Camminavo tra le rovine di New York, dalle parti del ponte

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Camminavo tra le rovine di New York, dalle parti del ponte
Camminavo tra le rovine di New York, dalle parti del ponte di Brooklyn. Cristo, dal giorno del
Cataclisma nel 2012 il panorama era drasticamente cambiato; ora siamo nel 2014 e non so
nemmeno in quale fottuta via della mia città natale ci troviamo!
Quel giorno, il 14 ottobre 2014, in ricognizione c’era il mio gruppo formato da 6 operatori: il
Sergente Bill Jones, i soldati semplici Norman Harrison, Jackye “Snake” Holden, Luois Gary, il
medico James “Doc” Oak e io, l’operatore radio, Allen “Rookie” Corsetti.
-Movimento a destra. Snake, Louis con me; gli altri rimangano qua a coprire la ritirata.- comandò il
sergente.
Detto questo, si allontanò con Snake e Louis dirigendosi verso una stradina più stretta molto poco
illuminata.
-Maledetto coglione, ci farà ammazzare tutti!- esclamò Norman, appena il sergente non fu più a
portata d’orecchio.
-Zitto, Norm.- disse il medico. Per qualche strano motivo, Norman ce l’aveva con il sergente…
Bah, storie vecchie risalenti a prima che entrassi nella squadra, non mi impicciavo.
All’improvviso un urlo e alcuni spari giunsero alle nostre orecchie.
Poco dopo il sergente e Holden sbucarono fuori correndo dal vicolo. Holden si girò e sparo a raffica
verso il buio, le tenebre con sul suo M4, fucile d’ordinanza dell’(ex) esercito americano.
-CHE CAZZO SUCCEDE?!- urlò Norm.
-Scappate! VIA DA QUESTA CAZZO DI STRADA!- rispose il sergente di rimando.
Appena detto questo 3 infetti rabbiosi, un uomo di mezz’età, un vecchio sull’ottantina e un ragazzo,
brutti come la morte, sbucarono dalle rovine e saltarono addosso a Doc, a Snake e a Norman. Doc si
stava girando per andarsene in quel momento, ma quel bastardo appena ebbe atterrato il medico gli
morse il collo e lo prese a pugni in faccia. Il suo scopo era solo quello di uccidere: con quella forza
James morì dopo alcuni minuti di botte.
Snake fu più fortunato: l’infetto lo disarmò mentre il giovane soldato gli puntava contro il suo
fucile, ma lui ebbe il tempo di prendere la M9 Beretta dalla fondina cosciale e scaricare un intero
caricatore sull’infetto, che cadde morto.
Non vidi quello che successe, perché un colpo violento al fianco mi fece cadere a terra, subito mi
ritrovai con un mostro addosso in una posa non molto sensuale. Il fucile ormai era lontano da me,
tentai di raggiungere la Glock17 nella fondina cosciale, ma dopo un paio di tentativi desistetti: non
riuscivo a tenere lontano il mostro con una sola mano. Gli occhi assassini che mi guardavano.
Desiderava la mia morte. Solo quella. Nient’altro.
Il fucile ormai era lontano da me.
Urla intorno a me.
A quel punto realizzai che da lì a poco sarei morto…
-AHHHH, AIUTO!- ero io che urlavo così? Non me ne resi conto.
Il mostro era a 5 centimetri dalla mia faccia. La mia fine era vicina…
BOOM!
Il cervello dell’infetto mi esplose in faccia.
Alzai la testa.
Norman puntava la sua Colt 1911 45. ACP nel punto in cui pochi secondi prima c’era la testa del
mostro.
-Gra… Grazie-Andiamocene da qua, okay?-Aspetta e gli altri?-Quali altri, merda? Vedi qualcuno vivo?!Mi guardai intorno.
Tutti morti.
Tutti.
15 minuti dopo eravamo davanti alle fortificazioni della base.
Il tenente Cole, un nero sui 45 anni, ma che ancora manteneva il suo tocco personale nell’uccidere,
ci venne incontro.
-RapportoCi mettemmo sull’attenti.
-Plotone 6, signore, di ricognizione nel settore 54. Ci hanno attaccato gli infetti, siamo gli unici due
sopravvissuti… ecco le piastrine.- detto questo prese 4 piastrine sporche di sangue dal una tasca del
Gilet tattico e le porse al tenente.
“Merda, è il terzo plotone attaccato in due giorni… beh almeno qua se n’è salvato qualcuno…”
pensò Cole mentre prendeva le piastrine.
-Spassatevela ragazzi, avete il resto del giorno libero- girò sui tacchi se ne andò.
-Oddio… oddio… tutti morti, non ci credo- dissi, incredulo.
-Facci l’abitudine, non sarà la prima volta…- detto questo, Norm si allontanò verso il centro della
città.
Due secondi dopo avere detto questa frase, l’orrore mi assalì. Lo shock per aver perso tutta la mia
squadra. Non ce la facevo a stare in piedi, no. Provai a sorreggermi al fucile. Mi buttai a terra e,
scosso da singhiozzi, vomitai.
Tutti morti… tutti… non riuscivo a realizzarlo…
Sono passati due anni da quando il virus, un ceppo della rabbia, è scoppiato in Europa. Poi
villaggio dopo villaggio, città dopo città, stato dopo stato, nazione dopo nazione si è diffuso in tutto
il mondo. Non si sa la sua origine, ma in poche settimane è riuscito a mettere in ginocchio il genere
umano.
Quello che resta dell’umanità, di quanto ne so, o vaga per il mondo in piccoli gruppi di
sopravvissuti o, come noi, si è organizzato in piccole città o unità territoriali difese da ciò che
rimane dell’esercito. In questo margine di terra noi siamo circa 15.000: 12.000 civili, più o meno, e
3.000 tra soldati e poliziotti addetti alla sicurezza. Il potere è detenuto da una giunta militare.
Per entrare nel Punto Sicuro di New York ci sono due vie d’accesso: protette dal centinaia di soldati
e dai pochi carri armati rimasti. Per il resto siamo circondati dall’acqua; da una parte è un bene
perché non possono attaccarci da nessuna altra via. Ma è anche una problema: nello sfortunato caso
in cui gli infetti entrino in città, non ci sarebbero vie di fuga. E nessuna via di fuga equivale a morte
certa.
Ore 6.30 a.m. del giorno 15 ottobre 2014. Mi sono appena svegliato, ho dormito malissimo: incubi
per tutta la notte.
Già la prima brutta notizia: la città di Boston è sotto attacco già da qualche ora e sono allo stremo
delle forse, con circa l’80% delle perdite militari e il 90% civili. E’ un massacro, Dio!
E per noi risulta una notizia spiacevole visto che la maggior parte del sostentamento ce lo fornisce
quella città in cambio di manodopera e sicurezza (visto che ci sono meno soldati in quella città).
Stanno raccogliendo alcune divisioni da inviare in supporto delle truppe stanziate a Boston.
E io sono tra quelli che vanno; si parte tra circa 6 ore in elicottero, delle voci dicono che saremo
circa 500, 1/6 delle nostre forze.
Sono le 12.43. Sono su un elicottero Black Hawk con altre 5 persone e dell’equipaggiamento
pesante che comprende alcune mitragliatrici Browning cal. 50 anticarro, lanciarazzi Law,
mitragliatrici leggere MG4 e molte munizioni.
Tempo di arrivo stimato: un’ora e trenta minuti circa. Boston per ora resiste fortunatamente.
Siamo arrivati, molti pennacchi di fumo si alzano dal vari punti della città. Salto giù dall’elicottero.
Un capitano ci viene incontro e ci informa della situazione.
-Ci hanno circondato, ad Est alcuni plotoni si sono asserragliati in un vecchio ospedale ma non
trasmettono più da qualche ora, ma siamo riusciti a far crollare alcuni edifici nelle arterie principali
e per ora gli infetti sono bloccati. Siamo riusciti a bloccare il loro avanzamento anche da Ovest e da
Nord con alcuni carri armati e per ora la situazione è stabile, stanno alzando una barricata da quella
parte…- e indica un punto imprecisato a Nord -… a Sud c’è il vero problema: lì erano stanziate solo
reclute e sono stati sopraffatti alcuni minuti fa, ora i sopravvissuti stanno ripiegando. Il punto di
rendez-vous è qui tra 10 minuti… indica una piazza sulla cartina che tiene in mano -… Mandate
almeno 40 soldati qui e bloccate quei figli di puttana.-Okay ragazzi, 6 plotoni si dirigano immediatamente in questa piazza. Gli altri attendano quaGrida il tenente Jones.
Io sono nel plotone 54, così ci dirigiamo di corse verso il punto designato.
Dopo circa 8 o 9 minuti arriviamo. Cristo, è un inferno! Per terra giacciono decine di cadaveri, tra
soldati, civili e infetti; poi bossoli che luccicano sotto la luce del sole, caricatori, armi,
equipaggiamento, sangue…
Sul margine Sud della piazza ci sono delle trincee e alcune decine di soldati, armi in pugno, che
sono rivolti verso un ampio piazzale, dove non c’è anima viva.
-Ehi voi, venite qua…-grida un sergente maggiore. –Cazzo era ora! Abbiamo subito pesanti perdite
ma per ora la situazione è stabile. Voi dovete rinforzare il lato sinistro con quelle Browning e le
altre mitragliatrici. Tra poco torneranno, vogliono ammazzarci tutti e arrivare al centro di Boston.
Ma noi non glielo permetteremo! HOO-AH !
-HOO-AH - rispondiamo in coro, subito dopo ci dirigiamo verso la trincea più a sinistra.
Qui è tutto sporco di sangue: sembra che almeno una volta gli infetti siano riusciti a passare.
2 ore dopo.
-Qua non arriva nessuno, mi sono rotto di stare qui, fanculo…!- esclama un soldato di un altro
plotone.
-E non rompere, Denny!-Ma che cazzo stiamo a fare qui?! Non ti sembra più rag…. OH CAZZO!Un nutrito gruppo di mostri sbuca da un vicolo che dà sul viale. Subito scoppia una baraonda
generale: fucili che sparano, voci che gridano ordini, soldati che chiedono aiuto…
Gli infetti sono vicini. Troppo.
Le armi sono tante… quei bastardi di più.
Il fucile mi rincula contro la spalla. Ho una buona mira… 3… 4… 5 infetti uccisi.
Ma sono troppo vicini, e sono troppi.
Un urlo e la trincea a fianco alla nostra è sopraffatta. Gli spari si spostano.
-Ahhh, Cristo.- Denny, il ragazzo di prima, urla dietro di me: uno di quei bastardi, che
evidentemente hanno superato anche la nostra barricata, ha morso il soldato al braccio.
Sposto il tiro. Il fucile spara per tre volte, poi CLICK. Scarico.
Un mostro si dirige verso di me.
Tre metri. Tutto rallenta: abbasso il braccio e raggiungo la pistola alla fondina.
Due metri. Sgancio la pistola.
Un metro. La estraggo.
BOOM!
All’improvviso il suo fianco esplode.
-Wow, che schifo!- Norm appare al mio fianco. –Dai andiamo, ormai ci hanno travolto. Dobbiamo
ripiegare.E così ci mettiamo a correre verso la strada da dove eravamo venuti, intorno a noi vedevo il
finimondo: soldati travolti dalla furia omicida dei mostri, un cingolato BTR preso da chissà dove da
dove uscivano urla disperate e entravano infetti, sacche di resistenza disperate…
In 20 minuti circa siamo tornati al punto di rendez-vous.
C’è una gran caos. A quanto pare si è presa la decisione di evacuare i sopravvissuti verso New
York. Però alcuni elicotteri, due su ottorimasti, sono già stati distrutti.
-Ragazzi, siete gli ultimi soldati ancora vivi, dovete presidiare questa zona per dare il tempo di
evacuare i civili rimasti e il personale medico. Andate!- grida un tenente da vicino un elicottero.
Mi guardo intorno e mentre gli altri si mettono in posizione conto circa una ventina di soldati:
abbiamo subito perdite spaventose!
La mia squadra è decimata e dispersa, così mi unisco a un altro paio di soldati che si dirigono a una
mitragliera posizionata dietro a dei sacchi di sabbia al lato nord-est della piazza; il primo ad arrivare
sono io, mi posiziono dietro alla cal. 50 e mando il primo colpo in canna. Nell’attesa di vedere
comparire i primi bastardi nel mirino a croce della mitragliatrice, mi guardo attorno: per terra ci
sono centinaia di bossoli che brillano sotto la luce del sole al tramonto, inoltre noto che su questo
lato della piazza, oltre a noi tre, ci sono solo altri sei o sette soldati, numero decisamente esiguo e
praticamente inutile per ostacolare l’avanzata di quei “cosi”.
Ma ora il numero non conta. No. Ora conta soltanto quasi di quei fottuti bastardi farò a pezzi.
FUOCO!
La mitragliatrice rincula violentemente, mentre decine di quei bastardi vengono fatti a pezzi, dopo
essere inquadrati nel mirino.
Centinaia, migliaia di enormi bossoli incandescenti sono espulsi fuori ogni volta che la leva
d’armamento torna indietro. C’è sangue dappertutto, volano pezzi di carne in ogni direzione. Il
fuoco combinato di una Browning M2 più un’altra decina di armi leggere fa male. Molto.
La mitragliatrice però a qual punto smette di sparare, inceppata. Merda, succede una volta su cento
e proprio a me doveva capitare?!
-Cazzo, si è inceppata!- grida un soldato al mio fianco.
Tiro indietro l’otturatore che espelle un paio di bossoli vuoti. Ri-armo l’arma e ricomincio a
sparare. I proiettili falciano quelle bestie assatanate.
-Hanno sfondato dietro, spostate il fuoco!Prendo il fucile a terra, mi giro, inquadro il primo bersaglio nel mirino metallico e faccio fuoco. Il
proiettile gli trapassa il cranio, il mostro si ferma bruscamente e cade a terra.
Sposto il selettore su “Auto” e falcio i mostri dietro a un generatore distrutto.
Avere un fucile con poco rinculo e mediamente potente è un gran bel vantaggio: permette un tiro
rapido e preciso.
All’improvviso un esplosione. Poi il buio infinito. La morte sopraggiunge…?
-Ehi, amico, sveglia! Soldato! Dio, non si sveglia caporale. Che faccio?!-
-MEDICO!... MEDICO, CAZZO!Apro gli occhi. La luce mi colpisce, mi acceca. Le orecchie mi fischiano e la testa mi scoppia.
Polvere e detriti. Ho il sapore del sangue in bocca. Sputo. Sangue e saliva.
-Ehi… ehi, che succede?...- chiedo debolmente
-Oh, sei sveglio. Che succede? Non lo vedi da te? Siamo nella merda. Semplicemente questo…
Cho, Cho, Cristo! Cho, spara! Usa quel fottuto fucile!- urla l’interlocutore misterioso, non leggo il
nome visto che ho ancora gli occhi velati e sono ancora mezzo stordito.
Subito dopo il rumore inconfondibile delle pale di un elicottero.
Qualcuno grida. Mi rendo conto ora che mi stanno trasportando in barella. Poi sento qualcosa
appeso al collo; la tocco. Sono gli occhiali di protezione standard. Sono in frantumi, è solo fortuna
se le schegge di vetro non mi sono finite negli occhi.
Mi rendo conto anche che ho perso gran parte del mio equipaggiamento, tra cui fucile e zaino.
Mentre penso a tutto ciò, mi caricano sull’elicottero (o almeno così mi sembra). Intorno a me
un’orchestra di suoni indefiniti: urla, ringhi, fucili e pistole che sparano…
Un’altra esplosione. Tutto nero, di nuovo. Stavolta forse per sempre.
Sono le 18.53. (Fortunatamente) mi sono risvegliato, ciò significa che sono ancora vivo. Bene.
-Ragazzi abbiamo un problema bello grosso, cazzo- esclama il pilota Richard Able.
-Di che genere, tenente?- ribatte un caporale.
-Non so come, ma perdiamo carburante. Ne abbiamo per un’altra decina di kilometri. E ne mancano
ancora tanti per arrivare a New York…- fa una pausa. -… proverò un atterraggio d’emergenza
quando siamo agli sgoccioli su un di quelli edifici, ma non prometto niente. Siate comprensivi-Okay, Marines, avete sentito? Tenetevi forte!
Mi alzo (per quanto mi permetta la fusoliera) dalla barella e mi guardo intorno, con una faccia ebete
causata dal trauma di due esplosioni: ci sono, escluso me, circa 5 soldati. Sono conciati male,
stanchi e affamati scommetto anche, e sulle facce di alcuni leggo disperazione, paura…
Mi lego a un sedile. Non sono mai stato molto credente, ma trovo lo stesso tempo per qualche
preghiera.
-TRENTA SECONDI!- urla il tenente addetto al pilotaggio del Black Hawk per farsi sentire sopra
al rumore dei rotori.
-Tenersi.- dice il caporale (sospetto che sia quello di grado più alto dopo il tenente).
-QUATTRO SECONDI…. TRE….DUE…UN…CRASH!
Buio.
Il mondo gira, mentre un fischio lungo e acuto mi percuote le orecchie, stordendomi. Qualcuno mi
scuote, cerco di aprire gli occhi ma non ci riesco.
Un urlo. Forte. Acuto. Poi degli spari.
Ritento di aprire gli occhi e stavolta ci riesco, anche se per poco. La luce mi ferisce, mi acceca. Li
richiudo subito.
Dopo alcuni secondi li riapro e stavolta li riesco a tenerli aperti il tempo necessario per vedere cosa
sta succedendo: la fusoliera è un ammasso di plastica e lamiere. Ci sono un paio di cadaveri su cui
le mosche hanno gia iniziato a posarsi. Un pezzo di lamiera esce dal torace di uno di loro.
In cabina c’è un corpo legato a un seggiolino: il pilota. È riverso, per quanto renda possibile la
cintura, sulla console dei comandi.
Non vedo il copilota.
Da fuori provengono degli spari e delle urla soffocate.
Mi slaccio dal seggiolino, sfortunatamente però le mie gambe non hanno la forza necessaria per
teneri in piedi e cado per terra. Sento scendere una goccia di sangue dalla fronte. Ho un gran mal di
testa, e forse anche un lieve trauma cerebrale.
Supino a terra riseco a vedere delle figure indistinte che si muovono fuori. Il sole intanto sta
tramontando.
Un uomo compare davanti a me. Distinguo solo la sagoma: se è uno di quei mostri sono finito. Non
ho forze di difendermi, e non so neanche se ho ancora qualche arma.
-Mettiti in piedi soldato! Là fuori siamo rimasti solo in 2.- ordina il misterioso soldato passandomi
una pistola e un paio di caricatori. Dopo questo mi prende da sotto le ascelle e mi solleva. Mi porta
fuori e mi lascia dietro alla coda dell’elicottero.
-Copri questo lato. Io e l’altro soldato siamo dietro di te e ti copriamo le spalle. Abbiamo un ferito
grave e stiamo cercando di medicarlo, okay? OKAY?!Accenno a un debole sì.
Il caporale (sospetto sia lui, vista la voce uguale a quella del caporale nell’elicottero) sia allontana a
passo svelto verso una specie di barriera fatta da rocce e detriti lontana una decina di metri da me.
Appena arriva, un mostro della categoria “infetti e grassi” si avvicina correndo verso di me; con due
colpi della pistola lo metto a tacere. Sfortunatamente però il suono della Beretta M92 si propaga in
tutto il quartiere, e ciò probabilmente attirerà un sacco di quei bastardi.
I primi due minuti circa passano con relativa tranquillità. E dopo questi, come volevasi dimostrare,
almeno una decina di quei bastardi esce dall’oscurità e si mette a correre verso di noi.
La pistola è pronta nella mia mano: svuoto il caricatore verso almeno 4 o 5 di quelli sfigati. 3
cadono a terra, feriti mortalmente. Un altro continua ad avanzare zoppicando; premo il tasto di
espulsione della pistola. Il caricatore però si inceppa.
-Oh, Cristo. Merda, merda, merda. Inceppato! Oddio…Forzo il caricatore, invano.
“Okay, vaffanculo, vieni qua, stronzo!” penso mentre tiro fuori il coltello dal tattico.
La bestia mi raggiunge e con tutta la forza e l’odio mi si butta contro. Prima che mi subtti contro
riesco a vedere i suoi occhi: sono pervasi da uno sguardo spento, cupo, da metterti i brividi.
Cadiamo a terra e rotoliamo per alcuni metri. Metto una mano sotto la sua bocca, stando molto
attento a non farmi infettare dalla sua saliva, e gli tengo la testa ferma. Con l’altra mano cerco di
mettere a segno alcuni colpi, ma riesco solo a farlo incazzare.
-AHHHH, STRONZO! FATTI AMMAZZARE!- urlo.
Gli do una ginocchiata, resa più potente dalle ginocchiere, alle palle. Lui si lamenta e molla la presa
che blocca la mano con il coltello.
Subito gli do una testata sui denti con l’elmetto, poi alzo il coltello da combattimento e glielo pianto
cinque o sei volte nelle costole. Finalmente cade su di me con un rantolo, sanguinando fluidi infetti
sulla mimetica. Lo sposto subito e mi alzo. Zoppicando raggiungo la mia posizione e mi accascio a
terra, allo stremo delle forze. Qualcosa punta contro la coscia, abbasso lo sguardo e, imprecando trai
baffi, mi accordo che la mia Glock17 è lì, pronta.
-Okay, caporale, che facciamo?- chiede Cho, il secondo soldato sopravvissuto alla schianto.
-La prima cosa da fare è capire dove ci troviamo, poi dobbiamo tornare alla Fortezza.- sentenzia il
caporale Anderson. –Che cosa abbiamo con noi?-3 Fucili d’assalto standard, molte munizioni, 3 pistole, una paio di granate e provviste per circa due
giorni- rispondo.
-Kit medici?-NienteAllo schianto eravamo sopravvissuti io, Cho, il caporale e il copilota, un certo Samuel Cornell.
Quest’ultimo è morto un paio di ore fa. Lesioni interne troppo gravi, fegato distrutto e polmoni
perforati.
-Okay, ci muoveremo solo con il sole. Ora dobbiamo cercare un riparo. Qualche idea?-Ci sono cresciuto in questo quartiere. Un paio di isolati più in là c’è una caserma della polizia.
Possiamo stabilirci là per questa notte.- ci informa Cho.
-Buona idea. Tu vai in avanscoperta. Recluta, ehm… Allen, tu stai in retroguardia… Muoviamoci-
Ed è così che iniziamo a camminare verso il distretto della N.Y.P.D. Non c’è anima viva per strada,
eppure sono sicuro che ci stanno osservando dagli edifici bui e decadenti.
Dopo circa 15 minuti arriviamo: l’edificio è un casermone grigio e buio, con finestre infrante e la
porta sfondata. All’interno c’è una caos incredibile: fogli, resti di cadaveri, ossa, sangue, schegge
delle scrivanie, lampade e bossoli di vario calibro.
Facciamo un giro dell’edificio, che, a parte alcuni topi neri, si rivela totalmente vuoto. Nell’armeria
non è rimasto quasi niente; alcune pistole, un fucile a pompa e alcuni dei fucili di precisione
Remington 700.
Per prima cosa barrichiamo l’entrata con scrivanie, sedie e un distributore automatico di merendine
in cui non è rimasto più niente, solo il vetro infranto.
-Bene. Faremo turni di guardia di 2 ore ciascuna. Inizia tu, Cho, poi Allen e tra quattro ore
svegliatemi che inizio io. Ricevuto?-Ricevuto- rispondiamo insieme io e il soldato.
Due minuti dopo il caporale è caduto in un sonno profondo e senza sogni. Io non riesco a dormire,
così cerco di fare conversazione con il mio nuovo compagno di squadra e di viaggio.
-Bella situazione di merda eh?!- attacco.
-Già... gli unici sopravissuti… non ci posso credere…-Eh già. E qual è il tuo vero nome? Di dove sei?-Mi chiamo Cho Sangueki, sono nato a New York, ma i miei genitori sono emigrati dalla Cina. Te?-Allen Corsetti, originario italiano, piacere-Piacere mio- risponde con un sorriso
-Qualche specializzazione?-Prima del giorno in cui andò tutto a puttane ero un cecchino, poi, dopo aver visto il mio Spooter e
molti altri amici fatti a pezzi, ho deciso che avrei fatto più male a quei bastardi di merda con un
fucile a raffica…Capisco che è una storia che non gli va di raccontare e cambio discorso.
-Hai figli? Moglie?-Avevo…Mio Dio, la situazione sociale di questo è una merda! Comunque parliamo di argomenti neutrali per
un’altra oretta, fino a quando non arriva il mio turno e lui se ne va a dormire.
Dell’ex-cecchino capisco varie cose: siamo molto simili, sia fisicamente che per altre cose. Occhi
marroni, stessa età (24 anni) capelli neri tagliati a spazzola, nessuno dei due fuma… Abbiamo
anche alcune conoscenze in comune. Forse è lui la persona a cui posso affidarmi per il tempo
necessario alla fine di questa nostra avventura Offlimits. Del caporale si sa ben poco, dalle poche
parole che ho sentito da lui, dal punto di vista psicologico se ne ricava ben poco. So solo che il suo
nome è Vincent Anderson, ha 27 anni, era stanziato a Boston (quindi non era con il nostro gruppo di
supporto) e che gli piace molto fumare, visto che ha due pacchetti di sigarette attaccati all’elmetto
sotto cinturino degli occhiali.
Il mio turno è stato abbastanza tranquillo, di tanto in tanto si vedeva qualche figura indistinta nel
buio, ma niente di preoccupante… spero.
Ora comunque sono le 6.00 e stiamo per andare.
-Okay, la formazione sarà la stessa dell’altra volta, evitate di sparare se non avete silenziatori, e non
li avete sicuramente, perché sennò attireremo tanti di quelli infetti che ci faranno la pelle in pochi
secondi. Riducete le conversazioni al minimo. Intesi?-Capito-Anch’io-Okay, andiamoIn pochi minuti mi ritrovo fuori dalla caserma. Camminiamo per circa un ora senza inconvenienti, li
vedo muoversi nei palazzi. Al buio. Tramano…
Il paesaggio è sempre lo stesso; incidenti stradali terribili lungo le vie, ossa e resti vari, bossoli,
posti di blocco, segni di combattimento...
Siamo passati anche vicino ad alcuni giganteschi ossari che offrivano uno spettacolo terribile.
Vedere la città totalmente morta fa effetto. A stento ho trattenuto lacrime di disperazione.
Ormai siamo soli.
L’umanità è andata.
Quanto ci resta ancora?
Dopo circa 5 kilometri, mentre siamo allo stremo visto che abbiamo minimo una decina di kili di
equipaggiamento e siamo sotto il sole, incappiamo in un campo di combattimento di due isolati
circa. Ma la cosa che ci lascia letteralmente a bocca aperta è un enorme Humvee, con la sua
immancabile calibro 50 sul tettuccio. Fantastico!
In più sembra in buono stato. E’ ai margini della battaglia, così credo fosse rimasto restio al grosso
della battaglia. Quei bestioni possono durare anni!
-Oh cazzo… Oddio non ci credo…- balbetta Anderson.
-Che aspettate?! Saliamo!- urla Cho, al settimo cielo. Dopo questo si reca di corsa verso il veicolo.
Il portellone posteriore è socchiuso.
-Oh Cristo, no! Cho togliti da là! ASPETTA! Choo…- urla il caporale.
Troppo tardi.
Il soldato non sembra sentirlo nemmeno.
Il portellone è socchiuso.
Basta tirare.
Un’ombra dentro l’Humvee.
Cho apre.
Non capisco bene quello che avviene dopo: so solo che vengo colpito pesantemente da dietro e,
come al combattimento prima di partire, mi ritrovo a combattere corpo a corpo. Il problema è che al
primo infetto se ne aggiunge un altro.
Vicino a me sento delle grida, ma non riesco a capire cosa dicono.
Spari.
Con una mano tengo fermo il primo infetto dal collo, mentre sferro ancora una volta un calcio alle
palle all’altro mostro, che però non sembra sentire il minimo dolore. Il primo infetto di divincola
dalla mia presa e per un istante ci guardiamo negli occhi: i suoi sono rossi, iniettati di sangue. C’è
solo rabbia.
Oddio.
Ma non ho tempo di pensare: alla velocità della luce raggiungo la Glock e la sfilo dalla fondina, la
punto verso il bastardo. Premo il grilletto.
SBAM!
La sua testa esplode in una fontana di sangue e materia cerebrale.
Il secondo bruttissimo figlio di puttana, mi travolge con un placcaggio degno di un giocatore di
Rugby mentre il colpo esce dalla canna della pistola, così il proiettile sfiora soltanto il bersaglio.
Mi ritrovo di nuovo a terra, ma fortunatamente il bastardo deve aver battuto la testa da qualche parte
su di me, visto che il suo tempo di reazione diminuisce sensibilmente. Il tempo necessario di
ficcargli in bocca la gomitiera per impedirgli di mordermi.
Con la coda dell’occhio vedo l’altro infetto buttarsi verso di me per darmi il colpo finale…
Cazzo…!
Nella mia fine il mio principio.
Come frase nel contesto ci sta!
Però qualcuno là sopra decide di farmi vivere ancora un pò.
Una raffica di mitra fa sbocciare dei fiori di sangue sul petto del mostro.
Rimango incredulo ma non riesco a capire chi ha sparato perché l’altro mostro su di me cerca di
darmi un pugno; non so neanch’io come ma riesco a schivare il suo pugno… Ma la situazione
rimane sempre bloccata. O almeno rimane tale fino a quando un’ombra usa un fucile come mazza.
Fa cadere il calcio (quindi tiene il fucile dalla canna) sulla nuca del mostro, come farebbe un boia
con la sua ascia. Si sente un sonoro scricchiolio mentre il mostro lancia un urlo e subito cade di
fianco.
A quel punto non ho più forze… voglio solo restare per terra, a vedere il sole che mi illumina la
faccia.. che bellissima sensazione… sorrido... Cazzo i miei nervi stanno andando proprio a puttane,
me ne rendo conto ora…
Ma quella sensazione non dura molto: un’ombra si frappone tra me e il sole.
-Ehi Allen, alzati da là… - dice una voce familiare, ma nonostante questo non capisco ancora chi sia
l’interlocutore.
–Cristo, Allen. Alzati da quel fottuto pavimento… -continua il misterioso interlocutore. -…ora
siamo rimasti in due…-
-Oddio, no!... Lui no! CAZZO! PERCHE’ LUI?!- ero disperato, in pochi secondi avevo perso un
amico, Cho, per una semplice cazzata!
Da quanto mi aveva detto il caporale, che a differenza di me aveva assistito alla morte del soldato,
un mostro era uscito dall’Humvee e aveva attaccato Sangueki, non aveva avuto tempo di difendersi.
Poco dopo gli sono saltati addosso altri due infetti, ma a quel punto il caporale non ha avuto tempo
di vedere perché è stato attaccato anche lui.
Il corpo era ridotto a una massa di carne insanguinata, una maschera di sangue e dei morsi lungo il
collo e le spalle. Le mani non avevano alcuni diti e gli altri erano spezzati e piegati nelle pose più
strane… potrei continuare per molto ma ho deciso di fermarmi qua… E’ uno spettacolo orribile…
orribile… le lacrime mi scendono giù dalle guance, mentre piango in silenzio, nella disperazione
più totale.
Un altro giorno in questa situazione di merda e io parto, sono sfottuto…
Anderson mi mette un mano sulla spalla e, seppure gentilmente, mi spinge via. Dopo questo dal suo
zaino prende una coperta militare, e, prima di stenderla sul cadavere martoriato di Cho, gli stacca la
piastrina.
-Andiamo… usiamo l’Humvee…-Ehi, ehi un momento… non possiamo lasciarlo qui… dove cazzo credi di and…- il caporale,
veloce come un lampo, fa con un passo il mezzo metro che ci separa, mi prende per il colletto.
-E cosa diavolo vuoi che faccia?! Eh?! Non so te, ma io voglio vivere… se vuoi farlo anche tu,
allora seguimi. Sennò và via, mi sei solo d’intralcio… Intesi?- dice a denti stretti.
Detto questo mi lascia andare con uno strattone e si allontana verso il mezzo. Guardo il corpo del
mio amico. Lacrime salate mi rigano le guance e cadono sulla coperta.
Disperazione.
Dopo alcuni minuti mi alzo, lancio un ultimo sguardo a Cho. Mi allontano.
Il caporale è sul sedile di guida a fumare. I pochi istanti di tranquillità vanno goduti… mi siedo sul
sedile del passeggero. L’interno del veicolo è sporco di liquido marroncino, sangue coagulato.
Caricatori. Bossoli. Puzza di muffa. Ossa…
-Vedi se la mitragliera funziona.Esamino la M2. Il nastro è poco, la mitragliatrice è impolverata. Faccio scorrere l’otturatore e
mando il primo colpo in canna. Sembra funzionante.
-Credo di sì, ma ci sono pochi colpi.-Fatteli bastare.Mette in moto e partiamo. Sono le 2.15 di pomeriggio.
Stiamo camminando da alcune ore. Sono le 6.37 di pomeriggio.
-Quanto manca?-Non lo so, ma non meno di 40 kilometri alla Barricata Distrutta.La Barricata Distrutta è un insieme di alcuni di quartieri usati come avamposto all’altra sponda e
caduti alcuni mesi dopo la costruzione delle fortificazione. Si è dovuto far saltare un ponte per
arrestare l’avanzata degli infetti. Ci sono stati quasi 2.000 vittime tra unità militari e civili. Un
massacro…
-… merda…Passiamo altri e dieci minuti in silenzio.
Affianco a noi sfilano centinaia di edifici immersi ne buio, auto distrutte, blindati, resti di vario
genere… Alcuni dei non-morti si fanno vedere sporadicamente per le vie, ma al nostro passaggio
rientrano nelle tenebre dei casolari abbandonati.
Dei resti di un bombardamento ci obbligano a cambiare strada un paio di volte. Nella prima via c’è
una banca, o ciò che ne rimane, e dei negozi. Svoltiamo alla seconda curva.
-Oh… Dio…- sussurra il caporale Anderson appena vede cosa c’è dopo la curva. Io non parlo, non
proferisco parola. Non ci riesco. L’orribile spettacolo che si erge davanti a noi mi lascia shockato,
letteralmente. Mi rendo conto di avere una faccia da ebete, ma non riesco a cambiare espressione.
Davanti a noi la morte in tutta la sua imponenza.
Davanti a noi una massa impenetrabile di infetti schierati in due o più file che occupavano tutta la
via. Respirano ansimando. Emettono versi gutturali. Molti di loro sono insanguinati e hanno
mutilazioni terribili, ma nonostante ciò camminano ancora.
Il caporale torna in sé giusto il tempo per incazzarsi a morte.
–Dai… Dai venite, venite! Avete fatto a pezzi la mia famiglia, la mia squadra, i miei amici; avete
distrutto la mia città, l’umanità, il pianeta… ora tocca a me… VENITEEEE…!Proferite queste parole, pigia sull’acceleratore.
Scattiamo in avanti.
Partono anche i mostri.
Premo il grilletto istintivamente facendo a pezzi i primi. A quelli che tralascio ci pensa il parafango
dell’Humvee. Le enormi ruote schiacciano i mostri, vivi o morti che siano.
La mitragliatrice vomita proiettili sulla quasi impenetrabile massa che si fa avanti. Cominciano a
fischiarmi le orecchie. Il frastuono è incredibile.
Un improvviso sbalzo rischia di farci ribaltare di lato. Ci incliniamo pericolosamente da un lato, e
quando iniziamo a raddrizzarci un botto improvviso ci inclina a 35°, facendomi sbattere il fianco
contro il tettucio e togliendomi il respiro. Comincia ad ansimare e torno dentro. Il caporale sta
bestemmiando in tutte le lingue: risulterebbe anche una scena comica se non fosse stato per il fatto
che siamo in una città quasi del tutto morta, circondati da simpatici individui che ci vogliono fare a
pezzi e poi forse divorarci e in più se non stiamo attenti potremmo anche morire di un incidente
automobilistico!
Altre due colpi di violenza inaudita si abbattono sulla fiancata destra, deformando la lamiera del
veicolo. La botta è pazzesca, do una craniata a un sedile e sento il dolore attraverso l’elmetto.
Ci incliniamo definitivamente a 90°.
Il mondo si tinge di nero ancora una volta…
Come tante altre volte in questi ultimi giorni, mi sveglia un fischio prolungato nelle orecchie. Un
rivolo di sangue mi scende sulla palpebra. La testa mi scoppia. Vedo rosso. Dal finestrino davanti a
me si vedono degli infetti che cercano di entrare nell’Humvee, mentre decine e decine di mani
battono sulla lamiera deformata.
-…Cap…Caporale…- sussuro sputando sangue.
Cerco di raddrizzarmi per quello che mi permette il veicolo e arrivo in cabina. Il caporale è riverso
su un fianco, sanguina dalla bocca e dalla testa. Cerco di sentire le pulsazioni: respira ancora.
Comincio a scuoterlo.
Sputa sangue e mette una mano sulla mia.
-Soldato… non riesco a muovermi… mi hanno morso… - Le parole che mi gelano il sangue.
-Cosa?... Che cazzo…? No, non ci credo!- non riesco a crederci, nella mia testa c’è un uragano di
cose: sto solo in una città che a momenti non conosco più, in un Humvee rovesciato su un fianco,
con a fianco l’unico mio compagno di viaggio che a momenti passerà a miglior vita, e poi ancora
cercherà di farmi a pezzi… No, non può succedere a me. NON STA SUCCEDENDO A ME
VERO?!
-Sono sfottuto, lo capisci, vero?- dice il caporale tra uno sputo di schiuma rossa e l’altro.
-No… non può morire, io ora che cazzo faccio?!-Ci sono delle granate in quel contenitore…- indica un contenitore verde vicino al posto del
passeggero. -… fa come ti dico io ora, stammi a sentire.“No, cazzo, no… non ci credo, lei è un cazzo di sopravvissuto, non può lasciarmi così… io sono
solo una maledetta recluta catapultata nell’Inferno, arruolata a forze, strappata dalla sua famiglia…
lei invece si diverte a uccidere quei bastardi lì fuori, è il suo mestiere, CAZZO!”. Vorrei dire cosi,
ma lo penso solo…
-Si, okay.- dico invece tra una lacrima e l’altra.
-Ora tu prendi due granate e le butti là fuori, quando esplodono tu ti butti la fuori e corri via. Corri,
capito? Non ti fermare, qualunque cosa succeda… Vendi cara la tua pelle! Hoo-ah ?Ci mettono un pò a rispondere, l’incredulità è tanta. Non credo di farcela a fare quello che mi ha
appena detto Vincent, ma comprendo che non c’è alternativa.
-Hoo-ah , signore… E’ stato un onore conoscerla e combattere al suo fianco. Addio.
-Vale lo stesso per me, soldato…. Addio- mi sorride.
Con quelle parole in caporale mi congeda.
Prendo le 4 granate: sono sferiche ma non ricordo il nome. Ne lascio una al mio compagno e mi
ritiro nella parte posteriore del mezzo.
Fuori si sentono i gemiti dei mostri che, invano, cercano di entrare nel veicolo. Il fatto di non
riuscirci li fa incazzare, presumo.
Per prima cosa devo rompere il vetro in alto, in modo da lanciare le granate in mezzo alla piccola
folla che ci circonda; prendo cosi la pistola e la punto in altro. Due spari risuonano mentre
rimbomba il frastuono del vetro che si rompe.
I gemiti diventano più forti.
Faccio il segno della croce.
Ho 5 secondi una volta tolte le sicure delle granate, anche se gira voce che gli inneschi durino solo 3
secondi.
Tolgo la sicura alle granate.
4 secondi…
Le lancio fuori dal finestrino.
3 secondi..
In mezzo alla folla...
2 secondi…
Mi copro le orecchie.
1 secondo…
Tre violente esplosioni risuonano all’esterno del veicolo, tra l’assembramento di morti viventi.
Urla…
Mi isso fuori, da quel momento la mia sopravvivenza è nelle mani della mia pistola e di una buona
dose di fortuna.
-Ci vediamo all’Inferno, amico!- sento dire il caporale prima di buttarmi giù.
Tre zombie si fanno avanti. A uno di loro manca mezza faccia, gli altri e due per quanto vedo
sembrano integri.
Il tempo rallenta.
Tendo il braccio con la pistola e premo il grilletto una, due, tre, quattro volte. La pistola mi rincula
contro il palmo della mano.
Il primo mostro, un ragazzo sui 17 anni, cade a terra con due fiori di sangue nel petto e un pò di
piombo nel cervello. Colpisco il secondo nemico alla spalla.
Faccio fuoco un’altra volta. Il proiettile 9mm gli trapassa il cervello e fuoriesce dalla nuca; il nonmorto si arresta all’istante e si accascia a terra.
Il terzo mostro scavalca i cadaveri dei compagni e si fa avanti.
Uno sparo e un altro proiettile fuoriesce dalla Glock, insieme a una fiammata color arancio.
Il colpo si arresta violentemente nella cassa toracica, probabilmente trapassando il cuore. Anche
questo essere cade a terra.
Tutto questo in appena 10 secondi.
Rimango qualche decimo di secondo a contemplare la scena con il braccio ancora teso, terrorizzato
e, al tempo stesso, estasiato per chissà quale ragione; finalmente il mio cervello si rimette in moto.
L’istinto primordiale di autoconservazione mi urla di togliermi da quel casino. Le mie gambe si
mettono in moto e prima ancora di rendermene conto sto correndo verso una casa di medie
dimensioni, con sei finestre circa, di cui 2 o 3 rotte, che si affacciano sulla strada.
Uno zombie si dirige di corsa verso di me. Sparo senza pensare due colpi e lo colpisco al fianco e
alla spalla, quanto basta per bloccarlo.
Due metri mi separano dalla porta…uno… quando sono praticamente davanti agli scalini d’ingresso
li salto con un salto e, dopo aver inciampato, entro ruzzolando nella casa. Una volta dentro, da per
terra chiudo la porta con un calcio, che si blocca con un tonfo. Con la pistola ancora puntata verso
l’uscio mi alzo in piedi; sento già i primi pugni abbattersi sulla porta in legno e ferro battuto, ma
fortunatamente è molto resistente.
Mi guardo attorno. Qualcuno ha trasformato questa casa, in una via di una città dimenticata da Dio,
in un fortino. O almeno ci ha provato: le finestre sono sprangate con assi di legno. Qualche spazio
tra un’asse e l’altra lascia passare qualche debole raggio di luce, che però basta a illuminare la
maggior parte della casa. Credo che quegli spazi siano stati usati come feritoia…
In basso, il pavimento è costellato di resti di vario genere: bossoli di piccolo e medio calibro, tra i
quali molti di fucile a pompa, poi sangue rappreso (tanto sangue, Dio solo sa cos’è successo in
quella casa) e qualche resto umano… in un angolo un teschio mi guarda con un ghigno beffardo.
C’è un odore leggermente acido. Putrefazione, suppongo.
Il destino del caporale mi torna alla mente tutto d’un lampo, facendomi vergognare di essermene
dimenticato. Corro alla finestra più vicina che dà sulla strada.
Là rimango a guardare la lenta fine del mio ex compagno di viaggio, nella disperazione più totale.
Il caporale Samuel J. Anderson, numero di matricola 164-5689-4526-SA, arruolato nei
Marines, ventiseiesimo ricognizione, si ritrovò incastrato in quel veicolo militare del
tipo Humvee in una stradina di New York City , a soli 20 km dalla Barricata Distrutta.
“Così vicino e al tempo stesso così lontano…” pensò.
Voleva mettersi in una posizione più comoda, ma il sedile e altri ostacoli glielo
impedivano. Così si ritrovò ruotato a 90° dal terreno, insieme a tutto il veicolo.
Beh, dopo tanto finalmente aveva un pò di tempo per pensare…
BOOM!
Un violento colpo contro il parabrezza da parte di un infetto lo costrinse a mettere da
parte i pensieri e a mettere mano all’MP5 trovato tra i due sedili. Anteriori. Gli
rimaneva ancora mezzo caricatore e… quella granata.
I mostri lo avevano lasciato in pace per un pò, attirati da Allen fuori dall’Hummer. Ma
ora erano tornati… sperava che il soldato ce l’avesse fatta, ma oramai non importava più
nulla.
Spedì indietro quel bastardo che cercava di entrare con 3 fori nel petto, mandando in
frantumi il parabrezza. Altri due esseri si fecero avanti, bocca insanguinata da cui
uscivano solo alcuni versi sconnessi. Li falciò con una decina di colpi.
Adoperava l’arma con una sola mano a causa della posizione e non riusciva a prendere la
mira.
Un bastardo gli apparve davanti e il soldato 36enne gli fece saltare la testa in una
fontana di sangue e materia cerebrale.
A quel punto uno spento CLIC usci dall’interno dell’arma. Buttò il fucile di lato e
sganciò la fondina, tirò fuori la pistola e continuò a sparare.
Otto, nove, dieci colpi… CLIC anche da quell’arma.
Inceppata.
Non perse neanche tempo a cercare di estrarre il colpo inceppato. La buttò di lato. Aveva
abbattuto circa dieci mostri.
Beh, niente male per un uomo - non un soldato ma un uomo - prossimo armai alla morte.
Un attimo di pausa…
Dopo molti anni provò una sensazione di serenità… Pace…
Pensò a Mary e a suo figlio Jamie… pensò alle ultime parole della moglie prima di
morire… “Ti amo. Ora sparami ti prego”.
Lui non ce l’aveva fatta e lei era morta dopo atroci sofferenze… lo stesso per il suo
piccolo amore di 6 anni.
“Due anni… due anni dalla loro morte. Due anni in bilico sul filo del rasoio del
suicidio. Due anni di rimorso!” pensò.
Una piccola folla si avvicinava lentamente, pregustando gli ultimi attimi della paura
della loro preda, una decina di metri al massimo…
La granata sferica in mano.
Tolse la sicura.
“Ti amo anch’io, Mary. Sto arrivando.”
Era stato terribile. “Gli ultimi attimi del caporale in diretta, signori!”
Il giovane aveva visto tutto: da quando il caporale aveva cominciato a sparare con un fucile di piccolo calibro
mentre i mostri cadevano uno dopo l’altro; poi aveva visto, o meglio sentito, quando gli spari erano diventati
più deboli e non più a raffica, uno dopo l’altro.
E poi la fine era giunta, la ciliegina sulla torta… un attimo di silenzio e poi una forte esplosione. Aveva
distolto lo sguardo il giovane soldato, e quando era tornato a guardare il veicolo era ridotto a un ammasso
informe di lamiere e la strada era costellata di corpi.
Due minuti dopo era per terra e vomitava.
Dieci minuti dopo era di nuovo in piedi, deciso a esplorare la casa e trovare un rifugio sicuro per la notte. Il
giorno dopo avrebbe provato a contattare il comando con la radio.
Sto salendo le scale, la pistola spianata. Arrivato sul pianerottolo davanti a me si apre un corridoio,
con circa cinque porte. Due sono spalancate, una è un bagno e l’altra è una camera da letto. Dentro
non c’è niente.
La prima porta è a destra. Mi avvicino, contro fino al tre e do un calcio alla serratura ormai marcia.
La porta si spalanca di colpo mostrandomi un’altra cameretta da letto.
C’è un letto in messo, ormai coperto da uno spesso strato di polvere. Ci sono due scaffali con varie
cianfrusaglie. Il pavimento è cosparso di bossoli, caricatori di pistola e una strana sostanza marrone,
ma che non sembra sangue. Sui vetri sporchi delle finestre ci sono alcuni schizzi scuri obliqui.
Sangue.
Mi allontano pensando a cosa troverò nelle altre stanze.
La seconda è a sinistra. La spalanco con un calcio e constato che si tratta di un bagno sporco fino
all’inverosimile.
La terza e ultima porta si trova in fondo a tutto, sulla destra.
Mi avvicino lentamente con la Glock puntata davanti a me. Una volta davanti conto fino a tre e tiro
un calcio. Il colpo rimbomba per il corridoio ma la porta non si apre. Allora punto la pistola verso la
serratura e sparo due colpi, poi tiro un calcio sfondando la porta e faccio un balzo in avanti come
farebbe un agente della S.W.A.T. durante un irruzione. Ma, a differenza dell’agente, io rimango
fermo, impietrito dalla scena davanti ai miei occhi.
Tre cadaveri, o ciò che ne resta, sono distesi sul pavimento ai miei piedi, un altro è chino su una
scrivania.
“Come cazzo hanno fatto gli infetti a entrare qui se la sola entrata è quella da dove sono entrato, e
quella è sprangata!?” mi chiedo. Poi però un’attenta analisi dei corpi mi fa ricredere. I morti non
sono entrati affatto…
Due dei cadaveri indossano la tipica divisa dei poliziotti, gli altri e due morti hanno abiti civili, tutti
maschi probabilmente.
Mi avvicino di più ai resti ormai ridotti a cadaveri dei sopravvissuti: i due poliziotti si chiamano
Sanchez e Portnoy, quest’ultimo ha una pistola in mano, una 9mm, con i carrello bloccato indietro,
segno cioè che è scarica. Il teschio quasi interamente decomposto ha un foro d’entrata alla tempia
destra. Esaminando gli altri cadaveri mi accorgo che anche l’agente Sanchez gli altri e due civili
hanno la stessa ferita.
Mi immagino il loro stato d’animo dopo aver scoperto che il mondo era andato completamente a
puttane! Erano soli, poche munizioni, poco cibo (sempre se ce l’avevano)… nessuna speranza.
Facendo un giro per la stanza noto che sul tavolo vicino al secondo cadavere del civile in abiti
sportivi c’è un registratore vecchio modello. Ormai è notte e sono rassegnato a passare la notte in
quella casa, così per passare il tempo premo il tasto PLAY del registratore. Subito una voce
metallica, spenta, stanca esce dall’apparecchio:
“Mi chiamo Cormack Fincher, sono un imprenditore, o almeno lo ero. Ora mi trovo nella mia
casa mentre fuori l’umanità va a farsi fottere. Mi sono barricato qui da circa due giorni
e ormai il cibo è finito. Con me ci sono la recluta della polizia Aaron Portnoy, il
sergente Donald Sanchez e l’operaio Douglas Grant.”
Fa una pausa seguita da un sospiro.
“E qui viene la parte difficile
della storia… abbiamo preso unanimemente la decisione
peggiore che un uomo normale in circostanze ordinarie possa mai prendere… ma queste non
sono circostanza ordinarie.
Tra alcuni minuti, appena finita questa registrazione, l’agente Portnoy sparerà in testa
a ognuno di noi, per poi ripetere lo stesso trattamento anche con se… nessuno di noi
vuole trasformarsi in quelle bestie assatanate che girano là fuori.
Questa è la fine di tutto e di tutti. Di ogni cosa e di ogni essere vivente.
Qui Cormack Fincher, addio.”
Seguono alcuni spari, poi qualcuno blocca la registrazione. Mi ritrovo a piangere in silenzio, la
consapevolezza che rimangono solo alcune migliaia di esponenti del genere umano mi schiaccia
con tutto il suo peso. Lacrime salate scavano solchi sulla mia pelle irritata.
Dopo circa un’ora riesco a ricompormi e mi alzo dal pavimento. Ormai è notte fuori, non c’è un
suono, neanche gli uccelli cantano più. Barrico la porta con alcune sedie e un comodino che sta
affianco alla porta.
Ho intenzione di dormire qualche ora e poi provare a contattare gli elicotteri per il recupero…
Sono le 6.33 di mattina. Non so il giorno.
La notte l’ho passata senza imprevisti, non ho sognato niente. Il mio sonno era troppo profondo. Ho
lo stomaco vuoto, non ho mangiato niente… anche perché non ho nulla da mettere sotto i denti.
Ora esamino la radio. Si accende e sembra che trasmetta, provo tutte le frequenza finchè non trovo
quella della base.
-Qui soldato Allen Corsetti a base operativa della città di New York. Unico sopravvissuto
dell’elicottero Uno-sette-sette. Rispondete, passo.- ripeto questo messaggio almeno tre volte prima
che qualcuno mi risponda.
“Qui torre di avvistamento cinque-tre-quattro, lato nord-est della barricata della città di New York
City. Parlate Uno-sette-sette.”
Un sospiro di sollievo mi scuote. Mi viene voglia di urlare ma mi trattengo.
-Torre di controllo, richiedo estrazione immediata, passo.“Dove ti trovi, Uno-sette-sette?”
-Ehmm… - dove cazzo mi trovo!?, penso. Mi affaccio alla finestra e tutto mi appare più chiaro: in
quest’isolato abitavano dei miei amici!
-Davanti a me, a circa 100 metri, c’è la Octus Square. Se non trovate la piazza rintracciate in
qualche modo la trasmissione. Venite là, passo!“Tempo quindici minuti e siamo là, segnala la tua posizione con il fumogeno.” Dice la voce
dall’altro capo dell’apparecchio.
-Ricevuto, base. Avrò compagnia probabilmente quando verrete! Passo e chiudo.La mia conversazione si chiude là. Dovrò farmi 100 metri di corsa e tenere la posizione! Una
cazzata, no? Una cazzata che in queste circostanze può costarmi , anzi mi costerà, vita o morte.
Okay guardo l’orologio: le 6.46. Poi guardo dalla finestra, mi trovo a due metri e mezzo dal suolo.
Per strada non si vede nessuno. Ci sono un paio d’auto sul mio percorso ma dovrei riuscire a
evitarle senza problemi.
Gli intestini sono in subbuglio, sono incredibilmente nervoso. D’altronde chi non lo sarebbe. Una
risata isterica mi parte involontariamente.
Cazzo, i miei nervi stanno per partire!
Carico la Glock portando il carrello indietro e lasciandolo. Quest’ultimo scatta in avanti e manda il
primo colpo in canna. Mi restano due caricatori oltre a quello inserito. Cercherò di evitare di usare
la raffica della pistola per risparmiare colpi.
Bevo un sorso dalla borraccia riempita ormai un milione di anni fa alla base cui, se tutto va bene,
farò ritorno.
Okay, la resa dei conti è vicina, partirà quando poserò i piedi a terra e finirà quando i miei piedi
toccheranno l’elicottero.
Apro la finestra e inspiro una boccata d’aria fresca. Prendo nella mano sinistra la mia pala , nel caso
di un corpo a copro.
Nella mano destra la Glock.
Al collo un crocifisso.
Uno…
Due…
Tre…
Mi catapulto letteralmente fuori, le budella strette in una morsa d’acciaio e ogni singolo nervo teso.
Atterro a piedi uniti, l’impatto è più duro del previsto e mi fa perdere per un attimo l’orientamento,
mentre il mondo va su e giù a cause del contraccolpo. In un secondo però recupero l’equilibrio e
scatto verso lo steccato abbattuto; salto la cassetta della posta e mi ritrovo in strada, l’aria frizzante
della mattina che mi entra nei polmoni e me li brucia.
Dopo appena dieci metri sono costretto a rallentare e a scartare di lato a causa di due infetti
intrappolati in una macchina ferma in mezzo alla carreggiata. Sono innocui, lo so, ma l’istinto ormai
mi dice che meglio ci sto lontano da quei cosi meglio è.
Dopo alcuni secondi di corsa a piena velocità con 5 chili di equipaggiamento in mano mi sento
come se un qualcuno mi stesse appiccando un fuoco nella cassa toracica.
Mi viene voglia di urlare.
Due zombie compaiono da dietro un furgoncino bianco accappottato, non ho tempo di prendere la
mira e sparo istintivamente: colpisco il più vicino - un uomo di circa 50 anni vestito in quelli che
sembrano resti di una canottiera e pantaloncini – in faccia e al collo. La forza dei tre colpi lo
proietta all’indietro.
Ma il carrello della pistola rimane indietro dopo aver espulso l’ultimo bossolo. Cazzo!
Istintivamente ancora una volta porto di scatto il braccio sinistro avanti, sbattendo la pala contro la
tempia del secondo non-morto. La scena si svolge troppo velocemente per capire cosa succeda
esattamente, ma sento solo un forte CRACK e vedo di sfuggita il corpo che cade a peso morto da un
lato.
Non ho tempo ricaricare ma tengo la pistola in mano e continuo la mia folle corse della speranza,
verso la piazza… verso la salvezza.
Un altro bastardo mi si para davanti e sfortunatamente non riesco a evitarlo, ma prima di cozzare
violentemente contro il suo sterno abbasso la testa in modo da trasformarmi in un ariete da
sfondamento. Il mio piano funziona solo in parte però, visto che il mostro è più piazzato del solito e
così cadiamo tutti e due a terra. Lui ha difficoltà ad alzarsi, io mi tolgo il casco e lo alzo sulla sua
testa. Riempio i polmoni e calo il casco con tutta la forza; uno schizzo di sangue mi investe la
mimetica (non ho più il tattico, che ho lasciato nella casa insieme allo zaino) e un altro forte CRACK
rimbomba per la strada deserta.
Mi rialzo un pò ammaccato e continuo a correre, tenendomi con una mano il fianco. L’urto mi ha
tolto il fiato ma fortunatamente sono quasi arrivato.
-Controllo… chiunque sia in ascolto… DOVE CAZZO SIETE?!Scariche elettrostatiche seguite da una voce. “Stiamo venendo Uno-sette-sette, resisti. Tempo
cinque minuti e siamo da te!”
-Ricevuto, lancio il fumogeno”
Appena arrivato a una postazione mitragliatrice fatta di sacchi di sabbia posizionata a un margine
della piazza rettangolare mi ci butto contro e sfilo il fumogeno verde dal cinturone tattico; sfilo la
sicura e lo lancio. Questa operazione mi costa un bello sforzo e mi causa una fitta di dolore al fianco
destro. In questi giorni devo aver collezionato un bel pò di ematomi, mi sento a pezzi!
Con un ultimo sforzo scavalco il basso muro di sacchi e mi faccio cadere ad di là del semicerchio
formato dalla piccola fortificazione. Quando cado mi raddrizzo e mi volto alla mia destra, dove un
Marines (o un Ranger, difficile da capire), o almeno il suo scheletro, mi guarda beffardamente con
gli abiti logori, l’elmetto buttato tra le gambe e un foro di proiettile sulla parte superiore del cranio.
Rabbrividisco e mi scanso più in là. Inserisco un nuovo caricatore nella pistola e, prima mettendomi
a gattoni, mi alzo in piedi con uno sforzo immane. Sono sfinito!
Se gli elicotteri non vengono sono fottuto, non ho forze neanche di combattere. Credo mi sparerò
come il soldato ai miei piedi e i poliziotti nella casa.
Alzo lo sguardo e cerco di vedere qualche puntino nero nel cielo, ma non noto nulla.
Mi giro e do un’occhiata alla strada da ci sono venuto, si sta riempiendo poco a poco: da vicoli, case
e veicoli cominciano a uscire decine di quei bastardi. Incominciano ad avvicinarsi a passo lento, poi
pian piano accelerando in modo da disporsi tutti su una stessa linea. Sembra che vogliano caricare
tutti su una stessa fila… ci odiano davvero così tanto?
-No... No…!- riesco a mormorare. Incredibilmente però non provo niente: né paura, né rabbia, né
disperazione… sono solo rassegnato… si, rassegnato.
Dopo circa due minuti circa 50 infetti si sono disposti su una sola fila e iniziano ad avvicinarsi
lentamente: sembra di vedere un assembrano di poliziotti che caricano i manifestanti!
Quasi inconsapevolmente tendo il braccio e tolgo la sicura alla pistola. Lascio cadere la pala e
afferro l’arma a due mani, chiudo un occhio e prendo la mira; sparo due colpi sulla folla e comincio
a indietreggiare. Faccio due metri e sparo, dopo qualche minuto quindici infetti sono a terra. Gli
altri continuano a camminare piano, anche se possono tranquillamente caricarmi in massa. Sembra
che la mia presenza non li preoccupi minimamente.
Dopo circa 20 metri la pistola è scarica: sfilo l’ultimo caricatore dal cinturone, espello quello
esausto e inserisco quello nuovo. Ricomincio a sparare, l’odore pungente della polvere da sparo
nelle fosse nasali e alcune decine di bossoli luccicanti ai miei piedi…
Tre colpi sparati, mi giro per allontanarmi ma un dolore acuto e lancinante mi pervade la gamba,
provocandomi fitte fortissime. La gamba mi cede a cado a terra, affianco a quello sporco bastardo
che mi aveva preso. L’essere, un uomo di mezz’età con le gambe maciullate dal ginocchio in sotto,
cerca di mordermi di nuovo ma gli do un calcio in bocca - rompendogli la mandibola – seguito da
un proiettile scintillante 9mm nell’occhio destro.
Mi rialzo a fatica, sparando in faccia a un altro essere che mi correva contro.
Dove cazzo sono gli elicotteri?!
All’improvviso un rombo potente mi entra con forza nelle orecchie, percuotendomi il timpano. Alzo
la testa e due Little Bird mi sfrecciano sulla testa, sparando con le mitragliatrici a nastro verso la
folla di mostri. Una pioggia di bossoli di grosse dimensioni mi investe.
Insieme a quel frastuono mi metto a urlare... Forse per scaricare la tensione, forse per esultare. Ma
lo faccio!
Alzo il braccio e sparo verso la folla sette o otto colpi in rapida sequenza fino a quando la pistola
non è scarica.
Una macchina esplode, investendomi di minuscoli pezzi di vetro e metallo. Ma non mi importa
niente, sono troppo felice!
Alzo la mano e la agito, urlando. Intorno a me l’apocalisse!
In effetti la musica di Apocalipse Now non ci starebbe male, penso. E subito dopo scoppio a rider da
solo, pensando che ormai la mia saluta mentale è compromessa totalmente.
Un enorme Black Hawk si avvicina. Mi riparo dietro i resti di un carroarmato distrutto da tempo. Lo
spostamento d’aria causato dalle pale dell’enorme bestione metallico è impressionante e devo
chiudere gli occhi in mancanza degli occhiali. Dopo alcuni minuti però l’elicottero ha terminato la
sua manovra di atterraggio e mi riesco a avvicinare.
I portelloni sono aperti, la canna un’enorme M60 nera e lucente spunta da una specie di feritoia, ma
noto che non c’è nessuno a manovrarla. All’improvviso una mano guantata esce dalla fusoliera
facendomi saltare in aria dallo spavento. L’afferro e riesco a salire sull’elicottero.
Che bellissima sensazione! Sono finalmente in salvo su un elicottero corrazzato e con una scorta di
Little Bird.
-Ehi Allen, ti ricordi di me?- stavo quasi per addormentarmi cullato dall’elicottero che si alzava
quando una voce familiare mi sveglia. Abbasso lo sguardo (tenevo la testa appoggiata al sedile con
gli occhi chiusi) e guardo la figura del soldato davanti a me: indossa un casco tattico verde con
occhiali scuri da sottoufficiale di bordo che gli copre quasi interamente il viso; nonostante questo
però riconosco in lui una figura familiare.
Cerco di parlare ma ho la gola secca e non riesco a emettere suoni.
-Okay ti rinfrescherò la memoria…- dice passandomi una borraccia e slacciandosi il casco. Mentre
il soldato si toglie il casco bevo un lungo sorso di acqua fresca dalla borraccia metallica,
distogliendo lo sguardo per un attimo dalla figura davanti a me.
Quanto tolgo la borraccia da davanti a me, guardo con stupore la faccia magra e pallida del mio
vecchio compagno di squadra… non ci posso credere, tra tanti soldati proprio lui è capitato nella
missione di soccorso…
Davanti a me c’era Norman Harrison!
Scoppio a ridere scosso da spasmi violenti. –Norm, che ci fai qui?!-Quando ho sentito che un soldato di nome Allen se ne andava in giro per i resti di New York,
allora mi sono detto che non potevi essere che te. – mi spiega con un sorriso stampato in faccia. Poi
aggiunge con una calma incredibile e con il sorriso che da raggiante diventa stanco: -Sei un eroe in
città, amico. Congratulazioni!Quella frase mi lascia esterefatto… Io? Un eroe? Non poteva essere…
-Dici davvero…?- domando quasi in un sussurro.
Ma la sua espressione sulla faccia era diventata come quella di uno che studia un qualcosa. Poi sul
suo viso impolverato si dipinge una smorfia d’orrore, la faccia diventa bianca.
Che diavolo sta guardando? Penso.
Seguendo il suo sguardo mi rendo conto che Norman sta osservando la mia gamba.
-Che… che cazzo ha fatto alla gamba?- mi domanda balbettando, mentre la mano si muove verso il
fianco.
-Cosa? Che dici?- lo guardo stupefatto.
Abbasso lo sguardo che incrocia il mio polpaccio destro, insanguinato e maciullato, con il pantalone
della mimetica a brandelli. Sangue scuro mi scende verso gli anfibi.
È strano però, non sento dolore…
Poi tutto d’un colpo la triste realtà dei fatti mi torna in mente!
Lo zombie senza gambe che mi mordeva facendomi cadere, il calcio che gli scagliavo in piena
faccia e poi la Glock puntata verso lui che faceva fuoco… All’improvviso mi sento mancare, gli
intestini stretti in una morsa.
Abbasso la testa per guardare meglio la ferita. Dopo alcuni minuti la rialzo e mi trovo davanti la
canna scura di una pistola, tenuta in mano dal braccio di Norman.
Lo fisso incredulo. –Che cazzo stai facendo?- dico in un sussurro.
-Mi dispiace… mi dispiace davvero…- mi dice.
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