma
dell’articolo 11.
- 56 -
Tabella A – Attività giudiziaria penale
TRIBUNALE MONOCRATICO E MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA
FASI
Fase di studio
Fase introduttiva
Fase istruttoria
Fase decisoria
Fase esecutiva
PARAMETRI
Valore medio di liquidazione
euro 300; aumento: fino a
+300%; diminuzione: fino a -50%
Valore medio di liquidazione:
euro 600; aumento: fino a +50%;
diminuzione: fino a -50%
Valore medio di liquidazione:
euro 900; aumento: fino a
+100%; diminuzione: fino a -70%
Valore medio di liquidazione:
euro 900; aumento: fino a +50%;
diminuzione: fino a -70%
Euro 20 per ogni ora o frazione di
ora, con aumento o diminuzione
del 50%
IMPORTI IN EURO
minimo
medio
massimo
150
300
1.200
300
600
900
270
900
1.800
270
900
1.350
10
20
30
GIUDICE DI PACE
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Fase istruttoria
Fase decisoria
Fase esecutiva
(compenso orario)
Valore medio di liquidazione
corrispondente a quello previsto
per il tribunale monocratico,
diminuito del 20%
IMPORTI IN EURO
minimo
120
240
216
216
medio
240
480
720
720
massimo
960
720
1.440
1.080
8
16
24
GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI O DELL’UDIENZA PRELIMINARE
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Fase istruttoria
Fase decisoria
Fase esecutiva
(compenso orario)
Valore medio di liquidazione
corrispondente a quello previsto
per il tribunale monocratico,
aumentato del 20%
- 57 -
IMPORTI IN EURO
minimo
180
360
324
324
medio
360
720
1.080
1.080
massimo
1.440
1.080
2.160
1.620
12
24
36
TRIBUNALE COLLEGIALE
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Fase istruttoria
Fase decisoria
Fase esecutiva
(compenso orario)
Valore medio di liquidazione
corrispondente a quello previsto
per il tribunale monocratico,
aumentato del 30%
IMPORTI IN EURO
minimo
195
390
351
351
medio
390
780
1.170
1.170
massimo
1.560
1.170
2.340
1.755
13
26
39
CORTE D’ASSISE
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Fase istruttoria
Fase decisoria
Fase esecutiva
(compenso orario)
Valore medio di liquidazione
corrispondente a quello previsto
per il tribunale monocratico,
aumentato del 150%
IMPORTI IN EURO
minimo
375
750
675
675
medio
750
1.500
2.250
2.250
massimo
3.000
2.250
4.500
3.375
25
50
75
CORTE D’APPELLO E TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Fase istruttoria
Fase decisoria
Fase esecutiva
(compenso orario)
Valore medio di liquidazione
corrispondente a quello previsto
per il tribunale monocratico,
aumentato del 60%
IMPORTI IN EURO
minimo
240
480
432
432
medio
480
960
1.440
1.440
massimo
1.920
1.440
2.880
2.160
16
32
48
CORTE D’ASSISE D’APPELLO
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Fase istruttoria
Fase decisoria
Fase esecutiva
(compenso orario)
Valore medio di liquidazione
corrispondente a quello previsto
per il tribunale monocratico,
aumentato del 160%
- 58 -
IMPORTI IN EURO
minimo
390
780
702
702
medio
780
1.560
2.340
2.340
massimo
3.120
2.340
4.680
3.510
26
52
78
MAGISTRATURE SUPERIORI
FASI
PARAMETRI
Fase di studio
Fase introduttiva
Fase istruttoria
Fase decisoria
Fase esecutiva
(compenso orario)
Valore medio di liquidazione
corrispondente a quello previsto
per il tribunale monocratico,
aumentato del 220%
- 59 -
IMPORTI IN EURO
minimo
480
960
864
864
medio
960
1.920
2.880
2.880
massimo
3.840
2.880
5.760
4.320
32
64
96
- 60 -
A.C. 3900-A
S. 601-711-1171-1198 – Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense (Approvata, in un testo
unificato, dal Senato).
Relatore: CASSINELLI.
Testo dell’art. 13
approvato dall’Assemblea della Camera il 9 ottobre 2012
ART. 13. – (Conferimenti dell'incarico).
1. L'avvocato può esercitare l'incarico professionale anche a proprio favore. L'incarico può essere svolto a titolo gratuito.
2. Il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale.
3. La pattuizione dei compensi è libera: è ammessa la pattuizione a tempo, in misura forfettaria, per convenzione avente ad
oggetto uno o più affari, in base all'assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per
l'intera attività, a percentuale sul valore dell'affare o su quanto si prevede possa giovarsene non soltanto a livello strettamente
patrimoniale il destinatario della prestazione.
4. Sono vietati i patti con i quali l'avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della
prestazione o della ragione litigiosa.
5. Il professionista è tenuto, nel rispetto del principio di trasparenza, a rendere noto al cliente il livello della complessità
dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione
dell'incarico; a richiesta è altresì tenuto a comunicare in forma scritta a colui che conferisce l'incarico professionale la prevedibile
misura del costo della prestazione, distinguendo fra oneri, spese anche forfettarie e compenso professionale.
6. I parametri indicati nel decreto emanato dal ministro della giustizia, su proposta del Consiglio nazionale forense ogni due anni,
ai sensi dell'articolo 1, comma 3, si applicano quando all'atto dell'incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato
in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi, e nei casi in cui
la prestazione professionale è resa nell'interesse dei terzi o per prestazioni officiose previste dalla legge.
7. I parametri sono formulati in modo da favorire la trasparenza nella determinazione dei compensi dovuti per le prestazioni
professionali e l'unitarietà e la semplicità nella determinazione dei compensi.
8. Quando una controversia oggetto di procedimento giudiziale o arbitrale viene definita mediante accordi presi in qualsiasi
forma, le parti sono solidalmente tenute al pagamento dei compensi e dei rimborsi delle spese a tutti gli avvocati costituiti che hanno
prestato la loro attività professionale negli ultimi tre anni e che risultino ancora creditori, salvo espressa rinuncia al beneficio della
solidarietà.
9. In mancanza di accordo tra avvocato e cliente, ciascuno di essi può rivolgersi al consiglio dell'ordine affinché esperisca un
tentativo di conciliazione. In mancanza di accordo il consiglio, su richiesta dell'iscritto può rilasciare un parere sulla congruità della
pretesa dell'avvocato in relazione all'opera prestata.
10. Oltre al compenso per la prestazione professionale all'avvocato è dovuta, sia dal cliente in caso di determinazione
contrattuale, sia in sede di liquidazione giudiziale, oltre al rimborso delle spese effettivamente sostenute e di tutti gli oneri e
contributi eventualmente anticipati nell'interesse del cliente, una somma per il rimborso delle spese forfettarie la cui misura massima
è determinata dal decreto di cui al comma 6, unitamente ai criteri di determinazione e documentazione delle spese vive.
- 61 -
- 62 -
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
Ufficio studi
OSSERVAZIONI SULLA BOZZA DI DM RECANTE PARAMETRI
(Roma, 2 luglio 2012)
Premessa.
L’art. 9 del decreto legge 1/2012, conv. in legge n. 27/2012 dispone l’abrogazione delle
tariffe professionali vigenti e l’adozione di parametri tramite decreto ministeriale, ciò al fine di
consentire la liquidazione giudiziale dei compensi.
In sede di conversione in legge, il legislatore ha introdotto una disciplina transitoria che
consente l’applicazione delle tariffe fino alla data di entrata in vigore “dei decreti ministeriali di cui
al comma 2, e, comunque, non oltre il centoventesimo giorno dalla di entrata in vigore della legge
di conversione” (art. 9, comma 3, DL cit.).
Le tariffe professionali, ed in particolare la tariffa forense (DM 127/2004), sono, dunque,
ancora produttive di effetti e (seppur temporaneamente) applicabili; d’altra parte, i parametri in
corso di adozione, dal punto di vista funzionale, altro non sono che un sistema tariffario indicante
un insieme di valori di riferimento cui in primo luogo il giudice, ma anche i privati, potranno fare
riferimento (è stata infatti rimossa, per la sua evidente irrazionalità la disposizione che vietava di
utilizzare i parametri nei rapporti tra privati1) per determinare il compenso. A seguito della legge
248/2006 (cd. Bersani), infatti, una volta rimossa l’inderogabilità dei minimi, anche le tariffe
forensi non indicavano altro che valori di riferimento per consentire di determinare il compenso,
ferma restando la sua libera determinazione sulla base della volontà delle parti. Al di là dei
nominalismi, dunque, è evidente una sostanziale equivalenza di tariffe e parametri, sul piano della
loro comune funzione. Del resto, si consideri che nella parte normativa della bozza di decreto in
commento sono esposte regole di liquidazione, di determinazione del valore della controversia, etc.
in tutto e per tutto simili, se non identiche, a quelle contenute nella parte normativa del DM
127/2004 col quale sono state approvate le tariffe forensi.
Quest’ultime, poi, pur formalmente abrogate, resteranno applicabili anche dopo il termine
del periodo transitorio limitatamente ai diritti per le prestazioni rese prima della loro abrogazione,
giusta l’insegnamento della Corte di Cassazione secondo cui “il giudice, quando liquida le spese
processuali e, in particolare, i diritti di procuratore e gli onorari dell’avvocato, deve tenere conto
che i primi sono regolati dalla tariffa in vigore al momento del compimento dei singoli atti, mentre
per i secondi vige la tariffa in vigore al momento in cui l’opera è portata a termine e,
conseguentemente, nel caso di successione di tariffe, deve applicare quella sotto la cui vigenza la
1
Nella versione originaria del decreto veniva sanzionata con la nullità di protezione ex art. 36 D. Lgs. n. 206/05
l’utilizzazione dei parametri nei contratti tra professionista e consumatore o microimpresa , nullità relativa tuttavia
espunta dal Senato in sede di conversione . È infatti prevalsa la ragionevolezza: sull’ansia di non far rientrare dalla
finestra del parametro le tariffe appena uscite dalla porta (dell’abrogazione) il Governo aveva infatti introdotto una
misura francamente bizzarra: le parti non potevano riferirsi ai parametri nell’ambito della loro autonomia privata, ma in
caso di controversia, il giudice avrebbe dovuto impiegare quegli stessi parametri che le parti avevano avuto il divieto, a
pena di nullità, di richiamare! Deve ritenersi dunque che resti pienamente legittimo e rimesso all’autonomia contrattuale
il ricorso ai parametri nei contratti tra professionista e cliente. Il ricorso ai parametri, inoltre, può rivelarsi di utilità nella
prevenzione del contenzioso, dal momento che professionista e cliente anticipano in sede di pattuizione del compenso i
criteri di valutazione della prestazione che saranno eventualmente utilizzati dal giudice.
- 63 -
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
Ufficio studi
prestazione o l’attività difensiva si è esaurita” (Cass. 8160/2001). Quanto sopra in base
all’assorbente argomentazione che “gli onorari di avvocato, in considerazione del carattere unitario
dell’attività difensiva, devono essere liquidati in base alla tariffa in vigore nel momento in cui
l’opera complessiva è stata condotta a termine, con l’esaurimento o la cessazione dell’incarico
professionale” (Cass. 1010/1996; Id. 6275/ 1988).
Di diverso, ora, oltre al procedimento di elaborazione dei parametri che muove da
un’iniziativa ministeriale, vi è che la determinazione puntuale dei valori numerici esposti nelle
tariffe era frutto di un’attenta istruttoria con puntuale giustificazione, a differenza dei parametri
laddove i numeri paiono frutto di determinazione apodittica, priva di qualsiasi pur minima
giustificazione e senza alcun aggancio con i valori delle precedenti tariffe.
Anzi, l’obiettivo che traspare in modo evidente dall’analisi dei risultati economici cui
l’applicazione dei parametri conduce, è quello della diminuzione quantitativa del compenso di
spettanza dell’avvocato, come si evince con chiarezza dal confronto di cui infra si darà conto dei
risultati ottenibili applicando alle stesse attività professionali vecchie tariffe e nuovi parametri.
Sennonché non è questo l’obiettivo che il legislatore intendeva perseguire con l’introduzione
della categoria logico/giuridica dei parametri, sibbene l’altro – del resto evidenziato e richiamato
nella parte relativa all’analisi dell’impatto della nuova regola – consistente nel favorire la
prevedibilità dei costi del servizio e, per tal via, la stipula di accordi per la determinazione del
compenso tra professionista e cliente. Si tratta, perciò, di un obiettivo eccentrico rispetto a quanto
previsto dallo stesso legislatore.
IN PARTICOLARE: LE CRITICITÀ RISCONTRATE
1. Eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione.
Le tabelle A e B allegate alla bozza e riferite al compenso degli avvocati presentano dei
valori monetari qualificati come espressivi di un valore medio di liquidazione, soggetti ad aumento
o diminuzione da parte del giudice ; essi si collegano ad un determinato scaglione e sono riferiti a
macrofasi processuali (fase di studio, fase introduttiva, fase istruttoria, fase decisoria, fase
esecutiva).
Non vi è traccia di una benché minima motivazione che consenta di apprezzare in quale
modo il ministero sia giunto ad indicare un determinato valore piuttosto che un altro.
Che sussista, invece, un’esigenza di esplicitazione dell’iter logico seguito, si ricava
dall’analisi che il Consiglio di Stato in sede consultiva effettuò quando si trattò di controllare la
bozza del DM 127/2004 col quale furono poi approvate le vigenti tariffe forensi; in quel caso il
Consiglio di Stato chiese giustamente conto al Ministero del percorso logico e dei calcoli effettuati,
non prima di avere ammonito che l’istituto tariffario “non assolve solo all’esigenza di tutela dei
professionisti da una concorrenza sregolata ed abusiva, ma tutela anche gli utenti del servizio
forense sul piano della trasparenza e del contenimento delle pretese patrimoniali degli stessi
professionisti” (Consiglio di Stato, sez. consultiva atti normativi - parere 26 gennaio 2004 n.
4061/03 - Pres. de Lise, Est. Pozzi, pag. 10).
Ciò significa che l’amministrazione deve illustrare le ragioni, il percorso logico ed i calcoli
effettuati dandone conto negli atti che accompagnano il provvedimento stesso. Il tutto, se del caso,
producendo dei modelli di parcella, come in sede istruttoria chiese il Consiglio di Stato nel 2003
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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
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Ufficio studi
(Consiglio di Stato, parere cit.). Nulla di tutto ciò si rinviene in alcuna parte del provvedimento
all’esame.
Unico ma insufficiente cenno al riguardo è contenuto nella sezione 2 (procedure di
consultazione), dove si fa riferimento a consultazioni intervenute “tra l’ufficio legislativo del
Ministero della giustizia e l’area tecnica, in particolare il centro studi”. Si fa cenno poi ad una
interlocuzione avuta con “rappresentanti del Consiglio nazionale dell’Ordine dei dottori
commercialisti, che hanno avanzato elaborati studi di fattibilità della tabella in relazione alle
ipotesi normative prospettate”. Altre consultazioni si sarebbero svolte con il Consiglio nazionale
notarile, e con il non meglio precisato “mondo associativo forense”, ma in ogni caso non con questo
Consiglio nazionale forense.
Non risultano dunque, per espressa ammissione del Ministero, studi di fattibilità
condotti con riferimento ai parametri da applicarsi alle attività degli avvocati, ma soltanto
consultazioni con il “mondo associativo forense”. Come deve essere inteso il fumoso riferimento? È
stata consultata una associazione di avvocati? E quale? E perché proprio quella? E perché nel caso
di commercialisti e notai si sono consultati i Consigli nazionali, mentre per gli avvocati si è
proceduto in modo diverso?
Oltre che i valori monetari dei parametri, del tutto immotivate si presentano le scelte
condotte con riferimento alla rimodulazione degli scaglioni di valore, il cui andamento, ovviamente,
incide fortemente sui valori dei parametri. I “vecchi” scaglioni di valore furono verificati
puntualmente dal Consiglio di Stato, tanto che il ministero dovette poi riprodurre gli scaglioni della
tariffa previgente (1994) senza operare arrotondamenti giacché questi, facendo in molti casi
“scattare prima” lo scaglione successivo, potevano produrre ingiustificati aumenti tariffari
(Consiglio di Stato, parere cit.).
2. Eccesso di potere per sviamento; violazione di legge (art. 2233 cc; art. 9, co. 4, d.l.
1/2012)
Se non è dato rintracciare alcuna motivazione circa il modo in cui si è arrivati alla
determinazione degli importi, è tuttavia evidente ictu oculi che l’operazione complessiva compiuta
dall’ufficio legislativo del ministero ha avuto come unico obiettivo l’abbattimento sistematico dei
valori di cui alla precedente tariffa forense del 2004. Un abbattimento immotivato, ingiustificato, e
del tutto incoerente – come in premessa si è detto – con gli obbiettivi del provvedimento: che
consistono in una semplificazione del sistema in funzione di una maggiore trasparenza, non certo in
una mortificazione del reddito degli avvocati.
Del resto tutto ciò contraddice sia l’art. 2233 c.c., secondo cui il compenso deve essere
adeguato all’importanza dell’opera ed al decoro della professione, sia lo stesso art. 9 D.L. 1/2012
che richiama ancora l’importanza dell’opera.
Si riporta qui di seguito un esempio dell’abbattimento indiscriminato.
Per le cause civili avanti il tribunale ordinario di valore compreso tra € 25.001,00 ed €
50.000,00 , l'applicazione della tariffa civile del 2004 a VALORI MEDI (cioè media matematica fra
minimi e massimi, ovvero minimo + massimo : 2) dà i seguenti risultati:
−
fase di studio: diritti 285, onorari 925, totale 1210 + 12.5% = 1361 contro 1200 degli
attuali parametri;
−
fase introduttiva: 285 + 418 = 703 + 12.5% = 790 contro 600;
- 65 -
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
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−
fase istruttoria: 760 + 1960 = 2720 + 12.5% = 3060 contro 1200;
−
fase decisoria: 570 + 1630 = 2200 + 12,5% = 2475 contro 1500.
Fortemente penalizzati risultano, poi, i giudizi dinanzi al giudice di pace: ciò rileva
particolarmente nelle cause di risarcimento danni per la circolazione di veicoli; con la liquidazione
di importi irrisori a favore del professionista l’obiettivo che qui si intende perseguire è quello di
scoraggiare ogni iniziativa volta a tutelare i diritti del danneggiato favorendo obiettivamente, al
contrario, le compagnie assicurative.
Per ulteriori dimostrazioni riferite ad altri tipi di giudizio, si rimanda alle tabelle
allegate alla presente nota, che esplicitano simulazioni volte a confrontare i risultati derivanti
dall’applicazione della tariffa forense del 2004 e quelli derivanti dall’applicazione della bozza
di parametri (allegato 1).
3. Eccesso di potere per disparità di trattamento.
È davvero singolare verificare come l’abbattimento sistematico degli importi sia stato
trattamento riservato agli avvocati, ma non ai commercialisti.
La tabella C relativa ai compensi dei commercialisti reca infatti valori grosso modo analoghi
a quelli del DM 2 settembre 2010, n. 169 di approvazione delle tariffe di quest’ultimi.
Basti pensare come i parametri previsti per la liquidazione di incarichi di consulenza
tributaria, contenuti nel riquadro 10.3 della Tabella C, relativa all’art. 28, comma 3 del regolamento,
riprendano esattamente le percentuali stabilite dall’art. 49 del DM 169/2010.
Lo stesso può dirsi anche in relazione alla liquidazione di aziende (art. 20 e riquadro 2 del
regolamento), ove si riprendono le percentuali già previste in precedenza, nonostante gli incrementi
per scaglione di valore fossero maggiori.
4. Eccesso di potere per irragionevolezza dell’art. 1, comma 6, nella parte in cui non
prevede un obbligo di motivazione in capo al giudice che si discosti dai parametri nella
liquidazione dei compensi dei professionisti.
Il primo comma dell’art. 1 dispone che l’organo giurisdizionale “ (…) applica, in difetto di
accordo tra le parti, anche analogicamente le disposizioni del presente decreto”. Il 6° comma
aggiunge però che le soglie numeriche indicate non sono in nessun caso vincolanti.
Si dovrebbe quantomeno aggiungere che il giudice che si discosti significativamente dai
parametri dovrebbe adeguatamente motivare le ragioni di fatto e/o di diritto che lo hanno portato
alla diversa determinazione. In caso contrario i parametri resteranno lettera morta ed i giudici
potranno liquidare in modo anche del tutto arbitrario.
5. Eccesso di potere nell’articolazione delle fasi (travisamento).
L’art. 4 comma 1 realizza un chiaro travisamento allorquando afferma che l’attività
giudiziale civile, amministrativa e tributaria si distingue nelle fasi di studio della controversia, di
introduzione del procedimento, istruttoria, decisoria, esecutiva. In particolare la fase esecutiva viene
contemplata come un momento necessario dell’attività giudiziale, mentre è noto che si tratta di una
- 66 -
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procedura autonoma, che si attiva solo se la parte soccombente non si adegua alla sentenza (così era
regolata nella tariffa del 2004). In questo modo le tabelle contemplano tutte una fase che in realtà
nella maggior parte dei casi non ha modo di realizzarsi, cosicché il compenso stabilito per l’attività
difensiva correlata è solo figurativamente attribuito all’avvocato.
6. Eccesso di potere per irragionevolezza e difetto di motivazione con riferimento alla
riduzione della metà dei compensi stabiliti per le controversie di lavoro non oltre i 1000
euro ed in materia di indennizzo da irragionevole durata del processo.
Gli artt. 8 e 9 della bozza dispongono una riduzione drastica dei compensi per le
controversie di lavoro fino a 1000,00 euro, e per quelle in materia di indennizzo da irragionevole
durata del processo. Anche in questi casi non è possibile ravvisare alcuna motivazione al riguardo:
non si vede perché non si dovrebbe applicare il criterio generale basato sulla complessità e quantità
delle questioni trattate.
7. Eccesso di potere per irragionevolezza e difetto di motivazione con riguardo alla
riduzione del compenso dell’avvocato del soccombente in caso di responsabilità
aggravata e pronunce in rito.
L’art. 10 della bozza dispone una drastica riduzione, pari alla metà, del compenso dovuto al
difensore del soccombente nei casi di responsabilità processuale aggravata (di cui all’art. 96 c.p.c.),
nonché d’inammissibilità, improponibilità, o improcedibilità della domanda.
In primo luogo occorre sottolineare che la previsione accosta irragionevolmente ipotesi del
tutto diverse: da un lato le fattispecie di responsabilità aggravata, che presuppongono un
accertamento della responsabilità della parte; e dall’altro i casi di definizione della controversia con
una pronuncia di rito.
Secondariamente va detto che spesso inammissibilità, improponibilità ed improcedibilità
non sono esiti del tutto ipotizzabili (almeno con un ragionevole margine di certezza) sin dal
momento della domanda (si pensi a disposizioni di legge difficilmente interpretabili, oscure,
ambigue).
Molto spesso, poi, anche là dove (ad es.) l’inammissibilità può essere ragionevolmente
ipotizzata, la proposizione in concreto della domanda risponde ad un’esigenza fondamentale di
tutela del diritto costituzionale di difesa; di più, in alcuni casi si tratta di soddisfare un interesse
dell’Ordinamento.
Viene in questa prospettiva in considerazione, emblematicamente, l’art. 360-bis c.p.c. che
sanziona con l’inammissibilità il ricorso per cassazione proposto avverso sentenza del giudice di
merito che sia stata decisa conformemente a precedenti della stessa corte senza che sussistano – ad
avviso di quest’ultima – ragioni sufficienti per mutare indirizzo interpretativo. Ciò significa che, a
fronte di un orientamento più o meno consolidato, l’avvocato rischierebbe di veder dimezzato il suo
compenso se proponesse un ricorso per cassazione anche quando ritenesse sussistere ragioni che
dovrebbero indurre il cambiamento di opinione; il quale, non solo è sintomo di mobilità del diritto e
garanzia della sua perenne sintonia con le esigenze mutevoli della società, ma è fenomeno più
ricorrente di quanto si ipotizzi ed interessante anche la stessa giurisprudenza delle Sezioni Unite
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della Corte di cassazione, come dimostrano le sentenze delle S.U. della Corte di cassazione n.
108/2000 e 23726/2007 in materia di frazionamento del credito che giungono a conclusioni opposte
(la seconda negando ciò che la prima consentiva). Nessun ricorso avrebbe dovuto ragionevolmente
proporsi in contrasto con l’orientamento della prima sentenza, eppure solo la sua proposizione in
concreto ha consentito al Diritto di progredire per pervenire a sanzionare – come ha fatto la seconda
sentenza – l’abuso del processo integrato dal frazionamento del credito.
Come si vede, il rischio di pronunce in rito del tipo di quelle ipotizzate dal Ministero, è
consustanziale al ministero difensivo ed alla tutela dei diritti e non costituisce, di per sé ed in quanto
tale, sintomo di un comportamento dell’avvocato dimentico dei suoi doveri di lealtà verso
l’Ordinamento e per ciò da sanzionare; ed invece è proprio la prospettiva sanzionatoria quella
considerata dal Ministero nel congegnare una norma, quale quella in commento, che parifica in
modo inammissibile comportamenti diversi per finalità e modo d’estrinsecarsi e senza che la
sanzione si correli, nel suo operare, a valutazioni del giudice circa le ragioni della pronuncia in rito.
Oltre ad innestare uno scopo sanzionatorio in una normativa che ha tutt’altre finalità.
Non solo, anche il modo d’operare della norma è imperscrutabile sicché tutto si traduce in
una disposizione irrazionale: infatti la riduzione non può costituire oggetto di condanna: è bene
ricordare, infatti, che l’art. 91 c.p.c. prevede la liquidazione delle spese a favore della parte
vittoriosa, non di quella soccombente. Unica applicazione rilevante, pertanto, dovrebbe essere
l’ipotesi di mancato accordo tra avvocato e cliente soccombente sulla determinazione del
compenso: qualora il giudice dovesse provvedere alla sua liquidazione, di fronte ad una pronuncia
di rito, dovrebbe disporre la riduzione automatica del 50%.
Oltre al caso citato, non si rinvengono ulteriori fattispecie applicative, se si prescinde da una
ipotesi espressiva di irragionevoli interferenze con l’autonomia privata delle parti: si tratta del caso
in cui l’avvocato abbia concordato col cliente preventivamente il compenso per la prestazione
dovuta e, successivamente, il cliente, risultato soccombente, si rivolga ad un giudice al fine di
contestare tale accordo. In tale evenienza il giudice, al ricorrere di una pronuncia di rito, dovrebbe
disporre una riduzione del compenso del professionista, non residuando spazio per valutare le
ragioni che hanno condotto a tale esito processuale né per la discrezionalità relativa alla possibilità
di operare, o meno tale riduzione. Una interpretazione siffatta della disposizione consentirebbe al
regolamento ministeriale di intervenire direttamente non solo sugli accordi relativi al compenso tra
professionista e cliente, ma anche sulla libertà d’apprezzamento del giudicante, obbligato a
riformarli in chiave sanzionatoria, con una eccezionale compressione dell’autonomia privata delle
parti e del diritto soggettivo del professionista al compenso, mortificato, per giunta da un atto
amministrativo, di carattere regolamentare, nulla disponendo al riguardo l’art. 9 del DL 1/2012.
8. Eccesso di potere per irragionevolezza in relazione allo scaglione di valore superiore ad
euro 1.500.000.
Mentre la tariffa 2004 prevedeva due ulteriori scaglioni per i valori superiori ad euro
1.500.000 e li sviluppava adeguatamente, oltre a prevedere uno scaglione residuale in grado di
condurre al calcolo degli onorari qualsiasi fosse stato il valore di causa, con l’applicazione di
coefficienti specifici, ora i parametri si fermano alle cause di valore fino ad euro 1.500.000,
bloccando quindi lo sviluppo necessario dei compensi. Con il che si concreta una evidente
irragionevolezza, perché l’andamento dei compensi viene artificiosamente bloccato allo scaglione
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di valore compreso tra euro 500.000 ed euro 1.500.000, anche per cause di valore molto superiore.
È bene ricordare che il previgente sistema tariffario prevedeva, piuttosto, per le cause di elevato
valore criteri di sviluppo degli onorari per cui questi crescevano in modo meno che proporzionale al
valore della causa, ma comunque realizzando un maggior guadagno, conformemente al canone
generale della correlazione del compenso al valore ed alla importanza della controversia,
confermato anche dall’art. 4, comma 2 degli attuali parametri.
9. Eccesso di potere per sviamento, difetto di motivazione ed irragionevolezza in
relazione alla tabella B relativa all’attività giudiziale penale.
Anche per quanto attiene il giudizio penale, si possono svolgere le medesime osservazioni
già svolte per il giudizio civile.
In particolare, si allega la tabella relativa al processo innanzi al “Giudice per le indagini
preliminari o dell'udienza preliminare” dalla quale emerge che il parametro previsto per la fase di
studio è di gran lunga inferiore al valore medio ricavabile dall’applicazione della tariffa del 2004
tenendo conto degli atti che statisticamente vengono compiuti in questa fase.
- 69 -
- 70 410,00
402,00
663,50
812,50
340,00
347,00
591,00
660,00
965,00
736,00
480,00
457,00
MASSIMO 2004
400,00
300,00
PARAMETRI
MINISTERIALI
300,00
150,00
Valutazione: i parametri ministeriali stabiliscono degli importi nettamente inferiori alle vecchie tariffe minime (circa il 50% il meno!!!!) in tutte le
fasi del giudizio dinanzi al giudice di pace, con importi irrisori, quasi a realizzare un favore nei confronti delle compagnie assicurative.
FASE DI STUDIO
FASE
INTRODUTTIVA
FASE
ISTRUTTORIA
2 memorie e 2
udienze
FASE DECISORIA
1 conclusionale e
replica
MEDIO 2004
MINIMO 2004
GIUDICE DI PACE
Valore controversia: fino a 5.000,00
Allegato 1.
Simulazioni di compensi calcolati secondo la tariffa forense (DM 127/2004) paragonati a compensi calcolati secondo la
bozza di parametri.
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Valutazione: mentre nella fase di studio i parametri ministeriali riprendono l’importo medio delle vecchie tariffe, per quanto concerne le fasi
ulteriori i nuovi parametri si attestano al di sotto della tariffa media (fase introduttiva) e ben al di sotto della tariffa minima nelle ultime due fasi.
TRIBUNALE ORDINARIO
Valore controversia: da 25.000,01 a 50.000,01
Causa tipo: domanda introduttiva, memorie istruttorie, assunzione mezzi istruttori, tre udienze, conclusionali e replica, precisazione conclusioni.
MINIMO 2004
MEDIO 2004
MASSIMO 2004
PARAMETRI
MINISTERIALI
663,00
1.758,00
Riprende la tariffa
FASE DI STUDIO
1.210,50
1.200,00
media
459,00
954,00
Sotto la tariffa media
FASE
706,50
600,00
INTRODUTTIVA
1.544,00
3.899,00
Sotto la tariffa minima
FASE
2.721,50
1.200,00
ISTRUTTORIA
3 memorie e
udienze
1.548,00
3.998,00
Sotto la tariffa minima
FASE DECISORIA
2.773,00
1.500,00
1 conclusionale e
replica
Ufficio studi
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
- 72 2.836,50
2.233,00
1.494,00
1.243,00
1.500,00
1.440,00
PARAMETRI
MINISTERIALI
(+20%)
1.440,00
720,00
Di poco superiore alla
tariffa minima
Sotto la tariffa minima
Sotto la tariffa media
Sotto la tariffa media
Valutazione: i parametri ministeriali si attestano al di sotto delle abrogate tariffe, al valore medio, nella fase di studio ed istruttoria, mentre
risultano sostanzialmente identiche (di valore poco inferiore o superiore) alle vecchie tariffe minime nelle fasi istruttoria e decisoria.
3.223,00
4.179,00
2.133,00
1.239,00
1.448,00
884,00
763,00
529,00
FASE DI STUDIO
FASE
INTRODUTTIVA
FASE
ISTRUTTORIA
2 memorie e
udienze
FASE DECISORIA
MASSIMO 2004
CORTE D’APPELLO
Valore controversia: da 25.000,01 a 50.000,01
Causa tipo: ricorso, due memorie, udienza di discussione
MINIMO 2004
MEDIO 2004
Ufficio studi
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
- 73 1.711,00
2.899,50
966,00
1.657,00
4.142,00
1.900,00
1.000,00
PARAMETRI
MINISTERIALI
1.600,00
Di poco superiore alla
tariffa media
Di poco superiore alla
tariffa minima
Superiore alla tariffa
minima, ma molto
lontano dalla tariffa
media
Valutazione: nei giudizi dinanzi alla Cassazione ed alle altre magistrature superiori, i parametri ministeriali si attestano sugli importi delle vecchie
tariffe del 2004. Mentre nella fase di studio l’importo è di poco superiore alla tariffa media, nelle altre fasi si tratta di un importo lievemente più
alto rispetto alla tariffa minima, ma ben lontano dalle tariffe medie.
FASE
INTRODUTTIVA
FASE DECISORIA
2.456,00
2.323,00
1.578,00
833,00
FASE DI STUDIO
MASSIMO 2004
CASSAZIONE E MAGISTRATURE SUPERIORI
Valore controversia: da 25.000,01 a 50.000,01
Causa tipo: ricorso, memoria, udienza di discussione
MINIMO 2004
MEDIO 2004
Ufficio studi
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
- 74 1.179,00
2.599,50
2.233,00
1.314,00
1.243,00
1.440,50
649,00
758,00
3.223,00
3.884,00
1.709,00
2.123,00
1.500,00
1.440,00
720,00
PARAMETRI
MINISTERIALI
(+20%)
1.440,00
Identico alla tariffa
media
Di poco superiore alla
tariffa minima
Di poco superiore alla
tariffa mimina
Superiore alla tariffa
minima ma lontano
dalla tariffa media
Valutazione: nei giudizi dinanzi ai tribunali amministrativi di primo grado, fatta eccezione per la fase di studio, ove si riprende lo stesso importo
previsto dalla tariffa media, nelle fasi ulteriori si riprendono le tariffe minime, con un aumento di carattere lievissimo.
FASE
INTRODUTTIVA
FASE
ISTRUTTORIA
FASE DECISORIA
FASE DI STUDIO
TAR
Valore controversia: da 25.000,01 a 50.000,01
Causa tipo: ricorso, memoria, udienza di discussione (esclusa istanza di sospensiva)
MINIMO 2004
MEDIO 2004
MASSIMO 2004
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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
- 75 4.758,00
2.058,00
FASE DECISORIA
7.458,00
2.999,00
4.353,00
2.000,00
1.100,00
PARAMETRI
MINISTERIALI
(+20%)
1.700,00
Inferiore alla media tra
tariffa minima e media
del 2004
Inferiore alla media tra
tariffa minima e media
del 2004
Inferiore alla tariffa
minima 2004
Valutazione: nei procedimenti dinanzi alla Corte costituzionale ed agli organi di giustizia sovranazionale, i parametri ministeriali hanno tenuto
conto delle vecchie tariffe, operando una drastica riduzione della tariffa media nelle fasi di studio ed introduttiva. Si rileva, infatti, che gli importi
previsti dal Ministero risultano inferiori alla media aritmetica delle vecchie tariffe minime e medie. Per quanto concerne la fase decisoria, che
comprende tra le altre attività la precisazione di conclusioni, memorie illustrative e la discussione orale, la riduzione operata risulta ancora più
drastica, se si tiene conto che i parametri riducono l’importo delle tariffe minime del 2004.
1.919,00
2.733,00
839,00
1.113,00
FASE
INTRODUTTIVA
FASE DI STUDIO
CORTE COSTITUZIONALE - ORGANI DI GIUSTIZIA SOVRANAZIONALE
Valore controversia: da 25.000,01 a 50.000,01
Causa tipo: ricorso, memoria, udienza di discussione
MINIMO 2004
MEDIO 2004
MASSIMO 2004
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- 76 -
429,00
1.654,50
2.701,00
374,00
1.287,00
1.961,00
MEDIO 2004
3.441,00
484,00
2.022,00
MASSIMO 2004
1.000-2500 euro
PARAMETRI
MINISTERIALI
50-700 euro
400-2000 euro
Valutazione: in relazione ai compensi dovuti per i procedimenti di ingiunzione, i parametri ministeriali anziché prevedere un valore medio di
liquidazione, offrono al giudice un range di importi, quasi si trattasse delle vecchie tariffe minime e massime. L’importo più basso è di gran lunga
inferiore alle tariffe minime; l’importo più alto risulta superiore alle tariffe massime solamente per le controversie di valore più modesto (sino a
5.000,00 euro).
Fino a 5.000 euro
Da 50.0001 a 500.000
euro
Da 500.001 a
1.500.000
PROCEDIMENTO PER INGIUNZIONE
SCAGLIONE
MINIMO 2004
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- 77 -
1.259,00 – 1.585,00
Valutazione: in relazione ai compensi per l’atto di precetto i parametri provvedono a riduzioni rilevanti, a tratti drastiche: anche qui si
stabiliscono dei valori minimi e massimi entro cui il giudice potrà effettuare la liquidazione; tuttavia, si rileva che gli importi massimi liquidabili
sono di gran lunga inferiori agli importi minimi previsti dalle vecchie tariffe.
700-900 euro
400-600 euro
172,00 - 387,00
387,00 - 1.259,00
Fino a 5.000 euro
Da 50.0001 a 500.000
euro
Da 500.001 a
1.500.000
Oltre 1.500.000
1.585,00 – 2.149,00
PARAMETRI
MINISTERIALI
20-100 euro
150-300 euro
TARIFFE 2004
SCAGLIONE
PRECETTO
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- 78 -
360,00
720,00
1080,00
1080,00
24 (per ogni ora)
629,2
514,8
772,2
1072
500,5
FASE DI STUDIO
FASE
INTRODUTTIVA
FASE
ISTRUTTORIA
FASE
DECISORIA
FASE
ESECUTIVA
Valutazione: nell’attività giudiziale penale dinanzi al GIP o al GUP, relativamente alla fase di studio, si nota un rilevante scostamento rispetto alle
vecchie tariffe medie, mentre non sembrerebbero sussistere differenze sostanziali in relazione alla fase decisoria. Si sottolinea, tuttavia, che la
possibilità per il giudice di discostarsi dai parametri indicati risulta estremamente ampia, e potrebbe comportare differenze rilevanti.
PARAMETRI
MINISTERIALI
MEDIO 2004
ATTIVITA’ GIUDIZIALE PENALE – GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI O DELL’UDIENZA PRELIMINARE
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MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
DECRETO 20 LUGLIO 2012, N. 140
Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo
giurisdizionale dei compensi per le professioni regolamentate vigilate dal Ministero della Giustizia,
ai sensi dell’art. 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 27.
Criticità relative ai parametri per la determinazione del compenso dell’avvocato
Proposte per un intervento correttivo
(Roma, 19 settembre 2012)
I.
CORREZIONI DELL’INGIUSTIFICATO ABBATTIMENTO DEI COMPENSI PER GLI AVVOCATI
Occorre denunciare l’immotivato, ingiustificato ed indiscriminato abbattimento degli
importi dei parametri relativi ai compensi per gli avvocati, rispetto alle abrogate tariffe del
2004, pur dichiarate riferimenti “ragionevolmente orientativi” (cfr. Relaz. Min. pag. 6)
Come risulta dalle tabelle allegate, ad esempio, i parametri relativi alla fase istruttoria
risultano sensibilmente inferiori ai valori medi del 2004, nonostante le numerose attività da
espletare, quali le memorie di parte, necessarie o autorizzate dal giudice, come quelle ex art.
183 c.p.c., che comportano svolgimento di un’attività effettivamente rilevante del
professionista.
Inoltre il D.M. considera l’indice di variazione dei prezzi al consumo ISTAT solamente in
relazione al periodo 2004-2009, trascurando il periodo 2009-2012.
A tali considerazioni si aggiunge un’anomalia, che concerne la mancata considerazione del
rimborso delle spese generali, quantificato in modo forfettario dall’art. 14 dell’abrogato
D.M. 127/2004 nella misura del 12,5%. Si trattava di una voce di costo autonoma,
indipendente dal valore e dalla complessità delle questioni trattate, e direttamente correlata
alla gestione dello studio professionale, nonché alle spese relative, a titolo esemplificativo,
al personale ed all’acquisto e gestione degli strumenti utilizzati dal professionista. Tale voce,
pertanto, costituiva un terzo componente necessario nella determinazione del compenso
professionale. Il D.M., tuttavia, escludendo la rilevanza di tale voce di costo all’art. 1,
comma 2, consente al giudice di liquidare solamente le spese documentate per quel
particolare procedimento; in tal modo, il compenso professionale viene ulteriormente
decurtato, venendo a mancare una voce che integrava una voce fissa del compenso
professionale, oltre a onorari e diritti (tanto è vero che la voce era dovuta a prescindere dalla
presenza di spese documentate).
Risulta necessario, pertanto, che il Ministero provveda:
A) ad aumentare i valori indicati nel Decreto e nelle Tabelle relative ai parametri degli
Avvocati, computando effettivamente diritti ed onorari mediamente ricorrenti, come
nelle simulazioni allegate;
1
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B) ad introdurre una voce di compenso denominata spese generali e fissarlo, come già in
passato, al 12,5%;
C) in caso di accorpamento di scaglioni, calcoli il Ministero i valori del compenso medio
utilizzando come base di calcolo il minimo del primo scaglione ed il massimo
dell’ultimo scaglione accorpati.
II.
OBBLIGO DI MOTIVAZIONE PER EVITARE ARBITRIO DEL GIUDICE
I parametri costituiscono un insieme di valori di riferimento, che consentono in primo luogo
al giudice di liquidare il compenso professionale in difetto di accordo tra le parti. Al comma
7 dell’art. 1, tuttavia, si specifica che le soglie numeriche indicate non sono in nessun caso
vincolanti. Al fine di scongiurare l’eventuale rischio di un totale arbitrio dell’organo
giurisdizionale nell’attività di liquidazione, sarebbe quantomeno necessario inserire un
obbligo di motivazione in capo al giudice che si discosti sensibilmente dai parametri
indicati. Tale previsione consentirebbe, se non altro, di poter sondare la ragionevolezza
dell’iter logico seguito dal giudice nel procedimento di liquidazione dei compensi, rendendo
possibile una verifica del rispetto dei parametri generici indicati dal D.M. (quali complessità
della questione, pregio dell’opera, o urgenza) e dall’art. 2233 c.c., secondo cui il compenso
deve essere adeguato all’importanza dell’opera e al decoro della professione. Si favorirebbe
un’applicazione uniforme dei parametri per tutti gli organi giurisdizionali, anche al fine di
evitare che tali indicazioni siano destinate a rimanere sulla carta e non trovare applicazione
alcuna.
Si raccomanda, pertanto, di inserire la seguente disposizione all’art. 1, comma 7: «Qualora
l’organo giurisdizionale si discosti sensibilmente dalle soglie indicate, ha l’onere di fornire
espressa ed adeguata motivazione con riferimento alle circostanze di fatto e all’attività
effettivamente svolta dal professionista.»
III.
ESATTA CONFIGURAZIONE DEI PROCEDIMENTI ESECUTIVI
Per quanto concerne le fasi in cui si distingue l’attività giudiziale civile, amministrativa e
tributaria (art. 4), la fase esecutiva sembrerebbe contemplata quale momento necessario
dell’attività giudiziale. Deve rilevarsi, tuttavia, che si tratta di un procedimento autonomo,
che prende le mosse dal mancato adeguamento della parte soccombente alla sentenza. Tale
fase, dunque, non ha modo di realizzarsi nella maggior parte dei casi, prevedendo un
compenso che risulta attribuito all’avvocato solamente in maniera figurativa.
Si raccomanda, pertanto, di provvedere come segue:
- tenere conto del carattere autonomo della fase esecutiva provvedendo alla
rideterminazione degli importi per l’attività giudiziale civile, amministrativa e
tributaria (cfr. punto I);
- precisare che si tratta di un procedimento del tutto autonomo, e non di una fase, come
previsto ad esempio per le impugnazioni.
2
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IV.
CONTROVERSIE DI LAVORO
Priva di giustificazione risulta la drastica riduzione fino alla metà prevista dall’art. 8 del
D.M. in relazione alle controversie di lavoro fino a 1.000,00 euro. Sebbene una previsione
simile fosse prevista anche nel vecchio tariffario, si tratta tuttavia di meccanismi non
sovrapponibili: l’art. 12 D.M. 127/2004, infatti, circoscriveva tale decurtazione alle
controversie individuali di valore inferiore a 500,00 euro e limitatamente ai soli onorari,
lasciando intatta la misura dei diritti, che per bassi valori di causa integravano la maggior
parte del compenso, e la percentuale del rimborso forfettario delle spese generali di cui
all’art. 14.
Non si giustifica dunque lo scostamento dai criteri generali, quali la complessità e quantità
delle questioni trattate, a prescindere dal valore ridotto della controversia.
Si raccomanda, pertanto:
- La soppressione dell’art. 8 del D.M.
V.
CONTROVERSIE PER L’INDENNIZZO DA IRRAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO E
PATROCINIO A SPESE DELLO STATO
Prive di giustificazione risultano le drastiche riduzioni (sino) alla metà previste dall’art. 9
del D.M. in relazione alle controversie per irragionevole durata del processo e alla
liquidazione delle prestazioni svolte in favore di soggetti ammessi al patrocinio a spese
dello Stato, anche in materia penale. L’assenza di una ragione che giustifichi lo
scostamento dai parametri generali, quali la complessità e quantità delle questioni trattate,
non consente di considerare legittimo tale ulteriore abbattimento operato in via generale e di
principio. La riduzione prevista per il patrocinio a spese dello Stato, peraltro, risulta
gravemente lesiva del diritto di difesa dei soggetti più deboli e rischia di tradursi in un
concreto ostacolo per l’accesso alla giustizia.
Si raccomanda, pertanto:
- La riformulazione dell’art. 9 del D.M. come segue: «Art. 9 (Gratuito patrocinio). Per
le liquidazioni delle prestazioni svolte a favore di soggetti in gratuito patrocinio, e per
quelle ad esse equiparate dal testo unico delle spese di giustizia di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, si tiene specifico conto della
concreta incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona
difesa.»
- Di conseguenza, a fini di coordinamento: «all’art. 12 sopprimere il comma 5 ed il
comma 7».
VI.
RESPONSABILITÀ AGGRAVATA E PRONUNCE IN RITO
Anche le previsioni di cui all’art. 10, che prevedono una riduzione alla metà del compenso
liquidabile in caso di responsabilità processuale aggravata e pronunce in rito risultano
irragionevoli e prive di giustificazione. La responsabilità processuale aggravata riguarda un
3
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comportamento della parte sostanziale, che può aver dato istruzioni all’avvocato in mala
fede o colpa grave, e non si vede perché il patrocinatore dovrebbe essere punito. Spesso non
è ipotizzabile al momento della domanda la definizione della controversia con una
pronuncia di rito, e anche qualora lo fosse, come in caso di precedenti consolidati,
l’avvocato può dover comunque rischiare tale eventualità nell’interesse del cliente.
Si raccomanda, pertanto, la soppressione dell’art. 10 del D.M.
VII.
SCAGLIONE DI VALORE SUPERIORE AD EURO 1.500.000,00
L’incompletezza della previsione di un unico scaglione di valore, per importi superiori ad
euro 1.500.000,00 risulta di tutta evidenza, in quanto non consente di adottare un
meccanismo razionale di ragionevole previsione ed adeguato sviluppo degli onorari per
importi superiori. La mancanza di specifiche indicazioni sul punto condurrebbe a
liquidazioni del tutto differenti sull’intero territorio, affidate esclusivamente alla sensibilità
dell’organo giurisdizionale decidente, peraltro relative a controversie di valore elevato, che
comporteranno un compenso professionale economicamente rilevante.
Si raccomanda, pertanto, di provvedere alla previsione di un meccanismo di parametrazione
più preciso, che consideri la proporzionalità del compenso rispetto all’attività svolta,
evitando tuttavia un aumento esponenziale dei costi.
VIII. PROCEDIMENTO PER INGIUNZIONE E PRECETTO
Anomalie ulteriori meritano di essere evidenziate in relazione ai parametri relativi ai
procedimenti per ingiunzione e per la redazione del precetto, di cui alla Tabella A –
Avvocati allegata al D.M.
Vizio comune risulta la riduzione eccessiva degli scaglioni di valore in relazione a tali
procedimenti: sebbene possa apprezzarsi una riduzione degli scaglioni, tale intervento non
necessariamente si traduce in una più corretta ed agevole applicazione del parametro e
rischia, al contrario, di condurre ad una valutazione eccessivamente semplicistica,
penalizzando l’operato del professionista, e spingendo a non valutare l’attività
effettivamente svolta e la complessità della questione affrontata.
Sorprende altresì la circostanza che il legislatore abbia preferito non indicare un valore
medio di riferimento per la liquidazione delle spese relative a decreti ingiuntivi e precetti,
fornendo invece un range di importi, quasi si trattasse delle vecchie tariffe minime e
massime. Tale ventaglio di importi, a disposizione del giudice, non si presenta di facile
fruibilità e recepisce l’indirizzo di drastico abbattimento dei parametri per i compensi degli
avvocati: l’importo minimo liquidabile, infatti, risulta in ogni caso di gran lunga inferiore
alle vecchie tariffe minime.
Si raccomanda, pertanto, di provvedere ad una revisione in aumento dei valori indicati,
tenendo altresì conto delle circostanze già indicate supra sub I e, in particolare,
dell’eliminazione delle voci relative ai “diritti” ed al rimborso delle spese generali.
4
- 82 -
- 83 410,00
402,00
663,50
812,50
2.288,00
340,00
347,00
591,00
660,00
1.938,00
2.638,00
965,00
736,00
480,00
457,00
MASSIMO 2004
1.150,00
400,00
300,00
PARAMETRI
MINISTERIALI
300,00
150,00
6
Valutazione: i parametri ministeriali stabiliscono degli importi nettamente inferiori alle vecchie tariffe minime (circa il 50% il meno!!!!) in tutte le
fasi del giudizio dinanzi al giudice di pace, con importi irrisori, quasi a realizzare un favore nei confronti delle compagnie assicurative.
FASE DI STUDIO
FASE
INTRODUTTIVA
FASE
ISTRUTTORIA
2 memorie e 2
udienze
FASE DECISORIA
1 conclusionale e
replica
Totale
MEDIO 2004
MINIMO 2004
GIUDICE DI PACE
Valore controversia: fino a 5.000,00
Allegato 1.
Simulazioni di compensi calcolati secondo la tariffa forense (DM 127/2004) paragonati a compensi calcolati secondo la
bozza di parametri.
Ufficio studi
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
- 84 7
Valutazione: mentre nella fase di studio i parametri ministeriali riprendono l’importo medio delle vecchie tariffe, per quanto concerne le fasi
ulteriori i nuovi parametri si attestano al di sotto della tariffa media (fase introduttiva) e ben al di sotto della tariffa minima nelle ultime due fasi.
TRIBUNALE ORDINARIO
Valore controversia: da 25.000,01 a 50.000,01
Causa tipo: domanda introduttiva, memorie istruttorie, assunzione mezzi istruttori, tre udienze, conclusionali e replica, precisazione conclusioni.
MINIMO 2004
MEDIO 2004
MASSIMO 2004
PARAMETRI
MINISTERIALI
663,00
1.758,00
Riprende la tariffa
FASE DI STUDIO
1.210,50
1.200,00
media
459,00
954,00
Sotto la tariffa media
FASE
706,50
600,00
INTRODUTTIVA
1.544,00
3.899,00
Sotto la tariffa minima
FASE
2.721,50
1.200,00
ISTRUTTORIA
3 memorie e
udienze
1.548,00
3.998,00
Sotto la tariffa minima
FASE DECISORIA
2.773,00
1.500,00
1 conclusionale e
replica
4.214,00
10.609,00
Totale
7.411,5
4.500,00
Ufficio studi
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
- 85 -
2.133,00
1.239,00
1.448,00
884,00
2.836,50
2.233,00
7.401,50
763,00
529,00
1.494,00
1.243,00
4.029,00
FASE DI STUDIO
FASE
INTRODUTTIVA
FASE
ISTRUTTORIA
2 memorie e
udienze
FASE DECISORIA
Totale
5.100,00
1.500,00
1.440,00
PARAMETRI
MINISTERIALI
(+20%)
1.440,00
720,00
Di poco superiore alla
tariffa minima
Sotto la tariffa minima
Sotto la tariffa media
Sotto la tariffa media
8
Valutazione: i parametri ministeriali si attestano al di sotto delle abrogate tariffe, al valore medio, nella fase di studio ed istruttoria, mentre
risultano sostanzialmente identiche (di valore poco inferiore o superiore) alle vecchie tariffe minime nelle fasi istruttoria e decisoria.
10.744,00
3.223,00
4.179,00
MASSIMO 2004
CORTE D’APPELLO
Valore controversia: da 25.000,01 a 50.000,01
Causa tipo: ricorso, due memorie, udienza di discussione
MINIMO 2004
MEDIO 2004
Ufficio studi
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
- 86 2.899,50
6.188,50
1.657,00
3.456,00
Totale
8.921,00
4.142,00
4.500,00
1.900,00
1.000,00
PARAMETRI
MINISTERIALI
1.600,00
Di poco superiore alla
tariffa media
Di poco superiore alla
tariffa minima
Superiore alla tariffa
minima, ma molto
lontano dalla tariffa
media
9
Valutazione: nei giudizi dinanzi alla Cassazione ed alle altre magistrature superiori, i parametri ministeriali si attestano sugli importi delle vecchie
tariffe del 2004. Mentre nella fase di studio l’importo è di poco superiore alla tariffa media, nelle altre fasi si tratta di un importo lievemente più
alto rispetto alla tariffa minima, ma ben lontano dalle tariffe medie.
1.711,00
966,00
FASE
INTRODUTTIVA
FASE DECISORIA
2.456,00
2.323,00
1.578,00
833,00
FASE DI STUDIO
MASSIMO 2004
CASSAZIONE E MAGISTRATURE SUPERIORI
Valore controversia: da 25.000,01 a 50.000,01
Causa tipo: ricorso, memoria, udienza di discussione
MINIMO 2004
MEDIO 2004
Ufficio studi
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
- 87 2.599,50
2.233,00
7.452,00
1.314,00
1.243,00
3.964,00
Totale
10.939,00
3.223,00
3.884,00
1.709,00
2.123,00
5.100,00
1.500,00
1.440,00
720,00
PARAMETRI
MINISTERIALI
(+20%)
1.440,00
Identico alla tariffa
media
Di poco superiore alla
tariffa minima
Di poco superiore alla
tariffa mimina
Superiore alla tariffa
minima ma lontano
dalla tariffa media
10
Valutazione: nei giudizi dinanzi ai tribunali amministrativi di primo grado, fatta eccezione per la fase di studio, ove si riprende lo stesso importo
previsto dalla tariffa media, nelle fasi ulteriori si riprendono le tariffe minime, con un aumento di carattere lievissimo.
1.179,00
1.440,50
649,00
758,00
FASE
INTRODUTTIVA
FASE
ISTRUTTORIA
FASE DECISORIA
FASE DI STUDIO
TAR
Valore controversia: da 25.000,01 a 50.000,01
Causa tipo: ricorso, memoria, udienza di discussione (esclusa istanza di sospensiva)
MINIMO 2004
MEDIO 2004
MASSIMO 2004
Ufficio studi
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
- 88 4.758,00
9.410,00
2.058,00
4.010,00
FASE DECISORIA
Totale
14.810,00
7.458,00
2.999,00
4.353,00
4.800,00
2.000,00
1.100,00
PARAMETRI
MINISTERIALI
(+20%)
1.700,00
Inferiore alla media tra
tariffa minima e media
del 2004
Inferiore alla media tra
tariffa minima e media
del 2004
Inferiore alla tariffa
minima 2004
11
Valutazione: nei procedimenti dinanzi alla Corte costituzionale ed agli organi di giustizia sovranazionale, i parametri ministeriali hanno tenuto
conto delle vecchie tariffe, operando una drastica riduzione della tariffa media nelle fasi di studio ed introduttiva. Si rileva, infatti, che gli importi
previsti dal Ministero risultano inferiori alla media aritmetica delle vecchie tariffe minime e medie. Per quanto concerne la fase decisoria, che
comprende tra le altre attività la precisazione di conclusioni, memorie illustrative e la discussione orale, la riduzione operata risulta ancora più
drastica, se si tiene conto che i parametri riducono l’importo delle tariffe minime del 2004.
1.919,00
2.733,00
839,00
1.113,00
FASE
INTRODUTTIVA
FASE DI STUDIO
CORTE COSTITUZIONALE - ORGANI DI GIUSTIZIA SOVRANAZIONALE
Valore controversia: da 25.000,01 a 50.000,01
Causa tipo: ricorso, memoria, udienza di discussione
MINIMO 2004
MEDIO 2004
MASSIMO 2004
Ufficio studi
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
- 89 -
429,00
1.654,50
2.701,00
374,00
1.287,00
1.961,00
MEDIO 2004
3.441,00
484,00
2.022,00
MASSIMO 2004
1.000-2.500,00 euro
PARAMETRI
MINISTERIALI
50-700 euro
400-2.000,00 euro
12
Valutazione: in relazione ai compensi dovuti per i procedimenti di ingiunzione, i parametri ministeriali anziché prevedere un valore medio di
liquidazione, offrono al giudice un range di importi, quasi si trattasse delle vecchie tariffe minime e massime. L’importo più basso è di gran lunga
inferiore alle tariffe minime; l’importo più alto risulta superiore alle tariffe massime solamente per le controversie di valore più modesto (sino a
5.000,00 euro).
Fino a 5.000 euro
Da 50.0001 a 500.000
euro
Da 500.001 a
1.500.000
PROCEDIMENTO PER INGIUNZIONE
SCAGLIONE
MINIMO 2004
Ufficio studi
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
- 90 -
1.259,00 – 1.585,00
13
Valutazione: in relazione ai compensi per l’atto di precetto i parametri provvedono a riduzioni rilevanti, a tratti drastiche: anche qui si
stabiliscono dei valori minimi e massimi entro cui il giudice potrà effettuare la liquidazione; tuttavia, si rileva che gli importi massimi liquidabili
sono di gran lunga inferiori agli importi minimi previsti dalle vecchie tariffe.
700-900 euro
400-600 euro
172,00 - 387,00
387,00 - 1.259,00
Fino a 5.000 euro
Da 50.0001 a 500.000
euro
Da 500.001 a
1.500.000
Oltre 1.500.000
1.585,00 – 2.149,00
PARAMETRI
MINISTERIALI
20-100 euro
150-300 euro
TARIFFE 2004
SCAGLIONE
PRECETTO
Ufficio studi
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
- 91 -
360,00
720,00
1080,00
1080,00
24 (per ogni ora)
629,2
514,8
772,2
1072
500,5
FASE DI STUDIO
FASE
INTRODUTTIVA
FASE
ISTRUTTORIA
FASE
DECISORIA
FASE
ESECUTIVA
14
Valutazione: nell’attività giudiziale penale dinanzi al GIP o al GUP, relativamente alla fase di studio, si nota un rilevante scostamento rispetto alle
vecchie tariffe medie, mentre non sembrerebbero sussistere differenze sostanziali in relazione alla fase decisoria. Si sottolinea, tuttavia, che la
possibilità per il giudice di discostarsi dai parametri indicati risulta estremamente ampia, e potrebbe comportare differenze rilevanti.
PARAMETRI
MINISTERIALI
MEDIO 2004
ATTIVITA’ GIUDIZIALE PENALE – GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI O DELL’UDIENZA PRELIMINARE
Ufficio studi
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
- 92 -
CONTRATTO DI PRESTAZIONE D’OPERA INTELLETTUALE CON NON CONSUMATORE*
Tra:
______________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________
identificato tramite carta di identità/passaporto rilasciata/o da _____________________ il
_______________ n. _________________ scadente il _________________ la cui fotocopia è
allegata al presente contratto1
(ovvero)
______________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________
identificato tramite carta di identità/passaporto rilasciata/o da _____________________ il
_______________ n. _________________ scadente il _________________ la cui fotocopia è
allegata al presente contratto il quale dichiara di agire e di stipulare il presente contratto non in
proprio ma nella sua qualità di legale rappresentante quale titolare/amministratore unico/presidente
del CdA e quindi in nome e per conto della società ______________________________ con sede
in __________________ in via _________ n. _________ cap. soc. € __________________
iscritta al n. ____________________ del registro imprese di ______________________nella
vigenza dei suoi poteri come da certificato della CCIAA di _______________ che si allega in copia
2
di seguito e per brevità denominato anche cliente
e
l’avv. _____________ nato a ______il __________, con studio legale in ___________________,
in via _____________ tel. _________, fax:______________, pec ________________, codice
fiscale ________________________, iscritto nell’albo tenuto dal Consiglio dell’Ordine degli
avvocati di _________________
di seguito e per brevità denominato anche avvocato,
tutti collettivamente denominati, quando necessario, le parti
PREMESSO
- che il cliente ha chiesto la prestazione professionale dell’avvocato per lo svolgimento dell’attività
meglio descritta nell’art. 1 che segue;:
- che l’avvocato ha manifestato l’intenzione di aderire alla proposta accettando di prestare l’attività
di cui sopra;
- che il cliente dichiara di aver ricevuto l’informativa di cui all’art. 13, d.lgs. n. 196/2003 e che
acconsente al trattamento dei dati personali da parte dell’avvocato, nonché da parte dei suoi
collaboratori, sia di studio che esterni, nei limiti e per le finalità di cui di cui agli artt. 1 ss. del d. lgs.
n. 196/2003;
- che il cliente dichiara di essere stato informato, ai sensi dell’art. 4, comma 3, d.lgs. 28/2010, della
possibilità di ricorrere al procedimento di mediazione ivi previsto e dei benefici fiscali di cui agli artt.
17, 20 del medesimo decreto
[solo se trattasi di materia di mediazione obbligatoria: (…) e che ha sottoscritto il relativo
documento informativo da produrre in giudizio3];
*
Modello elaborato dal Prof. Avv. Cons. Ubaldo Perfetti.
Anche ai fini della normativa antiriciclaggio
2
Idem c.s.
3
Per evitare, in questi casi, di produrre al giudice il contratto.
1
- 93 -
- che il cliente dichiara di aver ricevuto l’informazione per cui, ai sensi e per gli effetti dell’art. 12,
comma 2 del d.lgs. n. 231/2007 in materia di antiriciclaggio, l’avvocato è tenuto a svolgere le
attività ivi previste tra cui la segnalazione di eventuali operazioni sospette ricorrendone i
presupposti;
- che il cliente dichiara di aver ricevuto il preventivo di massima – come infra quantificato relativamente al costo complessivo della prestazione richiesta all’avvocato e che è consapevole
della possibilità che detta previsione, essendo di massima, può essere suscettibile di modifiche in
più, o in meno, a seconda delle modalità concrete di svolgimento della prestazione, di eventuali
sopravvenienze ad oggi non prevedibili e di quant’altro possa influire sulla determinazione del
costo della prestazione;
- che il cliente dichiara di stipulare il presente contratto per scopi estranei all’attività imprenditoriale,
commerciale, artigianale, o professionale eventualmente svolta e di non essere una
microimpresa4;
ciò premesso
si stipula e si conviene quanto segue:
ART. 1
CONFERIMENTO ED OGGETTO DELL’INCARICO
1.1. Il cliente conferisce all’avvocato l’incarico di:
(a)
agire
in
giudizio
innanzi
all’autorità
competente
nei
confronti
di
______________________________________________________________________________
_______________________________________________ e di chiunque altro sarà individuato
dall’avvocato come soggetto legittimato passivamente, compiendo tutte le attività necessarie ad
ottenere
______________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________
_____________________________________________
(ovvero)
(b)
costituirsi
nel
giudizio
incardinato
da
______________________________________________________________________________
______________ innanzi al __________________ per resistere alla pretesa compiendo tutte le
attività che saranno ritenute necessarie alla tutela dell’interesse del cliente
(ovvero)
(c)
assisterlo
stragiudizialmente
nell’ambito
della
controversia
con
______________________________________________________________________________
________________________ compiendo tutte le attività necessarie alla composizione di detta
controversia
ed
al
raggiungimento
dell’obiettivo
consistente
______________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________
_____________________________________________
(ovvero)
(d) fornire la consulenza stragiudiziale sia a mezzo di pareri orali che scritti in merito a
______________________________________________________________________________
4
Se invece si tratta di consumatore occorrerebbe filtrare le clausole per sondarne la tenuta nell’ottica del codice del
consumo.
- 94-
(ovvero)
(e)____________________________________________________________________________
_________________________________________________________
1.2. L’avvocato accetta di svolgere l’incarico di cui sopra dichiarando di avere, allo stato delle
informazioni e dei documenti forniti dal cliente, le competenze necessarie a svolgerlo, salvo
sopravvenienze ed imprevisti che dovessero consigliare la costituzione di un collegio di
professionisti tra cui eventuali specialisti.
ART. 2
INDIVIDUAZIONE DELL’INTERESSE
2.1. L’incarico sopra descritto è conferito dal cliente nell’interesse suo proprio
(ovvero)
L’incarico
di
cui
sopra
è
conferito
dal
cliente
nell’interesse
di
____________________________________________ nato a ___________ il _______ e
residente
a
_________________
in
via
____________
codice
fiscale
___________________________ di seguito denominato assistito, identificato tramite carta di
identità/passaporto rilasciata/o da _____________________ il _______________ n.
_________________ scadente il _________________ la cui fotocopia è allegata al presente
contratto. L’assistito manifesta all’uopo il suo consenso a che l’avvocato svolga nel suo interesse
l’incarico di cui sopra, impegnandosi a fornire tutte le indicazioni e le notizie, anche documentali
che l’avvocato dovesse richiedergli, direttamente o a mezzo del cliente, ed accetta che
interlocutore dell’avvocato sia il cliente unico destinatario di tutte le eventuali comunicazioni ed
informative e sul quale graverà peraltro ogni obbligo di pagamento del corrispettivo dovuto
all’avvocato per effetto del seguente contratto.
(ovvero)
L’incarico di cui sopra è conferito dal cliente nell’interesse della società/ditta/controllata/collegata
______________________________ con sede in __________________ in via _________ n.
_________ cap. soc. € __________________ iscritta al n. ____________________ del registro
imprese di ______________________nella vigenza dei suoi poteri come da certificato della
CCIAA di _______________ che si allega in copia per la quale qui agisce e sottoscrive
____________________________________________ nato a ___________ il _______ e
residente
a
_________________
in
via
____________
codice
fiscale
___________________________ nella sua veste di titolare/legale rappresentante, amministratore
unico/presidente del CdA, identificato tramite carta di identità/passaporto rilasciata/o da
_____________________ il _______________ n. _________________ scadente il
_________________ la cui fotocopia è allegata al presente contratto, di seguito denominato
assistito L’assistito manifesta all’uopo il suo consenso a che l’avvocato svolga nel suo interesse
l’incarico di cui sopra, impegnandosi a fornire tutte le indicazioni e le notizie, anche documentali
che l’avvocato dovesse richiedergli, direttamente o a mezzo del cliente, ed accetta che
interlocutore dell’avvocato sia il cliente unico destinatario di tutte le eventuali comunicazioni ed
informative e sul quale graverà peraltro ogni obbligo di pagamento del corrispettivo dovuto
all’avvocato per effetto del seguente contratto.
- 95 -
2.2.
L’interesse
di
cui
sopra
è
identificato
dal
cliente
nell’ottenere
______________________________________________________________________________
________________________________________________________5
ART. 3
INFORMATIVE AI SENSI DELL’ART. 9 LEGGE 27/2012
3.1. Ai sensi dell’art. 9, co. 4 della legge 27/2012 l’avvocato dichiara ed il cliente prende atto che:
(a) quanto alla sua complessità, l’espletamento dell’incarico prospetta
una difficoltà ordinaria
ovvero
una difficoltà particolare tenuto conto del fatto che _____________________
______________________________________________________________
______________________________________________________________
ovvero
una difficoltà particolarmente accentuata tenuto conto del fatto che _________
______________________________________________________________
___________________________________________________
(b) quanto agli oneri ipotizzabili dall’inizio alla conclusione dell’incarico - allo stato, sulla base delle
informazioni fornite dal cliente e dello sviluppo ordinario dell’incarico - sono prevedibili i seguenti:
spese per notifiche
contributo unificato
copie autentiche
copie
trasferte
spese per collaboratori
spese per ausiliari
spese per i consulenti tecnici
di ufficio
spese per i consulenti di parte
corrispondenza
telefono, fax, mail
_________
_________
_________
_________
_________
si
si
si
si
si
si
si
no
no
no
no
no
no
no
ca € __________
ca € __________
ca € __________
ca € __________
ca € __________
ca € __________
ca € __________
si
si
si
si
no
no
no
no
ca € __________
ca € __________
ca € __________
ca € __________
ca € __________
ca € __________
ca € __________
ca € __________
ca € __________
(c) quanto alla polizza assicurativa per i danni involontariamente prodotti dall’attività professionale,
che l’avvocato è assicurato con la compagnia _________________________________ giusta
polizza n. ___________________ avente massimale di € _______________________________
stipulata il ______________ e scadente il __________________.
5
Serve anche a stabilire se la prestazione ha raggiunto il suo scopo e per i casi in cui il compenso è collegato alla
realizzazione dell’interesse.
- 96 -
(d) quanto al preventivo di massima, che il costo complessivo della prestazione dell’avvocato allo
stato prevedibile oscilla da un minimo di € ___________________ ad un massimo di €
_______________________ oltre spese di qualsiasi genere tra quelle indicate sub b) che precede,
IVA di legge, CAP ed accessori se dovuti.
ART. 4
COMPENSO
4.1. Ai sensi dell’art. 9, co. 4 della legge 27/2012 e dell’art. 2293, co. 3 c.c. le parti pattuiscono
come segue il compenso dell’avvocato:
(a)
un importo pari a quello determinabile con l’utilizzazione dei parametri di cui al DM
20.7.2012 n. 140 pubblicato nella GU della Repubblica italiana n. 195 del 22.8.2012
(ovvero)
(b)
un importo pari a quello determinabile con l’utilizzazione dei parametri di cui al DM
20.7.2012 n. 140 pubblicato nella GU della Repubblica italiana n. 195 del 22.8.2012
maggiorato del __________%
(ovvero)
(c)
un importo pari al ____% del valore della controversia consensualmente determinato
dalle parti in via forfetaria ed a questo solo scopo in € ________________________
(ovvero)
(d) un importo pari al ____% del valore della controversia come determinabile ai sensi del codice
di procedura civile con l’applicazione dei criteri di determinazione del valore delle cause a seconda
del loro oggetto
(ovvero)
(e) un importo pari ad € ______/ora; all’uopo l’avvocato dichiara che è prevedibile un impiego di un
minimo di ___ore ed un massimo di __________ore.
(ovvero)
(f)
per
Attività stragiudiziale
€…(…)
per
l’attività
stragiudiziale;
€…….(…)
oneri
di
segreteria/oneri
collaboratori/oneri
domiciliatari6;
€…….(…)
spese
per
mezzo
di
trasporto,
pernottamento ecc.;
per
Attività
giudiziale
civile/amministrativa/tributa
ria
€…. (….) per l’attività prestata
nella
procedura
di
mediazione, prevista dal Dlgs
28/2010;
€…(……)per la fase di studio;
€…(……)per
la
fase
cautelare;
€…
(……)per
la
fase
6
per
Attività giudiziale penale
€…(……)per la fase di
studio;
€…(……)per la fase delle
indagini preliminari;
€…(……) attività correlate
all’eventuale applicazione
delle misure cautelari;
€…(……)per
l’udienza
preliminare;
L’art. 9, comma 4, d.l. 1/2012 fa riferimento a “spese, oneri, contributi”. All’interno del lemma “oneri” si vuole
cercare di quantificare le spese vive non documentate.
- 97 -
introduttiva;
€...(…)per la fase istruttoria;
€...(…) per la fase decisoria;
€…(…) per la fase esecutiva;
€…(…) contributo unificato,
marche atti giudiziari;
€…….(…)oneri
di
segreteria/oneri
collaboratori/oneri
domiciliatari ;
€…….(…) spese per mezzo di
trasporto, pernottamento ecc.7
€…(……) per il giudizio di
primo
grado/per
riti
alternativi;
€…(……) per il giudizio di
appello;
€…(……)per il giudizio di
legittimità;
€…(……)per
la
fase
esecutiva;
€…(……)
marche
atti
giudiziari;
€…(…)oneri
di
segreteria/oneri
collaboratori/oneri
domiciliatari;
€...(…) spese per mezzo di
trasporto,
pernottamento
8
ecc.
________________________________________________________________________
________________________________________________________________________
4.2. All’importo come sopra determinato dovranno aggiungersi tutte le spese di qualsiasi genere
tra cui quelle indicate sub art. 3.1.b). che precede.
4.3. L’importo come sopra determinato sarà aumentato del _____ % :
(a) nel caso l’accordo stragiudiziale intervenga entro _________mesi/anni da oggi
(ovvero)
(b) nel caso di sentenza favorevole anche parzialmente agli interessi del cliente quest’ultimi come
determinati sub art. 2.2. che precede
(ovvero)
nel caso di sentenza favorevole anche parzialmente agli interessi del cliente - come determinati
sub art. 2.2. che precede - che intervenga entro _________mesi/anni da oggi
(ovvero)
(b)
________________________________________________________________
___________________________________________________________________
4.4. Il compenso sarà corrisposto:
(a) quanto ad un acconto pari ad € ________________ oltre CAP ed IVA di legge, al momento
della sottoscrizione del presente contratto;
(b) quanto al residuo sulla base di acconti – da detrarsi dal conto di liquidazione finale - richiesti
dall’avvocato man mano che la prestazione sarà svolta ed in misura, comunque,
complessivamente non superiore al valore della prestazione sin lì effettuata;
7
8
Cfr. nota 3.
Cfr. nota 3.
- 98 -
(c) a saldo, non oltre venti giorni dal momento in cui la prestazione può dirsi terminata, o,
comunque, il mandato interrotto.
Quanto alle spese di ogni tipo tra cui quelle indicate sub art. 3.1.b) che precede, esse saranno
anticipate dal cliente e comunque corrisposte all’avvocato entro e non oltre dieci giorni dalla sua
richiesta motivata.
4.5. Il cliente si impegna a pagare gli acconti ed il saldo del compenso nonché ad anticipare tutte le
spese di cui sub 4.4. che precede entro e non oltre trenta giorni dal momento in cui gliene verrà
fatta richiesta dall’avvocato.
Il mancato pagamento entro il termine anzidetto, oltre a determinare l’applicazione degli interessi
sulle somme dovute, costituisce causa di risoluzione del presente contratto oltre a legittimare la
sospensione della prestazione da parte dell’avvocato ex art. 1460 c.c. facoltà da esercitarsi,
peraltro, con le modalità previste dal codice deontologico forense ed in modo che non possa
derivarne pregiudizio agli interessi del cliente.
4.6. L’avvocato è autorizzato ad attuare le eventuali compensazioni nei casi e con le modalità
previsti dal Codice deontologico forense.
4.7. In ipotesi di attività giudiziale e di condanna al pagamento delle spese di lite a carico della
parte soccombente ed a favore di quella rappresentata dall’avvocato, il cliente:
(a) nel caso di condanna alla rifusione a favore del cliente di spese di lite quantificate in misura
inferiore al compenso pattuito nel presente contratto, il cliente si impegna a pagare all’avvocato il
corrispettivo qui pattuito indipendentemente dalla minore liquidazione giudiziale, restando a suo
carico il di più di cui non avesse ottenuto la rifusione;
(b) nel caso di condanna alla rifusione a favore del cliente di spese di lite quantificate in misura
superiore al compenso pattuito nel presente contratto, il cliente si impegna a pagare all’avvocato la
differenza in più una volta ottenuta dal soccombente la rifusione di dette spese di lite.
ART. 5
CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA
5.1. Sopravvenendo fatti e circostanze di qualsiasi specie e natura in grado di alterare
significativamente le previsioni circa l’andamento dell’attività professionale, i suoi costi e l’importo
del corrispettivo convenuto, l’avvocato si impegna a notiziare di ciò il cliente ed a concordare con
questi le eventuali modifiche necessarie da apportare al presente contratto ed al corrispettivo
pattuito.
5.2. In caso di mancato accordo, il cliente accetta sin d’ora che la determinazione al riguardo sia
assunta, senza possibilità di impugnativa con pieno effetto vincolante nei suoi confronti ed anche
ex art. 1349 c.c., dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati che tiene l’albo presso cui è iscritto
l’avvocato; il Consiglio dell’Ordine deciderà in coerenza con i criteri utilizzati dalle parti nel presente
contratto.
ART. 6
MODALITA’ DI SVOLGIMENTO DELL’INCARICO
6.1. L’avvocato eseguirà l’incarico con la diligenza lui richiedibile e propria dell’attività
professionale espletata, senza obbligo di risultato, nel rispetto delle leggi, nessuna esclusa ed
altresì delle regole della deontologia compendiate nel vigente Codice deontologico forense
elaborato dal Consiglio Nazionale Forense. A tal riguardo il cliente:
(a) si dichiara edotto del fatto che la deontologia professionale può imporre regole e doveri anche
additivi rispetto a quelli legali, con possibili riflessi sul contratto d’opera professionale e nei rapporti
interni tra avvocato e cliente;
(b) dichiara di sapere che il testo del Codice deontologico forense è disponibile sul sito
www.consiglionazionaleforense.it
3.2. Nello svolgimento dell’incarico l’avvocato potrà farsi sostituire, per singole e determinate
attività, da altri professionisti anche non appartenenti alla sua struttura di studio, fermo rimanendo
che unico responsabile della prestazione resterà l’avvocato che risponderà dell’inadempimento del
sostituto.
- 99 -
3.3. Quando l’avvocato lo ritenga opportuno, o necessario, potrà nominare altri avvocati
corrispondenti in loco con pieno effetto nei confronti del cliente e con obbligo di quest’ultimo di
soddisfare le ragioni di credito del corrispondente nominato.
3.4. Il presente contratto e comunque l’esecuzione dell’incarico non attribuiscono all’avvocato la
titolarità dei diritti sostanziali facenti capo al cliente di cui resterà titolare sempre e comunque
quest’ultimo; qualsiasi transazione, accordo, rinuncia e comunque qualsiasi atto che implichi
disposizione dei diritti resterà di esclusiva competenza del cliente.
:
l’avvocato
il cliente
l’assistito (eventuale)
Accettazione ex art. 1341/2 c.c. di eventuali clausole vessatorie
- 100 -
Tribunale di Cosenza
ORDINANZA 1 FEBBRAIO 2012
dott. Giuseppe Greco
Premesso
che in data 27/12/2011 il sottoscritto giudice, dopo aver assunto sommarie informazioni
testimoniali, ha adottato ai sensi del capoverso dell'art. 669-sexies, il seguente decreto:
"Letto il ricorso presentato dalla società in accomandita semplice ......., rappresentata e
difesa dagli avv. .......... in data ventitré dicembre duemilaundici; - esaminata la produzione allegata
al ricorso: - assunte sommarie informazioni; visti gli artt. 700 e 669-bis e seguenti cod. proc. civ.; osserva: .............. ha disattivato, in data ventidue dicembre duemilaundici, la fornitura di energia
somministrata alla società ricorrente presso una struttura alberghiera dalla stessa gestita in ..............
, sul presupposto che la beneficiaria della somministrazione sia rimasta inadempiente nel
pagamento di quattro fatture emesse tutte in data cinque aprile duemilaundici dell'importo
complessivo di Euro 46.981,59; - l'importo delle suddette fatture e dei relativi consumi - è stato
determinato dal fornitore di energia presuntivamente in relazione al periodo due febbraio
duemilaotto/nove dicembre duemiladieci ovvero dal momento della installazione dell'apparecchio
dl misurazione, risultato guasto, al giorno della sua sostituzione;
- la determinazione presuntiva del consumo è stata compiuta "tenendo conto della media dei
consumi giornalieri tenuta dalla cliente, successivamente" alla sostituzione dell'apparecchio dl
misurazione; - siffatta determinazione, alla luce della istruzione sommaria compiuta in data odierna,
appare del tutto arbitraria e inattendibile in quanto è emerso chiaramente che nel periodo al quale si
riferisce Il calcolo del consumo presunto la struttura alberghiera non era ancora funzionante mentre
la media del consumi giornalieri e stata ricavata dall'osservazione dei consumi effettuati in epoca
nella quale la struttura era pienamente operativa; - difettando la omogeneità dei periodi di
osservazione è del tutto evidente che appare discutibile la correttezza del criterio utilizzato per la
determinazione del consumo presunto: - a ciò va aggiunto che la parte istante ha già versato la
somma di Euro 9.000,00 a copertura degli eventuali consumi che dovessero risultare dovuti a causa
del cattivo funzionamento dell'apparato misuratore; - sussiste, pertanto il “fumus” di fondatezza del
ricorso: - d'altra parte la rilevata fondatezza “prima facie” del ricorso suggerisce di provvedere ai
sensi del capoverso dell'art. 669-sexies cod. proc. civ. In quanto il tempo necessario alla
instaurazione del contraddittorio potrebbe viepiù pregiudicare l'attuazione del provvedimento dl
accoglimento avuto riguardo alla forzata inattività nell'esercizio dell'impresa e ai conseguenti danni
sullo sviamento della clientela; - p.q.m. - ordina alla .............. di riattivare immediatamente la
fornitura dl energia sull'utenza in uso a .............. - fissa per la comparizione delle parti davanti a sé
l'udienza dell'undici gennaio duemiladodici alle ore nove e trenta; - assegna all'istante termine fino
al quattro gennaio duemiladodici per la notificazione del ricorso e del presente decreto alla . – Si
comunichi con urgenza. – Così deciso addì ventisette dicembre duemilaundici. - Il Giudice - dott.
Giuseppe Greco”;
che dopo l'instaurazione del contraddittorio il provvedimento su esteso deve essere
confermato in quanto la parte resistente nel costituirsi in giudizio si è limitata a dedurre
genericamente l'insussistenza del c.d. "fumus boni iuris" e del c.d. "periculum in mora", senza
- 101 -
allegare alcuna specifica circostanza di fatto idonea a contrastare le ragioni della tutela concessa a
mezzo di decreto;
che è pacifico e non contestato che le fatture emesse dalla società resistente sulla base di
consumi "presunti" sono state tutte tempestivamente contestate;
che, pertanto, appare, "prima facie", fondata la invocata tutela atipica siccome preordinata ad
un giudizio di merito avente ad oggetto l'accertamento della insussistenza del presupposti della
risoluzione del contratto di fornitura per grave inadempimento del somministrato ovvero della
illegittimità della diffida ad adempiere intimata dalla parte resistente;
che, conseguentemente, va pienamente confermato il decreto assunto "inaudita altera parte";
che, in conformità alla disposizione di cui al comma 7 dell'art 669-octies
cod. proc. civ. la parte resistente va condannata al pagamento delle spese del presente
procedimento;
che la condanna presuppone la determinazione degli "onorari dl difesa" (espressione tratta dalla
norma dell'art. 91 cod. proc. civ.);
che secondo il diritto vivente gli onorari per le prestazioni professionali dell'avvocato
devono essere liquidati secondo le tabelle che siano vigenti al momento dell'esaurimento delle
prestazioni stesse da individuarsi nel momento in cui la causa sia ritenuta In decisione dal giudice
(ex plurimis: Cass.civ., Sez. III,10.06.1991, n. 6557);
che tuttavia la recentissima disposizione di cui al comma 1 dell'art. 9 del decreto-legge 24
gennaio 2012, n. 1, recante "disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture
e la competitività" pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 10 del 24 gennaio 2012, ha espressamente
abrogato "le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico";
che il comma 2 del citato articolo 9 ha, inoltre, stabilito che "ferma restando l'abrogazione di
cui al comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, Il compenso del
professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del ministro vigilante";
che la l'applicazione della disciplina dettata dal comma 2 dell'art. 9 del decreto legge n.
1/2012 s’impone in forza del principio "tempus regit actum" trattandosi nella specie di norma dl
carattere processuale;
che la evidenziata natura processuale della disposizione in parola si desume dal fatto che
essa vincola gli "organi giurisdizionali" nell'attività di liquidazione di onorari professionali;
che l'interpretazione restrittiva della norma siccome volta a regolamentare esclusivamente
l'attività giurisdizionale nelle controversie aventi ad oggetto la determinazione del "compenso del
professionista" ovvero nei giudizi instaurati tra committente e professionista appare incompatibile
con la "ratio" complessiva dell'intervento legislativo il quale è a tutta evidenza finalizzato (almeno
così risulta dalla lettura della relazione governativa) a determinare uno straordinario impulso allo
sviluppo economico del paese e al corretto funzionamento dei mercati nell'ambito del quale la
lentezza dei processi, specialmente nel campo della giustizia civile, costituisce un oggettivo vincolo
allo sviluppo;
che, quindi, la suddetta disposizione deve intendersi quale principio processuale di carattere
generale in quanto vincola la giurisdizione in tutti i processi nei quali si deve provvedere alla
liquidazione degli "onorari di difesa":
che la evadente mancanza di alcuna disciplina transitoria non consente di ritenere ultrattivo
il vecchio regime delle tariffe ed obbliga ad applicare il nuovo regime a tutti i processi In corso che
non siano già stati definiti anche per quel che riguarda la condanna alle spese processuali;
- 102 -
che la suddetta e radicalmente innovativa disciplina legislativa ha, sin dalla sua entrata in
vigore, sollevato drammatici interrogativi in ordine ai criteri cui il giudice è tenuto a conformarsi
nel liquidare, alla chiusura del procedimento da lui trattato, gli "onorari di difesa" da porre carico mediante condanna - della parte soccombente In assenza dei necessari parametri stabiliti dal
ministro vigilante;
che di tali gravi interrogativi si è immediatamente quanto responsabilmente fatto carico il
Consiglio Nazionale Forense il cui Ufficio Studi ha evidenziato come l'assenza dei "parametri" da
stabilirai da parte del Ministro della Giustizia possa determinare “la paralisi dei procedimenti di
liquidazione …. in sede giurisdizionale";
che prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 1/2012 gli "onorari di difesa" venivano
liquidati dal giudicante facendo riferimento alle tariffe adottate mediante regolamento del Ministro
della Giustizia a seguito di delibera del Consiglio nazionale forense;
che l'espressa abrogazione di tali tariffe non consente, a giudizio di questo giudice, dl
utilizzare le suddette tariffe in quanto "abrogate" quali "parametri" della liquidazione facendo
ricorso a criteri ermeneutici fondati sulla analoga né, tantomeno, quali "parametri" di un giudizio
equitativo non ravvisandosi alcuna lacuna del regime voluto dal legislatore che possa legittimare
l'impiego dello strumento della interpretazione analogica ne di far postulare la "sopravvivenza"
delle abrogate tariffe quali "parametri" alternativi cui far ricorso per integrare la regolamentazione
legislativa;
che, peraltro, in "subiecta materia" non appare possibile neppure l'estremo ricorso alla
"equità" giudiziale la quale per espressa volontà del legislatore potrà esercitarsi nel determinare il
preciso ammontare degli "onorari di difesa" nell'ambito dei, presumibilmente, elastici "parametri"
che il ministro competente avrà cura di adottare ma non già nell'individuare autonomamente i criteri
cui ancorare una qualche determinazione equitativa;
che il principio costituzionale di "indefettibilità della giurisdizione" (cfr. Corte
costituzionale n. 361/1988) del quale è corollario il dovere per l'organo investito della risoluzione dl
una controversia di decidere sollecitamente conformemente a diritto la questione portata alla sua
cognizione non consente all'organo giurisdizionale alcuna dilazione nelle more della emanazione
del decreto ministeriale che dovrà determinare i c.d. "parametri" della liquidazione giudiziale (fatta
salva, evidentemente, la possibilità in determinate fattispecie di sollecitare le parti a voler
esplicitamente attribuire al giudicante un potere di mero arbitraggio sulla determinazione degli
"onorari dl difesa" da porre a carico della parte tenuta a sopportarli per legge);
che l'eventuale ricorso da parte del giudicante a parametri diversi da quelli espressamente
previsti dal legislatore (ove non si traducesse in un mero recepimento delle abrogate tariffe che di
fatto finirebbe per vanificare la volontà del legislatore) potrebbe risultare, volta a volta mortificante
per il decoro della professione forense e quindi in contrasto con il primo comma dell'art. 36 della
legge fondamentale (tenuto conto che sono l'attuale regime il professionista non potrà ottenere in
sede giurisdizionale la determinazione del compenso in via autonoma nei confronti del proprio
cliente, così come avrebbe potuto fare per I'innanzi) ovvero troppo gravoso per l'esercizio del diritto
di difesa in giudizio (art. 24 Costituzione);
che pertanto (ove non si ritenesse possibile, come opina il sottoscritto giudice, postulare la
"sopravvivenza" delle abrogate tariffe quali "parametri" alternativi a quelli previsti dalla legge)
qualunque soluzione si dovesse scegliere nella determinazione degli "onorari di difesa" essa
implicherebbe il rischio concreto di dar luogo a ingiustificate disparità di trattamento tra situazioni
simili sul piano processuale avuto riguardo al fatto che qualsivoglia soluzione rimarrebbe fondata in
- 103 -
ultima
analisi
sulla
"equità",
soggettiva
del
decidente:
che, in definitiva, le disposizioni di cui al commi 1 e 2 dell'art. 9 del decreto legge n. 1/2012, si
pongono, a giudizio del sottoscritto giudice, in netto contrasto con il canone di rango costituzionale
della (sotto il profilo della intrinseca incoerenza, contraddittorietà ed illogicità rispetto al vigente
ordinamento che impone di liquidare senza dilazione gli “onorari di difesa”) laddove non prevedono
alcuna disciplina transitoria limitata al periodo intercorrente tra l'entrata in vigore delle nome e
l'adozione da parte del ministro competente dei "parametri" ivi previsti;
che alla evidenziata lacuna legislativa non e possibile porre rimedio attraverso alcuna
interpretazione conforme a costituzione;
che la disciplina dettata dai commi 1 e 2 dell'art. 9 del decreto legge n. 1/2012 appare,
altresì, in contrasto con l'art. 24 della Costituzione in quanto vulnera il diritto di agire e resistere in
giudizio rendendo incerto l'onere delle spese da affrontare nel corso del procedimento;
che la suddetta disciplina viola anche l'art. 3 della Costituzione in quanto attribuisce, di fatto e al di
là di alcuna espressa attribuzione del relativo potere, una facoltà ampiamente discrezionale al
giudice tenuto a liquidare gli "onorari di difesa";
che tale facoltà appare priva di alcun ragionevole ancoraggio a parametri certi e controllabili
così, peraltro, frustrando, il diritto della parte soccombente di insorgere nei confronti di un
provvedimento che risulti, eventualmente, incongruo o esorbitante;
che non è neppure ipotizzabile, che il giudice, cui fatto obbligo di applicare in via esclusiva
"parametri" ad oggi inesistenti, possa omettere di decidere sulla condanna del soccombente al
pagamento delle spese processuali ovvero sospendere il giudizio sino alla data in cui sarà emanato il
provvedimento ministeriale per la cui emanazione, peraltro, le disciplina impugnata non pone alcun
termine, in quanto la sospensione, in un caso non previsto da alcuna norma processuale,
integrerebbe, altresì, la violazione del principio di ragionevole durata del processo sancito dell'art.
111, comma, Costituzione;
che è pacificamente sollevabile davanti alla Corte costituzionale questione di legittimità di
un decreto-legge;
che da quanto premesso consegue che la decisione relativa alla liquidazione degli "onorari di
difesa" vada sospesa e gli atti trasmessi alla Corte costituzionale, trattandosi di questione rilevante e
non manifestamente infondata.
Non può, invero, negarsi che la questione sia rilevante ai fini della decisione in quanto la
possibilità per l'organo giurisdizionale di decidere in ordine alle spese del presente giudizio
condizionata alla individuazione di un criterio che, nel permanere in vigore delle norme impugnate,
l'ordinamento non appare fornire in alcun modo.
Ne può, d'altra parte, sostenersi che la questione sia manifestamente infondata ove si tenga
conto, per un verso, dell'impossibilità per il giudice di conformarsi a parametri di liquidazione
obbligatori ma inesistenti e, per altro verso, dell'evidente impossibilità di determinare in termini
oggettivi e controllabili gli oneri di difesa da porre a carico della parte soccombente.
Va pertanto sollevata, nel termini su esposti, questione di legittimità costituzionale dei
commi 1 e 2 dell'art. 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 e sospesa la decisione in ordine alla
determinazione delle spese del procedimento da porre a carico della parte risultata soccombente.
P.Q.M.
visti gli artt. 669 bis e seg. cod. proc. civ.;
- 104 -
conferma il provvedimento reso in data ventisette dicembre duemilaundici;
condanna la patte resistente al pagamento delle spese del presente procedimento;
visti gli artt. 134 Cost., 1, legge n. 1/1948, 23, legge n. 87/1953;
ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del
commi 1 e 2 dell'art. 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante "disposizioni urgenti per la
concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività" pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale
n. 29 del 24 gennaio 2012 nel termini di cui in parte motiva;
sospende la decisione in ordine alla determinazione delle spese processuali da porre a carico della
parte resistente;
ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della Cancelleria, alle parti ed al Presidente
del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento e che sia
successivamente trasmessa senza ritardo alla Corte Costituzionale.
- 105 -
- 106 -
T.A.R.
Lombardia - Brescia
Sezione I
Ordinanza 10 settembre 2012, n. 1528
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 631 del 2011, proposto da:
M.F., rappresentato e difeso dall'avv. G.M., con domicilio eletto presso T.A.R. Segreteria in
Brescia, via Carlo Zima, 3;
contro
U.T.G. - Prefettura di Bergamo, Ministero dell'Interno, Questura di Bergamo, rappresentati e difesi
dall'Avvocatura Distrettuale Stato, domiciliata per legge in Brescia, via S. Caterina, 6;
per l'annullamento
del provvedimento prot. n. P-BG/L/N/2009/109929 del 14/06/2010, di rigetto della dichiarazione di
emersione dal lavoro irregolare presentata dal sig. N.G. a favore del ricorrente, nonchè di ogni altro
atto connesso;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di U.T.G. - Prefettura di Bergamo e di Ministero dell'Interno
e di Questura di Bergamo;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 4 settembre 2012 il dott. Francesco Gambato Spisani e
uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Rilevato:
- che con istanza depositata il 9 luglio 2012 l’avv. G.M., difensore di F.M., ammesso al gratuito
patrocinio nel ricorso 631/2011 R.G. di questo Tribunale, definito con la sentenza 19 luglio 2012
n°1121, così come da decreto 29 maggio 2012 n°15 della competente Commissione, ha domandato
la liquidazione del compenso a lui spettante;
- 107 -
- che la materia è disciplinata dal D.M. Giustizia 20 luglio 2012 n°140, pubblicato sulla Gazzetta
ufficiale del 22 agosto 2012, che ai sensi del proprio art. 42 entra in vigore dal giorno successivo
alla propria pubblicazione e ai sensi del precedente art. 41 si applica a tutte le liquidazioni eseguite
dopo la propria entrata in vigore;
- che ai sensi degli artt. 1 comma 3 e 7 di tale decreto lo stesso è comunque applicabile in via
analogica a tutti i casi di liquidazione del compenso di professionisti, nella specie dell’avvocato, e
impone una liquidazione onnicomprensiva, facendo quindi venir meno la pregressa distinzione fra
diritti e onorari;
- che nella specie il giudizio aveva ad oggetto una questione sulla quale, all’epoca della
proposizione del ricorso, esisteva una giurisprudenza favorevole del tutto costante e inequivoca
(possibilità di ottenere la cd. legalizzazione del cittadino straniero irregolarmente presente sul
territorio nazionale pur in presenza di una condanna per l’abolito reato di cd. clandestinità), tanto
che esso è stato definito con sentenza di cessata materia del contendere per essersi la p.a.
rideterminata in via di autotutela;
- che quanto sopra rileva ai fini della liquidazione, poiché la stessa si compie avuto riguardo alla
complessità della questione ai sensi dell’art. 4 comma 2 del decreto, e nel caso di sentenze di rito, ai
sensi dell’art. 10, comporta un compenso ulteriormente ridotto del 50%;
- che in ogni caso ai sensi dell’art. 1 comma 7 del decreto il compenso da esso previsto è indicativo,
e può essere diminuito al di sotto dei minimi in casi in cui, come il presente, la causa sia di minima
complessità;
- che pertanto, considerata la causa di valore indeterminabile, si reputa equo il compenso di cui in
dispositivo;
- che non possono essere riconosciute le spese reclamate, in quanto non documentate, ricordandosi
che la notifica a favore degli ammessi al gratuito patrocinio è a sua volta gratuita;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione
Prima) liquida a favore dell’avv. G.M. per il patrocinio a spese dello Stato del sig. F.M. nel
ricorso n°631/2011 R.G. di questo Tribunale la somma omnicomprensiva di € 1.000 (mille)
oltre accessori di legge, se dovuti.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 4 settembre 2012 con l'intervento dei
magistrati:
Giorgio Calderoni, Presidente
Stefano Tenca, Consigliere
Francesco Gambato Spisani, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/09/2012
IL SEGRETARIO
- 108 -
IL CASO. it
Testi integrali e note
Trib. Cremona, ordinanza 13 settembre 2012
(est. G. Borella)
ART. 9 D.L. 1/2012 CONV. IN L. 27/2012 –
ABROGAZIONE DELLE TARIFFE FORENSI REGOLAMENTO PER LA LIQUIDAZIONE
GIUDIZIALE DEI COMPENSI – D.M. 20
LUGLIO 2012 N. 140 EFFICACIA –
PROCESSI PENDENTI – INCOSTITUZIONALITÀ
– MANIFESTA INFONDATEZZA – NON
SUSSISTE – RIMESSIONE ALLA CORTE
COSTITUZIONALE.
Va sollevata questione di legittimità
costituzionale dell’art. 9 D.L. 1/2012,
convertito con modificazioni dall’art. 1 della L.
27/2012, e del collegato D.M. 140/2012, nella
parte in cui dispongono l’applicazione
retroattiva delle nuove tariffe forensi anche ai
processi in corso e all’attività già svolta ed
esaurita prima della sua entrata in vigore, in
relazione all’art. 3, 24 e 117 Costituzione,
quest’ultimo in relazione all’art. 6 Cedu,
all’art. 5 trattato Ue e all’art. 296 Trattato sul
Funzionamento dell’Ue e all’art. 6 Trattato Ue
e per esso ai principi dello Stato di Diritto
richiamati dalla Convenzione Europea dei
Diritti dell’Uomo e dalla Carta di Nizza.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO di CREMONA
SEZIONE UNICA PROMISCUA
In persona del Dott. Giulio Borella
Visto l’art. 279 c.p.c.;
Visto l’art. 9 D.L. 1/2012, convertito con
modificazioni dall’art. 1 L. 27/2012, visto il
D.M. 140/2012 del 20.07.2012, pubblicato in
G.U. del 22.08.2012;
SOLLEVA
Eccezione di illegittimità costituzionale delle
predette disposizioni, confliggenti con gli art.
3, 24 e 117 Costituzione, in relazione all’art. 6
Cedu, all’art. 5 co.IV e all’art. 296 Trattato Ue,
all’art. 6 Trattato Ue e alla Carta dei Diritti
dell’Unione firmata a Nizza nel 2000
MOTIVI
L’art. 9 D.L. 1/2012, convertito con
modificazioni dalla L. 27/2012, ha disposto
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l’abrogazione con effetto ex tunc, quindi anche
per le cause in corso, delle tariffe professionali.
L’effetto retroattivo dell’abrogazione si evince
senza possibilità di equivoci o differenti
interpretazioni dalla lettera dell’art. 9 co. I-II,
ove si afferma perentoriamente che “sono
abrogate
le
tariffe
delle
professioni
regolamentate nel sistema ordinistico” e “nel
caso di liquidazione da parte di un organo
giurisdizionale, il compenso del professionista
è determinato con riferimento a parametri
stabiliti con decreto del Ministro vigilante…”.
Anche il co. V indirizza nella stessa direzione,
affermando che “sono abrogate le disposizioni
vigenti che, per la determinazione del
compenso del professionista, rinviano alle
tariffe…”.
Ora l’applicazione retroattiva dell’abrogazione
delle tariffe deve ritenersi in contrasto con gli
articoli 3, 24 e 117 della Costituzione,
quest’ultimo nella parte in cui impone di
legiferare
nel
rispetto
degli
impegni
internazionali assunti dall’Italia, nella specie
l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo (cui ha aderito anche l’Unione ex
art. 6 Trattato Ue) e il principio di
proporzionalità all’art. 5 co. IV e all’art. 296
trattato Ue, oltre che nel rispetto della Carta
dei Diritti Fondamentali dell’Unione firmata a
Nizza nel 2000, pure richiamata dall’art. 6
Trattato Ue, che annovera lo stato di diritto tra
i principi comuni alle tradizioni costituzionali
degli stati membri dell’Ue.
Sebbene infatti la nostra Costituzione non
preveda, se non in campo penale e, secondo
un’interpretazione più moderna, in tutto il
settore sanzionatorio, il divieto assoluto di
norme retroattive, il principio di irretroattività
riceve comunque copertura costituzionale,
come anche recentemente la Consulta ha avuto
modo di affermare nella sentenza n. 78/2012.
L’art. 3 della Costituzione infatti, nello stabilire
il principio di uguaglianza e, quindi, di
ragionevolezza delle scelte del legislatore,
impone
di
salvaguardare
la
certezza
dell’ordinamento, in funzione dell’affidamento
dei cittadini, che devono poter orientare le
proprie condotte, confidando che esse non
saranno sindacate ex post, in base a norme non
vigenti e, dunque, non conoscibili al momento
in cui la fattispecie produttiva di effetti
giuridici era ancora in fieri.
Testi integrali e note
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1
IL CASO. it
Testi integrali e note
Ugualmente l’art. 117 della Costituzione,
nell’imporre al legislatore di legiferare in
conformità al diritto internazionale pattizio,
rinvia, tra l’altro, alla Convenzione Europea dei
Diritti dell’Uomo, ratificata dall’Italia con L.
848/55, nonché alla giurisprudenza della Corte
di Strasburgo, che ha pure avuto modo di
precisare come, ex art. 6 CEDU, il principio
della preminenza del diritto e il concetto di
processo equo ostano a che il potere legislativo
interferisca con l’amministrazione della
giustizia o pregiudichi l’affidamento dei
cittadini (cfr Corte EDU 07.06.2011 Agrati c/
Italia).
Analoghi principi si rinvengono in ambito
comunitario, per effetto del richiamo effettuato
dall’art. 6 Trattato Ue alla Convenzione
Europea dei Diritti dell’Uomo e alla Carta dei
Diritti dell’Unione di Nizza.
Dal compendio normativo richiamato emerge
come la retroattività di una legge non penale
possa ammettersi solamente laddove, all’esito
di un prudente bilanciamento, sussistano
preminenti motivi imperativi di interesse
generale a sostegno della scelta.
Ora, con riferimento alla norma censurata, non
risultano sussistere tali imperative ragioni di
interesse generale, e la norma è irragionevole.
Infatti lo scopo dichiarato del legislatore, col
D.L. 1/2012 e norme derivate e conseguenti, è
quello di liberalizzare il mercato delle
professioni.
Tuttavia, rispetto a tale obiettivo, la
retroattività dell’abrogazione delle tariffe è del
tutto inefficace e, quindi, il mezzo appare
inadeguato e sproporzionato allo scopo (con
ciò concretizzando anche violazione del
principio di proporzionalità, immanente al
sistema dell’Unione ed esplicitato dall’5 co. IV
Trattato sull’Unione e art. 296 del Trattato sul
funzionamento dell’Unione).
Infatti
l’autonomia
negoziale,
cui
la
liberalizzazione vorrebbe fare da volano,
risulta veramente spendibile solo nel momento
– anteriore all’instaurazione del rapporto delle trattative e, quindi, solamente con
riguardo ai contratti ancora da stipulare,
successivi alle nuove disposizioni, mentre, per
quelli già conclusi in epoca precedente e
tutt’ora in fase di esecuzione, il mutamento dei
compensi in corso d’opera si traduce in un
mutamento dell’equilibrio contrattuale a suo
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tempo concordato tra le parti (con una di esse
che inevitabilmente finisce per guadagnarci e
un’altra per perderci), a dispetto delle
valutazioni di convenienza dalle stesse
condotte al momento della stipulazione,
quando invece, in passato, era sempre stato
pacifico che le nuove tariffe che via via
entravano in vigore si sarebbero applicate solo
ed esclusivamente agli adempimenti successivi.
Ciò ha del resto la sua logica spiegazione
giuridica nel fatto che il diritto e la misura del
compenso del professionista sorgono e si
determinano nel momento stesso del
compimento delle singole attività.
S’intende dire che la fattispecie giuridica, col
compimento del singolo adempimento, si è già
perfezionata e l’effetto (il diritto e la misura del
compenso) si è già prodotto in favore del
professionista, secondo il noto sillogismo fattonorma-effetto.
Intervenire retroattivamente su quell’effetto
significa dunque non solo toccare un diritto
quesito, ma anche alterare arbitrariamente gli
effetti di una fattispecie esaurita, a danno
necessariamente di una delle parti.
Potrebbe quindi oggi quindi venirsi la
disomogenea situazione per cui, pur avendo in
ipotesi due avvocati posto in essere il
medesimo adempimento in una stessa data,
uno di essi, più solerte nel chiederne il
pagamento, avrebbe conseguito il dovuto nella
misura prevista dalle vecchie tariffe, mentre il
secondo, che abbia come di consueto atteso la
fine del giudizio, limitandosi a richiedere di
volta in volta degli acconti, si vedrebbe
liquidato
un
compenso
differente
e
mediamente più basso.
Né si dica che, per i contratti in corso, le parti
potrebbero cautelarsi rinegoziando il rapporto
e concludendo l’accordo caldeggiato dalla
riforma: v’è infatti da domandarsi quale forza
negoziale possano spendere gli avvocati nei
confronti di clienti che, nel caso non si dovesse
raggiungere un accordo, sanno che il
compenso verrà liquidato in base al nuovo
D.M. 140/2012.
Il quale prevede compensi mediamente assai
più bassi di quelli a suo tempo liquidabili col
D.M. 08.04.2004 (stante anche il fatto che il
valore della causa non si determinerebbe più,
come avveniva in precedenza, in base alle
norme del codice di procedura civile, bensì in
Testi integrali e note
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2
IL CASO. it
Testi integrali e note
base alla somma finale concretamente
attribuita alla parte vincitrice).
Il caso di specie è emblematico: posto un
valore della controversia di euro 5.000,00
circa, in base al D.M. 08.04.2004 le parti
hanno presentato parcelle che oscillano tra
euro 4.664,00 ed euro 10.000,00 circa, oltre a
spese e accessori, mentre, adottando il D.M.
140/2012,
il
compenso
del
legale
ammonterebbe, in media, ad euro 2.100,00
circa, aumentabile fino ad un massimo di euro
3.855,00.
Invece i calcoli funzionali alla conclusione degli
accordi sui compensi si debbono fare all’inizio
e a bocce ferme, non in corso di causa.
In realtà l’obiettivo del legislatore sembra
essere un altro: dare forza contrattuale al
cliente, tramite l’abbassamento delle tariffe,
ma non già per favorire il portafogli del cliente
stesso, bensì per spingere gli avvocati a non
accettare incarichi non remunerativi e, così,
bloccare l’alluvionale afflusso di processi che
intasano le aule di giustizia, afflusso che non
ha pari in nessun altro paese d’Europa.
In pratica, dietro l’apparente schermo della
liberalizzazione, si tenta di risolvere il
problema della giustizia, facendo leva sul solito
versante delle spese: fino ad oggi lo si era fatto
calcando la mano sulla soccombenza; oggi lo si
fa svilendo il lavoro degli avvocati.
Ed ecco allora che, nell’ottica del legislatore,
anche la retroattività dell’abrogazione delle
tariffe acquisterebbe un senso: quello di
spingere gli avvocati a definire in fretta cause
per le quali si rischia di aver lavorato per anni
in perdita.
Così però si usa in maniera distorta lo schermo
della liberalizzazione e lo strumento della
retroattività, per creare un filtro indiretto
all’accesso dei cittadini alla giustizia.
Ma ciò è contrario all’art. 24 della Costituzione,
che deve quindi anch’esso ritenersi violato
dalla normativa censurata.
Si è tutti d’accordo che, tra le cause della
lentezza dei processi, vi sia l’eccessiva mole di
contenzioso.
Bisogna però allora avere il coraggio di fare
una scelta fondamentale: o garantire un
accesso alla giustizia indiscriminato, come
avviene oggi, strada che appare però sempre
più difficilmente percorribile, a fronte della
scarsità di risorse; oppure creare i giusti filtri e
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limiti – il filtro in Cassazione e il filtro in
appello ad esempio, recentemente introdotto -,
che però non possono passare per lo svilimento
del lavoro già svolto di un’intera categoria di
professionisti.
PQM
Ritenuto che le questioni sollevate siano
pregiudiziali, non potendosi decidere sulla
liquidazione delle spese senza la risposta della
Consulta;
ritenuto altresì che la questione non sia
manifestamente infondata, per tutti i motivi
addotti;
ritenuto che la lettera della legge non consenta
interpretazioni alternative, compatibili col
dettato costituzionale, che autorizzino il
Giudice a non applicare retroattivamente le
nuove tariffe;
IL TRIBUNALE DI CREMONA
in persona del giudice monocratico Dott.
Giulio Borella, solleva eccezione di legittimità
costituzionale dell’art. 9 D.L. 1/2012,
convertito con modificazioni dall’art. 1 della L.
27/2012, e del collegato D.M. 140/2012, nella
parte in cui dispongono l’applicazione
retroattiva delle nuove tariffe forensi anche ai
processi in corso e all’attività già svolta ed
esaurita prima della sua entrata in vigore, in
relazione all’art. 3, 24 e 117 Costituzione,
quest’ultimo in relazione all’art. 6 Cedu, all’art.
5 trattato Ue e all’art. 296 Trattato sul
Funzionamento dell’Ue e all’art. 6 Trattato Ue
e per esso ai principi dello Stato di Diritto
richiamati dalla Convenzione Europea dei
Diritti dell’Uomo e dalla Carta di Nizza.
Dispone la sospensione del processo in corso e
ordina la trasmissione dell’ordinanza e degli
atti alla Corte Costituzionale, unitamente alla
prova delle notificazioni eseguite.
Ordina che, a cura della Cancelleria, la
presente ordinanza sia notificata alle parti, alla
Presidenza del Consiglio dei Ministri e ai
Presidenti della Camera dei Deputati e del
Senato della Repubblica ex art. 23 ult.co. L.
87/1953.
Si comunichi.
Cremona, 13.09.2012
Testi integrali e note
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3
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Tariffe forensi, liquidazione giudiziale, processi pendenti, criteri
Tribunale Varese, sez. I civile, sentenza 26.09.2012 n° 1252
Il D.M. 20 luglio 2012 n. 140, all’art. 1, co. 7, espressamente prevede che “in nessun caso le soglie
numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del
compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa”. Ciò vuol
dire che, motivatamente, il giudice che reputi incongruo il compenso, in conseguenza dell’effetto retroattivo
della nuova normativa, semplicemente può non applicarla e ricalcolare il compenso secondo i vecchi criteri,
spiegando le ragioni per cui adotta la soluzione de qua; si tratta, cioè, di guardare alle vecchie regole come
canoni orientativi adottando una interpretazione adeguatrice, secundum constitutionem.
Tribunale di Varese
Sezione I civile
Sentenza 26 settembre 2012, n. 1252
(Est. Buffone)
...omissis...
Fatto (1)
RB ed AR contraevano matrimonio concordatario in Varese, il …1978; in data … 1992, i coniugi
pervenivano alla comune decisione di separarsi consensualmente e, per l’effetto, presentavano condizioni
condivise dinanzi al Tribunale di Varese, omologate con decreto del …1992. Successivamente, il Tribunale
di Varese, con sentenza del 2 giugno 1998, dichiarava la cessazione degli effetti civili dell’unione
matrimoniale, confermando le condizioni di separazione del .. 1992, con la sola modifica in punto di
quantum dell’assegno alimentare a carico del R, rideterminato in (ex) lire 800.000 mensili. In data 12 aprile
2006, la B notificava all’ex coniuge atto di precetto, con cui intimava il pagamento degli arretrati del
mantenimento, ritenuti mai versati dall’onerato.
Con ricorso depositato in cancelleria in data 20 settembre 1993, la Banca … assumeva di essere creditrice di
entrambi gli ex coniugi della somma di ex lire 5.550.597, quale saldo debitore del c/c n. 20922 e richiedeva
ingiunzione di pagamento che il Tribunale di Varese emetteva in pari data (decreto ingiuntivo n. 1427/1993).
In forza del titolo monitorio ottenuto, la Banca procedeva ad atto di pignoramento immobiliare in data 28
giugno 1995, sulla quota di 1/6 dei beni della B, appartenenti, tra l’altro, a A, B, C, D, E. Seguiva atto di
citazione della creditrice per ottenere la divisione dell’immobile oggetto di pignoramento (citazione
notificata il 31 gennaio 2004). Al fine di evitare la vendita all’incanto dell’immobile, l’attrice riferiva di
avere anticipato la somma di Euro 12.820,66.
Con ricorso del 2 marzo 2011, la B richiedeva, ex artt. 671, 669-bis c.p.c., il sequestro conservativo dei beni
dell’ex marito, assumendosi creditrice verso lo stesso, per le spese sostenute verso la Banca onde evitare la
vendita dell’immobile pignorato. Il Tribunale di Milano accoglieva il ricorso limitatamente alla somma di
Euro 25.000,00.
Con la citazione introduttiva dell’odierno giudizio, la parte attrice chiede condannarsi il convenuto a versarle
la somma di Euro 15.820,66 oltre alle altre somme dovute dalla stessa alla creditrice procedente per le
ragioni indicate in premessa, ovvero la diversa maggiore o minore somma ritenuta di Giustizia, oltre interessi
e rivalutazione monetaria. Vinte le spese.
- 113 -
Diritto
La domanda può essere accolta solo parzialmente.
Giova premettere che entrambe le parti – sia la attrice che il convenuto – stipularono con la Banca … il
contratto di conto corrente n. 20922 che portava, alla data del 20 ottobre 1992, un saldo negativo di Euro
2.866,70. Al momento della notifica della ingiunzione di pagamento da parte del creditore, pertanto, la parte
attrice e il convenuto potevano estinguere l’obbligazione mediante il versamento della somma di lire
5.550.597 oltre le spese (v. l’ingiunzione di pagamento del 20 settembre 1993). Trattandosi di obbligazione
solidale dal lato passivo, l’attrice – agendo con la diligenza che la comune esperienza richiedeva - avrebbe
potuto (rectius: dovuto) saldare l’intero debito e riservarsi di agire in rivalsa o regresso verso il coobbligato
insolvente. Vi è che, invece, a fronte della ingiunzione, non solo il convenuto, ma anche l’attrice, restarono
inerti e decisero non solo di non onorare il debito ma anche di non presentare opposizione al decreto di
pagamento facendolo così divenire esecutivo. L’inerzia dei condebitori si protrasse anche dopo i successivi
atti esecutivi fino a trascinarsi sino al successivo giudizio divisorio, a cui ovviamente non prese parte il
convenuto, in quanto estraneo alla comunione immobiliare oggetto di scioglimento.
Alla luce dei rilievi sin qui svolti, deve ritenersi che ogni posta debitoria successiva alla notifica del decreto
ingiuntivo sia da ricollegare alla inerzia colposa della parte attrice, debitrice in solido, chiamata dunque a
dovere uti singuli sopportarne le conseguenze, ex art. 1227, comma I, c.c. Recependo l’insegnamento della
Suprema Corte (Cass. Civ., sez. Un., sentenza 21 novembre 2011 n. 24406, Pres. Vittoria, rel. Segreto),
infatti, al fine di integrare la fattispecie di cui all'art. 1227, comma 1, c.c., il comportamento omissivo del
danneggiato rilevante non è solo quello tenuto in violazione di una norma di legge, ma anche più
genericamente in violazione delle regole di diligenza e correttezza, se l'inerzia abbia concorso a produrre
l'evento lesivo in suo danno. Ebbene: di fronte al credito (non contestato) della Banca, l’attrice avrebbe
dovuto comportarsi nel rispetto delle norme di Legge che ella stessa aveva accettato con la sottoscrizione del
contratto: saldare l’intero del debito e riservarsi la rivalsa verso il convenuto.
Alla luce delle premesse che precedono, l’odierna azione, va riqualificata come rivalsa ed accolta
esclusivamente limitatamente alla parte di debito esistente alla data della notifica della ingiunzione, con
maggiorazione degli interessi legali alla data dell’odierna pronuncia. Si tratta di somma pari ad €. 1.433.32
alla data del 20 settembre 1993.
La somma all’attualità è di Euro 2.550,00.
Vanno aggiunte le spese di lite.
Non può farsi riferimento alle Tariffe forensi di cui al DM 8 aprile 2004, trattandosi di corpus normativo
espunto dall’Ordinamento dall’art. 9 del decreto–legge 24 gennaio 2012, n. 1, così come modificato dalla
legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27. La liquidazione delle spese processuali avviene, quindi, sulla
base dei nuovi parametri introdotti dal decreto del ministro per la Giustizia 20 luglio 2012, n. 140 che, anche
se sopravvenuto al giudizio da cui trae linfa il diritto al compenso, si applica a tutte le liquidazioni successive
ex art. 42 (v. Trib. Termini Imerese, sentenza 17 settembre 2012 n. 1252; Tar Lombardia - Brescia, sez. I,
ordinanza 10 settembre n. 1528; Trib. Varese, sez. I civ., decreto 17 settembre 2012 n. 1252 (2): per le
pronunce, v. www.ilcaso.it e www.cassazione.net).
Non ignora questo giudice che, secondo una certa giurisprudenza (che offre una motivazione particolarmente
ricca: Trib. Cremona, sez. civ., ordinanza 13 settembre 2012), l’abrogazione delle tariffe forensi, in
combinato disposto con la introduzione dei nuovi criteri, sarebbe sospettabile di incostituzionalità, in quanto
si sarebbe verificata una riduzione irragionevole dei compensi degli Avvocati, a fronte di incarichi già
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espletati (comparando il compenso che si sarebbe versato con i vecchi criteri, il compenso che si liquida con
i nuovi). Le censure, tuttavia, non sono condivise da questo ufficio. Il DM 20 luglio 2012 n. 140, infatti,
all’art. 1 comma VII, espressamente prevede che “in nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a
mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto
e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa”. Ciò vuol dire che, motivatamente, il
giudice che reputi incongruo il compenso, in conseguenza dell’effetto retroattivo della nuova normativa,
semplicemente potrebbe non applicarla e ricalcolare il compenso secondo i vecchi criteri, spiegando le
ragioni per cui adotta la soluzione de qua; si tratterebbe, cioè, di guardare alle vecchie regole come canoni
orientativi adottando una interpretazione adeguatrice, secundum constitutionem (sussistendo in capo al
rimettente la necessità di motivare sull'impossibilità di interpretare la norma in senso conforme alla
Costituzione (cfr. Corte Cost., 19 ottobre 2001, n. 336 in Giur. Costit., 2001, f. 5; Corte Cost. ord., 21
novembre 1997, n. 361 in Giur. Costit., 1997, fasc.6).
Nel caso di specie, tenuto conto del modesto valore della causa, ma della già intervenuta fase cautelare ante
causam, (guardando al petitum e non al disputatum: v. Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, sentenza 11
settembre 2007, n. 19014), applicati i valori medi, le spese si liquidano euro 3.100,00 per competenze ed
Euro 195,00 per spese.
P.q.m.
Il Tribunale di Varese, Sezione Prima Civile
in composizione monocratica, in persona del giudice dott. Giuseppe Buffone, definitivamente
pronunciando nel giudizio civile iscritto al n. 2460 dell’anno 2011, disattesa ogni ulteriore istanza,
eccezione e difesa, così provvede:
***
Accoglie, nei limiti di cui in parte motiva, la domanda della parte attrice, e per l’effetto
condanna la parte convenuta AR a versare a RB l’importo complessivo di Euro 2.550,00 – calcolata
all’attualità - oltre interessi legali dalla sentenza e sino al soddisfo.
Condanna la parte convenuta AR al rimborso delle spese del giudizio in favore della parte attrice che
Liquida
come segue, ai sensi dell’art. 91 c.p.c.
Spese
€. 195,00
Competenze €. 3.100,00
Vanno aggiunti il rimborso dell’Iva e del Cpa giusta l’art. 11 legge 20 settembre 1980, n. 576.
Manda alla cancelleria per i provvedimenti di competenza.
Sentenza immediatamente esecutiva come per Legge, letta in udienza all’esito della discussione orale
della causa ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c.
Varese, lì 26 settembre 2012.
- 115 -
Il giudice
dott. Giuseppe Buffone
(1) All’odierno giudizio è applicabile l’art. 58, comma II, legge 18 giugno 2009 n. 69 e, per l’effetto, la
stesura della sentenza segue l’art. 132 c.p.c. come modificato dall’art. 45, comma 17, della legge 69/09, con
omissione dello “svolgimento del processo” (salvo richiamarlo dove necessario o opportuno per una migliore
comprensione della ratio decidendi).
(2) Il nuovo Regolamento per la liquidazione giudiziale dei compensi, contenuto nel Decreto del Ministero
della Giustizia 20 luglio 2012, n. 140, pubblicato nella GU n. 195 del 22 agosto 2012 ed entrato dunque in
vigore il 23 agosto 2012, in virtù dell’art. 42 del D.M. medesimo, prevede, all’art. 41, che le disposizioni di
nuovo conio si applichino “alle liquidazioni successive alla entrata in vigore” del DM stesso (quindi, dal
23.8.2012). Il regolamento, ai fini della applicabilità ai processi pendenti, indica, dunque, quale parametro di
riferimento, non il momento in cui si è conclusa l’attività del professionista (momento statico) ma il
momento in cui il giudice deve provvedere a liquidare il compenso (momento dinamico). Ciò vuol dire che è
irrilevante il referente temporale che fa da sfondo all’attività compiuta e rileva, invece, la data storica vigente
al momento dell’attività giudiziale-procedimentale di quantificazione del compenso spettante.
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Professionista, compensi, liquidazione, criterio unitario, tariffa applicabile
Cassazione civile , sez. II, sentenza 28.09.2012 n° 16581
L'incarico conferito al professionista ha natura unitaria e non può essere considerato frazionato in ordine
alle diverse prestazioni eseguite.
Pertanto, in caso di successione di tariffe professionali, per stabilire in base a quale di essa debba essere
liquidato il compenso, occorre tenere conto della natura dell'attività professionale e, se per la complessa
portata dell'opera il compenso deve essere liquidato con criterio unitario, la tariffa applicabile è quella che
vige alla data della liquidazione anche se l'esplicazione dell'attività ha avuto inizio quando era vigente altra
tariffa.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Sentenza 23 maggio – 28 settembre 2012, n. 16581
(Presidente Rovelli – Relatore Proto)
Svolgimento del processo
Il geometra I.G. otteneva, nei confronti di Emme Promozione s.r.l. (poi incorporata da Krizia
S.p.A.)
decreto
ingiuntivo
per
il
pagamento
di
prestazioni
professionali.
Emme Promozione con citazione dell'11/10/1994 proponeva opposizione contestando che il
professionista avesse svolto tutte le attività indicate e affermando che le attività effettivamente
svolte erano già state retribuite con il pagamento di lire 68.000.000, a saldo.
Con sentenza del 12/3/2003 il Tribunale di Tempio Pausania accoglieva parzialmente l'opposizione
accertando in lire 62.449.440 il credito residuo del professionista.
Krizia S.p.A., incorporante Emme Promozione s.r.l. proponeva appello deducendo, tra l'altro e per
quanto qui interessa, che la parcella era stata emessa con riferimento alla tariffa professionale
approvata il 6/12/1993, in epoca successiva al progetto esecutivo redatto nel 1987.
I.G. si costituiva e chiedeva il rigetto dell'appello.
La Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con sentenza del 22/3/2005 in
parziale riforma della sentenza appellata condannava Krizia S.p.A. a pagare a G.I. la minor somma
di lire 23.732.263 risultante dall'importo riconosciuto come dovuto al professionista, pari lire
91.732.263 (senza le voci "assistenza al collaudo" e "liquidazione" per mancata prova
dell'espletamento di tali attività), detratte lire 68.000.000 che risultavano già corrisposte. La Corte
territoriale rilevava:
- che, la documentazione legittimamente prodotta in appello (trattando di processo instaurato prima
- 117 -
dell'entrata in vigore della riforma del 1990) provava che il geometra aveva ininterrottamente svolto
la sua attività fino al 3/9/1993 (in particolare valorizzava a tal fine una lettera inviata al
professionista dalla cliente il 3/9/1993);
- che la parcella poteva essere redatta sulla base delle tariffe vigenti al momento del completamento
dell'attività professionale che aveva avuto la sua conclusione nel 1993;
- che nella liquidazione della parcella, pertanto, non poteva applicarsi il D.M. 6/12/1993 n. 596, ma
doveva applicarsi la L. n. 144/1949 e successivi adeguamenti;
- che, d'altra parte, la percentuale sull'importo delle opere non era variata rispetto alla tabella
allegata alla Legge professionale;
- che la sentenza di primo grado aveva riconosciuto come già corrisposto l'importo di lire
68.000.000. Krizia S.p.A. ha proposto ricorso affidato a cinque motivi.
I.G. è rimasto intimato.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione in ordine al mancato
inserimento, tra le somme già corrisposte in pagamento al geometra, dell'importo di lire 8.100.000
per ritenuta di acconto asseritamente documentato in atti (allegati 11-a e 13 dell'atto di appello);
deduce inoltre la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. per l'omessa decisione su due capi di
appello, nei quali si chiedeva darsi atto del pagamento di lire 8.100.000 per ritenuta di acconto.
1.1 Il motivo è manifestamente infondato in quanto la cliente del professionista ha pagato all'erario
somme a titolo di ritenuta di acconto quale sostituto di imposta del professionista e per tali somme il
sostituto aveva omesso di esercitare la rivalsa (obbligatoria) al momento del pagamento del
compenso. L'art. 64, primo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 definisce il sostituto
d'imposta come colui che "in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte in
luogo di altri... ed anche a titolo di acconto".
L'obbligo del sostituto è infatti previsto per agevolare la riscossione e l'accertamento degli obblighi
del percettore del reddito, pur rimanendo obbligato anche il sostituito, mentre il rapporto
privatistico tra sostituto e sostituito è configurato in termini di rivalsa.
Ciò comporta che il sostituto ha corrisposto la ritenuta all'Erario in adempimento di una
obbligazione propria e tale adempimento non costituisce "pagamento" del debito nei confronti del
professionista, ma determina, se del caso, il semplice diritto alla rivalsa.
Ne discende che l'omessa motivazione è irrilevante in quanto non concerne un fatto decisivo per il
giudizio (v. art. 360 n. 5 c.p.c.) e non sussiste omessa pronuncia in quanto la somma
successivamente pagata, corrispondente all'importo dovuto per la ritenuta dapprima non effettuata,
- 118 -
non era stata richiesta con domanda di restituzione, ma illegittimamente portata a deconto del
credito del professionista quale (insussistente) pagamento.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione, la violazione e falsa
applicazione della tabella H del D: 16/9/1982, della tabella H3 del D.M. 407/88; della tabella H4
del D.M. 596/1993 e la "mancata valutazione delle differenze di percentuale riportate in dette
tabelle".
La ricorrente assume che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che la percentuale
sull'importo delle opere non sia variata rispetto alla tabella allegata alla legge professionale, mentre
le tabelle H dei tariffari dei Geometri per gli anni 1982, 1988 e 1993 erano variati.
3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione, la violazione dell'art. 112 c.p.c.,
l'erronea applicazione retroattiva del tariffario 596/1993 e la violazione dell'art. 11 delle
disposizioni sulla legge in generale e assume che sarebbe stato applicato proprio il tariffario di cui
al D.M. 596/1993 che si affermava non doversi applicare e che la Corte di Appello avrebbe omesso
di pronunciarsi in merito a quale tariffario dovesse essere applicato.
4. I due motivi devono essere esaminati congiuntamente in quanto si risolvono nell'unitaria censura
dell'entità della liquidazione calcolata sulla base della parcella tarata dall'ordine e che
corrisponderebbe ai criteri stabiliti dal D.M. 596/1993, ma non a quelli stabiliti dal D.M. 16/9/1982
o dal D.M. 407/1988 che, per le voci riconosciute come dovute (progetto di massima, preventivo
sommario, progetto esecutivo, direzione lavori), porterebbero a liquidazioni inferiori.
Il secondo motivo è in parte inammissibile in quanto non attinge la ratio decidendi della sentenza
impugnata nella quale, invece, si afferma che la liquidazione deve essere effettuata sulla base delle
tariffe vigenti al momento del completamento dell'attività professionale (pag. 3 della sentenza), che
si era svolta fino al 3/9/1993 (pag. 2 della sentenza) e che non potevano essere applicati gli
adeguamenti disposti dal D.M. 6/12/1993 n. 596 in quanto intervenuto successivamente al
completamento dell'attività.
Appare pertanto evidente che la Corte territoriale, rilevando che le attività erano state completate il
3/9/1993 ha ritenuto applicabile il D.M. 407/1988 e, quindi, è in discussione solo la corretta
applicazione del suddetto D.M., mentre resta del tutto immotivata l'affermazione secondo la quale
la Corte di Appello avrebbe applicato il D.M. del 1993.
In ordine alla violazione dei criteri stabiliti dal D.M. 407/1988 nel secondo motivo non sono state
svolte specifiche censure; le censure sono svolte nel terzo motivo che, tuttavia, è inammissibile
nella parte in cui deduce l'omessa pronuncia sulla tariffa applicabile e l'erronea applicazione
retroattiva della tariffa di cui al D.M. 596/1993 essendo invece certo, come detto, che la Corte
distrettuale ha inteso applicare quello del 1988 e, quindi, non la tariffa del 1993 retroattivamente.
Resta, quindi da esaminare il profilo dell'errata applicazione del D.M. 407/1988 in quanto la
ricorrente deduce che la sua corretta applicazione avrebbe comportato la liquidazione di un onorario
di lire 42.339.873, oltre maggiorazioni, mentre la Corte di Appello ha riconosciuto dovuto un
- 119 -
onorario di lire 58.702.249 (previa deduzione delle voci assistenza al collaudo per lire 1.956.741 e
liquidazione per lire 4.565.730, ritenute non dovute).
Sotto questo profilo, la censura è inammissibile per genericità in quanto la società ricorrente si
limita ad esporre e sviluppare un proprio calcolo dell'importo dovuto in base alla tariffa del 1988
senza tuttavia riportare i diversi importi che sono stati liquidati nella notula approvata dal Collegio
dei geometri che è stata utilizzata dal giudice di appello per la determinazione del dovuto, dopo
avere apportato alcune correzioni in riduzione; manca pertanto il parametro di riferimento per
stabilire la violazione dei limiti tariffari massimi.
5. Con il quarto motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione, la mancata valutazione delle
prove prodotte in merito alla datazione della prestazione e la mancata applicazione del D.M.
16/9/1982; nel motivo si reitera la censura per la quale le prestazioni erano state svolte in data
anteriore alla vigenza della tariffa del 1993 e si assume che alcune di esse (progetto di massima,
progetto esecutivo, computo metrico, necessariamente antecedenti alla concessione edilizia del
1987) addirittura prima del 1988 con conseguente applicabilità della tariffa del 1982.
6. Il motivo è infondato in quanto la Corte territoriale ha fornito adeguata motivazione in ordine alle
ragioni per le quali l'attività, pur iniziata nella vigenza della tariffa del 1982, doveva essere
retribuita secondo la tariffa del 1988; infatti, la Corte di Appello, con valutazione di merito non
sindacabile in questa sede in quanto, come detto, assistita da congrua motivazione, ha rilevato che
dalla prodotta documentazione risultava una ininterrotta attività del professionista svolta fino al
3/9/1993, come documentato da una lettera della società indirizzata al professionista (v. pag. 2 della
sentenza) e dal computo metrico estimativo relativo alla sistemazione degli esterni, che rifletteva
un'attività svolta fino al 1993; la contestazione della ricorrente per la quale l'incarico per la
sistemazione delle aree esterne non sarebbe stata ricompresa nell'incarico è meramente oppositiva e
fa leva su un dato solo formale consistente nell'intestazione della parcella.
La motivazione della Corte territoriale è inoltre corretta perché in caso di successione di tariffe
professionali, per stabilire in base a quale di essa deve essere liquidato il compenso occorre tenere
conto della natura dell'attività professionale e, se per la complessa portata dell'opera il compenso
deve essere liquidato con criterio unitario la tariffa applicabile è quella che vige alla data della
liquidazione anche se l'esplicazione dell'attività ha avuto inizio quando era vigente altra tariffa (cfr.
Cass. n. 3233/1955; Cass. n. 50/1957).
7. Con il quinto motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della circolare del
Ministro dei LLPP n. 13951, la violazione dell'art. 11 preleggi, del principio tempus regit actum e
l'omessa motivazione; si sostiene che la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere applicabile per
tutta l'attività il tariffario del 1993 o del 1988 in quanto, in caso di successione delle tariffe nel corso
di una prestazione professionale, devono essere applicate, per le singole attività, le tariffe vigenti al
momento dell'espletamento di ogni singola attività.
8. Il motivo è infondato per le già evidenziate ragioni (v. supra punto 6) tenuto conto della natura
unitaria dell'incarico (che non termina con l'esecuzione della singola prestazione) e della circostanza
che la liquidazione deve essere effettuata al momento della conclusione dell'attività e, quindi, con
riferimento alla normativa vigente a tale momento.
- 120 -
9. In conclusione il ricorso deve essere rigettato, ma senza condanna della ricorrente al pagamento
delle spese in quanto l'intimato non si è costituito.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
- 121 -
- 122 -
Avvocato e procuratore - Onorari e diritti - Abolizione della distinzione - Nozione unitaria - Compenso unitario Parametri di cui al dm 140/12 - Liquidazione da parte di organo giurisdizionale - Epoca successiva all’entrata in
vigore del dm 140/12 - Applicabilità - Sussiste.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Sentenza 25 settembre – 12 ottobre 2012, n. 17406
(Presidente Preden – Relatore Rordorf)
Svolgimento del processo
L'occupazione nel 1981 di alcune aree appartenenti alla Spaz S.S.G.A. s.p.a. (poi divenuta P.V.V.
s.p.a. e che in prosieguo verrà indicata sempre come P.) ad opera del Comune di Montecatini
Terme, che intendeva costruirvi parcheggi pubblici, dette origine ad un complesso contenzioso, in
parte afferente alla determinazione dell'indennità di occupazione ed in parte al risarcimento del
danno per l'intervenuta trasformazione di dette aree e per la loro mancata restituzione, pur dopo la
scadenza del termine di durata dell'occupazione, senza che fosse stato emanato alcun
provvedimento espropriativo.
Con riferimento a quest'ultimo profilo, nel maggio del 2004, la società P. ricorse al Tribunale
amministrativo regionale della Toscana, il quale però - dopo che le sezioni unite di questa corte ne
ebbero confermato la giurisdizione, pronunciandosi sull'istanza di regolamento preventivo proposta
dalla medesima società (ordinanze nn. 19608 ed 19609 del 2008) - rigettò la domanda in quanto
ritenne che il diritto dell'attrice al risarcimento del danno fosse prescritto.
Della questione fu investito il Consiglio di Stato, che, con sentenza depositata il 29 agosto 2011,
riformò la decisione di primo grado, poiché, anche alla luce della sopravvenuta giurisprudenza della
Corte Europea dei diritti dell'Uomo, reputò che l'irreversibile trasformazione delle aree occupate
non ne avesse implicato l'acquisizione in proprietà da parte della pubblica amministrazione, potendo
ciò avvenire solo in forza di un accordo negoziale col proprietario di dette aree o dell'emanazione di
un regolare provvedimento espropriativo (non realizzabile nelle forme accelerate previste dall'art.
43 del d. Igs. n. 327 del 2001, frattanto dichiarato incostituzionale). Pertanto, il Consiglio di Stato
ritenne che il diritto della società proprietaria al risarcimento del danno fosse da correlare al
mancato godimento delle aree indebitamente occupate, a partire dal momento di scadenza del
termine di occupazione legittima sino a quando, in difetto di eventuale restituzione nel pristino
stato, la proprietà non fosse passata in capo all'amministrazione in uno o nell'altro dei modi di
acquisto sopra richiamati. Donde il carattere permanente dell'illecito imputato alla pubblica
amministrazione, la conseguente impossibilità di considerare prescritto il diritto al risarcimento del
danno di cui s'è detto, e la quantificazione di tale danno in misura corrispondente agli interessi
moratori, da calcolare annualmente sul valore del bene nell'arco di tempo considerato, con
maggiorazione di interessi e rivalutazione monetaria.
- 123 -
Avverso questa sentenza il Comune di Montecatini Terme ha proposto ricorso per cassazione,
assumendo che il Consiglio di Stato avrebbe travalicato i limiti della propria giurisdizione.
La società P. si è difesa con controricorso, chiedendo la condanna della controparte al risarcimento
dei danni per responsabilità, processuale aggravata.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. L’eccezione di inammissibilità del ricorso, prospettata in via preliminare dalla difesa della società
controricorrente, non è fondata.
Al contrario di quanto affermato da detta controricorrente, infatti, da alcun documento prodotto in
causa è dato evincere che la sentenza impugnata con il ricorso qui in esame – ossia la sentenza del
Consiglio di Stato n. 4834/2011 – era stata notificata al difensore del Comune di Montecatini
Terme. Ne consegue che, essendo stata detta sentenza depositata in cancelleria il 29 agosto 2011, il
ricorso per cassazione, inviato per la notifica il 24 febbraio 2012, non può dirsi affatto tardivo.
2. Il comune ricorrente lamenta il superamento, nell’impugnata pronuncia, dei limiti esterni della
giurisdizione amministrativa, limiti che non avrebbero consentito al Consiglio di Stato di affermare
- come ha fatto - che la proprietà delle aree di cui si discute nel caso in esame non è stata acquisita
dalla pubblica amministrazione e, che una tale acquisizione può avvenire solo per effetto, un
accordo negoziale da stipulare con la società P. o all'esito di un regolare procedimento
espropriativo. Così decidendo il giudice amministrativo avrebbe, per un verso, inteso colmare la
lacuna normativa verificatasi a seguito della declaratoria d'illegittimità costituzionale dall’art. 43 del
d. Igs. n. 327 del 2001, pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 293 del 2010,
interferendo però in tal modo indebitamente con la sfera delle attribuzioni proprie del legislatore, e,
per altro verso, avrebbe invaso la sfera di competenza giurisdizionale del giudice ordinario, cui
spetterebbe valutare l'eventualità dell’acquisto della proprietà delle aree da parte del comune per
effetto di usupione.
3. Il ricorso non è fondato.
Giova anzitutto ricordare che non è più possibile mettere in discussione la competenza
giurisdizionale del giudice amministrativo a conoscere della domanda di risarcimento del danno
proposta dalla società P. nella presente causa, essendo stata tale questione già risolta dalle ordinanze
(n. 19608 ed 19609 del 2008) con le quali questa corte si è pronunciata in sede di regolamento
preventivo.
Ciò premesso, è agevole rilevare come l'impugnata sentenza del Consiglio di Stato, nel riformare la
decisione del Tribunale amministrativo che aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno
per intervenuta prescrizione e nell'accogliere invece siffatta domanda, determinando il criterio di
liquidazione del danno da risarcire, si è mossa nel medesimo alveo giurisdizionale nel quale era
precedentemente intervenuta la riformata pronuncia di primo grado. In entrambi i casi il giudizio ha
avuto ad oggetto il diritto della società P. di ottenere il risarcimento del danno subito in
conseguenza dell'illegittimo protrarsi dell'occupazione di aree di sua proprietà senza l'intervento di
alcun successivo provvedimento espropriativo (quella che un tempo si era soliti definire
- 124 -
"occupazione acquisitiva"): diritto che il primo giudice ha reputato fosse ormai estinto e che,
viceversa, il giudice d'appello ha considerato ancora in vita, procedendo perciò a definire i criteri di
liquidazione del danno.
Gli argomenti che il Consiglio di Stato ha adoperato per giustificare tale decisione - in particolare
quelli concernenti le diverse possibili modalità di acquisto legittimo della proprietà delle aree in
contestazione da parte della pubblica amministrazione, su cui si appuntano le censure del comune
ricorrente - sono null'altro che passaggi motivazionali, volti a chiarire come il giudice di secondo
grado ha individuato gli estremi del danno risarcibile, a spiegare la ragione per la quale egli ha
reputato quel danno permanente ed il relativo diritto non ancora prescritto ed a definire i criteri in
base ai quali il medesimo danno è destinato ad essere liquidato.
Anche a voler ammettere, per mera esigenza dialettica, che quegli argomenti siano errati e che,
come il comune ricorrente insiste nel sostenere, si sarebbe dovuto tener conto della possibilità che le
aree delle quali si parla fossero state già da alcun tempo usucapite dall'amministrazione che le aveva
occupate per realizzarvi dei parcheggi pubblici, si tratterebbe di eventuali errores in iudicando, ma
non certo di uno sconfinamento dai limiti della giurisdizione del giudice amministrativo, quali già
accertati nelle precedenti ordinanze di questa corte sopra citate. Né altrimenti è a dirsi per il fatto
che il Consiglio di Stato, formulando le argomentazioni cui s'è fatto cenno, non abbia tenuto conto
della sopravvenuta emanazione da parte del legislatore, dopo la declaratoria d'illegittimità
costituzionale dell'art. 43 del d. Igs. n. 327 del 2001, di un novello art. 42-bis del medesimo decreto
(articolo introdotto dal d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111,
nell'intervallo di tempo compreso tra la data della decisione in camera di consiglio e quella della
pubblicazione della sentenza qui impugnata); circostanza, questa, che, a tutto concedere, potrebbe
assumere rilievo in termini di eventuale violazione di legge, ma non vale certo a configurare
un'indebita invasione del giudice nella sfera riservata al legislatore.
4. Il comune ricorrente, essendo rimasto soccombente, dovrà però rifondere alla controparte le spese
del giudizio di legittimità, che vengono liquidate come in dispositivo, in applicazione dei criteri
stabiliti d.m. 20 luglio 2012, n, 140.
A tale ultimo riguardo giova ricordare che, a norma dell'art. 41 del d.m. 20 luglio 2012, n. 140, che
ha dato attuazione alla prescrizione contenuta nell'art. 9, 2° comma, del d. I. 24 gennaio 2012, n. 1,
convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 271, le disposizioni con cui detto decreto ha determinato i
parametri ai quali devono esser commisurati i compensi dei professionisti, in luogo delle abrogate
tariffe professionali, sono destinate a trovare applicazione quando, come nella specie, la
liquidazione sia operata da un organo giurisdizionale in epoca successiva all'entrata in vigore del
medesimo decreto.
Reputa il collegio che, per ragioni di ordine sistematico e dovendosi dare al citato art. 41 del decreto
ministeriale un'interpretazione il più possibile coerente con i principi generali cui è ispirato
l'ordinamento, la citata disposizione debba essere letta nel senso che i nuovi parametri siano da
applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data
di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che,
a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale
prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta in epoca precedente, quando ancora erano in
vigore le tariffe professionali abrogate.
- 125 -
Vero è che il terzo comma del citato art. 9 del d.l. n. 1/12 stabilisce che le abrogate tariffe
continuano ad applicarsi, limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali, sino all'entrata in
vigore del decreto ministeriale contemplato nel comma precedente; ma da ciò si può trarre
argomento per sostenere che sono quelle tariffe - e non i parametri introdotti dal nuovo decreto - a
dover trovare ancora applicazione qualora la prestazione professionale di cui si tratta si sia
completamente esaurita sotto il vigore delle precedenti tariffe. Non potrebbe invece condividersi
l'opinione di chi, con riferimento a prestazioni professionali (iniziatesi prima, ma) ancora in corso
quando detto decreto è entrato in vigore ed il giudice deve procedere alla liquidazione del
compenso, pretendesse di segmentare le medesime prestazioni nei singoli atti compiuti in causa dal
difensore, oppure di distinguere tra loro le diverse fasi di tali prestazioni, per applicare in modo
frazionato in parte la precedente ed in parte la nuova regolazione. Osta ad una tale impostazione il
rilievo secondo cui - come anche nella relazione accompagnatoria del più volte citato decreto
ministeriale non si manca di sottolineare - il compenso evoca la nozione di un corrispettivo unitario,
che ha riguardo all'opera professionale complessivamente prestata; e di ciò non si è mai in passato
dubitato, quando si è trattato di liquidare onorari maturati all'esito di cause durante le quali si erano
succedute nel tempo tariffe professionali diverse, giacché sempre in siffatti casi si è fatto
riferimento alla tariffa vigente al momento in cui la prestazione professionale si è esaurita (cfr., ad
esempio, Cass. n. 5426 del 2005, e Cass. n. 8160 del 2001). L'attuale unificazione di diritti ed
onorari nella nuova accezione omnicomprensiva di "compenso" non può non implicare l'adozione
del medesimo principio alla liquidazione di quest'ultimo, tanto più che alcuni degli elementi dei
quali l'art. 4 del decreto ministeriale impone di tener conto nella liquidazione (complessità delle
questioni, pregio dell'opera, risultati conseguiti, ecc.) sarebbero difficilmente apprezzabili ove il
compenso dovesse esser riferito a singoli atti o a singole fasi, anziché alla prestazione professionale
nella sua interezza. Né varrebbe obiettare che detti elementi di valutazione attengono alla
liquidazione del compenso dovuto al professionista dal proprio cliente, sembrando inevitabile che
essi siano destinati a riflettersi anche sulla liquidazione giudiziale effettuata per determinare il
quantum delle spese processuali di cui la parte vittoriosa può pretendere il rimborso nei confronti di
quella soccombente.
P.Q.M.
Rigetta ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che
liquida in euro 5.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.
- 126 -
Liberalizzazioni e professioni: prime considerazioni sul decreto Monti
Articolo di Claudio Colombo 26.01.2012 (Altalex, 26 gennaio 2012)
1. Il primo e il quarto comma: l’abrogazione delle tariffe professionali.
Propagandata come una delle maggiori innovazioni contenute nel decreto legge sulle liberalizzazioni, in realtà
l’abrogazione delle tariffe professionali ha una valenza puramente simbolica.
Lo scardinamento del sistema tariffario, infatti, era già stato realizzato con l’abolizione della sua obbligatorietà, quanto
ai minimi, abolizione risalente ormai ad oltre cinque anni fa (con il d.l. “Bersani”, del 4 luglio 2006, n. 223, convertito
in l. 4 agosto 2006, n. 248).
Mi risulta quindi del tutto oscuro comprendere come l’abrogazione di un apparato di regole da tempo non più cogente
possa avere effetti, di qualunque segno, sulla crescita economica e sull’incremento della concorrenza. A ben vedere,
infatti, questo nessuno lo ha convincentemente spiegato, e prova ne sia che quasi sempre nei resoconti giornalistici, che
hanno preceduto la gestazione del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, veniva fornita la fuorviante indicazione secondo
cui il Governo Monti si sarebbe apprestato ad abolire le tariffe minime obbligatorie, come se queste non fossero già
appartenute alla dimensione della storia del diritto, e non a quella del diritto vigente.
Per la verità, un serio approccio al tema qui in discussione avrebbe dovuto partire da un’analisi (mi verrebbe da dire
review, per usare un termine in voga) degli effetti che in concreto l’abrogazione dell’obbligatorietà delle tariffe minime
ha determinato sul versante dei benefici per i consumatori, nonché per le micro, piccole e medie imprese: se condotta in
modo adeguato, tale analisi avrebbe da un lato probabilmente portato a qualche sorpresa in senso negativo per gli
oppositori del sistema tariffario, mentre dall’altro avrebbe certamente consentito di acclarare i significativi vantaggi di
cui hanno beneficiato le grandi imprese, ed in generale i grossi clienti, a discapito dei professionisti.
In conclusione, l’unica novità rilevante sembra dunque rappresentata dal fatto che, oltre ai minimi tariffari, risultano
oggi aboliti anche i massimi, sicché il professionista potrà pattuire qualunque compenso con il cliente, purché adeguato
all’importanza dell’opera, come si legge nel contesto del terzo comma della disposizione in esame. Si passa, dunque, da
un sistema in cui l’adeguatezza del compenso all’importanza dell’opera veniva ad essere tradotta in numeri (calibrati
sulla complessità dell’incarico e sul suo valore economico), ad un sistema in cui la valutazione della sua sussistenza
rischia di rimanere affidata, nei fatti, a meccanismi vagamente equitativi, sulla cui pericolosità avrò modo di tornare più
avanti.
Lascio al lettore il compito di stabilire se questo sia un passo avanti o indietro, in un mondo nel quale la misurabilità in
termini numerici anche delle attività umane intellettuali viene considerato un valore.
2. Il secondo comma: le tariffe escono dalla porta … e, in quanto indispensabili, rientrano dalla finestra sotto forma di
“parametri”.
- 127 -
Abolite le tariffe, il Governo si è immediatamente reso conto della necessità della loro esistenza, in un sistema
razionale. Non potendo tuttavia smentire se stesso, si è ben guardato dal chiamarle con il loro nome, e le ha chiamate
“parametri”, affidandone la determinazione ad emanandi decreti ministeriali.
Solo a chi analizza la questione con superficialità e preconcetto può sfuggire il fatto che ci sono dei casi in cui
l’esistenza di una tariffa è imprescindibile, direi ontologicamente, a meno di non volersi affidare al criterio
veterogiurdico dell’equità, come peraltro si leggeva in alcune bozze fatte circolare nella settimana precedente il
Consiglio dei Ministri di venerdì scorso.
Senza pretesa di essere esaustivi, si rileva come un primo caso sia quello in cui è l’autorità giudiziaria a dover stabilire
l’entità del compenso spettante al professionista: ciò accade, ad esempio, in occasione del conferimento di incarichi a
consulenti tecnici d’ufficio, nell’ambito dei procedimenti giudiziari. L’esigenza di fornire al giudice parametri certi, al
fine di evitare abusi o eccessi di discrezionalità (in un senso o nell’altro), è talmente evidente da non meritare particolari
spiegazioni.
Un secondo caso è quello in cui il giudice deve stabilire quale sia l’ammontare degli onorari legali, che la parte
vittoriosa in un processo può recuperare a carico di quella soccombente. Sul punto è forse superfluo precisare che qui la
quantificazione non può essere sic et simpliciter ragguagliata a quanto pattuito tra l’avvocato della parte vittoriosa e
quest’ultima, anzitutto per l’elementare ragione che il contratto ha effetto solo tra le parti e non nei confronti dei terzi
(art. 1372 c.c.). In ogni caso, se così fosse, non si conterebbero i casi di condotte speculative, a discapito della parte
soccombente, specie se notoriamente solvibile (ad esempio: io, avvocato, so che una causa civile contro
un’assicurazione è molto probabilmente destinata ad essere vinta; concordo con il mio cliente un onorario esorbitante, e
tale determinazione risulterà vincolante per l’assicurazione soccombente).
Un terzo caso è quello in cui, non essendo stato previamente convenuto dalle parti il compenso (od essendo stato
convenuto con modalità affette da invalidità, come si dirà tra breve), il professionista abbia comunque prestato la
propria opera a favore del cliente. Ai sensi dell’art. 2233 c.c., è ancora una volta il giudice a dover stabilire l’entità del
compenso, se sorge controversia in merito tra il cliente ed il professionista. Relativamente a questa ipotesi va subito
precisato, anticipando quello che dirò a margine del terzo comma, che l’inottemperanza all’obbligo di pattuizione per
iscritto del compenso non ha (né potrebbe avere, pena la manifesta incostituzionalità) come conseguenza quella della
perdita del diritto del professionista a vedere remunerata l’attività comunque in concreto svolta.
Ciò posto, il Governo – come si è già accennato – aveva in un primo tempo ritenuto di poter risolvere i problemi in
questione attraverso l’affidamento al giudice di un indiscriminato potere equitativo. La marcia indietro è stata
verosimilmente determinata dalla presa d’atto che in tal modo si sarebbe venuto a creare un enorme contenzioso sulla
correttezza di valutazioni giudiziarie puramente equitative, svincolate da qualunque criterio predeterminato. A quel
punto anche la più cieca furia iconoclasta nei confronti delle tariffe si è dovuta arrendere (anche se, come dirò tra breve,
non del tutto) di fronte alla totale irrazionalità dell’unica alternativa concretamente individuabile.
L’evidente fretta con la quale è stato scritto, all’ultimo momento, il comma qui in esame, ne spiega peraltro le
grossolane lacune.
La prima è rappresentata dal fatto che non si individua alcun termine per l’emanazione dei decreti ministeriali
contenenti i “parametri” ai quali gli organi giurisdizionali dovranno attenersi per la liquidazione del compenso dei
professionisti, né si fornisce alcuna indicazione su quali debbano essere i principi generali cui ci si dovrà attenere, a
livello ministeriale, in sede di elaborazione dei “parametri” medesimi: l’una e l’altra circostanza fanno prospettare il
dubbio circa la tenuta costituzionale della norma, così come oggi è formulata.
La seconda è costituita dal fatto che non si prevede alcunché in ordine alla disciplina intertemporale, da applicarsi fino
al momento dell’emanazione dei decreti ministeriali. Ciò determina un’evidente carenza, che peraltro neppure potrebbe
essere colmata attraverso l’equità, visto che opportunamente ogni riferimento a quest’ultima è stato espunto dal testo del
decreto legge.
- 128 -
Inevitabilmente, dunque, la soluzione-ponte non potrà che essere quella di continuare a riferirsi alle attuali tariffe,
ancorché abrogate, perché esse rappresentano, ad oggi, l’unico parametro di riferimento razionale, al quale è possibile
affidarsi senza rischiare di incorrere in una censura di arbitrarietà.
È comunque del tutto probabile che, durante l’iter di conversione del decreto legge, a queste lacune venga ovviato
nell’unico modo razionalmente ipotizzabile, e cioè dichiarando l’ultrattività delle attuali tariffe professionali, sino
all’emanazione dei decreti ministeriali contenenti i “parametri”.
Ovviamente è poi facile prevedere che il conflitto tra Governo e categorie professionali finirà per trasferirsi sul metodo
e sul merito degli emanandi “parametri”. È pressoché certo, infatti, che le professioni vorranno essere quanto meno
consultate, in sede ministeriale, in vista dell’adozione dei decreti, ancorché ciò non sia previsto dalla norma, così come
attualmente configurata. Una tale pretesa, peraltro, non potrebbe essere tacciata di corporativismo, posto che la
questione attiene pur sempre all’attribuzione di un valore economico al lavoro di qualcuno.
Infine, con un inserimento dell’ultimissima ora (non a caso assente dalle versioni del testo del decreto legge, pubblicate
sui quotidiani di sabato scorso), si è precisato che “l’utilizzazione dei parametri nei contratti individuali tra
professionisti e consumatori o microimprese dà luogo alla nullità della clausola relativa alla determinazione del
compenso ai sensi dell’art. 36 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206”.
Come ho anticipato, si ripropone qui quella avversione ideologica e preconcetta nei confronti delle tariffe, che tuttavia
finisce, a ben vedere, per rivelarsi del tutto illogica, e comunque destinata a restare sul terreno della pura declamazione.
Detto, infatti, che la norma sancisce comunque, sia pure indirettamente, la piena validità della relatio ai “parametri”nei
rapporti tra professionisti e soggetti diversi dai consumatori e dalle microimprese, non è dato in realtà comprendersi per
quale ragione debba ritenersi affetta da nullità, in quanto vessatoria, una clausola contrattuale che operi un rinvio a
criteri e valori, quali quelli ministeriali, cui non potrebbe giuridicamente venire negato il crisma dell’adeguatezza, pena
la loro illegittimità azionabile dinanzi agli organi di giustizia amministrativa.
In ogni caso, come anticipato, la declaratoria di nullità parziale della clausola contrattuale di rinvio ai “parametri”
ministeriali, finirebbe per determinare un singolarissimo cortocircuito, per cui il giudice – dichiarata la nullità –
dovrebbe comunque poi provvedere a stabilire ex art. 2233 c.c. l’entità del compenso spettante al professionista, e per
fare ciò altra possibilità non avrebbe, che quella di utilizzare i medesimi “parametri”, con buona pace della loro
espunzione dal regolamento negoziale.
3. Il terzo comma: compenso, preventivo e obblighi informativi.
La previsione dell’obbligo per il professionista di fornire il preventivo, insieme a quella relativa all’abrogazione delle
tariffe, costituisce la novità maggiormente enfatizzata sugli organi di stampa.
In realtà la configurazione della norma sul punto è piuttosto illogica e confusa, e verosimilmente dovrà essere fatta
oggetto quanto meno di ampio restyling ad opera del Parlamento.
Ma andiamo con ordine. La norma esordisce stabilendo che il compenso del professionista è pattuito per iscritto al
momento del conferimento dell’incarico. Come ogni altra violazione delle disposizioni contenute nel comma in esame,
la mancata pattuizione per iscritto del compenso costituisce illecito disciplinare del professionista, e ciò per espressa
statuizione contenuta nella parte finale del comma medesimo.
Qui si pone peraltro un primo interrogativo, e cioè quello relativo all’opportunità, se non alla legittimità, che sia la
legge dello Stato a sancire direttamente la natura di illecito disciplinare di determinate condotte od omissioni,
nell’ambito di un sistema ordinistico, quale ancora è – ed è destinato a rimanere, stando ai provvedimenti legislativi
sinora approvati – quello delle professioni.
- 129 -
A parte ciò, è comunque evidente che, alla luce del testo in esame, l’unica sanzione riconducibile alla mancata
pattuizione per iscritto del compenso non possa che essere quella disciplinare, dovendosi tassativamente escludere che,
ad esempio, essa possa condurre alla nullità civilistica del contratto tra professionista e cliente, ovvero alla perdita del
diritto del professionista a vedere remunerata l’attività comunque svolta in favore del cliente. Il contratto d’opera
professionale, infatti, è un contratto a titolo oneroso, sicché giammai esso potrebbe venire trasformato in contratto a
titolo gratuito, a causa di un’inottemperanza di indole formale.
Sempre in tema di compenso, la norma prosegue statuendo, letteralmente, che la relativa misura, “previamente resa
nota al cliente anche in forma scritta se da questi richiesta, deve essere adeguata all’importanza dell’opera, e va pattuita
indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi”.
Ebbene, qui emergono con evidenza proprio quei profili di illogicità e confusione in precedenza segnalati, oltre che tutta
una serie di possibili equivoci interpretativi.
Il primo profilo concerne proprio il concetto di preventivo (termine peraltro scomparso nella lettera della versione
definitiva del decreto legge, ma rimasto nella sostanza). Sia nel linguaggio comune, che nella pratica degli affari, sia
infine nella terminologia legale (si pensi, ad esempio, alla materia dei bilanci) un preventivo è per sua natura qualcosa
di provvisorio, e destinato a variare in relazione ai concreti accadimenti inerenti, ad esempio, ad un contratto, o ad un
rapporto, che dura nel tempo: non a caso al preventivo segue, esaurita la prestazione, o concluso il periodo di
riferimento, il consuntivo.
Del tutto singolarmente, invece, nella disposizione in esame si fa implicitamente riferimento solo al preventivo (mentre
non si parla di consuntivo), ed il requisito della redazione scritta del preventivo, se richiesta dal cliente, si sovrappone al
requisito della pattuizione scritta del compenso, in tal modo determinandosi una sostanziale incomprensibilità lessicale,
prima ancora che giuridica, del testo normativo.
Con il che, delle due l’una. O si ammette, come logica vorrebbe, che quanto indicato nel preventivo possa poi, in sede
di consuntivo, essere fatto oggetto di aumento (o di diminuzione), in relazione alla concreta prestazione erogata dal
professionista, ma in realtà ciò confliggerebbe con la lettera della norma, che – come si è visto – non parla di
consuntivo, e dalla quale si evince che il preventivo rappresenta in sostanza la modalità di comunicazione della misura
del compenso.
Per contro, se si afferma l’invariabilità del compenso rispetto a quanto indicato nel preventivo, dovrebbe senz’altro
ricavarsi la totale irrazionalità di una norma (e, dunque, la sua incostituzionalità), che, così configurata, imporrebbe al
professionista di prevedere sin dall’inizio l’entità totale del suo compenso, in relazione ad una prestazione quasi sempre
del tutto incerta quanto alla sua durata, alle specifiche attività in cui si dovrà articolare, ed alla complessità del suo
svolgimento, complessità non di rado dipendente da fattori totalmente estranei al controllo del professionista stesso.
Il secondo profilo attiene all’adeguatezza della misura del compenso, rispetto all’importanza dell’opera: personalmente
ritengo che tale precisazione – ancorché probabilmente ben vista dalle categorie professionali, in funzione antidumping, ed ancorché del tutto inutile, in quanto ripetitiva di quanto già statuisce il tuttora vigente art. 2233, secondo
comma, c.c. – possa essere pericolosa, in quanto – cancellato il sistema tariffario – essa introduce la possibilità di un
controllo giudiziale del compenso pattuito, con ciò facendo perdere certezza giuridica agli accordi sottoscritti tra
professionisti e clienti. Ovviamente il segnalato pericolo è destinato ad attenuarsi, se – come è pressoché certo – i
“parametri” ministeriali verranno ad essere adoperati quale canone di adeguatezza. Con il che, però, risulterebbe
ulteriormente confermata la natura puramente cosmetica del passaggio dalle “tariffe” ai “parametri”, e serietà vorrebbe
che in sede parlamentare – preso atto dell’ineludibilità, per le ragioni sopra esposte, dell’esistenza di una tariffa,
ancorché non obbligatoria – si ponga fine ad una battaglia che, in conclusione, si rivela meramente nominalistica.
Il terzo profilo concerne le modalità sostanziali di pattuizione del compenso. A conferma di una notevole confusione di
idee, nelle versioni del decreto apparse sulla stampa di sabato si leggeva che la misura del compenso si sarebbe dovuta
pattuire “in modo onnicomprensivo”; nella versione pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale si legge invece esattamente
l’opposto, e cioè – come detto – che la misura del compenso va pattuita “indicando per le singole prestazioni tutte le
- 130 -
voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi”. Dunque, si è passati da un criterio di necessaria sinteticità, ad
un criterio di necessaria analiticità.
Va da sé che, in quanto soluzioni oppostamente estreme, ambedue appaiono scarsamente perspicue.
Come è noto, infatti, a seguito dell’abolizione dell’obbligatorietà dei minimi tariffari, le modalità sostanziali di
pattuizione del compenso tra professionisti e clienti si sono in concreto moltiplicate: facendo riferimento, ad esempio,
alla categoria forense, si possono menzionare i compensi orari, quelli a forfait, quelli parametrati sulle tariffe
ministeriali, eventualmente con uno sconto rispetto ai minimi, i patti di quota lite, i compensi a minimo garantito con
success fee, e via elencando.
Ebbene, avendo il Governo introdotto il requisito della “analiticità”, non è chiaro quali di queste metodologie di
determinazione del compenso seguitino ad essere compatibili con tale requisito.
Anche qui, delle due l’una: o si ritiene che tutte le modalità di cui sopra siano ancora consentite (salvo quanto statuito
nella declamatoria statuizione contenuta nell’ultima frase del secondo comma), il che inevitabilmente finirebbe, in
relazione ad alcune di dette modalità, per porre il problema del rapporto tra preventivo e consuntivo, come sopra
delineato; o si ritiene, al contrario, che alcune di esse siano incompatibili con il nuovo assetto della materia, il che si
tradurrebbe in un paradossale effetto limitativo dell’autonomia contrattuale, contenuto in un decreto legge in tema di
liberalizzazioni.
Inoltre, deve rilevarsi che l’esigenza, sottesa alla logica del preventivo, di individuare in anticipo la misura del
compenso, si pone in evidente contraddizione con l’opposta logica, di poter consentire che il relativo ammontare sia
collegato, in tutto o in parte, al dato inizialmente incerto del conseguimento del risultato utile per il cliente. I fautori
dell’opportunità che ciò sia permesso (laddove prima del Decreto Bersani in larga parte non lo era), lo ricordo, sono
principalmente gli stessi propugnatori della libera concorrenza nel settore delle professioni, sicché non c’è dubbio che la
questione meriti proprio da parte di costoro di venire opportunamente rimeditata.
Un accenno, infine, a proposito degli obblighi informativi. In larga parte, quanto statuito dal comma in esame
(necessità di informare il cliente circa il grado di complessità dell’incarico e circa gli oneri ipotizzabili al momento del
suo conferimento) risulta già attualmente sancito dalla totalità dei codici deontologici, nei quali – a ben vedere – gli
obblighi di informazione a carico del professionista appaiono sovente ben più ampi ed incisivi. Dunque, atteso che il
mancato rispetto di tali obblighi rileverebbe unicamente a fini disciplinari, ben può dirsi che nulla è destinato a
cambiare rispetto allo status quo.
Un diverso discorso va invece fatto con riferimento all’obbligo di comunicare i dati della copertura assicurativa. Sotto
questo profilo il decreto legge introduce una sorta di “fuga in avanti”, in quanto prevede la doverosità di una
comunicazione inerente ad una circostanza, che però attualmente non forma oggetto di alcuno specifico obbligo
generalizzato in capo ai professionisti.
L’obbligo di dotarsi di una copertura assicurativa è infatti previsto nell’ambito dei principi che dovranno essere recepiti
nella futura riforma degli ordinamenti professionali (art. 3, comma quinto, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138,
convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148), sicché allo stato non pare discutibile che la norma vada interpretata –
come peraltro opportunamente si leggeva in alcune bozze preliminari del decreto legge – nel senso che l’obbligo
deontologico della comunicazione al cliente dei dati della polizza assicurativa scatta solo se quest’ultima è stata in
concreto stipulata.
4. Conclusioni.
L’impressione generale che si ritrae dalla lettura delle disposizioni che si sono commentate è, dunque, quella di un testo
redatto con eccessiva fretta, assai condizionato da ragioni di natura squisitamente ideologica e, non ultimo, dalla
necessità di introdurre alcuni “concetti chiave” (l’abolizione delle tariffe, il preventivo) politicamente e
giornalisticamente efficaci, ma giuridicamente poveri di contenuto, quando non assolutamente discutibili sul piano della
concreta formulazione.
- 131 -
L’auspicio è che un sereno iter parlamentare della legge di conversione consenta di apporre quei necessari correttivi,
senza i quali la riforma rischia di produrre effetti esattamente contrari, rispetto ai propositi dichiarati.
Chi scrive non si nasconde che il fenomeno della globalizzazione e la crisi finanziaria che attanaglia l’Europa nel suo
complesso, ed il nostro Paese in particolare, impongano dei decisi cambiamenti, i quali non potranno che riguardare
tutte le categorie produttive.
In questo senso credo che vadano combattuti gli opposti estremismi, di chi da un lato seguita ad arroccarsi a difesa di
un certo corporativismo fuori dai tempi, e di chi dal lato opposto pretende (spesso in mala fede ed in palese conflitto di
interessi) di negare la specificità delle professioni e dei professionisti, rispetto alle attività di impresa.
Si aggiunga, infine, che una seria riforma delle professioni non potrebbe non tenere conto del fatto, troppo spesso
volutamente omesso nei confronti della pubblica opinione, che la posizione del professionista può essere sì assimilata a
quella del contraente c.d. forte, relativamente ai rapporti con la clientela consumatrice, o micro- e piccoloimprenditoriale; ma che viceversa nei confronti dei grossi clienti (imprese industriali medio-grandi, grande
distribuzione commerciale, banche, assicurazioni, enti pubblici e para-pubblici, sindacati, etc.) sono quasi sempre i
professionisti a vestire i panni del contraente c.d. debole.
- 132 -
TARIFFE, PREVENTIVO E SOCIETÀ
Passi da compiere ed errori da evitare
nel contratto d’opera professionale
Utile specificare
sin dall’inizio
che gli oneri potrebbero
essere superati,
modulando il compenso
sulle singole prestazioni,
necessarie ed eventuali.
Nessun problema per
importi forfetizzati
o mirati sul valore
del risultato conseguito
oppure su base oraria
di Giuseppe Colavitti
I
l contenuto dei contratti di prestazione d’opera professionale necessita di un ripensamento da
condursi alla luce delle novità di
cui all’articolo 9 del decreto legge
1/2012, cosiddetto “liberalizzazioni”. E delle ulteriori modifiche della legge di conversione. Com’è noto, infatti, il Governo ha inserito
anche disposizioni incidenti sul mercato dei servizi professionali nell’atto normativo destinato (sperabilmente) a produrre effetti di crescita
economica, grazie alle potenzialità
delle liberalizzazioni.
È necessario pertanto procedere a
una esegesi delle disposizioni del
citato articolo 9 che riguardano, direttamente o indirettamente, i contenuti del mandato professionale.
Non senza avere prima evidenziato
una peculiarità della tecnica impiegata per disciplinare le fattispecie
in oggetto. Per quanto in astratto le
liberalizzazioni dovrebbero essere
interventi miranti a ridurre la misura della regolazione pubblica dei
APRILE 2012
rapporti economici, in modo che
questi, dopo l’intervento normativo,
risultino maggiormente affidati alle
dinamiche autonome del comportamento degli operatori, e “meno regolati”, se così si può dire, in concreto le cose non stanno sempre in
questi termini.
Nel caso che qui ci occupa, il grado
di regolazione, e quindi di eterodeterminazione, del rapporto contrattuale che si instaura tra il cittadino
cliente e il professionista è nel complesso aumentato. Aumentano gli
obblighi a carico del professionista
e gli ambiti materiali sottratti alla
volontà delle parti, anche se ciò è
fatto per rendere il mercato dei servizi professionali più efficiente e
trasparente. Se i mezzi siano adeguati allo scopo lo diranno gli stessi
operatori del settore e gli osservatori, tra qualche tempo. Intanto è però
possibile avanzare una valutazione
complessiva dell’intervento sotto il
profilo della verifica della chiarezza
dei testi. La prima esigenza di ogni
settore del mercato è quella, infatti,
di avere una cornice di regole la più
chiara possibile, per poter prevedere gli effetti dei comportamenti economici, e compiere dunque le conseguenti scelte.
Difficoltà di ricostruzione, dubbi interpretativi e incertezze nel quadro
di riferimento normativo si traducono in altrettante difficoltà di esercizio della libertà di iniziativa economica (articolo 41 della Costituzione) e del diritto di libertà professionale (articolo 15 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea). Se questo è vero, non si può
non riconoscere che la tecnica di
redazione delle norme è stata tutt’altro che impeccabile, e che un’esatta
ricostruzione dei risultati non è semIL SOLE 24 ORE - GUIDA NORMATIVA
- 133 -
plicissima, ma necessita come detto
di un’analisi esegetica.
Giova precisare, innanzi tutto, che
le regole fissate dall’articolo 9, del
Dl 1/2012 si applicano a tutte le
attività professionali. Il primo comma, quello che dispone l’abrogazione delle «tariffe delle professioni
regolamentate nel sistema ordini stico» sembrerebbe circoscrivere la
portata applicativa alle sole professioni organizzate in ordini professionali ma, a ben vedere, la funzione
della norma è più probabilmente
quella di individuare con precisione
l’oggetto della clausola abrogativa,
atteso che le tariffe professionali sono in verità disperse in una pluralità
di fonti - a volte si tratta di decreti
ministeriali (avvocati), altre volte di
Dpr (commercialisti), altre volte
perfino di fonti di rango primario
(geometri) - che il Legislatore non
ha saputo o voluto dettagliare.
Altri commi dell’articolo sono poi
formulati in modo ampio, e in particolare il quarto comma, quello relativo al compenso e al preventivo, si
riferisce genericamente alle “prestazioni professionali”, per cui si ritiene che il campo di applicazione si
estenda anche oltre le professioni
regolamentate, a quell’area un po’
indistinta e dai confini inevitabilmente mobili alla quale ci si riferisce parlando di “nuove professioni”
o professioni non ordinistiche.
Si tratta, in alcuni casi, di attività
veramente nuove, esercitate in forme giuridiche analoghe a quelle proprie delle professioni di più antica
tradizione (a partire dall’inquadramento nel lavoro autonomo); in altri di attività liminari o anche sovrapponibili a quelle svolte da professionisti iscritti in albi, purché
non soggette a riserva (si pensi alla
PAGINA 17
TARIFFE, PREVENTIVO E SOCIETÀ
n LA PATTUIZIONE DEL COMPENSO
consulenza fiscale). Il fatto che le
norme siano pensate con riferimento a una molteplicità di professioni
consente probabilmente di spiegare
alcune forzature del Legislatore, che
ha costruito un abito che meglio si
adatta a taluni contesti e appare invero problematico per altri.
Si pensi all’obbligo di preventivo:
se potrebbe essere forse abbastanza
semplice quantificare in anticipo il
tempo di lavorazione e gli eventuali
costi per la preparazione di una dichiarazione dei redditi, o per la redazione di un parere, dove per i casi
più semplici il professionista dovrà
sostanzialmente cercare di valutare
quanto tempo impiegherà per lo studio della materia e per la scrittura
dell’atto, e poi definire un costo/ora
che incorpori la propria competenza, ben più complicato appare redigere un preventivo per una due diligence nel quadro di un trasferimento di azienda, e forse ancor più difficile prestabilire i costi di un procedimento giudiziale. Con tutte le variabili che possono accadere in relazione al contegno della controparte o
delle controparti, e del giudice che
potrebbe ad esempio ammettere o
non ammettere taluni mezzi di prova, incidendo sul numero delle
udienze e delle attività difensive,
con la necessità di pagare consulenti di parte o di ufficio (il ctu lo paga
in genere l’attore, salva eventuale
refusione delle spese di lite).
O si pensi al caso in cui, durante un
giudizio, viene sollevata una quePAGINA 18
stione di legittimità costituzionale,
o una questione pregiudiziale comunitaria: in entrambi i casi il giudizio
è sospeso e comincia un altro giudizio di fronte ad altro giudice (Corte
costituzionale o Corte di giustizia) i
cui tempi e i cui costi sono tutt’altra
cosa. Stabilire un preventivo dettagliato per queste ipotesi è impossibile. E questo il Legislatore lo ha compreso, occorre dire, specificando nel
corso dei lavori di conversione che
il preventivo è “di massima”.
Il compenso
Mal si comprende allora perché, nel
definire gli oneri informativi a carico del professionista, abbia optato
per un’idea di definizione della misura del compenso pattuita «indicando per le singole prestazioni tutte le
voci di costo, comprensive di spese,
oneri e contributi». Indicare tutte le
voci di costo per le prestazioni di
assistenza e difesa in giudizio in
uno degli esempi di cui sopra è impossibile. Se viene sollevata una
questione di legittimità costituzionale, magari non eccepita dalle parti e
quindi ancor più imprevedibile perché disposta d’ufficio dal giudice,
non si conoscono in anticipo le necessità di assistenza del cliente rispetto a profili di diritto dei quali il
legale non si è mai occupato, e alla
luce di tecniche argomentative peculiari proprie del sindacato di costituzionalità, che non sempre tutti gli
avvocati possiedono. In questi casi
infatti, anche alla luce del dovere di
IL SOLE 24 ORE - GUIDA NORMATIVA
- 134 -
competenza di cui all’articolo 12 del
Codice deontologico, sarebbe opportuno allargare il mandato a un collega più esperto del ramo: è quanto
spesso in effetti accade, senza necessità di regole coercitive, quando un
civilista si imbatte in problematiche
di diritto amministrativo e/o costituzionale (e viceversa, ovviamente),
anche se le difficoltà del mercato
spingono talvolta alcuni colleghi ad
avventurarsi (imprudentemente) lungo terreni poco praticati.
È del tutto evidente che fissare la
misura del compenso al momento
del conferimento dell’incarico professionale, come recita l’articolo 9,
comma 4, è in questi casi impossibile. Salvo ricordare che, come detto,
la norma ha una portata applicativa
molto vasta, e riguarderà pertanto
casi nei quali questa rigorosa predeterminazione è possibile, casi nei
quali invece non è possibile, e dunque occorra addivenire a una interpretazione del precetto normativo
che sia ragionevole, per poter spiegare un minimo di effettività: ad
impossibilia nemo tenetur.
Le Camere civili hanno infatti suggerito in questa logica di predisporre accordi sul compenso articolati
per fasi del giudizio, e comprensivi
di oneri prevedibili e oneri eventuali, ove si verifichino taluni accadimenti. Anche in questo caso, tuttavia, si ritiene impossibile che l’accordo possa essere effettivamente
onnicomprensivo, almeno nei casi
in cui il giudizio può svilupparsi in
modo articolato, a meno di non costruire accordi complicatissimi comprensivi di variabili, subordinate, e
subordinate alle subordinate.
Forma scritta e non solo
Anche se le norme in esame non lo
dicono espressamente, l’accordo
sul compenso deve essere scritto: lo
si ricava dal combinato disposto dell’articolo 9, comma 4, e dell’articolo 2233 del Codice civile, il cui
comma terzo sancisce la nullità dei
patti sul compenso tra avvocati e
APRILE 2012
TARIFFE, PREVENTIVO E SOCIETÀ
clienti che non siano redatti in forma scritta. Se gli avvocati fanno un
accordo sul compenso, lo devono
fare per iscritto; avendo ora il Legislatore sancito la necessità dell’accordo, è chiaro che, almeno per i
rapporti professionali con avvocati,
gli accordi sul compenso devono
oggi avere forma scritta.
Quid iuris per gli altri professionisti? L’articolo 2233 del Codice civile, come detto, si riferisce solo agli
avvocati. Ne deriverebbe che la forma scritta sia richiesta oggi solo
nelle relazioni tra avvocato e cliente, non anche, ad esempio, tra un
commercialista e il cliente. In questo senso andrebbe letto anche il
riferimento alle “forme previste dall’ordinamento” introdotto dai lavori
di conversione in legge. Si deve pertanto ritenere che le forme di pattuizione del compenso tra un professionista e il cliente restino quelle previgenti disposte (o non disposte) dall’ordinamento, per cui la forma
scritta resta necessaria solo per la
professione forense e per le altre
professioni per le quali esista una
specifica previsione in tal senso.
Per le professioni regolamentate e
per le professioni non regolamentare per le quali non è sancita la forma scritta (e credo siano la maggior
parte), resta pienamente integro il
principio civilistico della libertà di
forme. Non è dato sapere se il Legislatore intendesse espressamente
stabilire un regime specifico (e più
severo) per gli avvocati, ma questo
è quello che è accaduto. La questione non è di poco conto, e potrebbero porsi anche problematiche di tono costituzionale, con riferimento
al principio di eguaglianza.
Più in generale, la necessità della
forma scritta solo per l’accordo sul
compenso degli avvocati rischia di
disincentivare le altre categorie alla
precisazione di un vero e proprio
contratto scritto di mandato professionale allorquando accettano lo
svolgimento di un incarico. occorre
infatti riconoscere che, essendo tali
APRILE 2012
n INFORMAZIONI AL CLIENTE E PREVENTIVO
Il professionista deve informare il cliente, al momento del conferimento dell’incarico, circa il grado di complessità della causa (questioni di routine, questioni di
media difficoltà o pratiche che richiedono un approfondimento maggiore)
● Sebbene la legge non lo imponga, è preferibile che a tale onere informativo si
provveda in forma scritta, nel contratto di patrocinio
● Il preventivo deve essere di massima. Oltre alle attività necessarie, quali comparse, memorie, e la partecipazione alle udienze, sarebbe preferibile indicare anche gli
oneri eventuali (prevedibili) legati all’andamento della prestazione, quali costi per
consulenze tecniche di parte e d’ufficio, costi per eventuale chiamata in causa di
terzo, possibilità di essere condannati alle spese, possibilità che il giudice condanni
altresì per lite temeraria e così via
● Si ritiene necessario, altresì, informare tempestivamente il cliente qualora si
superino gli oneri ipotizzabili quali inseriti nel contratto con il cliente in maniera
tale da evitare l’insorgere di contestazioni
●
e tanti gli obblighi informativi che
gravano in generale sui professionisti, la finzione di un vero e proprio
contratto d’opera professionale appare sempre più come una misura di
best practice consigliabile. Sia per
assolvere una volta per tutte agli oneri informativi collegati alle discipline in materia di privacy e alla normativa antiriciclaggio, sia per evitare il
rischio di possibili contestazioni future in ordine non solo a quanto dovrà pagare il cliente, ma anche alle
modalità di svolgimento del rapporto, compresi i tempi di esecuzione.
Non vi è dubbio che il decreto sulle
liberalizzazioni dia una spinta ulteriore e probabilmente definitiva verso tale approdo, aumentando e dettagliando gli oneri informativi a carico del professionista. Soprattutto
per l’avvocato, che deve comunque
mettere per iscritto l’accordo sul
compenso, e allora sarà fortemente
incentivato ad assolvere a quegli obblighi informativi in un unico documento contrattuale, insieme con la
parte relativa al compenso. Meno
per gli altri professionisti, che, come detto, possono continuare a stipulare accordi verbali in materia di
compenso, esponendosi peraltro a
rischi di contestazione futuri. Secondo il quarto comma dell’articolo 9,
come detto, al momento del conferimento dell’incarico professionale
deve esserci un accordo sul compenIL SOLE 24 ORE - GUIDA NORMATIVA
- 135 -
so; non è lo stesso momento nel quale devono essere fornite le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili.
Questo dovere è riferito infatti dalla
norma a un arco temporale più ampio, «dal momento del conferimento
fino alla conclusione dell’incarico».
La previsione allude alla necessità di
una sequela costante del professionista circa i profili dell’andamento dei
costi della propria opera profusa a
vantaggio del cliente; è pertanto coerente con il più generale dovere di
trasparenza e di lealtà e correttezza
che il cliente venga informato di
eventuali circostanze che, nel corso
dello svolgimento dell’opera, possano comportare un aumento dei costi.
Violazione
degli obblighi informativi
La violazione degli obblighi informativi, nella versione originaria del
decreto, rilevava sul piano deontologico, in quanto costituiva - come
recitava l’ultimo periodo dell’originario comma 3 - un illecito disciplinare del professionista. In sede di
conversione, tuttavia, il Legislatore
ha espunto tale disposizione dal
comma 4 (l’originario comma 3).
Deve peraltro ritenersi che la violazione degli obblighi informativi, attenendo al dovere di lealtà e correttezza dell’avvocato nei confronti
del cliente, possa comunque acquisire, nel caso concreto, rilievo deontologico. La soppressione del rilievo
PAGINA 19
TARIFFE, PREVENTIVO E SOCIETÀ
n COSÌ È CAMBIATA LA NORMATIVA DI RIFERIMENTO
TESTO ORIGINARIO DEL DL 1/2012
TESTO MODIFICATO CON LA LEGGE 27/2012
Articolo 9
(Disposizioni sulle professioni regolamentate)
Articolo 9
(Disposizioni sulle professioni regolamentate)
1. Sono abrogate le tariffe delle professioni regolamentate nel 1. Sono abrogate le tariffe delle professioni regolamentate nel
sistema ordinistico.
sistema ordinistico.
2. Ferma restando l’abrogazione di cui al comma 1, nel caso di
liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso
del professionista è determinato con riferimento a parametri
stabiliti con decreto del ministro vigilante. Con decreto del
Ministro della Giustizia di concerto con il Ministro dell’Economia
e delle Finanze sono anche stabiliti i parametri per oneri e
contribuzioni alle casse professionali e agli archivi precedentemente basati sulle tariffe. L’utilizzazione dei parametri nei contratti individuali tra professionisti e consumatori o microimprese
dà luogo alla nullità della clausola relativa alla determinazione
del compenso ai sensi dell’articolo 36 del decreto legislativo 6
settembre 2005, n. 206.
2. Ferma restando l’abrogazione di cui al comma 1, nel caso di
liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso
del professionista è determinato con riferimento a parametri
stabiliti con decreto del Ministro vigilante da adottarsi nel
termine di centoventi giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto. Entro lo stesso termine con decreto del Ministro della
Giustizia di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze
sono anche stabiliti i parametri per oneri e contribuzioni alle
casse professionali e agli archivi precedentemente basati sulle
tariffe. ,L’utilizzazione dei parametri nei contratti individuali tra
professionisti e consumatori o microimprese dà luogo alla nullità
della clausola relativa alla determinazione del compenso ai sensi
dell’articolo 36 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206.
Il decreto deve salvaguardare l’equilibrio finanziario,
anche di lungo periodo, delle casse previdenziali professionali.
3. Le tariffe vigenti alla data di entrata in vigore del
presente decreto continuano ad applicarsi, limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali, fino alla data
di entrata in vigore dei decreti ministeriali di cui al
comma 2 e, comunque, non oltre il centoventesimo
giorno dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto.
3. Il compenso per le prestazioni professionali è pattuito al
momento del conferimento dell’incarico professionale. Il professionista deve rendere noto al cliente il grado di complessità
dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri
ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell’incarico e deve altresì indicare i dati della polizza assicurativa per i
danni provocati nell’esercizio dell’attività professionale. In ogni
caso la misura del compenso, previamente resa nota al cliente
anche in forma scritta se da questi richiesta, deve essere adeguata all’importanza dell’opera e va pattuita indicando per le singole
prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e
contributi. L’inottemperanza di quanto disposto nel presente
comma costituisce illecito disciplinare del professionista.
4. Il compenso per le prestazioni professionali è pattuito, nelle
forme previste dall’ordinamento, al momento del conferimento dell’incarico professionale. Il professionista deve rendere
noto al cliente il grado di complessità dell’incarico, fornendo
tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento
del conferimento fino alla conclusione dell’incarico e deve altresì
indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati
nell’esercizio dell’attività professionale. In ogni caso la misura del
compenso, è previamente resa nota al cliente con un preventivo di massima anche in forma scritta se da questi richiesta,
deve essere adeguata all’importanza dell’opera e va pattuita
indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi. L’inottemperanza di quanto
disposto nel presente comma costituisce illecito disciplinare del
professionista. Al tirocinante è riconosciuto un rimborso spese
forfettariamente concordato dopo i primi sei mesi di tirocinio.
4. Sono abrogate le disposizioni vigenti che per la determinazio- 5. Sono abrogate le disposizioni vigenti che per la determinazione del compenso del professionista, rinviano alle tariffe di cui al ne del compenso del professionista, rinviano alle tariffe di cui al
comma 1.
comma 1.
5. La durata del tirocinio previsto per l’accesso alle professioni
regolamentate non potrà essere superiore a diciotto mesi e per i
primi sei mesi, potrà essere svolto, in presenza di un’apposita
convenzione quadro stipulata tra i consigli nazionali degli Ordini
e il ministro dell’istruzione, università e ricerca, in concomitanza
col corso di studio per il conseguimento della laurea di primo
livello o della laurea magistrale o specialistica. Analoghe convenzioni possono essere stipulate tra i Consigli nazionali degli Ordini
e il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione te-
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6. La durata del tirocinio previsto per l’accesso alle professioni
regolamentate non potrà può essere superiore a diciotto mesi; e
per i primi sei mesi, potrà il tirocinio può essere svolto, in
presenza di un’apposita convenzione quadro stipulata tra i consigli nazionali degli Ordini e il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in concomitanza col con il corso di studio per
il conseguimento della laurea di primo livello o della laurea
magistrale o specialistica. Analoghe convenzioni possono essere
stipulate tra i Consigli nazionali degli Ordini e il Ministro per la
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APRILE 2012
TARIFFE, PREVENTIVO E SOCIETÀ
TESTO ORIGINARIO DEL DL 1/2012
TESTO MODIFICATO CON LA LEGGE 27/2012
cnologica per lo svolgimento del tirocinio presso pubbliche amministrazioni, all’esito del corso di laurea. Le disposizioni del presente comma non si applicano alle professioni sanitarie per le quali
resta confermata la normativa vigente.
pubblica amministrazione e la semplificazione e l’innovazione
tecnologica per lo svolgimento del tirocinio presso pubbliche
amministrazioni, all’esito del corso di laurea. Le disposizioni del
presente comma non si applicano alle professioni sanitarie per le
quali resta confermata la normativa vigente.
6. All’articolo 3, comma 5, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 7. All’articolo 3, comma 5, del decreto-legge 13 agosto 2011, n.
138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre
2011, n. 148, sono apportate le seguenti modificazioni:
2011, n. 148, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’alinea, nel primo periodo, dopo la parola «regolamentate» sono aggiunge le seguenti: «secondo i principi della riduzione e dell’accorpamento, su base volontaria, fra professioni che svolgono attività similari»;
a) alla lettera c), il secondo, terzo e quarto periodo sono soppres- b) alla lettera c), il secondo, terzo e quarto periodo sono
si;
soppressi;
b) la lettera d) è soppressa.
c) la lettera d) è soppressa abrogata.
7. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare 8. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare
nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
disciplinare vale comunque a restituire la valutazione del comportamento del professionista all’autonomo e responsabile apprezzamento
del Consiglio dell’Ordine, rimuovendo ogni indebito automatismo.
Non già a fornire ai professionisti
una licenza di violare impunemente
gli obblighi di trasparenza.
Il primo degli obblighi informativi
è quello di rendere noto al cliente il
grado di complessità dell’incarico,
analogamente a quanto già previsto
dalla soppressa (rectius: abrogata,
come precisato dal legislatore in sede di conversione del comma 5),
lettera d), dell’articolo 3 del decreto
legge 138/2011. Il professionista,
una volta considerata la complessità della questione sottoposta alla
sua attenzione, provvederà a effettuare una valutazione ex ante dell’impegno che ritiene richiederà lo
svolgimento della prestazione professionale e a comunicarlo al cliente.
Si potrà avvalere, pertanto, delle formule più ampie possibili, in modo
da consentire al cliente di comprendere se la questione sia di routine,
di media difficoltà ovvero se la pratica sia più complessa e richieda,
dunque, un maggiore approfondimento e l’impiego di un grado magAPRILE 2012
giore di competenza, professionalità e impegno, e/o l’avvalimento di
collaboratori su specifici profili.
Superamento
degli oneri ipotizzabili
Qualora, nel corso dello svolgimento della prestazione professionale,
si superino gli oneri ipotizzabili comunicati al cliente al momento del
conferimento dell’incarico si ritiene, come detto, che il professionista
sia tenuto a informarne il cliente.
Potrebbe essere allora opportuno,
per quanto la legge non rechi un
obbligo in questo senso, specificarne l’eventualità fin dall’inizio. Il
problema potrebbe peraltro superarsi del tutto con una determinazione
del compenso di tipo modulare che
specifichi l’importo richiesto in relazione alle singole prestazioni, necessarie ed eventuali. Nessun problema
in merito all’utilizzo di contratti che
prevedono un importo forfettizzato o
un compenso parametrato al valore
del risultato conseguito (vale a dire
un patto di quota lite). In linea di
massima, anche qualora si sia optato
per un meccanismo di determinazione del compenso su base oraria non
si rilevano problemi: potrebbero sorgere questioni solamente ove sia stata inserita una previsione relativa a
IL SOLE 24 ORE - GUIDA NORMATIVA
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un numero massimo (ipotizzabile) di
ore richieste per lo svolgimento della
prestazione. In tal caso, sarebbe preferibile informare prontamente il
cliente che è necessario un numero
di ore maggiore per portare a compimento l’incarico.
Il preventivo
Il comma 4 dell’articolo 9 contempla, inoltre, l’obbligo del preventivo. Nella versione originaria del decreto, tale preventivo doveva essere
reso «anche in forma scritta», se
richiesta dal cliente; previsione soppressa nelle modifiche apportate alla disposizione in sede di conversione, ove invece si specifica - come
detto, opportunamente - che il preventivo è “di massima”.
Il preventivo dovrà necessariamente contenere indicazioni generali.
Sebbene sia venuto meno il requisito della forma scritta, è comunque
preferibile che il preventivo sia predisposto in forma scritta. Tale veste, infatti, potrebbe agevolare il
professionista al momento del conferimento effettivo dell’incarico.
Preme ricordare, infatti, che a differenza del preventivo l’accordo sul
compenso dell’avvocato deve comunque necessariamente rivestire
la forma scritta. Qualora il cliente
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TARIFFE, PREVENTIVO E SOCIETÀ
n LA POLIZZA ASSICURATIVA
Allo stato attuale non sussiste l’obbligo di dotarsi di polizza assicurativa: deve
piuttosto ritenersi che l’obbligo di comunicazione dei dati della polizza viga per i
professionisti che sono già dotati di copertura assicurativa
● Un obbligo di fare può essere imposto solo sulla base di una previsione
legislativa espressamente diretta allo scopo: non può pertanto dedursi l’obbligo di
stipula da una norma che si limita a stabilire la comunicazione al cliente
● L’obbligo dell’assicurazione obbligatoria sarà efficace allorquando sarà attuata
la misura di cui all’articolo 3, comma 5, lettera e), del Dl 138/2011, che prevede
peraltro apposite convenzioni tra Consigli nazionali e compagnie assicurative, volte
a tutelare il professionista da condizioni contrattuali svantaggiose
●
lo accettasse il preventivo e il cliente concordasse, il preventivo reso in
forma scritta, sottoscritto dal cliente, potrebbe diventare parte integrante del contratto di patrocinio e
a esso potrebbe farsi riferimento
per la determinazione del compenso.
La misura del compenso
Il comma 4 dell’articolo 9 prevede
che la misura del compenso sia adeguata all’importanza dell’opera, riproducendo parzialmente quanto
già disposto dall’articolo 2233, comma 2, del Codice civile in materia
di determinazione del compenso del
professionista intellettuale. Tale norma, infatti, oltre all’importanza dell’opera, fa riferimento a un altro
criterio di valutazione/adeguatezza
del compenso del professionista, individuato nel decoro della professione. Il decoro è canone normativo
riferibile al più ampio valore della
dignità, che la Costituzione della
Repubblica non manca di richiamare nella norma fondamentale che disciplina i criteri generali di retribuzione del lavoro (di tutto il lavoro,
non solo di quello dipendente), l’articolo 36 della Costituzione, certamente riferibile anche ai professionisti quando richiama l’esigenza che
il compenso sia parametrato alla
qualità e quantità del lavoro e comunque sufficiente ad assicurare a
sé e alla propria famiglia un’esistenza libera e (appunto) dignitosa.
Ci si domanda se si possa utilizzare
anche il riferimento ai “parametri”
di cui al comma 2 dell’articolo 9: il
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loro utilizzo, infatti, veniva sanzionato nella versione originaria della
disposizione con la nullità di protezione, ex articolo 36 del Dlgs
206/2005, solamente in relazione ai
contratti individuali sottoscritti con
consumatori e microimprese. Venuta meno tale limitazione in sede di
conversione, deve concludersi che
le parti contraenti siano libere di
determinare il compenso del professionista in base ai criteri che preferiscono, forti dell’autonomia privata
loro riconosciuta dall’ordinamento.
Il ricorso ai parametri inoltre può
rivelarsi di utilità nella prevenzione
del contenzioso, dal momento che
professionista e cliente anticipano
in sede di pattuizione del compenso
i criteri di valutazione della prestazione che sarebbero eventualmente
utilizzati dal giudice. Si può poi ritenere che esistano profili di connessione tra preventivo e accordo sul
compenso: così come il preventivo
dovrà contenere indicazioni generali e di massima, tale carattere si
rifletterà anche sull’accordo relativo al compenso; spesso non risulta
possibile per il professionista, infatti, anteriormente alla conclusione
dell’incarico professionale, prevedere in maniera analitica tutte le prestazioni che si troverà a svolgere.
Se è vero che la misura del compenso deve essere stabilita con l’accordo delle parti, è anche vero che il
preventivo è di massima, e il preventivo ha per oggetto, appunto, null’altro che la misura del compenso. In
ogni caso, per evitare problemi, potrebbe prevedersi nel contratto di
IL SOLE 24 ORE - GUIDA NORMATIVA
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patrocinio una clausola di salvaguardia, che faccia salve circostanze
non previste o non prevedibili dalle
parti, che implicano una integrazione del compenso sulla base di una
nuova negoziazione.
La polizza assicurativa
Da ultimo merita un cenno la questione delle assicurazioni professionali. Tra gli ulteriori obblighi informativi imposti dalla disposizione in
esame, figura quello di indicare gli
estremi della propria polizza assicurativa per i danni provocati nell’esercizio dell’attività professionale. Deve escludersi che tale previsione possa avere l’effetto surrettizio
di anticipare alla data di entrata in
vigore del decreto l’obbligo di stipula della polizza assicurativa di cui
all’articolo 3, comma 5, lettera e),
del Dl 138/2011: l’obbligo di comunicazione dei dati della polizza vige
per i professionisti che sono già dotati di copertura assicurativa (in
questo senso anche C. Colombo,
Liberalizzazioni e professioni: prime considerazioni sull’articolo 9,
commi 1, 2, 3 e 4 del Dl 24 gennaio
2012, n. 1, www.altalex.it).
A favore di tale ipotesi milita il
principio secondo cui un obbligo di
fare può essere imposto solo sulla
base di una previsione legislativa
espressamente diretta allo scopo:
non può pertanto dedursi l’obbligo
di stipula da una norma che preveda
un adempimento ulteriore e successivo, e cioè la comunicazione al
cliente.
Deve ricordarsi che, nella formulazione dell’articolo 3, comma 5, de
l decreto legge 138/2011, la comunicazione degli estremi della polizza
è inequivocabilmente connessa alla
previsione di apposite convenzioni
tra Consigli nazionali e compagnie
assicurative, volte a tutelare il professionista da condizioni contrattuali
svantaggiose. Ritenere anticipata l’esigibilità dell’obbligo di stipula, in assenza dell’immediata operatività della garanzia rappresentata dalle convenzioni quadro esporrebbe milioni
di professionisti al rischio di vedersi
praticare condizioni “capestro”. n
APRILE 2012
NOVITÀ NORMATIVE IN TEMA DI COMPENSI PER PRESTAZIONI PROFESSIONALI DI AVVOCATO
Giur. merito 2012, 06, 1274
Mauro Di Marzio
Sommario: 1. Dalle origini al «decreto Bersani». 2. Il rapporto di clientela dal «decreto Bersani» al «decreto Crescitalia». 3.
Gli obblighi informativi. 4. La liquidazione ad opera del giudice. 5. La modifica dell'art. 91 c.p.c.
1. DALLE ORIGINI AL «DECRETO BERSANI»
Il problema dei costi del processo, trascurato per decenni, è da qualche anno al centro di frenetiche iniziative del legislatore
volte a rimediare ai mali della giustizia civile.
Tra i vari aspetti che si riflettono su tali costi ci soffermeremo qui sulle recenti novità normative in tema di compenso
dell'attività professionale dell'avvocato per prestazioni giudiziali tanto dal versante del rapporto di clientela, quanto da quello
della liquidazione operata dal giudice: per il che occorrerà però brevemente fare qualche passo indietro, al fine di evidenziare
la linea lungo la quale l'ordinamento pare indirizzarsi.
La materia è rimasta regolata per ben oltre mezzo secolo dall'art. 24 l. 13 giugno 1942, n. 794, dedicata agli onorari di
avvocato e di procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile, il quale disponeva che: «Gli onorari e i diritti stabiliti per le
prestazioni dei procuratori e gli onorari minimi stabiliti per le prestazioni degli avvocati sono inderogabili. Ogni convenzione
contraria è nulla». La disposizione, che prevedeva in tal modo un rigido congegno di computo del compenso, fissato
inderogabilmente entro un minimo ed un massimo è stata però abrogata, quanto alla previsione dei minimi tariffari, dall'art. 2
comma 1, lett. a ), d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in l. 4 agosto 2006, n. 248 (c.d. «decreto Bersani»).
L'abrogazione della disposizione in tema di minimi tariffari, secondo quanto la norma espressamente dichiara, è stata disposta
in conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi (1),
nonché al fine di assicurare agli utenti un'effettiva facoltà di scelta nell'esercizio dei propri diritti e di comparazione delle
prestazioni offerte sul mercato. Sul piano della liquidazione giudiziale delle spese di lite, tuttavia, nulla è cambiato dal
momento che, come ha chiarito la S.C., «l'abolizione dei minimi tariffari può operare nei rapporti tra professionista e cliente,
ma l'esistenza della tariffa mantiene la propria efficacia quando il giudice debba procedere alla regolamentazione delle spese di
giudizio in applicazione del criterio della soccombenza» (2).
Lo stesso provvedimento normativo, inoltre, è intervenuto sull'art. 2233 c.c., sostituendone l'ultimo comma, già animato da
un'idea di «sacralità» della professione forense, con la previsione del requisito della forma scritta per le pattuizioni concernenti
i compensi professionali. Attraverso l'abrogazione, inoltre, delle «disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con
riferimento alle attività libero-professionali e intellettuali... il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli
obiettivi perseguiti», il «decreto Bersani» ha dato ingresso al patto di quota lite, in sintonia con quanto consentito nei Paesi
anglosassoni, con il contingent fee. In definitiva, il compenso, dopo il menzionato decreto, può essere convenuto in conformità
alla tariffa, sotto forma di patto di quota lite, in una somma à forfait. È ritenuto inoltre ammissibile il palmario (3).
La medesima disposizione, come si sa, ha poi largamente consentito agli avvocati di farsi pubblicità (4).
Un'iniziativa quella portata dal «decreto Bersani» nella prospettiva della «liberalizzazione» della professione di avvocato nel
complesso fortemente discutibile, almeno dall'angolo visuale delle ricadute sul funzionamento del servizio-giustizia, basti
considerare i deflagranti effetti prodottisi negli anni '70 sul sistema giudiziario statunitense a seguito di non dissimili
iniziative(5), tali da produrre un fenomeno poi definito come litigation explosion. La conseguenza, che dovrebbe essere già
sotto gli occhi di tutti, in un paese in cui il numero degli avvocati eccede già di gran lunga i 200.000 (6), è per un verso quello
della creazione di una sorta di sottoproletariato giudiziario, pronto a tutto pur di accaparrarsi qualche causa e vincerla con ogni
mezzo (7), per altro verso quello della mutazione genetica dell'attività professionale di avvocato in attività imprenditoriale
destinata a svolgersi attraverso sempre più grandi law firm(8): dal che l'utente finale non sembra avere nulla di buono da
attendersi.
2. IL RAPPORTO DI CLIENTELA DAL «DECRETO BERSANI» AL «DECRETO CRESCITALIA»
Il d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la
competitività», c.d. «decreto Crescitalia», convertito con modificazioni dalla l. 24 marzo 2012, n. 27, all'art. 9, sotto la rubrica
«Disposizioni sulle professioni regolamentate», ha anzitutto abrogato le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema
ordinistico, riservando di sostituirle con tariffe da elaborarsi, entro 120 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione,
dal ministro vigilante.
Per quanto riguarda la professione di avvocato, in particolare, è caduto il congegno (9) secondo il quale i criteri per la
determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati per prestazioni giudiziali in materia civile erano
«stabiliti dal Consiglio nazionale forense», la cui deliberazione (10) doveva essere quindi «approvata dal Ministro per la grazia
e giustizia» (11).
La novità pare collocarsi nella scia del già citato «decreto Bersani», quale completamento dell'operazione di «liberalizzazione»
in materia di determinazione del corrispettivo della prestazione professionale di avvocato, ormai integralmente sottratto non
soltanto nel minimo ad ogni influenza necessaria della tariffa.
Ai fini della determinazione del corrispettivo dovuto all'avvocato, nell'ambito del contratto di patrocinio, dunque, occorre oggi
fare riferimento alla previsione dettata dall'art. 2233 ult. comma c.c., secondo cui l'accordo tra avvocato e cliente deve essere
formato per iscritto (si tratta di un requisito di forma ad substantiam ), ed il compenso deve essere commisurato
«all'importanza dell'opera e al decoro della professione» (12) nonché al «grado di complessità dell'incarico» (art. 9 comma 4
d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, come convertito, con modificazioni, dalla l. 24 marzo 2012, n. 27).
Il comma 4 dell'art. 9 in esame, nella formulazione introdotta dalla legge di conversione, dopo aver ribadito che il compenso
per le prestazioni professionali è pattuito nelle forme previste dall'ordinamento, ossia, quanto all'avvocato, per iscritto, ai sensi
dell'art. 2233 ult. comma c.c. appena citato, chiarisce che l'accordo deve aver luogo al momento del conferimento dell'incarico
professionale.
Qui sorge un primo quesito. Cosa accade se, stipulato il contratto di patrocinio, le parti nulla dicano in ordine al compenso,
ovvero riservino di determinarlo in una fase successiva, in particolare all'esito del giudizio, sia pure per iscritto? Ebbene, il
compenso del professionista, nel contratto di patrocinio, si colloca dal versante dell'oggetto, la mancanza del quale determina
in linea di principio un vizio di nullità del negozio, ai sensi degli artt. 1418 e 1325 c.c. Con riguardo al contratto di prestazione
d'opera professionale, tuttavia, l'art. 2233 comma 1 c.c. stabilisce che il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può
essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell'associazione professionale a cui
il professionista appartiene. L'antinomia è evidente: si tratta, perciò, di verificare il rapporto tra il dettato dell'art. 2233 comma
1 c.c., che consente alle parti di stipulare il contratto senza tuttavia pattuire il corrispettivo, il quale sarà all'esito determinato
in base alla tariffa o per intervento del giudice, sentito l'Ordine forense, e la nuova previsione dell'art. 9 del «decreto
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Crescitalia», come convertito, che impone di estendere anche al corrispettivo, già al momento del conferimento dell'incarico
professionale, la stipulazione del contratto di prestazione d'opera professionale.
Non sembra vi sia altra strada, in proposito, se non quella di ritenere per implicito abrogato il primo comma dell'art. 2233 c.c.,
con riguardo sia al contratto di patrocinio che alla generalità dei contratti di prestazione d'opera professionale da parte degli
esercenti professioni regolamentate nel sistema ordinistico.
Val quanto dire, secondo quanto si premetteva, che la mancata pattuizione del corrispettivo al momento del conferimento
dell'incarico professionale cagiona la nullità del contratto di patrocinio, per la mancanza di un requisito essenziale. Né sembra
che la mancata pattuizione in ordine al corrispettivo possa dar luogo a nullità parziale, ai sensi dell'art. 1419 c.c.:
l'applicazione del primo comma è infatti preclusa dall'evidente impossibilità di ritenere che il professionista avrebbe concluso il
contratto pur sapendo della nullità; l'applicazione del secondo comma è altrettanto evidentemente preclusa dalla mancanza di
norme imperative dirette ad integrare la pattuizione.
La menzionata nullità comporterebbe come naturale conseguenza l'applicazione della disciplina dell'indebito oggettivo, ai sensi
dell'art. 2033 c.c., con conseguente diritto alla ripetizione: ma, per un verso, la prestazione d'opera professionale è
evidentemente insuscettibile di essere restituita; sicché, per altro verso, appare arduo ritenere che il cliente possa ripetere
quanto eventualmente corrisposto, come nella pratica sovente accade, a titolo di acconti sul corrispettivo (13).
Dalla omessa pattuizione del corrispettivo, va distinta, naturalmente, la individuazione convenzionale di criteri di calcolo che
rendano il corrispettivo allo stato indeterminato, ma determinabile all'esito dello svolgimento della prestazione. A fronte del
l'affidamento all'avvocato dell'incarico di promuovere o di seguire una certa controversia, le parti possono cioè fin da subito
pattuire un compenso determinato, come nel caso della fissazione di una somma à forfait , ma possono anche convenire un
compenso non determinato, ma determinabile, ex art. 1346 c.c. È così corrispettivo non determinato, ma determinabile
all'esito del giudizio, quello convenuto attraverso il patto di quota lite, dal momento che esso risulterà automaticamente
determinato, in caso di vittoria della parte patrocinata, quale percentuale dell'importo riconosciuto dal giudice.
Vale aggiungere, qui, che il corrispettivo (non ancora determinato ma determinabile) sembra poter essere pattuito, nel rispetto
della nuova disciplina, anche mediante rinvio alla tariffa, una volta che essa sarà stata adottata dal ministro competente. In
proposito, il decreto-legge poi convertito con modificazioni, dopo aver previsto l'emanazione del decreto ministeriale volto a
stabilire i parametri per la determinazione del compenso del professionista in sede di liquidazione da parte di un organo
giurisdizionale, aggiungeva che «l'utilizzazione dei parametri nei contratti individuali tra professionisti e consumatori o
microimprese dà luogo alla nullità della clausola relativa alla determinazione del compenso ai sensi dell'art. 36 d.lg. 6
settembre 2005, n. 206». Quali pensieri albergassero nella mente del legislatore, tanto da ritenere vessatoria fermi gli obblighi
informativi di cui si parlerà dopo l'adozione di criteri di calcolo del corrispettivo fissati dallo stesso legislatore, non è facile
comprendere. Sta di fatto che tale precetto è caduto in sede di conversione. Cionondimeno, è qui il caso di rammentare che il
contratto di patrocinio rientra, alle condizioni di legge, nella categoria dei contratti del consumatore: la S.C. ha di recente
esaminato la questione, al fine del radicamento della competenza territoriale nelle cause in materia di pagamento del
corrispettivo all'avvocato, indicando i criteri da adottare al fine di scrutinare l'applicabilità della disciplina di tutela dei
consumatori (14).
3. GLI OBBLIGHI INFORMATIVI
Il «decreto Crescitalia», come convertito, pone a carico del professionista, al momento della stipulazione del contratto di
patrocinio, precisi obblighi informativi. L'avvocato, cioè, deve rendere noto al cliente il grado di complessità dell'incarico,
fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla conclusione dell'incarico e
deve altresì indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell'esercizio dell'attività professionale. In ogni caso
la misura del compenso è previamente resa nota al cliente con un preventivo di massima, deve essere adeguata all'importanza
dell'opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi.
Questa previsione si inquadra in un più ampio contesto che vede ampliarsi gli obblighi informativi a carico dell'avvocato.
A tal riguardo vale anzitutto ricordare l'art. 4 comma 3 d.lg. 4 marzo 2010, n. 28, in materia di mediazione finalizzata alla
conciliazione delle controversie civili e commerciali vertenti, secondo il precedente art. 2, su diritti disponibili, il quale stabilisce
che: «All'atto del conferimento dell'incarico, l'avvocato è tenuto a informare l'assistito della possibilità di avvalersi del
procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli artt. 17 e 20. L'avvocato
informa altresì l'assistito dei casi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della
domanda giudiziale. L'informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di
informazione, il contratto tra l'avvocato e l'assistito è annullabile».
Più in generale, nella giurisprudenza recente, si trova spesso rimarcato il rilievo degli obblighi informativi gravanti
sull'avvocato, obblighi che attengono, oltre che allo studio del caso, alla complessiva prospettiva dell'introduzione del giudizio,
sì da porre la parte in condizioni di operare una corretta valutazione costi/benefici. Da tempo, del resto, la dottrina ha posto in
luce come l'autonomia delle professioni liberali non esclude che il professionista sia assoggettato al « dovere di chiarimento ed
informazione al cliente intorno alle possibilità di successo » (15), od altresì all'« obbligo di illuminare il cliente » in funzione
della sua autodeterminazione (16). Ed il Codice deontologico forense, stabilisce che l'avvocato, oltre a dover rifiutare incarichi
che eccedono la sua competenza (art. 12), « non deve consapevolmente consigliare azioni inutilmente gravose » (art. 36) e
deve informare il cliente, all'atto dell'incarico, «sulle caratteristiche della controversia e sulle soluzioni possibili» (art. 40).
Gli obblighi informativi di cui si discorre è essenziale sottolineare sembrano collocarsi dal versante contrattuale, oltre che da
quello disciplinare, per violazione dei canoni ora rammentati, e non da quello precontrattuale. Difatti, la natura delle
disposizioni del Codice disciplinare forense quali norme integrative dei precetti legislativi, di recente riconosciuta dalle Sezioni
Unite, anziché semplici regole interne di categoria, comporta che l'infrazione deontologica connessa al mandato determini
responsabilità contrattuale per violazione delle previsioni di correttezza e diligenza ivi previste, quale oggetto d'integrazione
normativa (17). Conclusione, quest'ultima, che sembra rafforzata dal «decreto Crescitalia».
Entro tale prospettiva si trova riassuntivamente affermato, in giurisprudenza, che, «nell'adempimento dell'incarico
professionale conferitogli, l'obbligo di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1176 comma 2 e
2236 c.c. impone all'avvocato di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del
rapporto, (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a
quest'ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque
produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo
dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole. A al fine incombe su di lui l'onere di fornire la
prova della condotta mantenuta, insufficiente al riguardo peraltro essendo il rilascio da parte del cliente delle procure
necessarie all'esercizio dello ius postulandi , stante la relativa inidoneità ad obiettivamente ed univocamente deporre per la
compiuta informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l'assunzione da parte del cliente di una decisione
pienamente consapevole sull'opportunità o meno d'iniziare un processo o intervenire in giudizio» (18). Così, con riguardo
all'appello, l'avvocato, nell'adempimento della propria prestazione professionale, è tenuto ad informare il cliente sulle
conseguenze del compimento o del mancato compimento degli atti del processo, e, se del caso, a sollecitarlo nel compimento
di essi ovvero, sussistendone le condizioni, a dissuaderlo della loro esecuzione: pertanto, la circostanza che il cliente abbia
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omesso di fornire indicazioni al proprio avvocato circa la propria intenzione di proporre o meno impugnazione avverso una
sentenza sfavorevole non esclude la responsabilità del professionista per mancata tempestiva proposizione dell'appello, se
questi non aveva provveduto ad informare il cliente sulle conseguenze dell'omessa impugnazione (19).
Pare emergere, in definitiva, un avvicinamento della responsabilità professionale dell'avvocato se è lecito semplificare a quella
del medico, la quale si manifesta sotto l'aspetto della centralità del «consenso informato» al fine dell'individuazione degli
obblighi gravanti sul professionista. Sembra cioè delinearsi per il professionista, come è stato di recente osservato, «un quadro
piuttosto severo, consentaneo alla tendenziale oggettivazione della responsabilità informativa; in ogni caso, non poco
appesantito dalla conformazione dell'onere probatorio. Difatti, mentre si tiene ferma la tradizionale qualifica dell'obbligazione
professionale come obbligo di mezzi, escludendosi che in obligatione sia dedotto il conseguimento del risultato finale anziché
soltanto il suo diligente perseguimento, si manifesta un rigore notevole sul piano dell'obbligo accessorio d'informazione,
esigendosi la prova specifica del puntuale adempimento del dovere d'allerta sulle prospettive di successo dell'azione » (20).
4. LA LIQUIDAZIONE AD OPERA DEL GIUDICE
L'art. 9 del «decreto Crescitalia», nella sua versione originaria, disponeva che, ferma l'abrogazione delle tariffe, nel caso di
liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista fosse determinato con riferimento
aparametri stabiliti con decreto del ministro vigilante.
La disposizione ha subito dato luogo a taluni dubbi interpretativi concernenti, in particolare, l'individuazione dei criteri da
adottare ai fini della liquidazione delle spese di lite a far data dal 24 gennaio 2012. Taluno ha sospettato la norma di
incostituzionalità per il fatto di aver creato un irragionevole vuoto normativo (21). Altri, più plausibilmente, hanno ritenuto che
la abrogata tariffa dovesse continuare ad applicarsi, fino all'ema- nazione della nuova (22). In tal senso si sono pronunciati i
dirigenti di numerosi uffici giudiziari.
La questione, tuttavia, è venuta meno con la legge di conversione del decreto-legge, la quale ha disposto che le tariffe vigenti
alla data di entrata in vigore del decreto dovessero continuare ad applicarsi, limitatamente alla liquidazione delle spese
giudiziali, fino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali di cui si è detto.
Dopodiché, la liquidazione giudiziale avverrà sulla base dei decreti ministeriali.
Non mancano, in prospettiva, talune criticità.
Eccone una. La disciplina delle spese dettata dall'art. 91 c.p.c. è tuttora improntata non già all'idea della sanzione, bensì a
quella del rimborso: il codice di rito, secondo un'impostazione in prevalenza condivisa, ha cioè recepito la costruzione, radicata
nella tradizione ed espressa dal brocardo victus victori , compiutamente enunciata presso di noi dal Chiovenda, secondo cui il
costo del ricorso alla giustizia civile non deve ripercuotersi in pregiudizio della parte che ha ragione, giacché, se così fosse, la
parte vincitrice subirebbe una decurtazione patrimoniale non altrimenti giustificabile.
Ma, dopo le innovazioni apportate dal «decreto Crescitalia», sulla scia del «decreto Bersani», si immagini questa
combinazione. Le parti del contratto di patrocinio, avvocato e cliente, hanno convenuto la misura del corrispettivo adottando il
patto di quota lite, ovvero indicando una somma à forfait , di modo che l'importo pattuito è inferiore (e supponiamo di gran
lunga inferiore) a quello derivante dall'applicazione della tariffa. In effetti, il cliente vince in pieno la causa e, in mancanza del
deposito della nota spese (l'art. 75 disp. att. c.p.c. è tuttora in vigore, ma non può certo dubitarsi che le spese di lite debbano
essere comunque liquidate anche se la nota non è stata depositata), il giudice provvede alla liquidazione osservando
scrupolosamente la tariffa (come sempre dovrebbe fare) e, dunque, condanna il soccombente a rimborsare al vincitore una
somma di molto superiore rispetto a quella che lo stesso vincitore dovrà corrispondere al proprio difensore in forza del
contratto di patrocinio stipulato. Per questa via il vincitore si arricchisce di una somma che non ha alcuna plausibile
giustificazione. In simile frangente, lo stesso principio della soccombenza, così come disegnato dalla fondamentale disposizione
ricordata, finisce per rimanere vulnerato.
5. LA MODIFICA DELL'ART. 91 C.P.C.
Resta per completezza da dire, in conclusione, che anche l'art. 91 c.p.c. è stato modificato, sia pure in misura che può
considerarsi del tutto marginale. La modifica trae origine dalla novella dell'art. 82 c.p.c., che ha elevato da euro 516,46 (pari
ad 1 milione di lire) ad euro 1100,00 la soglia delle cause devolute al giudice di pace nelle quali è consentita la difesa
personale (23).
A tale novità è seguita l'aggiunta di un comma all'art. 91, il quale oggi stabilisce che: «Nelle cause previste dall'art. 82 comma
1 le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice non possono superare il valore della domanda» (24).
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Nota a:
Cassazione civile , 12/07/2012, n. 11843, sez. II
CHIEDERE È LECITO; RISPONDERE È CORTESIA. MA GUAI A NON CHIEDERE!
Diritto e Giustizia 2012, 0, 634
Stefano Calvetti
Avvocato
L'applicazione della disposizione in tema di tariffe professionali che prevede la possibilità, nelle cause di
particolare importanza per le questioni giuridiche trattate, della liquidazione degli onorari fino al doppio dei
massimi stabiliti, attribuisce al Giudice soltanto un potere discrezionale, il cui esercizio va oltretutto
necessariamente sollecitato dall'avvocato interessato.
Quotidiano del 13 Luglio 2012
La sentenza della Seconda sezione Civile della Cassazione qui in esame (n. 11843 del 12 luglio 2012), si è occupata di una
vertenza nella quale un avvocato si lamentava della irrisoria quantificazione, da parte del Tribunale, delle proprie spettanze
per l'attività difensiva svolta in giudizio.
Il caso. Un avvocato si avvicenda ad un precedente difensore nella difesa in giudizio, avanti al Tribunale, di una signora.
Definita la causa con sentenza, l'avvocato passa all'incasso della parcella, ma la cliente non ne vuole sapere di adempiere
spontaneamente.
Il difensore agisce quindi in giudizio proponendo lo specifico ricorso previsto dalla legge in materia di onorari professionali (art.
29, l. n. 794/1942). La cliente non si costituisce nemmeno.
Ebbene, a fronte della richiesta di euro 900 circa, il Tribunale accoglie la domanda solo in parte, condannando la cliente al
pagamento della minor somma di euro 250.
Davvero poco cosa.
A fronte della decisione del Tribunale il difensore propone ricorso per cassazione, che però, come si vedrà tra poco, sarà
rigettato.
I motivi della contestazione: l'asserita complessità e importanza delle questioni trattate. Per l'avvocato ricorrente in
cassazione, l'ordinanza impugnata non avrebbe valutato adeguatamente l'attività professionale svolta, come dimostrato
(meglio: come ritenuto dimostrato), dalla documentazione prodotta (come si vedrà appresso, proprio la mancanza di adeguata
documentazione agli atti sarà uno motivi che porteranno al rigetto del ricorso).
L'avvocato avrebbe predisposto una comparsa di costituzione in sostituzione del precedente difensore; avrebbe redatto una
comparsa conclusionale; avrebbe partecipato a due udienze.
Su queste basi, erroneamente il Tribunale non avrebbe applicato l'art. 5 delle tariffe professionali (D.M. n. 585/1994), per cui
non avrebbe tenuto conto della complessità e dell'importanza delle questioni trattate e dell'impegno profuso dal professionista
in relazione alle stesse.
Le bacchettate della Cassazione. I Giudici di Piazza Cavour non risparmiano alcune osservazioni pungenti nei confronti del
ricorrente, in buona sostanza tacciato di aver confezionato una impugnazione del tutto lacunosa, suffragata esclusivamente da
generiche petizioni di principio.
Infatti, a dire della Suprema Corte, agli atti non vi sarebbe neppure alcuna traccia della pretesa comparsa conclusionale
redatta dall'avvocato.
Inoltre, nessun addebito può essere mosso al Tribunale per aver escluso dal computo delle competenze e degli onorari di
avvocato diverse voci previste nelle tariffe professionali in assenza di alcuna prova dell'effettivo espletamento delle relative
attività.
In definitiva, la Cassazione rileva che il ricorso è estremamente generico limitandosi a richiamare solo astrattamente una
complessa attività professionale di cui però non vengono indicate le concrete articolazioni tramite le quali si sarebbe svolta.
Il monito finale della Suprema Corte. Quindi, nessuna lamentela può essere fatta valere soprattutto se l'interessato si è
dimenticato di invocare l'applicazione del criterio premiale previsto dalle tariffe professionali.
Infatti, l'applicazione della disposizione in tema di tariffe professionali che prevede la possibilità, nelle cause di particolare
importanza per le questioni giuridiche trattate, della liquidazione degli onorari fino al doppio dei massimi stabiliti, attribuisce al
Giudice soltanto un potere discrezionale, il cui esercizio va adeguatamente sollecitato dall'avvocato interessato.
Tale principio è invero piuttosto consolidato in giurisprudenza.
La stessa Seconda sezione della Cassazione, infatti, in precedenti occasioni aveva avvertito che l'aumento degli onorari oltre il
massimo e sino al raddoppio costituisce un potere e non un dovere per il giudice e che la valutazione della particolare o
addirittura straordinaria importanza, complessità, difficoltà della pratica è rimessa al prudente apprezzamento dello stesso, la
cui discrezionalità già si esplica nella determinazione del compenso, sulla base dei medesimi parametri , tra i minimi e i
massimi stabiliti nella tabella allegata alla tariffa.
Per di più, ove al giudice sia attribuito un potere discrezionale, il mancato esercizio di esso non necessita di specifica
motivazione, dovendosi ritenere implicita una valutazione negativa della opportunità di avvalersene (cfr. Cass. Civ., sez. II, 12
giugno 2008, n. 15814).
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VITO AMENDOLAGINE
Osservazioni a prima lettura sul regolamento ministeriale per la determinazione dei parametri di
liquidazione giurisdizionale dei compensi per gli avvocati
Sommario: 1. Ambito di applicazione e regole generali. 2. Il “contratto di patrocinio” contenente anche il preventivo sul compenso è soggetto
all’obbligo di registrazione? 3. La disciplina sul regime generale delle spese. 4. Le disposizioni sulla “flessibilità” del compenso. 5. La valutazione
giudiziale “negativa” riguardante il compenso dell’avvocato. 6. Compenso liquidato dal giudice ed importo contrattualizzato. 7. Tipologia di attività.
8. L’attività stragiudiziale dell’avvocato. 9. L’attività giudiziale civile, amministrativa e tributaria. 10. La determinazione del valore della
controversia. 11. Le disposizioni del d.m. n.140/2012 su procedimenti arbitrali, cautelari o speciali o non contenziosi, cause di lavoro e per
l'indennizzo da irragionevole durata del processo e gratuito patrocinio. 12. Sulla responsabilità processuale aggravata (dell’avvocato o del cliente?) e
relative pronunce in rito. 13. La determinazione del compenso per l'attività giudiziale civile, amministrativa e tributaria. 14. L’attività giudiziale
penale riferita all’avvocato ed alla parte civile. 15. La determinazione del compenso per l'attività giudiziale penale. 16. La soppressione del rimborso
forfettario spese generali. 17. Considerazioni finali.
1. Ambito di applicazione e regole generali
All’art. 1 costituente l’intero capo primo dedicato alle disposizioni generali del D.M. 20 luglio
2012, n.140, recante il regolamento sulla determinazione dei parametri per la liquidazione da parte
di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero
della giustizia, ai sensi dell'art. 9 del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla
l. 24 marzo 2012, n. 27, si prevede che l'organo giurisdizionale che deve liquidare il compenso dei
professionisti di cui ai capi che seguono applica, in difetto di accordo tra le parti in ordine allo
stesso compenso, le disposizioni del presente decreto. L'organo giurisdizionale può sempre
applicare analogicamente le disposizioni del presente decreto ai casi non espressamente regolati
dallo stesso.
Ciò significa che le disposizioni del D.M. n.140/2012 non possono entrare in conflitto con il
contenuto di precedenti accordi scritti tra il professionista ed il cliente, ma unicamente svolgere una
funzione di supplenza od integrazione.
L’art. 41 del D.M. n.140/2012 prevedendo la disposizione temporale, recita: <<le disposizioni di cui
al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore>>.
Bene, e per quelle anteriori?
In particolare, per la liquidazione dei compensi in materia stragiudiziale e/o giudiziale relativi a
prestazioni professionali anteriori all’entrata in vigore del D.M. n.140/2012 a quale parametro dovrà
riferirsi l’avvocato per chiedere i soldi al cliente?
Non certo le vecchie tariffe forensi essendo quest’ultime ormai abrogate.
A scanso di equivoci, l’art. 9 del d.l. 24 gennaio 2012, n.1, convertito con modificazioni in l. 24
marzo 2012, n.27, prevedeva che le tariffe vigenti alla data di entrata in vigore dello stesso decreto
continuano ad applicarsi, limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali, fino alla data di
emanazione dei decreti ministeriali di cui al secondo comma e, comunque, non oltre il
centoventesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto.
Il testo della norma anzidetta è quindi chiaro nel riferirsi alle sole spese giudiziali, per tale ragione
dovendosi certamente escludere sia quelle relative alla fase stragiudiziale di una qualunque
controversia, come quelle di consulenza, conciliazione, mediazione facoltativa od obbligatoria delle
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controversi civili e commerciali (ovviamente escludendo il compenso del mediatore per la cui
determinazione esiste una separata disposizione normativa) o comunque prodromiche all’avvio di
un’azione esecutiva sia quelle che sebbene maturate durante un processo non siano state però
consacrate in un titolo giudiziale a conclusione dello stesso (sentenza).
Poniamo allora il caso che prima dell’entrata in vigore del D.M. n.140/2012 a seguito di una
pronuncia giudiziale sia necessario notificare atto di precetto ed iniziare l’esecuzione forzata, se poi
il debitore intende pagare quanto dovuto senza dover attendere la liquidazione del giudice
dell’esecuzione, come farà l’avvocato a chiedere il compenso per la fase successiva all’emanazione
della sentenza?
Quali parametri potrà utilizzare il suddetto professionista per la determinazione del proprio
compenso relativo al precetto ed all’esecuzione forzata iniziata in assenza delle vecchie tariffe, non
potendo avvalersi del regolamento di cui al D.M. n.140/2012 che si riferisce unicamente alle
liquidazioni successive alla sua entrata in vigore?
La giurisprudenza di merito formatasi su tale questione pur rilevando il carattere di ultrattività delle
abrogate tariffe forensi in base alla disciplina transitoria di cui all’art. 9 del d.l. 24 gennaio 2012,
n.1, convertito con modificazioni in l. 24 marzo 2012, n.27, non ha risolto il problema, essendosi
limitata a statuire che il giudice, per la liquidazione del compenso all’avvocato, debba applicare
l’art. 2225 c.c. per cui, in applicazione della norma in esame, ai fini della quantificazione del
compenso, il giudice può fare riferimento agli standards liquidativi in precedenza applicati ed alla
somma calcolata dallo stesso difensore mediante la nota spese di cui all’art. 75 disp. att. c.p.c. (cfr.
Trib. Varese, 3 febbraio 2012; secondo Trib. Cagliari, 22 febbraio 2012, in http://www.altalex.com,
il vuoto normativo creatosi per effetto della formulazione dell’art. 9 del d.l. n.1/2012 verrebbe
colmato attraverso l’applicazione delle tariffe professionali abrogate, fino alla pubblicazione dei
relativi parametri ministeriali. contra cfr. Trib. Cosenza, ord., 1 febbraio 2012, in
www.cassazione.net, che ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale dei commi 1 e 2 dell’art. 9 del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, premessa la
natura processuale della suddetta disposizione desunta dal fatto che essa vincola gli organi
giurisdizionali nell’attività di liquidazione di onorari professionali, e che l’evidente mancanza di
una appropriata disciplina transitoria non consente di ritenere interamente “ultrattivo” il vecchio
regime delle tariffe, obbligando il giudice ad applicare il nuovo regime a tutti i processi in corso che
non siano già stati definiti anche per quel che riguarda la condanna alle spese processuali, atteso che
l’eventuale ricorso da parte del giudicante a parametri diversi da quelli espressamente previsti dal
legislatore, potrebbe risultare mortificante per il decoro della professione forense e quindi in
contrasto con il primo comma dell’art. 36 della Legge fondamentale, ovvero troppo gravoso per
l’esercizio del diritto di difesa in giudizio, e che pertanto, qualunque soluzione si dovesse scegliere
nella determinazione degli onorari di difesa essa implicherebbe il rischio concreto di dar luogo ad
ingiustificate disparità di trattamento tra situazioni simili sul piano processuale ha rimesso gli atti
alla Consulta, poiché le disposizioni di cui ai citati commi 1 e 2 dell’art. 9 del d.l. n. 1/2012, si
pongono in netto contrasto con il canone costituzionale della “ragionevolezza” laddove non
prevedono alcuna disciplina transitoria limitata al periodo intercorrente tra l’entrata in vigore delle
norme e l’adozione da parte del ministro competente dei “parametri” ivi previsti. Lo stesso giudice,
non ha mancato di rilevare altresì che la disciplina dettata dai commi 1 e 2 dell’art. 9 del d.l. n.
1/2012 appare, altresì, in contrasto con l’art. 24 della Costituzione in quanto vulnera il diritto di
agire e resistere in giudizio rendendo incerto l’onere delle spese da affrontare nel corso del
procedimento, considerando altresì che la suddetta disciplina viola anche l’art. 3 della Costituzione
in quanto attribuisce, di fatto e al di là di alcuna espressa attribuzione del relativo potere, una facoltà
ampiamente discrezionale al giudice tenuto a liquidare gli onorari di difesa, tale facoltà apparendo
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priva di alcun ragionevole ancoraggio a parametri certi e controllabili così frustrando, il diritto della
parte soccombente di insorgere nei confronti di un provvedimento che risulti, eventualmente,
incongruo od esorbitante.
Nella citata ordinanza di rimessione degli atti alla Consulta, si dava poi atto come non sia neppure
ipotizzabile, che il giudice, cui è fatto obbligo di applicare in via esclusiva “parametri” all’epoca
inesistenti, possa omettere di decidere sulla condanna del soccombente al pagamento delle spese
processuali ovvero sospendere il giudizio sino alla data in cui sarà emanato il provvedimento
ministeriale per la cui emanazione, peraltro, la stessa disciplina impugnata non poneva alcun
termine, in quanto la sospensione, in un caso non previsto da alcuna norma processuale,
integrerebbe la violazione del principio di ragionevole durata del processo sancito dall’art. 111,
comma, Costituzione).
Più di recente, cfr. Trib. Monza, 6 agosto 2012, in http://www.ilcaso.it, si è chiarito come
l’ultrattività delle abrogate tariffe forensi prevista dall’art. 9, terzo comma del d.l. n.1/2012,
convertito con modifica in l. n.27/2012 che si applica limitatamente alla liquidazione delle spese
giudiziali fino all’entrata in vigore del decreto ministeriale di approvazione dei nuovi parametri e
comunque fino al centoventesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione.
In quest’ultima pronuncia, si chiarisce che il regime transitorio per la liquidazione delle spese
giudiziali – e non quindi per quelle stragiudiziali, o comunque maturate in procedure diverse da
quelle giudiziali, come nell’ambito di un procedimento di mediazione obbligatoria od arbitrale
– non può che fare riferimento alle norme vigenti alla data in cui l’attività difensiva è terminata,
recependosi l’orientamento della giurisprudenza di legittimità sulla sopravvenienza di nuove tariffe
nel corso dello svolgimento della prestazione di assistenza giudiziale (cfr. Cass., 21 novembre
1998, n.11814, in http://dejure.giuffre.it).
Inoltre, lo stesso giudice brianzolo nel citato provvedimento specifica che in tal senso depone anche
il secondo comma dell’art. 9 del d.l. n.1/2012 al quale si raccorda il successivo terzo comma,
dettando una disciplina transitoria limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali a seguito
di soccombenza. Quest’ultima precisazione assume poi una particolare importanza perché consente
di ritenere che per rifarsi alle abrogate tariffe forensi è comunque necessario pervenire ad una
liquidazione giudiziale del compenso riferito all’attività prestata dall’avvocato.
In tal senso depone la parte finale del citato provvedimento del Trib. Monza, 6 agosto 2012,
laddove afferma: <<se dunque l’attività giudiziale dell’avvocato della parte vittoriosa sia terminata
prima del 23 luglio 2012 e della caducazione definitiva delle tariffe forensi sino a tale data
applicabili ai fini della liquidazione giudiziale delle spese, tale liquidazione dovrà continuare a far
riferimento alle tariffe ivi previste, conformemente alla nota spese redatta e depositata in giudizio
dai difensori in base alle stesse con il loro ultimo atto difensivo. Se invece la conclusione
dell’attività difensiva, con il compimento dell’opera professionale, si abbia dopo l’intervenuta
abrogazione, l’entrata in vigore dei nuovi parametri ministeriali farà sì che la liquidazione
giudiziale delle spese di soccombenza avvenga in base a questi e non più in base alle previgenti
tariffe, ancorchè alcune attività siano state svolte nel vigore di queste>>.
Analoga problematica si pone per ogni azione giudiziaria già intrapresa prima dell’entrata in vigore
del D.M. n.140/2012 ma non definita con una pronuncia giudiziale successiva all’entrata in vigore
dello stesso regolamento.
Altrettanto dicasi in ordine alle procedure arbitrali o conciliative, laddove non vengano definite con
l’emissione del lodo o di un accordo sottoscritto dalle parti che comprenda anche la determinazione
del compenso del singolo avvocato, perché ad esempio le parti desiderano accordarsi prima
evitando ulteriori esborsi di denaro ed accorciando i tempi di definizione della lite.
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Ma ad analoga conclusione potrebbe pervenirsi laddove le parti desiderino accordarsi
anticipatamente sulla definizione della lite con una transazione, in cui, per prassi, ciascuna parte si
paga il proprio avvocato.
Ebbene, come farà quest’ultimo ad esigere dal proprio cliente il compenso per l’attività giudiziale e
stragiudiziale prestata sino alla conciliazione compresa, magari per l’opera prestata davanti al
mediatore?
Anche in tali ipotesi, come potrà il singolo professionista chiedere il pagamento del proprio
compenso senza avvalersi delle vecchie tariffe professionali né dei parametri posti dal nuovo
regolamento di cui al citato D.M. n.140/2012?
La suddetta questione, a ben vedere, si pone non soltanto nei confronti del cliente dell’avvocato, ma
anche ed in particolar modo nei confronti della controparte, a sua volta assistita da altro legale, che
in sede di richiesta del pagamento del compenso, può sollevare la relativa problematica.
Il problema non è soltanto trovare l’accordo con la parte – o la controparte nei casi in cui sia
quest’ultima a doversi accollare la relativa spesa – ma l’esatta individuazione di parametri
oggettivamente attendibili a cui ricorrere per la determinazione del compenso dovuto per l’attività
professionale espletata.
In buona sostanza, in tutte le ipotesi innanzi considerate, se l’avvocato chiede una certa somma al
proprio cliente (o peggio ancora alla controparte debitrice nei cui confronti sia già stata avviata
l’azione di recupero per la sorte capitale rimasta impagata al termine del relativo procedimento),
quest’ultimo potrà sempre rifiutarsi di corrisponderla, a suo giudizio ritenendola esosa, ed in tal
modo, costringere quindi lo stesso professionista ad adire il giudice per arrivare ad una
determinazione giudiziale del proprio compenso.
Probabilmente, esistendo su tale punto un’evidente lacuna normativa, non altrimenti rimediabile
neppure con l’applicazione del generale principio tempus regit actum, laddove trattasi di fattispecie
– rectius: controversie – nate quando le tariffe professionali erano già state abrogate, l’unica
possibilità, in difetto di un accordo tra l’avvocato ed il debitore, stante l’inesistenza di utili
parametri al riguardo, sarà allora proprio quella prospettata, di ultimare la fase stragiudiziale o
giudiziale già intrapresa, (nel caso dell’esecuzione forzata facendosi liquidare dal giudice
dell’esecuzione il compenso relativo a tale fase, ed a quella anteriore, iniziata con la notifica
dell’atto di precetto), iniziandola o proseguendola davanti al giudice competente, la cui liquidazione
sarà successiva all’entrata in vigore del D.M. n.140/2102, ed in quanto tale, anche ove manchi
l’accordo delle parti, potrà comunque applicarsi quest’ultimo.
Ciò lo si desume chiaramente dal primo comma dell’art. 11 del D.M. n.140/2012 laddove conclude
affermando che <<l'organo giurisdizionale può sempre applicare analogicamente le disposizioni
del presente decreto ai casi non espressamente regolati dallo stesso>>, ma per farlo, dovrà
comunque emettere una pronuncia giudiziale che contenga la relativa statuizione concernente la
determinazione del compenso spettante al professionista.
Tuttavia, in tale modo, si realizzano due finalità in palese contrasto con quella cui dovrebbe tendere,
in ultima analisi, il regolamento di cui al citato D.M. n.140/2012: da un lato la proliferazione di
nuove azioni giudiziarie, in tale ipotesi, obbligatoriamente portate avanti dal singolo professionista
per causa a quest’ultimo non imputabile, senza possibilità di addivenire ad una preventiva
conciliazione pure prevista dagli artt. 3 e 4 del citato regolamento, e dall’altro, l’aggravio di spese e
costi a danno del proprio cliente e/o della stessa controparte (debitore) a seconda dei casi, la cui
unica giustificazione plausibile risiede nella pur prevedibile lacuna normativa ignorata dall’attuale
legislatore con una norma ad hoc di diritto temporale – trattandosi di una normale conseguenza
derivante dell’abrogazione delle tariffe a cui è seguito un notevole periodo temporale prima
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dell’approvazione del D.M. n.140/2012 – la cui colposa mancanza viene quindi superata,
chiamando le stesse parti ad accollarsi l’onere di sopportare un maggior esborso economico.
2. Il “contratto di patrocinio” contenente anche il preventivo sul compenso è soggetto all’obbligo
di registrazione?
In relazione alla disciplina relativa alla pattuizione del compenso, resta fermo quanto disposto dal
quarto comma dell’art. 9 rubricato disposizioni sulle professioni regolamentate del d.l. n.1/2012
convertito con modificazioni dalla l. n.27/2012 (e successivamente modificato dall'art. 5, primo
comma, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83), ai sensi del quale, il compenso per le prestazioni
professionali è pattuito, nelle forme previste dall'ordinamento, al momento del conferimento
dell'incarico professionale.
Il professionista deve rendere noto al cliente il grado di complessità dell'incarico, fornendo
tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla
conclusione dell'incarico e deve altresì indicare i dati della polizza assicurativa per i danni
provocati nell'esercizio dell'attività professionale.
In ogni caso la misura del compenso è previamente resa nota al cliente con un preventivo di
massima, e deve essere adeguata all'importanza dell'opera e va pattuita indicando per le
singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi.
Ciò significa che non esistendo più tariffe professionali la cui applicazione era obbligatoria per
legge, anche con rispetto ai minimi tariffari, sul versante fiscale non potrà più procedersi ad una
preventiva ricostruzione “presuntiva” o “sintetica” anche “d’ufficio” del reddito del professionista
maturato in relazione al singolo affare considerato, dovendo prima appurarsi se in relazione allo
stesso esista o meno un accordo tra il medesimo professionista qui considerato ed il cliente – in
quanto ai sensi dell’art. 1 del D.M. n.140/2012 le disposizioni di quest’ultimo, compresi i parametri
indicati per singole “fasi di attività”, si applicano soltanto in difetto di un preventivo accordo
privatistico tra le parti in ordine allo stesso compenso – e successivamente, dovendo procedersi
all’interpretazione dello stesso, trattandosi di un vero e proprio “contratto” di diritto privato, a
sua volta composto da singole clausole, che per quanto intelligibili, dovranno essere attentamente
interpretate e valutate.
Al riguardo, dovrà quindi tenersi conto dei relativi contenuti riguardanti la materia qui considerata,
anche in virtù del fatto che il “contratto di patrocinio” stipulato con il cliente, al pari delle
scritture private a contenuto patrimoniale, potrebbe andare soggetto all’imposta di registro ai
sensi dell’art. 10 del D.P.R. 26 aprile 1986, n.131, il quale prevede l'obbligo di registrazione di tutte
le scritture private non autenticate di natura negoziale, anche quelle sottoscritte tra privati od
imprese a prescindere dall'intervento di un mediatore, al pari della transazione, trattandosi di atti
relativi a prestazioni di servizi oggetto di IVA stipulati in forma scritta nel territorio dello
Stato che si prestano ad essere ricompresi tra quelli già indicati nella Tariffa allegata al TUIR
(contratto relativo a prestazioni di lavoro autonomo, art.10 della tariffa, parte seconda, scheda 22
pag.61), ovvero tra gli atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a
contenuto patrimoniale (Art. 9 della Tariffa Parte Prima allegata al citato D.P.R. n.131/1986).
3. La disciplina sul regime generale delle spese
Il secondo comma dell’art. 1 del D.M. n.140/2012 dispone che nei compensi non sono comprese le
spese da rimborsare secondo qualsiasi modalità, compresa quella concordata in modo forfettario.
Non sono altresì compresi oneri e contributi dovuti a qualsiasi titolo.
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I costi degli ausiliari incaricati dal professionista sono ricompresi tra le spese dello stesso.
Ciò significa che tutte le spese di natura sostanzialmente “borsuale” – comprensive anche di quelle
degli ausiliari incaricati direttamente dal professionista, come del resto si legge nella stessa
relazione illustrativa al decreto – anche con riferimento agli oneri e contributi, anche fiscali,
comunque necessarie od opportune per lo svolgimento del mandato professionale, sono escluse
dal compenso convenuto con il cliente, ed anche dall’applicazione in funzione suppletiva od
integrativa dei relativi parametri previsti dal D.M. n.140/2012.
4. Le disposizioni sulla “flessibilità” del compenso
Il terzo comma dell’art. 1 del D.M. n.140/2012 prevede espressamente che i compensi liquidati dal
giudice in base al D.M. n.140/2012 comprendono l'intero corrispettivo per la prestazione
professionale, incluse le attività accessorie alla stessa, mentre dal quarto comma della stessa
disposizione, si evince che nel caso di incarico collegiale il compenso è unico ma l'organo
giurisdizionale può aumentarlo fino al doppio.
Quando l'incarico professionale è conferito a una società tra professionisti, si applica il compenso
spettante a uno solo di essi anche per la stessa prestazione eseguita da più soci.
Quest’ultima disposizione mira a realizzare il principio che il compenso dovuto dal cliente è unico
anche se nel corso dell’opera professionale espletata in suo favore intervenga un team di
professionisti riconducibile ad un unico centro d’interesse (la società tra professionisti).
Quid juris se invece il medesimo team di professionisti pur facendo parte del medesimo studio
professionale, non opera come società tra professionisti ovvero come studio associato?
La disposizione citata si riferisce espressamente e soltanto alla fattispecie della società tra
professionisti, per cui dovrebbe prendersi atto che prestazioni di più professionisti eseguite in
favore del cliente per il medesimo affare esulano dalla fattispecie di cui al comma quarto dell’art. 1
del D.M. n.140/2012, stante la mancata espressa previsione dell’applicazione analogica delle
relative disposizioni.
5. La valutazione giudiziale “negativa” riguardante il compenso dell’avvocato
Il quinto comma dello stesso art. 1 del D.M. n.140/2012 recita: per gli incarichi non conclusi, o
prosecuzioni di precedenti incarichi, si tiene conto dell'opera effettivamente svolta, mentre al sesto
comma l'assenza di prova del preventivo di massima di cui all'art. 9, quarto comma, terzo periodo,
del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 marzo 2012, n. 27,
costituisce elemento di valutazione negativa da parte dell'organo giurisdizionale per la
liquidazione del compenso.
Cosa significa in concreto il termine adoperato nel D.M. n.140/2012 “valutazione negativa”? forse
si intende la possibilità per l’organo giurisdizionale di avvalersi della facoltà di abbassamento dei
valori dei parametri utili per la determinazione del compenso professionale dell’avvocato?
Se è davvero così, allora nonostante lo scopo della riforma, così come dichiarato nella relazione
illustrativa al decreto ministeriale in commento sia quello di rendere massimamente intellegibile la
focalizzazione del corrispettivo dovuto, e, dunque, semplice, nella massima misura possibile, la sua
stessa struttura, in realtà, nella prassi negoziale, al professionista basterà dimostrare per iscritto
l’esistenza del “consenso informato” previamente fornito al cliente-consumatore prima
dell’accettazione dell’incarico, eventualmente anche tenendo conto al riguardo di quanto sancito
dall’art. 1341 c.c. in tema di vessatorietà delle relative clausole, oltre che dei luoghi e modalità di
formazione del relativo accordo fondato su schemi di contratti-preventivi “a struttura complessa”
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come del resto la stessa controversia a cui si riferiscono, sostanzialmente in linea con quelli previsti
dal citato art. 9, quarto comma, terzo periodo, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con
modificazioni, dalla l. 24 marzo 2012, n. 27, per mettere in evidenza una criticità della suddetta
disposizione regolamentare, non altrimenti rimediabile neanche dallo stesso giudice nel corso del
giudizio a cui inerisce il conferimento del mandato difensivo.
In effetti, sebbene nella relazione illustrativa al decreto ministeriale si tenda ad affermare
accademicamente, rectius: teoricamente, che l’unicità del compenso mira a dare spessore alla
semplificazione insita nell’abrogazione delle tariffe, costituendo a sua volta un utile supporto alla
riduzione delle asimmetrie informative che possono essere implicate non solo da fisiologiche lacune
di trasparenza del mercato, ma anche da un eccesso d’informazioni incidenti sullo stesso, dovute
alla frammentazione e parcellizzazione delle componenti delle informazioni stesse, come poteva
ragionevolmente dirsi delle più che complesse e non facilmente intellegibili tariffe precedenti, in
realtà, sul piano dell’applicazione pratica di tale principio, non sembra difficile presagirne una
diversa (e legittima) attuazione in senso diametralmente opposto, almeno rispetto all’idea
utopisticamente vaticinata nel testo della citata relazione illustrativa annessa al decreto ministeriale
n.140/2012.
6. Compenso liquidato dal giudice ed importo contrattualizzato
Il settimo ed ultimo comma dell’art. 1 del D.M. n.140/2012 recita: in nessun caso le soglie
numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la
liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la
liquidazione stessa.
Ciò significa che non soltanto il giudice ma anche le parti, e tra queste, in primis il professionista,
hanno le mani libere nella determinazione del compenso, con buona pace del cliente meno esperto
o scaltro di altri nella contrattazione di tali questioni.
E’ quindi evidente come anche tale disposizione si presti ad interpretazioni che non è affatto detto
siano favorevoli per il cittadino-utente costretto ad avvalersi di tali servizi per difendersi in un
processo.
7. Tipologia di attività
L’art. 2 del D.M. 20 luglio 2012, n.140, con il quale inizia il capo secondo, relativo alle disposizioni
concernenti gli avvocati, premesso che le prestazioni professionali forensi sono distinte in attività
stragiudiziale e attività giudiziale, e che le attività giudiziali sono a loro volta distinte in attività
penale ed attività civile, amministrativa e tributaria, ai successivi artt. 3 e 4 si limita ad enunciare
criteri empirici per la liquidazione, senza chiarire, né specificare, il relativo significato, ovvero
cosa si intende per ciascuna di tali attività, anche al fine di individuarne con esattezza i relativi
confini.
8. L’attività stragiudiziale dell’avvocato
In particolare, secondo l’art. 3 del D.M. n.140/2012 l’attività stragiudiziale è liquidata tenendo
conto del valore e della natura dell'affare, del numero e dell'importanza delle questioni
trattate, del pregio dell'opera prestata, dei risultati e dei vantaggi, anche non economici,
conseguiti dal cliente, dell'eventuale urgenza della prestazione, si tiene altresì conto delle ore
complessive impiegate per la prestazione, valutate anche secondo il valore di mercato attribuito
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alle stesse. Quando l'affare si conclude con una conciliazione, il compenso è aumentato fino al 40
per cento rispetto a quello altrimenti liquidabile a norma dei commi che precedono.
L’art. 3 citato, ai commi primo e terzo precisa che l’attività stragiudiziale è liquidata tenendo conto
anche dei risultati e dei vantaggi, anche non economici, conseguiti dal cliente prevedendo altresì
l’aumento del compenso quando l’affare si conclude con una conciliazione, quindi con esito
positivo dell’incarico affidato al professionista, inducendo quindi a ritenere che l’obbligazione del
professionista possa ritenersi di “risultato” oltre che di “mezzi”.
Inoltre, il riferimento ai “valori di mercato” delle ore impiegate dal professionista per l’esecuzione
dell’incarico, a maggior ragione se con riferimento all’attività stragiudiziale, notoriamente già luogo
di scontro con soggetti che la prestano pur senza rispettarne i relativi standards in termini di
garanzia e qualità, autorizza a dedurre che attualmente, in Italia, la libera professione resta
disciplinata dalle stesse regole che valgono nell’ambito dell’impresa commerciale, dove il prezzo
del corrispettivo di compravendita delle merci è determinato soltanto dalle logiche del mercato,
dove a prevalere è il competitor più forte (avvalendosi della propria organizzazione, forza
economica, anche per garantire una serie di servizi per battere la concorrenza, tra cui rientrano la
maggiore pubblicità promozionale dei propri prodotti e la capacità di abbassare i prezzi che però
non sempre, anzi quasi mai si traduce in un effettivo vantaggio per il consumatore, secondo la
famosa massima non scritta riassumibile nel “non si regala proprio nulla a nessuno”) e non
necessariamente quello più bravo e meritevole, con l’unica precisazione che nella fattispecie
disciplinata dal D.M. n.140/2012 si tratta non della compravendita di “cose” o di un “qualunque”
servizio, ma di una ben definita ed altamente qualificata attività e servizi resi da categorie di
professionisti iscritti in albi.
Aggiungasi che le prestazioni legali, come ogni altra professionale su base ordinistica, si sono rette
non su valori di mercato, ma su precisi valori fissati e pubblicati da Autorità pubbliche e controllati
dagli ordini professionali.
Pertanto le prestazioni intellettuali professionali non soggiacciono e non possono soggiacere alle
regole proprie di mercato che non c’è in tale ambito professionale e che, peraltro, presuppongono
meccanismi di determinazione e poi di regolamentazione, monitoraggio e controllo dei valori da
parte di più attori del mercato stesso (es. produttori, grandi distributori, filiera dei venditori,
consumatori, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Autorità per l’energia ed il gas,
Associazioni dei consumatori, etc.).
9. L’attività giudiziale civile, amministrativa e tributaria
Anche l’art. 4 del D.M. n.140/2012 non va al di fuori del perimetro tracciato con riferimento alla
liquidazione, precisando che l'attività giudiziale civile, amministrativa e tributaria è distinta nelle
seguenti fasi:
a) studio della controversia;
b) introduzione del procedimento;
c) istruttoria;
d) decisoria;
e) esecutiva.
La stessa norma regolamentare, dopo aver previsto al secondo comma che nella liquidazione il
giudice deve tenere conto del valore e della natura e complessità della controversia, del numero e
dell'importanza e complessità delle questioni trattate, con valutazione complessiva anche a seguito
di riunione delle cause, dell'eventuale urgenza della prestazione, al terzo e quinto comma precisa
che si tiene altresì conto del pregio dell'opera prestata, dei risultati del giudizio e dei vantaggi,
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anche non patrimoniali, conseguiti dal cliente, nonché, quando il procedimento si conclude con
una conciliazione con l’aumento del compenso fino al 25 per cento rispetto a quello liquidabile
a norma dell'art. 11, in tal modo confermando le analoghe determinazioni espresse in termini di
obbligazioni di risultato già espresse con riferimento all’attività stragiudiziale.
Il quarto comma dell’art. 4 del D.M. n.140/2012 prevede che qualora l'avvocato difenda più
persone con la stessa posizione processuale il compenso unico può essere aumentato fino al
doppio. Lo stesso parametro di liquidazione si applica quando l'avvocato difende una parte
contro più parti. Nel caso di controversie a norma dell'art. 140 bis del d.lgs. 6 settembre 2005,
n. 206, il compenso può essere aumentato fino al triplo, rispetto a quello liquidabile a norma
dell'art. 11.
Il sesto comma dell’art. 4 del D.M. n.140/2012 prevedendo che costituisce elemento di valutazione
negativa, in sede di liquidazione giudiziale del compenso, l'adozione di condotte abusive tali da
ostacolare la definizione dei procedimenti in tempi ragionevoli, mira a punire peraltro
genericamente – come si evince finanche dall’uso atecnico del termine “condotte” che ben si addice
con riferimento alla “parte” del processo ma non certo all’avvocato – il singolo professionista che
contravvenga ai criteri di celerità del giudizio.
E’ evidente che la previsione di tale principio – che peraltro, essendo riferito alla misura del
compenso, entra in palese contrasto con quanto enunciato dall’art. 1 dello stesso D.M. n.140/2012
in base al quale le relative disposizioni si applicano soltanto in difetto di accordo tra le parti e che in
nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei
massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono
vincolanti per la liquidazione stessa – tende unicamente a punire l’avvocato, ammonendolo
preventivamente, dal tutelare oltre una certa misura i diritti del proprio cliente, pena la possibilità
che, determinate condotte, possano essere valutate negativamente, esclusivamente nei suoi stessi
confronti, dal giudice ai fini della determinazione del compenso.
Ciò ovviamente, senza contare che a decidere se ed eventualmente in quale misura dette condotte
possano elevarsi al rango di condotte abusive tali da ostacolare la definizione dei procedimenti in
tempi ragionevoli è lo stesso giudice della causa, il quale, ove a sua volta sia incorso in ritardi per la
definizione del contenzioso, potrebbe essere indotto a rigettare richieste avanzate dalla difesa con il
pretesto che le stesse, argomentando diversamente, possano comunque essere idonee a suo giudizio,
a costituire la previsione innanzi indicata dal sesto comma dell’art. 4 del D.M. n.140/2012.
In ogni caso, appare fin troppo evidente il chiaro invito a non oltrepassare un’immaginaria linea
rossa nella difesa del cittadino, superata la quale, si rischia un’altrettanto evidente situazione di
conflitto d’interessi sul piano economico fra l’avvocato ed il proprio assistito.
Un esempio può forse aiutare a chiarire.
Tizio si rivolge al proprio avvocato chiedendo di difenderne le ragioni evocando la controparte in
giudizio.
Se nel corso del processo, la strategia difensiva dell’avvocato per il giudice adito si riveli essere
eccessivamente articolata o macchinosa, come spesso può accadere anche per questioni che a prima
vista potrebbero apparire di facile soluzione salvo poi verificare all’atto pratico l’esatto contrario,
ovvero alla difficoltà di pervenire ad una soluzione soddisfacente, potrà verificarsi l’ipotesi che lo
stesso giudicante, per evitare di incorrere in un’eccessiva dilatazione dei tempi del processo, sia
costretto “tecnicamente” a segnalare all’avvocato la possibilità di evitare di coltivare richieste
istruttorie particolarmente complesse.
Si pensi ad esempio, alla citazione di numerosi testimoni, parte dei quali residenti al di fuori del
circondario dell’ufficio giudiziario ove si svolge il processo, magari chiamati a deporre su un
rilevante numero di capitoli, ovvero una consulenza tecnica d’ufficio particolarmente complessa ed
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onerosa, od ancora un’ispezione giudiziale, o nel campo del diritto penale od amministrativo, altri
accertamenti particolarmente complessi che pure la particolare natura del singolo procedimento
richiede per l’accertamento della verità giudiziaria.
Tali attività, notoriamente comportano un notevole dispendio di tempo e costi, è per tale ragione, la
stessa questione innanzi evidenziata, potrebbe porsi anche sotto l’aspetto della valutazione di una
condotta idonea ad ostacolare la definizione del procedimento in tempi ragionevoli.
Quest’ultimi, in difetto di una diversa specificazione, dovrebbero presumibilmente intendersi quelli
posti dall’attuale l. 24 marzo 2001, n.89, così come modificata dall’art.55 del d.l. 26 giugno 2012,
n.83 convertito con modificazioni in l. n.134/2012.
Quello illustrato, è soltanto uno dei possibili ed innumerevoli esempi che potrebbero verificarsi
nella prassi giudiziaria, dove l’accertamento della “verità” rischia seriamente di diventare ostaggio
di logiche di mercato, quanto all’ottimizzazione dei tempi e costi del processo, in tal modo finendo
con il porre sullo stesso piano della valutazione delle merci – rapporto dell’offerta/domanda rispetto
alla qualità/prezzo – i diritti delle persone ed inevitabilmente con essi anche quest’ultime.
L’unica differenza è che se un prodotto non piace al consumatore quest’ultimo ha sempre la
possibilità di cambiare rivolgendosi sul mercato ad altro operatore economico, mentre nell’ambito
della giustizia ciò non è possibile.
In altre parole, se un prodotto commerciale che sembra non funzionare a dovere lo si può sostituire
od anche evitare di acquistarlo, ciò non è possibile nel settore della Giustizia, vale a dire non si può
scegliere il tribunale od il giudice più efficiente e di conseguenza l’avvocato che sappia pervenire
più rapidamente di un altro ad una soddisfacente soluzione della causa, compatibilmente con il
carico di lavoro presente sul ruolo dell’ufficio giudiziario.
Probabilmente, la disposizione contenuta nel sesto comma dell’art. 4 del D.M. n.140/2012 è volta a
distogliere l’attenzione dal vero problema, mascherando l’unico imbarazzante aspetto della
questione legata alla ragionevole durata del processo: l’inefficienza della macchina giudiziaria
italiana per la mancanza di risorse ed investimenti adeguati che mai come nel corso degli ultimi
anni sono stati sostituiti da uno svariato numero di riforme e controriforme legislative, tutte
rivelatesi perfettamente inutili e persino controproducenti, come incontrovertibilmente dimostrano
da un lato l’immediata abrogazione a breve distanza di tempo dall’approvazione di una loro parte
(basti pensare al processo societario, all’applicazione del rito del lavoro alle cause da incidenti
stradali con lesioni, tanto per fare qualche esempio sul tema della giustizia civile) e dall’altro, il
continuo perseverare del legislatore “politico” e “tecnico” nell’immettere continuamente
nell’ordinamento nazionale nuove disposizioni, spesso lacunose, sconnesse ed in contraddizione
con altre preesistenti rimaste in vigore, creando un’impressionante stratificazione normativa che
almeno sino ad oggi non ha eguali in nessun’altra legislazione di Stati aderenti all’unione europea.
10. La determinazione del valore della controversia
L’art. 5 del D.M. n.140/2012 prevede che ai fini della liquidazione del compenso, il valore della
controversia è determinato a norma del codice di procedura civile avendo riguardo, nei giudizi per
azioni surrogatorie e revocatorie, all'entità economica della ragione di credito alla cui tutela l'azione
è diretta, nei giudizi di divisione, alla quota od ai supplementi di quota in contestazione, e nei
giudizi per pagamento di somme, anche a titolo di danno, alla somma attribuita alla parte vincitrice
e non alla somma domandata. In ogni caso si ha riguardo al valore effettivo della controversia,
anche in relazione agli interessi perseguiti dalle parti, quando risulti manifestamente diverso da
quello presunto a norma del codice di procedura civile o alla legislazione speciale.
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La genericità della disposizione in commento nel rinviare al codice di procedura civile e soltanto
per una determinata categoria di azioni ad altrettanto generici parametri quali l'entità economica
della ragione di credito azionata nei giudizi per azioni surrogatorie e revocatorie, per quelli divisori
alla quota od ai supplementi di quota in contestazione, e nei giudizi per pagamento di somme alla
somma attribuita alla parte vincitrice e non alla somma domandata, pone non pochi problemi in
presenza del verificarsi di particolari situazioni.
Una su tutte: se vi è revoca o rinuncia all’incarico da parte del difensore, in assenza di un
preventivo accordo tra quest’ultimo ed il cliente, come dovrà regolarsi il giudice adito con separato
giudizio per la determinazione del compenso quando ancora non è definito il giudizio in relazione al
quale il primo professionista venne incaricato di prestare la propria attività?
Alla stessa conclusione si perviene poi qualora la stessa parte decida di transigere la lite, e quindi
non si arrivi ad una pronuncia giudiziale.
Anche in tale ultima ipotesi dovrà applicarsi analogicamente la disposizione contenuta nel primo
comma dell’art. 5 del D.M. n.140/2012 per la determinazione del valore da usare come parametro di
riferimento per la determinazione del compenso spettante all’avvocato?
E’ vero che ai sensi del primo comma dell’art. 1 dello stesso D.M. n.140/2012 l'organo
giurisdizionale può sempre applicare analogicamente le disposizioni del presente decreto ai casi non
espressamente regolati dallo stesso, ma è altrettanto vero che definita la controversia con una
transazione, si renderà necessario instaurare un separato ed autonomo giudizio dallo stesso
difensore che dopo aver rinunciato od essere stato revocato dall’incarico, chieda di essere pagato
per l’opera prestata in favore del cliente.
Anche questa purtroppo è un’ulteriore eventualità non prevista dal legislatore, che potrebbe fungere
da volano per la creazione di nuovo contenzioso civile.
Il secondo comma dell’art. 5 del D.M. n.140/2012 afferma che nelle cause davanti agli organi di
giustizia amministrativa il valore della causa è invece determinato a norma del primo comma
quando l'oggetto della controversia o la natura del rapporto sostanziale dedotto in giudizio o
comunque correlato al provvedimento impugnato ne consentono l'applicazione.
Quando ciò non è possibile, va tenuto conto dell'interesse sostanziale tutelato.
Bene, anche in tale ipotesi, se le parti decidono di mettersi d’accordo prima di arrivare ad una
pronuncia giudiziale, risparmiando costi e tempo, “chi” e sulla base di quali “parametri” stabilirà
che possono applicarsi nella controversia che si intende definire transattivamente i criteri di cui al
primo comma della stessa disposizione regolamentare?
Cosa significa, sul piano concreto, che quando ciò non è possibile, va tenuto conto dell'interesse
sostanziale tutelato?
Appare evidente come dette indicazioni, oltre ad essere generiche, potrebbero forse eventualmente
aiutare il giudice nel decidere il compenso spettante al professionista, ma non certo le parti, che pur
avendo faticosamente raggiunto un’intesa sul bene della vita oggetto della contesa, francamente,
appare difficile riescano anche a mettersi d’accordo sul quantum da riconoscere al professionista
per l’attività prestata in assenza di oggettivi elementi di valutazione della stessa, tenuto altresì conto
che trattandosi di giudizi amministrativi in cui una delle parti è la p.a. occorre pur sempre che dette
voci di spesa – specie ove i relativi importi siano rilevanti, come nel caso delle controversie legali
fondate su appalti pubblici – siano àncorate all’osservanza di criteri oggettivi prestabiliti.
Altrettanto dicasi per la generica previsione riferita alle controversie di valore indeterminato od
indeterminabile per le quali si tiene particolare conto dell'oggetto e della complessità della stessa,
senza specificare null’altro al riguardo, con riferimento all’indicazione di specifici criteri-guida.
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11. Le disposizioni del d.m. n.140/2012 su procedimenti arbitrali, cautelari o speciali o non
contenziosi, cause di lavoro e per l'indennizzo da irragionevole durata del processo e gratuito
patrocinio
Le osservazioni fatte con riferimento alle prestazioni rientranti nell’attività giudiziale o
stragiudiziale valgono anche in relazione all’art. 6 del D.M. n.140/2012 che per i procedimenti
davanti agli arbitri, prevede che nel caso di arbitrato rituale, è dovuto il compenso stabilito per le
controversie davanti ai giudici competenti a conoscere sulle stesse, mentre in ogni altro caso di
arbitrato o fattispecie analoga, per la liquidazione dei compensi si applicano i parametri previsti per
l'attività stragiudiziale.
Anche prescindendo dalla stravagante quanto immotivata discriminazione operata con riferimento
alla tipologia di arbitrato, a seconda se quest’ultimo assuma la natura rituale od irrituale ai fini
dell’applicazione dei relativi parametri riferiti all’attività giudiziale o stragiudiziale, anche per tali
procedimenti, si ripropongono le stesse osservazioni critiche svolte nei precedenti paragrafi,
apparendo tale disposizione regolamentare non meno generica di quelle che la precedono,
permanendo gli stessi dubbi innanzi evidenziati anche con riferimento alle questioni di diritto
temporale.
Con riferimento alle restanti ipotesi contenziose, distinte per tipologia, per le cause di lavoro la
normativa regolamentare si rivela essere lacunosa, per effetto della scarna previsione contenuta
all’art.8 del D.M. n.140/2012 da cui è possibile ricavare soltanto che nelle controversie di lavoro il
cui valore non supera 1.000 euro, il compenso dell’avvocato è ridotto di regola fino alla metà
(praticamente a stralcio, senza indicazione alcuna dei relativi parametri di riferimento, come invece
prevede appositamente l’art. 7 dello stesso decreto, trattando dei procedimenti cautelari, speciali o
non contenziosi di cui si dirà appresso, e, soprattutto, senza aggiungere nulla per le cause di valore
superiore).
Soltanto nella relazione illustrativa si precisa che tale previsione sarebbe volta ad assicurare il
principio costituzionale di accesso alla giustizia per la tutela di posizioni fondamentali ed a forte
connotazione personalistica, usualmente connesse a situazioni di disparità di forze tra le parti
coinvolte, come tali considerate sotto vari profili, processuali e sostanziali, dall’ordinamento.
Ma a ben vedere, tale regola vale non soltanto per il “lavoratore” ma anche e soprattutto per la
“parte datoriale”, a maggior ragione se di dimensioni rilevanti od internazionale: si pensi alla Fiat i
cui legali debbano patrocinarne le ragioni in controversie in cui è la stessa azienda ad evocare in
giudizio i propri dipendenti, in relazione a singole controversie ciascuna delle quali inferiore ad
euro 1.000,00.
Vale anche in tal caso il suddetto principio esposto nella relazione illustrativa al decreto?
Al precedente art. 7 dello stesso D.M. n.140/2012 riguardante i procedimenti cautelari o speciali o
non contenziosi si enuncia che fermo quanto specificatamente disposto dalla tabella A - Avvocati,
nei procedimenti cautelari ovvero speciali ovvero non contenziosi (volontaria giurisdizione) anche
quando in camera di consiglio o davanti al giudice tutelare, il compenso viene liquidato per
analogia ai parametri previsti per gli altri procedimenti, ferme le regole ed i criteri generali di
cui agli artt. 1 e 4 del D.M. n.140/2012.
La suddetta disposizione, si rivela essere palesemente pleonastica, laddove accomunati i
procedimenti cautelari, speciali o non contenziosi anche quando si svolgono in camera di consiglio
o davanti al giudice tutelare (sono quelli di volontaria giurisdizione, amministrazione di sostegno,
interdizione, inabilitazione, etc.) per la determinazione del compenso all’avvocato si limita a
rinviare per analogia ai parametri previsti per gli altri procedimenti, ferme le regole ed i criteri
generali di cui agli artt. 1 e 4 dello stesso decreto.
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Ebbene, per conseguire tale risultato sarebbe stato sufficiente includere anche i procedimenti
previsti dall’art.7 del D.M. n.140/2012 tra quelli espressamente indicati nella rubrica dell’art. 4,
norma quest’ultima a cui pure tra l’altro l’art. 7 rinvia, le cui disposizioni si riferiscono all’attività
giudiziale civile, amministrativa e tributaria.
La disposizione contenuta all’art. 9 del D.M. n.140/2012 si riferisce alle cause per l'indennizzo da
irragionevole durata del processo e gratuito patrocinio, stabilendo che in tali controversie il
compenso può essere ridotto fino alla metà, a cui segue la contorta previsione che per le
liquidazioni delle prestazioni svolte a favore di soggetti in gratuito patrocinio, e per quelle ad esse
equiparate dal T.U. delle spese di giustizia di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, si tiene specifico
conto della concreta incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della
persona difesa, e gli importi sono di regola ridotti della metà anche in materia penale.
Ora fermo restando la drastica riduzione alla metà degli importi dovuti per il compenso
all’avvocato, viene da chiedersi cosa intende dire esattamente la pur generica citata disposizione
regolamentare – o meglio ancora, come verrà intesa nella futura interpretazione giurisprudenziale –
laddove la stessa prevede che <<si tiene specifico conto della concreta incidenza degli atti assunti
rispetto alla posizione processuale della persona difesa>>?
Forse un caso ulteriore in cui il compenso all’avvocato può essere ulteriormente diminuito, o
magari un’ipotesi di esonero totale o parziale dalla relativa corresponsione, tenendo conto anche di
quanto enunciato dal successivo art. 10 dello stesso D.M. n.140/2012 sulla responsabilità
processuale aggravata?
12. Sulla responsabilità processuale aggravata (dell’avvocato o del cliente?) e relative pronunce
in rito
L’art. 10 del D.M. n.140/2012 dispone che nel caso di responsabilità processuale ai sensi dell'art. 96
c.p.c., ovvero, comunque, nei casi d'inammissibilità, improponibilità od improcedibilità della
domanda, il compenso dovuto all'avvocato del soccombente è ridotto, di regola, del 50 per cento
rispetto a quello liquidabile a norma dell'art. 11. Nella relazione illustrativa al decreto si afferma che
la ragione è chiaramente relativa all’esercizio definito come “professionalmente inappropriato” dei
diritti processuali.
Ciò però significa che al solo avvocato della parte soccombente viene ad essere riservato un
trattamento più deteriore rispetto a quello del vincitore, punendolo con la decurtazione della metà
del compenso a cui avrebbe diritto per aver patrocinato una causa del cliente che avrebbe dovuto
rifiutare a priori.
A questo punto sorge anche qui qualche domanda da porsi.
La prima è se anche tale norma abbia davvero un “senso”, specialmente laddove l’avvocato della
parte che poi si rivelerà essere soccombente nella causa, con una condanna per responsabilità
processuale aggravata, abbia già pattuito il compenso con il proprio cliente, tenuto conto che ai
sensi dell’art. 1 del D.M. n.140/2012 l'organo giurisdizionale che deve liquidare il compenso dei
professionisti di cui ai capi che seguono applica, in difetto di accordo tra le parti in ordine allo
stesso compenso, le disposizioni del presente decreto.
Se la parte soccombente si è già accordata preventivamente con il proprio avvocato a
corrispondergli in ogni caso un determinato compenso – anche nell’ipotesi in cui la relativa
domanda sia dichiarata dal giudice inammissibile, improponibile od improcedibile – cosa dovrà fare
il giudice in tale ipotesi, contravvenire all’accordo ed in tal modo violare quanto espressamente
enunciato all’art. 1 del D.M. n.140/2012?
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Tanto anche in considerazione di quanto stabilito all’ultimo comma dell’art. 1 del D.M. n.140/2012:
<<in nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei
massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono
vincolanti per la liquidazione stessa>>.
La seconda, attiene invece alla natura dell’obbligazione professionale se in tale ipotesi, potrà
continuare ad essere considerata semplicemente come di “mezzi” o se invece la si debba intendere
come di “risultato”, atteso che la vistosa decurtazione del compenso (cinquanta per cento) viene
legata alla pronuncia emessa dal giudice al termine del relativo processo.
A ciò non osta la particolarità della pronuncia, in punto di gravità della stessa, atteso che anche
laddove si discute di inammissibilità, improponibilità od improcedibilità della domanda giudiziale,
non di rado si rinvengono orientamenti giurisprudenziali divergenti, cosa del resto normale, almeno
in un paese come l’Italia in cui ancora non esiste una regola assimilabile allo stare decisis di
matrice anglosassone.
Ma soprattutto, cosa accadrà applicando tale principio in materia penale al difensore della parte che,
nonostante esistano poche possibilità di accoglimento della domanda, chieda ugualmente al suo
difensore di patrocinarne le ragioni nonostante il rischio di incorrere in un rigetto della stessa per
inammissibilità, improponibilità od improcedibilità?
Ed indipendentemente da ciò, come dovrà comportarsi l’avvocato nei confronti del proprio cliente,
in un qualunque procedimento, sebbene vi sia un consistente rischio di incorrere in un rigetto della
domanda?
Rifiutarsi di difenderlo per paura di incorrere a priori nella sanzione prevista dall’art. 10 del D.M.
n.140/2012 consistente nella decurtazione del cinquanta per cento del proprio compenso per
responsabilità processuale aggravata (sua o del proprio cliente)?
Altra questione su cui riflettere, potrebbe poi essere quella riguardante la valutazione della stessa
opportunità e sensibilità dimostrata dall’attuale legislatore verso la professione forense, nell’aver
scelto di “ammonire” preventivamente i relativi professionisti esercenti la stessa, dal patrocinare
cause “difficili” od “estremamente difficili”, in cui potrebbe esistere il rischio di incorrere in un
rigetto della domanda giudiziale per inammissibilità, improponibilità od improcedibilità della
stessa, mettendo così “in guardia” il medesimo professionista dalla possibilità di incorrere in un
futuro addebito a titolo di responsabilità processuale aggravata – del resto previsto appositamente
nei confronti dell’avvocato difensore della parte soccombente – riferito alle eventuali conseguenze
derivanti da una scelta (sua o del cliente?) poi rivelatasi errata per effetto della decisione finale del
giudice.
In buona sostanza, la regola prevista nell’art. 10 del regolamento ministeriale senza equivoci di
sorta, sembra voler porre a carico dell’avvocato “soccombente”, a sua volta difensore della parte
“sconfitta” al termine del processo, di fatto, solidalmente con quest’ultima, una sanzione pecuniaria
per aver adito il sistema “giustizia” con una domanda poi rivelatasi inammissibile, improponibile od
improcedibile, perché in base alla relazione illustrativa al decreto, ritenuta in contrasto con
l’attuazione del principio costituzionale di proporzionalità nell’uso della risorsa giudiziaria, a sua
volta direttamente connesso con quello del giusto processo e della ragionevole durata collettiva
della complessiva dinamica giudiziaria.
Ed infatti, nella stessa relazione illustrativa si conferma la valorizzazione dell’attività forense diretta
alla sola conciliazione della controversia, attraverso l’aumento del compenso rispetto a quello
liquidabile ordinariamente.
In realtà, nel regolamento ministeriale di cui al D.M. n.140/2012 vi sono anche altri punti da cui si
evincono tutta una serie di aprioristiche “valutazioni negative” verso le stesse possibilità di scelta
riferite a strategie difensive dell’avvocato le quali, rendono quindi legittimo il sospetto di una
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diffidenza verso quest’ultimo, che inevitabilmente finisce con l’oscurarne anche la stessa
professionalità, come si ricava ad esempio dall’art. 1, sesto comma, ai sensi del quale <<l'assenza di
prova del preventivo di massima di cui all'art. 9, comma 4, terzo periodo, del d.l. 24 gennaio 2012,
n. 1, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 marzo 2012, n. 27, costituisce elemento di
valutazione negativa da parte dell'organo giurisdizionale per la liquidazione del compenso>>,
dall’art. 4, che al sesto comma enuncia: <<costituisce elemento di valutazione negativa, in sede di
liquidazione giudiziale del compenso, l'adozione di condotte abusive tali da ostacolare la
definizione dei procedimenti in tempi ragionevoli>>, in quest’ultima ipotesi, senza null’altro al
riguardo, neanche fosse una “norma in bianco” al cui riempimento dovrà quindi rimediare il giudice
chiamato a decidere la singola controversia, esprimendo le proprie osservazioni e valutazioni per
individuare di volta in volta quali possano essere le eventuali <<condotte abusive tali da ostacolare
la definizione dei procedimenti in tempi ragionevoli>>, e dall’art. 12, sesto comma: <<costituisce
elemento di valutazione negativa in sede di liquidazione giudiziale del compenso l'adozione di
condotte dilatorie tali da ostacolare la definizione del procedimento in tempi ragionevoli>>.
Vi sarebbero anche altri non meno importanti interrogativi da porsi in merito all’utilità (ed
opportunità) dell’art. 10 del D.M. n.140/2012, ma forse, anche per evidenti ragioni di spazio, è
meglio chiudere qui su tale punto specifico.
13. La determinazione del compenso per l'attività giudiziale civile, amministrativa e tributaria
Il contenuto dell’art. 11 del D.M. n.140/2012 – che per ragioni sistematiche, avrebbe potuto essere
inserito nel testo dell’art. 4 – è sostanzialmente una riproposizione sintetica riferita ad una serie di
atti ed attività già previste dalle abrogate tariffe forensi per la liquidazione dei diritti ed onorari di
avvocato, prevedendo al primo comma che i parametri specifici per la determinazione del compenso
dell’avvocato sono, di regola, quelli di cui alla tabella A - Avvocati, allegata allo stesso decreto.
Il giudice può sempre (discrezionalmente) diminuire od aumentare ulteriormente il compenso
in considerazione delle circostanze concrete, ferma restando l'applicazione delle regole e dei criteri
generali di cui agli artt. 1 e 4 dello stesso decreto.
Su tale punto, appare evidente il rischio di incorrere in veri e propri eccessi o stravaganze
valutative, riconducibili all’arbitrio del giudice, il quale potrebbe essere tentato di decidere di
aumentare o diminuire il compenso all’avvocato a seconda delle circostanze concrete che in ultima
analisi potrebbero riferirsi anche soltanto alla “particolare” considerazione riposta nella stessa
persona fisica del professionista piuttosto che a quella inerente il singolo procedimento trattato.
In buona sostanza, è come dare al giudice la possibilità di premiare o sanzionare sul piano
squisitamente economico la condotta professionale dell’avvocato, con ogni conseguente pericolo
sotto il profilo dell’indipendenza e libertà di garantire la difesa del proprio cliente così come
attualmente sanciti dalla Carta dei Principi Fondamentali dell’Avvocato Europeo, reperibile on line
all’indirizzo http://www.consiglionazionaleforense.it/site/home/area-avvocati/codice-deontologicoforense/documento5761.html, redatta dal Consiglio degli Ordini Forensi Europei (CCBE) ed
adottata all’unanimità nella sessione plenaria tenutasi a Bruxelles il 24 novembre 2006, destinata ad
essere applicata in tutt’Europa, in cui si enunciano i principi fondamentali, espressione del sostrato
comune a tutte le norme nazionali ed internazionali che disciplinano l’avvocatura.
In particolare, dall’art. 2.1 sui principi generali, si evince che <<gli avvocati debbono essere
politicamente, economicamente e intellettualmente liberi di esercitare il proprio compito di
consigliare e rappresentare i clienti. Ciò significa che l’avvocato deve essere indipendente dallo
Stato, dalle fonti di potere e dai poteri economici, e non deve permettere che la sua indipendenza
sia compromessa da pressioni indebite…>>.
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Ai punti 2.1.1. e 2.1.2. si prevede che <<i numerosi obblighi a carico dell’avvocato rendono
necessaria la sua assoluta indipendenza da qualsiasi pressione e in particolare da quelle esercitate
da suoi interessi personali o da influenze esterne.
Questa indipendenza è necessaria per la fiducia nella giustizia quanto l’imparzialità del giudice.
L’avvocato deve pertanto impedire ogni attentato alla propria indipendenza e fare attenzione a non
venir meno alle norme deontologiche per compiacere i clienti, i giudici o terzi.
Tale indipendenza è necessaria per l’attività giuridica come per quella giudiziaria.
I consigli dati da un avvocato al proprio cliente non hanno valore se sono impartiti per
compiacerlo, per interesse personale o sotto l’effetto di una pressione esterna>>.
Ebbene, se quanto precede è vero, come si spiega che la determinazione concreta del compenso
spettante all’avvocato debba oggi dipendere da una così ampia discrezionalità del giudice, al quale è
altresì rimessa la stessa discrezionalità di ridurlo od aumentarlo a seconda delle circostanze e
percezioni od esperienze soggettive, di fatto, svincolando la relativa valutazione da ogni possibilità
concreta di esercitare un’efficace attività di controllo, sia preventivo che a posteriori?
Tuttavia, l’indicazione a titolo di esempio per ciascuna “fase” di singoli atti ed attività da prendere
in considerazione per la definizione del compenso spettante al professionista, oltre che apparire
pleonastica, atteso che l’indicazione degli importi in relazione alle relative fasi di attività è già
riportata nella tabella allegata A – Avvocati al D.M. n.140/2012, sul piano pratico rischia di
rivelarsi persino inutile, in quanto, non essendo più prevista nell’attuale regolamento ministeriale
per la determinazione del compenso dell’avvocato l’obbligatoria applicazione della suddivisione in
“onorari” e “diritti” in uso alle abrogate tariffe forensi, con l’assegnazione per ciascuna “voce” del
relativo importo in considerazione del valore della controversia, che serviva da un lato per
verificare il rispetto dei minimi tariffari, e dall’altro, per àncorare gli importi spettanti al
professionista a ben precisi parametri previamente individuati, anche al fine di garantire sotto il
profilo dell’art. 36 cost., la dignità ed il decoro dell’opera svolta dal professionista, attualmente,
tali esigenze sono inevitabilmente destinate a cedere il passo ad altri criteri rispondenti alla logica
propria del “mercato”, come del resto chiaramente affermato nello stesso regolamento ministeriale
in commento, con specifico riferimento alla determinazione delle ore impiegate dal professionista
per la prestazione richiestagli per la cui valutazione si tiene conto anche del valore di mercato
attribuito alle stesse, che sebbene esplicitamente riferito all’attività stragiudiziale enunciata all’art.
3, di fatto, sembra permeare implicitamente l’intero D.M. n.140/2012.
Il secondo comma della disposizione in commento recita: il compenso è liquidato per fasi, mentre
il terzo comma enuncia che nella fase di studio della controversia sono compresi, a titolo di
esempio: l'esame e lo studio degli atti a seguito della consultazione con il cliente, le ispezioni dei
luoghi, la ricerca dei documenti e la conseguente relazione o parere, scritti oppure orali, al
cliente, precedenti la costituzione in giudizio.
Il quarto comma dell’art. 11 del D.M. n.140/2012 prevede che nella fase introduttiva del
procedimento sono compresi, a titolo di esempio, gli atti introduttivi del giudizio e di costituzione
in giudizio, ed il relativo esame incluso quello degli allegati, quali ricorsi, controricorsi,
citazioni, comparse, chiamate di terzo ed esame delle relative autorizzazioni giudiziali, l'esame
di provvedimenti giudiziali di fissazione della prima udienza, memorie iniziali, interventi,
istanze, impugnazioni, le relative notificazioni, l'esame delle corrispondenti relate, l'iscrizione a
ruolo, il versamento del contributo unificato, le rinnovazioni o riassunzioni della domanda, le
autentiche di firma o l'esame della procura notarile, la formazione del fascicolo e della
posizione della pratica in studio, le ulteriori consultazioni con il cliente.
Il quinto comma della stessa disposizione regolamentare dispone che nella fase istruttoria sono
compresi, a titolo di esempio: le richieste di prova, le memorie di precisazione o integrazione
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delle domande o dei motivi d'impugnazione, eccezioni e conclusioni, ovvero meramente
illustrative, l'esame degli scritti o documenti delle altre parti o dei provvedimenti giudiziali
pronunciati nel corso e in funzione dell'istruzione, gli adempimenti o le prestazioni comunque
connesse ai suddetti provvedimenti giudiziali, le partecipazioni e assistenze relative ad attività
istruttorie, gli atti comunque necessari per la formazione della prova o del mezzo istruttorio
anche quando disposto d'ufficio, la designazione di consulenti di parte, l'esame delle
corrispondenti attività e designazioni delle altre parti, l'esame delle deduzioni dei consulenti
d'ufficio o delle altre parti, la notificazione delle domande nuove o di altri atti nel corso del
giudizio compresi quelli al contumace, le relative richieste di copie al cancelliere, le istanze al
giudice in qualsiasi forma, le dichiarazioni rese nei casi previsti dalla legge, le deduzioni a
verbale, le intimazioni dei testimoni, comprese le notificazioni e l'esame delle relative relate, gli
atti comunque incidentali comprese le querele di falso e quelli inerenti alla verificazione delle
scritture private. Al fine di valutare il grado di complessità della fase rilevano, in particolare, le
plurime memorie per parte, necessarie o autorizzate dal giudice, comunque denominate ma non
meramente illustrative, ovvero le plurime richieste istruttorie ammesse per ciascuna parte e le
plurime prove assunte per ciascuna parte. La fase rileva ai fini della liquidazione del compenso
quando effettivamente svolta.
Il sesto comma dell’art. 11 del D.M. n.140/2012 enuncia che nella fase decisoria sono compresi, a
titolo di esempio: le precisazioni delle conclusioni e l'esame di quelle delle altre parti, le
memorie, illustrative o conclusionali anche in replica, compreso il loro deposito ed esame, la
discussione orale, sia in camera di consiglio che in udienza pubblica, le note illustrative
accessorie a quest'ultima, la redazione e il deposito delle note spese, l'esame e la registrazione o
pubblicazione del provvedimento conclusivo del giudizio, comprese le richieste di copie al
cancelliere, il ritiro del fascicolo, l'iscrizione di ipoteca giudiziale del provvedimento conclusivo
stesso.
Il settimo comma dell’art.11 del D.M. n.140/2012 dispone invece che nella fase esecutiva, fermo
quanto previsto nella richiamata tabella A - Avvocati, per l'atto di precetto, sono ricompresi, a
titolo di esempio: la disamina del titolo esecutivo, la notificazione dello stesso unitamente al
precetto, l'esame delle relative relate, il pignoramento e l'esame del relativo verbale, le
iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, gli atti d'intervento, le ispezioni ipotecarie, catastali,
l'esame dei relativi atti, le assistenze all'udienza o agli atti esecutivi di qualsiasi tipo.
All’ottavo comma del citato art.11 del D.M. n.140/2012 si stabilisce che il compenso, ai sensi
dell'art. 1, terzo comma, comprende ogni attività accessoria, quali, a titolo di esempio, gli accessi
agli uffici pubblici, le trasferte, la corrispondenza anche telefonica o telematica o collegiale
con il cliente, le attività connesse a oneri amministrativi o fiscali, le sessioni per rapporti con
colleghi, ausiliari, consulenti, magistrati.
I commi nove e dieci dell’art.11 del D.M. n.140/2012 indicano rispettivamente che per le
controversie il cui valore supera euro 1.500.000,00 il giudice, tenuto conto dei valori di
liquidazione riferiti di regola allo scaglione precedente, liquida il compenso applicando i parametri
di cui all'art. 4, commi da 2 a 5, con la precisazione che i suddetti parametri indicati nel periodo
precedente si applicano anche ai procedimenti per ingiunzione, e che per le procedure
concorsuali si applicano per analogia i parametri previsti per la fase esecutiva relativa a beni
immobili.
14. L’attività giudiziale penale riferita all’avvocato ed alla parte civile
L’art. 12 del D.M. n.140/2012 prevede che l'attività giudiziale penale è distinta nelle seguenti fasi:
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a) studio;
b) introduzione del procedimento;
c) istruttoria procedimentale o processuale;
d) decisoria;
e) esecutiva.
Se il procedimento od il processo non vengono portati a termine per qualsiasi motivo ovvero
sopravvengono cause estintive del reato, l'avvocato ha diritto al compenso per l'opera
effettivamente svolta. Nella liquidazione il giudice deve tenere conto della natura, complessità e
gravità del procedimento o del processo, delle contestazioni e delle imputazioni, del pregio
dell'opera prestata, del numero e dell'importanza delle questioni trattate, anche a seguito di
riunione dei procedimenti o dei processi, dell'eventuale urgenza della prestazione. Ai fini di
quanto disposto nel periodo che precede, si tiene conto di tutte le particolari circostanze del caso,
quali, a titolo di esempio, il numero dei documenti da esaminare, l'emissione di ordinanze di
applicazione di misure cautelari, l'entità economica e l'importanza degli interessi coinvolti, la
costituzione di parte civile, la continuità, la frequenza, l'orario ed i trasferimenti conseguenti
all'assistenza prestata.
Si tiene altresì conto dei risultati del giudizio e dei vantaggi, anche civili e non patrimoniali,
conseguiti dal cliente.
Anche qui valgono le stesse considerazioni svolte nel paragrafo 10 del D.M. n.140/2012 sulla
natura dell’obbligazione assunta dal professionista, se debba considerarsi ancora di “mezzi” o di
“risultato” alla luce delle disposizioni regolamentari che si commentano.
Qualora l'avvocato difenda più persone con la stessa posizione processuale il compenso unico
può essere aumentato fino al doppio.
Lo stesso parametro di liquidazione si applica, in caso di costituzione di parte civile, quando
l'avvocato difende una parte contro più parti.
Per l'assistenza d'ufficio a minori il compenso può essere diminuito fino alla metà.
Costituisce elemento di valutazione negativa in sede di liquidazione giudiziale del compenso
dell’avvocato l'adozione di condotte dilatorie tali da ostacolare la definizione del procedimento
in tempi ragionevoli. Quest’ultima disposizione si commenta da sé.
Un esempio può aiutare a chiarire. Se un processo relativo alla punizione di un certo reato è a
rischio di prescrizione per una serie di ritardi accumulati dai responsabili (personale addetto agli
uffici di cancelleria, giudici, etc.) dell’ufficio giudiziario competente, per evitare di incorrere nella
sanzione pecuniaria consistente nella decurtazione del compenso, si chiede all’avvocato
dell’imputato di sopperire a tali ritardi dell’amministrazione, in buona sostanza, evitando di
formulare istanze od espletare le correlate attività difensive nell’interesse del proprio assistito, salvo
forse la sola ipotesi in cui esista la certezza di raggiungere il risultato sperato, soltanto perché il
relativo esame da parte del giudice del procedimento potrebbe ritardare la prosecuzione dello stesso
giudizio ormai giunto al limite della prescrizione prevista ex lege per quel determinato reato, così di
fatto rinunciandovi?
La disposizione in esame chiude enunciando che si applica l'art. 9, primo comma, secondo periodo,
in base al quale, nelle controversie per l'indennizzo da irragionevole durata del processo, il
compenso dell’avvocato può essere ridotto fino alla metà.
Il successivo art. 13 del D.M. n.140/2012, a proposito della parte civile, e del responsabile civile
recita: <<i parametri previsti per l'attività giudiziale penale operano anche nei riguardi della parte
e del responsabile civile costituiti in giudizio, ma per quanto non rientri nelle fasi penali, operano i
parametri previsti per l'attività giudiziale civile>>. Conseguentemente, a rendere operativi i
parametri relativi all’attività giudiziale civile nei confronti della parte e del responsabile civile
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costituiti nel giudizio penale basta che i relativi atti e/o attività non rientrino tra quelli destinati ad
essere ricompresi nelle fasi penali. La formulazione letterale di tale disposizione – apparentemente
chiara – in realtà si presta a generare non pochi equivoci, proprio a causa della difficoltà di fatto a
ricomprendere o meno determinati atti ed attività nelle fasi penali ai fini dell’applicazione dei
relativi parametri di riferimento per la liquidazione del compenso al professionista.
15. La determinazione del compenso per l'attività giudiziale penale
Anche per quanto concerne l’art. 14 del D.M. n.140/2012 valgono le stesse considerazioni svolte
nel paragrafo 8 sulla determinazione del compenso per l'attività giudiziale civile, amministrativa e
tributaria riferito all’esame dell’art. 11 del D.M. n.140/2012.
In particolare, l’art. 14 del D.M. n.140/2012 al primo comma prevede che i parametri specifici per
la determinazione del compenso sono, di regola, quelli di cui alla tabella B - Avvocati, allegata allo
stesso decreto. Il giudice può sempre (discrezionalmente) diminuire od aumentare ulteriormente
il compenso in considerazione delle circostanze concrete, ferma l'applicazione delle regole e dei
criteri generali di cui agli artt. 1 e 12.
Al secondo comma, la disposizione in commento enuncia che il compenso è liquidato per fasi,
mentre a quello successivo dispone che nella fase di studio sono compresi, a titolo di esempio:
l'esame e lo studio degli atti, le ispezioni dei luoghi, la ricerca dei documenti, le consultazioni
con il cliente e la relazione o parere, scritti ovvero orali, al cliente precedenti gli atti della fase
introduttiva o che esauriscono l'attività.
Il quarto comma è dedicato alla fase introduttiva, nella quale sono compresi, a titolo di esempio:
gli atti introduttivi quali esposti, denunce, querele, istanze, richieste, dichiarazioni,
opposizioni, ricorsi, impugnazioni, memorie.
Al quinto comma, si stabilisce che nella fase istruttoria sono compresi, a titolo di esempio: le
richieste, gli scritti, le partecipazioni o le assistenze, anche in udienza in camera di consiglio o
pubblica, relative ad atti o attività istruttorie, procedimentali o processuali anche preliminari,
funzionali alla ricerca dei mezzi di prova, alle investigazioni o alla formazione della prova,
comprese le liste, le citazioni, e le relative notificazioni ed esame di relata, dei testimoni,
consulenti e indagati od imputati di reato connesso o collegato. In particolare, la fase si
considera “complessa” quando le attività ovvero le richieste istruttorie sono plurime ed in
plurime udienze, ovvero comportano la redazione di scritti plurimi e coinvolgenti plurime
questioni anche incidentali.
Al sesto comma, riferito alla fase decisoria, si prevede che sono compresi, a titolo di esempio: le
difese orali o scritte anche in replica, l'assistenza alla discussione delle altre parti, in camera di
consiglio o udienza pubblica, mentre dal successivo settimo comma, si evince che nella fase
esecutiva sono comprese tutte le attività connesse all'esecuzione della pena o delle misure
cautelari.
L’ottavo e penultimo comma dell’art. 14 del D.M. n.140/2012 recita: <<fermo quanto
specificatamente disposto dalla tabella B - Avvocati, nei procedimenti cautelari ovvero speciali
anche quando in camera di consiglio, il compenso viene liquidato per analogia ai parametri
previsti per gli altri procedimenti, ferme le regole e i criteri generali di cui agli artt. 1 e 12>>.
Il nono comma dell’art.14 del D.M. n.140/2012 infine, prevede invece che il compenso, ai sensi
dell'art. 1 terzo comma, comprende ogni attività accessoria, quali, a titolo di esempio, gli accessi
agli uffici pubblici, le trasferte, la corrispondenza anche telefonica o telematica o collegiale
con il cliente, le attività connesse ad oneri amministrativi o fiscali, le sessioni per rapporti con
colleghi, ausiliari, consulenti, investigatori, magistrati.
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16. La soppressione del rimborso forfettario spese generali.
Il D.M. n.140/2012 – e con esso, anche la relazione illustrativa – non contempla più il rimborso
forfettario spese generali che in precedenza era dovuto all’avvocato nella misura del 12,50%
calcolato sull’ammontare dei diritti ed onorari di cui alle abrogate tariffe forensi, né alcuna voce
sostitutiva.
Trattasi di una ulteriore “lacuna” delle nuove disposizioni regolamentari sul compenso all’avvocato
destinate a riverberarne le relative conseguenze in danno di quest’ultimo, che a differenza del
passato non potrà più beneficiare di tale forma di rimborso delle spese borsuali comunque
funzionali al puntuale ed esatto adempimento del mandato difensivo – rectius: “contratto di
patrocinio” – concluso con il cliente.
La “dimenticanza” di cui si discute è particolarmente grave non soltanto perché rischia di pesare a
fondo perduto sulle tasche dell’avvocato, quanto per i possibili risvolti fiscali destinati a prodursi
anche alla luce dello “speso metro” di recente introduzione.
Facciamo un piccolo esempio: l’avvocato officiato di un importante incarico difensivo per il cui
assolvimento deve spostarsi al di fuori del foro di appartenenza, anche in considerazione della
qualità personale del cliente, anticipa i relativi costi per il trasporto (automobile, treno, aereo),
soggiorno, pasti, telefonate extraurbane con il cellulare fatte allo studio od ad altri uffici, taxi, bus,
metropolitana od altro mezzo pubblico adoperato per gli ulteriori spostamenti, ovvero spese di
parcheggio in un garage cittadino per la propria automobile, etc..
Trattasi di spese normalissime, comunque solitamente connesse ad una breve permanenza del
professionista nella città ove è ubicata la relativa sede giudiziaria dinanzi alla quale dovrà svolgersi
l’attività difensiva nell’interesse del cliente.
Ebbene, come potrà oggi l’avvocato dimostrare la diretta e stretta inerenza di tali spese alla pratica
dello stesso cliente?
A ben vedere, non per tutte le spese concretamente sopportate dal professionista per l’adempimento
di atti ed attività riferite ad una determinata pratica è possibile dimostrarne l’imputazione diretta e,
quindi, la relativa inerenza, con le ovvie quanto intuibili difficoltà successivamente rilevanti non
solo in sede di presentazione della richiesta di rimborso da parte del cliente ma anche sul piano
della stessa fatturazione come spese “non imponibili”.
In particolare, sotto tale specifico profilo, appare infatti evidente come la sostanziale impossibilità
di fatto per l’avvocato nel dimostrare la diretta ed inequivoca inerenza di tali voci di spesa con una
determinata “pratica di studio” potrà costituire fonte di un autonomo contenzioso fiscale in caso di
successivi controlli “mirati” svolti dall’Agenzia delle Entrate, all’esito della rilevazione dei flussi
finanziari tracciati in un determinato periodo dell’anno, incrociando le relative informazioni
presenti nelle banche dati con i parametri rinvenibili nello “spesometro” recentemente introdotto dal
legislatore della Crescita – congiuntamente al redditometro – che tende a rilevare anche e proprio la
rilevanza di tali voci di spesa al fine di determinare la reale capacità di spesa del singolo
contribuente.
E’ infatti evidente il rischio di incorrere in specifiche contestazioni ed accertamenti ove la
giustificazione in fattura delle suddette voci di spesa – non più ricomprese una tantum nell’ambito
del rimborso forfettario 12,50% spese generali – non risulti idonea sotto il profilo della loro stretta
inerenza con la pratica a cui pure le stesse si riferiscono.
Questo se il cliente ne riconosce il pagamento, perché, in caso contrario sarebbe ancora peggio, in
quanto l’avvocato oltre a non vedersele rimborsate dal proprio assistito rimarrebbe anche esposto a
successivi controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate, dinanzi alla quale, non potrà certo
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giustificarne il relativo esborso quale “mera anticipazione” effettuata con soldi propri ma in realtà
per conto del cliente.
Ciò comporterà quindi la probabile imputazione di tali spese nella determinazione del reddito
imponibile del professionista, con tutte le facilmente intuibili conseguenze negative
significativamente rilevanti a carico del medesimo professionista.
17. Considerazioni finali
Concludendo, il testo del regolamento ministeriale n.140/2012 poggia sui seguenti principi e criteri,
peraltro desumibili dalla stessa relazione illustrativa al suddetto decreto:
1) La disciplina dei compensi professionali è direttamente rapportata al mercato, che tuttavia va
distinto dall’autonomia privata in ambito professionale, conseguentemente, come si evince
dalla relazione illustrativa al decreto ministeriale, la relativa regola per la sua
determinazione è divenuta quella negoziale, ripristinandosi la centralità dell’accordo già
enucleabile dall’art. 2233 c.c.
2) Il giudice applica i parametri previsti dal decreto ministeriale quando deve liquidare il
compenso a tal fine occorrendo quindi un’apposita pronuncia giudiziale resa su un’apposita
istanza presentata in tal senso;
3) Nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del
professionista è determinato con riferimento ai parametri stabiliti nel decreto ministeriale;
4) Induzione delle parti al raggiungimento dell’accordo sul compenso professionale, visto
quale naturale espressione della legge di mercato, disincentivando il ricorso alla liquidazione
giudiziale, che ove necessaria per la determinazione del compenso al professionista assume
un ruolo centrale attraverso la valutazione discrezionale del giudice svincolata dalla rigida
applicazione dei parametri del decreto;
5) Residualità e carattere non vincolante per il giudice nell’applicazione dei parametri previsti
dal decreto ministeriale costituenti come si evince dalla relazione illustrativa, una mera
fascia di orientamento per lo stesso organo giurisdizionale, in quanto, anche in caso di
liquidazioni d’ufficio del compenso sulla base di una disposizione normativa primaria, il
decreto potrà applicarsi soltanto quando manchi l’accordo sul compenso medesimo tra il
professionista ed il soggetto tenuto al pagamento per le prestazioni professionali.
6) Il compenso per le prestazioni professionali è pattuito, nelle forme previste dall'ordinamento,
al momento del conferimento dell'incarico professionale.
7) Il professionista deve rendere noto al cliente il grado di complessità dell'incarico, fornendo
tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla
conclusione dell'incarico e deve altresì indicare i dati della polizza assicurativa per i danni
provocati nell'esercizio dell'attività professionale. In ogni caso, la misura del compenso è
previamente resa nota al cliente con un preventivo di massima, adeguato all'importanza
dell'opera, pattuito indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di
spese, oneri e contributi.
8) Sono abrogate le disposizioni normative vigenti che, per la determinazione del compenso del
professionista, rinviano alle tariffe forensi.
9) I punti di riferimento in sede giurisdizionale per la liquidazione del compenso del
professionista sono dunque l’importanza e complessità dell’opera ed il pregio della stessa.
10) Il compenso non comprende né le spese da rimborsare secondo qualsiasi modalità, anche in
modo forfettario, nè oneri e contributi dovuti a qualsiasi titolo, quindi anche fiscali.
21
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11) Anche il costo degli ausiliari incaricati direttamente dal professionista è ricompreso tra le
spese dello stesso e quindi escluso dalla pattuizione del compenso.
12) In assenza di accordo il giudice liquida le spese documentate dal professionista.
13) L’assenza di prova del preventivo di massima, comprensivo delle spese, costituisce
elemento di valutazione negativa in sede di liquidazione del compenso al professionista da
parte del giudice, dovendo emergere altresì la prova in merito all’avvenuto assolvimento
degli obblighi informativi del medesimo professionista nei confronti del cliente.
14) Quando l’incarico professionale è conferito a una società tra professionisti, si applica il
compenso spettante a un solo di essi anche per la stessa prestazione eseguita da più soci.
15) Quando l’incarico professionale non viene portato a conclusione, o nel caso di prosecuzione
di un precedente incarico, si tiene conto dell’opera effettivamente svolta dal professionista.
16) Ai fini della liquidazione del compenso dell’avvocato in base ai parametri di riferimento
previsto dal decreto, suddivisione dell’attività giudiziale civile, penale amministrativa e
tributaria in 5 fasi: studio, introduttiva del procedimento o del processo, istruttoria,
decisoria, esecutiva.
17) L’attività stragiudiziale è liquidata tenendo conto del valore e natura dell’affare, numero
ed importanza delle questioni trattate, pregio dell’opera prestata, risultati e vantaggi, anche
non economici, conseguiti dal cliente, eventuale urgenza della prestazione, ore complessive
impiegate, valutate anche secondo il valore di mercato attribuito alle stesse.
18) Valorizzazione della componente non conflittuale dell’attività forense, di supporto a una
giurisdizione intesa quale extrema ratio, rispetto a quella amichevole, per la soluzione delle
controversie.
Al mercato, ed in particolare, alla sua presunta capacità di autoregolamentarsi, l’ultima parola
sulla concreta bontà delle scelte prese in tal senso dall’attuale legislatore nella materia
considerata dal D.M. n.140/2012.
22
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MASSIMO VACCARI
Una panoramica delle novità riguardanti la professione di avvocato civilista dopo
l’entrata in vigore del regolamento sui parametri.
1. Introduzione. 2. L’accordo sul compenso. 3. Preventivo e obblighi informativi. 4. Il nuovo sistema
dei parametri. 4.1 Premessa. 4.2 Le disposizioni generali e i parametri generali per l’avvocato. 4.3 I
parametri numerici. 4.4 I parametri per l’attività stragiudiziale. 5. I parametri fondati sulle condotte e sulle
scelte difensive. 5.1 Premessa. 5.2. Responsabilità processuale aggravata e domande inammissibili,
improponibili o improcedibili. 5.3 Abuso del processo. 5.4 L’attività conciliativa. 6. La bi-direzionalità
limitata della liquidazione ai sensi dell’art. 91 c.p.c. 7. Il regime transitorio. 7.1 Premessa. 7.2 Il regime
transitorio delle norme di diritto sostanziale 7.3 …e quello delle norme di diritto processuale. Le diverse
soluzioni prospettabili: applicabilità immediata; la regola tempus regit actum; la regola tempus regit
processum. 8. Conclusione: il ruolo dell’avvocato e del giudice nel nuovo sistema.
1. Introduzione.
Il 23 agosto di quest’anno, giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale, è entrato in vigore il regolamento recante la determinazione dei parametri per
la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni
regolamentate vigilate dal Ministero della Giustizia (D.M. 20 luglio 2012 n. 140).
E’ stata così completata la disciplina delle professioni regolamentate1 introdotta dal
decreto-legge 24 gennaio 2012 n.1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo
delle infrastrutture e la competitività, più noto come “cresci Italia” o “pacchetto
liberalizzazioni”), convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012 n.27.
Il regolamento costituisce, infatti, attuazione dell’art. 9 del testo normativo succitato
che, al comma 1, aveva abrogato le tariffe professionali con decorrenza dal 25 gennaio
20122, e, al comma 2, aveva previsto che:“ferma restando l’abrogazione di cui al
comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso
del professionista è determinato con riferimento ai parametri stabiliti con decreto del
1
La relazione illustrativa al regolamento 140/2012 individua quali professioni regolamentate, sottoposte all’alta
vigilanza del Ministero della Giustizia, le seguenti: avvocati, commercialisti ed esperti contabili, notai,
professioni dell’area tecnica e altre professioni vigilate. Le professioni rientranti nella penultima categoria sono
numerose e sono elencate nell’art.33 del regolamento. L’ultima categoria ha invece carattere residuale.
2
Nell’esordio della relazione illustrativa del D.M. 140/2012 la portata dell’art. 9, comma 1, del d.l.1/2012,
viene illustrata nei seguenti termini:“è stata abbandonata una disciplina dei compensi professionali non
direttamente rapportata al mercato quanto, invece alla predeterminazione amministrativa, aggiornabile, varata
su proposta degli stessi Ordini professionali di riferimento, sia pure approvata dal Ministro competente”
1
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Ministro vigilante da adottarsi nel termine di centoventi giorni successivi alla data di
entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”3.
Queste fonti, con riguardo al professionista forense, non si limitano a definire nuove
modalità di determinazione del compenso spettante per l’attività svolta ma, a differenza
delle altre professioni regolamentate, individuano direttamente o indirettamente, in
alcuni casi recependoli dalla elaborazione giurisprudenziale o da precedenti disposizioni
normative, una serie di obblighi di comportamento nei confronti del cliente piuttosto
rilevanti.
Alle nuove norme, pertanto, ben può attribuirsi la portata di una vera e propria miniriforma della professione forense e in queste pagine se ne delineeranno i tratti salienti e
se ne proporrà un inquadramento sistematico, con particolare riguardo ai riflessi di essa
sulla professione di avvocato civilista.
2.L’accordo sul compenso.
L’art. 9, comma 1, del d.l. n.1/2012 prevede che: “il compenso per le prestazioni
professionali è pattuito, nelle forme previste dall’ordinamento, al momento del
conferimento dell’incarico professionale”.
Dalla norma traspare una delle scelte di fondo della riforma, ossia quella di
valorizzare, tra i vari strumenti di determinazione del compenso spettante al
professionista intellettuale menzionati dall’art. 2233, primo comma, c.c. (autonomia
negoziale, usi, tariffe e determinazione da parte del giudice, previa consultazione con
l’ordine professionale), il primo4 5.
Già in passato la Suprema Corte6 aveva evidenziato il primato dell’accordo tra i criteri
di cui all’art. 2233 c.c. ma, come osserva la relazione al D.M. 140/2012, la rigidità del
sistema tariffario aveva disincentivato, di fatto, il ricorso ad esso.
3
Il comma 3 dell’art. 9 d.l.1/2012 aveva prorogato la vigenza delle tariffe, limitatamente alla liquidazione delle
spese giudiziali, fino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali di cui al comma 2 e comunque non
oltre il centoventesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.
4
La relazione ministeriale al regolamento 140/2012, chiarisce che l’art. 9, comma 1, d.l.1/2012 ha una portata
parzialmente abrogatrice dell’art.2233, primo comma, c.c. laddove osserva che la prima norma “a) non
menziona gli usi e b) esclude implicitamente la necessità, per l’organo giurisdizionale che debba procedere alla
liquidazione, di sentire l’associazione professionale cui si riferisce l’art. 2233 c.c.”
5
Accanto alla finalità espressa di questa scelta, ossia quella di riaffermare il primato del mercato, non è difficile
coglierne una seconda, inespressa, di natura fiscale.
6
Cass. sez. II civile, 30 ottobre 1996, n. 9514, in Foro It., 1997, c.2180 così si era espressa:“L’art. 2333. c.c.
pone una gerarchia di carattere preferenziale riguardo ai criteri di liquidazione del compenso spettante al
2
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Pertanto, a seguito della riforma, nel caso di controversia tra professionista e cliente in
ordine all’ammontare del compenso spettante al primo, il giudice, per i contratti di
mandato conclusi dal 25 gennaio 20127 in poi, dovrà fare riferimento a quanto stabilito
nell’eventuale accordo. Nell’ipotesi in cui l’accordo manchi, anche solo in parte (ad
esempio con riguardo a qualcuna delle attività svolte dal difensore), o sia invalido, la
liquidazione giudiziale dovrà avvenire in base ai criteri, definiti parametri, indicati nel
regolamento 140/2012.
Si noti che dal terzo comma dell’art. 9 d.l.1/2012, che aveva prorogato la vigenza delle
tariffe, limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali, fino alla data di entrata in
vigore dei decreti ministeriali di cui al comma 2, e comunque non oltre il
centoventesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del
decreto, si evince come i parametri siano utilizzabili anche ai fini della liquidazione
delle spese nei confronti del soccombente ai sensi dell’art. 91 c.p.c..
E’ opportuno chiarire che in questo caso non si potrà tener conto dell’eventuale
accordo che la parte vittoriosa abbia concluso con il proprio difensore poiché esso non
sarà opponibile al soccombente, che rimarrà terzo rispetto ad esso.
Non si può peraltro escludere che quell’accordo possa contenere elementi utili al
giudice per la liquidazione in favore della parte vittoriosa del giudizio, come ad esempio
la pattuizione in favore del professionista di un rimborso forfetario (ai sensi dell’art.1
comma 2 del regolamento). Esso potrebbe infatti facilitare il ricorso al criterio
presuntivo, ben possibile nel silenzio della norma8, al fine di dimostrare le spese
sostenute dalla parte vittoriosa.
Ancora l’accordo potrebbe evidenziare l’intenzione, o l’aspettativa, della parte
risultata vittoriosa di conseguire un determinato risultato, anche non economico, dal
giudizio, vale a dire un profilo che, ai sensi dell’art. 4, comma 3 del reg. 140/2012,
come si vedrà meglio nel prosieguo, rappresenta uno dei criteri generali per la
professionista, attribuendo rilevanza in primo luogo alla convenzione che si intervenuta tra le parti, in difetto
alla tariffa o agli usi e in ulteriore subordine rimettendone la determinazione la giudice, previo parere non
vincolante dell’associazione professionale”.
7
Sul regime transitorio della riforma si tornerà più approfonditamente nell’ultimo paragrafo dello scritto.
8
L’art. 1, comma 2, del regolamento 140/2012 stabilisce che:“Nei compensi non sono comprese le spese da
rimborsare secondo qualsiasi modalità compresa quella concordata in modo forfetario” e la relazione
illustrativa spiega al riguardo che: “E’ evidente che quando… l’accordo e, ancor prima, la negoziazione non vi
siano stati, l’organo giurisdizionale liquiderà le spese in base alle prove- e quindi, tipicamente, liquiderà quelle
documentate – non esistendo alcun parametro che le possa surrogare”. Sul punto si tornerà nel pf. 4.2.
3
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determinazione giudiziale del compenso, sebbene la sua applicazione alla liquidazione
ai sensi dell’art. 91 c.p.c. sia piuttosto problematica9 (il giudice ovviamente dovrà
valutare se il risultato prefissato sia stato o meno conseguito).
Si concorda con chi ritiene10 che, per la determinazione convenzionale del compenso,
professionista legale e cliente saranno liberi di scegliere una gamma piuttosto vasta di
modalità, quali: a) uno strumento di carattere “modulare” ed analitico, che fissi il costo
delle “singole prestazioni” (ad esempio, con riguardo all’attività giudiziale, per ogni
singolo atto difensivo scritto o udienza); b) un criterio che preveda il pagamento in base
all’orario, commisurato alle ore effettivamente impiegate per lo svolgimento della
prestazione; c) un compenso di tipo forfetario, in base al quale al professionista spetti un
determinato importo per ciascuna fase del procedimento o parte della prestazione
relativa all’incarico conferito; d) un compenso parametrato al valore del risultato
conseguito (c.d. patto di quota lite), ovvero in misura percentuale in base al valore della
controversia; e) un sistema misto, che contempli un utilizzo combinato degli altri
sistemi sopra citati.
Qualora optassero per il criterio sub c le parti, qualunque fossero le caratteristiche
soggettive del cliente, potrebbero utilizzare, per i contratti conclusi a decorrere dal 23
agosto 2012, i parametri fissati dal D.M. 140/2012, sia nei valori medi come nelle
percentuali di aumento e diminuizione11, dopo che, in sede di conversione del d.l.
1/2012, è venuta meno la norma che vietava di fatto una simile possibilità per i contratti
individuali tra microimprese e consumatori, sanzionandola con la nullità di cui all’art.
36 D. lgs. 206/2005.
La modalità del rinvio ai parametri, che, ovviamente, potrà essere seguita anche per la
redazione del preventivo di massima, previsto sempre dall’art. 9, comma 4, d.l.1/201212,
renderà anzi più intelligibile al cliente l’entità del compenso eventualmente dovuto,
9
Il criterio era già previsto dall’art. 5, comma 3, della tariffa forense (D.M. 8 aprile 2004 n.127) ma solo con
riguardo alla liquidazione degli onorari a carico del cliente. La sua trasposizione anche nell’ambito della
liquidazione nei confronti del soccombente non è agevole, come si vedrà meglio al pf. 4.2.
10
Dossier n.6/2012 del Consiglio nazionale forense su “Le professioni regolamentate nel decreto “Cresci
Italia”, p.19.
11
Ciò anche nelle ipotesi di conciliazione sopravvenuta, stragiudiziale o giudiziale (art.3, comma 3, e art. 4,
comma 4 del regolamento).
12
Su questo aspetto si tornerà nel prossimo paragrafo.
4
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attenuando le assimetrie informative esistenti tra lo stesso e il professionista, e
risponderà così appieno ad un’altra delle finalità dichiarate della riforma13.
Peraltro per gli incarichi professionali conferiti successivamente al 25 gennaio 2012,
così come per quelli in corso di esecuzione a tale data, che siano stati rinegoziati, le
parti potrebbero convenire un compenso strutturato sulla base delle tariffe ma in questi
casi il professionista sarà onerato di obblighi informativi più penetranti di quelli che
derivano dagli altri criteri che possono essere prescelti.
L’inciso, presente nella norma in esame, secondo cui il compenso è pattuito “nelle
forme previste dall’ordinamento”, comporta che, per quanto riguarda il contratto tra
professionista legale e cliente, vada osservato il requisito della forma scritta ad
substantiam di cui all’art. 2233 c.c., comma 3, introdotto dal d.l. 4 luglio 2006 n.223
(c.d decreto Bersani), convertito dalla legge 4 agosto 2006 n.248.
L’art. 2233, terzo comma, c.c. non chiarisce se il difetto di forma scritta integri una
ipotesi di nullità parziale, di carattere assoluto o relativo (del tipo di quella prevista
dall’art. 36 D. lgs. 206/2005), ma questa è la soluzione da preferire, almeno nei casi in
cui il cliente del professionista abbia le caratteristiche di consumatore.
E’ evidente che l’accordo, oltre a potersi concludere anche mediante sottoscrizione da
parte del cliente del preventivo scritto, potrà avere un contenuto più ampio della sola
pattuizione sul compenso.
Con riguardo a quest’ultima ipotesi non va trascurato che, qualora il cliente rivesta la
qualità di consumatore, dovrà essere osservata la disciplina in tema di clausole
vessatorie di cui all’art. 33 d. lgs. 205/2006, in conformità all’insegnamento più recente
della Suprema Corte.
Negli ultimi anni, infatti, in più occasioni, i giudici di legittimità hanno affermato che
il prestatore di opera professionale intellettuale integra la figura del professionista di cui
all’art. 1469 bis c.c., e quindi dell’attuale art. 3 cod. cons14.
13
Significativamente nella relazione illustrativa al D.M.140/2012, pag. 7, si osserva: “L’unicità del compenso
mira dunque a dare spessore alla semplificazione insita nell’abrogazione delle tariffe. Questa semplificazione
costituisce a sua volta un utile supporto alla riduzione delle assimetrie informative che possono essere
implicate non solo da fisiologiche lacune di trasparenza del mercato, ma anche da un eccesso di informazioni
incidenti sullo stesso, dovute alla frammentazione e parcellizzazione delle componenti delle informazioni stesse,
come poteva ragionevolmente dirsi delle più che complesse e non facilmente intellegibili tariffe precedenti.”
14
Cass. 20 marzo 2010, n.6824, Giust. Civ. Mass., 2010, 3, 409; Cass. 27 febbraio 2009 n.4914, Foro It., 2009,
10, 2684, con riguardo al rapporto medico – paziente; Cass. ord. 4 maggio – 9 giugno 2011 n.12685, Giust.
5
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Tale
affermazione
muove
dalla
premessa
che
“è
professionista,
ai
fini
dell’applicazione della disciplina sui contratti del consumatore, la persona che assume
verso l’altra l’impegno di svolgere a suo favore un compito da professionista
intellettuale, se l’impegno è assunto nel quadro di un’attività svolta in modo non
occasionale”15.
La qualifica di consumatore, secondo la Suprema Corte, va invece riconosciuta a chi
“abbia richiesto la prestazione professionale per uno scopo estraneo alla sua attività
imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”.
Anche il legislatore della riforma aveva aderito a tale impostazione nel momento in
cui, nel d.l. 1/2012, aveva previsto la sanzione della nullità di cui all’art. 36 d.lgs.
206/2005 per i contratti individuali tra professionista e consumatori o microimprese, che
avessero richiamato i parametri di cui al D.M. 140/2012.
3.Preventivo e obblighi informativi
Un ulteriore elemento di novità della riforma è rinvenibile nella previsione (dall’art. 9,
comma 4, del d.l. 1/2012) di una serie di obblighi informativi che il professionista è
tenuto ad osservare prima del formale conferimento dell’incarico, in quanto sono
chiaramente diretti a mettere in condizione il cliente di effettuare una scelta consapevole
al riguardo:
-
l’obbligo di comunicare al cliente il grado di complessità dell’incarico, fornendo
tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento
dell’incarico fino al momento della conclusione;
-
l’obbligo di indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati
nell’esercizio dell’attività professionale, nel caso in cui sia stata già attivata una
simile copertura;
-
quello, apparentemente distinto dal primo, di rendere nota la misura del compenso
attraverso un preventivo di massima
Si badi che i primi due obblighi non rivestono carattere di novità.
Civ. 2012, 2, 419, con riguardo invece al rapporto tra avvocato e cliente, sia pure con riferimento alla
applicabilità della deroga convenzionale del foro del consumatore.
15
Cass. ord. 4 maggio – 9 giugno 2011 n.12685 cit.
6
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Il dovere di rendere informazioni circa gli oneri ipotizzabili dal momento del
conferimento dell’incarico fino alla conclusione dello stesso, oltre ad essere stato più
volte affermato in sede giurisprudenziale16, è previsto dall’art. 40 del codice
deontologico forense ed ha assunto rilievo anche civilistico per effetto dell’art. 3 comma
5, lett. d) del d.l. n.138/2011 (c.d. manovra bis), convertito con modificazioni dalla l..14
settembre 2011 n.148.
Il comma e) di quest’ultima disposizione ha invece introdotto, per la prima volta,
l’obbligo di rendere noti gli estremi della polizza assicurativa17.
Riveste invece carattere di assoluta novità, rispetto agli incarichi conferiti a decorrere
dal 24 gennaio del 201218, l’obbligo di rendere noto al cliente un preventivo di spesa.
Il preventivo viene definito, del tutto comprensibilmente, come di massima, poiché il
professionista non è in grado di prevedere, in un momento così anticipato come quello
precedente il conferimento dell’incarico, tutte le attività che dovrà svolgere per
assolverlo. L’entità del suo impegno infatti dipenderà, inevitabilmente, dalle variabili
che si potranno verificare nel corso dell’attività, come ad esempio, per quanto riguarda
il giudizio, quelle dipendenti dalle difese della controparte o dalle determinazioni del
giudice o da eventi processuali sopravvenuti.
La norma, al contempo, chiarisce che il preventivo deve essere specifico, poiché deve
indicare per le singole prestazioni previste tutte le voci di costo, comprensive di spese,
oneri e contributi19.
Per la redazione del progetto di spesa non è necessaria l’osservanza della forma scritta,
nemmeno se richiesta dal cliente20, anche se tale modalità agevolerà l’assolvimento
16
Sul punto si veda in particolare: Cass. civ., sez. II, 30 luglio 2004 n.14597, in Giur. It. 2005, 1401.
L’obbligo menzionato nel testo presuppone necessariamente quello di stipulare apposita polizza contro i
danni da responsabilità civile professionale, che è previsto dalla prima parte dell’art. 3, comma 5, lett. d. del d.l.
ed è in vigore dal 13 agosto 2012, per effetto della legge 14 settembre 2011 n.148. Al fine di comprendere
quest’ultimo passaggio occorre rammentare che la norma sopra citata prevedeva che gli ordinamenti
professionali dovessero essere riformati entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del decreto per recepire
alcuni principi, tra i quali quelli relativi agli obblighi informativi citati nel testo.
18
L’obbligo trova la sua collocazione naturale nella fase precedente la conclusione del contratto cosicchè è
arduo poterlo ipotizzare con riguardo a rapporti già in corso. Sul regime transitorio delle norme contenute sia
nel d.l.1/2012 che nel regolamento 140/2012 si fa rinvio all’ultimo paragrafo dello scritto.
19
Nella relazione al D.M. 140/2012 si osserva sul punto che: “Nella norma in parola (sott. art. 9 comma 4, d.l.
n.1 del 2012) la locuzione “spese” è utilizzata in senso lato all’evidente finalità di indurre a formulazioni
chiare e compiute del preventivo, e non per snaturare il concetto di compenso che, come tale, sul piano logico
prima che giuridico, è da sempre distinto da quelle”.
17
7
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dell’onere per il professionista di aver adempiuto al connesso obbligo informativo,
derivante dall’art. 1, comma 6, del regolamento 140/2012, che stabilisce che:“l’assenza
di prova del preventivo di massima di cui al comma 9, comma 4, costituisce elemento di
valutazione negativa da parte dell’organo giurisdizionale per la liquidazione del
compenso”.
Nonostante l’ampiezza della sua formulazione la norma attiene ad un obbligo che
l’avvocato ha nei confronti del proprio assistito, a prescindere dalla circostanza che il
preventivo sia stato accettato, cosicchè l’inadempimento di esso21 potrà rilevare, se
eccepito, solo nell’ambito del giudizio tra i due sulla liquidazione del compenso e, se
ritenuto grave, potrà comportare anche il rigetto della domanda. Dal raccordo tra la
norma di legge e quella regolamentare si desume poi che la prova che deve offrire il
professionista, è quella di aver portato a conoscenza del cliente il preventivo.
Da questa disposizione traspare in modo evidente l’assoluto rilievo che il legislatore
attribuisce all’informativa sui costi prevedibili dell’attività defensionale.22
A ben vedere pertanto l’obbligo di rendere noto il preventivo risulta strettamente
connesso a quello di rappresentazione del grado di complessità dell’incarico e ciò è
perfettamente comprensibile se si considera che la conoscenza di quest’ultimo aspetto è
funzionale all’esigenza del cliente di valutare non solo l’entità della spesa che dovrà
affrontare ma anche la stessa opportunità di conferire il mandato professionale. E’
chiaro allora che il preventivo, seppure di massima, rappresenta il principale strumento
per dar conto della presumibile attività professionale che dovrà compiersi e per mettere,
quindi, il cliente in condizione di compiere una scelta consapevole nell’affidare
20
In sede di conversione del d.l. 1/2012 è stato eliminato l’inciso dell’art. 9, comma 4, che prevedeva tale
possibilità in caso di richiesta del cliente. La relazione al D.M. 140/2012 (pag. 4) lascia chiaramente intendere
che la prova dell’assolvimento degli obblighi informativi possa essere anche diversa da quella scritta.
21
In dottrina è stato da tempo evidenziato come nel rapporto tra professionista e cliente,ove, a causa dello
squilibrio tra i due contraenti, il ruolo delle trattativa è massimamente sminuito, l’obbligo di informazione
trasmigri dalla sua sede naturale (quella delle trattative) all’ambito contrattuale divenendo oggetto della
prestazione dovuta. (M. Porcari, Obbligo di informazione: monito della Cassazione ad avvocati e notai, nota a
Cass. Civ., sez. III, 8 maggio 1993, in Corriere Giuridico, 1994, p.1274).
22
Il decreto risulta quindi in piena sintonia con gli approdi di una recente e innovativa giurisprudenza di merito
(Trib. di L’Aquila, 2 agosto 2011, emessa nel proc. n. 1104/04 R.g.a.c. inedita) che ha posto in luce come
l’attività informativa, o lato sensu consultiva, del professionista intellettuale rappresenti l’oggetto primario della
prestazione professionale ed, insieme, il presupposto sul quale si fonda la successiva definizione delle ulteriori
attività che formano oggetto del contratto di prestazione d’opera intellettuale. L’affermazione discende dalla
premessa che, si legge nella sentenza in questione, secondo cui il committente nel contratto d’opera intellettuale
è contraente debole “non per ragioni di natura economica o di struttura del mercato ma di ignoranza delle
cognizioni tecniche necessarie per sorvegliare lo svolgimento dell’attività del professionista”.
8
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l’incarico. La conferma di quanto si sta dicendo è rinvenibile nel passo della relazione al
D.M. 140/2012 (pag. 2) in cui si afferma che il preventivo costituisce “sintesi”
dell’assolvimento degli obblighi informativi.
Sulla base di queste premesse il professionista sarà tenuto ad indicare tutte le attività
che, prima del conferimento dell’incarico, risultano prevedibili e utili al raggiungimento
del risultato, sulla base delle informazioni che siano acquisibili attraverso un’apposita
sollecitazione al cliente23, poiché in caso contrario potrà essere ritenuto inadempiente e
vedersi anche negato il diritto al compenso (la formula utilizzata nel regolamento
140/2012 consente sicuramente una simile interpretazione).
Non va dimenticato però come tale obbligo, al pari di quello relativo all’ammontare
delle spese, non è circoscritto alla fase preliminare sopra detta ma permane per tutto il
periodo in cui dura l’incarico, in relazione alle attività, inizialmente non previste né
prevedibili, che si rendessero necessarie per conseguire il risultato avuto di mira dal
cliente.
E’ anche opportuno segnalare che, con specifico riguardo al rapporto tra avvocato e
cliente l’art. 9, comma 4, del d.l.1/2012, non esaurisce la gamma degli obblighi
informativi che gravano sul primo, poiché in essa rientrano tutti quelli che attengono ad
ogni aspetto atto ad influire sulle determinazioni che il secondo può trovarsi ad
assumere al momento del conferimento dell’incarico così come nella gestione della lite
o dell’affare.
In tale prospettiva il professionista forense sarà tenuto, ad esempio, a rendere note al
cliente le conseguenze che comporta la scelta di pattuire un compenso anzichè
rimetterne la determinazione al giudice, quali, soprattutto, il probabile maggiore onere
economico e l’inapplicabilità di una disposizione, che si esaminerà dettagliatamente nel
prosieguo, come l’art. 10 del D.M. 140/2012 che fissa un parametro per i casi di
responsabilità processuale aggravata e di domande inammissibili, improponibili e
improcedibili 24.
23
Sul punto si rammenti la fondamentale pronuncia della Suprema Corte, sez. II, 14 novembre 2002 n.16023, in
Danno e responsabilità, 2003, pp. 256-259 che, con riguardo alla attività stragiudiziale avente ad oggetto la
formulazione di un parere, ha posto a carico del professionista legale doveri di informazione, sollecitazione e di
dissuasione, riconducendoli tutti al dovere di diligenza professionale.
24
A ben vedere può dubitarsi della compatibilità con il disposto dell’art. 1229, secondo comma, c.c. di una
clausola dell’accordo tra avvocato e cliente che riconoscesse al primo il compenso anche nell’ipotesi di
condanna del secondo per responsabilità processuale aggravata, quindi per mala fede o colpa grave, poiché tale
9
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Allo stesso modo il cliente avrà diritto di sapere preventivamente che, in caso di
conciliazione e in difetto di uno specifico accordo, il professionista legale potrà ottenere
una maggiorazione del compenso per l’attività prestata, ai sensi degli artt. 3, ultimo
comma, e 4, penultimo comma, del D.M.140/2012, riguardanti, rispettivamente,
l’ipotesi della conciliazione stragiudiziale e quella della conciliazione giudiziale.
4. Il nuovo sistema dei parametri.
4.1 Premessa.
Il regolamento 140/2012 riprende la struttura del D.M. 8 aprile 2004 n. 127 poiché si
compone di due parti: una prima parte di tipo normativo, contenente disposizioni di
carattere generale, delle quali alcune sono comuni a tutte le professioni regolamentate
(si tratta del capo I, costituito da un unico articolo) mentre altre riguardano
specificamente ognuna delle professioni, che sono dirette a definirne l’ambito di
applicazione e a fissare alcuni criteri guida per l’applicazione dei parametri, Ia seconda
delle specificità di ciascuna di esse e una seconda parte, costituita da allegati (Tabelle A
e B per gli avvocati, Tabelle, A, B, C e D per i notai, tabella C per i commercialisti) che
contengono i c.d. parametri numerici.
4.2 Le disposizioni generali e i parametri generali per l’avvocato.
Al comma 1 dell’art. 1 viene, innanzitutto, ribadito il carattere sussidiario della
liquidazione giudiziale del compenso rispetto all’accordo delle parti e, immediatamente
dopo, si afferma la possibilità di ricorrere all’analogia25 per risolvere i casi non
espressamente menzionati nel regolamento26 .
ipotesi, dando luogo alla riduzione del compenso ai sensi dell’art. 10 D.M. 140/2002, presuppone la
responsabilità del difensore. Sul punto si veda meglio al pf. 5.2.
25
Si noti che già l’art. 16 del D.M. 2 settembre 2010 n.169 (regolamento recante la disciplina degli onorari dei
commercialisti e degli esperti contabili) prevedeva un simile criterio, che ora è stato esteso a tutte le professioni
regolamentate.
26
La relazione illustrativa al D.M. 140/2012 (pag. 2) chiarisce che il criterio analogico opera sia in via interna al
medesimo regolamento (al riguardo viene menzionato il caso di segmenti di attività professionale non
espressamente regolati), sia esternamente, ossia con riferimento a fattispecie non rientranti nel perimetro
oggettivo di applicazione del regolamento stesso (viene citato il caso di nuove competenze che nel corso del
tempo vengano attribuite ai professionisti), purchè ricorrano i presupposti per ricorrere all’analogia. Per alcuni
esempi di analogia interna al regolamento si rimanda alla nota 28.
10
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Il comma 2 chiarisce che nel compenso non sono comprese le spese da rimborsare,
nemmeno quelle concordate in modo forfetario, né gli oneri e i contributi dovuti a
qualsiasi titolo e i costi per gli ausiliari. La conseguenza di tale previsione è che le spese
dovranno essere oggetto di prova, ferma restando, ad avviso di chi scrive, la possibilità
del ricorso alle presunzioni27.
Il comma 3 enuncia il carattere onnicomprensivo del compenso, precisando che in
esso è incluso quello per le attività accessorie alla prestazione professionale.
Il comma 4 indica il criterio da seguire per la liquidazione del compenso nel caso di
incarico collegiale (compenso unico con possibilità di aumento fino al doppio) e in
quello di incarico conferito a società tra professionisti. Il comma 5 individua il
compenso per gli incarichi non conclusi (ipotesi alla quale va ricondotta della rinuncia o
della revoca dell’incarico) e per la prosecuzione di precedenti incarichi (criterio
dell’opera effettivamente svolta). Se si eccettua quella sugli incarichi collegiali le altre
riproducono disposizioni che, in relazione agli avvocati, erano già presenti nel D.M. 8
aprile 2004 n.127.
Nell’ultimo comma dell’art. 1 si afferma il carattere non vincolante delle soglie
indicate per la determinazione del compenso, nelle tabelle allegate al regolamento,
anche a mezzo di percentuale sia nei minimi che nei massimi.
Da tale disposizione si evince, a contrario, che tutte le altre indicazioni contenute nel
regolamento, quali ad esempio quelle che si esamineranno nel paragrafo n.5, hanno
carattere vincolante.
Il capo II del regolamento contiene le disposizioni generali concernenti gli avvocati.
La prima (art. 2) individua le tipologie delle prestazioni professionali suddividendole
nelle due grandi macro-categorie dell’attività stragiudiziale e di quella giudiziale e, con
riguardo a quest’ultima, opera una ulteriore ripartizione nelle due tipologie delle attività
civile, amministrativa e tributaria, unitariamente considerate, e dell’attività penale.
Gli artt. 3, 4, 11, 12 e 14 definiscono i parametri generali utilizzabili per la
determinazione del compenso spettante per le suddette tipologie di attività, chiarendo,
per quanto riguarda le attività giudiziali, che la liquidazione deve avvenire per fasi
processuali distinte, individuate, secondo una ripartizione valida per tutti gli organi
27
Vedi nota 8.
11
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giurisdizionali davanti ai quali venga svolta l’attività (giudice di pace, Tribunale, Corte
di Appello e Corte di Cassazione) in: fase di studio della controversia, fase introduttiva
del procedimento, fase decisoria, fase esecutiva28. Per ciascuna di queste fasi vengono
poi individuate, quali siano le specifiche attività difensive che vi sono ricomprese, a
seconda del tipo di giudizio (civile, penale, amministrativo e tributario) in cui vengono
svolte.
Altre disposizioni regolamentari indicano il criterio di determinazione del valore della
controversia ai fini della liquidazione del compenso (art. 5) nonché quello da seguire per
quantificare il compenso nei procedimenti civili diversi da quello ordinario, ossia nei
procedimenti arbitrali (art.6), nei procedimenti cautelari e speciali o non contenziosi
(art. 7)29, nelle cause di lavoro (art. 8)30 e nelle cause per l’indennizzo da irragionevole
durata del processo (art.9)31.
E’ necessario precisare che i parametri generali per la liquidazione del compenso per
l’attività giudiziale civile, amministrativa e tributaria elencati nell’art. 4 sono: il valore,
la natura, la complessità della controversia, il numero, l’importanza e la complessità
delle questioni trattate, l’eventuale urgenza della prestazione (comma 2) nonché il
pregio dell’opera prestata, i risultati del giudizio e i vantaggi, anche non patrimoniali,
conseguiti dal cliente (comma 3). Si noti che tali criteri erano già presenti nella tariffa
forense abrogata ma quelli dell’urgenza della prestazione e dei risultati del giudizio e
28
A pag. 19 della relazione al D.M. 140/2012 si chiarisce che per i procedimenti di espropriazione presso terzi e
per consegna o rilascio si applicano i parametri previsti per i procedimenti esecutivi mobiliari, con una
riduzione del 10 % del valore medio di liquidazione e che per ogni altra esecuzione, come per quella per
obblighi di fare o di non fare si applicano, analogicamente, a seconda del loro oggetto, le previsioni inerente alle
esecuzioni di natura immobiliare e mobiliare. L’art. 11, ultimo comma, del regolamento stabilisce che per le
procedure concorsuali si applichino i parametri previsti per la fase esecutiva relativa a beni immobili. Tutte
queste previsioni costituiscono esempio di una applicazione analogica espressa.
29
A questa tipologia di controversie sono riconducibili, pur in difetto di espressa menzione, i procedimenti di
convalida di sfratto e di finita locazione, i procedimenti possessori nella fase possessoria, i procedimenti di atp,
quelli di volontaria giurisdizione.
30
A questa categoria paiono potersi ricondurre, in difetto di espressa menzione, e in applicazione del criterio
analogico di cui all’art. 1 comma 1 del regolamento, tutte le cause soggette al rito del lavoro e quindi, a titolo di
esempio, i procedimenti locatizi nella fase successiva a quella di convalida nonché i procedimenti di cui agli
artt. 6-13 del d.lgs.150/2011.
31
La norma prevede che il compenso per tali giudizi possa essere ridotto, cosicché risulta evidente la finalità di
contenimento degli stessi. Sul punto è opportuno segnalare che nella Relazione inaugurale dell’anno giudiziario
2012 del Primo Presidente della Corte di Cassazione, reperibile sul sito della Suprema Corte di Cassazione, si
riferisce che nell’anno 2011 il loro numero è salito a 53.138 (nel 2010 erano 44.101), con un aumento del
20,5%, localizzato soprattutto negli uffici giudiziari del Centro (34.9%) e delle Isole (56.9%), laddove in quelli
settentrionali si è riscontrata una riduzione sensibile (-35.1% negli uffici del NordEst e -3,8% nel Nord-Ovest).
12
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dei vantaggi, anche non patrimoniali, conseguiti dal cliente erano riservati alla
liquidazione a carico del soccombente (art. 5 comma 4 del D.M. 127/2004).
Nell’abbandono di tale distinzione è quindi possibile rinvenire un’altra peculiarità
della nuova disciplina, che si ritrova anche nella enunciazione del parametro generale
utile a determinare il valore della controversia (art. 5 D.M. 140/2012). Anche in questo
caso quello che nella tariffa forense costituiva un criterio generale per la liquidazione
degli onorari a carico del cliente (vale a dire il valore effettivo della controversia anche
in relazione agli interessi perseguiti dalle parti quando risulti manifestamente diverso da
quello presunto a norma del codice di procedura civile o alla legislazione speciale) è
stato esteso alla liquidazione delle spese giudiziali. La scelta, che è chiaramente ispirata
da una esigenza di semplificazione, pare però comportare serie difficoltà applicative.
Infatti l’eventualità che si possano considerare, nell’ambito del giudizio nei confronti
del soccombente, il risultato e i vantaggi anche non patrimoniali realizzati dalla parte
vittoriosa, è estremamente remota, a meno di non attribuire rilevanza, a quei soli fini,
all’eventuale accordo tra la prima e il difensore della stessa32.
4.3 I parametri numerici.
Come si è detto il regolamento stabilisce per tutte le professioni prese in
considerazione dei parametri generali e dei parametri specifici di carattere numerico.
Per l’attività giudiziale degli avvocati questi ultimi sono rapportati ai diversi organi
giurisdizionali davanti ai quali essa si svolga (Giudice di pace, Tribunale ordinario,
Corte di Appello e Suprema Corte di Cassazione), come era già nel D.M. 127/2004, e al
valore della causa, in interrelazione tra loro secondo sei scaglioni (sei, per la precisione,
per il giudizio davanti al Tribunale: il primo per le cause di valore fino ad euro
25.000,00, il secondo per quelle da euro 25.001 ad euro 50.000, il terzo per quelle da
euro 50.001 ad euro 100.000, il quarto per quelle da euro 100.001 ad euro 500.000, il
quinto per le cause di valore da euro 500.001 ad euro 1.500.000, ed il sesto scaglione
per le cause di valore indeterminato o indeterminabile33.
32
Si veda quanto osservato sul punto al pf. 2.
La Suprema Corte (Cass. Civ. sez. II, 15 febbraio 2007 n.3372, Giust. Civ. Mass. 2007, 2) ha avuto occasione di
distinguere l’ipotesi della domanda di valore indeterminabile, che è quello che non può essere determinato, da
33
13
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La tabella A del regolamento individua poi, per ciascuno scaglione di riferimento, e
per ciascuna fase giudiziale, dei valori medi di liquidazione e delle forbici percentuali di
aumento e di riduzione operanti sui primi.
Nella relazione ministeriale vengono chiariti i seguenti passaggi:
-
con l’abrogazione delle tariffe è stata definitivamente superata la distinzione tra
diritti e onorari;
-
il termine compenso, che evidentemente è stato mutuato dall’art. 2233. primo
comma c.c., esprime una nozione unitaria (valida peraltro per tutte le professioni
regolamentate), in ossequio a quelle finalità di semplificazione e di maggiore
informazione che la riforma mira a realizzare;
-
per la individuazione dei valori medi di liquidazione è stato assunto a riferimento
principalmente il precedente onorario ma si è tenuto conto anche dei valori di
costo riferiti ai precedenti diritti 34.
La relazione al D.M. 140/2012 (pag. 6) illustra nei seguenti termini anche
l’interrelazione esistente tra le due categorie di parametri: “Per un verso i parametri
numerici…orientano i parametri generali traducendosi in segnalazione del grado di
complessità della prestazione, e, non trattandosi di tariffari, sono aggiornabili
giudizialmente nel tempo, tipicamente secondo gli indici Istat rilevanti. Per altro verso i
parametri generali, che segnano il connotato specifico della liquidazione non tariffaria,
possono sempre prevalere sul risultato della determinazione del parametro numerico
appunto non vincolante.”
Proprio questo meccanismo, insieme all’eliminazione dei minimi e massimi,
costituiscono lo strumento per adeguare la liquidazione alle particolarità del caso
concreto.
4.4 I parametri per l’attività stragiudiziale.
quella di valore indeterminato, che è quella che andava accertata in corso di istruttoria. Il D.M. 140/2012 ha
invece parificato le due ipotesi, con evidente finalità di semplificazione.
34
Nella relazione al D.M. 140/2012 si chiarisce che agli importi assunti a riferimento per congegnare il valore
medio di liquidazione è stato applicato l’adeguamento Istat, seppure non in misura integrale (per la precisione
l’adeguamento è stato del 24,1 % a fronte di un indice Istat rilevabile per il periodo aprile 2009- aprile 2012,
componente professioni liberali, del 29,3 %).
14
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Alcune considerazioni a parte merita la scarna disciplina che il regolamento dedica
all’attività stragiudiziale35.
Essa si riduce, invero, all’indicazione di parametri generali che, a ben vedere,
corrispondono a quelli contemplati per l’attività giudiziale (valore e natura dell’affare,
numero e importanza delle questioni trattate, pregio dell’opera prestata, risultati e
vantaggi anche non economici conseguiti dal cliente, urgenza della prestazione), con
l’unica differenza che tra di essi non vi è quello della complessità (della controversia).
Palese risulta quindi la differenza rispetto al D.M. 8 aprile 2004 n.127 che a tale
tipologia di attività dedicava un apposito allegato (il D), nel quale erano elencate le
specifiche diverse prestazioni che vi potevano rientrare36.
A fronte di una simile, ampia, previsione è evidente come nella categoria della attività
stragiudiziale rientrino tutte quelle che prima erano menzionate nella tariffa forense e
quindi anche quella di arbitro, nei diversi ruoli in cui può essere svolta37.
Nemmeno per il compenso orario38 il regolamento ha inteso fornire indicazioni
numeriche ma ha richiamato, al fine di determinarne l’ammontare, la nozione, non
chiaramente individuabile, di mercato (è dubbio, in particolare, se con essa si sia inteso
far riferimento agli usi). Quest’ultima scelta è stata giustificata nella relazione
ministeriale con la volontà di non fissare “nessun parametro a vacazione eccessivamente
rigido rispetto alla complessa varietà dell’attività stragiudiziale strettamente connessa
alle dinamiche di mercato”. E’ chiaro, quindi, come nel nuovo sistema sia rimessa alla
volontà delle parti la definizione di ogni aspetto riguardante l’attività stragiudiziale, da
quello della individuazione delle attività che vi rientrano a quello della determinazione
del corrispettivo per esse.
Ad una simile impostazione possono muoversi alcuni rilievi critici.
35
In questa categoria è riconducibile l’attività di assistenza prestata nella fase di mediazione di cui al d. lgs.
28/2010.
36
La tabella D del tariffa forense ora abrogata elencava le seguenti attività: prestazioni di consulenza, prestazioni
di assistenza, assistenza ad assemblee, adunanze consigli, assistenza in procedure concorsuali stragiudiziali e
giudiziali, assistenza in procedure arbitrali irritali, prestazioni di gestione amministrativa in adempimento di
incarichi giudiziari, ispezioni, visure e gli onorari spettanti in base ad esse attività di arbitro a sua vola suddivisa
in attività di arbitro unico, di componente del collegio e di presidente del collegio
37
Si noti che anche il regolamento recante la disciplina dei compensi spettanti ai commercialisti (D.M. 2
settembre 2010 n.69), all’art. 39, prevedeva compensi diversi a seconda che il professionista ricoprisse l’incarico
di arbitro unico, di componente di un collegio arbitrale o di presidente dello stesso.
38
Il punto 10 dell’allegato D del regolamento 127/2004 (tariffa forense) prevedeva invece che le parti potessero
convenire un compenso, sostitutivo di quello previsto dalla tariffa medesima, commisurato alla durata della
prestazione e delle attività accessorie e comunque non inferiore ad euro 65,00 all’ora.
15
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Innanzitutto l’indicazione di parametri numerici, tanto più se non vincolanti, non
avrebbe impedito ma avrebbe, anzi, con tutta probabilità, favorito la prospettiva di una
definizione in via convenzionale dei succitati profili poiché avrebbe posto soprattutto il
cliente in condizioni di apprezzare quale sarebbe stata l’alternativa se non avesse
accettato quanto eventualmente proposto dal professionista forense.
Con specifico riferimento all’attività di arbitro è poi opportuno considerare che
potranno essere frequenti i casi in cui non si realizzerà l’accordo tra le parti sull’entità
del compenso, stante la tuttora vigente previsione di cui all’art. 814, comma 2, c.p.c.. In
tali ipotesi si dovrà ricorrere alla liquidazione del Presidente del Tribunale competente,
il quale non disporrà, però, di criteri oggettivi sui quali basarsi a tale fine
A prescindere da tali considerazioni, nulla impedisce alle parti, pur a fronte della
nuova disciplina, di convenire compensi calcolati sulla base delle tipologie di attività e
degli importi, ivi compresi quelli relativi al compenso orario, di cui al D.M. 127/2004,
anche rivalutati rispetto a quegli importi.
In difetto di accordo invece potrà ammettersi, ai fini della liquidazione giudiziale del
compenso per l’attività stragiudiziale, il ricorso, in applicazione del criterio analogico
fissato dall’art. 1 del D.M. 140/2012, ai parametri numerici previsti per la fase di studio
dell’attività giudiziale, quanto meno nel caso in cui la consulenza fornita dall’avvocato
sia funzionale alla valutazione sulla opportunità o sulla convenienza dell’avvio di un
giudizio o dell’assunzione della difesa in esso. Potrà procedersi analogamente nel caso
di tratti di stabilire il compenso per l’assistenza prestata dal professionista nel corso di
una mediazione obbligatoria.
5. I parametri fondati sulle condotte e le scelte difensive.
5.1 Premessa.
Nel regolamento 140/2012 sono presenti anche alcune norme che stabiliscono criteri
di determinazione del compenso, derogativi di quelli fissati dalle disposizioni esaminate
nel paragrafo precedente e, a differenza di questi, vincolanti per il giudice, che sono
specifici per l’attività del professionista legale e che sono correlati alle scelte e alle
condotte, anche processuali, che egli abbia assunto nello svolgimento dell’incarico.
Al paragrafo 3 si è già detto della disposizione (art. 1 comma 6 del D.M. 140/2012)
che attribuisce rilievo negativo, ai fini della liquidazione giudiziale del compenso,
16
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nell’ambito della controversia tra avvocato e proprio cliente, all’assenza di prova (di
comunicazione) del preventivo di massima.
5.2 Responsabilità processuale aggravata e domande inammissibili, improponibili
o improcedibili.
Ai medesimi fini, e con riguardo allo stesso ambito (controversia tra avvocato e
cliente), contemplato dalla norma appena richiamata, l’art. 10 del D.M. 140/2012
prevede la riduzione, di regola nella misura del 50 %, del compenso spettante
all’avvocato39, rispetto a quello liquidabile nei casi ordinari, nel caso di responsabilità
processuale aggravata ovvero, comunque, nei casi di inammissibilità o improponibilità o
improcedibilità della domanda.
In quest’ultima parte del testo normativo il legislatore ha chiaramente dimostrato di
considerare le pronunce in rito menzionate, necessariamente una volta che siano
divenute definitive, di per sé indicative di negligenza del difensore. Nella relazione
illustrativa al D.M. (pag.11), si riconosce ciò e si afferma che l’unica ipotesi che può
sottrarsi alla succitata presunzione è quella della pronuncia che sia conseguenza di un
overruling processuale, giacchè in quel caso la parte viene rimessa in termini40.
Una simile impostazione pare eccessivamente severa41, sia nella scelta di equiparare,
ai fini della riduzione del compenso, i casi delle pronunce in rito alla condanna per lite
temeraria, nonostante i primi, a differenza della seconda, non presuppongano
necessariamente condotte processuali connotate da mala fede o colpa grave42 (si pensi ai
casi in cui sulla questione che ha portato alla pronuncia in rito esista un contrasto
giurisprudenziale), sia per l’automaticità dell’effetto sanzionatorio che la norma
39
La riduzione sanzionatoria, che potrà essere anche superiore alla soglia indicata dalla norma, andrà applicata
sull’entità del compenso come determinata secondo i parametri ordinari e quindi una volta applicate le
percentuali di aumento e riduzione fissate nella tabella A- Avvocati.
40
Secondo l’impostazione del regolamento quindi anche le pronunce di inammissibilità del ricorso per
Cassazione ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., introdotto dalla L.69/2009, comporteranno la riduzione del
compenso, salvo diverso accordo tra le parti.
41
Per una critica all’intero testo della norma: V. Amendolagine, Osservazioni a prima lettura sul regolamento
ministeriale per la determinazione dei parametri di liquidazione giurisdizionale dei compensi per gli avvocati,
www.judicium.it, pp. 13-14.
42
Per questo motivo, a differenza dell’ipotesi della responsabilità processuale aggravata, si può ritenere
legittima una clausola di un eventuale accordo tra avvocato e cliente che esonerasse da responsabilità il primo
nel caso in cui la domanda del secondo venisse dichiarata inammissibile o improcedibile, per ragioni non
dipendenti da negligenza grave del professionista.
17
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riconduce alle sentenze considerate (l’utilizzo del tempo indicativo presente induce a
ritenere che il giudice non abbia margini di discrezionalità al riguardo).
La prima parte dell’art. 10 del D.M. 140/2012 si pone invece nella stessa prospettiva
di disincentivazione delle difese temerarie, che ha trovato espressione in un primo
momento, limitatamente al gratuito patrocinio, nell’art. 136 del D.P.R. 30 maggio 2002
n.11543 e, assai più recentemente, in una prospettiva più ampia, nell’aggiunta all’art. 96
c.p.c. di un terzo comma ad opera della L.69/2009. A differenza di quest’ultima
disposizione, però, quella del regolamento 140/2012 mira a sanzionare economicamente
non già la parte che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave ma il
difensore di essa, sul presupposto, difficilmente contestabile, che le condotte e le scelte
processuali sono dettate, o quantomeno condivise, dal professionista44 (l’art.136 D.P.R.
115/2002 invece sanziona sia la parte che il difensore).
Sul punto è opportuno rammentare che, proprio sulla base di questa premessa, alcuni
giudici di merito45 erano giunti, in passato, a condannare il difensore, che avesse tenuto
condotte contrastanti con il dovere di lealtà e probità, in solido con il cliente, alla
rifusione delle spese in favore della controparte, tramite una interpretazione estensiva
dell’art. 94 c.p.c. Questa conclusione non ha però trovato l’avallo della Suprema Corte,
che ha limitato l’ambito di applicazione della norma all’attività svolta in assenza di
procura46.
Se si tiene conto di questo profilo è evidente come questa parte dell’intervento
regolamentare finisca per colmare una lacuna normativa e come tale è senz’altro
apprezzabile.
Tornando all’esame della norma, va chiarito che il giudice chiamato a liquidare il
compenso del professionista opererà la riduzione (la norma non pare lasciare ambiti di
discrezionalità) se la circostanza della condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c. sarà stata
allegata e comprovata dal cliente mediante la produzione della decisione che la
43
L’ 136 D.P.R. 115/2002 prevede la revoca, da parte del giudice, dell’ammissione al patrocinio
provvisoriamente disposta dal consiglio dell’ordine degli avvocati, se l’interessato ha agito o resistito in
giudizio con mala fede o colpa grave.
44
Nella relazione, la ratio dell’intero l’art. 10, viene indicata nell’”esercizio professionalmente inappropriato
dei diritti processuali”.
45
Trib. Reggio Emilia, 4 giugno 2007 in www.ilcaso.it; Trib. Cagliari 11 luglio 2009 n.2247, in La Previdenza
Forense, 2008, p.318
46
Cass., Sezioni Unite, 10 maggio 2006 n. 10706, Foro It., 2006, 11, 3099. .
18
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contenga.47 Deve infatti ritenersi che l’unico giudice che può verificare la sussistenza
delle condizioni di una lite temeraria sia lo stesso davanti al quale essa si è svolta, in
conformità a quanto ha ripetutamente affermato la Suprema Corte48.
5.3 Abuso del processo.
Ancora va segnalata la disposizione che, con riferimento all’attività giudiziale civile,
amministrativa e tributaria (si tratta dell’art. 4, ultimo comma, ma identica previsione è
rinvenibile nell’art. 12, penultimo comma, dedicato alla attività giudiziale penale),
stabilisce che: “costituisce elemento di valutazione negativa in sede di liquidazione
giudiziale del compenso l’adozione di condotte abusive tali da ostacolare la definizione
dei procedimenti in tempi ragionevoli
Anche in questa ipotesi, come per quelle contemplate dall’art. 10, il presupposto
implicito del parametro è che la responsabilità del comportamento descritto sia
ascrivibile all’avvocato (si badi che la norma richiede non già che la condotta abusiva
abbia effettivamente rallentato il processo ma che sia stata idonea a produrre tale
risultato).
Sotto il profilo sistematico la norma trova precedenti nella legislazione dei paesi di
common law, nei quali il divieto di abuso del processo è criterio ispiratore della gestione
da parte dei difensori della lite giudiziaria. In quei sistemi infatti nessun atto processuale
deve mai essere strumentale ad “any improper purpose, such as to harass or to cause
unnecessary delay or needless increase in the cost of litigation” (rule 11 B) 1 delle
Federal Rules of Civil procedure).
Nel nostro ordinamento mancava fino ad oggi un istituto ad ampio spettro che
sanzionasse le condotte processuali meramente dilatorie, a prescindere dalla
soccombenza, sebbene in dottrina ne fosse stata lamentata la mancanza49 e qualche voce
autorevole avesse anche rappresentato la necessità che esso coinvolgesse l’avvocato50.
47
E’ da ritenere che la pronuncia ex art. 96 c.p.c. rilevante ai sensi dell’art. 10 D.M. 140/2012 debba essere
passata in giudicato poiché l’accertamento in essa contenuto influisce su quello dell’entità del compenso.
48
Cfr. Cass., sez. III, 4 giugno 2007 n.12952, Giust. Civ. Mass. 2007, 6; Cass. Sez. Unite 19 maggio 2008
n.12637, Giust. Civ. Mass. 2008, 5, 756.
49
L. P. Comoglio, Abuso del processo e garanzie costituzionali, in Riv. dir. proc., 2008, 336.
50
Sul punto merita di essere segnalato un passo, tratto dal paragrafo (il n.7) dedicato all’abuso del processo,
della Relazione inaugurale dell’anno giudiziario 2012, cit.: “Auspichiamo quindi un intervento normativo che
stabilisca che, a prescindere dall’esito della procedura, qualora il giudice accerti che il rappresentante del
pubblico ministero o il patrocinatore della parte privata abbia abusato del processo, gli atti vadano
19
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E’ evidente allora che la disposizione in esame integra l’art. 92, primo comma,
secondo parte, c.p.c. trovando la propria matrice nel più generale dovere di lealtà.
Se è agevole individuare l’ambito soggettivo di applicazione della norma (è evidente
come essa consenta di valutare il contegno del difensore di qualsiasi parte del giudizio)
non può dirsi altrettanto per il suo ambito oggettivo. Sotto il profilo strettamente
letterale la disposizione pare assumere rilievo sia ai fini della liquidazione del compenso
a carico del cliente sia in quella a carico del soccombente. Sotto il profilo sistematico
poi una simile lettura risulta più conforme ad una delle finalità dell’intero regolamento,
che trova espressione anche nel già esaminato art. 10, di massima responsabilizzazione
del difensore. E’ chiaro infatti che, in base ad essa, l’avvocato che tenesse la condotta
abusiva sarebbe esposto al rischio della riduzione del proprio compenso, sia nel caso in
cui agisse nei confronti del proprio assistito, per ottenere la liquidazione di esso, sia nel
caso di quantificazione delle spese ai sensi dell’art. 91 c.p.c.
Vi sono però una serie di considerazioni che inducono a limitare l’applicazione della
norma alla seconda delle due ipotesi sopra dette. La prima, di ordine funzionale, è che,
in questo modo, la valutazione della condotta processuale viene rimessa al giudice che
si trova nelle condizioni migliori per compierla, ossia quello davanti al quale si è svolto
il giudizio, analogamente a quanto accade nell’ipotesi, già vista, della responsabilità
processuale aggravata (art. 10, prima parte del D.M. 140/2012). In più, seguendo questa
tesi, il giudice sarebbe chiamato a compiere tale accertamento d’ufficio, riguardando
esso la funzionalità del processo, e non a seguito di eccezione della parte-cliente del
difensore.
Infine la soluzione qui proposta consente di tener conto dell’eventuale accertamento
dell’abuso nel caso in cui la parte vittoriosa che, nel rapporto con il proprio difensore
avesse beneficiato della riduzione ex art. 4, penultimo comma D. M. 140/2012,
promuovesse un giudizio diretto ad ottenere l’indennizzo da irragionevole durata del
processo.
obbligatoriamente trasmessi ai rispettivi organi dell’azione disciplinare; e, inoltre, che il patrocinatore della
parte privata sia condannato, con la sentenza che chiude la fase del processo, ad una speciale e personale
sanzione pecuniaria, da fissare in termini economici di adeguata severità, al fine di assicurarne un’effettiva
efficacia deterrente”.
20
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In questo caso infatti dovrebbe essere necessariamente valutata la incidenza causale
della condotta difensiva tenuta, ed accertata, nel giudizio a quo sulla durata dello
stesso51.
L’indicazione che allora si può trarre dalla lettura combinata dell’art. 10 e dell’art. 4,
ultimo comma, del D.M. 140/2012 è che il consenso del cliente può esonerare da
responsabilità il professionista solo nell’ipotesi contemplata dalla seconda di tali norme.
Sia consentita una ulteriore notazione sul punto. A ben vedere il coordinamento tra le
norme fin qui esaminate e quella che include tra i criteri generali utilizzabili per
determinare il compenso da riconoscere al professionista il risultato del giudizio (si
tratta dell’art. 4 comma 3) induce ad escludere che possa essere considerato a questo
fine il giudizio conclusosi con una condanna del cliente per lite temeraria. In altri
termini, secondo l’impostazione del regolamento 140/2012, in questo caso il difensore
non potrà giustificare la richiesta di compenso integrale nei confronti del proprio
assistito sostenendo che l’attività prestata è stata comunque vantaggiosa per esso sotto
altri profili 52.
Mi pare che questa interpretazione sia anche pienamente in linea con il modello di
difensore che delinea lo stesso codice deontologico forense laddove, all’art. 6, prevede
che:“L’avvocato non deve proporre azioni o assumere iniziative in giudizio con mala
fede o colpa grave” e, all’art. 36, prescrive che l’adempimento del mandato debba
avvenire nell’osservanza delle norme di legge e deontologiche.
5.4 L’attività conciliativa.
Vi sono norme regolamentari che hanno la medesima finalità deflativa di quelle
esaminate nel paragrafo precedente ma, a differenza di esse, un contenuto premiale per
il difensore. Ci si riferisce agli artt. art. 3, ultimo comma, e 5, penultimo comma, del
D.M.140/2012 che prevedono un aumento percentuale del compenso nel caso di
51
Sovviene sul punto l’orientamento della Suprema Corte secondo cui il diritto ad ottenere l’indennizzo da
irragionevole durata del processo va escluso se la parte abbia promosso una lite temeraria o abbia resistito al
solo fine di far sì che si realizzasse la fattispecie della violazione del termine di durata ragionevole del processo.
(Cass. sez. VI, 9 gennaio 2012 n.35, Giust Civ., 2012, 2, 316, con riguardo alla parte soccombente nel giudizio
ritenuto temerario).
52
Si pensi, a titolo esemplificativo, ai casi di azioni finalizzate esclusivamente a ritardare la concessione della
provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo o l’esecuzione forzata o ancora ad azioni di accertamento
negativo dirette a paralizzare domande di condanna al pagamento di somme, che si concludano con un rigetto e
una condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c.
21
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sopravvenuta conciliazione53 e la cui fonte di ispirazione è agevolmente individuabile
nell’ordinamento tedesco, ed in particolare nel Rechtsanwaltsvergungestz (codice delle
tariffe forensi) e nel Bundesrechtssanwaltsgebiihrenordnung (legge federale sugli
onorari degli avvocati).
Dalle disposizioni in esame discendono ulteriori obblighi comportamentali a carico del
difensore. Si è già detto infatti come, a fronte di una possibilità di conciliazione, egli
debba sicuramente informare il proprio assistito delle conseguenze sia economiche che
di altro tipo di essa. La disposizione presenta poi risvolti deontologici di non poco
momento, soprattutto rispetto al dovere di indipendenza di cui all’art. 10 del codice
deontologico forense. L’avvocato infatti si troverà, d’ora innanzi, nella non invidiabile
condizione di dover valutare la convenienza per il proprio assistito della soluzione
conciliativa, evitando di farsi condizionare, in tale analisi, dalla prospettiva del
vantaggio personale che essa potrebbe arrecargli.
6. La bi-direzionalità limitata della liquidazione ai sensi dell’art. 91 c.p.c.
Alcuni passaggi del regolamento 140/2012 possono indurre a ritenere che la
liquidazione ai sensi dell’art. 91 c.p.c. vincoli anche le pretese del legale della parte
vittoriosa nei confronti del proprio cliente, nel caso in cui manchi o sia invalido
l’accordo sul compenso, così da assumere efficacia bi - direzionale (nei confronti del
soccombente e nei confronti del cliente).
Depongono in tale senso sia la scelta di uniformare i criteri generali utilizzabili per la
liquidazione ex art. 91 c.p.c. e per quella a carico del cliente sia quella, espressa
nell’art.10 del D.M. 140/2012, di attribuire rilievo, ai fini della determinazione del
compenso spettante all’avvocato, alle condotte che lo stesso abbia tenuto nel giudizio
nei confronti della controparte del suo cliente.
E’ indubbio poi che questa lettura risulti anche coerente con la finalità primaria
dell’intera riforma di favorire in sommo grado la determinazione in via convenzionale
del compenso, esponendo le parti che non abbiano raggiunto un accordo sul punto al
“rischio” della liquidazione giudiziale.
53
V. Amendolagine, Osservazioni a prima lettura… , cit. p. 8, osserva, giustamente, come tale norma
individuando come risultato positivo per il cliente il raggiungimento della conciliazione e correlando ad essa
l’aumento del compenso, configuri l’obbligazione del professionista come di risultato e non più di mezzi
secondo la tradizionale ripartizione che aveva peraltro una funzione meramente descrittiva.
22
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Non pare invece altrettanto significativa nel senso qui prospettato la mancata
riproposizione nel D.M. 140/2012, di una norma come l’art. 2 del D.M. 8 aprile 2004
n.127 che prevedeva che gli onorari e i diritti fossero dovuti dal cliente
“indipendentemente dalle statuizione del giudice sulle spese giudiziali”. Tale evenienza
può infatti spiegarsi semplicemente come una conseguenza
dell’abrogazione della
tariffa forense.
Vi sono però due argomenti, uno di carattere applicativo e l’altro di carattere
normativo, che non consentono di accogliere la conclusione sopra proposta in termini
assoluti.
Sotto il primo profilo si è già detto54 della estrema difficoltà di applicare alla
liquidazione ai sensi dell’art. 91 c.p.c. i criteri generali che nella tariffa forense erano
stati esclusivamente contemplati per la liquidazione nei confronti del cliente .
Un ulteriore ostacolo alla tesi qui in esame è poi rinvenibile nel disposto dell’at. 61,
comma 2, della legge professionale (Regio Decreto Legge 27 novembre 1933 n.1578)
che tuttora prevede che l’onorario, “in relazione alla specialità della controversia o al
pregio o al risultato dell'opera prestata”, possa essere “anche maggiore di quello
liquidato a carico della parte condannata nelle spese”.
Tale norma non può ritenersi abrogata, nemmeno tacitamente, ai sensi dell’art. 15
disp. prel. c.c., per effetto dell’abrogazione del sistema tariffario, poichè il profilo da
essa disciplinato non risulta essere stato considerato, neppure indirettamente, da nessuna
delle disposizioni della legge di conversione del d.l. 1/2012. D’altro canto l’effetto
abrogativo non può ricondursi nemmeno al venire meno della nozione di onorario,
utilizzata dall’art..61 R.D.L.1578/1933, poiché essa può ritenersi sostituita da quella di
compenso.
Proprio valorizzando il fatto che la norma ha un ambito di applicazione più ristretto di
quello dell’art. 2 del D.m. 127/2004, poiché considera il risultato del giudizio tra gli
elementi che consentono al professionista di ottenere una somma superiore a quella
liquidata nei confronti del soccombente, è possibile affermare che essa funga da limite
all’estensione degli effetti della liquidazione ai sensi dell’art. 91 c.p.c. anche al rapporto
tra l’avvocato e il proprio cliente, vittorioso nel giudizio.
54
Si veda quanto osservato al riguardo al pf. 4.2.
23
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Così potrà trovare applicazione innanzitutto nell’ipotesi di compensazione parziale
delle spese, alla quale il giudice può pervenire sulla base di valutazioni che nulla hanno
a che vedere con il rapporto tra la parte vittoriosa e il difensore di essa. Ad essa possono
poi aggiungersi l’ipotesi in cui per l’avvocato non sia possibile dimostrare il risultato
conseguito in favore del cliente nel corso del giudizio nei confronti del soccombente,
per i limiti gnoseologici propri di esso, o ancora quella del compenso per attività
difensive strettamente inerenti il giudizio in cui vi sia stata la condanna alle spese ma
compiute successivamente ad essa.
7. Il regime transitorio.
7.1 Premessa
Come si è visto nei precedenti paragrafi l’art.9 del d.l.n.1/12 e il regolamento
140/2012 contengono sia norme di diritto sostanziale (quelle che regolano il rapporto
cliente-avvocato) sia norme di diritto processuale (quelle che indirizzano la condanna ex
art. 91 c.p.c.).
L’art.9 del d.l. 1/2012 non contiene norme di diritto transitorio, se non la proroga
dell’applicazione delle tariffe fino al 24 luglio 2012 “limitatamente alle liquidazioni
giudiziali”, mentre l’art.41 del D.M. n. 140/12 prevede la propria applicabilità alle
“liquidazioni” successive al 23 agosto.
Si noti come quest’ultima disposizione si riferisca all’applicazione, ai sensi dell’art. 91
c.p.c., dei parametri55, ma riguardi, in mancanza o in caso di invalidità dell’accordo sul
compenso, anche il rapporto tra cliente ed avvocato.
A fronte di tale quadro normativo non si può fare a meno di notare che sarebbe stato
sicuramente più opportuno che il legislatore fornisse una precisa indicazione sul punto,
al fine di evitare le incertezze interpretative che si sono subito palesate.
7.2 Il regime transitorio delle norme di diritto sostanziale.
55
La conclusione indicata nel testo discende dalla considerazione che il terzo comma dell’art. 9 d.l.1/2012, aveva
prorogato la vigenza delle tariffe, limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali, fino alla data di entrata in
vigore dei decreti ministeriali di cui al comma 2, e comunque non oltre il centoventesimo giorno dalla data di
entrata in vigore della legge di conversione del decreto
24
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Occorre esaminare partitamente il regime transitorio delle norme di diritto sostanziale e
quello delle norme di diritto processuale contenute nel d.l.1/2012 e nel D.M. 140/2012.
Iniziando a considerare il primo si tratta di stabilire se il nuovo regime sia utilizzabile
per determinare il compenso spettante al professionista legale rispetto agli incarichi
conferiti a decorrere dal 25 gennaio 2012 o anche per quelli ancora in fase di esecuzione
a quella data.
E’ opportuno precisare che tale indagine va compiuta in virtù del criterio interpretativo
di cui all’art. 11 disp. prel., che impone di valutare se la norma nella sua interpretazione
retroattiva abbia una ragionevole giustificazione e non incontri limiti in particolari norme
costituzionali.
Non si può invece tener conto, ai fini della predetta indagine, del principio
giurisprudenziale che regolava la fattispecie della successione di tariffe professionali
forensi56. Il nuovo sistema di determinazione del compenso dell’avvocato infatti, non è
una naturale evoluzione del precedente ma, oltre a seguire alla sua espressa abrogazione,
muove da presupposti e criteri completamente diversi, primo tra tutti quello della
possibilità di maggiorazioni e riduzioni del compenso.
Ciò detto pare a chi scrive che le nuove disposizioni, anche quelle in tema di
liquidazione giudiziale del compenso, non possono che riferirsi ai rapporti di mandato
sorti successivamente al 25 gennaio 2012, data di entrata in vigore del d.l. 1/2012,
analogamente a quanto accaduto con l’art.2, comma 2 bis, del d.l. 223/2006, che ha
introdotto l’obbligo della forma scritta per l’accordo sul compenso dell’avvocato.
Depone a favore di tale conclusione innanzitutto la scelta di fondo, compiuta con la
riforma, di ridurre a due (accordo o, in caso di mancanza o di invalidità di esso,
liquidazione giudiziale), rispetto ai quattro originariamente previsti dall’art. 2233, primo
comma, c.c., i criteri di determinazione del compenso del professionista.
A ciò si aggiunga che l’art. 9, comma 4, del D.M. 140/2012 ha posto a carico del
professionista alcuni specifici obblighi informativi, primo fra tutti quello di rendere noto
al cliente il preventivo di massima, che, come si è detto, sono ipotizzabili solo nella fase
precedente la conclusione del contratto e non certo rispetto a rapporti iniziati da tempo e
tantomeno rispetto a quelli esauriti.
56
Tra le altre si vedano: Cass., 11 marzo 2005, n. 5426, Giust. Civ. Mass., 2005, 4; Cass., 30 ottobre, 1996 n.
9514, Foro It., 1997, 1, 2179.
25
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Ancora l’applicazione dei parametri ad accordi raggiunti prima del 25 gennaio 2012, e
che proseguano dopo tale data, è irragionevole se si considera che: tali contratti sono
stati etero integrati nel momento genetico, quantomeno con riguardo ai diritti57, e il
diritto al pagamento del corrispettivo dell’avvocato è sorto al momento della
stipulazione del contratto, sebbene diventi liquido ed esigibile al termine dell’incarico.
Questo diritto verrebbe pregiudicato dal nuovo sistema senza che sia ravvisabile
nessuna ragione idonea a giustificare l’applicazione retroattiva dello stesso.
Le medesime considerazioni valgono, a fortiori, per gli incarichi professionali che
fossero stati interamente eseguiti prima dell’entrata in vigore del d.l.1/2012.
7.3 …e quello delle norme di diritto processuale. Le diverse soluzioni
prospettabili: applicabilità immediata; la regola tempus regit actum; la regola
tempus regit processum.
L’ulteriore questione che si pone è quella dell’applicabilità dei nuovi parametri ai
processi pendenti alla data del 23 agosto 2012 e anch’essa va esaminata tenendo conto
del criterio interpretativo di cui all’art. 11 disp. prel58.
La prima opzione interpretativa possibile59 è quella che, muovendo dal riferimento al
momento della liquidazione presente nell’art. 41 del D.M. 140/2012, giunge ad
affermare l’utilizzabilità dei nuovi criteri, ai fini della determinazione del compenso da
porre a carico del soccombente, per tutte le attività difensive che siano condotte a
termine dopo l’entrata in vigore del regolamento medesimo, con la precisazione che il
momento ultimo da considerare a tali fini è quello dell’esaurimento della fase in cui si è
svolta l’attività.
57
Secondo la Suprema Corte le tariffe professionali svolgevano un diverso ruolo a seconda che si trattasse di
tariffe fisse (es, tariffe dei diritti degli avvocati nei giudizi civili ed in genere tutte le tariffe ai cui si riferisce
l'art.636 comma primo ult.parte c.c.), le quali integravano direttamente il contratto, ovvero di tariffe con
determinazione solo del massimo e del minimo (es. tariffe degli onorari degli avvocati nel settore civile e
compensi in genere nel settore penale), che, in difetto di accordo delle parti, avevano solo la funzione di dettare i
limiti dell'autonomia privata nella determinazione del compenso, oltre a costituire un criterio per la
determinazione del compenso da parte del giudice, lasciando comunque a questi un margine di discrezionalità
nell'ambito del limite minimo e massimo (Cass. n., 11 marzo 2005, n. 5426, e Cass., 30 ottobre, 1996 n. 9514,
cit.).
58
Sul punto R. Caponi, Tempus regit processum, Un appunto sull’efficacia delle norme processuali nel tempo,
Riv. Dir. Proc., 2006, p.449.
59
Hanno optato per tale soluzione il Tribunale di Termini Imerese con una sentenza del 17 settembre 2012 e il
Tribunale di Varese, con un decreto sempre del 17 settembre 2012, entrambi in www.ilcaso.it.
26
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La tesi si espone però ad una prima obiezione secondo la quale il dato letterale della
norma in esame non depone univocamente nel senso predetto. Essa, infatti, si limita ad
individuare il momento a partire dal quale vanno utilizzati i nuovi criteri ma non precisa
quali siano le attività alle quali applicarli, ed in particolare se si tratti di attività difensive
precedenti o successive al menzionato momento della liquidazione.
Ancora non può sottacersi come l’interpretazione sopra citata non paia idonea a
superare il vaglio di ragionevolezza di cui si è detto, ponendosi in contrasto con il
parametro dell’art. 3 Cost. Essa darebbe luogo infatti ad una applicazione retroattiva
della nuova disciplina che è irragionevole perché inciderebbe sulle aspettative maturate
da avvocati e parti del giudizio prima della instaurazione della causa, e in molti casi
anche diversi anni prima dell’entrata in vigore della riforma, senza una adeguata
giustificazione60.
Per cogliere appieno tale profilo occorre considerare che, avuto riguardo, in
particolare, all’entità dei valori medi di liquidazione, al più restrittivo regime in tema di
prova delle spese e alla presenza di una norma sanzionatoria come l’art. 4, ultimo
comma (disposizione che si riferisce alle liquidazioni ai sensi dell’art. 91 c.p.c. e che
riguarda i difensori di entrambe le parti), previsti dal D.M. 140/2012, il nuovo sistema è,
nel suo complesso e in astratto, meno favorevole, rispetto a quello previgente, sia per la
parte vittoriosa del giudizio che per il difensore di essa che per il soccombente. Resta
ferma peraltro la possibilità che in concreto la liquidazione operata in base ai parametri
risulti pari o anche superiore a quella effettuata in base alle tariffe, sebbene, nemmeno
in tale ipotesi, si possa tener conto della più favorevole disciplina in tema di spese di cui
al D.M. 127/2004.
Si noti poi che, a giustificare l’opzione interpretativa in esame, non potrebbe valere
nemmeno la valorizzazione della ratio, sottesa alla riforma, di favorire il mercato e,
indirettamente, anche l’accesso alla giustizia, attraverso la incentivazione di accordi sul
compenso tra avvocati e clienti, perché tali obiettivi non possono che valere pro futuro.
Una seconda soluzione porta ad attribuire rilievo, come discriminante, al momento del
compimento di ciascun singolo atto difensivo, cosicchè si dovrebbe ricorrere alle tariffe
60
Il Tribunale di Cremona, con ordinanza del 13 settembre 2012 (in www.ilcaso.it), ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell’art. 9 del d.l. 1/2012 e del regolamento 140/2012, in relazione agli artt. 3, 24 e 117
Cost. sul presupposto che il complesso di tali norme abbia efficacia retroattiva.
27
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per le prestazioni difensive compiute sotto la loro vigenza e ai parametri per gli atti
difensivi compiuti dopo il 23 agosto 2012, secondo una rigorosa applicazione del
principio tempus regit actum 61.
Una simile tesi, che pure cerca di contemperare esigenze di certezza con la tutele di
diritti acquisiti, presenta, però, due inconvenienti: uno di ordine applicativo e l’altro di
ordine sistematico.
Sotto il primo profilo infatti essa comporta la difficoltà di combinare due sistemi di
liquidazione non esattamente sovrapponibili (si pensi solo alla difficoltà di conciliare i
compensi per attività previsti dalle tariffe con compensi per fasi previsti dai parametri).
Ad essa si aggiunge l’ulteriore complicazione di individuare il regime applicabile per
le attività giudiziali svolte nell’arco di tempo trascorso tra il momento fino al quale era
stata prorogata la vigenza delle tariffe (120 giorni dalla data di entrata in vigore della
legge di conversione del d.l. 1/2012, ossia il 23 luglio 2012) e quello in cui è entrato in
vigore il D.M. 140/2012 (23 agosto 2012).
Sotto il profilo sistematico, invece, la tesi in esame dà luogo ad un regime transitorio
differente per le norme di diritto processuale e per quelle di diritto sostanziale,
contenute nel d.l.1/2012 e nel D.M. 140/2012, con riguardo alle attività giudiziali in
corso all’atto dell’entrata in vigore di tali fonti normative.
Il difensore, in base ad essa, potrebbe pretendere dal proprio cliente un compenso per
l’attività giudiziale svolta, da determinarsi sulla base di criteri differenti da quelli
utilizzati dal giudice per liquidare le spese (a ben vedere una simile conseguenza, invero
difficilmente giustificabile, potrebbe essere evitata se si ammettesse che la liquidazione
ai sensi dell’art. 91 c.p.c. vincoli in ogni caso anche le pretese dell’avvocato nei
confronti del proprio cliente ma rispetto ad una simile possibilità si rinvia a quanto
osservato nel pf.6).
Vi è infine una terza opzione interpretativa, secondo la quale il D.M. 140/2012 è
applicabile solo ai giudizi e ai gradi di processo instaurati dopo il 23 agosto 2012, in
conformità al principio tempus regit processum.
61
Una variante alla tesi esposta nel testo è quella che reputa applicabile il regime tariffario ai giudizi in cui le
attività difensive si siano interamente esaurite prima del 23 agosto e il regime dei parametri ai processi in cui tali
attività, a quella data, dovevano essere ancora compiute in tutto o in parte. Ha optato per essa la seconda sezione
civile del tribunale di Reggio Calabria nella riunione, tenutasi, ai sensi dell’art.47 quater ord. giud., in data 21
settembre 2012.
28
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Tale soluzione è, a giudizio di chi scrive, la più persuasiva.
Innanzitutto essa risulta conforme a quella che il legislatore ha adottato rispetto ad una
norma processuale del tutto analoga a quelle introdotte dal D.M. 140/2012, ossia la
modifica ad opera della L.69/2009 dell’art. 96 c.p.c., (anch’essa trova applicazione al
momento della liquidazione delle spese del giudizio e richiede, al pari dell’art. 4, ultimo
comma, del D.M. 140/2012, la valutazione del comportamento processuale sia pure
della parte e non dell’avvocato). Infatti, in virtù del regime transitorio fissato dall’art.
58, primo comma della L.69/2009, la norma succitata si applica ai giudizi iniziati dopo
il 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della novella.
E’ evidente poi come l’adesione alla regola tempus regit processum consenta di
uniformare il regime transitorio delle norme processuali e di quelle sostanziali contenute
nel d.l. 1/2012 e nel D.M. 140/2012.
In questa prospettiva allora le liquidazioni menzionate dall’art. 41 del regolamento
140/2012 sono quelle delle attività difensive svolte nei giudizi iniziati dopo la sua
entrata in vigore.
8. Conclusione: il ruolo dell’avvocato e del giudice nel nuovo sistema.
Il complesso di disposizioni che si sono esaminate nel paragrafo n.5 contribuisce,
senza dubbio, a rafforzare quell’obbligo di dissuasione dall’assunzione di posizioni
pretestuose e dilatorie che la Suprema Corte da almeno un decennio ha ritenuto
costituisca uno dei corollari dell’obbligo di informazione gravante sull’avvocato.62
E’ indubbio però che il sistema sin qui delineato responsabilizzi ulteriormente anche il
giudice, nel momento in cui gli attribuisce un’ampia discrezionalità nella
determinazione del compenso da attribuire al professionista.
Egli, infatti, dovrà dar conto del concreto esercizio di tale discrezionalità attraverso
una adeguata motivazione63, rifuggendo dalla tentazione di orientarsi a considerare, solo
62
Cass. sez. II, 14 novembre 2002 n.16023, cit. La conseguenza indicata nel testo è già stata fatta discendere, da
una parte della dottrina, dalla modifica dell’art. 96, ad opera della L.69/2009: E. Morano Cinque, Lite temeraria:
la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. tra funzione punitiva e funzione risarcitoria, Resp. Civ. e prev. 2010,
1848, e, sia consentito, M. Vaccari, L’art. 96, comma 3 c.p.c.: profili applicativi e prospettive giurisprudenziali,
NGCC, 2011, p.83.
63
Qualche indicazione utile ad orientare il giudice nell’esercizio della valutazione discrezionale potrebbe
provenire dalla nota spese, non più redatta secondo il modello dell’art.75 disp. att. c.p.c ma come una proposta di
liquidazione del compenso, nella quale esplicitare le ragioni della eventuale richiesta di maggiorazione rispetto al
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per comodità, il valore medio di liquidazione delle varie fasi e tenendo, invece, conto
delle particolarità della controversia64, nonché, tra i criteri generali di quelli, tuttora
richiamati dall’art. 2233, secondo comma c.c., del decoro dell’opera e dell’importanza
della professione.
Una simile opzione non può, però, di per sé destare sorpresa se si considera che fa
seguito ad altra, analoga, con la quale la L.69/2009, nell’aggiungere all’art. 96 c.p.c. un
terzo comma, non ha stabilito nessun limite, minimo o massimo, per l’entità della
condanna per lite temeraria, rimettendone la concreta determinazione all’equità del
giudicante.
Solo acquisendo piena consapevolezza di questi aspetti potranno essere valorizzate le
caratteristiche di semplificazione e di modulabilità in base alle caratteristiche del caso
concreto che costituiscono i maggiori pregi del nuovo sistema, indubbiamente superiori
ai difetti che pure esso presenta e di cui si è dato conto.
valore medio di liquidazione stabilito dal D.M. 140/2012. In questa prospettiva potrà anche essere sufficiente
dedicare all’argomento una parte della comparsa conclusionale.
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Nella relazione al D.M. 140/2012 si evidenzia il ruolo centrale della valutazione altamente giudiziale del caso
concreto come una delle caratteristiche principali della riforma.
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Quotidiano
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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
Ufficio studi
Elenco Dossier pubblicati dall’Ufficio Studi al 17 ottobre 2012
I dossier sono reperibili sul sito web del Consiglio nazionale forense, al seguente indirizzo:
http://www.consiglionazionaleforense.it/site/home/pubblicazioni/studi-e-ricerche.html
− Dossier n. 1/2011 – Gli avvocati italiani per la ripresa. Giustizia civile ed economia – 15
luglio 2011;
− Dossier n. 2/2011 – Gli avvocati italiani per la ripresa. Giustizia civile ed economia. II
edizione riveduta ed ampliata – 26 luglio 2011;
− Dossier n. 3/2011 – La manovra economica 2011 (decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, come
convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111). Elementi di interesse per la professione
forense – 26 luglio 2011;
− Dossier n. 4/2011 – La manovra economica bis 2011 (decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138,
convertito in legge 14 settembre 2011, n. 148). Cosa cambia per l’avvocato – 6 ottobre
2011;
− Dossier n. 5/2011 – Decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150 (disposizioni
complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei
procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’art. 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69).
Sintesi dei contenuti, norme e disposizioni richiamate – 3 novembre 2011;
− Dossier n. 6/2011 – Professione, giustizia e crisi. Incontro con le componenti
dell’Avvocatura. Il maxiemendamento al ddl A.S. 2968-2969 “Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2012)”. Testo
depositato al Senato il 9 novembre 2011 – 12 novembre 2011;
− Dossier n. 7/2011 – Professione, giustizia e crisi. La legge di stabilità per il 2012. Le norme
della legge 12 novembre 2011, n. 183, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2012) – 24 novembre 2011;
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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
Ufficio studi
− Dossier n. 8/2011 – Il decreto “Salva Italia” (decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201,
convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214). L’impatto sulle
professioni – 27 dicembre 2011;
− Dossier n. 1/2012 – Il decreto-legge 22 gennaio 2012, n. 212 (disposizioni urgenti in materia
di composizione delle crisi da sovraindebitamento e disciplina del processo civile). Le
osservazioni dell’Ufficio studi del Consiglio nazionale forense – 4 gennaio 2012;
− Dossier n. 2/2012 – Legge 17 febbraio 2012, n. 9. Conversione in legge del decreto-legge 22
dicembre 2011, n. 212, recante interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva
determinata dal sovraffollamento delle carceri. Le osservazioni dell’Ufficio studi del
Consiglio nazionale forense – 21 febbraio 2012;
− Dossier n. 3/2012 – Congresso Nazionale Forense Straordinario. Raccolta dei materiali
congressuali a cura dell’Ufficio studi del Consiglio nazionale forense – 12 marzo 2012;
− Dossier n. 4/2012 – VII Congresso di aggiornamento giuridico forense. Materiali raccolti
per la relazione inaugurale a cura dell’Ufficio studi del Consiglio nazionale forense – 15
marzo 2012;
− Dossier n. 5/2012 – Responsabilità civile dei magistrati. Art. 25 del Disegno Legge n. 3129.
Dossier di documentazione e analisi a cura del Consiglio nazionale forense – 19 Marzo
2012;
− Dossier n. 6/2012 – Le professioni regolamentate nel decreto “Cresci Italia”. Abrogazione
delle tariffe, “parametri”, compenso, preventivo e tirocinio. Il decreto-legge 24 gennaio
2012, n. 1 e la legge di conversione. Dossier di documentazione e analisi a cura del
dell’Ufficio studi del Consiglio nazionale forense – 22 marzo 2012.
− Dossier n. 7/2012 – Attualità normative – Riforma delle professioni – Parametri – Il filtro in
Appello – (gli approfondimenti dell’ufficio studi) - Dossier di documentazione e analisi a
cura dell’Ufficio studi del Consiglio nazionale forense – 4 settembre 2012.
− Dossier n. 8/2012 - La conclusione dei lavori parlamentari sulla riforma forense – Seminario
di studi - Dossier di documentazione e analisi a cura dell’Ufficio studi del Consiglio
nazionale forense - Sala del Refettorio, Via del Seminario, 76 - Roma, 4 ottobre 2012.
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PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
Ufficio studi
− Dossier n. 9/2012 – Professioni e Concorrenza - Dossier di documentazione e analisi a cura
dell’Ufficio studi del Consiglio nazionale forense - Roma, 3 ottobre 2012.
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Ufficio studi
UFFICIO STUDI
Composizione
Ubaldo Perfetti (Vice Presidente Consiglio Nazionale Forense e Consigliere Delegato all’Ufficio Studi)
Giuseppe Colavitti (Coordinatore)
Gianluca Bertolotti
Carlo Bonzano
Marina Chiarelli
Nicola Cirillo
Riccardo Maria Cremonini
Silvia Izzo
Francesca Mesiti
Benedetta Sirgiovanni
Angelo Schillaci
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