la ricerca italiana in antartide
Transcript
la ricerca italiana in antartide
Giancarlo Albertelli LA RICERCA ITALIANA IN ANTARTIDE Il continente antartico è regolamentato da un apposito trattato firmato nel 1959 da 19 nazioni. Attualmente al trattato hanno aderito 65 paesi tra cui l’Italia. Per opera del trattato vengono sospese rivendicazioni politiche sul territorio, è vietato lo sfruttamento delle risorse naturali, il continente è patrimonio dell’umanità e vi si può svolgere solo ricerca scientifica. Nel rispetto del trattato l’Italia opera dal 1985 (quindi da 26 anni) con una base costiera ed “estiva” (Base Mario Zucchelli a Baia Terranova) e con una seconda base annuale costruita assieme alla Francia, all’interno del continente su un plateau di ghiaccio che raggiunge e probabilmente supera i 3.500 m di spessore (Dome C o Concordia). Le ricerche italiane sono state possibili grazie al Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA) iniziato proprio nel 1985 e reso operativo grazie all’intervento dell’ENEA. Il flusso costante di risorse ha caratterizzato oltre un ventennio consentendo all’Italia di eguagliare nell’ambito della ricerca nazioni che da sempre sono state ben più finanziate quali gli Stati Uniti, il Giappone o la Germania e di formare una generazione di ricercatori, specializzati nelle varie discipline, che hanno condotto i loro studi raggiungendo l’Antartide e lavorando nelle basi o nelle navi che di anno in anno si sono avvicendate nei mari antartici. I settori di ricerca individuati (Biologia e Medicina, Geodesia ed Osservatorii, Geofisica, Geologia, Glaciologia, Fisica e Chimica dell’atmosfera, Relazioni Sole-Terra ed Astrofisica, Oceanografia ed Ecologia marina, Contaminazione Chimica, Scienze Giuridiche e Geografiche, Tecnologia oltre alle Ricerche multi- ed interdisciplinari) hanno consentito di coinvolgere la maggior parte degli atenei italiani e dei maggiori enti di ricerca (CNR, Enea, OGS). L’Antartide, dal punto di vista delle dimensioni è un continente grande almeno quanto l’Europa e potrebbe essere definito un “Deserto di Ghiaccio”. In effetti è presente una calotta ghiacciata che rappresenta il 90% dell’acqua dolce dell’intero pianeta. Non solo, ma è anche il luogo in cui si è registrata la temperatura minima più bassa (-89°C), il continente più arido (precipitazione media di neve minore di 5 cm/anno), più ventoso (velocità del vento > di 200 Km /h) ed elevato (altezza media 2.800 m rispetto agli 800 m di tutti gli altri continenti). Ma il continente è sempre stato così inospitale? In effetti no. Questa scoperta è stata fatta ai primi del 1900 sulla base dei ritrovamenti fossili (Invertebrati rinvenuti dall’esploratore svedese Otto Nordenskjöld nel 1902-1903 nell’Isola di Seymour) che denotavano un clima sicuramente di tipo temperato (con foreste oggi fossilizzate) presente da 175 a 5 milioni di anni fa. Infatti originariamente l’Antartide si trovava quasi al centro del continente Gondwana (che raggruppava tutte le terre dell’emisfero australe) con un clima mite (temperatura di circa 17°C). Solo successivamente, all’inizio del Pliocene, l’Antartide ha raggiunto ed occupato la posizione attuale (con le basse temperature che, anche oggi, lo caratterizzano). La posizione geografica attuale fa del continente antartico l’unico ad essere completamente circondato da oceani e soprattutto da un sistema di correnti fredde che circolano attorno ad esso e che rappresentano una barriera termica. Tale barriera ha contribuito non poco all’isolamento geografico e “biogeografico” dell’Antartide. Inoltre non va dimenticata la potente barriera rappresentata dalla presenza del pack (ghiaccio marino che si forma ogni anno) che praticamente raddoppia la superficie del continente nei mesi dell’inverno australe. Sommando gli effetti delle basse temperature (anche dell’acqua marina), dell’estensione del pack, dell’azione dei ghiacciai terrestri e degli iceberg sui fondali marini e dell’isolamento geografico, in Antartide si è evoluta una fauna estremamente particolare, ed in alcuni casi unica, che merita l’attenzione del mondo della ricerca. In effetti, ancora una volta, il continente sorprende per le sue incredibili capacità. Contrappone il deserto di ghiaccio della parte emersa con la grande ricchezza presente nei fondali marini (biodiversità paragonabile a quella delle barriere coralline o dei fondali costieri delle aree mediterranee) e con le sorprendenti caratteristiche di alcune specie particolari quale gli Icefish che non presentano elementi figurati nel sangue e che possiedono una proteina “antigelo” che gli consente di vivere in acque la cui temperatura è quasi -2°C o la grande disponibilità di microalghe (chiamate “simpagiche” perché sono in gradi di vivere e svilupparsi nel pack prima che lo stesso si sciolga) presente nelle acque e che sostiene sciami immensi di krill (esteri per centinai di chilometri quadrati) a loro volta alimento di foche, pinguini e balene. Una catena alimentare corta (tre soli anelli: alghe, krill, balene), efficiente ma estremamente delicata; è infatti sufficiente colpire uno degli anelli per sconvolgerla completamente. Gli studi condotti in Antartide, soprattutto quelli degli ultimi anni, sono sostanzialmente riconducibili ad una grande tematica: il cambiamento climatico globale. Infatti sia che si studino gli organismi, sia che si metta in luce la formazione degli iceberg o del buco dell’ozono, il tutto è riconducibile agli effetti delle attività umane sui diversi comparti del pianeta: Biosfera, Idrosfera ed Atmosfera. Le ricerche condotte sugli organismi consentono ai ricercatori di evidenziare gli effetti dei cambiamenti climatici perché segnalati da variazioni nelle e delle comunità degli organismi viventi in questi lontani oceani. Variazioni che, anche se di piccola entità, dimostrano inequivocabilmente come le situazioni stiano cambiando ed evolvendo, come alcune specie riescano, ad esempio, a spingersi verso l’Antartide raggiungendo latitudini considerate per loro proibitive a causa delle temperature troppo basse o a causa della limitata disponibilità di alcuni elementi quali il calcio (utilizzato per la costruzione dei loro esoscheletri). Segnali questi di un cambiamento in atto, letti ed interpretati dagli specialisti. Eventi di più ampia portata o, meglio ancora, che si sono guadagnati l’attenzione della cronaca colpendo l’immaginario collettivo sono rappresentati dalla formazione dei grandi iceberg. Mi riferisco ad esempio al famoso B15, un blocco di ghiaccio grande quanto l’intera Valle d’Aosta. Probabilmente questi enormi iceberg si formavano anche in passato ma sicuramente non venivano così facilmente individuati ed avvistati, come lo consentono le riprese o le foto da satellite. Non bisogna credere al catastrofismo di alcuni giornalisti (lo scioglimento dell’iceberg NON porta ad un innalzamento del livello marino, l’iceberg è già immerso nell’acqua e non provoca in essa variazioni di sorta) che perseguono lo scoop e non la corretta informazione. Altre ricerche, sempre volte allo studio dei cambiamenti climatici, sono condotte sulle concentrazioni di anidride carbonica presenti nelle bolle d’aria rimaste intrappolate nel ghiaccio al momento della sua formazione. L’Italia opera, congiuntamente ad altri Paesi, procedendo con carotaggi nel plateau antartico che hanno attualmente raggiunto e superato di 3.000 m di profondità. L’analisi delle bolle d’aria ci consente di mettere in luce la presenza di gas serra anche nell’atmosfera di un milione di anni fa. Sulla base di queste analisi è possibile ricostruire la storia climatica del pianeta sino ai giorni nostri e mettere in luce come variazioni nelle concentrazioni dei gas serra si siano più volte verificate nel passato ma senza mai raggiungere i valori attuali (i più alti in assoluto) ed in tempi estremamente brevi (poche decine di anni in confronto a migliaia di anni). L’azione dell’uomo, l’insieme delle attività che hanno caratterizzato l’epoca industriale (soprattutto l’utilizzo dei combustibili fossili per ricavo energetico), hanno profondamente influenzato le concentrazioni dei gas serra iniziando a modificare il clima, portando ad un aumento termico, ancora contenuto, ma già significativo. Iniziamo oggi a vederne le prime conseguenze (alluvioni o siccità per vaste aree su tutti i continenti) anche se, come mi auguro, l’uomo saprà fermarsi in tempo per non determinare la fine della possibilità, per l’uomo, di vivere su questo “nostro” meraviglioso pianeta. Giancarlo Albertelli Rotary Club Genova, 15 Marzo 2011
Documenti analoghi
Collisione fra iceberg B15A e il ghiacciaio Drvgalski in
sta andando alla deriva dentro Baia Terra Nova (Mare di Ross, Antartide). Il Drygalski è lungo circa 105 km ed ha una
superficie di 1825 km2, quindi l'iceberg staccatosi il 15 Aprile rappresenta ci...