Scarica il PDF - Settimanale Tempi

Transcript

Scarica il PDF - Settimanale Tempi
Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, NE/VR | numero 31-32-33 | 20 agosto 2014 |  2,00
settimanale diretto da luigi amicone
numero 31-32-33 | 20 agosto 2014 |  2,00
EDITORIALE
Missione Tempi
Cari lettori, ecco perché vi chiediamo
fiducia e il doppio degli abbonamenti
V
ent’anni fa, quando Tempi si presentò
per la prima volta sul palcoscenico del Meeting di Rimini, Vittorio Feltri ci benedì, Gad Lerner scommise che non avremmo mangiato il panettone di Natale. Era l’agosto
del 1995. E si capisce, Gad perse la scommessa. Entrando nel nostro ventesimo anno di azione in un contesto economico e sociale difficilissimo siamo
quasi obbligati a rendere incandescenti le ragioni della nostra avventura. Ed
ecco l’incandescenza: dentro la notizia di una clamorosa svolta giudiziaria
su un fatto atroce di 27 anni fa – l’assassinio di una nostra amica, Lidia Macchi (vedi a pagina 48) – una strana provvidenza ci ha condotto a ricordarci
che tutte le ragioni di questo giornale affondano in un incontro. L’Incontro.
Se abbiamo fatto Tempi è per portare dentro la nostra professione l’entusiasmo per Gesù Cristo come «chiave di volta della storia e dell’universo», direbbe Giovanni Paolo II. Per portare un rivolo di «invincibile compagnia» (e
questo è don Giussani). Le circostanze ci hanno condotto a fare gli imbrattacarte piuttosto che gli imbianchini? Bene, da imbrattacarte cerchiamo di
giudicare tutto e trattenere la bellezza; di raccontare la vita fino al punto di
documentare la speranza che è in essa.
Speranza. Per fare e rifare popolo. Per- Tempi è una piccola Missione
ché solo nella speranza un popolo si fa nella grande terra del
diavolo. Che non sono “quelli
e parte, dentro ogni situazione, positiche stanno dall’altra parte”.
va o avversa che sia.
Ma chi predica contro l’uomo
Vogliamo dire una parola straziata
ma esatta? Missione. Questo giornale è una piccola missione nella grande
terra del diavolo. Che non sono i non credenti e tutto ciò che non è dalla
“nostra parte”. Terra del diavolo è il mondo là dove insegna che l’uomo,
l’essere che dice “io”, che cerca ragioni e che porta scolpita dentro un’ansia di felicità che non lo fa rassegnare a finire ai vermi, è una passione
inutile. Tempi esiste per questo, per incontrare uomini e per difendere la
passione per l’uomo. Perciò, non ci sorprende il coraggio con cui certi illustri amici e lettori (alcuni li vedete già in tempi.it, i vescovi Negri e Cavina, l’ebrea Angelica e la cattolica Costanza) hanno esposto la faccia per
dire che la voce di Tempi ha un valore. Perciò, rilanciamo la palla. “Missione Tempi. Raddoppiamo gli abbonamenti”. Che significa proprio questo:
regalate un abbonamento a un amico. Oppure segnalate all’ufficio abbonamenti persone alle quali ritenete che Tempi potrebbe interessare e noi
provvederemo a contattarle. O ancora, dateci dei nomi di amici, conoscenti, parenti, da abbonare con formule promozionali. Insomma, cari abbonati e lettori della prima e dell’ultima ora, fatevi venire delle idee e non
mollate, non ci mollate proprio adesso. Adesso che tenere piantata questa
bandiera sotto il vento sferzante della
Avviso ai lettori
miseria economica e della ricca “distrazione di massa” diventa un’impreQuesto numero di Tempi resterà
in edicola tre settimane. Il prossimo
sa ardimentosa e, perciò, necesnumero uscirà dunque il 21 agosto.
saria. Grazie dell’amicizia.
MINUTI
Un brutto incubo
eppure vero
Ho fatto un sogno. Mi trovavo in
un paese mediorientale dalle strade
polverose, sotto a un cielo color piombo. Sulla porta della mia casa qualcuno nella notte aveva tracciato un
segno con il gesso. Quel segno significava che dovevamo andarcene. Partire, scappare anzi, subito, o morire.
Nel sogno avevo una grande famiglia,
genitori anziani, fratelli e sorelle, e
una nidiata di bambini. Era mattina,
e l’ordine era di partire entro la notte. Recuperavamo un vecchio camion
scalcinato. Ma non ci saremmo stati
insieme, tutti quanti, a bordo. Qualcuno avremmo dovuto lasciarlo lì. Il
vecchio padre del sogno era immobile in un letto: lui stesso ci chiedeva di
lasciarlo morire in casa sua. Poi c’era
un fratello in carrozzella, e la carrozzella proprio sul camion non ci stava.
Anche lui, sarebbe rimasto.
Il cielo sopra di noi si faceva sempre più basso e più livido. All’ora della partenza uno dei bambini piccoli
non si trovava: sparito – era forse andato a cercare il suo gatto? – e l’ora
dell’ultimatum stava per scattare.
Infine eravamo sul camion, che ansimando si metteva in moto. Ma io
avevo il cuore tagliato a metà, per
quelli che avremmo dovuto lasciare.
Degli uomini armati, minacciosi, gridando ci facevano fretta. Partivamo.
Il camion sulle buche della strada
sobbalzava, e a un urto più forte mi
sono svegliata.
Un incubo, naturalmente. E però
quanto vero. Come se avessi visto con
i miei occhi un giorno di questi, in
una casa cristiana, a Mosul.
Marina Corradi
|
| 20 agosto 2014 |
3
SOMMARIO
NUMERO
31/32/33
08 PRIMALINEA LA FUGA DEI CRISTIANI IN KURDISTAN | CASADEI
numero 31-32-33 | 20 agosto 2014 |  2,00
Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr | numero 31-32-33 | 20 agosto 2014 |  2,00
settimanale diretto da luigi amicone
L’odissea di due milioni di
profughi iracheni. Con loro
gli ultimi cristiani vittime
della persecuzione jihadista
E l’Occidente dov’è?
LA SETTIMANA
20 CULTURA L’INDOMABILE PREVOST | SCHIRLE
Minuti
Marina Corradi............................3
Foglietto
Alfredo Mantovano...........7
Mamma Oca
Annalena Valenti............... 39
Ricorrenze
Carla Vites.......................................42
Sport über alles
Fred Perri.......................................... 44
Cartolina dal Paradiso
Pippo Corigliano..................45
14 ESTERI ISRAELE E PALESTINA.
UN CONFLITTO INFINITO
Lettere dalla fine
del mondo
Aldo Trento...................................45
Mischia ordinata
Annalisa Teggi........................50
RUBRICHE
26 SOCIETà PERIFERIE. CRISTO IN SIBERIA | Turnaev
48 TESTIMONI LA LETTERA DI LIDIA MACCHI
L’Italia che lavora............... 34
Stili di vita........................................... 38
Motorpedia....................................... 40
Lettere al direttore.......... 44
Foto: Getty; Sintesi/Photoshot
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
settimanale di cronaca, giudizio,
libera circolazione di idee
Anno 20 – N. 31/32/33
dal 31 luglio al 20 agosto 2014
DIRETTORE RESPONSABILE:
LUIGI AMICONE
REDAZIONE: Laura Borselli, Rodolfo Casadei
(inviato speciale), Caterina Giojelli,
Daniele Guarneri, Pietro Piccinini
IN COPERTINA: Foto Getty Images
PROGETTO GRAFICO:
Enrico Bagnoli, Francesco Camagna
UFFICIO GRAFICO:
Matteo Cattaneo (Art Director), Davide Viganò
FOTOLITO E STAMPA: Elcograf
Via Mondadori 15 – 37131 Verona
DISTRIBUZIONE a cura della Press Di Srl
SEDE REDAZIONE: Corso Sempione 4, Milano, tel.
02/31923727, fax 02/34538074, [email protected], www.tempi.it
EDITORE: Tempi Società Cooperativa, Corso Sempione 4, Milano
La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui
alla legge 7 agosto 1990, n. 250
CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITà:
Editoriale Tempi Duri Srl
tel. 02/3192371, fax 02/31923799
GESTIONE ABBONAMENTI:
Tempi, Corso Sempione 4 • 20154 Milano, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13
tel. 02/31923730, fax 02/34538074
[email protected]
Abbonamento annuale cartaceo + digitale 60 euro.
Abbonamento annuale digitale 42,99 euro. Per abbonarti: www.settimanale.tempi.it
GARANZIA DI RISERVATEZZA
PER GLI ABBONATI: L’Editore garantisce la massima
riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a: Tempi Società Cooperativa, Corso
Sempione, 4 20154 Milano. Le informazioni custodite
nell’archivio elettronico di Tempi Società Cooperativa
verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati
la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse
pubblico (D.LEG. 196/2003 tutela dati personali).
FOGLIETTO
L’INSEGNAMENTO DEL PROFETA GIONA
Il terrore islamista è
un segno. Non possiamo
voltarci dall’altra parte
|
DI ALFREDO MANTOVANO
«U
na generazione perversa e adultera pretende un segno! Ma
nessun segno le sarà dato, se
non il segno di Giona profeta» (Mt. 12, 39).
Le parole di Gesù rivolte ai farisei e agli
scribi vengono in mente, con un significato tragicamente attuale, davanti al video della distruzione di uno dei simboli dell’islam sciita, la moschea di Giona,
sulla collina di Al Tauba, a Mosul, costruita attorno a quella che secondo la tradizione era la tomba del profeta. Ricordando
la storia di Giona, Gesù racconta la grandezza della misericordia di Dio a chi non
ha alcuna voglia di sentirlo: Ninive aveva
ascoltato, si era convertita e non era stata distrutta grazie alla
predicazione del profeta,
In Iran, Libano E Somalia i terroristi
inizialmente riottoso ad
avevaNO saggiato il “nemico”
adempiere il mandato riE
TESTATO
LA SUA REAZIONE. COSì l’11
cevuto; i farisei e gli scribi
settembre
lo haNNO colpito A CASA
sono comparati ai pagani
di Ninive e ne escono maSUA, a coronamento di una strategia
le, dal momento che rifiutano la predicazione del più grande dei berati” dall’Isil, in Iraq come in Siria, e poi
profeti, e pretendono da lui dimostrazioni dall’Egitto e dalla Nigeria.
In uno studio del settembre 2004 pubtangibili di potenza terrena.
Duemila anni dopo, al profeta Giona è blicato sulla rivista americana Commentaassociato un segno altrettanto esplicito e ry – tradotto e comparso sul Foglio – Norterribile. Ancora una volta è un segno di di- man Podhoretz, esponente di punta dei
struzione – non evitata, come a Ninive, ma neocon dopo esserlo stato della sinistra
realizzata –, che colpisce un simbolo del- newyorkese, elencava puntigliosamente –
la fede cristiana, ricordato al tempo stesso a partire dal 1979, da quei 52 diplomatici
dal Corano. Un “segno” che ha conosciuto presi in ostaggio nell’ambasciata americauno spazio mediatico e di riflessione pari a na di Teheran da alcuni “studenti” iraniaqualche ora sui tg e a qualche colonna per ni – la serie incredibile di attentanti contro
ogni testata giornalistica il giorno succes- cittadini americani, rimasti senza alcun tisivo l’esplosione; poi più nulla. Come poco po di reazione da parte del governo fedepiù di nulla sono l’informazione e la sensi- rale. E ha ricordato, in particolare, che la
bilità relative all’esodo forzato e sanguino- convinzione di Osama Bin Laden di poter
so dei cristiani da Mosul, dai territori “li- aggredire in modo devastante il territorio
Giovedì 24 luglio
lo Stato islamico ha raso
al suolo uno dei simboli
di Mosul, la grandiosa
moschea del profeta Giona
sulla collina di Al Tauba
americano l’11 settembre 2001 è maturata avendo osservato l’atteggiamento che
le varie amministrazioni di Washington
avevano tenuto dopo le aggressioni subite da militari o civili statunitensi all’estero: in Libano, nel 1983, quando centinaia
di marine perirono sotto le macerie di una
caserma per mano degli hezbollah; in Somalia, nel 1993, dopo l’uccisione di alcuni ranger in missione di pace. In Iran, in
Libano, in Somalia, il terrorismo islamico
aveva saggiato il “nemico”; l’11 settembre
2001 lo ha colpito, convinto di poterlo fare, a coronamento di una strategia che ha
una sua logica, pur se criminale.
Cambiando ciò che va cambiato, discorso identico vale per le comunità cristiane oggi violentate e messe in fuga dalle loro terre. Disinteressarsene, da parte
dell’Europa e dell’Occidente, equivale a
moltiplicare gli attacchi nei loro confronti. È una indifferenza che provoca morte: anche per questo la “generazione” di
un secolo aperto dall’abbattimento delle
Twin Towers merita la qualifica di “perversa e adultera”. Ancora una volta il “segno di Giona” – in questo caso le rovine
della sua tomba – ammonisce che girarsi dall’altra parte equivale a radere al suolo le radici di fedi, popoli e civiltà; mentre l’esperienza di chi ha ascoltato, anche
all’ultimo momento utile, rassicura che
cogliere quel “segno” non è mai vano.
|
| 20 agosto 2014 |
7
Nella foto, uno dei cristiani
iracheni rifugiati in Kurdistan.
«Mi sono venuti in mente i giorni
delle rappresaglie di Saddam
Hussein, quando vennero
confiscate le dimore dei curdi
che si opponevano al suo regime,
e io dovetti abbandonare casa
insieme alla mia famiglia sotto
lo sguardo di uomini armati.
In ogni profugo noi curdi
rivediamo la nostra stessa
storia, per questo li ospitiamo»
COPERTINA
|
DI rodolfo Casadei
Foto: Getty
Protetti
solo dal Cielo
Due milioni di profughi che lasciano l’Iraq.
Ecco cosa ha provocato la pulizia etno-religiosa
della follia jihadista. Gli ultimi cristiani di Mosul
hanno trovato riparo nella regione musulmana
del Kurdistan. «Ma perché i paesi europei
non aiutano queste persone? Cosa aspettano?»
|
| 20 agosto 2014 |
9
10
| 20 agosto 2014 |
|
nità, a tutti i paesi di tradizione cristiana
e non solo, affinché le famiglie di Mosul,
Ninawa e Qaraqosh non vengano sradicate dalla loro terra e non siano costrette a fuggire dalle loro case, come successe in passato al popolo curdo». A parlare è
la signora Rezan Kader, Alto rappresentante del Governo regionale del Kurdistan iracheno (Krg) in Italia. E sarebbe bello che i
suoi interrogativi aiutassero a concentrare
i riflettori su quest’ultima infornata di vittime del fanatismo: i cristiani iracheni del
nord del paese spogliati di tutti i loro beni,
dalle case agli effetti personali, con modalità che, come ha ricordato il patriarca caldeo Louis Sako, nemmeno Gengis Khan
arrivò a concepire e praticare quando otto
secoli fa invase i territori che corrispondono all’Iraq di oggi; le altre minoranze etniche e religiose che l’Isil ha deciso di cacciare dai territori che ora controlla con
un’operazione di pulizia etno-religiosa che
non risparmia gli edifici sacri dei vari culti: sciiti, yazidi, shabak.
Il Kurdistan che ospita profughi di
etnia e/o religione diverse da quelle della
sua maggioranza merita gli applausi, ma
avrebbe bisogno anche di tanto aiuto perché da solo non ce la può fare. Si calcola
che l’avanzata dell’Isil fra giugno e oggi
abbia causato 500 mila sfollati, 300 mila
dei quali si sono diretti nel Kurdistan, dove
nella prima metà di quest’anno sono arrivati anche 250 mila profughi dalla Siria. In
totale, calcolando sfollati interni iracheni
e profughi, nell’attuale Kurdistan iracheno si stima la presenza di 1,2 milioni di
persone fuggite da situazioni di pericolo,
molte delle quali sono installate in 1.600
campi profughi e centri di accoglienza che
sono stati nel corso del tempo attrezzati.
Tutte le altre si sono ricongiunte a parenti
o altri affini già insediati da molto tempo
in territorio curdo. In tutto l’Iraq, profughi
e sfollati sono arrivati a 2 milioni.
A parte gli ovvi problemi logistici creati da un esodo di massa in piena stagione estiva (con temperature diurne normalmente superiori ai 40 gradi), c’è un grosso problema politico che incombe come
un macigno pericolante sulle teste dei profughi e non solo sulle loro: dall’inizio di
Foto: AP/LaPresse
«M
i sono comm o s s a
quando ho
visto sulle
nostre tv
le immagini degli sfollati cristiani che arrivavano nei
centri di raccolta del Kurdistan spogliati
di tutto, derubati fino all’ultimo orecchino delle loro bambine. Mi sono venuti in
mente i giorni delle rappresaglie di Saddam Hussein e successivamente dell’operazione Anfal, quando vennero confiscate le dimore dei curdi che si opponevano
al suo regime, e io dovetti abbandonare
casa mia insieme alla mia famiglia sotto lo
sguardo di uomini armati. In ogni profugo
noi curdi rivediamo la nostra stessa storia,
per questo ospitiamo i cristiani di Mosul
e Qaraqosh e i fuggitivi di tutte le etnie e
religioni sul nostro territorio. Ma perché i
paesi europei, di tradizione cristiana, non
corrono in aiuto di queste persone? Perché non si impegnano massicciamente
sul fronte umanitario? Questo mi scandalizza. Mi sento di fare un appello all’uma-
LA LETTERA
Foto: AP/LaPresse
NAZARA «Anche io sono seguace del Nazareno»
La pittrice Letizia
Fornasieri ha scritto una
lettera ad Avvenire che
riportiamo qui di seguito. «Gentile direttore, ho
letto il suo editoriale ed
altri articoli sui cristiani
di Mosul. Le loro case
segnate dalla lettera N
in arabo, che significa
“nazara” cioè seguaci
del Nazareno. Qualcosa
per loro si deve fare!
Anche un segno visibile
della nostra vicinanza!
Mi sono messa una
fascia bianca al braccio
su cui ho riprodotto la
lettera N in arabo. Per
essere “segnata” anch’io,
perché anch’io sono
seguace di Cristo. Spero
che altri ci pensino».
quest’anno il governo centrale di Baghdad
non versa più al Krg quel 17 per cento del
bilancio dello Stato che a norma di costituzione gli toccherebbe. A causa di una controversia che riguarda l’estrazione e la vendita del petrolio dai nuovi pozzi petroliferi
della regione. Per colmare il buco nei conti, il Krg ha cominciato a vendere direttamente all’estero il petrolio estratto dai suoi
pozzi, sfruttando l’oleodotto che collega
il suo territorio al porto turco di Ceyhan
(i rapporti fra la Turchia di Erdogan e il
governo del Kurdistan iracheno sono molto buoni da tempo), e questo ha acuito la
tensione fra le due parti, perché Baghdad
considera illegali tali vendite. Gesti di rottura e riavvicinamenti si susseguono da
settimane: il premier uscente al Maliki è
arrivato ad accusare i curdi di dare ospitalità ai leader dell’Isil sul loro territorio,
mentre il presidente del Kurdistan Massoud Barzani ha dichiarato che un referendum di autodeterminazione per la secessione della regione dall’Iraq è imminente;
nello stesso tempo le due parti hanno concorso all’elezione di due delle tre principa-
li cariche istituzionali nazionali, da rinnovare dopo le elezioni politiche dell’aprile
scorso: la presidenza del Parlamento, andata al sunnita Salim al Juburi e la presidenza della repubblica dell’Iraq, per la quale
è stato scelto il curdo Fuad Masum. Ma il
nodo dei mancati trasferimenti finanziari resta immutato e grave, al punto che da
mesi il Krg ha grosse difficoltà a pagare gli
stipendi della funzione pubblica e le pensioni di guerra, che da sole portano via il
70 per cento del suo bilancio.
Il Kurdistan iracheno è una regione
abitata da 5 milioni di persone (sfollati e
profughi rappresentano più di un quinto
dei residenti) senza sbocchi sul mare, che
importa l’80 per cento delle merci di cui
ha bisogno dalla Turchia. Lo sforzo che il
suo governo e i suoi abitanti, in particolare
le sue minoranze religiose, stanno facendo per aiutare gli sfollati è eroico, ma difficilmente potrà protrarsi ancora a lungo.
In una dichiarazione ad Afp del 4 luglio
scorso il vice capo del dipartimento per le
relazioni con l’Estero del Krg Dindar Zebari aveva detto: «Tante organizzazioni par-
COPERTINA PRIMALINEA
tecipano agli aiuti, ma la situazione per
il governo regionale è difficile e i consigli
provinciali non hanno abbastanza denaro per assistere gli sfollati». Aveva aggiunto che il governo centrale di Baghdad normalmente fornisce un aiuto una tantum
equivalente a 250 dollari per famiglia agli
sfollati, ma era necessario registrarsi per
riceverlo, cosa non facile per molti nuclei
familiari nella situazione attuale.
L’intervento degli Emirati Arabi
Due settimane dopo il primo ministro del
Krg Nechirvan Barzani, in una dichiarazione diffusa dall’agenzia di stampa del suo
governo che è un appello perché sia fornita assistenza ai cristiani sfollati in territorio curdo ma anche un atto di accusa contro Baghdad, ha fatto il punto sulle difficoltà finanziarie: «Il governo regionale del
Kurdistan, in coordinamento con l’ufficio
dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), ha fornito assistenza a centinaia di migliaia di profughi
e sfollati che hanno trovato rifugio nella
regione del Kurdistan. Tuttavia il numero
di rifugiati e sfollati aumenta di giorno in
giorno. Il governo iracheno, che ha sospeso i trasferimenti dal bilancio nazionale a
quello del Krg, ha nello stesso tempo rifiutato di assumersi qualunque responsabilità per gli sfollati interni che attualmente
hanno trovato rifugio nella nostra regione.
A causa di tali circostanze e della difficile
situazione economica che il governo iracheno ha causato in Kurdistan, facciamo
appello a tutti i paesi, alle organizzazioni
caritative e alla comunità internazionale
perché forniscano assistenza ai profughi e
agli sfollati nella nostra regione».
Il Barzani primo ministro ha ricevuto
e ringraziato il console degli Emirati Arabi Uniti a Erbil, unico paese che ha messo
mano al portafoglio per questi profughi.
Antonio Guterres, l’Alto commissario Onu
per i Rifugiati che ha visitato il Kurdistan,
ha annunciato il suo sollievo per l’immi|
| 20 agosto 2014 |
11
PRIMALINEA COPERTINA
nente versamento di 500 milioni di dollari da parte dell’Arabia Saudita destinati
a questa nuova crisi umanitaria, e ha lodato esplicitamente il governo e la popolazione della regione: «Sono edificato dalla
generosità e dalla solidarietà del governo
e del popolo del Kurdistan in questo difficile momento. Va apprezzata questa politica di mantenere le porte e i confini aperti alle persone in cerca di aiuto a prescindere dall’etnia o dalla religione. Questo
atteggiamento di tolleranza e apertura ha
un importante significato simbolico in un
momento in cui dobbiamo evitare a tutti i
costi una guerra di religione in Iraq».
Come s’è detto all’inizio, l’Isil si è accanito su tutte le minoranze religiose, non
ro uno, nessuno la numero due per il semplice motivo che già da anni i cristiani di
Mosul erano taglieggiati dall’Isil e da altre
bande islamiste che riscuotevano il “pizzo” sulle loro attività commerciali. Fra l’altro l’importo dell’imposta fissata dallo Stato islamico è di 550 mila dinari, una cifra
insostenibile per la maggior parte degli
iracheni: equivale a 450 dollari americani,
che è l’ammontare del salario mensile di
un insegnante di prima nomina.
Nel “Vaticano” dei caldei
Quel che è successo ai cristiani in fuga da
Mosul il 19 luglio (data di scadenza dell’ultimatum) è stato raccontato da molti testimoni. «Abbiamo ficcato tutte le nostre
CENTINAIA DI CRISTIANI HANNO CAMMINATO PER OLTRE 70
CHILOMETRI PORTANDO I BIMBI IN SPALLE. L’ISIL AVEVA
TOLTO LORO TUTTO. ANCHE L’ACQUA E IL LATTE PER I NEONATI
solo sui cristiani. Anche molti musulmani
sunniti si sono sentiti in pericolo al punto
di fuggire. Quasi solo ai cristiani, però, è
capitato di essere completamente spogliati
dei loro beni, dopo essersi illusi che niente
di male sarebbe loro capitato. Per tre settimane, infatti, la vita si è svolta serenamente dopo la presa di Mosul da parte dell’Isil,
a parte le croci sulle chiese sostituite dalla bandiera nera dei jihadisti e una statua della Vergine Maria distrutta. L’unica
accortezza consisteva nell’adozione da parte delle donne cristiane dell’abbigliamento femminile islamico di stretta osservanza. Poi nel giro di tre giorni sono arrivate le
“n” di “nazareni” dipinte sulle pareti esterne delle case dei cristiani, la scritta “proprietà dello Stato islamico” apposta il giorno successivo e infine l’editto che imponeva ai cristiani di scegliere fra quattro possibilità: convertirsi all’islam; pagare la tassa
speciale di sottomissione (la jizya); andarsene per sempre dalla città; essere uccisi.
Pochissimi hanno scelto l’opzione nume12
| 20 agosto 2014 |
|
cose dentro a due auto. Sono partita con
mio marito e due figli», ha raccontato una
donna. «Contrariamente a quanto accaduto ad altri che sono passati dopo di noi,
non ci hanno preso la macchina, ma hanno rubato tutto il denaro e i bagagli. Hanno perfino voluto il biberon del mio bambino più piccolo», ha raccontato una donna cristiana profuga a Erbil all’inviato di
Le Monde. La Aina, Assyrian International
News Agency, chiarisce che il fato dei cristiani di Mosul è stato condiviso anche dai
cristiani di altre località della zona: «L’Isil
ha creato due posti di blocco all’uscita da
Mosul nei quartieri di al Sada e Biawaizah
e ha derubato e spogliato tutti i cristiani
che abbandonavano la città. È stato sottratto loro denaro, automobili, cellulari,
alimenti, oro e bigiotteria indistintamente, apparecchiature elettroniche e perfino
medicinali. Più di 85 famiglie che hanno
abbandonato Qaraqosh hanno comunicato di essere state derubate di tutte le loro
proprietà. Centinaia di cristiani sono sati
costretti a camminare di notte per 70 chilometri, fino a Tal Afar, dopo che l’Isil aveva confiscato le loro automobili. Trasportavano i loro bambini sulle spalle e sono
arrivati esausti e disidratati». Un’altra cristiana fuggitiva ha raccontato a Radio Free
Europe: «Hanno aperto il barattolo del latte in polvere del neonato e hanno versato il
contenuto sulla strada. Li abbiamo implorati di lasciarci le bottiglie con l’acqua, per
tenere buoni i bambini durante il viaggio,
ma le hanno aperte tutte e versato l’acqua
di fronte a noi».
A Erbil i cristiani profughi che non
hanno parenti in grado di accoglierli
nel quartiere a maggioranza cristiana di
Ankawa trovano ospitalità in palestre, parrocchie e cortili di strutture imprenditoriali. Per esempio il cortile della Babylon
Media Company, che gestisce una radio
e una tv locali, fin da giugno ha ospitato
una grande tenda suddivisa in spazi più
piccoli con alcune decine di famiglie. Finché non c’è stato più spazio per nessuno:
«Ho respinto la sesta auto oggi. Piangevano tutti», ha raccontato il manager della compagnia Noor Matti. «Siamo pieni,
non possiamo accettare più nessuno. Non
abbiamo aiuti da nessuno. Abbiamo bisogno che arrivino le Ong!».
Non si creda però che i cristiani pensino solo ad aiutarsi fra di loro. Nella cittadina di Alqosh, il “Vaticano” dei caldei
(sede del monastero dove fu decisa la ricongiunzione con la Chiesa di Roma), migliaia di musulmani, sciiti e sunniti, hanno
trovato rifugio sin dai giorni della caduta di Mosul. «Abbiamo accolto 2 mila fuggitivi, e di questi solo 40 famiglie sono cristiane, tutti gli altri sono musulmani sciiti
o sunniti, turcomanni o arabi», dice padre
Gabriel Waheed, superiore del convento
dei monaci antoniani di Alqosh. È evidente che l’Isil vuol mandare in pezzi l’irripetibile mosaico iracheno, così come si dice
abbia distrutto i mosaici e la maioliche del
monastero di san Giorgio a Mosul. n
ESTERI
SULLA STRISCIA DI GAZA
La vendetta
porta solo
la morte
«La sofferenza non dà diritto alla vittima
di diventare carnefice. Il male trionfa quando
le persone buone non fanno nulla». Parla
Abuelaish, il medico palestinese che nel 2009
perse tre figlie. Uccise da una bomba israeliana
|
DI RODOLFO CASADEI
E
Abuelaish è il medico palestinese di Gaza trapiantato in Canada
che a commento di quello che sta
avvenendo nella sua terra natale ha scritto sul Guardian: «La follia, come diceva
Einstein, è continuare a rifare la stessa
cosa aspettandosi un risultato diverso».
Ma soprattutto è l’autore del libro Io non
odierò, dedicato alle sue tre figlie Bessan,
Mayar e Aya e alla nipote Noor uccise da
una bomba israeliana durante l’Operazione Piombo Fuso nel 2009. Per onorare la loro memoria ha creato un’opera di
pace: la fondazione Daughters for Life che
finanzia gli studi di ragazze arabe in tutto il mondo. Da Toronto, al telefono, spiega a Tempi il suo punto di vista su quello
che sta succedendo.
zzeldin
Dottor Abuelaish, cosa prova quando
vede in tv le immagini dei combattimenti a Gaza oggi, cinque anni dopo l’Operazione Piombo Fuso nella quale perse tre
delle sue figlie?
Provo rabbia, frustrazione e avvilimento. Al conflitto israelo-palestinese
non si metterà fine con azioni militari
e facendo morire più gente. Con la forza
non si arriverà mai alla pace e alla sicurezza a lungo termine, ma solo nel breve
termine. Dopo sessant’anni di guerre, il
problema palestinese è ancora lì. Voglio
dire alla leadership israeliana che questa
guerra servirà solo ad aumentare l’animosità e l’odio, ad allargare il fossato fra
israeliani e palestinesi, a distruggere le
nostre anime e i nostri cuori. Io condanno le violenze da ogni parte, ma l’alternativa a tutto questo è riconoscere i diritti degli uni e degli altri a vivere liberi e
senza paura, è porre fine alla coazione
del rapporto occupanti-occupati. Per fare
questo abbiamo bisogno di gesti coraggiosi da parte della leadership israeliana.
Foto: Sintesi/Photoshot
Lei è un uomo che ha saputo strappare
l’odio dal proprio cuore. Dopo la morte
violenta delle sue figlie, non ha cercato
la vendetta, ma di fare il bene. Però molti protagonisti del conflitto israelo-palestinese sembrano vivere l’odio come
un sentimento naturale, conseguenza di
ingiustizie e ferite subìte.
L’odio non è un sentimento naturale.
È una malattia che colpisce il cuore, l’anima e la mente dell’uomo, estremamente distruttiva per il soggetto portatore.
Per prenderla bisogna essere stati esposti ad agenti patogeni. Quali? L’intimidazione, l’umiliazione, la sofferenza. Bisogna evitare l’esposizione. Per questo dico
che i bombardamenti su Gaza e gli scontri militari fra le due parti non portano
a nient’altro che alla crescita dell’odio.
Come si vede dai discorsi di certi espo|
| 20 agosto 2014 |
15
ESTERI SULLA STRISCIA DI GAZA
nenti israeliani. Il rabbino vice ministro
per gli Affari religiosi Eli Ben Dahan ha
detto: «I palestinesi non sono esseri umani, non meritano di vivere, non sono altro
che animali». E la deputata della Knesset
Ayelet Shaked ha detto: «Dobbiamo uccidere tutte le madri palestinesi, perché
mettono al mondo quelli che ci combattono». Se vogliamo convivere, dobbiamo
rinunciare a questo linguaggio, le parole possono fare molto male. Dobbiamo
imparare a comprendere quello che provano le vittime dell’altra parte: nessuno
può celebrare la morte di altri esseri umani. Ogni vita umana è preziosa allo stesso modo. Quando sanguiniamo, il sangue
ha lo stesso colore per tutti. Nessun fine,
per quanto elevato, giustifica l’uccisione
di esseri umani. Non si possono uccidere
donne e bambini per ragioni di autodifesa. C’è un altro modo di difendersi: mettere fine all’occupazione e permettere ai
palestinesi di essere liberi.
L’occupazione è la questione nevralgica
di tutte le violenze e le ingiustizie del
conflitto?
Sì. Entrambi i popoli soffrono a causa del conflitto, ma i palestinesi soffrono
più degli israeliani. I palestinesi sono gli
occupati e oppressi, e gli israeliani sono
gli occupanti e oppressori. Se si distrugge l’autostima e il rispetto di sé di qualcuno, ne risulterà per reazione un conflitto. Capisco perfettamente che questa
situazione è anche una conseguenza della storia delle sofferenze del popolo ebraico, è una conseguenza dell’Olocausto. Ma
i palestinesi non sono parte di quella storia, non sono stati loro a infliggere agli
ebrei quel male. Gli ebrei sono stati vittime e provo compassione per la loro sofferenza, ma la sofferenza non dà diritto alla
vittima di diventare carnefice. Noi palestinesi siamo diventati vittime di vittime
diventate carnefici. Vittime che hanno
lottato strenuamente e giustamente per
la loro libertà. Ma anche noi palestinesi vogliamo la stessa libertà. È tempo che
gli israeliani riconoscano che c’è un’occupazione e un’oppressione che riguarda
i palestinesi, e dicano: «Non accettiamo
più questo, perché amiamo la libertà e ci
sta a cuore ogni vita umana». È tempo che
riconoscano queste realtà e non si nascondano più dietro alle loro paure.
La logica di Hamas, tuttavia, non è quel-
la di chi abbia a cuore la vita umana.
Il conflitto non è fra Hamas e gli israeliani, ma fra i palestinesi e gli israeliani. Hamas è solo una fazione, conseguenza delle dinamiche del conflitto. Il giorno
che l’occupazione sarà consegnata alla
storia, finiranno anche le fazioni palestinesi, il popolo palestinese vorrà vivere
una vita pacifica e libera.
I tentativi di fare avanzare i negoziati
fra palestinesi e israeliani continuano a
fallire, ultimo in ordine di tempo quello
del segretario di Stato americano John
Kerry. È possibile un nuovo inizio per i
negoziati?
Il negoziato ha senso quando è mirato
a un obiettivo. Non si negozia per il gusto
di negoziare, per passare il tempo. I palestinesi hanno negoziato per anni, e cosa
hanno ottenuto? Niente. Anzi, un peggioramento della situazione: un numero crescente di insediamenti ebraici nei loro
territori e nuove sofferenze. Perciò i palestinesi sono stanchi di negoziati che non
concludono nulla e sono solo una perdita di tempo. Sì, i negoziati sono indispensabili, ma devono avere per obiettivo la
fine dell’occupazione e tradursi in attività concrete sul terreno.
Lei ha perso tre figlie innocenti cinque
anni fa a causa della guerra. Che cosa
significano, oggi, loro per lei? Cosa deve
sapere e capire di loro il mondo?
Oggi nelle mie figlie vedo tutti i bambini innocenti di Gaza che perdono la
vita a causa di questo intervento armato.
Questa cosa mi riempie di rabbia, perché
è come versare sale su di una ferita. Ma
mi rende più determinato nel mio proposito: non rinuncio, non mi arrendo;
lavorerò sempre di più per fare sì che le
mie figlie continuino a vivere attraverso
le buone opere, attraverso azioni coraggiose, e non accetterò mai che ad altri
figli accada ciò che è successo a loro. Nel
libro Io non odierò ho scritto che se avessi saputo che quello delle mie figlie era
l’ultimo sacrificio sulla strada per raggiungere la pace fra palestinesi e israeliani, avrei accettato la loro perdita. Purtroppo non è stato così, e la cosa mi riempie di rabbia, ma soprattutto sono deciso
a fare di più perché la morte delle mie
figlie e di mia nipote non sia stata vana.
La settimana scorsa mia figlia Rafah, che
ha da poco compiuto 15 anni, veden-
«Dopo sessant’anni di guerre, il problema
palestinese è ancora lì. Quando sanguiniamo
il sangue ha lo stesso colore per tutti. NULLA
GIUSTIFICA L’UCCISIONE DI ALTRE PERSONE»
16
| 20 agosto 2014 |
|
Dopo tre settimane
dall’inizio del conflitto
militare, la sanguinosa
guerra a Gaza non
sembra rallentare
e le vittime da una
parte e dall’altra
continuano a crescere.
Sotto, il medico
palestinese Ezzeldin
Abuelaish con
le tre figlie uccise
da una bomba
israeliana nel 2009
do quello che sta succedendo ha detto:
«Ho 15 anni, la stessa età che avevano le
mie sorelle Mayar e Aya quando sono state uccise; io invece sono viva e mi sento
colpevole di questo nei loro confronti».
Cosa posso rispondere a mia figlia? Altri
bambini vengono uccisi, altri ancora lottano per sopravvivere e alla fine si sentiranno colpevoli per quelli che sono morti. Allora dico alla gente: «Cosa possiamo fare per salvare le loro vite?». Voglio
che il mondo agisca. Ciò che permette al
male di trionfare è il fatto che le persone buone non facciano nulla. Dobbiamo
alzare la voce: il mondo è il nostro mondo, è il mondo di tutti, nessuno ci è estraneo, nessuno è troppo lontano. È tempo
di parlare a una sola voce e di agire come
un solo uomo, e di affermare il valore di
ogni vita indipendentemente dalla religione, dall’origine e dalla collocazione
geografica di ciascuno. Quelli che stanno soffrendo sono esseri umani e appartengono alla famiglia umana, e tutti noi
dobbiamo essere avvocati irriducibili dei
nostri fratelli in umanità. n
FIAMMA NIRENSTEIN, CORRISPONDENTE DEL GIORNALE
Hamas è il vero
nemico della pace
«Mettetevi in testa che il problema non è Abu Mazen
ma il Movimento islamico di resistenza. Occorre
disarmarli prima di intavolare qualsiasi trattativa»
Foto: AP/LaPresse
«I
i palestinesi, il problema è Hamas. Loro
non vogliono due popoli in
due stati, vogliono la distruzione di Israele: c’è scritto nel loro statuto. Finché non
verranno smilitarizzati, non ci potrà essere nessuna pace. Vogliono il califfato universale, sono degli estremisti, non c’entrano nulla con le ambizioni nazionaliste palestinesi». Fiamma Nirenstein, corrispondente de Il Giornale da Gerusaleml problema non sono
me, si stupisce che molti in Europa non
afferrino questo basilare concetto. Che in
Israele, dice, tutti condividono, a destra
e a sinistra. «Gaza è stata evacuata dagli
israeliani nel 2005, non ci sono territori occupati da restituire. Mettere a tema
adesso l’occupazione, i Territori occupati,
è fuorviante rispetto ai motivi del conflitto presente». Prima di scrivere il suo pezzo per il quotidiano milanese risponde ad
alcune domande di Tempi.
Qual è il sentimento predominante fra
gli israeliani, se ce n’è uno, riguardo a
questo conflitto di Gaza?
Il sentimento di non avere avuto neanche stavolta altra scelta che quella di fare
una guerra. Un paese che nelle ultime due
settimane è stato bersaglio di 2.500 lanci
di razzi, che hanno paralizzato la vita in
due terzi del territorio, non può non combattere. Il governo sta facendo solo il suo
dovere, che è quello di proteggere la popolazione: cerca di bloccare i lanci dei razzi. Non è una guerra di conquista, né per
fare delle vittime a Gaza, è una guerra per
difendere il popolo israeliano. Le vittime
fra i civili israeliani sono state poche perché Israele considera sacra la loro vita e fa
di tutto per proteggerla: il sistema di difesa
antimissilistico è costosissimo, come pure
i rifugi antibomba, ma sono efficaci. Ricordate che per salvare la vita del soldato Shalit, Israele ha accettato di liberare migliaia di terroristi incarcerati. Invece i cittadini di Gaza sono usati come scudi umani
da Hamas, che sistema i lanciarazzi dentro alle loro case, i depositi di armi den|
| 20 agosto 2014 |
17
ESTERI SULLA STRISCIA DI GAZA
«I cittadini di Gaza sono usati
come scudi umani da Hamas»,
racconta Fiamma Nirenstein.
Il Movimento islamico
di resistenza sistema i lanciarazzi
dentro le case dei civili e «Israele
per difendersi deve colpirle»
Dal 2009 i conflitti di Gaza ricorrono
ogni due-tre anni. Perché il tempo fra
una guerra e l’altra non è mai sufficiente a portare avanti un negoziato di pace
efficace e costruttivo?
Perché Hamas non è assimilabile al
negoziato. Con Abu Mazen la trattativa
sussiste, perché il suo partito Fatah e il
suo governo hanno l’obiettivo di due stati con due popoli. Con Hamas non c’è nulla da discutere: gli israeliani hanno evacuato il territorio dove adesso governano
loro. Molto tempo fa 10 mila coloni hanno abbandonato le loro fattorie e le serre
che avevano costruito, rimossi a forza da
Sharon. Hamas ha distrutto le infrastrutture lasciate dai coloni e oggi la gente nella Striscia fa la fame.
Cosa pensano gli israeliani del loro premier Netanyahu? Su Haaretz ho letto
commenti favorevoli e commenti molto
critici. Yossi Sarid ha scritto che Netanyahu preferisce la guerra alla pace, perché se arrivasse la pace il suo governo
cadrebbe.
La grande maggioranza approva la
linea del primo ministro, e non è vero che
sia bellicista: non ha mai fatto una guerra,
18
| 20 agosto 2014 |
|
è un primo ministro di un equilibrio straordinario, disponibile alla tregua quando
erano gli altri a rifiutarla. È vittima di pregiudizi perché non è di sinistra. Sarid parla a quel modo di Netanyahu perché lui
è un esponente politico della sinistra, ex
ministro, ma la moderazione dell’attuale
primo ministro israeliano è evidente a tutti. L’attacco di terra a Gaza è stato ordinato solo quando Hamas ha cercato di usare
i suoi tunnel per entrare in territorio israeliano e rapire i civili dei kibbutz. Hamas
è un pericolo per tutta la regione, basta
vedere la degenerazione dei suoi rapporti
con l’Egitto. Hamas non c’entra nulla con
gli insediamenti in Cisgiordania, coi coloni e tutto il resto per cui Israele viene criticato. Hamas governa un territorio abitato
da 1,6 milioni di persone utilizzando tutte
le risorse che arrivano, compresi gli aiuti
internazionali, non per migliorare la vita
della gente, ma per fare la guerra a Israele.
La guerra di Gaza ha fatto dimenticare
i due fatti atroci del mese scorso: i tre
ragazzi israeliani rapiti e trucidati, il ragazzo arabo rapito e bruciato vivo. Cosa
pensano gli israeliani dell’accaduto?
Hanno vissuto tutto questo come una
tragedia. Hanno sofferto per due settimane per il rapimento dei tre ragazzi, poi
sono rimasti stravolti e stupefatti dalla
notizia del ragazzo arabo ucciso. Gli assas-
Abu Mazen è visto come un partner per
la pace o come un nemico paludato con
cui non si può trattare seriamente?
Come un partner. Israele vorrebbe che
Abu Mazen diventasse, insieme eventualmente agli americani e all’Onu, il garante del disarmo di Hamas nel contesto di
un accordo per la fine delle operazioni militari. Per Israele la premessa a qualunque accordo coi palestinesi è il disarmo di Hamas: non per ragioni teoriche,
ma per un motivo pratico. Se Hamas non
viene disarmata e i suoi tunnel distrutti, il conflitto può ricominciare in qualunque momento e allora gli accordi non
hanno più significato. Naturalmente il
discorso presuppone che Abu Mazen regga politicamente, e questa cosa non è affatto sicura: proprio ora stanno cominciando grandi manifestazioni in Cisgiordania
contro la sua linea politica. La solidarietà dell’opinione pubblica palestinese della
West Bank nei confronti di Hamas sta crescendo, e questo potrebbe mettere in crisi il presidente palestinese. E ricordatevi
che Hamas significa Fratelli Musulmani e
significa califfato islamico. A loro non interessa nessuna soluzione condivisa, interessa solo una soluzione islamista. [rc]
Foto: AP/LaPresse
tro alle infrastrutture civili o nei pressi.
Per proteggere le case dei civili israeliani,
Israele deve colpire le case di civili di Gaza
che ospitano le armi di Hamas, purtroppo.
sini israeliani del palestinese sono rigettati
dalla società israeliana, fanno schifo a tutti. Saranno processati e condannati all’ergastolo. Provengono dagli ultras di una
squadra di calcio, appartengono a gruppi
marginali della società. Nessuno nel paese ha espresso apertamente approvazione
per quello che hanno fatto. Invece i responsabili del rapimento e della morte dei tre
ragazzi israeliani sono celebrati come eroi
nazionali in molti ambienti palestinesi e
nei social network. Sono stati apprezzati come combattenti per la libertà. La tragedia delle madri che hanno avuto i figli
uccisi è la stessa, il dolore per le sofferenze
il medesimo, ma la reazione dei referenti
politici palestinesi è stata totalmente diversa da quella israeliana.
CULTURA
L’ANNIVERSARIO
Una vita
in trincea
Tre anni in guerra per raccontare vittorie e sconfitte
dei soldati. Poi a Milano, nelle sue Officine, al servizio
del grande cinema italiano. Si è inventato la moviola,
lo strumento che ha rivoluzionato costume e linguaggio
del paese. I primati dell’indomabile Attilio Prevost
|
DI RACHELE SCHIRLE
1915-1918 – Soldato italiano nel
camminamento di Cima Campanaro
20
| 20 agosto 2014 |
|
|
| 20 agosto 2014 |
21
CULTURA L’ANNIVERSARIO
D
i fronte alla Grigna e davanti alla chiesetta della
Madonna del Ghisallo
patrona dei ciclisti, in un
paesaggio di grande bellezza nel comune di Magreglio, piccolo borgo della penisola lariana con meno di 700 abitanti, sorge dal
2006 il Museo del ciclismo. Qui è allestita
per tutta l’estate una mostra davvero singolare. Non racconta di sport, ma di primati e narra con immagini del tutto inedite la storia dell’italiano Attilio Prevost
(1890-1954) e della sua vita spesa sempre
in prima linea. Magreglio lo ricorda a sessant’anni dalla morte perché fu il suo primo sindaco del Dopoguerra repubblicano
(1951-1954); eletto ad acclamazione generale dagli abitanti del piccolo borgo prealpino che, fin dal 1936, aveva frequentato e imparato ad amare. L’incarico amministrativo giunse a coronare un’esistenza di grandi passioni: da ragazzo combatté durante la Prima Guerra Mondiale sul
fronte austriaco (1915-1918), non imbracciò la baionetta ma la macchina fotografica; fu infatti un pioniere del fotoreportage di guerra e tra i primi cineoperatori a entrare in Gorizia (9-17 agosto 1916),
Trento e Trieste (3 novembre 1918) liberate dagli occupanti austriaci. Da ingegnere dedicò la vita al lavoro e, in tempo
di pace, divenne imprenditore, fondando nel 1913, con la moglie Elena Lanzoni, una società di apparecchiature cinematografiche. Dopo la guerra nacquero le
Officine Prevost Milano (1920-1991), che
divennero nel corso degli anni la prima
industria del cinema italiano. Famose per
la produzione di proiettori cinematografici e soprattutto per le moviole (ovvero i
tavoli per la sincronizzazione e il montaggio dei film), furono azienda leader in
Italia e tra le prime nel mondo, vivendo il
boom economico degli anni Sessanta sotto la direzione tecnica del nipote Attilio
Prevost jr (1918-2010).
22
| 20 agosto 2014 |
|
1
2
3
Proprio quest’anno, dopo più di un
secolo di dominio assoluto, la pellicola
35mm ha ceduto definitivamente il passo alle tecnologie digitali. Il modo di fare
cinema è in parte cambiato, si è messa la parola fine a un’epoca di pionieri,
di scienziati e di artisti indimenticabili,
ma proprio per questo è il momento giusto per ricordare i fondatori di una delle
più prestigiose aziende cinematografiche
che ha attraversato il Novecento al servizio del pensiero di tanti autori della settima arte, permettendo prima il montaggio e poi la visione al pubblico dei loro
capolavori. Sulle moviole Prevost montarono i loro film registi del calibro di Federico Fellini, Luchino Visconti, Vittorio De
Sica, Alberto Lattuada, Pier Paolo Pasolini e Orson Welles, per citarne alcuni. La
moviola Prevost divenne popolare con La
Domenica sportiva, trasmissione cult della tv italiana degli anni Settanta. Fino ad
allora la moviola era stata usata soltanto nel cinema, ma dal pomeriggio del 22
ottobre 1967, quando il giornalista Carlo Sassi – rivedendo le immagini al rallentatore del derby Inter-Milan finito 1
a 1 – scoprì che la palla del pareggio di
L’ESPOSIZIONE
Oltre 200 scatti
per ricordare
il conflitto ’15-’18
4
1 e 2. Attilio Prevost
nel 1910. Fu uno dei
primi fotoreporter
nella Grande Guerra.
I suoi scatti
raccontano della vita
dei soldati in trincea.
3. Il vate Gabriele
D’Annunzio con
l’ufficiale Polli
prima di un decollo.
4. Il maestro Arturo
Toscanini, quasi
50enne, visita
le truppe al fronte.
5. Autoveicolo
militare bloccato
sul bordo di
un precipizio
Gianni Rivera non era goal, la moviola fu
impiegata ogni domenica per rivedere le
azioni calcistiche e creò una rivoluzione
del costume e persino del linguaggio: la
parola moviola divenne metafora di qualcosa di rallentato e rivisto ripetutamente. Anche i Beatles e Herbert Von Karajan
richiedevano le moviole Prevost per montare i loro filmati. Ed è sempre Prevost il
proiettore immortalato da Giuseppe Tornatore nel film Nuovo Cinema Paradiso
(Oscar nel 1989).
Allestita sulle dieci vetrate esterne del
museo, come una pellicola che si svolge
La mostra “Attilio Prevost
(1890-1954). Una vita in prima
linea” è in corso fino al 7 settembre
al Museo del ciclismo Madonna del
Ghisallo (via Gino Bartali 4; www.
museodelghisallo.it), a Magreglio
(Como). Allestita con una soluzione
grafica di forte impatto visivo,
pensata dallo Studio Cree di F.G.
Confalonieri, la mostra prosegue
all’interno con la proiezione di un
video di oltre 200 foto inedite della
Prima Guerra Mondiale (alcune
delle quali vedete in queste pagine),
scattate da Prevost e con commento musicale curato da Marco
Mojana. Il Museo del ciclismo sorge
sul Passo del Ghisallo (754 metri),
meta ogni anno di migliaia di sportivi che salgono fino al Santuario
del XVII secolo, dove si conserva
un dipinto della Beata Vergine
Maria. La Madonna del Ghisallo,
proclamata Patrona dei ciclisti
nel 1949 da Pio XII, conserva al
suo interno una grande fiaccola
di bronzo, accesa e benedetta
da papa Pacelli. Il museo è stato
inaugurato nel 2006 e l’ultima
pietra della costruzione benedetta
in Vaticano da Benedetto XVI.
5
e riavvolge in un flashback dove la fine
coincide con l’inizio, la mostra non passa inosservata e richiama l’attenzione su
un uomo di genio e di umili origini, che
si mette in gioco a 360 gradi, combatte
nelle trincee e poi continua a combattere in un altro senso, mettendo cioè il suo
talento in un’impresa la cui parabola arriva fino alla rivoluzione digitale, attraversando un mondo fuori controllo, quando
piomba nel disordine più spaventoso con
la fine degli imperi centrali, la Prima e la
Seconda Guerra Mondiale.
Era nato a Torino il 6 settembre 1890.
Ultimo di sette fratelli era il “cit” (piccolino in piemontese) di sua mamma; allievo presso l’istituto religioso dei “Fratelli
delle Scuole Cristiane” conobbe un certo
clero classista e incline alle famiglie altolocate. Il risultato fu che Attilio Prevost
divenne ateo e pur desiderandolo moltissimo, non incontrò mai un sacerdote in
grado di riconciliarlo con la Chiesa. Forse vedeva nella natura un grande segno
dell’esistenza di Dio, amava i fiori e le
piante, ne conosceva tutti i nomi in latino e nelle notti d’estate osservava il cielo
stellato col telescopio. Si diplomò alla
|
| 20 agosto 2014 |
23
CULTURA L’ANNIVERSARIO
6
école d’Ingénieurs di Parigi, con il rimpianto di non essersi laureato al Politecnico di Torino: la sua famiglia era povera e
non poteva pagare quegli studi.
Le battaglie dell’ingegnere
Dal 1908 al 1910 lavorò alla Milano-Films
di Luca Comerio come capo officina in
meccanica di precisione. La sua passione era il cinema. Il suo mestiere era progettare apparecchi cinematografici. Gli
piaceva vedere girare il mondo dietro la
manovella della cinepresa. Quando, il
23 maggio 1915, l’Italia dichiarò guerra
all’Austria-Ungheria, partì per il fronte
orientale come cineoperatore e fotografo per il Comando Supremo della grande III Armata, agli ordini di Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta, lungo la linea che
andava dal monte Sabotino all’Adriatico.
Indossò la divisa da tenente per 72 mesi:
volontario per un anno; alla scuola allievi Ufficiali per due (1912-1914), in guerra per tre (1915-1918). Durante gli anni
al fronte scattò migliaia di fotografie, filmò campi di prigionia, le trincee sul Carso, i camminamenti a Cima Campanaro,
le prime linee a Candelù, le cenge innevate dell’Adamello e del Tonale, l’attacco
a Oslavia, l’ingresso trionfale in Gorizia,
Trento e Trieste. Immortalò la visita alle
truppe del maestro Arturo Toscanini e del
vate Gabriele D’Annunzio. Le fotografie,
per decenni a uso esclusivo del ministero della Guerra, sono state messe a disposizione dall’Archivio Lari Prevost per la
mostra, curata dalla nipote Annamaria
Mojana Lari Prevost con la figlia Marina.
La seconda battaglia della sua vita lo
vide industriale metalmeccanico, lottare in prima linea accanto ai suoi operai
e dipendenti. Le Officine Prevost Milano,
nate nel 1920, rimasero in attività durante la Seconda Guerra Mondiale, pur tra
mille peripezie. La notte del 13 agosto
1943 andarono in fiamme sotto le bombe sganciate su Milano dalle forze anglo24
| 20 agosto 2014 |
|
7
8
americane. Lo stabilimento, in via Desenzano 2, costruito appena cinque anni prima con la moglie Elena e il fratello Augusto, venne scoperchiato: rimasero in piedi soltanto i muri perimetrali, i macchinari erano anneriti e gli impianti cinematografici in costruzione sepolti dalle
macerie e dai vetri dei lucernai. In frantumi erano andati anche i sogni dell’ingegner Attilio che, vedendo il disastro,
con la testa tra le mani pianse amaramente. Poi accadde l’imprevedibile: uno
ad uno gli operai, giunti alla spicciolata,
lo consolarono e lo sostennero; si rimboccarono le maniche, ricostruirono il tetto
e ripulirono gli ambienti: nel giro di un
mese il lavoro in fabbrica potè ricominciare, nonostante i tempi bui e calamitosi.
I guai non erano infatti finiti: il 18 settem-
bre 1944, lo stabilimento venne occupato
dal comando supremo della Wehrmacht
e i proiettori spediti in Germania per la
proiezione di film che tenessero alto il
morale delle truppe tedesche. Ma anche
la Prevost, a suo modo, fece la sua “resistenza”: gli operai sabotarono gli apparecchi in partenza per la Germania inserendo invisibili granelli di sabbia negli ingranaggi che, sul più bello della proiezione, si inceppavano, mandando all’aria la
visione del film e facendo infuriare Heinrich Himmler, comandante delle SS.
Al servizio della settima arte
Finita la guerra Attilio Prevost tornò
alla prima passione: il cinema. Sulle sue
moviole (tavoli orizzontali per la sincronizzazione e il montaggio dei film) lavo-
6. Estate 1943.
Poco prima di
partire per la
Russia, don Carlo
Gnocchi (nella foto
tra gli altri due
sacerdoti) fa
visita a un gruppo
di amici in vacanza
a Magreglio.
Attilio è il primo
a sinistra in piedi.
I registi italiani
Vittorio De Sica
(7) Alberto
Lattuada (8), Pier
Paolo Pasolini (9,
con Attilio centro)
al lavoro sui tavoli
di montaggio
Prevost. Su queste
moviole furono
montati i più
celebri film del
Dopoguerra:
Sciuscià (1946),
Ladri di biciclette
(1948), Miracolo
a Milano (1950).
10. La Prevost
va in tribunale
per visionare il
film La Ricotta
di Pasolini, ritirato
con l’accusa
di vilipendio
alla religione
di Stato (1963)
10
9
rarono i più grandi registi del Novecento
e vennero montati celebri film: Sciuscià
(1946), Ladri di biciclette (1948), Miracolo a Milano (1950), La dolce vita (1960), e
altri capolavori del Neorealismo; i suoi
proiettori erano richiesti in tutto il mondo, dall’Oratorio di Magreglio ai cinema di Milano, dallo scià di Persia al re di
Giordania. In India rappresentavano la
Prevost i fratelli Shah; erano suoi clienti la S.P.E.S. di Roma e i produttori Carlo
Ponti e Dino De Laurentiis.
La seconda passione della sua vita fu
Magreglio. L’ingegner Attilio Prevost adorava trascorrere il mese di agosto al fresco
delle Prealpi, a pochi chilometri dalle sorgenti del Lambro, tra boschi di castagni
e faggi; durante la guerra aveva voluto
sfollare proprio lì la sua famiglia. Era un
ospite gentile e autorevole, veniva dalla
grande città e in lui la piccola comunità
montana – dopo la stagione fascista e con
la caduta della monarchia – trovò l’uomo
giusto per la ricostruzione.
Sindaco amato e temuto
Nell’estate del 1951 venne eletto sindaco
col consenso generale. In tre anni portò
la linea telefonica in tutte le case, incanalò nell’acquedotto la sorgente Terbiga, diede una sede al Comune di Magreglio e nell’edificio del nuovo municipio
– progettato dall’architetto Mario Cavallè, altro illustre villeggiante – incorporò poste, telegrafi, scuole elementari.
Stimato e benvoluto dalla popolazione,
incuteva molto rispetto perché era di
poche parole. A lui i magregliesi ricorre-
DURANTE LA SECONDA
GUERRA MONDIALE anche
la Prevost fece la sua
“resistenza”: gli operai
MISERO FUORI USO gli
apparecchi IN MODO CHE
DURANTE LE proiezionI
si inceppaSSERO, facendo
infuriare Himmler,
comandante delle SS
vano per risolvere anche questioni e liti
familiari. La morte lo colse all’improvviso, il 3 maggio 1954, mentre lavorava
alla copertura del Lambro.
Nel 1955 vedova e nipote organizzarono due pullman per tutti i componenti delle Officine Prevost (oltre 100 tra
operai e impiegati) in una specie di pellegrinaggio a Magreglio – a un anno dalla morte del suo sindaco – e donarono al
Comune una targa ricordo del loro fondatore, posta nella sala consiliare sotto la fotografia del suo ritratto, dipinto da Augusto Colombo. Il neo sindaco
Danilo Bianchi oggi gli rende omaggio,
ricordando non soltanto una personalità di rilievo internazionale, ma anche un
uomo generoso, che dedicò le sue ultime
energie al bene comune. n
|
| 20 agosto 2014 |
25
società
26
| 20 agosto 2014 |
periferie/9
|
|
DI Igor Turnaev
Incontrare
Cristo nella
fredda steppa
Ha resistito al freddo, alla fame, ai bolscevichi,
a Stalin. Le sue chiese sono state distrutte,
ma Lui non se n’è mai andato. È rimasto nei paesi
più sperduti. Nel cuore degli anziani e poi in quello
dei loro figli e nipoti. Fino a Igor. Ecco la sua storia
Foto: Olga Saliy/Shutterstock.com
H
trattorista e fabbro, lei mungitrice e addeto trascorso la mia infanzia in un
villaggio chiamato Suzdalka, nel ta ai vitelli. Il sovkoz era di proprietà stadistretto di Dovolenskyi (Novosi- tale e più che una fattoria era organizzabirsk), paese natale di mio padre. ta come una fabbrica. Fino alla RivoluzioIl paesaggio intorno al villaggio era un ne del 1917 nei villaggi i contadini potevamisto di boschi e steppa: grandi praterie no lavorare i propri appezzamenti, poi i
aperte si alternavano a boschetti di betulle bolscevichi prima e la politica di Krusciov
e pioppi, in mezzo ai quali erano dissemi- dopo, hanno confiscato ogni bene privato,
nati centinaia di laghetti nei quali viveva persino il bestiame che le famiglie possedevano per i generi di prima
un’incredibile quantità di
necessità. Tutto doveva
oche selvatiche e anatre.
in viaggio
essere acquistato nei negoA Suzdalka abitavaSeguendo l’invito
zi di città. Ma Krusciov
no circa 1.100 persone. A
di papa Francesco
aveva dovuto fare i conquell’epoca per arrivare a
Continua il viaggio di
ti con la tenace resistenNovosibirsk ci volevano 12
Tempi nelle periferie
za dei contadini a queste
ore di viaggio: due autoesistenziali. Le tappe
precedenti: la tribù dei
leggi. Vista la loro testarbus e poi un treno. D’estatupurì africani (Rodolfo
daggine, il suo successore
te noi bambini passavamo
Casadei), la borgata di
Breznev decise di lasciar
l’intera giornata in mezRoma (Monica Mondo),
loro delle piccole propriezo ai laghetti, tanto che
la missione di padre
Belcredi in Amazzonia
tà, così che gli abitanti
spesso mia madre doveva
(Piero Gheddo), il ghetto
delle campagne potessero
ricacciare a casa me e i
dei profughi a Tripoli
mantenersi anche con i
miei fratelli minori (nati
(Gian Micalessin), Oxford
prodotti dell’orto. Lo stia Suzdalka), servendosi di
(Antonio Gurrado), il
kibbutz Sasa in Israele
pendio del sovkoz dipenrametti di ortica che bru(Angelica Calò Livné), le
deva dai risultati produtciavano maledettamente!
township del Sudafrica
tivi. Nel distretto di DovoNel villaggio c’era un
(Lorella Beretta) la camlenskyi c’erano una ventisovkoz (fattoria collettiva,
pagna della Piana del Sele
di Eboli (Peppe Rinaldi).
na di sovkoz, di cui solo
ndr) dove lavoravano mio
3 o 4 pagavano gli opepadre e mia madre: lui era
|
| 20 agosto 2014 |
27
8) per godimento di beni di terzi
134.342
151.307
9) per il personale:
a) salari e stipendi
650.191
670.321
b) oneri sociali
185.227
193.763
c), d), e) trattamento di fine rapporto, trattamento di
40.863
48.835
quiescenza, altri costi del personale
c) trattamento di fine rapporto
40.863
48.835
d) trattamento di quiescenza e simili
e) altri costi
Totale costi per il personale
876.281
912.919
10) ammortamenti e svalutazioni:
a), b), c) ammortamento delle immobilizzazioni immateriali
69.303
26.708
e materiali, altre svalutazioni delle immobilizzazioni
a) ammortamento delle immobilizzazioni immateriali
42.386
21.446
b) ammortamento delle immobilizzazioni materiali
26.917
5.262
c) altre svalutazioni delle immobilizzazioni
d) svalutazioni dei crediti compresi nell'attivo circolante e
delle disponibilità liquide
Totale ammortamenti e svalutazioni
69.303
26.708
11) variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie,
di consumo e merci
12) accantonamenti per rischi
13) altri accantonamenti
14) oneri diversi di gestione
37.884
152.733
Totale costi della produzione
2.873.220
2.810.256
Differenza tra valore e costi della produzione (A - B)
13.476
66.157
C) Proventi e oneri finanziari:
15) proventi da partecipazioni
da imprese controllate
da imprese collegate
altri
Totale proventi da partecipazioni
16) altri proventi finanziari:
a) da crediti iscritti nelle immobilizzazioni
da imprese controllate
da imprese collegate
da imprese controllanti
altri
TEMPI SOCIETA'
COOPERATIVATotale proventi finanziari da crediti iscritti nelle
immobilizzazioni
b), c) da titoli iscritti nelle immobilizzazioni che non
costituiscono partecipazioni e da titoli iscritti nell'attivo
circolante che non costituiscono partecipazioni
b) da titoli iscritti nelle immobilizzazioni che non
costituiscono partecipazioni
c) da titoli iscritti nell'attivo circolante che non
costituiscono partecipazioni
d) proventi diversi dai precedenti
da imprese controllate
Bilancio al 31/12/2013
Pag. 5 di 6da imprese collegate
da imprese controllanti
Generato automaticamente - Conforme alla tassonomia itcc-ci-2011-01-04
altri
2.478
420
Totale proventi diversi dai precedenti
2.478
420
Totale altri proventi finanziari
2.478
420
17) interessi e altri oneri finanziari
a imprese controllate
a imprese collegate
a imprese controllanti
altri
7.263
11.382
Totale interessi e altri oneri finanziari
7.263
11.382
17-bis) utili e perdite su cambi
-44
Totale proventi e oneri finanziari (15 + 16 - 17 + - 17-bis)
-4.785
-11.006
D) Rettifiche di valore di attività finanziarie:
18) rivalutazioni:
a) di partecipazioni
b) di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono
partecipazioni
c) di titoli iscritti all'attivo circolante che non costituiscono
partecipazioni
Totale rivalutazioni
19) svalutazioni:
a) di partecipazioni
b) di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono
partecipazioni
c) di titoli iscritti nell'attivo circolante che non costituiscono
partecipazioni
Totale svalutazioni
Totale delle rettifiche di valore di attività finanziarie (18 - 19)
E) Proventi e oneri straordinari:
20) proventi
plusvalenze da alienazioni i cui ricavi non sono iscrivibili al
n5
Differenza da arrotondamento all'unità di Euro
altri
50.288
12.236
Totale proventi
50.288
12.236
21) oneri
minusvalenze da alienazioni i cui effetti contabili non sono
iscrivibili al n 14
imposte relative ad esercizi precedenti
Differenza da arrotondamento all'unità di Euro
2
2
altri
19.061
3.365
Totale oneri
19.063
3.367
Totale delle partite straordinarie (20 - 21)
31.225
8.869
Risultato prima delle imposte (A - B + - C + - D + - E)
39.916
64.020
22) Imposte sul reddito dell'esercizio, correnti, differite e
anticipate
imposte correnti
50.385
52.100
imposte differite
imposte anticipate
proventi (oneri) da adesione al regime di consolidato fiscale /
trasparenza fiscale
Totale delle imposte sul reddito dell'esercizio, correnti,
50.385
52.100
differite e anticipate
23) Utile (perdita) dell'esercizio
-10.469
11.920
PUBBLICAZIONE BILANCIO AL 31.12.2013 DI TEMPI SOCIETà COOPERATIVA
Ai sensi dell’articolo 9 della delibera 129/02/Cons. dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni
Capitale
sociale
euro 550= codice fiscale n° 03596310965
TEMPI SOCIETA'
COOPERATIVA
REA Milano n° 1687470, Iscr. albo Coop. n° A102419
Stato patrimoniale
Attivo
A) Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti
Parte richiamata
Parte da richiamare
Totale crediti verso soci per versamenti ancora dovuti (A)
B) Immobilizzazioni
I - Immobilizzazioni immateriali
Valore lordo
Ammortamenti
Svalutazioni
Totale immobilizzazioni immateriali
II - Immobilizzazioni materiali
Valore lordo
Ammortamenti
Svalutazioni
Totale immobilizzazioni materiali
III - Immobilizzazioni finanziarie
2) crediti
esigibili entro l'esercizio successivo
esigibili oltre l'esercizio successivo
Totale crediti
Altre immobilizzazioni finanziarie
Totale immobilizzazioni finanziarie
Totale immobilizzazioni (B)
C) Attivo circolante
I - Rimanenze
Totale rimanenze
II - Crediti
esigibili entro l'esercizio successivo
esigibili oltre l'esercizio successivo
Totale crediti
III - Attività finanziarie che non costituiscono
immobilizzazioni
Totale attività finanziarie che non costituiscono
immobilizzazioni
IV - Disponibilità liquide
Totale disponibilità liquide
Totale attivo circolante (C)
D) Ratei e risconti
Totale ratei e risconti (D)
Totale attivo
Passivo
A) Patrimonio netto
I - Capitale
II - Riserva da soprapprezzo delle azioni
III - Riserve di rivalutazione
IV - Riserva legale
V - Riserve statutarie
VI - Riserva per azioni proprie in portafoglio
VII - Altre riserve, distintamente indicate
Differenza da arrotondamento all'unità di Euro
Totale altre riserve
VIII - Utili (perdite) portati a nuovo
IX - Utile (perdita) dell'esercizio
Utile (perdita) dell'esercizio.
Copertura parziale perdita d'esercizio
Utile (perdita) residua
Totale patrimonio netto
B) Fondi per rischi e oneri
Totale fondi per rischi ed oneri
C) Trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato
2013-12-31
2012-12-31
-
-
612.626
242.507
370.119
612.626
182.840
429.786
83.156
43.878
39.278
56.183
34.240
21.943
409.397
451.729
-
-
2.729.676
26.838
2.756.514
2.605.995
27.606
2.633.601
-
-
9.387
2.765.901
159.110
2.792.711
14.336
3.189.634
18.059
3.262.499
700
26.560
51.070
-
700
22.984
43.084
-
-1
-1
-
-1
-1
-
-10.469
-
11.920
-
67.860
78.687
291.581
278.308
-10.469
11.920
TEMPI
SOCIETA' COOPERATIVA
D) Debiti
esigibili entro l'esercizio successivo
2.300.042
2.348.524
esigibili oltre l'esercizio successivo
346.647
346.647
Bilancio
al 31/12/2013
Pag.
2 di 6
Totale
debiti
2.646.689
2.695.171
TEMPI
SOCIETA'
COOPERATIVA
E) Ratei e risconti
Totale ratei e risconti
183.504
210.333
Generato automaticamente - Conforme alla
tassonomia itcc-ci-2011-01-04
Totale passivo
3.189.634
3.262.499
Conto economico
A) Valore della produzione:
1) ricavi delle vendite e delle prestazioni
2), 3) variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di
lavorazione, semilavorati e finiti e dei lavori in corso su
ordinazione
2) variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di
lavorazione, semilavorati e finiti
3) variazioni dei lavori in corso su ordinazione
4) incrementi di immobilizzazioni per lavori interni
5) altri ricavi e proventi
contributi in conto esercizio
altri
Totale altri ricavi e proventi
Totale valore della produzione
B) Costi della produzione:
6) per materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci
7) per servizi
8) per godimento di beni di terzi
9) per il personale:
a) salari e stipendi
b) oneri sociali
c), d), e) trattamento di fine rapporto, trattamento di
quiescenza, altri costi del personale
c) trattamento di fine rapporto
d) trattamento di quiescenza e simili
e) altri costi
Totale costi per il personale
10) ammortamenti e svalutazioni:
a), b), c) ammortamento delle immobilizzazioni immateriali
e materiali, altre svalutazioni delle immobilizzazioni
a) ammortamento delle immobilizzazioni immateriali
b) ammortamento delle immobilizzazioni materiali
c) altre svalutazioni delle immobilizzazioni
d) svalutazioni dei crediti compresi nell'attivo circolante e
delle disponibilità liquide
Totale ammortamenti e svalutazioni
11) variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie,
di consumo e merci
12) accantonamenti per rischi
13) altri accantonamenti
14) oneri diversi di gestione
Totale costi della produzione
Differenza tra valore e costi della produzione (A - B)
C) Proventi e oneri finanziari:
15) proventi da partecipazioni
da imprese controllate
2013-12-31
2012-12-31
2.485.789
-
2.066.729
-
-
-
-
389.394
350.000
50.907
400.907
2.886.696
350.000
70.290
420.290
2.876.413
656.309
1.099.101
134.342
262.622
1.303.967
151.307
650.191
185.227
40.863
670.321
193.763
48.835
40.863
876.281
48.835
912.919
69.303
26.708
42.386
26.917
-
21.446
5.262
-
69.303
-
26.708
-
37.884
2.873.220
13.476
152.733
2.810.256
66.157
-
-
Bilancio al 31/12/2013
Pag. 6 di 6
Generato automaticamente - Conforme alla tassonomia itcc-ci-2011-01-04
PERIFERIE/9 SOCIETÀ
A Suzdalka, nel distretto di
Dovolenskyi (Novosibirsk)
c’era una fattoria collettiva
dove lavoravano i genitori
di Igor. Il padre come
fabbro e trattorista,
la madre (a destra)
come mungitrice
e addetta ai vitelli
rai dignitosamente. In casa, grazie ai prodotti dell’orto riuscivamo a nutrirci molto bene, ma non avevamo quasi mai soldi per comprare altri beni. Ad esempio, il
pane non era sempre in tavola. E le volte
che riuscivamo a permettercelo occorreva
fare una lunghissima fila per comprarlo.
Domenica, giorno di festa
Mi piaceva molto passare la notte dai nonni paterni. È uno dei ricordi d’infanzia più
luminosi. Mi svegliavo al mattino, affondavo nel grosso pagliericcio di piume, i primi raggi del sole penetravano attraverso
le persiane semichiuse. Amavo tantissimo
quella casa: aveva un giardino, un orto con
un pozzo da cui si traeva un’acqua buonissima e gelida che tagliava i denti. Mangiavo 3o 4 scodelle di zuppa di barbabietole (il
borsch) oppure, quando c’era, il pane con
la marmellata di lamponi. Spesso, la sera,
dalla nonna si radunavano altri anziani,
che bevevano un po’ di vodka o altri liquori casalinghi, giocavano a carte e poi cantavano le canzoni della tradizione popolare.
Avevano un modo di cantare particolare.
Non ho più sentito nessuno cantare così
intensamente, nemmeno i migliori gruppi folcloristici. La chiesa del paese era stata distrutta durante la Rivoluzione, ma gli
anziani erano riusciti a trasmettere ai loro
figli qualcosa di speciale, quella sensibilità particolare a riconoscere la bellezza e
la giustizia tipica della cultura ortodossa.
La responsabilità dell’educazione morale
nel villaggio era affidata agli anziani: erano loro a dire ai giovani cosa si doveva fare
e come, dove stava il bene e dove il male.
All’età di 15 anni, con tutta la famiglia
ci siamo trasferiti in una cittadina molto
più vicina a Novosibirsk. Mi accorsi subito che lì i costumi morali erano peggiori:
le persone rubavano, si ubriacavano, scoppiavano risse, per molta gente c’era solo
La chiesa del paese era stata distrutta, ma
gli anziani avevano trasmesso ai loro figli
qualcosa di speciale, quella sensibilità
particolare a riconoscere la bellezza e la
giustizia tipica della cultura ortodossa
un pensiero, dove trovare da bere. In quei
luoghi l’educazione non era affidata agli
anziani. Per questo dalle città arrivava la
peggior degradazione morale. Per fortuna,
tutti i sabati tornavamo dai nonni per fare
la sauna. Non certo per curare la nostra
bellezza. Era una tradizione ben precisa,
con un senso: la domenica era giorno di
festa, si andava in chiesa con l’abito migliore. Quindi il sabato bisognava lavarsi bene
per incontrare Cristo con anima e corpo
purificati. La chiesa nel villaggio non c’era
più da un pezzo, ma la tradizione e il credo cristiano erano rimasti.
Il servizio militare
Dopo la fine della scuola dell’obbligo,
ho lavorato anch’io un paio d’anni nel
sovkoz, e poi mi sono arruolato in Marina. Terminati i tre anni di leva obbligatoria sono tornato al villaggio, ho lavorato come fabbro per un anno, poi mi
sono iscritto all’università di Novosibirsk, alla facoltà di Biologia. Di tutti gli abitanti dei due villaggi in cui sono cresciuto, sono stato l’unico a frequentare quella
prestigiosa università. Ma il servizio militare aveva cambiato il mio sguardo sulla
vita. Ancor prima di iscrivermi, per la prima volta mi ero imbattuto in modo chiaro nella religione. Al termine del servi|
| 20 agosto 2014 |
29
SOCIETÀ PERIFERIE/9
Suzdalka era un
villaggio abitato da
circa 1.100 persone.
Quando Igor era
bambino per arrivare a
Novosibirsk occorreva
cambiare due autobus
e poi un treno. In tutto
12 ore di viaggio
zio militare avevo provato un profondo
senso di solitudine, mi sentivo incompreso da chiunque. Fu allora che mio cugino, che stava a Novosibirsk, mi invitò a
un incontro organizzato da una giovane
comunità protestante, la “Chiesa di Cristo”. In quel gruppo tutti si chiamavano
l’un l’altro “fratello e sorella”. Grazie a
quelle persone ho cominciato a leggere
la Bibbia, il Nuovo Testamento. E ne rimasi colpito. Ho pianto leggendo il Vangelo.
Ma col tempo mi sono accorto che lo stare insieme di quelle persone era un po’
artificioso. Tante parole sull’amore, ma
di amore vero non ce n’era. Così ho smesso di frequentarli. Ero rimasto deluso, ma
non di tutto. La fede era rimasta, ma Cristo era semplicemente qualcosa che bisognava stimare, venerare da lontano. Ma
sentivo che tutto ciò non poteva bastarmi.
Quelle persone in università
Studiare all’università è stato difficile,
soprattutto all’inizio, perché nei cinque
anni passati per il servizio militare e il
lavoro nel sovkoz avevo dimenticato tutto
quello che avevo imparato a scuola. Sono
entrato all’università quando la perestroika era all’apice. Quando ho cominciato,
il sussidio che gli studenti ricevevano era
superiore allo stipendio di un operaio del
nostro sovkoz, ma già dal mio secondo
anno di corso tutto era cambiato e il sussidio era diventato miserevole. Come tutti gli altri studenti cominciai a lavorare:
vendevo materiali di cancelleria agli uffici amministrativi del Distretto. Stavo via
qualche giorno e coi soldi guadagnati riuscivo a mantenermi e a studiare per un
mese. Mia mamma poteva aiutarmi solo
con qualche genere alimentare, mio padre
invece ignorava me e i miei fratelli.
All’università conobbi una ragazza della facoltà di Lettere. Io avevo 25 anni, lei
17. Fra di noi ci fu una mezza storia, simile a tante altre. All’inizio non ero troppo
convinto. Dopo 6 mesi, quando i miei sen30
| 20 agosto 2014 |
|
timenti erano cambiati e mi ero accorto di
volerle davvero bene, era già troppo tardi.
In quei primi anni di università avevo ancora i nervi scossi, probabilmente
per quanto vissuto durante la leva militare: spesso avevo attacchi di panico, altre
volte, al contrario, un coraggio temerario.
Avevo cercato diverse terapie psicologiche
per risolvere questo problema, ma nulla
sembrava fatto per me. Cristo, quella figura che lentamente avevo imparato a conoscere quando partecipavo agli incontri della comunità protestante, era l’unica persona capace di combattere la paura, indipendentemente dai fattori esterni.
Raccontai di questa mia convinzione
a quella ragazza, con cui i rapporti si era-
in tutta la mia vita avevo sempre avuto il
presentimento che al mondo ci fosse un
posto predestinato a me, e in tutte le mie
esperienze passate lo avevo cercato senza
successo. Ora l’avevo trovato. «Questo luogo è qui, tra voi».
Lì è cominciato quell’incontro che
seguo da ormai 19 anni. Non mi era ancora chiaro quello che mi stava accadendo. Solo ora, dopo 19 anni posso dire che
quell’incontro mi ha cambiato la vita. Ho
incontrato uno sguardo umano, persone
concrete che mi hanno accolto nella mia
totalità. Ci sono dei tratti della mia personalità per i quali uno può stimarmi.
Ma ce ne sono altri che non interessano
a nessuno o possono sembrare un ostaco-
ALL’IMPROVVISO MI SONO SENTITO GUARDARE
COME NESSUNO AVEVA MAI FATTO. QUEI NUOVI
AMICI VEDEVANO IN ME CARATTERISTICHE CHE
NEMMENO SAPEVO DI AVERE. HANNO RIBALTATO
LA MIA VITA. E OGGI SONO ANCORA CON LORO
no ormai quasi interrotti. Lei però rimase molto colpita dal fatto che io mi interessassi del cristianesimo (prima non ne
avevamo mai parlato) e mi propose di
incontrare certi suoi amici che vivevano un’esperienza cristiana. Si trattava
di alcuni insegnanti di lingua italiana,
appartenenti al movimento di Comunione e Liberazione. Iniziai ad andare ai loro
incontri che chiamavano scuola di comunità. Si tenevano in università. La prima
cosa che mi colpì era che da quella gente mi sentivo capito; era la prima volta
nella vita che mi capitava. Non percepivo nessun distacco tra ciò che dicevano e
quello che pensavo e dicevo io. Dopo un
mese mi invitarono a una vacanza, alla
fine della quale ci fu un’assemblea dove
ciascuno disse quello che gli era successo
in quei giorni passati insieme. Io dissi che
lo. Invece, all’improvviso, mi sono imbattuto in uno sguardo che mi ha abbracciato completamente, e che di me non vuole eliminare nessun tratto distintivo. Che
cosa posso desiderare più di tutto questo?
È Cristo che mi ha guardato attraverso lo
sguardo dei miei amici, come ha guardato
Zaccheo seduto sull’albero, o Matteo che
riscuoteva le tasse. Uno sguardo capace
di vedere in me alcune caratteristiche che
io stesso non avevo mai notato. Solo dopo
aver incontrato queste persone ho cominciato a capire che anche io ho un valore
infinito. E questo ha rovesciato totalmente
la mia vita. È stato l’inizio di un cammino
che prosegue ancora oggi. Quella ragazza
che mi aveva fatto incontrare le persone
del movimento di Comunione e Liberazione dopo un paio d’anni se ne è andata. Io
sono rimasto. n
società LA PARTITA IN ATTO
|
DI PAOLA D’ANTUONO
Proibire
non significa
prevenire
Scommettiamo che non è attraverso le norme
restrittive che si risolvono i problemi legati alla
ludopatia? Lo dimostrano i dati. Al sud i punti
non autorizzati superano già le ricevitorie legali
32
| 20 agosto 2014 |
|
la dei punti regolari. Inoltre, la rete di gioco non autorizzata è talmente ampia che il
cittadino non ha la giusta percezione della differenza con i punti autorizzati. In virtù di ciò risulta difficile, se non impossibile, per i concessionari che hanno assunto
un impegno specifico a operare in un settore così delicato a garanzia dei cittadini e
dei consumatori, continuare a svolgere il
proprio ruolo».
Gli fa eco Giovanni Emilio Maggi, direttore relazioni istituzionali di Sisal, storica azienda italiana – nata nel 1946 – che
per prima ha operato nel settore del gioco come concessionario dello Stato: «Si è
creato un problema di concorrenza sleale
che non impatta soltanto sugli operatori
autorizzati ma anche sulle entrate erariali. Quello dei Ctd è un mondo sommerso
composto da migliaia di punti vendita ed
è un “business” stimato in molti miliardi
di euro, con un possibile mancato introito per lo Stato pari a 500 milioni di euro
all’anno. L’attività dei Centri di trasmissione dati, libera da qualsiasi vincolo normativo e regolamentare imposto dallo Stato,
non è soggetta ad alcuna tassazione, a differenza di quanto avviene per la rete legale, e non ha limiti né controlli sugli eventi su cui scommettere, con grave rischio
anche per l’integrità dello sport. In ultimo
va ricordato che i concessionari autorizzati sono garanzia di un modello d’intrattenimento sicuro, a tutela dei consumatori,
che pone espressamente ai minori il divieto di accedere all’offerta di gioco».
Niente tasse, quindi, e nessun costo fis-
so, a differenza degli operatori di gioco
legale che devono seguire regole molto ferree e sottoporsi a controlli severissimi. Per
aprire un’agenzia di gioco legale, infatti,
c’è bisogno di una concessione che si ottiene in forza di un bando di gara a evidenza pubblica effettuato dallo Stato. Successivamente bisogna rivolgersi all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (Aams) per ottenere il titolo abilitativo, operazione che richiede in media circa venti, trenta giorni. Infine, è necessario
recarsi in questura per ottenere l’autorizzazione all’apertura da parte della polizia.
Tutto questo iter termina in media dopo
circa cinque mesi. Nel frattempo i Ctd
spuntano come funghi.
Il confronto con l’Europa
A complicare il quadro c’è la pressione
fiscale, tra le più alte all’interno dell’Unione Europea. Lo evidenzia lo studio dell’Istituto Bruno Leoni “La tassazione del settore dei giochi”. I dati non hanno bisogno
di grandi commenti: in Italia la tassazio-
Foto: Agf
«D
ichiariamo guerra al gioco illegale, individuando nuovi
strumenti in grado di contrastare questa piaga sociale». Sono queste
le parole del sottosegretario all’Economia
con delega ai giochi Giovanni Legnini che,
nel corso di una visita alla sede di Sogei, la
società d’information technology del ministero di via XX Settembre, ha confermato
che il contrasto al gioco illegale sarà uno
dei principali capitoli della riforma dei
giochi pubblici che il Governo si prepara a
varare entro la fine dell’anno.
Una dichiarazione che fa ben sperare i
gestori del gioco legale, che da anni in Italia lottano contro pericolosissimi mulini a
vento che vanno sotto il nome di Centri di
trasmissione dati (Ctd). Non è facile definire i Ctd. Il loro ruolo, almeno sulla carta, sarebbe quello di trasmettere, attraverso una semplice connessione internet, le
scommesse dei clienti italiani alle agenzie
estere che operano in paesi come Irlanda
e Malta. La realtà, però, è molto diversa e
racconta d’un giro d’affari che sfiora i 2,5
miliardi di euro (rispetto ai 3,7 del circuito
legale). Per Fabio Schiavolin, amministratore delegato di Cogetech, «sono sufficienti pochi numeri per avere evidenza di quale sia la situazione in cui i concessionari
italiani si trovano a operare e quali effetti
ne derivino: una rete “parallela” che (da stime attendibili e per difetto) ha superato i 5
mila punti vendita a fronte dei 7.400 regolarmente autorizzati, con concentrazione
in alcune regioni dove la numerosità dei
punti irregolari supera ampiamente quel-
quote che variano dal 15 per cento della
Gran Bretagna al 25 per cento della Spagna. Gli operatori italiani da diverso tempo premono per una revisione del sistema
di tassazione che armonizzi l’offerta di tutti i prodotti di gioco in ragione soprattutto di alcuni fattori significativi che stanno cambiando il prodotto quali l’aumento
della concorrenza (soprattutto proveniente da operatori non autorizzati) e un generale cambiamento della domanda intesa
come preferenza verso tipologie di scommesse nuove ad elevato pay out».
Foto: Agf
I CENTRI DI TRASMISSIONE DATI SONO liberI da vincolI
normativI e regolamentarI IMPOSTI DALLO STATO,
a differenza di quanto avviene per la rete legale
ne degli apparecchi da intrattenimento è,
secondo i vari modelli, compresa fra il 46
e il 52 per cento, in Spagna è tra il 25 e il
38, in Germania tra il 10 e il 22 e in Gran
Bretagna si attesta attorno al 15. E non finisce qui: tutti gli operatori sono obbligati al
collegamento presso i totalizzatori nazionali, sistemi informatici composti da un
insieme di processi e risorse che concorrono a ricezione, controllo e memorizzazione su supporti persistenti delle transazioni di gioco provenienti dai concessionari
ippici e sportivi, provvedendo all’attribuzione di un identificativo univoco a ogni
singola giocata, alla determinazione delle
quote di vincita probabili e definitive, nonché alla determinazione di tutti i dati contabili che ne scaturiscono. Tutte le giocate
sono inviate, trasmesse, accettate e duplicate presso Sogei, il braccio telematico di
Aams. nemmeno un centesimo sfugge al
controllo del monopolio; al contrario i Ctd
non hanno alcun obbligo di trasferimento.
«Le scommesse – prosegue Schiavolin –
nascono in Italia con la formula della tassazione sulla raccolta ovvero l’applicazione di una aliquota di imposta fissa (in particolare per le scommesse sportive e non
sportive). La tassazione sul margine, di
recente introduzione, nasce dall’esigenza
di offrire nuovi giochi che per le loro regole intrinseche sono incompatibili con un
modello di tassazione sulla raccolta (giochi online, virtual games). Basta questo
per capire che il sistema di tassazione delle scommesse in Italia ha delle anomalie
rispetto a esperienze di paesi esteri, dove
hanno regolamentato il settore scegliendo
un modello unico di tassazione (sul margine) per tutte le tipologie di gioco, con ali-
Come si contrasta il fenomeno
Intanto il fenomeno non accenna a diminuire, anzi si allarga a macchia d’olio, con
predilezione per regioni come la Puglia,
dove i centri non autorizzati hanno superato i centri autorizzati, o la Campania. Le
amministrazioni locali tentano di arginare il fenomeno attraverso norme restrittive sul gioco, ottenendo però l’effetto
opposto e dando il via a un meccanismo
che ricorda il proibizionismo americano:
«Negli ultimi due anni – spiega Maggi –
molti enti locali hanno inteso restringere le aree di commercializzazione fino a
determinare l’espulsione del gioco legale
dal territorio. Questo criterio non si appoggia su alcuna base scientifica e non appare
per nulla adeguato a raggiungere l’obiettivo della protezione dei minori e delle persone potenzialmente vulnerabili, ma sembra solo influenzato dal crescente pregiudizio nei confronti del settore del gioco. È
una situazione che danneggia l’industria
legale del gioco e contribuisce all’incremento dell’illegalità». Imponendo orari di
apertura e chiusura, offrendo incentivi per
la chiusura delle postazioni di gioco e fornendo indicazioni sulla distanza dai punti
sensibili, gli enti locali hanno dato di fatto
il via all’espulsione del gioco legale. Come
possono realtà che operano in questo settore contrastare il fenomeno? Sisal ha scelto di aderire a tutte le associazioni di categoria e alla federazione di Confindustria
sistema gioco Italia: «La Federazione è nata
con l’intento di favorire e promuovere il
progresso del settore nel rispetto di legalità e sicurezza. Per affrontare il problema
dell’illegalità – conclude Maggi – ritengo
sia necessario rendere efficace e giuridicamente certo il principio che per poter esercitare l’attività di scommessa in Italia sia
indispensabile la concessione rilasciata da
Adm e l’autorizzazione di pubblica sicurezza, affiancando una maggiore severità,
frequenza dei controlli e una definizione
di sanzioni ben maggiori delle attuali per
chi non rispetta le regole».
|
| 20 agosto 2014 |
33
L’ITALIA
CHE LAVORA
L’impresa dei
MIRACOLI
Vita, quasi morte e invenzioni portentose di una
cooperativa che ha saputo rilanciarsi proprio quando
era sul punto di chiudere. E adesso trasforma i rozzi
bancali in prodotti di design e gli ex detenuti in
artigiani intellettuali. Tutto «grazie alla Provvidenza»
A
pochi minuti dall’uscita Verona Sud, sull’autostrada che da Milano porta a Venezia, in piena Zai, acronimo di Zona agricola industriale, sorge un’opera un po’
particolare. Stiamo parlando di una cooperativa dove da più di vent’anni si
smontano e rimontano, con operosità certosina, bancali. Quei tanto semplici quanto preziosi elementi in legno modulari che sono alla base della logistica di tutta Europa e, praticamente, di ogni attività produttiva. Qualunque merce che viaggi attraverso l’Italia e il Vecchio Continente, per poter essere trasportata su rotaia, su gomma, via
mare o via cielo, deve poggiare su un bancale. Il “pallet” è un così importante tassello
dell’economia globale che qualcuno l’ha addirittura paragonato al maiale. Anche del
bancale, infatti, non si butta via niente. Lo sa bene Giuseppe Padovani, architetto cinquantenne, ritornato da Milano nella terra della sua famiglia d’origine per rilanciare
il Maggiociondolo, così si chiama la cooperativa nella quale è subentrato in qualità di
presidente e rappresentante legale nel 2011.
In quell’anno il Maggiociondolo ha subìto una battuta d’arresto tanto dura da
minacciarne la scomparsa. «L’azienda era piena di debiti, ma grazie alla Provvidenza è
sopravvissuta», racconta a Tempi Padovani. Per la verità il merito è anche del suo personale impegno, perché Padovani ha modificato radicalmente l’impostazione e la tipologia del lavoro svolto al Maggiociondolo. Che adesso si occupa ancora di recupero e
vendita del pallet, ma non lo fa più esclusivamente attraverso la canonica rigenerazione dell’usato, altrimenti destinato a diventare legna da ardere: ora il materiale ricava-
34
| 20 agosto 2014 |
|
Nella foto a sinistra,
Giuseppe Padovani,
presidente della
cooperativa
Maggiociondolo
di Verona, che
ricicla i pallet
industriali e ne
riadatta una parte
ai più svariati
utilizzi, dall’arredo
al packaging
to dallo smontaggio dei bancali viene riadattato ai
più svariati utilizzi nell’arredo e nel packaging. Da
un prodotto squisitamente industriale Padovani e la
sua squadra ricavano ogni sorta di mensola, scaffale,
rivestimento, sedia, sgabello, tavolino, libreria, scacchiera, gioco per bambini, confezione da vino, cornice e tutto ciò che l’immaginazione può inventare. Ottimizzando costi che altrimenti non sarebbero
economicamente sostenibili.
Questa scelta – che per dare un numero ha portato a differenziare la produzione in un 70 per cento di bancali e un 30 per cento di oggettistica e
mobili da arredo – è frutto di un personale convincimento di Padovani. Il presidente di Maggiociondolo è infatti profondamente persuaso dell’importanza di restituire dignità a un mestiere che ormai
sta scomparendo, quello dell’“artigiano intellettuale”, professionalmente attrezzato ma insieme capace di inventare soluzioni cariche di gusto e di bellezza. A suggerire a Padovani la svolta dell’azienda,
però, è stata anche la peculiarità del “capitale umano” che ha a disposizione, i lavoratori della cooperativa. A parte un paio di dipendenti storici, infatti,
al Maggiociondolo lavorano a turno circa una trentina di persone provenienti da situazioni critiche
come disintossicazione da alcol o droghe e detenzione carceraria in pena alternativa. Persone segnalate per lo più da uffici come gli Uepe (ufficio esecuzione penale esterna) e i Sert (servizio tossicodipendenze) o dalle comunità di recupero locali. A questa
gente Padovani offre una seconda chance, attraverso la possibilità concreta di imparare un mestiere,
per agevolarne il reinserimento lavorativo, nonché
la piena riabilitazione nella società civile.
La dedizione dell’Anguilla
C’è chi ce l’ha fatta, come Eriks, detto “l’Anguilla”,
lettone di Riga, con un passato nel teatro, soprannominato così perché «appena ti giravi cercava di sgusciare via e abbandonare il lavoro». Ora è uno dei più
fidati collaboratori di Padovani e quando la cooperativa era in difficoltà ha trascorso le ferie lavorando gratis. Ma ci sono tanti giovani che il Maggiociondolo prova a strappare a destini avversi. «Noi crediamo nei miracoli», dice Padovani senza scomporsi.
«Qui l’unica regola è stare insieme, condividere, perché crediamo nel cuore e portiamo avanti valori cristiani». Come dimostra la scelta di colorare di bianco
e nero, come l’abito dei domenicani, le pareti esterne della cooperativa. «L’importante – gli fa eco Beppe, un dipendente – è avere l’umiltà di imparare». E
ce ne vuole, visto che smontare un pallet è un lavoro
«estremamente duro», assicura Padovani.
Fallimenti ce ne sono stati, ma non hanno scoraggiato Padovani. È successo per esempio con diversi ragazzi messi alla prova come autisti. «È vero –
ammette – non sono stato particolarmente fortunato
con gli autisti, così ho deciso di fare da me. E ne è valsa la pena, perché i fornitori e i clienti restano molto
colpiti quando si vedono consegnare o ritirare un
|
| 20 agosto 2014 |
35
L’ITALIA CHE LAVORA
Nel 2012 accanto a
Maggiociondolo è
nata Avanguardia,
associazione di
promozione sociale
creata con lo scopo
di comunicare
i prodotti della
cooperativa
A parte un paio di dipendenti storici, Qui
lavorano a turno circa una trentina di persone
provenienti da situazioni DIFFICILI come penE
alternativE AL CARCERE E disintossicazione
bancale dal presidente in persona. Così tra l’altro si
instaurano tanti rapporti che permettono di ottenere anche risultati migliori». Come quella volta che la
Bauli dei panettoni decise di donare alla cooperativa
veronese un bel numero di bancali, che si rivelarono indispensabili per la continuità della produzione.
La svolta grazie agli architetti
«Se la cooperativa si occupasse solo di rigenerare pallet – rivela Padovani – non andremmo da nessuna
parte. Il numero “critico”, e cioè la produzione minima per rendere l’opera economicamente sostenibile,
è di 150 bancali al giorno. E con le sole nostre forze
non saremmo in grado di raggiungerlo». Per fortuna,
però, al civico 104 sulla Strada della Genovesa, dove
si trova la cooperativa, qualcosa è cambiato: decisivo
è stato il contributo di uno sparuto gruppo di giovani architetti e designer, molti dei quali disoccupati,
che hanno cominciato a progettare e realizzare insieme al Maggiociondolo quegli oggetti di design che
pian piano si sono fatti spazio nei negozi di Verona
– gastronomie, macellerie, prestinai, take away “bio”
e bar – hanno superato i confini locali grazie a siti di
e-commerce come il tedesco DaWanda e sono arrivati fino a Milano, dove hanno impreziosito gli interni della sede di Federlegno Arredo, a cui la cooperativa ora è associata. «Una volta che il ciclo virtuoso è entrato a pieno regime – prosegue Padovani – si
è potuta incrementare la produzione di bancali rigenerati diminuendo l’acquisto dai fornitori; questo ha
consentito di abbassare i prezzi di vendita ai nostri
clienti, portando a rimessa diretta o al massimo a
36
| 20 agosto 2014 |
|
trenta giorni fine mese i pagamenti che tradizionalmente avvenivano a sessanta, novanta o centoventi
giorni». Dal punto di vista economico in effetti è un
mezzo miracolo, tanto che «attualmente lavoriamo
senza anticipi di fattura della banca», gonfia il petto
Padovani. E aggiunge: «Con i primi utili è stato preso in affitto il capannone adiacente, poiché nel tempo è divenuta sempre più evidente l’esigenza di condividere lo spazio produttivo e le idee con quelle persone che pian piano si sono coinvolte nella cooperativa, che oggi conta 160 soci e si è affiliata al circolo
oratoriale Anspi».
È a questo punto che è nata l’idea di Avanguardia, l’associazione di promozione sociale fondata nel
2012 con lo scopo di promuovere e comunicare le
realizzazioni del Maggiociondolo, puntando su progetti multitematici e dialogando con privati e istituzioni. «Se il Maggiociondolo realizza prodotti, Avanguardia ha il compito di creare indotti», è lo slogan
con cui Padovani descrive l’iniziativa. «Indotti», ovvero tutto ciò che può nascere dal bancale e dal suo riutilizzo. Sia che si tratti semplicemente di arredare un
locale o un altro ambiente, sia che si debba invece
creare veri e propri eventi culturali e conviviali, concerti, mostre d’arte, convegni… Non a caso la nascita di Avanguardia ha dato il la a importanti collaborazioni. Una per tutte, quella sugli orti didattici con
Gianni Fontana, presidente di Verde Fontana.
Una rivista e una scuola
«L’auspicio è che si mettano in atto processi virtuosi che arricchiscano di valore il territorio, modelli e piattaforme capaci di rispondere ai nuovi bisogni sociali», spiega a Tempi Francesca, figlia di Giuseppe, presidente e anima operativa di Avanguardia.
Due sono i principali strumenti che oggi Avanguardia ha a disposizione: una rivista semsestrale di arte
e mestieri e una scuola di arti e mestieri per promuovere la cultura del fare. L’istituto offre la possibilità
di fare esperienze pratiche, concrete, ed è rivolto a
giovani che hanno finito o stanno finendo il percorso dell’obbligo. Ma anche a diplomati e laureati in
cerca di lavoro e quindi di occasioni buone per arricchire il curriculum con quegli elementi ed esperienze che il settore del legno richiede sempre più insistentemente, ma fatica a trovare. Ed è solo l’inizio.
Matteo Rigamonti
Campagna Meeting 2014
MISSIONE TEMPI
RADDOPPIAMO GLI ABBONAMENTI
Sottoscrivi o rinnova un abbonamento dal 1 agosto al 15 settembre
ne riceverai uno digitale in omaggio per un nuovo amico
v e r s i one
i
www.
.it
www.
.it
le
T e mp
i
in
gita
p l i caz i on
r t abl et e
di
Cartaceo
pe
a r t phone
Abbonamento annuale
30
sm
Digitale
Tutti gli abbonamenti comprendono:
Ap
Abbonamento annuale
Ti aspettiamo al Meeting dal 24 al 30 agosto PADIGLIONE A3
STILI DI VITA
CINEMA
RISTORANTE MACELLERIA MOTTA, MILANO
Un ritorno con divertenti novità
IN BOCCA ALL’ESPERTO
di Tommaso Farina
M
ilanesi, lombardi, italiani. A noi gli occhi. Vi ricordate Sergio Motta? Ma sì:
il macellaio di Inzago (Milano), che nella vicina Bellinzago Lombardo
ha aperto un ristorante in cui l’oggetto del desiderio è la sublime carne
da lui macellata e frollata. Un successo strepitoso, e meritato. Ma Sergio non è tipo da sedersi sugli allori. Ecco così la novità: pochi mesi fa, si è assicurato la firma di Andrea Alfieri, cuoco milanese del 1974, uno dei più interessanti prodotti del vivaio culinario meneghino. Così, oggi in questo ristorante dall’ambiente
moderno e dal bellissimo porticato esterno si mangia una cucina ancor più interessante di quella, ghiottissima, che vi abbiamo raccontato l’anno scorso.
Si parte con i prosciutti stagionati da Sergio (grandioso quello di cinque anni)
e con le sue bresaole, ottenute da ogni taglio del manzo. La creatività di Andrea
prorompe nel crudo di manzo con uovo di quaglia, burrata e katsuobushi (tonno
essiccato grattugiato), un piattarello di una freschezza inaspettata. Di gran tecnica i tortelli ai tre arrosti con spinacini, fondo ristretto all’acqua di Parmigiano
Reggiano e fiori di camomilla, dai sapori nitidi e ben discernibili. La bravura di Alfieri si può poi esplicare in un risotto ai porcini estivi, mirtilli e scaloppa di foie
gras da far ammutolire una tavolata loquace.
Il divertimento maggiore arriva coi secondi. Dalla coscia del bue frollato a lungo, Sergio ricava il cosiddetto “Bisteccone”: una carne cotta con maestria al fuoco
di braci, di una semplicità avvincente. Richiama l’asado argentino, viceversa, il costato di bue cotto a lungo e piacevolmente affumicato, che vi avevamo già descritto. E non è tutto: anche d’estate qui potrete mangiare un bollito misto di gran livello, con tutte le salse al loro posto. In alternativa, piatti intelligenti di Andrea.
I dolci sono curati dalla brava Roberta Zulian, alter ego di Andrea. Da bere,
una cantina vasta e molto articolata, comprensiva anche di birre.
Spesa sui 60-70 euro, ma anche meno con opportune scelte.
Amici miei
LIBRI/1
Cartoline dal Paradiso
firmate Corigliano
Tre anni, 150 cartoline, attraverso cui l’autore commenta i fatti dell’attualità per invogliarci a
vedere sempre il bicchiere mezzo pieno, nonostante la crisi, nonostante il governo, nonostante
le alluvioni e i terremoti. Nonostante tutto. Cartoline dal Paradiso. La speranza oltre la crisi (Edizioni Ares, 208 pagine,
| 20 agosto 2014 |
Finalmente un
buon sequel
In un futuro dominato da
un cupo regime, i cittadini
danno libero sfogo ai propri istinti per una lunghissima e crudele notte.
Sequel del film con protagonista Ethan Hawke e
uscito l’anno scorso. È meglio del primo che aveva
una buona idea ma poi si
attorcigliava su se stesso.
Qui la storia è praticamente
la stessa: ci sono più soldi,
visibili nella bella e curata
confezione e nel cast azzeccato con un grande Frank
HOME VIDEO
The Wolf Of Wall Street,
di Martin Scorsese
Magnifico Scorsese
Ascesa e declino di un broker
milionario negli Stati Uniti tra
gli anni Ottanta e Novanta.
Tre ore di film in cui succede tutto e il contrario di tutto. Sesso,
violenza verbale e non. È la solita storia di Scorsese, quella di
un uomo che cerca una redenzione personale finendo per perdere tutto, più compatta e coesa dei
film precedenti del regista italoamericano. Magnifico dal punto di
vista della messinscena, scrittura
e montaggio, il film è la conferma
di due grandissimi attori: il solito
DiCaprio e l’incredibile Jonah Hill.
Per informazioni
Macelleria Motta
www.ristorante
macelleriamotta.it
Strada Padana
Superiore, 90
Bellinzago Lombardo
(Milano)
Tel. 02 95784123
Chiuso la domenica
38
Anarchia – La notte
del giudizio,
di James DeMonaco
|
13 euro) è l’ultimo libro di Pippo Corigliano che su Tempi cura
la rubrica che trovate nelle pagine delle lettere e che compongono questo libro. Senza pretesa di insegnare nulla, l’autore sa
fare breccia nei cuori e dona al
lettore le ragioni profonde e per
nulla scontate della sua speranza. La prefazione è firmata da
Costanza Miriano che di Corigliano scrive: «Non è una persona come le altre, lui vive con
i piedi per terra ma lo sguardo
fisso verso il Cielo. D’altra parte lo ha detto: come san Filippo Neri, “preferisco il Paradiso”.
A me succede di arrabbiarmi se
le cose vanno storte, se qualcuno mi fa una prepotenza, se subisco un’ingiustizia. A Pippo no.
Lui trova sempre qualcosa di cui
gioire in tutto ciò che accade!».
LIBRI/2
Papa Francesco
in Corea del Sud
Dal 14 al 18 agosto papa Francesco visiterà la Corea del Sud.
Fra i propositi che spingono in
Asia il Santo Padre vi è il desiderio di dialogare con i giovani di quel continente e rilanciare l’azione missionaria della
Chiesa coreana, sostenuta dalla testimonianza dei martiri,
vero motore dell’evangelizzazione mondiale. Giovani e martiri in Asia: la missione di papa
Francesco in Corea (Cantagalli, 145 pagine, 12 euro) di Vincenzo Faccioli Pintozzi, vuole
raccontare al lettore quali siano le sfide della Corea, paese
“del calmo mattino” in bilico fra
democrazia e dittatura, sviluppo economico e disparità sociali, impegno civile e guerra, tradizioni religiose e materialismo.
Questo libro è uno sguardo
all’interno di una delle società e
delle Chiese più vive dell’Asia.
ARRIVANO GLI INGLESI
Grillo, efficace e tostissimo.
Cruento e durissimo, è un
film che mette insieme la
tradizione del b movie degli
anni Settanta e Ottanta, Il
giustiziere della notte sopra
tutti, assieme alle atmosfere dark e ai contenuti dissacranti di 1997: fuga
da New York dove Jena Plissken
sbeffeggiava il presidente degli Stati Uniti. Qui due chiavi
di lettura: quello superficiale
del solido thriller claustrofobico e, più in profondità, l’atto d’accusa contro il capitalismo sfrenato, l’ossessione
della protezione e del nemico
interno.
visti da Simone
Fortunato
SPORTELLO INPS
In collaborazione con
DOMANDA & RISPOSTA
Tutto quello che
bisogna sapere
Indennità di disoccupazione
Tra pochi giorni compirò 67 anni.
Per ottenere una pensione ci vogliono 20 anni di contributi, io ne
ho solo 15. Che cosa posso fare?
Maurizio W.
Nel 2014 chi compirà sessantasette anni di età potrà conseguire la pensione di vecchia-
invia il tuo quesito a
[email protected]
Se il meteo vale
più degli occhi
Il regista
James
DeMonaco
ia nel caso abbia maturato 15
anni di anzianità assicurativa e
contributiva al 31.12.1992, oppure se è in possesso dei requisiti per l’applicazione di una
delle altre deroghe all’innalzamento del requisito contributivo a 20 anni, previste dall’articolo 2, comma 3, del decreto
legislativo n. 503 del 1992.
Io come privato, se avessi bisogno di un aiuto in casa o nel mio
terreno – non avendo nessuna
ditta – posso usare i buoni lavoro per regolarizzare chi mi aiuta?
Grazie della risposta.
Federico B.
MAMMA OCA
di Annalena Valenti
S
i accorge che Queen Elizabeth su
twitter non è la regina d’Inghilterra ma un fake, solo quando
la figlia sedicenne glielo fa notare, roba da incidente diplomatico il tweet di
quel burlone: «It’s Prince George’s 1st
Birthday today. William said not to get
him anything expensive, so we’ve bought him Italy». E lei per una frase così, altro che falsa, avrebbe perlomeno
raddoppiato il prezzo delle case che
’sti inglesi si stanno comprando ad Alghero. Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso della distanza tra lei, la
queen, e la tecnologia esasperatamente lontana dalla realtà è quel gestore
del chiosco sulla spiaggia, Capo Caccia
che si staglia all’orizzonte. Quando gli
ho chiesto se potevo rimanere rilassata in spiaggia o temere i nuvoloni neri che si stavano avvicinando a velocità
da maestrale sardo, invece di guardare all’insù il cielo minaccioso, magari
col dito indice a sentire vento e umidità, ha guardato all’ingiù sul suo telefonino un qualche meteo punto qualcosa sentenziando, no alle undici su
Alghero non dovrebbe piovere. Eppure, amico tecno, c’è un bel tronco spezzato davanti al tuo baretto che ti dovrebbe ricordare la tromba d’aria di
qualche anno fa, quella che non “doveva passare di qui”, quella che il bar
a dieci metri di distanza l’ha evitato e
sul tuo tetto è piombato un eucalipto
di tre piani. Ma gli inglesi, dice, si fidano più del meteo che dei miei occhi.
mammaoca.com
Certamente sì. Anche i privati o le famiglie rientrano tra i
possibili committenti di lavoro
accessorio retribuito attraverso i Buoni Lavoro. In tal caso,
occorre ricordare che i compensi complessivamente percepiti dal prestatore non possono superare, per il 2014, 5.050
euro netti (che equivalgono a
6.740 euro lordi) nel corso di
un anno solare, con riferimento
alla totalità dei committenti.
Vorrei maggiori informazioni in merito al bonus degli 80
euro attuato dal governo Renzi e nello specifico vorrei sapere
se spetta anche per chi ha una
pensione di reversibilità.
Grazia S.
Possono aver diritto al bonus
degli 80 euro esclusivamente i
pensionati titolari di pensione
complementare o integrativa
ai quali, in base alla legge, vengono riconosciute le detrazioni per lavoro dipendente e non
da pensione. Si può verificare questa situazione dal Cud: il
beneficio spetta se i giorni per
i quali sono attribuite le detrazioni sono riportati nel campo
3 (Lavoro Dipendente) e non
nel campo 4 (Pensioni).
|
| 20 agosto 2014 |
39
motorpedia
WWW.RED-LIVE.IT
A CURA DI
UNA RUOTA IN MENO
Yamaha Tricity
Il mondo dei tre ruote trova un nuovo attore protagonista: si chiama Tricity ed è il primo “threewheeler” giapponese ad arrivare sul mercato. Yamaha
propone una ricetta leggermente differente dai tre ruote attualmente in circolazione: il Tricity punta, infatti, sulla leggerezza assoluta (152 chilogrammi,
appena più di uno scooter 125 tradizionale) e sulla facilità di guida. Qualità
confermate dalla prova su strada, che ha rivelato tra le doti del tre ruote Yamaha un consumo dichiarato di 41 chilometri al litro (l’effettivo non è distante). Il prezzo d’acquisto di soli 3.490 euro potrebbe convincere molti automo[sc]
bilisti a fare a meno di una ruota… 40
| 20 agosto 2014 |
|
I CONSUMI NON SONO CONTENUTI MA È IN GRADO
DI AFFRONTARE I PERCORSI PIù DIFFICILI
Panda 4x4, un piacere
sulle stade sterrate
I
l primo “Pandino”, quello del 1983, vanta un primato
di tutto rispetto: è stata la prima utilitaria a motore trasversale al mondo ad adottare la trazione integrale. Una vettura che a suo modo ha fatto la storia e
che ancora oggi non è affatto improbabile trovare sulle
strade di montagna, anche le più impervie. Ma la Panda 4x4 (soprattutto con la versione Sysley) è riuscita anche ad arrivare al cuore delle città grazie al suo aspetto spartano e, se vogliamo, un po’ snob. Oggi ha perso
l’aria spartana ed essenziale che caratterizzava la prima
versione ma, quanto a praticità, la Panda 4x4 my 2013
si può considerare degna erede di quella prima versione. La stessa praticità che si ritrova nell’abitacolo, oggi piuttosto raffinato nella sua
ABITACOLO gradevole livrea bicolore, ma che
RAFFINATO RISPETTO conserva alcune peculiarità che i
AL PASSATO. DUE LE vari modelli si sono tramandati
MOTORIZZAZIONI negli anni, come gli strumenti di
DA 75 E 85 CAVALLI forma quadrata e il comodo vano
ENTRAMBI CON portaoggetti aperto sulla plancia
START&STOP E SEI lato passeggero.
MARCE. A PARTIRE
Due le motorizzazioni dispoDA 17.360 EURO nibili: Twin Air 900 cc da 85 cavalli (17.360 euro), oppure quattro
cilindri Diesel 1.3 Multijet da 75 cavalli (18.110 euro),
entrambi dotati di Start&Stop per contenere i consumi,
che non sono particolarmente contenuti: se non si guida con particolare attenzione (la mappatura Eco può
aiutare) sulla Twin Air tendono a sfiorare i 9 litri per
percorrere 100 chilometri. Non sono previste le marce
ridotte ma è possibile affrontare qualsiasi tipo di fondo, compresi sterrati di media difficoltà, grazie al sistema di trazione integrale definito “Torque on-demand”,
con due differenziali e un giunto centrale gestito da una
centralina elettronica, e alla prima molto corta del cambio a sei marce. Per le situazioni più “hard” c’è il pulsante ELD, posto di fianco alla leva del cambio: simula il
blocco del differenziale, frenando singolarmente le ruote e migliorando di conseguenza la trazione.
Un po’ rumoroso e afflitto da “turbo lag” (ritardo
nella risposta all’acceleratore), il bicilindrico Twin Air
vanta comunque prestazioni interessanti, anche se non
è certo la velocità massima il dato più significativo per
la Panda, un mezzo capace di affrontare situazioni difficili. Moderna e raffinata, la nuova Panda 4x4 resta pratica e in grado di suscitare immediata simpatia.
Marco Sormani
Tricity è il primo threewheeler giapponese.
Più leggero e più facile da guidare rispetto
agli altri. Prezzo bassissimo: 3.490 euro
|
| 20 agosto 2014 |
41
RICORRENZE
50ESIMO DALL’ECCLESIAM SUAM
La Chiesa e la modernità
Tra entusiasmo sacro
e debolezza di giudizio
DI CARLA VITES
D
velato di sommessa preoccupazione,
anche se incrollabilmente fisso nella certezza che Cristo salva la sua Chiesa,
che Montini sembra rivolgere alla Chiesa
prossima alla conclusione del Concilio Vaticano II. Con Ecclesiam suam, primissima
enciclica di Paolo VI, di cui ricorre in questi giorni il 50esimo dalla promulgazione
(6 agosto 1964, mentre il 7 agosto è il bicentenario della riabilitazione dei gesuiti, e papa Francesco è un gesuita), il papa
succeduto in corso d’opera all’ideatore del
Concilio sembra quasi voler trattenere per
il lembo delle loro casule i fratelli cardinali, riuniti nei palazzi vaticani a definire i
pronunciamenti sui rapporti tra la Chiesa e il mondo moderno. Un trattenere che
pesca lontano, su quel crinale che ancora
non sembrava del tutto aver perso la vertiginosità rivelatasi «con il dissidio nato nelle lotte del Risorgimento e nella catastrofe
di un mondo e di una mentalità nel 1870».
Monsignor Del Luca, fondatore delle Edizioni di Storia e Letteratura, amico
intimo di Giovanni Papini e di molti altri intellettuali, credenti e non, del secolo scorso, così commentava la percezione tragica che l’autocoscienza cattolica
e romana aveva di sé. Ma concludeva altrettanto puntualmente: «Non si sa cosa
ci ritenga dall’entrare nel vivo della vita
italiana e perché si debba essere come in
margine». L’essere in margine era esattamente la condizione di tutta una schie-
42
ifficile comprendere lo sguardo
| 20 agosto 2014 |
|
ra di personaggi cresciuti all’ombra di
un’istituzione, la Chiesa, che un tempo
si poneva come una “garanzia” per una
acquisizione di status o comunque di credibilità e che, dopo i fatti risorgimentali,
facilmente primeggiava nel farsi riconoscere per la assenza di curiosità, limitazioni culturali e mancanza di spregiudicatezza censurabile dai laici in termini di
sufficienza, pusillanimità, disprezzo.
D’altro lato il mondo moderno, per De
Luca, era sempre più il mondo delle endiadi secondo cui l’uomo, l’artista, il creatore, si sentiva semplicemente un «io più cristianesimo». «Il pullulare, agli inizi del XIX
secolo, di correnti mistiche e sedicenti religiose frutto di un “entusiasmo sacro” alla Nietzsche, esempi di una secolarizzazione del sacro, altro non facevano che
puntare sul primo elemento dell’endiadi:
l’io». De Luca proclamava che «la ricomposizione della scissione non poteva essere affidata all’incerto rischio della mistica,
del sentimento religioso o della “poesia”.
Intesi come quei tentativi spontaneistici di “unione tra se stessi e Cristo direttamente”, tipico di gruppi e associazioni di
cui ha pullulato il XX secolo, connotati dal
non determinato ma reale rischio di voler
superare il povero ma insostituibile compito affidato alla Chiesa. Quello cioè di serbare intatte quelle poche dottrine di Cristo, usare quei pochi canali ordinari della
grazia (sacramenti) e di salvare in unità i
credenti che, essendo essa fondata sulla
il gesuita Robert Drinan
al Congresso usa si spese
a favore dell’aborto.
come si pone questa scelta
rispetto all’essere un
sacerdote? «l’aborto
era una questione del
tutto differente da quella
della mia moralità»
Tradizione, a lei sola compete». E proprio
questo punto, con affabilità ma decisamente, Montini sottolineerà nella sua Ecclesiam suam.
L’aspetto “tragico” su cui, forse, il Concilio propriamente avrebbe dovuto esprimersi, stava tutto nella condanna della
tendenza puramente “difensiva” di tanto “ecclesiasticismo”. Uno stile e una preoccupazione difensiva nata forse per il
fatto «di essersi persi dietro le astrazioni
Foto: Ansa/Farabola
|
cultura cristiana che in realtà non poteva
non andare oltre il tema del confronto tra
cattolicesimo e pensiero moderno. Ai cattolici mancava propriamente un “respiro
lungo”, consapevole del suo passato, non
identificabile tout court con quello di cui
per troppi anni era stata depositaria una
gerarchia impaurita. Se il pensiero cattolico doveva essere messo sullo stesso piano
di quello cosiddetto “moderno”, cioè un
pensiero alla stregua di altri, era forse una
conseguenza la legittimazione della predica cristiana, tipico di tanto associazionismo, come una specie di propaganda ideologica e politica. Già allora emergeva la
propensione degli uomini di Chiesa – come a suo modo negli anni Settanta sottolineerà Pasolini – a non saper promuovere
una cultura. Cultura che non si irrigidisse
a ragionare per “dilemmi” ma si ponesse
invece dei problemi, ed evitasse così di ottenere come unico esito un «contorcimento in cui la “religiosità” non riusciva a tradursi in “religione”».
Foto: Ansa/Farabola
umanitarie di origine anticristiana e laica che hanno ingombrato da fine Settecento per tanto tempo uomini e nazioni».
D’altro canto Montini, assistente nazionale della Fuci per 7 anni e grande sostenitore dell’Azione Cattolica nonché fondatore delle Acli, strumenti operativi pensati
dalle organizzazioni del laicato cattolico
e della stessa curia, nel 1964 stava amaramente rendendosi conto di come avessero
finito per caratterizzarsi come una troppo
evidente imitazione del modo di operare
degli avversari e sembrassero esprimere
più l’esigenza di occupare degli spazi che
non una chiarezza di fini da proporsi.
Un triste presagio
In quel lontano 6 agosto 1964 – ma nella
Chiesa tutto è sempre vicino – papa Paolo
VI si rivolge ai confratelli radunati in Concilio esprimendo quasi l’ombra di un triste presagio: «Il fascino della vita profana
oggi è potentissimo. Il conformismo sem-
bra a molti fatale e sapiente. Chi non è ben
radicato nella fede e nella pratica della legge ecclesiastica pensa facilmente essere venuto il momento di adattarsi alla concezione profana della vita, come se questa
fosse la migliore, quella che un cristiano
può e deve far propria. Questo fenomeno di adattamento si pronuncia tanto nel
campo filosofico quanto nel campo pratico, dove diventa sempre più incerto e difficile segnare la linea della rettitudine morale, e della retta condotta pratica».
La stessa vicenda per cui nemmeno
vent’anni prima Montini aveva sostenuto
la nascita della rivista Humanitas all’interno della sua amata editrice Morcelliana.
Humanitas, scrive Montini, «rivista nata
da un’appassionata aderenza alle inquietudini naturali, dalla dolorosa domanda
di questo tempo» come «presa di contatto
profonda del pensiero cattolico coi problemi del pensiero moderno e con le sue posizioni ideali», manifestava un disagio della
Dalla forma alla formula
Il compito di cogliere, subito dopo la guerra, l’opportunità per riempire il vuoto che
il crollo del totalitarismo aveva prodotto,
quasi provvidenzialmente, di una società
atea e liberale la cui cultura era tutta imbevuta di idealismo, sfumò drammaticamente a causa del prevalere dell’attività
organizzativa su quella culturale. Un’impostazione che impedì di riattirare a una
sapienza umana profonda, quella della
Chiesa, la cultura laica e, quindi, di riproporre la centralità della stessa nel mondo
moderno. In questo noi cattolici in Italia
ci siamo espressi con la legittimazione di
un partito, la Dc, sottovalutando che era
diventata soprattutto il referente nazionale di una borghesia irreligiosa e corrotta, trasformatrice di una forma in una formula, senza alcun guadagno dal punto di
vista culturale. Emblema di questa sconfitta culturale fu la piccola ma sintomatica vicenda, dieci anni dopo l’Ecclesiam
suam, del gesuita americano Robert Drinan. Che da eletto al Congresso americano si spese in pieno per la difesa della
posizione filoabortista del partito democratico. Posto davanti alla questione di come questa sua scelta si ponesse rispetto
alle sue responsabilità di sacerdote della
Chiesa cattolica e alla sua netta rivendicazione in difesa della vita, Drinan risponderà che «la legalizzazione dell’aborto era
una questione del tutto differente da quella della mia moralità».
|
| 20 agosto 2014 |
43
LETTERE
AL DIRETTORE
Per ristabilire una civiltà
giuridica anche in Italia
cosa occorre? Un Jihad?
M
i chiedevo che fine avesse fatto Marina Corradi,
come mai non scrivesse più su Tempi le sue emozioni bellissime che ritagliavo ogni volta. Nell’ultimo numero della rivista l’ho ritrovata e come al solito mi
ha ancora commosso. Grazie. E complimenti anche ad Annalisi Teggi per il suo “Mischia ordinata”. Franca Calenti via internet
Non solo Marina, non solo Annalisa. Adesso, come
avrete già notato, salutiamo anche
il ritorno di padre Aldo Trento. Que
viva el bellunes-paraguagio!
2
Un amico avvocato mi ha trasmesso
questa testimonianza. Ve la giro volentieri. «Non posso sottrarmi alla responsabilità morale di rendere testimonianza su quello che vedo e su
come è ridotto il mio paese: in Italia
il carcere viene usato come ordinario
strumento di tortura per estorcere
dichiarazioni alle persone sottoposte
a indagini. Uso scientemente la parola “dichiarazioni” e non “confessioni”,
perché le confessioni implicano la verità di quello che viene detto, mentre
le dichiarazioni ne prescindono, perché vengono rese solo per compiacere il torturatore e sottrarsi così al
suo potere. Se poi voi preferite continuare a fingere di non vedere e di
non sentire o, peggio ancora, pensare
che vada bene così, non me ne curo,
perché a me basta di sapere che sto
mettendo in pratica quello che mi ha
insegnato Giuseppe Bettiol. Caso mai
siete voi che non lo state facendo. Caro papa Francesco, non basta dire
che la tortura è un peccato mortale,
se poi non puntiamo il dito verso un
pubblico ministero o un Gip o un presidente del tribunale del riesame, anche di un paese che si vanta di essere
democratico, e, guardandolo negli occhi, non abbiamo la forza e il coraggio di dirgli: “Tu stai torturando un
essere umano”. Dario Meneguzzo –
un avvocato cui è toccato in sorte di
vivere in questo frammento dell’uni
verso in questo tempo».
Luca Frigerio Padova
Caro Luca, di questi giorni, come
già saprai, è la notizia del primo indagato serio per un omicidio occorso ben ventisette anni fa e che
ci riguarda nel senso che ci portò
via la nostra cara sorella di movimento Lidia Macchi. Aveva 21 anni.
di Fred Perri
QUANTO MI MANCA ARTEMIO FRANCHI
P
Artemio Franchi? A
molti di voi, giovinastri degenerati, questo nome non dirà nulla. Artemio Franchi, a cui sono stati dedicati ben due stadi, quello di Firenze e
quello di Siena, è stato il dirigente calcistico italiano di maggior successo e bravura. Alla sua morte in
un incidente stradale il 12 agosto del 1983, era presi-
44
erché mi è tornato in mente
| 20 agosto 2014 |
|
dente dell’Uefa e vice presidente della Fifa. Era anche
presidente della commissione arbitri della federazione internazionale e al Mondiale spagnolo del 1982
si sussurrava che l’arcigna (eufemismo) marcatura di
Gentile su Maradona e Zico venne tollerata grazie ai
suoi uffici. Vero o no che fosse, la dice lunga sulla
considerazione di cui godeva. E allora il calcio italia-
Foto: AP/LaPresse
Per un vero cambiamento serve coraggio.
E nessuno ce l’ha, nemmeno Tavecchio
[email protected]
Ho ricordi vaghi di quei giorni, ma
uno estremamente nitido: un certo clima di persecuzione nei confronti dei nostri amici di Varese
perché il pm incaricato delle indagini, il dottor Agostino Abate, sembrò fissarsi sulla pista della cerchia
delle amicizie di Lidia. Risultato:
per ventisette anni – una vita! – un
certo sacerdote ha vissuto all’ombra del tremendo sospetto di essere l’autore o comunque una persona informata del delitto. Veniamo
ora a sapere che solo otto mesi dopo aver avocato a sé il caso, la Procura di Milano ha chiuso le indagini
e chiesto il rinvio a giudizio per un
altro presunto assassino. Non solo. La pm milanese Carmen Mafredda ha avuto l’intelligenza e il tatto
di chiamare il sacerdote e chiedergli scusa per una tortura durata
ventisette lunghissimi anni. Una vita. Basterebbe questa sola vicenda, questo solo uomo, questo solo torturato, per provare l’angoscia
e l’oppressione del potere efferato che ha lo Stato quando da prudente sia pur terribile inquirente si
trasforma in burocratico e tronfio
inquisitore. Tanto più efferato, come succede da vent’anni a questa
parte, quando viaggia in concorso con giornali che alla sola notizia
di un avviso di garanzia sbattono le
persone in prima pagina e plaudono alle manette come metodo per
estorcere dichiarazioni agli indagati. Poi, se sono innocenti, si vedrà.
Vite distrutte che, forse, troveranno notizia della loro assoluzione in
un trafiletto a pagina 55. Ma cosa
ci vuole per ristabilire un minimo di
ECCO PERCHé VADO A RIMINI
Vado al Meeting dove incontrerò
i figli spirituali di don Giussani
CARTOLINA DAL PARADISO
di Pippo Corigliano
G
uardare in faccia una persona è il miglior modo per conoscerla. Andare al Meeting di Rimini vuol dire guardare in faccia i figli spirituali di don Giussani e
avere il piacere di conoscerli meglio. Sono già stato tre volte al Meeting e ogni
volta è stata un’emozione. Gli organizzatori sono di una simpatia straordinaria e i
volontari sono altrettanto emozionanti testimoniando la carica spirituale che è stata loro trasmessa. Passare le proprie vacanze per mettersi al servizio degli ospiti del
Meeting, facendo i lavori più diversi, dall’impiantista all’autista, significa aver imparato la logica di Gesù: quella del servire. Quest’anno vado per presentare la raccolta
delle Cartoline dal Paradiso (Ares) con Luigi Amicone, il direttore di Tempi. Mai cognome fu più azzeccato. Luigi ti trasmette la gioia della fede che don Giussani gli ha
suscitato. Conoscere Luigi è riconoscere don Giussani. È stata sua l’idea delle cartoline dopo un mio libro sul Paradiso (Mondadori): un manuale d’istruzioni su come arrivare alla vita eterna estratto direttamente dalla Bibbia. Anche il nome “cartoline” è
stata un’idea sua. Il 27 agosto ne parleremo pubblicamente in un angolo del Meeting
gestito da Tempi, il settimanale necessario, quasi indispensabile, per il laico cristiano. Ci lavorano persone intelligenti e simpatiche come Benedetta Frigerio, Pietro Piccinini e altri. Collaborano persone di gran calibro come Annalisa Teggi e Marina Corradi. Non resta che abbonarsi a Tempi e venire al Meeting.
civiltà giuridica e giornali civili anche in Italia? Un Jihad?
sti sventurati(?), perhé vivono in posti
dove Cristo non regna. Che ne dice? Antonio Ascione via internet
2
Caro direttore, l’invasione di gente che
viene dall’altra parte del Mediterraneo
viene variamente letta da osservatori,
esperti, “tecnici”. Si domandano in che
modo leggere questa “fuga”, perché
tanta gente lascia la propria terra. Io
avrei trovato la “chiave di lettura” del
fenomeno migrazione: scappano, que-
Dove sono perseguitati i cristiani è perseguitato ogni essere umano. Tenetelo ben a mente. Non è
una massima. È una prova del nove. Prendete una cartina del mondo
e vedete quali sono i paesi in cui uomini, donne, vecchi e bambini sono
degli sventurati in fuga.
Foto: AP/LaPresse
SPORT ÜBER ALLES
no era il paese dei balocchi. Adesso, nel periodo di
maggior crisi, nel momento più basso avremo Carlo
Tavecchio. Il problema non è la sua infelice uscita sugli extracomunitari buttata subito in cagnara politica, ma che Tavecchio è il candidato che dovrà garantire meno scossoni possibili. È il candidato di Galliani
e Lotito, di chi non è interessato a cambiare nulla.
Il nostro povero calcio è ridotto ai minimi termini
e avrebbe bisogno di un radicale cambiamento. Ma
per cambiare ci vuole coraggio. Quindi scatta il punto uno: andatevi a leggere l’Über Alles di una settimana fa. I soldi potrebbero anche tornare, ma il coraggio, se uno non ce l’ha non se lo può dare.
|
| 20 agosto 2014 |
45
Totale valore della produzione
2.436.167
2.518.046
B) Costi della produzione:
6) per materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci
265
375.087
7) per servizi
1.829.886
1.549.344
8) per godimento di beni di terzi
76.186
95.268
9) per il personale:
a) salari e stipendi
224.768
227.457
b) oneri sociali
57.771
52.685
c), d), e) trattamento di fine rapporto, trattamento di
12.992
12.677
quiescenza, altri costi del personale
c) trattamento di fine rapporto
12.992
12.677
d) trattamento di quiescenza e simili
e) altri costi
Totale costi per il personale
295.531
292.819
10) ammortamenti e svalutazioni:
a), b), c) ammortamento delle immobilizzazioni immateriali
29.392
49.350
e materiali, altre svalutazioni delle immobilizzazioni
a) ammortamento delle immobilizzazioni immateriali
14.874
31.948
b) ammortamento delle immobilizzazioni materiali
14.518
17.402
c) altre svalutazioni delle immobilizzazioni
d) svalutazioni dei crediti compresi nell'attivo circolante e
21.036
delle disponibilità liquide
Totale ammortamenti e svalutazioni
50.428
49.350
11) variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie,
di consumo e merci
12) accantonamenti per rischi
13) altri accantonamenti
787
14) oneri diversi di gestione
20.013
22.613
Totale costi della produzione
2.272.309
2.385.268
Differenza tra valore e costi della produzione (A - B)
163.858
132.778
C) Proventi e oneri finanziari:
15) proventi da partecipazioni
da imprese controllate
da imprese collegate
altri
Totale proventi da partecipazioni
16) altri proventi finanziari:
a) da crediti iscritti nelle immobilizzazioni
da imprese controllate
da imprese collegate
da imprese controllanti
altri
EDITORIALE
TEMPI DURI SRLTotale proventi finanziari da crediti iscritti nelle
immobilizzazioni
b), c) da titoli iscritti nelle immobilizzazioni che non
costituiscono partecipazioni e da titoli iscritti nell'attivo
circolante che non costituiscono partecipazioni
b) da titoli iscritti nelle immobilizzazioni che non
costituiscono partecipazioni
c) da titoli iscritti nell'attivo circolante che non
costituiscono partecipazioni
d) proventi diversi dai precedenti
da imprese controllate
Bilancio al 31/12/2013
Pag. 5 di 6da imprese collegate
da imprese controllanti
Generato automaticamente - Conforme alla tassonomia itcc-ci-2011-01-04
altri
26
156
Totale proventi diversi dai precedenti
26
156
Totale altri proventi finanziari
26
156
17) interessi e altri oneri finanziari
a imprese controllate
a imprese collegate
a imprese controllanti
altri
101.108
102.053
Totale interessi e altri oneri finanziari
101.108
102.053
17-bis) utili e perdite su cambi
Totale proventi e oneri finanziari (15 + 16 - 17 + - 17-bis)
-101.082
-101.897
D) Rettifiche di valore di attività finanziarie:
18) rivalutazioni:
a) di partecipazioni
b) di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono
partecipazioni
c) di titoli iscritti all'attivo circolante che non costituiscono
partecipazioni
Totale rivalutazioni
19) svalutazioni:
a) di partecipazioni
b) di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono
partecipazioni
c) di titoli iscritti nell'attivo circolante che non costituiscono
partecipazioni
Totale svalutazioni
Totale delle rettifiche di valore di attività finanziarie (18 - 19)
E) Proventi e oneri straordinari:
20) proventi
plusvalenze da alienazioni i cui ricavi non sono iscrivibili al
n5
Differenza da arrotondamento all'unità di Euro
altri
9.357
Totale proventi
9.357
21) oneri
minusvalenze da alienazioni i cui effetti contabili non sono
iscrivibili al n 14
imposte relative ad esercizi precedenti
Differenza da arrotondamento all'unità di Euro
altri
42.940
15.097
Totale oneri
42.940
15.097
Totale delle partite straordinarie (20 - 21)
-42.940
-5.740
Risultato prima delle imposte (A - B + - C + - D + - E)
19.836
25.141
22) Imposte sul reddito dell'esercizio, correnti, differite e
anticipate
imposte correnti
25.522
18.215
imposte differite
imposte anticipate
11.762
3.044
proventi (oneri) da adesione al regime di consolidato fiscale /
trasparenza fiscale
Totale delle imposte sul reddito dell'esercizio, correnti,
13.760
15.171
differite e anticipate
23) Utile (perdita) dell'esercizio
6.076
9.970
PUBBLICAZIONE BILANCIO AL 31.12.2013 DELLA CONCESSIONARIA
PUBBLICITà EDITORIALE TEMPI DURI SRL
EDITORIALE TEMPI DURI SRL
Stato patrimoniale
2013-12-31
2012-12-31
Attivo
A) Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti
Parte richiamata
Parte da richiamare
40.500
45.000
Totale crediti verso soci per versamenti ancora dovuti (A)
40.500
45.000
B) Immobilizzazioni
I - Immobilizzazioni immateriali
Valore lordo
171.403
257.308
Ammortamenti
158.931
229.844
Svalutazioni
Totale immobilizzazioni immateriali
12.472
27.464
II - Immobilizzazioni materiali
Valore lordo
149.723
147.783
Ammortamenti
120.196
105.679
Svalutazioni
Totale immobilizzazioni materiali
29.527
42.104
III - Immobilizzazioni finanziarie
2) crediti
esigibili entro l'esercizio successivo
esigibili oltre l'esercizio successivo
Totale crediti
Altre immobilizzazioni finanziarie
10.500
500
Totale immobilizzazioni finanziarie
10.500
500
Totale immobilizzazioni (B)
52.499
70.068
C) Attivo circolante
I - Rimanenze
Totale rimanenze
II - Crediti
esigibili entro l'esercizio successivo
3.497.441
3.862.581
esigibili oltre l'esercizio successivo
22.032
22.032
Totale crediti
3.519.473
3.884.613
III - Attività finanziarie che non costituiscono
immobilizzazioni
Totale attività finanziarie che non costituiscono
immobilizzazioni
IV - Disponibilità liquide
Totale disponibilità liquide
17.624
18.765
Totale attivo circolante (C)
3.537.097
3.903.378
D) Ratei e risconti
Totale ratei e risconti (D)
607
3.035
Totale attivo
3.630.703
4.021.481
Passivo
A) Patrimonio netto
I - Capitale
67.500
60.000
II - Riserva da soprapprezzo delle azioni
III - Riserve di rivalutazione
IV - Riserva legale
499
V - Riserve statutarie
VI - Riserva per azioni proprie in portafoglio
VII - Altre riserve, distintamente indicate
Differenza da arrotondamento all'unità di Euro
1
Varie altre riserve
204.471
Totale altre riserve
204.472
VIII - Utili (perdite) portati a nuovo
IX - Utile (perdita) dell'esercizio
EDITORIALE
TEMPI DURI
SRL
Utile (perdita) dell'esercizio.
6.076
9.970
Copertura parziale perdita d'esercizio
Utile (perdita) residua
6.076
9.970
Totale patrimonio netto
278.547
69.970
B) Fondi per rischi e oneri
Totale fondi per rischi ed oneri
629
C) Trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato
85.903
46.484
D) Debiti
esigibili entro l'esercizio successivo
3.251.831
3.892.779
esigibili oltre l'esercizio successivo
Totale
debiti
3.251.831
3.892.779
Bilancio al 31/12/2013
2 SRL
di 6
EDITORIALE TEMPIPag.
DURI
E) Ratei e risconti
Totale ratei e risconti
14.422
11.619
Generato automaticamente - Conforme alla tassonomia itcc-ci-2011-01-04
Totale passivo
3.630.703
4.021.481
Conto economico
A) Valore della produzione:
1) ricavi delle vendite e delle prestazioni
2), 3) variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di
lavorazione, semilavorati e finiti e dei lavori in corso su
ordinazione
2) variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di
lavorazione, semilavorati e finiti
3) variazioni dei lavori in corso su ordinazione
4) incrementi di immobilizzazioni per lavori interni
5) altri ricavi e proventi
contributi in conto esercizio
altri
Totale altri ricavi e proventi
Totale valore della produzione
B) Costi della produzione:
6) per materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci
7) per servizi
8) per godimento di beni di terzi
9) per il personale:
a) salari e stipendi
b) oneri sociali
c), d), e) trattamento di fine rapporto, trattamento di
quiescenza, altri costi del personale
c) trattamento di fine rapporto
d) trattamento di quiescenza e simili
e) altri costi
Totale costi per il personale
10) ammortamenti e svalutazioni:
a), b), c) ammortamento delle immobilizzazioni immateriali
e materiali, altre svalutazioni delle immobilizzazioni
a) ammortamento delle immobilizzazioni immateriali
b) ammortamento delle immobilizzazioni materiali
c) altre svalutazioni delle immobilizzazioni
d) svalutazioni dei crediti compresi nell'attivo circolante e
delle disponibilità liquide
Totale ammortamenti e svalutazioni
11) variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie,
di consumo e merci
2013-12-31
2012-12-31
2.383.531
-
2.494.565
-
-
-
-
-
52.636
52.636
2.436.167
23.481
23.481
2.518.046
265
1.829.886
76.186
375.087
1.549.344
95.268
224.768
57.771
12.992
227.457
52.685
12.677
12.992
295.531
12.677
292.819
29.392
49.350
14.874
14.518
21.036
31.948
17.402
-
50.428
-
49.350
-
Bilancio al 31/12/2013
Pag. 6 di 6
eLENCO TESTATE IN ESCLUSIVA:
Generato automaticamente - Conforme alla tassonomia itcc-ci-2011-01-04
Pubblicazione ai sensi dell’articolo 12 della legge 5 agosto 1981 n.416
LETTERE DALLA
FINE DEL MONDO
ARRENDERSI ALL’EVIDENZA
Così ho imparato che le
mie sofferenze sono segno
della preferenza di Dio
|
DI aldo trento
O
ggi, 28 luglio, esattamente 56 anni fa ho lasciato i miei genitori per andare al semina-
rio della congregazione religiosa dei padri Canossiani. Avevo 11 anni. Già all’età di 7, dopo
aver visto il film Molokai sulla vita di padre Damiano, oggi santo, ho sentito nel mio cuore
un grande desiderio di consegnarmi completamente a Gesù. Imitando l’apostolo dei lebbrosi volevo entrare in seminario, ma per la mia giovane età non sono stato accettato. Durante i 4 anni successivi ho dimenticato questo potente desiderio che il Signore aveva acceso nel mio cuore. Ma Dio
è fedele e quando sceglie una persona, anche la più piccola, la sceglie per sempre.
Mia madre si sorprendeva ogni giorno vedendo con quanta passione vivevo la realtà. Mi chiedeva
il perché di quell’improvviso cambiamento dopo 4 anni di silenzio. Un giorno le ho risposto: «Mamma, alla vigilia di san Giuseppe sono andato a confessarmi e il sacerdote mi ha chiesto se volevo essere un sacerdote missionario. Ho risposto di sì». Sono uscito da quella confessione con un
enorme desiderio che si compisse ciò che avevo chiesto a 7 anni. Mia madre era molto scioccata ma silenziosamente ha accettato la mia risposta. Mio padre lavorava in Svizzera e per condividere con lui quello che mi stava succedendo gli ho scritto una lettera. La sua risposta è stata per
me una grandissima sorpresa: «Figlio mio, mi sarebbe piaciuto che tu fossi un po’ più grande, anche perché tua madre ha tre bambini molto piccoli e hanno bisogno di te, ma se hai deciso, fai ciò
che il tuo cuore desidera». Subito ho informato
mia mamma: «Me ne vado». Ho preso uno zaisani, ha fatto in questo anHo voluto riprendere questo
no con lo stretto necessario, sono andato giù
golo alla fine del mondo, non
dialogo con voi soprattutto
per la strada e quando un trattore è passato,
posso non commuovermi. Dio
ho fatto segno di fermarsi chiedendo al condusceglie davvero i più ignoranper AIUTARVI A guardare
cente di portarmi alla montagna dove erano in
ti per compiere i suoi progetal viso tenero e sofferente
vacanza i seminaristi dei padri Canossiani. Ho
ti. Se questa cosa non fosguardato mia madre che mi stava osservanse vera, come si spiegherebbe
DI CRISTO. AIUTATE ANCHE ME
do dalla finestra della cucina piangendo e le
che un poveretto riesca a faho chiesto: «Mamma, mi verrai a trovare?». E
re un’opera così grande e belanche attraverso la sofferenza fisica, mentale
da quella sera del 28 luglio 1958, non sono più
la? Tutti i giorni visitandola percepisco la mia
e morale. Non mi sono mai fermato in questo
tornato a casa, se non una volta all’anno, per
piccolezza e la grandezza della misericordia
cammino anche quando la ribellione era forte
un breve soggiorno estivo.
divina, e sono anche convinto che senza tute non sopportavo il fatto di essere stato scelto
Certamente in quel momento non potevo imto quello che ho sofferto queste opere potrebda Lui. Dopo tanti anni mi sono arreso riconomaginare il bene e il male che avrei vissuto per
bero non esistere. Ho voluto riprendere questo
scendo pienamente la sua infinita misericordia.
i molti anni seguenti. Erano gli anni Settandialogo con voi soprattutto per fornire ai deUn’opera grande e bella
ta e l’ubriacatura dell’ideologia aveva rovinato
pressi e a coloro che soffrono come Gesù sulUna figura biblica che ho imparato ad amamolti cervelli, compreso il mio. Finché non ho
la croce, un aiuto per guardare continuamenre in quegli anni è quella di Giobbe. La mia vita
incontrato don Giussani. Quello che mi colpite al suo viso tenero e sofferente. Aiutiamoci
assomiglia alla sua. Come è vero che, quando
sce pensando a quegli anni è il modo in cui Dio,
a non dimenticare mai che Dio ci ha scelti per
Dio sceglie la tua libertà la educa attraverprendendo la mia mano, mi ha mostrato la sua
l’eternità. Senza questa posizione tutto divenso migliaia di modi. Oggi è chiaro che la prefepreferenza. Molte volte mi si è rivelata queta un inferno e la vita è disperazione. Che belrenza che Dio aveva per me era per un grande
sta preferenza inesorabile, anche quando come
lo ricordarci ogni giorno ciò che ci dice la Scritcompito: essere segno concreto nel mondo delogni uomo peccavo. Ogni volta che ho provato
tura: «Tutto posso in Colui che mi dà forza» e
la sua misericordia. Guardando le buone opere
a fuggire dalla Sua presenza mi reimbattevo in
che mi ha scelto per l’eternità.
[email protected]
che Gesù, attraverso l’abbraccio di don GiusLui. Ovunque andassi, il mistero si manifestava,
|
| 20 agosto 2014 |
47
TESTIMONI
Lidia Macchi
e l’incontro con
don Giussani
Lidia Macchi, universitaria varesina attiva nei boy scout e militante di Comunione e Liberazione, venne ritrovata uccisa con 29 coltellate il 7 gennaio 1987 in una radura nei pressi dell’ospedale di Cittiglio, Varese. Aveva 21 anni. Lo scorso venerdì 25 luglio, dopo 27 anni che il caso giaceva insoluto presso la procura di Varese e avendolo avocato a sé soltanto 8 mesi orsono, il sostituto procuratore generale di Milano Carmen Manfredda ha depositato presso la Corte d’Appello del capoluogo lombardo l’avviso della conclusione delle indagini e una richiesta d’archiviazione della posizione di un sacerdote che il pm di Varese Agostino Abate non aveva mai espunto dall’albo degli indagati. Di seguito riportiamo la lettera in cui Lidia confida a un’amica la
circostanza del suo primo incontro con don Giussani, fondatore di Cl. La lettera, risalente agli
anni in cui Lidia frequenta l’Università statale di Milano, proviene dall’archivio personale del
direttore di Tempi e all’epoca fu trascritta e fatta circolare dai ciellini in forma di ciclostilato.
Carissima Mara,
abbiamo appena appeso il telefono ed
io mi sono con amarezza resa conto che
in fondo ti ho raccontato solo le cose più
banali della mia vita di adesso. A me sta
capitando una cosa straordinaria e un po’
confusa ma veramente grande; è come
se in me adesso ribollissero con chiarezza un sacco di domande e di desideri sulla vita. Il desiderio d’essere felice, d’essere
libera, cioè di trattare con libertà, senza
essere schiacciata od appesantita da tutte le circostanze della vita, il desiderio di
amare con profondità le persone che mi
sono care, gli amici; il desiderio di costruire anch’io un pezzetto di storia perché
altrimenti la storia ce la fanno gli altri
sulla nostra testa e noi viviamo la nostra
vita completamente indifferenti a ciò che
accade fuori dal nostro cantuccio, che per
quanto comodo è pur sempre meschino e
determinato da piccole stupidaggini ed
angherie quotidiane.
Ecco è come se la mia incoscienza,
il fare sempre solo ciò che istintivamente mi salta in mente, mi avesse profondamente annoiato con la sua stupidità e
superficialità. Mai come adesso la vita mi
sembra profonda e grande e soprattutto
misteriosa.
48
| 20 agosto 2014 |
|
sprechiamo il tempo afflitti
da banalità, senza chiederci
perché ABBIAMO GLI stessI desiderI.
se questi desideri ci sono, Perché
viviamo disperati? siamo noi che
abbiamo rinunciato ad essere seri,
ci fa comodo stare nel nostro
brodo. Siamo solo dei mediocri
È proprio un mistero grandissimo
che io ci sia, esista, che sia un fragile puntolino su questo pianeta che ruota con leggi straordinariamente perfette intorno al sole, ed il sole non è che un
microbo nell’immensità spaziale e temporale del cosmo.
Ma cavoli, basta sollevare gli occhi al
cielo di notte per intuire che la vita di tutto questo universo è un mistero grandioso e noi che siamo uomini e abbiamo e
possiamo avere la coscienza di ciò, sprechiamo il nostro tempo afflitti da piccole banalità e da piccoli dolori, senza chiederci – perché ci fa troppa paura ascoltarci per un attimo, ascoltare quella voce
che parla in noi, che grida che la vita non
può non avere un senso – senza chiederci perché ci siamo, perché siamo fatti così
uno diverso dall’altro, eppure al fondo,
tutti con lo stesso desiderio.
Dio mio, ma perché se queste domande e desideri ci sono noi ci rassegniamo,
viviamo in fondo disperati cioè non attendendoci niente dal domani, chiudendoci
in una gabbia che diventa la nostra tomba al limite concedendoci qualche ricordo nostalgico dei bei tempi? Ma quali
tempi! È inutile piagnucolare, siamo noi
che per primi abbiamo presuntuosamente rinunciato ad essere seri, a prendere
in considerazione tutti i grandi desideri
che si agitano in noi, perché ci fa comodo
piagnucolare, stare nel nostro brodo, fare
dei piccoli e miseri peccatucci per credere che se almeno non siamo santi, beh,
un po’ cattivelli però lo siamo; invece i
nostri peccati fanno ridere i polli, consi-
stono al massimo nella sensualità, in trasgressioni che in realtà fanno tutti, sono
alla portata di tutti, perché in fondo siamo solo dei mediocri. Magari si incontrasse qualche grande peccatore profondamente abbagliato dal male!
E quand’anche io sappia tutto, come
funziona l’universo intero, e come faccio
a respirare, a camminare, a mangiare, chi
si sogna per un attimo di ascoltarti quando ti chiedi chi sei, che cosa ci fai sulla
faccia di questa terra? Di queste doman-
per caso ho sentito
uno che si chiama
don Giussani. sembrava
che parlasse di me. mi ha
colpito il suo sguardo
profondo, attento. è come
se custodisse un segreto,
una forza non sua. in
qualche modo devo
VEDERLO ancora
de hanno tutti paura e nessuno ne parla… Ma perché oggi ci sei, domani muori,
e buonanotte…
Buonanotte un corno! Io ci sono, le
domande ci sono e voglio sapere, fossi anche l’unica con questo desiderio, in
questo mondo superficiale – perché vuole essere tale – urlerò a squarciagola, finché morirò, quello che io sento.
Un mese fa mi è capitato, quasi per
caso, di andare alla Cattolica con dei
miei amici di Varese e di ascoltare uno
che si chiama don Giussani, che faceva
una lezione di teologia o morale, qualcosa del genere, perché questi esami lì sono
obbligatori, e al posto di parlare dei santi e tutto il resto, parlava proprio di queste domande, con un entusiasmo ed una
forza che mi hanno molto colpito e spiegava tutti i procedimenti tecnici e pratici
che gli uomini escogitano per non starle
ad ascoltare, per fare come se non ci fossero o non fossero importanti. Mi sembrava
che parlasse proprio di me e ritrovavo tutti i nostri comportamenti abituali spiegati così chiaramente.
Io ero andata lì quasi per caso perché
queste persone di Varese e altre di Milano
che lo conoscono, mi avevano invitato ed
io sono andata lì pensando di ascoltare le
solite cose, e invece no. È strano perché
più delle sue parole, mi ha colpito lui, il
suo sguardo profondo e attento, qualcosa
di inafferrabile, un uomo libero, aperto,
non arrabbiato o irato con la vita. Non so
dirti niente di più preciso ma è come se
custodisse un segreto, una forza non sua.
Io sento che devo parlargli, che lui
non ha calpestato le domande che si agitano dentro di me, avrei molte cose da
chiedergli, in un modo o nell’altro devo
incontrarlo ancora.
Adesso non mi sembra più di essere
sola alla ricerca disperata di qualcosa di
cui tutti se ne fregano; è come se qualcuno, facendomi sobbalzare, perché è arrivato inaspettatamente, mi avesse detto:
“Ehi, sono qui, non urlare e non disperarti, perché seguendo questa strada usciremo dalla foresta”.
E io voglio uscire dalla foresta, perché la vita è mare, cielo, monti e pianure, case, alberi, volti umani, stelle, sole e
vento e noi siamo fatti per questo Infinito
che c’è; basta solo guardarsi in giro e per
questo seguire questo “Qualcuno” che mi
è venuto incontro nel groviglio della foresta e che mi dice: “Guarda lassù tra le
foglie, vedi, c’è un pezzettino di cielo blu,
blu, usciamo a vederlo”.
Lidia Macchi
|
| 20 agosto 2014 |
49
MISCHIA
ORDINATA
L’INSEGNAMENTO DI EUGENIO CORTI
Servono occhi e grinfie di falchi
a custodirci e ad afferrarci
di Annalisa Teggi
«Nel nome di Maria finii, e quivi/ caddi, e rimase la mia carne sola./ Io dirò vero, e tu ‘l ridì tra i vivi:/ l’angel di Dio mi prese» (Purgatorio, canto V)
«H
o seguito il tuo consiglio, sono
stato al Santuario. Grazie». Dopo questo sms a un amico, la voce di Giuseppe Turri si è inoltrata nel silenzio, ma in quel silenzio ricco di suggestioni
che s’incontra in montagna. È il silenzio loquace e intenso che ha le forme, le immagini e i saliscendi della realtà, con cui Giuseppe amava da sempre dialogare: architetto
intraprendente, fotografo per
passione e sportivo, gli si sen- «Se il suo angelo custode non l’ha protetto
tiva spesso dire: «Che spettaco- dall’incidente, significa che Giuseppe era pronto
lo!». Ha continuato a inoltrarsi, e ha compiuto la sua vita». Ecco chi l’ha visto
a guardare e a dialogare con lo
spettacolo del creato anche quando per il re- di Eugenio Corti si ricorda senz’altro la scena
sto del mondo, famiglia e amici, è risultato ir- finale in cui Alma è vittima di un incidente e
raggiungibile e poi scomparso. Quell’ultimo di come l’autore racconta gli istanti della sua
sms Giuseppe l’ha mandato martedì 15 luglio morte, anch’essa avvenuta in solitudine: «Ebdal Santuario mariano di Pietralba a Bolzano, be solo una lontana, lontanissima percezione
dove si era recato per avere un po’ di risto- di freddo, e fu la sua ultima percezione quagro dall’intensa attività lavorativa, e poi di lui giù. Sulla sua anima, come due falchi, piomnon si è saputo più niente per vari giorni. Fin- barono ad ali chiuse i due angeli: il suo e quelché il suo cadavere è stato ritrovato, tramu- lo di Michele, pronti all’ultima difesa contro
tando l’ansia dei familiari nel dolore di una eventuali insidie all’ingresso nel mondo degli
perdita. Un incidente fatale, in cui per un’ul- spiriti. Ma non ci furono insidie». A quelli che
tima volta e lontano dagli occhi di tutti il gio- sghignazzano quando si parla di angeli, vorvane 39enne è stato a tu per tu con la voce di rei mostrare gli occhi penetranti e serissimi
Maria e con lo spettacolo dei monti.
che vidi puntare da Eugenio Corti verso noi
Potrebbe essere la storia perfetta da rac- studenti che sorridevamo, quando lui ci parcontare a Chi l’ha visto?, indugiando sui det- lava della presenza dell’angelo custode al suo
tagli misteriosi della scomparsa, sulle ipotesi fianco quando fece la ritirata di Russia. No,
di un incidente a cui nessuno ha assistito, su per lui non era un miraggio.
Chi l’ha visto? – si chiede l’indagine umaaltre patetiche leve emotive. Già, e chi l’ha visto in quei giorni in cui il suo corpo spento è na. Chi ci guarda? Anzi: chi ci fa la guardia?
rimasto solo tra le montagne? La sua mamma – è la speranza di chi sa che l’occhio umano,
ha dato una risposta che lascia attoniti: «Se il per quanto premuroso, non basta. Ho parlato
suo angelo custode non l’ha protetto dall’in- con la cognata di Giuseppe, la quale mi dicecidente, significa che Giuseppe era pronto e va che in questi giorni di lutto sono stati acha compiuto la sua vita». Ecco chi l’ha visto. compagnati e sostenuti da queste parole del
E il suo angelo non lo ha perso di vista anche Libro della Sapienza: «Divenuto caro a Dio, fu
quando lo ha lasciato andare. Perché lo ha la- amato da Lui e poiché viveva fra peccatori, fu
sciato, per poi riacchiapparlo subito.
trasferito. Fu rapito». Occorrono occhi e grinChi di noi ha letto e amato Il cavallo rosso fie di falchi, a custodirci e ad afferrarci.
50
| 20 agosto 2014 |
|