Untitled

Transcript

Untitled
Loris Neri
Code & Passi
Questa raccolta non è solo frutto di fantasia.
Alcuni nomi, personaggi, luoghi, avvenimenti hanno fatto parte della mia vita.
Il loro uso nella narrazione dei racconti e delle storie da me descritte sono spesso casuali
o sono citazioni e omaggi in merito.
A chi ho amato.
Perché vi penso sempre.
Se aspetterai con tanto desiderio, resterai soddisfatto
Introduzione a questa lettura.
Il prima e il durante sono due cose importanti per qualsiasi risultato.
La scrittura è come un viaggio che non finisce mai. Hai sempre voglia di raccontare
qualcosa, di descrivere un sogno, o un evento vissuto. Si usano parole, frasi, o spesso
piccoli pensieri.
Le poni delicatamente sopra un foglietto bianco, o digitando quasi con rabbia sopra
questi oggetti tecnologici, o solo per il desiderio di dare sfogo a chissà che cosa.
Sono un uomo di mezza età ma ho iniziato fin da bambino a buttare giù qualche scritto,
qualche poesia. Se ero lucido e sano di mente, potevo scrivere anche brevi racconti.
Chi scrive deve anche leggere molto ed essere curioso. Perché la lettura e la curiosità
servono quanto un buon allenamento, ma ciò spesso non basta, e come in tutte le cose, ci
vuole la preparazione mentale e la pratica fisica.
Io ho fatto un po' l'una e un po' l'altra cosa: Ho letto abbastanza, e ho scritto qualunque
pensiero che mi stava passando per la testa.
Cerca l’esperienza il lavoratore, fa allenamento lo sportivo, così anche lo scrittore ha
bisogno del suo esercizio: Lo scrivere. Cosa e come non importa, ma deve farlo. Perché
scrivere, migliora la scrittura. Ecco questi brevi racconti che vi propongo, sono il mio
allenamento. Come una corsetta quotidiana per un amante del jogging, o un'uscita
mattutina in bicicletta per il ciclista amatoriale.
Cerco di regalarvi qualcosa di mio, piccoli oggetti per tutti quei momenti che nessuno sa
come far passare. Lunghi e a volte inutili, fanno parte della nostra vita quotidiana: Sei
alla fermata del bus, stai aspettando in fila alle Poste, ti annoi davanti alla tv, o aspetti
ore dal dottore. Stai cercando un passatempo, qualcosa di lieve che non ti faccia pensare
troppo.
Spero di portarti buone notizie, non voglio mandarti dal medico, o renderti più
complicata la giornata solo per farti leggere le mie cavolate. Voglio solo offrirti alcuni
minuti di piccolo svago, e sopratutto te li regalo gratis. Non spenderai niente, basta che
accendi il tuo smartphone, il tablet o il pc e potrai leggerti quello che io avevo scritto.
Brevi scritture come se fossero tante chat che brillano sul tuo schermo.
Per presentarli li gestisco seguendo la tipologia e la cronologia di scrittura: Dal più
recente al più anziano. Nel tempo li ho riletti, li ho rielaborati, li ho aggiustati (!).
Un mio racconto non è mai definitivo: Finché sarò in vita, potrò sempre cambiarlo.
Mi ringrazierai? Ehi, non stai leggendo Stephen King, Enrico Brizzi, o il nuovo genio
letterario, ma solamente uno scrittore nascosto che poco a poco vorrebbe uscire dal suo
nascondiglio.
Da qualche parte bisogna pur incominciare... quindi seguimi a goccia a goccia come la
pioggia che scende...
Prima di calarti in questo fiume di parole che dovrai leggere (ormai ci siamo, e se io
sono pronto, lo sarai anche tu), voglio aggiungere qualche nota di spiegazione per ogni
racconto che ho scritto.
Te lo ripeto: Non aspettarti capolavori, e leggi solo quello che ti va. Non ti obbligo ad
arrivare fino in fondo. Questi racconti si possono benissimo interrompere dopo le prime
dieci righe o magari a metà libro.
Se invece scegli di proseguire, prenditi delle pause tra un racconto e l'altro. Perché sono
pochi i legami che li accomuna. E il titolo che ho dato a questo lavoro: Code & Passi è
forse l’unico esempio. Come le code degli animali che amo tanto, e quei passi che
disegnano ogni corsa contro il tempo e la lunghezza della strada.
Mi sono dato da fare anche per completare il tutto con una mia copertina. Preferendo un
lavoro fatto da me a uno d’ufficio.
Niente di superlativo, e nemmeno di presuntuoso, questo è stato un piccolo gioco, quasi
una scommessa.
Mentre cerchi l’ispirazione per proseguire nella lettura, beviti una tisana calda, oppure
un buon caffè, tieni pure la televisione accesa.
Oppure fai come me: Seduto sulla tazza a leggere qualcosa...
...dicono che aiuti...
Racconti.
Prove e controprove, tutto sfugge via.
Cresciuto a Vasco Rossi --- Scritto per il concorso " Un racconto d'amore 2016" ho
voluto descrivere la mia vita incollata a questo eccezionale cantautore.
Dalle sue belle canzoni del passato, al suo presente musicale quasi deludente. Da leggere
per chi come me è cresciuto a pane e Blasco.
Viaggio nel tempo con il Giro d'Italia --- Guardare in tv il ciclismo, emozionarsi con
questo sport, dove l'osservare fa parte dello spettacolo.
Poi ti vengono in mente milioni di ricordi, perché ognuno di noi ha preso parte a questa
Grande Corsa Rosa. L’hai fatto da spettatore, da sognatore, da emulatore. Tutti hanno
sempre un paladino ciclista nascosto nel cuore. Quasi come un fratello, o un padre.
Abbiamo vissuto l'Italia attraverso la storia del Giro. Dalla radio, alla tv lcd. Sempre a
occhi aperti.
Una strana notte di tempesta --- Quasi un thriller, dove una bella ragazza appare
all'improvviso.
Perdono e paura --- Uno scrittore si concede una vacanza per lavorare tranquillamente
al suo secondo libro, ma qualcosa non va per il verso giusto...
Un cane è per sempre --- Spero che l'abbandono di animali cessi di esistere. E che poco
a poco tutti i canili si svuotino. Forse un racconto come questo servirà (spero) per
considerare un animale al pari di una persona.
Racconto emozioni alla finestra --- Un giorno guardavo la finestra mentre ero al
computer, fuori pioveva, e invece che giocare o spippettare su Internet ho descritto
queste situazioni.
La mia lunga corsa sopra l'Arno --- Racconto autobiografico scritto per partecipare al
concorso "Arno2016".
Vincere le Olimpiadi della vita --- L'ho scritto per il concorso "Un colpo di fulmine
2015" parla di una gattina nata randagia e lo dedico ai gatti abbandonati di Badia
Pozzeveri (Lu).
La vita, la corsa e la Toscana --- Con questo racconto descrivo la mia vita colma da
colpi di fulmini, tra sensazioni, illusioni, e realtà.
L'ho scritto per il concorso "Un colpo di fulmine 2014".
Brividi a Lione --- Questo racconto a luci rosse è del 2004. L'ho inviato al concorso "Un
racconto per un viaggio", quasi verosimile perché sfiora la mia esperienza vissuta nella
grande città francese.
20.02.2002 ---- Obbligatoriamente corto ho voluto descrivere questo giorno palindromo
e partecipare al concorso "Un mercoledì da italiani".
Un bel viaggio rock --- Con l'originale del 2001 ho partecipato al concorso "Scrivi un
racconto rock" (o qualcosa di simile) su Virgilio.it e vinto un biglietto d'ingresso al
concerto di Vasco Rossi dello Stupido Hotel Tour fatto durante la Festa dell'Unità a
Modena il 22 settembre (poi, però, non ci sono andato...).
È la storia di un viaggio un po' immaginario e un po' vero.
Gelosia e tanto amore --- Il mio primo racconto scritto su computer. Dopo di quello, ho
lasciato passare molti tasti sotto le mie dita. L'ho riadattato nel 2016.
Parla di un ragazzo e una ragazza con la loro gelosia.
Resoconti di corse.
Perché si vive passo dopo passo, e il primo è sempre quello più difficile da fare.
Questi sono due veri riassunti di corse podistiche che io ho fatto. Mi piace descrivere
quello che provo e cosa faccio durante ogni mia partecipazione.
Tutti i miei resoconti sono disponibili su internet all'interno del sito xcorre.it. e talvolta
sono pubblicati su di una piccola rivista amatoriale o stampati sopra al giornalino locale.
Chi corre o cammina come faccio io in Toscana, forse conosce già tutto.
Da Montecarlo all'Isola dei Girasoli con Paolo --- Questo è il racconto di una corsa
particolare: Una staffetta iniziata dalla cittadina lucchese e aveva come simbolo la
consegna di un assegno importante ottenuto per aiutare bambini e famiglie che soffrono.
Ero una goccia dentro il mare e ne sono stato fiero!
A Prato per la 16a Un po' 'n Poggio --- Ho partecipato a questa corsa non competitiva
nel 2013 e mi sono ritrovato a percorrere trenta chilometri bellissimi, dove la natura, la
storia millenaria di questi luoghi, e le cibarie trovate lungo il percorso, mi hanno reso la
corsa, un evento meraviglioso.
Acrostici su Elisa.
Piccoli omaggi per questa stupenda Artista.
--- Per gioco e per simpatia dalle iniziali di Elisa Toffoli sono riuscito a scrivere
qualcosa.
Poesie e afoLORISmi.
Voce ai miei pensieri.
--- Chiudo con queste quattro poesie e alcuni miei aforismi, perché preferisco scrivere
qualcosa di mio che aggiungere cose di altri.
Due poesie sono dedicate ai miei amori pelosi che purtroppo non ho più.
Cresciuto a Vasco Rossi
Era un umido giorno di novembre, e mentre la nebbia del pavese restava nella gola come
se fosse il cubetto di ghiaccio di un Martini, mia cugina Alessandra mise sul piatto del
giradischi un 33 giri dal titolo provocatorio: Non siamo mica gli americani, e nel
soggiorno, tra la moquette e l'aria calda del camino, s’inebriò la dolcissima Albachiara.
Io l'avevo già ascoltata nella versione live, dove la voce del Blasco sembrava la sottoveste
di una donna, perché le migliaia di ugole che la stavano cantando, lo sovrastavano come
se fossero loro il vestito sexy ed elegante da portare indosso.
Fu questa versione originale, ascoltata in vinile, a farmi capire di essermi innamorato per
un cantautore.
Infatti, un po' di tempo prima non mi accorsi di questo tizio dall'aria sconvolta, quasi
sfatta, mentre stava cantando per la seconda volta a Sanremo.
Mi servì un'altra canzone per capirlo, dove un suono di sax mi faceva pensare che le
canzoni nascono da sole vengono fuori già con le parole.
I giorni passano faticosi e l'estate fonde il suo calore dentro le fabbriche come una mano
che ti sta stringendo il pomo d'Adamo.
Gli stadi si sono ormai svuotati dalle partite di pallone, cosicché cantanti e musicisti
potranno gestirli quanto i veri campioni sportivi.
La loro musica è fatta per divertire, quanto lo sono due squadre e ventidue elementi in
pantaloncini corti.
Ho fatto di tutto per essere presente anch’io. Non certo per suonare, non ho mai saputo
neanche soffiare il flauto in classe ma questa sera a Livorno, ci devo essere per dare
voce a tutta la mia rabbia, e rendermi partecipe di quello che intravedo come il mio
primo vero concerto vissuto.
Le notizie dei giornali non erano esaltanti: Nei giorni precedenti ci furono schermaglie e
perfino dei feriti al suo concerto di Carrara.
Qualche ubriaco e alcuni annebbiati dalle canne crearono scompiglio e un certo fuggi
fuggi. La sicurezza era al limite della sopportazione, e quella sera successe un piccolo
patatrac.
Vasco fu disegnato come un provocatore di massa, un ciarlatano rockettaro dalla voce
roca e stomachevole.
Andare ai suoi concerti poteva essere pericoloso come partire per l'America sopra una
zattera fatta con i bastoncini dei ghiaccioli.
Dovevo smuovere terreni incolti e spostare alberi, perché a quel concerto di Livorno ci
sarei andato in tutte le maniere. Fosse l'ultima azione della mia vita da sedicenne.
Col mio vecchio trespolo motorizzato a due ruote, non riuscivo a percorrere dieci
chilometri senza rischiare di rimanere a piedi. Usare il treno era quasi un atroce mistero.
Nel piccolo paese dove abitavo, non c'è la stazione, e muoversi un poco più in là di
questa cittadina, è quasi un viaggio nello spazio. Mi serviva un portatore d'auto, oppure
il genio della lampada.
Mi capitarono tra le mani entrambe le persone. Mi costò quasi un mese di stipendio, ma
a dieci metri dal palco di Vasco Rossi ci andai pure io.
Era la prima volta che lo vidi cantare di persona alla sua generazione di sconvolti, con
dentro tutte le sue bollicine, urlando che era colpa d'Alfredo, e per ogni volta ci sarà
qualcosa da ricordare mentre per noi resterà sempre una splendida giornata.
Avevo quest’amore che mi stava consumando il corpo e l'anima, e mai come quella
notte, tornai a casa stanco, ma ancora strepitante di musica sincera.
A sedici anni potevo guardare il mondo sognando mille frontiere aperte. Non avevo
terrore di un negro che poteva rubarmi una ragazza, ma ascoltando le sue parole, cercavo
di capirne il significato. Ciò non era difficile, perché Vasco raschiava il fondo del barile
dei giovani, e con la voce impastata di nicotina, whisky e rum, aggregava genio e
sregolatezza a verità quotidiane. Mi raccontava quello che io volevo ascoltare. I suoi
pugni nello stomaco erano i miei, e i suoi dischi erano la mia grande virtù.
A Fucecchio non ero il solo a essere affascinato dal suo carisma. In paese qualcuno lo
coverizzava, allietando i mesi d'attesa per i suoi concerti. Per le vie del centro ci
scambiavamo messaggi vocali urlando la potenza delle frasi di alcune sue canzoni, come
se fossero palloncini lanciati al vento. Dentro i bar e nei posti di ritrovo parlavo per ore
di lui, intrecciando le mie semplici giornate a quello che per me non rappresentava un
idolo, ma un fratello più grande da cui potevo prendere i suoi oggetti senza che lui
s'incazzasse.
I mesi passavano piano, spesso lunghi e noiosi quanto un libro scritto senza logica, la
pioggia batteva sopra i vetri della mia finestra, affacciata in un mondo campagnolo,
rendendolo difficile da vivere e quasi invisibile.
Fu il palazzetto dello sport di Firenze, per due volte, il mio piccolo labirinto chiuso, lo
trovai strapieno di facce stralunate e corpi caldi. Era colmo di suoni rock e di una brutta
acustica.
Era il periodo di un Vasco aggrovigliato da alcuni problemi fisici, da guai giudiziari,
faceva giochi pericolosi e distruggeva macchine potenti. Pareva l'esito della rockstar
maledetta. Eppure la sua musica era bellissima e più viva che mai: A volte dolce, a volte
urlata, e lo dimostrò con due album esplosivi, forse tra i suoi più veri in assoluto. Era
ormai un numero uno, superiore a chiunque, in stile musicale, rabbia poetica e genialità.
La fine degli anni '80 era a un passo, la dance music mi faceva impazzire d'allegria, lui
mi rendeva immortale.
La televisione a colori aveva da poco trovato posto anche casa nostra, ma il registratore
a cassetta sembrava nato proprio qua. Dai lunghi viaggi con la gelida NSU, e i pacchetti
di pile grosse come bicchieri, a quello con quattro casse di mia sorella: Un vero
divoratore d'energia. Avevo la nausea dei piccoli grandi amori, e delle porte a portese di
Claudio Baglioni, così me ne comprai uno anch’io. Sul mio giravano le musicassette da
discoteca, le emozioni di Lucio Battisti, e il nuovo rock degli U2, ma a un passo dal
cielo ci potevo arrivare solo con Vasco Rossi.
Ormai era diventata una sfida casalinga. Come nella vera classifica dei dischi, ormai in
casa mia c'erano due re a primeggiare: Vasco e Baglioni.
Usci Liberi Liberi, un capolavoro assoluto. Ora a distanza di anni, che sembrano secoli,
da Domenica lunatica, a Dormi dormi, passando per Vivere senza te, equivale a
scavalcare l'Abetone con le scarpette da corsa. Sono radiosi momenti di brivido: Un po'
per queste canzoni pazzesche, un po' perché la mia vita incominciava a regalarmi
giustizia.
Giravo l'angolo degli anni novanta, mentre Vasco esplodeva a San Siro, e rendeva
popolare quel luogo che solo i grossi nomi stranieri riuscivano a toccare. Con Fronte del
palco la sua scaletta musicale era un vero Demonio che risaliva verso il Paradiso. Le
chitarre e i bassi erano meno ruspanti, ma più rabbiosi; i sintetizzatori gestivano con
grazia le canzoni; il sax rendeva magica ogni atmosfera. Iniziavano a rendersi utili le
forti luci, e i grandi schermi, ma ciò che contava sul palcoscenico era l'animale Vasco.
La folla oceanica che si muoveva negli stadi era trasbordante. Lui teneva tutto sotto
controllo. Albachiara continuava a chiudere la serata.
Cambiarono alcune cose, ma i sogni divenuti realtà non si toccano. Musicisti e
produttori discografici se lo passavano di mano, era una gallina dalle uova d'oro, e dietro
di lui comparivano ormai i grossi nomi del campo musicale.
Le cifre erano enormi. Di migliaia, in milioni, in miliardi. Quando Vasco apriva la bocca
tutti, pendevano da quella.
Fece Gli spari sopra. E da quel pomeriggio, con quel tocco di magia ascoltata per la
prima volta in auto, ho capito subito che Vasco aveva sfornato il suo disco migliore.
Non solo rock e rabbia ma giochi trascinati dalla musica e dall'arte del saper lavorare col
cuore. Dallo stomaco uscivano gli spari, ma dal suo corpo brillavano tutte le quattordici
canzoni.
Inoltre l'avevo comprato nel nuovo formato a dodici centimetri: Il cd audio. Lo sballo
creato per ascoltare musica perfetta. Non avevo più una piccola scatoletta con le mini
guide topografiche, ma qualcosa di molto più elegante non solo con la presentazione.
Dalla guerra in Jugoslavia stava nascendo Rock sotto l'assedio, e quel sabato sera di
luglio, non potevo non andare a Milano.
Lo stadio San Siro con migliaia di braccia alzate al cielo, e infinite bocche aperte urlanti,
erano tutte rimaste Senza parole.
Non camperò mai abbastanza da poter spiegare un evento simile. Chi ama Vasco da una
vita, guardarlo vivere il palco del Meazza, è qualcosa di fantasmagorico. Unico. Se Totti
è il re di Roma, Vasco è sempre stato il re di San Siro.
Come volavano adesso gli anni. Quando s'inizia a essere felici, i mesi girano sul
calendario come le pale di un ventilatore, mentre quando devi sopravvivere alle brutte
situazioni, l'orologio che porti al polso sembra avere la pila scarica.
Così il mio fulmine per Vasco pare ormai una fiammella, troppi interessi superiori a lui,
e due cd non equiparabili al livello dei precedenti.
Con Nessun pericolo per te Vasco pare chiudere con i capolavori regalando la sua
canzone più bella: Sally.
Quando riascolto questo cd io, ripenso a chi non ha più voce per me. Non solo a quella
di Vasco.
Mentre in Canzoni per me ritrovo le chitarre ruspanti, ma segnalo solo Rewind e L’una
per te.
Da adesso in poi Vasco è uno tsumani di follia, di folla incontenibile, di attimi e ricordi
sfuggenti, ma del vero genio musicale non c'è più nulla.
Se la vena artistica del Blasco sembra conclusa, quella di animale da palco continua
come se fosse una seconda vita. Come se i vascofolli della terza generazione avessero
raggiunto quelli degli anni '80 e insieme toccassero l'immortalità.
Io mi rivedo tra la folla di queste sessantamila teste, ma con la differenza che ai miei
tempi potevo ascoltare le sue splendide canzoni, e non le boiate che adesso scrive.
Perché canzoni come Siamo solo noi, Fegato fegato spappolato, e Vita spericolata
nascono una volta sola e restano scolpite a lungo nella memoria di un cinquantenne, poi
quando ascolto Colpa d'Alfredo davanti alla tv lcd, balzo letteralmente in piedi, e
riprendo a urlare a squarciagola quanto un ragazzino.
Nonostante tutto, con un brutto cd come Stupido Hotel, riesco a rabbrividire mentre gira
dentro lo stereo Siamo soli, perché questa canzone è il suo l'ultimo capolavoro, e sembra
scritta apposta per il periodo particolare della vita che sto passando.
Arriva in seguito un grande tour e per la prima volta tocca le frontiere della diretta web.
Le novità tecnologiche stanno gettando nuova linfa ad altre emozioni.
Tra un cd nuovo e l'altro, la sua discografia ci rifila raccolte, eventi live, e piccoli spunti
sul Vasco Rossi Komandante.
Con Buoni e cattivi Vasco si è ripreso una botta d'ironia, un poco di buon rock, e alcune
vecchie e valide amicizie musicali.
E... mi regala brividi, Come stai? mi offre l'adrenalina giusta, con Vasco non mi sono
mai rassegnato, ha sì perso punti nella mia classifica del cuore, però continuo a sperare
in un ritorno del vecchio sig. Rossi.
Lui dall'alto delle cinquanta primavere mi guarda ancora con il sorriso beffardo e
ingenuo del fratellone cresciuto a pane e salame.
Lo ascolto nel Mondo che vorrei, e già questa frase mi sembra un'offesa: Ma come
proprio tu che hai fatto carriera, soldi a palate, hai avuto donne, sesso e sballi ravvicinati
di ogni tipo, mi vieni a raccontare, ti vai a lamentare, che questo mondo non va bene?
Che ne vorresti un altro? Allora io misero tapino, che lavoro dalla mattina alla sera, e
faccio cose che non mi piacciono, e mi pagano solo con un mucchio di merda, cosa
dovrei urlare? A questo punto non stai più raccontando la vita mia, o quella di un onesto
giovane lavoratore, ma quella di un viziato godurioso come lo sei diventato tu. Sei il
Komandante, ma solo della tua vita. Non eri un esempio da seguire a trenta anni (per
altri motivi) ma oggi sei diventato la banalità (stupidità) assoluta!
Io continuo a comprare i tuoi cd, e costano sempre di più ma caro Vasco ora proprio non
mi piaci.
Mi lascia grandi dubbi la tua scrittura, perché la canzone più bella s'intitola Basta poco.
Io continuo nella mia vita, tu prosegui a propormi la tua. Vivere o niente non mi colpisce
al cuore, e nemmeno allo stomaco, mi lascia indifferente, se cerco di ricordare i titoli, i
testi e le musiche di questo disco faccio veramente fatica.
Forse avrò una forma di senilità precoce, la mia memoria non è più quella di un tempo, o
forse sono proprio queste canzoni a non lasciarmi niente.
Riesco ad apprezzare il disco live registrato a Londra e l'Altra metà del cielo, e sono
questi esempi a farmi capire che quelle rimaste vive sono ancora le tue vecchie canzoni.
Le puoi rigirare nel piatto di portata in qualsiasi maniera, ma il sapore squisito che
hanno è sempre ottimo.
I due anni d'attesa non servono a migliorare le cose: Sono innocente continua a seguire
la linea sbagliata.
Per me è la svolta epocale nei tuoi confronti: Per la prima volta da quando compro
musica, non acquisto questo tuo lavoro in studio. Non riesco davvero a spendere i miei
euro per questo tuo progetto. Non me ne volere, ma stavolta mi sembrano immeritati. Un
poco migliore dei tuoi ultimi album, ma fatico a trovare la canzone guida. Quella che mi
lascerà un segno, quella che mi ricorderò per anni. Quante volte non è neanche un
lontano parente di Ogni volta e Sono innocente ma... mi fa paura a paragonarla a Cosa
succede in città. Sono passati quasi quaranta anni da quella Silvia e Jenny la pazza, ma
sembrano volati secoli.
Tanto che l’unica canzone con un testo apprezzabile è Cambia-menti.
Anche per l’ultimo tuo brano Un mondo migliore riesco solo ad apprezzare il video,
perché questa canzone sembra un’altra prova mal riuscita, con parole e frasi già citate in
tante tuoi vecchi brani.
E mentre gli U2 mi stupiscono sempre, Elisa riesce a stimolarmi più che mai, Ligabue e
Renato Zero scrivono ancora ottime canzoni, le tue opere si sono fatte complicate,
stupide e banali, affievolite. Proprio come un vecchio amore che sta passando.
Viaggio nel tempo con il giro d'Italia
Sono seduto davanti alla televisione, fuori l'aria è calda, segno di una primavera che
avanza. Sullo schermo lcd scorrono le immagini riprese da un elicottero. Sono quelle del
Giro d'Italia.
I ciclisti sono così veloci che la gente intorno a loro li vede sfrecciare come dei
variopinti bolidi a due ruote. Il vialone alberato è pieno di persone accalcate ai bordi
della carreggiata e pare non finire mai. Loro procedono verso una curva a destra, secca,
di quasi novanta gradi. Il gruppo è formato da un centinaio di corridori che continua
nell'attraversamento in un'altra città del nostro belpaese.
La gente urla, sbracciandosi gioiosa, e queste grida di osservatori festanti, mi entrano
nelle orecchie e mi portano indietro nel tempo, ad alcuni anni fa. A quel mio piccolo
mondo fatto di ricordi legati al Giro d'Italia.
Spesso li ho guardati in televisione. Come sto facendo ora, da quasi tre settimane. Ogni
giorno una tappa da vedere, ogni pomeriggio ottimi momenti passati seguendo questo
sport affascinante, duro e bellissimo.
Se le mie gambe corrono per i piedi, mi piace anche guardare quelle che si muovono
girando svelte sui pedali.
Ne ho seguite tante di tappe. E nell'angolo della mia mente appare il Pirata Pantani, con
quel ghigno disegnato sul volto, e il sole che rifletteva sulla sua testa calva, mentre mi
passava davanti veloce come un fulmine, nel viale asfaltato di una calda via Romana.
Oppure ripenso a Mario Cipollini e al suo record di vittorie fatto a Montecatini Terme.
Quando ho avuto queste occasioni, i ciclisti mi sono apparsi e scomparsi come
un'evoluzione magica fatta da un bravo mago.
Secondi, forse minuti, dove i loro volti, malgrado fossero nascosti da occhiali e caschi
protettivi, sembravano che mi guardassero dritto negli occhi.
La loro emozione era unita alla mia di spettatore non pagante ma contento di essere lì.
Come una piccola comparsa nella carovana ultra colorata del Giro d'Italia.
Tornando indietro nei ricordi legati al giro, posso perfino rivedermi bambino. Urlavo
come un matto alle auto che precedevano i ciclisti, e quando vedevo la moto con la
scritta RAI, gongolavo stringendo la mano di mio padre.
<<Papà, la RAI. Siamo in televisione!>> e non era solo un gioco. In quello spicciolo di
tempo, la mia figura di bimbetto urlante poteva comparire perfino in Sicilia! Mentre
qualche giorno prima, avevo visto bimbi siciliani agire nella stessa maniera che facevo
io: Urlare forte perché sta passando il Giro d'Italia.
Oggi la mia macchina del tempo esagera, e mi sta portando quando ero chinato sulla
sabbia di Tirrenia ed ero in procinto nel tirare la biglia di plastica dove dentro, come un
piccolo genio della lampada, c'era lo sguardo quasi svampito di Felice Gimondi.
Eravamo tutti dei piccoli eroi, con le nostre sfide nella pista impressa sulla spiaggia a
farne uno spettacolo semplice ma geniale nello stesso istante. Altro che smartphone,
playstation, e wi-fi! Avevamo le ginocchia arrossate dai granelli di sabbia, ma il nostro
cuore era sempre pieno di piccole gioie. Come la merenda pane, burro e zucchero, o con
la Nutella, che ci intervallavano tra una gara e l'altra.
Da bambino pazzerello mi trasformavo in ragazzo infuocato, mentre Francesco Moser
stava strappando il record dell'ora, ben due volte in pochi giorni, sopra a una bicicletta
futurista. Sembrava un'astronauta e in quel 1984 mi chiedevo se di ciclismo c'era ancora
qualcosa, o forse la Luna si stava avvicinando troppo. Se penso alle bici delle tappe a
cronometro di oggi, mi viene da ridere.
Poi arrivarono Bernard Hinault, Miguel Indurain, e lo strabiliante Lance Armstrong, che
per anni lo potevo considerare un vero idolo, e dopo aver combattuto -e superato- un
cancro, si è rimesso a cavalcare la bicicletta, e con le sue poderose pedalate, non lasciava
mai niente a nessuno. Fenomenale. Fino a quel controllo antidoping e alla sua resa
davanti alla verità. Più truffatore di un politico, più falso di una patacca. Da eroe ed
esempio per bambini e ciclisti, a uomo nero pronto a portar via i sogni e la voglia nel
fare dello sport una questione di vita.
Ho sempre amato gli scalatori, i faticatori dell'asfalto in ascesa, i duellanti dell'altura, i
valorosi intrepidi dei tornanti montani.
Claudio Chiappucci, Stefano Garzelli, e soprattutto Lui, il Pirata Marco Pantani, sono
stati in assoluto i miei preferiti.
Vederli sfidare il sudore, la fatica, il vento, la pioggia, e la neve, mentre fiumi di persone
li incitavano, quasi travolgendoli con il loro entusiasmo, era un'emozione pazzesca.
Qualcosa che andava al di là dalla semplice corsa in bicicletta seguita davanti alla tv.
Da uomo a bambino, e da bimbo ad adulto, ma sempre seguendo il ciclismo e il Giro
d'Italia.
Con la mia visuale che è cresciuta, e piano piano si è resa conto di quanto lavoro e
precisione c'è bisogno in un evento come questo.
Niente è dato al caso, anche se spesso la fortuna è servita a rendere frizzante la giornata,
ma quello che conta sopra ogni cosa è il lavoro professionale di centinaia di persone,
perché oltre ai protagonisti di primo piano (i ciclisti), la rinomata Corsa Rosa, è un
insieme di addetti dalla bravura straordinaria.
Dai meccanici, ai medici, dai fisioterapisti, ai nutrizionisti, dai giudici, agli operatori
televisivi, ai cronisti dalle mille spiegazioni sempre diverse. Tutto fa parte di questo
spettacolo coinvolgente, sopra queste migliaia di chilometri, da rendere perfetti in ogni
giorno di gara.
Nel tracciato di ogni tappa inoltre ci sono sempre dentro città diverse, luoghi e borghi
speciali. Monti, mari, laghi e colline, praterie, roccia e ghiacciai. Tutto si può osservare
dall'alto, come se ognuno di noi fosse seduto sull'elicottero che spazia nel cielo, e non
sul divano di casa.
C'è sempre da ammirare il calore colorito di migliaia di persone.
Tutti col fiato sospeso ad aspettare l'arrivo delle moto, delle ammiraglie, e in seguito
l'istante più atteso: Il passaggio veloce dei ciclisti.
Se hai un po' di fortuna, e magari ti trovi ad aspettarli sopra una bella salita, il ciclista
potresti anche seguirlo, magari correndo al suo fianco per incitarlo al massimo, e quasi
toccarlo con mano.
Solo con pochi altri sport hai questa possibilità. Gratis e all'aria aperta.
Adesso c'è lo Squalo a vincere, a esaltarmi: Vincenzo Nibali un siciliano venuto in
Toscana, e questo suo modo di aver vissuto, e di esistere, un po' lo lega a me, che vengo
dalla Lombardia e mi sono calato in lucchesia.
Lui per vincere con il suo sogno di corridore su due ruote, io per correre sempre col
sorriso, ma solo con i miei piedi.
Entrambi per uno sport di fatica, ovviamente con risultati ben diversi.
Ci mancherebbe!
Una strana notte di tempesta
Una notte di tempesta.
Vento, tuoni, fulmini e pioggia. Un diluvio universale. I lampi schiariscono la stanza,
quasi a farla sembrare in pieno giorno. Il vento ulula così intensamente che pare un treno
sui binari.
I vasi sul balcone ondeggiano, le aste delle tende da sole sbattono contro la ringhiera del
balcone, mentre il tessuto veleggia come un veliero sopra il mare mosso.
Sono le quattro e tredici minuti di una notte instabile. Ho voglia di dormire, ma il sonno
pare non arrivare mai.
Saranno i troppi pensieri che mi assillano, sarà una tristezza improvvisa, comparsa come
un suono agghiacciante ad alto volume.
Sono passati sette giorni da quando Elena mi ha lasciato. E chissà perché, la solitudine
mi rende nervoso.
Non lo avrei mai creduto. Volevo un rapporto sereno, ma con Elena, rimanevo felice un
giorno, ma poi in quello seguente ero già incazzato.
Litigavamo per qualsiasi pretesto: Per una canzone, per un rumore, per guardare la
televisione, per gli oggetti spostati, per la polvere sotto il letto.
Si può essere infelici per queste cose? Direi di no.
Si litigava mentre guidavo la macchina <<Troppo veloce... troppo piano... troppo a
sinistra>> mi diceva, quasi insultandomi.
Si litigava per i dolci da mangiare, o no. Si litigava per una parola, per una città visitata
o no, per il telegiornale con le sue questioni politiche e sociali.
Spesso eravamo due palle che sbattevano una contro l'altra. Vi ricordate le clic clac?
Quelle boccette di legno unite tra loro da una cordicella?
Clic. Clac.
Era il rumore che facevano, appena le sbatacchiavi un po'. Era uno di quei giochi quasi
da scemo. Durante la mia gioventù, in fin dei conti, non c'erano poi così tante cose con
cui divertirsi.
Così ho deciso di lasciare Elena. Con la sua sfacciataggine, la sua cocciutaggine, le sue
cazzate, la sua noia.
Purtroppo ho i miei contro. I miei sfavori.
Infatti, patisco la sua mancanza. Soffro per la dolcezza che sapeva regalarmi, e che ora
non ho più.
Sì: Elena era proprio una dolce stronza.
L'ho detto tutto di un fiato.
E adesso? Sta diluviando.
Mi alzo e vado ad accendere la televisione.
Bevo, e poi mangio un'arancia. Mi rimarrà sullo stomaco, machissenefrega! Tutto
attaccato.
Un rumore. Sembrano passi sopra al tetto. Forse è solo il vento.
Tum, tum, tum. Crash.
Si deve essere rotta qualche tegola. Forse c'è qualcuno ai piani alti. Eppure sopra casa
mia non ci abita nessuno. Perché non c'è un piano superiore al mio.
C'è solo il tetto.
Tum, tum, tum. No, no, c'è per forza di cose qualcuno.
Essere solo in casa non è il massimo dell'allegria. Specie in una notte come questa.
Buio.
Cazz...
Chissà perché quando va via la luce, non abbiamo mai un qualcosa di pronto per
l'emergenza.
Né candele, né torce, nemmeno lo smartphone a portata di mano. Ci ho messo pure l'app
Torcia Plus, ma come vedi... non l'ho a disposizione.
Sbatto contro lo sgabello. Va be' che ci ha le gambe piegate all'infuori, -puro stile
moderno-, ma sembra fatto apposta perché io ci vada a sbattere le ginocchia ogni
qualvolta che metto piede dalle sue parti. Figuriamoci al buio. Eppure vive in questa
casa da otto anni. Da quando ci sono venuto ad abitare.
Stanno bussando alla finestra. No, no, non a quella del terrazzo, quella grande. No! A
quella piccola del piano di sopra.
Al buio, fuori c'è l'uragano Katrina, sono le quattro e mezzo di notte, e qualcuno ha
pensato adesso di bussare a quella maledetta finestra!
Mo' che faccio?
Riesco a prendere il Nokia. Avvio l'app Torcia Plus, e sembra tornata la luce. Cavolo
pare il riflettore di un cinema!
Lo stringo forte nella mano destra e incomincio a salire le scale.
Apro la porta (la chiudo sempre a chiave quando dormo), e vado alla finestra, sposto
leggermente la tenda e guardo cosa c'è.
Un braccio. Vedo un arto femminile. Una no, due gambe. Belle direi.
Che cazzo sta succedendo?
Un mugugno e poi una voce. Di giovane donna.
Apro la finestra e la persiana.
Mi entra nelle ossa un'aria gelida, nella stanza gocciolano spruzzi d'acqua.
<<Finalmente! Non ne potevo più! Sono bagnata quanto un leprotto caduto in un fossato
pieno d'acqua>>.
Mi sta sorridendo questa bellissima ragazza. Avrà sì o no venti anni. E dei riccioli biondi
che sembrano la festa del grano colto.
Avvicino Torcia Plus al suo corpo. Pare la Dea bendata che vien di notte. No, no, la Fata
Turchina dai capelli ricci.
Minigonna che più mini non si può, scarpe nike rosa, e toppettino azzurro confetto. Da
che mondo arriva questa meraviglia?
<<Sono Lucia, ho litigato col mio ragazzo, e sono fuggita dalla sua macchina. Mi
potresti aiutare?>> I suoi denti bianchi risplendono davanti allo smartphone. Il rossetto
pare sbavato sui lati della bocca. Il suo rimmel è sceso sul viso e le ha disegnato un
alone giocoso.
<<Abito a cinque minuti da qua, ma non voglio tornare a casa. Ho... ho... paura>>
<<Orso, or-so, ho pa-pa ura>> dice Masha durante una notte piovosa.
Lucia col suo tremore sembra la Masha dei cartoni animati. La ragazzina russa col
foulard in testa.
La sua voce però rischiara la notte.
Buia e tempestosa fino a questo momento.
<<Innanzitutto vediamo di cambiare questi vestiti fradici.>> Dobbiamo scendere le
scale. Gli volto le spalle e dico <<dammi la mano e seguimi>>.
Lucia mi offre la sua mano. Fredda come un ghiacciolo a luglio. Scivolosa come un
bicchiere ricoperto dal sapone.
Con il nokia illumino la strada verso il mio soggiorno, e poi verso la camera.
Per aprire l'armadio devo lasciare la sua mano. <<Vediamo cosa ti posso dare. Ah, ecco
una maglietta, una felpa, o preferisci un maglione? I pantaloni di questa tuta ti saranno
grandi, però hanno il laccio. Vuoi una cintura?>>
Mi giro. Lei è già nuda, seduta sul letto, e vedo le sue gambe alzarsi.
<<Hai un asciugamano prima?>>
<<Già, che stupido. Eccolo!>>
Oh Toffee... Toffee passami l'asciugamano... quello bianco... lì... sul divano cantava
Vasco quando ero ancora un pischello.
Lucia è ancora più bella dopo che si è asciutta.
Ho da pochi giorni lasciato Elena, ma qua con me in questa notte buia e tempestosa, ho
di nuovo una ragazza seduta sul mio letto.
Quante chiacchiere abbiamo fatto Elena ed io seduti accanto. Il mio braccio che la
avvolgeva, mentre lei appoggiava la testa sulla mia spalla.
Restavamo ore a parlare sottovoce. Seduti, così. Con i piedi poggiati sul tappeto.
Un po' scomodo, forse, ma assai romantico. Di solito finivamo distesi sulla schiena. A
guardare il soffitto. A scambiarci la mano sul cuore.
Per sentire i nostri battiti aumentare.
Dopodiché ci si metteva sotto le lenzuola, e s'iniziava a fare sesso.
Osservo Lucia e gli occhi mi si riaccendono di desiderio.
<<Hai qualcosa di caldo da bere?>> mi dice con uno sguardo così innocente che pare la
bambina pronta per il primo giorno di scuola.
Vado in cucina, prendo un pentolino, lo riempio d'acqua e aspetto che inizi a bollire.
Faccio ritorno in camera. Lei si è distesa sotto le coperte.
Mi guarda. Sorride. Questo accentua la sua aria innocente. È bellissima. Sembra un
sogno caduto a capofitto dentro la mia stanza.
<<Ti ho preparato un tè e preso alcuni biscotti al cioccolato>> mi abbasso e appoggio il
vassoietto sul comodino.
Lei si tira su, il suo viso esce piano dalle lenzuola, si sistema meglio il cuscino sotto la
schiena e mi sussurra <<grazie. Sei un tesoro>> mentre il suo seno straripa fuori
incendiando tutta la stanza.
Poi non ricordo niente.
Mi risveglio al mattino con un cavallo che mi galoppa dentro la testa.
Mi sento frastornato, confuso, quasi impazzito.
Le quindici e otto minuti. Quanto cazzo ho dormito? Come, e se, ho dormito.
Volto la testa, non c'è nessuna Lucia accanto a me.
Non c'è nessun profumo di pulito, neppure l’odore di umidità repressa.
La stanza rimane immobile a guardarmi. L'armadio è chiuso. Mi rigiro le mani tra i
capelli.
Vorrei capirci qualcosa.
Due tazze, e qualche briciola di biscotto sul vassoio. Oggetti fermi e muti che non
possono dirmi niente.
Due tazze.
Non una sola. Qualcuno era con me stanotte. O ieri sera?
Il cavallo sembra trasformarsi in un gregge di pecore. La testa mi rimbomba come un
pallone calciato contro un muro.
Cerco di alzarmi. Faccio una fatica cane, ma ci riesco. Un dolore alla schiena. Sembra
una strigliata di frusta.
Casco dal letto, e batto il ginocchio sul tappeto. Passano alcuni minuti, poi mi rialzo da
quella posizione scomoda.
A piedi scalzi vado in cucina. Un pentolino appoggiato sul lavello sembra darmi dello
scemo.
Rovesciando grammi di polvere di caffè, riesco ad accendere la moka sul fornello.
Lo bevo amaro e bollente. Quasi a farmi venire le bolle dentro la bocca, e per bruciarmi
lingua e tonsille.
Salgo i gradini a due alla volta. Devo capire cosa è successo stanotte.
Qual è il motivo che mi sta facendo scoppiare la testa, e del perché ho dormito fino al
pomeriggio.
Mi ricordo il buio. Mi ricordo una donna.
Faccio fatica a muovermi e sbatto la spalla contro il muro. Traballo come un pugile
suonato.
Al piano di sopra osservo cosa ho intorno. Se manca qualcosa, e se alcuni oggetti ci sono
o no.
Apro la finestra e lascio entrare il sole. Siamo a marzo, ma dopo la serataccia di ieri,
sembra comparso giugno.
La luce forte mi acceca. Stringo gli occhi e tentenno ancora.
Gocce di sudore mi colano nel collo. Sono preso dai brividi e dalla nausea. Vado in
bagno, alzo il coperchio del cesso e vomito.
Bevo dal rubinetto, e ritorno giù in cucina.
Il pentolino vuoto nel lavello, le due tazze sul comodino. Le briciole nel vassoio.
Porto al naso la tazza vuota per annusarne l'odore. Sa di tè al bergamotto.
Accendo la televisione, e intanto cerco di prepararmi un pranzo leggero.
Sul Tg regionale vedo scorrere la notizia di una ragazza morta stanotte qua a Fucecchio.
Dopo alcuni minuti un inviato parla in diretta dalla mia città. A pochi passi da casa mia,
perché riconosco piazza XX Settembre.
L'immagine ad alta definizione della morta mi rimbomba nella testa come se l'avessi
accanto ora: È Lucia.
Non so perché ho questo nome in mente, e del perché la riconosco. Sono confuso tra
sogno e realtà.
Poi tutto torna, e ogni cosa si realizza per chi ha saputo aspettare.
La parte più interna del mio cranio, dove si cela la materia grigia, capisce e riconosce
ogni situazione trascorsa nelle ultime dodici ore.
Mi ritornano in mente il temporale, il buio, e la persiana che era colpita da qualcuno.
Mi ricordo di Lucia. Di questa meravigliosa creatura apparsa in camera mia.
Viene a galla, come un canotto che pareva affondato, il pensiero del suo corpo, del suo
sapore e di quanta immaginazione io metta dentro tutti i miei sogni.
E dietro ad una bottiglia di vino. Quella di ieri sera a cena.
Già, perché Lucia, la ragazza morta e che io ho visto in camera alle cinque del mattino,
poco prima che lei morisse,
era una ballerina fin troppo sexy vista in televisione qualche giorno fa.
Perdono e paura
Anche oggi si boccheggia.
Da qualche giorno in qua pare che il mondo si sia rovesciato. Sembra che l'inferno sia
uscito dal centro della Terra, e tra fuoco e fiamme si sia riverso sopra di noi. Fuori ci
sono quarantadue gradi, e con un'umidità del 90% la sensazione di bollore è davvero
spaventosa.
Sono disteso sopra il divano, con un giornale in mano e solo le mutande indosso.
Ogni tanto vado ad aprire il portellone del frigorifero. Beato lui che tiene i suoi otto
gradi massimi. È nuovo di zecca, e col risparmio energetico mi conviene aprire la sua
porta, piuttosto che accendere il condizionatore.
È così grande che in pochi minuti mi rinfresca il soggiorno.
Oggi non basta. Ieri c'erano otto gradi in meno, e neanche tre giorni fa il termometro
segnava ventidue. Non ci sono più le mezze stagioni: O troppo fredde, o troppo calde.
Dal maglione alla canottiera in meno di un mese, dagli stivaloni pesanti alle infradito in
poco più di sei settimane.
Dai fiumi di pioggia ai campi deserti, dalle bufere invernali d'aprile a un maggio
bollente, come non succedeva da trent'anni.
Parlano di cambiamenti climatici, di buchi nell'ozono, d'inquinamento mondiale, e
l'unica cosa che mi accorgo è che qua siamo sempre più nella merda.
Del ragazzino che fui, mi ricordo di nebbie così bianche da sembrare trasparenti. Mi
ritorna in mente la pioggia così limpida da poter bere. Potevi strizzarti i capelli e versarti
l'acqua direttamente in bocca. Fallo ora se hai coraggio. Il minimo che ti possa succedere
è una flotta di batteri che ti sguazzerà nello stomaco per il resto della tua vita.
Ripenso a quelle nottate passate a osservare il cielo e a contar le stelle. Luminosissime,
infinite e splendenti come milioni di fari led ad altissimo potenziale.
Oggi potresti vedere al massimo il lampione della strada accanto, o quello in alto
puntato sul piazzale della fabbrica.
Oppure se vuoi vederle come da bimbetto, dovresti salire sopra un colle, ma dopo aver
percorso chilometri di stradine esterne e strette.
Ieri ho acceso la macchina a gas e mi sono tolto dalle palle da quella città morta.
Ho resistito al fetore del gpl che mi entrava nell'abitacolo, ma ho acceso subito l'aria
condizionata. Livello tre. Perché a due pareva di vivere dentro ad un fono crematorio.
Ho superato i paesetti vicini, mi sono diretto sulla superveloce (ma mai lo è: Per i lavori
in corso, per i troppi camion, per le auto lente...), per fortuna è gratis, perché in
autostrada mi stendono prima di arrivare in spiaggia. Ho solcato altri paesini (qualcuno
carino e movimentato) e dopo due ore e mezzo di musica a palla -ah! La mia amata
Elisa- mi sono ritrovato in questa cittadina marina degna del suo nome.
Sono andato all'agenzia e ho ritirato il mazzo delle chiavi senza neanche vedere prima
l'appartamento.
Voglio tranquillità assoluta: Così ho studiato tutto il programma tramite alcune mail,
varie fotografie, e diversi consigli.
Devo scrivere il mio secondo libro, e dopo il successo del primo -direi inaspettato, forse
meritato-, ho deciso di uscire da casa, dalla mia stanzetta bollente e un po' triste, e
sfoderare le mie armi migliori sulla tastiera di questo vecchio notebook che pare uscito
da chissà quale museo.
Mi sento un piccolo Indro Montanelli, o uno di quegli scrittori che usavano penna e
calamaio, quando già esistevano le macchine per scrivere elettroniche.
Pochi fronzoli digitali, un buon word processor, e via con lo slancio mentale. I fin dei
conti è questo che serve sopra a ogni cosa.
Apro la porta e le finestre, e anche se sono a mille metri dal mare, la sabbia e il sapore
salino arriva fino a qua.
In più sento odore di resina di pino, e tanto rumoreggiare di cicale. La vera estate è
questa. Un mese prima degli altri. Non quando le cittadine marine si riempiono di folla,
speranza, chiasso, luci, e gas di scarico delle automobili.
Ritorno in macchina e discendo la mia mercanzia. Tre borsoni, due zainetti, due
ventiquattro ore, e tre sacchetti della Coop.
La mia super mountain bike non me la sono presa. Userò quella disponibile (un po'
scassata, ma non ho intenzione di andare a scalare i Monti dell'Uccellina), e quando
vorrò andare a fare sport mi metterò ai piedi le mie nuove Asics, oppure qualche
chilometro magari lo riesco a fare perfino nuotando. Sia correre sia nuotare mi affatica
un po', ma andrò più lento di qualche anno fa, tanto non devo scappare da nessuno, e
neanche vincere un premio come primo arrivato.
È solo per far aumentare l'adrenalina, e quell'ormone che si chiama runner's high. Lo
sballo del corridore. Dopo di che potrei scrivere perfino Il Codice Da Vinci.
Un po' alla volta riesco a sistemare tutto. Ho riempito la dispensa con tante scatolette, e
interi pacchi di pasta, e nel retro della vetrina ho messo le cose dolci: Quattro vasetti di
Nutella, venti tavolette di cioccolato, pacchetti di biscottini, caramelle in gelatina, noci,
datteri, e nello sportello in basso ho nascosto le cose proibite: Due bottiglie di grappa di
Montalcino, un pacco di birra a doppio malto, tre pacchetti di patatine, noccioline e
salatini vari.
Sembra l'assortimento della caserma Passalacqua, invece è il mio reparto studio.
Già, perché mentre scrivo, oltre alla pace e alla solitudine, amo mangiucchiare e bere
robaccia.
Se non vomito mentre lo faccio, mi aiuta a riflettere.
Ho sistemato la sedia sul terrazzo. Ieri sera ho scritto per sette ore di fila, alzandomi
quattro volte per pisciare, due per bere acqua del rubinetto, e verso le tre di notte avevo
fame. Così mi sono fatto una spaghettata da due etti e l'ho condita con la grappa, olio
d'oliva e peperoncino.
Mezz’ora dopo sono crollato sul letto.
Stamani parevo lo zombie di Stephen King, e il sole che mi scaldava la testa -mi ero
scordato d'abbassare la tapparella- mi ha fatto alzare.
Ho vagato nella stanza per più di un'ora, ho mangiato qualcosa, ho ripensato alle mie
scarpette a corsa.
Ho lanciato un'occhiata alle mail, ho curiosato su whatsapp, ho spulciato il televideo
come se fosse un cane da cui togliere le zecche.
In seguito mi sono disteso sul divano. Scalzo e seminudo. Fino a due minuti fa. Deciso
poi di scendere e dirigermi verso la spiaggia.
Col mio passo ciabattato, ho solcato il vialetto di questo piacevole residence. Ho
percorso la via ciclabile, ho lanciato due occhiate furtive alle vetrine dei negozi. Ho
sorriso mentre guardavo le cartoline buffe, i canotti, i materassini gialli, gli stand dei
solari e quelli di libri e riviste.
Mi sono eccitato guardando il culo a tre ragazzine minorenni.
Quando le ho superate camminando, mi sono visto i loro sguardi addosso. Ho sentito
dire dalla brunetta <<...è quello che ha scritto "Ti odio piccola bastarda". Cazzo se mi è
piaciuto quel libro!>>
<<No, non mi dire! Lo sai, mi pare davvero che sia lui>> ho sentito una specie di lungo
urletto stridulo, quasi estasiato, mentre fingevo di specchiarmi con una vetrina, ma col
riflesso del sole, manco vedevo il vetro, figuriamoci la mia immagine.
<<Mi sono mangiata le dita talmente ero curiosa. Ogni riga m'intrigava più di quella
precedente>>.
<<Hai visto come ci guardava il culo quel maiale?>> Mi sono voltato e ho ripreso il
cammino. Mi stanno sulle palle le ragazzine vestite da puttanelle e col vocabolario da
camionista. Poi quei tatuaggi sui polpacci e sulle braccia, cazzo come le odio! E le
orecchie? Sembrano degli ambulanti che vendono ferramenta. Certo, sono delle belle
fighette, e arrapano ancor di più, ma in un futuro se io facessi una figlia, la prenderei a
calci in culo se un giorno la vedo arrivare sulla porta di casa conciata in quella maniera.
Piano piano me ne arrivo in spiaggia. Svuoto lo zaino, apro l'ombrellone, stendo
l'asciugamano bicolore ricevuto come premio a una corsa, tiro un gran respiro dal sapore
salmastro, mi tolgo la canottiera ormai fradicia di sudore e mi distendo appoggiando la
testa sul notebook.
Ascolto col lettore mp3 una selezione di canzoni dei Coldplay, e per pura pace dei sensi
ho aggiunto una decina di album di vario genere: Dall'Amoroso, agli U2, passando per
Renato Zero, Venditti, i Negramaro, la Pausini, Adele, l'Aguilera, oltre agli immancabili
Elisa e Vasco.
Invenzione da premio Nobel, quella del lettore mp3, perché un tempo se volevi ascoltare
musica fuori di casa, o spalancavi il bagagliaio dell'auto, o ti reggevi tra le mani sette
chili di stereo, e quattromila grammi di pile al mercurio. Per non parlare delle cassette, e
in seguito, dei fragili cd, da portarsi sempre appresso.
Adesso, in uno spazio piccolo quanto un orologio senza cinturino, ci puoi tenere musica
da ascoltare per tre giorni di fila.
Tra una canzone e l'altra. Tra un'onda del mare e un risciacquo sulla sabbia. Con
quest'arietta piena di salnitro e questo profumo di resina che pare d'avere lo Vick
Vaporub spalmato sul petto, e un sole che sfonda l'ombrellone come un mattone tirato
contro un vetro, la testa inizia a essermi pesante.
Le palpebre vacillano, e gli occhiali da sole mi riscaldano gli occhi quanto un microonde
acceso.
Riesco a bere un sorso d'acqua dalla borraccia. La bocca mi sembra strusciata da un
metro di carta vetrata, e il sapore che mi scende in gola pare quello metallico del sangue.
Rialzo la palpebra.
Un centinaio di metri più in là vedo qualche persona stesa. Qualcuno è seduto e pare che
stia leggendo un libro, o forse solo curiosando con lo smartphone.
Io rimango qua, nel mio silenzio così rilassante.
Mi chiudo in me stesso e penso.
Sbadiglio almeno tre volte. L'ultimo pareva l'Urlo disegnato da Munch.
Mi addormento, e lo faccio senza ritegno. Sfrontato come quelle ragazzine davanti al
negozio.
Una palla mi sta rotolando dentro il cervello.
Sbatte un po' di qui e un po' di là. Picchia, si muove e gira. Sembra che dentro la mia
testa ci sia una partita di biliardo. I miei neuroni sono i birilli bianchi al centro tavolo.
Un suono assordante, un dolore forte, un male terribile.
Sento urla, versi striduli. Mi desto, apro appena gli occhi, e sobbalzo con la testa.
Il collo pare lamentarsi per la posizione scomoda cui ormai si era abituato. La schiena
fatica ad alzarsi, e la pelle mi brucia.
Osservo una gamba che pare incatramata, e la vedo rossa quanto un pomodoro maturo.
Ho la bocca secca come un terreno arso e senza pozzanghere.
Le pupille faticano a riprendersi la luce. Mi tolgo gli occhiali, mi sollevo il cappello,
strizzo gli occhi e...
Tre ragazzine accanto a me parlano, sogghignano, cincischiano col telefonino.
Le loro belle gambe sono a due metri da me. Sedute sugli asciugamani, e davanti alla
mia faccia.
Ascolto le loro voci leggere come foglie cadute dall'albero.
Avranno sedici anni, e sono le stesse di prima.
I loro occhietti sono rivolti verso di me. Io continuo a sentirmi rilassato e un po' eccitato
dai loro sguardi.
Quelle piccole mani si muovono come se suonassero un pianoforte. La mora dai lunghi
capelli sciolti e dalla frangetta sulla fronte, è parecchio carina. La biondina mi sta
sorridendo, e l'altra moretta pare assorta col cellulare.
Vorrei avere trent'anni di meno. Questi momenti non mi succedevano mai quando avevo
l'età giusta. Da ragazzo mi era difficile acquisire occasioni valide. Uscivo una sera con
qualcuna, ma tutto finiva lì. Capitava di farci sesso, o solo di sentirmelo succhiare come
se fossi attaccato a una pompa, ma niente durava più di un paio di giorni.
Beata gioventù, e felici ricordi di occasioni perse. Svanite come fumo di un braciere
spento.
Riprovo ad addormentarmi guardando per l'ennesima volta i loro piedi.
Da una vita sono un feticista; un uomo maledetto che sbava quando intravede una scarpa
col tacco.
Adoro le loro lunghe gambe. E che dire dei loro culetti seduti sopra gli asciugamani,
così rotondi e sodi?
Cazzo, ma sono solo delle sedicenni! Mi faccio schifo. Eppure sono delle bellissime
figliole.
Meglio dormire. E ho richiuso gli occhi.
Forse in sogno le bacerò.
...Un'enorme astronave è atterrata in mare. Emerge dall'acqua sorretta da grossi tubolari
ferrosi. Sicuramente appoggiati sulla sabbia del fondo.
Non ho mai visto qualcosa di simile. Sarà alta quindici metri e larga dieci. Pare un
palazzo di nuova costruzione. Una nuova discoteca viaggiante. Un treno senza vagoni.
Una grande elica rotea su quella che sembra la sua testa. Dal retro fuoriesce del fumo
biancastro. Sotto di essa il vapore acqueo la avvolge e la fa apparire come un diavolo
che sta uscendo dal mare.
Riesco a vedere uno sportello dalle dimensioni umane aprirsi. Ne esce una scaletta, tipo
quella degli aerei.
Il rumore è pazzesco, la scena davanti ai miei occhi è inverosimile. Dai bar del
lungomare fuoriescono persone e sento urla di terrore.
Nel giro di pochi minuti la spiaggia è colma di gente.
Si odono sirene avvicinarsi.
Luci stroboscopiche azzurre, bianche, gialle e arancioni riempiono il cielo riflettendo
sopra il mare.
Da alcune camionette sono scesi dei militari armati.
Una voce al megafono dice di allontanarsi. <<Potrebbe essere pericoloso>> e continua
ripetendo <<non sappiamo chi siano, cosa vogliono, da dove vengono>>.
In silenzio, e poco alla volta, i militari riescono a far liberare la spiaggia dalla folla.
Io prendo le mie cose, e mi avvio verso la strada.
Le tre ragazzine sono ancora accanto a me. <<Che cosa facciamo? Chi sono questi? Che
cosa sta succedendo?>> mi sento chiedere dentro le orecchie. Una voce sottile, leggera
ma bollente come un falò acceso, mi mette un brivido addosso. Facendomi riaffiorare la
pelle e ribollire il sangue.
Riesco a dire <<non so, non ho nessuna idea di quello che potrebbe essere. Non ho mai
visto cose simili, e neanche la mia immaginazione folle di scrittore riesce a darti una
spiegazione>>.
Volto la testa e vedo che mi sta sorridendo. I suoi occhi verdi risplendono chiari
nonostante la luce intensa del sole e quella fastidiosa dei mezzi di soccorso.
Ha un sorriso che abbaglia, e i suoi capelli biondi svolazzano come le spighe del grano
durante una bufera.
<<Tu sei l'autore di "Ti odio piccola bastarda", vero? Per me è un capolavoro assoluto.
Sono rimasta attaccata alla storia fin dalle prime righe. Ogni pagina che scorreva mi
rendeva sempre più curiosa>> la sua mano cerca con fatica di tenere i capelli, mossi
dalla brezza marina, e dal movimento di quelle grandi pale d'elica. Alcuni gli coprono
gli occhi, altri gli entrano nella bocca.
<<ho scritto tutto di getto passando molte notti digitando sulla tastiera. Ci ho messo
pochi mesi, ma è stato un lavoro intenso. Per fortuna sono stato ripagato. Ora le tue
parole valgono più dei soldi che mi ha fatto guadagnare quel libro>> siamo nel mezzo di
una folla stringente, dove urla, fumo e vapore ci avvolgono, l'umidità ci bagna, e il
rumore ci spaventa. Lei si avvicina, le sue braccia mi stringono il collo, le sue amiche ci
osservano <<adesso ho paura, ma vicino a te mi sento protetta. Potrei essere io la tua
piccola bastarda>>.
Resto perplesso e confuso. Prima di rispondere a questa sua affermazione, la stringo tra
le braccia, poggiando leggermente le mie labbra sopra le sue.
<<C'è un dettaglio, però, e molto importante: Tu sei minorenne, e Lisa non lo è>> la
protagonista del mio libro è una ventenne con problemi familiari, spesso trattata male
dagli uomini. Lei per ripicca arriva perfino a prostituirsi. Diciamo una ragazza bella e
maledetta, fino a incontrare l'uomo che cambierà i suoi modi di fare.
Nel mezzo di questa folla, ci sono persone che spingono. Una donna mi sbatte nella
schiena e la mia testa coccia con quella della ragazzina. Un pandemonio di movimenti,
grida e folate d'aria continuano a susseguirsi. Io casco a terra, e lei riesce a tenersi in
piedi.
<<Stammi vicino. C'è molta confusione, ho paura di perderti, di restare sola. Non vedo
le mie amiche. Sono un po' preoccupata>> mi dice porgendomi la mano e tirandomi su.
Io mi sento come un sacco di patate preso al volo da un contadino.
La gente scappa, fugge da quello che sembra la fine del mondo. Un giudizio universale
caduto su questa serena città di mare.
Una volta alzato, riesco a vedere un essere gigante con le zampe nell'acqua. Il livello del
mare sarà oltre i due metri, e lui ne fuoriesce fin dal bacino.
Le sue braccia sembrano tronchi di alberi, le sue mani dei grossi badili. Le spalle sono
grandi come i sacchi da pugilato, e il torace è enorme come il fusto di una quercia. La
testa sembra quella di un toro, ma con tre corna al di sopra. In una mano tiene una specie
di spada. Nell'altra stringe un tipo di bazooka.
Troneggia in mare quasi quanto la sua astronave.
Una fiammata esplode proprio davanti a noi.
Il fuoco fuoriesce da quell'enorme essere. Non capisco se è stato colpito, oppure se ha
sparato lui.
Due boati assordanti rendono pregna l'aria di polvere da sparo e carne bruciata.
Accanto a me una signora ben vestita vomita. Vedo pezzi di mozzarella scivolare dalla
sua bocca, come se stesse mangiando una pizza.
Un anziano casca a terra, due bambini fuggono passando sotto le gambe della gente.
Vedo cani scappare via abbaiando.
Un calore mi assale. Alzo la testa e vedo le fiamme che avvolgono la pineta. Lampi di
alberi incendiati si alzano nel cielo.
L'essere disumano crolla in acqua. Un tonfo, e il liquido marino ci sommerge con
un'ondata alta circa sei metri. Una nuvola azzurra e salata copre tutto quello che
incontra.
La mia bocca si è riempita d'acqua. Faccio fatica a respirare. Con la mano destra sto
stringendo ancora la ragazza.
La sento scivolare via. Mi muovo sotto l'acqua cercando di tenerla ancora un po'.
Con tutto lo sforzo possibile riesco a vedere gente immersa, teste e braccia che si
muovono, gambe che vorticosamente girano nell'acqua.
Qualcosa mi colpisce, trattengo un urlo, ma il dolore alla gamba è intenso. Mi brucia
come se avessi appoggiato l'arto sulla fiamma viva.
Passano quindici, forse venti minuti con quelle condizioni estreme.
Poi tutto si prosciuga, e come l'acqua è arrivata a coprire ogni cosa, l'acqua se ne va via
velocemente.
La sabbia ritorna a coprire la spiaggia con tutta la sua bellezza, la pineta non brucia più e
gli alberi riprendono a veleggiare con la brezza marina. Il mare è sempre la solita
splendida tavola apparecchiata dai mille riflessi, le persone sono ancora accanto a me
distese sull'asciugamano.
Che cosa è successo?
Stringo gli occhi. Li chiudo e li riapro. Stringo più forte, mentre lampi di finti fantasmi
bianchi mi girano nella testa buia.
Mi sfrego le mani tra i capelli e sulla faccia. La sbatto a destra e a sinistra cercando
qualche punto di riferimento.
L'astronave non c'è più.
L'essere gigante non è più dentro l'acqua.
Fumo e vapore sembrano spariti tra nuvole salmastre.
Davanti a una palla arancione vedo una piccola ombra che pare un triangolo nero.
Il sole sta tramontando, navi e natanti rimangono ancora al largo, lontane dalla spiaggia.
Una canzone mi risuona nella mente
"Forgiveness, our key to the world Forgiveness, I’m frightened to deserve. Forgiveness,
all that we need It’s forgiveness, I am not sure I know", la voce di Elisa. Così romantica,
così dolce, così celestiale.
"Perdono, la nostra chiave per il mondo. Perdono, ho paura di meritarmelo. Perdono,
tutto quello di cui abbiamo bisogno. È il perdono, non sono sicura di sapere".
Perdono è la mia parola magica. È quel vocabolo che voglio dire adesso mentre mi sto
risvegliando da chissà quale incubo.
Perdono per questa vita che voglio tenermi stretta, e che nessuno mi deve portar via.
Perdono per essermi addormentato quando tu eri già scappata.
Un cane è per sempre
<<Dai vieni a tavola, e spegni quel computer! È tutto il pomeriggio che stai lì a
smanettarci. Prima, però, lavati le mani e la faccia!>>
<<Sì, mamma, ancora cinque minuti>> sento rispondere dal mio amato figliolo.
<<Dopo cena, c'è una sorpresa per te>>.
So come prendere il mio bambino. Se non è per gola, è per un piccolo regalo, qualcosa
che a Carlo piaccia.
Succede sempre così, almeno una volta a settimana. Devo invogliarlo a obbedirmi fin da
piccolo, e l'aspettativa di qualcosa d'allettante è un buon proposito per farmi dire di sì.
Mi chiamo Ginevra e sono una brava mamma di trentacinque anni, sposata con Giulio,
che ne ha trentasette. Vivo in un bell’appartamento a Calcinaia, una cittadina immersa
nel verde e costeggiata dall'Arno. Un paese tranquillo, dove le giornate sembrano tutte
uguali, ma ogni tanto accade qualcosa di divertente e insolito.
Tra pochi minuti Giulio tornerà dal lavoro, dopo un'altro suo stancante giorno passato a
grattare sedie e porte di legno.
La voce di Gerry Scotti accompagna il piccolo Carlo nel sedersi a tavola. La bella
tovaglia bianca con le arance rosse sembra disegnata proprio per far aumentare
l'appetito.
<<Paulo Dybala!>> Urla il bambino, rispondendo con esattezza alla domanda di Caduta
Libera dove era chiesto "Un calciatore argentino che gioca nella Juventus" <<Bravo!>>
Dico arruffandogli i capelli.
Carlo ha sette anni, un bel viso tondo, due occhioni svegli, e un ciuffetto castano che
pare rubato a suo padre.
Papà Giulio entra, e dopo avermi dato un bacio sulla bocca, va da Carlo e lo solleva in
aria.
<<Bello, il mio pargoletto!>>
<<Ciao papi!>>
<<Vado a farmi una doccia, e vengo a cenare con voi>>. Ha un aspetto distrutto, polvere
e segatura s'intravedono tra i capelli.
<<Inghilterra!>> Dice Carlo, rispondendo a un'altra domanda del presentatore.
<<Uao: In casa abbiamo un piccolo genio!>> Dico ridendo.
Un caldo minestrone pieno di tante verdure, una frittata di cipolle, (Carlo fa una faccia
buffa, mettendosi la mano davanti alla bocca, come a dire: Ora mi puzza l'alito!), un
frutto (quello non deve mancare mai), e come un gioco di prestigiazione, tiro fuori dal
mobiletto basso della cucina, una profumatissima torta di mele.
Preparo i piattini, e in quello di Carlo, accanto alla sua fetta, pongo un foglietto
ripiegato.
Lui mangia con voracità la torta. Le sue labbra e i bordi della sua bocca sono colmi di
briciole e pezzi di mele fuse. Sembra un pupazzetto.
È troppo bello il mio bambino.
Bello come il luogo dove lo abbiamo creato.
In una casetta di legno nel mezzo del bosco a Marina di Bibbona.
Era una calda sera d'agosto, quando le stelle brillavano nel cielo, il rumore del mare
ondeggiava e riempiva la stanza, e la mano di Giulio mi stringeva forte.
Lui mi fece distendere sul divano davanti alla finestra aperta. Il profumo del sale marino,
mescolato a quello della resina dei pini, si univa a quello del sudore della nostra pelle.
E a me sembrava di volare verso il paradiso.
Ricordo ancora quei bei momenti, e continuo a esserne felice, perché davanti a me ho il
risultato di quella notte d'amore.
<<Con questo buono riceverai in omaggio Malik>> lo sento leggere ad alta voce.
<<Cos'è Malik papà?>>
Domani pomeriggio ti porterò in un posto, e tu sceglierai Malik.
Ogni sabato è possibile restare tranquilli più degli altri giorni.
Così è successo anche stavolta, perché Giulio ed io ci siamo alzati tardi. E mentre
preparavo il pranzo, Carlo continuava a chiedermi cos'è Malik.
Ripensava a ieri sera, perché dopo la cena, ha guardato un po' di televisione insieme con
noi, poi è andato a letto sorridendo, domandandomi ancora:
<<Malik? È un gioco?>> e ridendo gli ho risposto <<acqua, tanta acqua>>. Era curioso.
Me l’ha richiesto, così ho continuato a ridere.
<<Domani vedrai il tuo premio. Dormi ora bel bambino.>> Gli ho baciato la fronte,
rialzato la coperta sulle spalle, e sono tornata in soggiorno.
Con Giulio ho visto un film molto divertente, e ci siamo mangiati una ciotola di pop
corn, che ho preparato tra una pubblicità e l'altra.
Adesso Carlo mi guarda con quell'aria da furbetto, e le sue braccia che svolazzano
sembrano due ali di un aeroplano giocattolo.
Dopo pranzo Giulio mette il giubbino a Carlo, e battendo una pacca sulle sue spalle dice
<<andiamo ometto. Si va a trovare Malik>>
Osservo dalla finestra l'auto, con dentro i miei due tesori, allontanarsi. Una lacrima mi
scende sul naso.
Poi cerco un fazzoletto di carta per poterla asciugare.
Al canile di Pontedera c'è un abbaiare assordante. Ogni cane è dietro a sbarre troppo
strette per la sua libertà. Chi le ha chiuse davanti a quegli occhioni tristi spera sempre di
poterle riaprire presto, per regalare a loro tutta la felicità che meritano.
Giulio si abbassa verso Carlo. Lui un po' incredulo, lo osserva con l'aspetto di chi sta
cercando tesori nel mezzo di un fitto bosco tropicale.
<<Uno tra questi cani sarà il tuo Malik. Sta a te decidere chi sia>> dice Giulio al figlio,
e con le mani indica le gabbie.
<<Guarda bene tutti i cani, avvicinati a loro e lasciati guidare dal cuore. Fai la scelta
giusta, perché uno di loro vivrà felice accanto a te.>>
Il piccolo Carlo si mette a passeggiare su e giù per lo stanzone. Ci saranno sessanta cani,
uno più dolce dell'altro, uno più piccolo dell'altro, uno più tenero dell'altro.
Un meticcio che pare dipinto a mano, si alza sulle due zampe. Scodinzola, e sembra un
orsacchiotto bianco e nero.
Carlo lo guarda, <<è una femminuccia, è stata abbandonata dentro un cassonetto della
spazzatura. Sono sei mesi che vive qui.>> dice l'uomo del canile.
<<Papà, Malik deve essere un maschio per forza?>>
<<Se prendi una femmina, cambieremo nome.>>
<<Malika! La chiamerò così, perché lei è bella e dolce come la cantante.>>
Giulio sorride all'uomo del canile, muovendo la testa su e giù.
Così Giulio e Carlo portano via Malika, e lei pare essere felice. Poi dentro l'auto si mette
a saltellare da un sedile all'altro, abbaiando contenta.
<<Mamma, mamma, guarda quanto è bella Malika!>> Il mio piccolo tesoro pare avere
una sorellina nuova. Non la molla un attimo. Lui da qualche giorno è allegro come una
faccina disegnata su Whatsapp, e credo che avere un cane in casa sia una cosa
meravigliosa.
Ogni famiglia dovrebbe averne uno.
Carlo era un bimbo triste, spesso si chiudeva in camera, e quando un amichetto lo
chiamava per giocare, lui gli rispondeva di no.
Da quando c'è Malika a fargli compagnia, lui esce sempre, e con i suoi amici la portano
a fare delle belle passeggiate. Perfino sul bosco di Montecchio.
Io sono tranquilla, e ho più tempo da dedicarmi. Giulio li segue da lontano, e ora che le
giornate si sono allungate, i tramonti visti dal quel colle sono spettacolari.
Oppure ce ne usciamo tutti insieme la domenica mattina. Facendo una passeggiata sul
lungarno, magari scendendo nel prato della riva.
Dove Malika corre felice come una matta, e sono sicura che abbia dimenticato i brutti
periodi passati dentro il canile.
Se noi umani sogniamo una bella casa, una famiglia serena, e le giornate splendenti di
sole, i cani dietro alle sbarre di una gabbia sognano dei prati verdi su cui correre, e un
bambino per compagnia, pieno di desiderio. Proprio come il mio Carlo.
Casa nostra non è molto grande, e il giardino è poco più grosso che due auto
fiancheggiate. Abbiamo un piccolo ulivo, e grandi vasi di plastica. I fiori non ci
mancano, ma un cane, anche se un tantinello dispettoso -scava qua e là- è il massimo che
possiamo permetterci. Mi piacerebbe salvarne altri dal canile, ma due sarebbero troppo
sacrificati. Ogni cane ha bisogno del suo spazio, della sua cuccia, del suo angolo privato.
Ha bisogno di essere considerato un membro della famiglia. Vorrei una casa immensa, e
un prato grande quanto le Cascine di Firenze, per poterlo riempire di animali, e di
bambini giocosi.
I giorni si sono riscaldati, il caldo è diventato insopportabile, e la mia famiglia sta
crescendo bella e gioviale.
Malika vive con noi da quattro anni; Carlo è un bel ragazzino che frequenta le scuole
medie, ha ormai le ragazzine che gli girano intorno, e i suoi interessi sportivi: Gioca a
calcio con la squadra delle scuole, prende lezioni di canotaggio al circolo remiero, e ogni
tanto va a correre nei boschi con suo padre e Malika.
Quella bella cagnona è cresciuta tanto, e adora correre insieme con tutti noi.
Giulio se la lega alla vita, tramite un guinzaglio ammortizzato, solamente quando c'è
gente, o per le strade con un po' di auto. Altrimenti corrono uno a fianco all'altro senza
legami, ma con molta voglia di divertirsi.
Per lui e Carlo è il miglior allenatore del mondo.
Riconosce quando in miei ometti sono stanchi, o quando sono ancora pieni di energie.
Rallenta o aumenta di velocità a secondo di come avverte le sensazioni che gli offrono i
suoi due padroni.
Più che padroni sembrano i due papà di Malika.
Percorrono chilometri nelle stradine del bosco, su per le colline verso Montecalvoli, e
qualche volta sopra Vicopisano.
Quando il tempo e la forma me lo consentono, anch’io mi unisco a loro.
Corriamo tutti e tre con le magliette colorate e zuppe di sudore, ma con quel cane
instancabile sempre accanto a noi.
Se penso a tutte queste cose, il sogno di una famiglia da Mulino Bianco per noi si è
avverato.
Senza mulino, e senza ruscello, ma io, Giulio, Carlo e Malika, felici lo saremo per
sempre: Così.
Racconto emozioni dalla finestra
A volte mi capita di emozionarmi, guardando fuori dalla finestra, gli alberi che si
muovono col vento; oppure le tegole dei tetti delle case. Rosse, un po' ricoperte dal
muschio, e alcune smosse dal tempo passato; e quelle canne fumarie che riempiono il
cielo di fumi grigi, ma anche con i profumi di cibi che stanno cuocendo; mi emoziono
con la pioggia che scivola sul vetro.
Dentro questa stanza c'è accesa la televisione. Sintonizzata sul canale 70, quello di
Radio Italia. C'è un video di Marco Mengoni.
Ed emozione si aggiunge a emozione, sta cantando Esseri Umani. Quasi un gioco di
parole, proposto per raccontare la fiducia nelle persone, e la voglia di cercare un contatto
fisico, non solo virtuale, o immaginario. Nel video si vedono volti e gesta di ragazzi
sorridenti, ma più sfortunati di altri.
La mia tavola è apparecchiata, ormai pronta per la cena. Un altro sguardo alla finestra,
con le gocce che ormai ricoprono il vetro.
Sto ripensando a oggi: Alla mia corsetta fatta in mezzo ai boschi, a quel coniglietto
selvatico che correva accanto a me.
Sto pensando all'umidità di questi giorni, e alle pozzanghere che mi hanno riempito le
scarpe.
Adoro correre, e mi piace ascoltare le canzoni con bei testi. Come ho già detto prima mi
emozionano.
L'altra sera quasi mi scendeva la lacrimuccia mentre guardavo la tv e Panariello in una
fiction.
Interpretava un veterinario, e quando vedo animali di qualsiasi specie, mi emoziono.
Come quando vado a trovare i gatti abbandonati e portare a loro del cibo. Me li
accarezzo, e sorrido. Mi emoziono io e loro sono contenti. Qualcuno mi fa le fusa: Sono
le emozioni dei gatti. Il loro modo più gentile di ricambiare l'amore degli altri.
Mi emozionano i bambini che scorrazzano sui prati. Nei giorni nostri sempre più difficili
da trovare. Sia i bambini che corrono all'aria aperta, sia i prati adatti per ribaltarsi in
terra.
Spesso mi emoziono quando leggo, e mi succede anche con solo una semplice frase
amichevole.
Mi emoziona un bel testo di una canzone, di una poesia, di un aforisma ben fatto.
Mi emozionano le musiche suonate al pianoforte, al violino, alla chitarra. Forse il suono
più emozionante è quello di un saxofono.
Adesso è usato raramente, e le canzoni, belle o brutte che siano, lente o veloci come un
rap, o un hip hop, sono zeppe di suoni elettronici. Anche se qualcuno riesce a renderle
emozionanti al tempo stesso.
Il sax era il suono caldo delle canzoni anni ottanta. Quelle della mia gioventù.
Oddio come mi sto emozionando adesso!
Da Vasco Rossi a Venditti, a quelle dance, tutti negli anni ottanta davano risalto al sax.
Ti ricordi di Careless Whisper cantata da George Michael? Favolosa! Al solo ripensarci
mi viene il luccichio negli occhi.
Alta marea e soprattutto Ricordati di me di Antonello Venditti. E come non pensare a
Toffee di Vasco? Brrr. mi stanno venendo su i brividi. La pelle d'oca mi si aggroviglia
nelle braccia.
Un'altra gran fonte d'emozioni sono le fotografie. Basta che io volti la testa verso il
muro, guardando le foto del mio passato, e subito dentro di me cresce un'emozione.
Colme d'amore, d'amicizia, e dal mio cuore regalato ai miei cani e gatti, ma offerto
anche a molte persone care.
Ogni tanto sfoglio i vecchi album fotografici. Ormai logori, e smunti: Ci sono le prime
foto in bianco e nero; quelle scolorite; quelle che non riesci neanche a capire chi ci sia, o
cosa facciamo in quel momento; quelle venute male, e quelle ormai perdute.
È più facile osservare quelle rinchiuse nella memoria del pc. Quelle già regalate al
mondo intero, quelle diventate patrimonio di tutti.
Queste le posso rinnovare, modificare, gestire anche dopo anni da quando le avevo
scattate.
Sembrano meno emozionanti, forse quasi false, invece, per me, è solo una buona
maniera per gestire i propri ricordi.
Altro patrimonio emozionale sono i miei diari, e i miei scritti di qualsiasi genere.
Che siano appunti, o lunghi racconti, ormai entrati dentro ad un quaderno, forse sbiadito,
sono sempre una fonte inesauribile di gioia, dolore, e simpatia.
Mi offrono emozioni.
Un po' indecifrabili quelli scritti anni fa -cercare di capire le giornate quando le stavo
vivendo, non è facile-, più semplice percepire le stesse sensazioni con le scritture da
poco tempo vissute. O immaginate.
Perché scrivere, è realtà, ma anche immaginazione. Desiderio e voglia.
Una forza nascosta, che mi esplode traboccando con le parole scritte.
Guardo ancora dalla finestra chiusa e sorrido. Adesso in tv sta passando il video di Laura
Pausini. E mi stanno emozionando i bambini di Braccialetti Rossi. Quante emozioni
davanti alla televisione. E dietro a questa finestra chiusa.
Il mondo sembra rimanere nascosto dentro quella scatola tuonante, e spesso invadente,
ma ormai presente in noi tutti i giorni.
Ci odio sentire le grida, vedere gli spari delle guerre al telegiornale, ascoltare le notizie
di cataclismi e la rovina del mondo terreno.
Mi emoziona Papa Francesco. La vera rockstar, la più grande del mondo intero. Spero
che riesca a cambiarlo per davvero.
In fin dei conti non è come quello che osservo da un vetro di una finestra chiusa e
bagnata dalla pioggia.
Dalla mia stanza osservo solo una parte di questo pianeta. Un piccolo spicchio brillante,
colorato e perfino profumato come la primavera.
Spesso lo trovo triste e ripugnante come la nebbia grigia delle mattinate novembrine.
Mi emoziono molte volte, anche troppo, ma ogni tanto mi arrabbio. È assai difficile
essere sereno ogni santissimo giorno.
C'è sempre qualcosa che non va, che non funziona.
Sembra che in ogni momento compare qualcuno per avercela con me.
Una volta era mio padre a farmi soffrire e rendermi la vita un po' complicata. Ero un
ragazzino, un po' turbolento, un po' strano.
Con mio padre era odio e amore. Poi i mesi passano, gli anni scorrono lenti ma
inesorabili, ed è cresciuto lui, diventando un simpatico vecchietto, ma più che altro mi
sono evoluto io. E ho intrapreso la vita dei grandi.
Crescendo i miei problemi con la gente si sono moltiplicati. Non per colpa mia difficilmente odio qualcuno, senza che mi abbia fatto qualcosa-, e non ho mai capito del
perché in tanti mi hanno odiato. Forse gelosia nei miei confronti? Invidia? Rabbia? Boh,
non l'ho mai appreso veramente.
Eppure sono una persona buona, scherzosa, e sincera. Ed è proprio la mia bontà a
portarmi le tante fregature ricevute.
Essa riesce a regalarmi anche tante grosse emozioni.
Come adesso, che la pioggia non smette di cadere, e la televisione manda un altro video
musicale. Uno di quelli che ti porta il sorriso dentro.
Le brutte giornate portano tristezza, e il sole cosa fa? Rende speciali. Allegri e
spensierati. E non è solo una questione di vitamina D, ma è tutta una sensazione di
benessere che fuoriesce, come un'automobile da troppo tempo chiusa in un garage.
Ah! Che belle le giornate assolate. L'aria fresca di mattino, e un caldo tepore
pomeridiano.
Ideali per muoversi, per divertirsi e dimenticare i brutti momenti.
Una sana passeggiata nel bosco, su di un sentiero ricoperto da sassolini bianchi. Oppure
sopra una luminosa collina, o un prato pieno di erba verde con fiorellini dai tanti colori.
Magari per poi distendersi sull'alto di un poggetto, o sul morbido letto di foglie cadute
da un'ombreggiante quercia.
Oppure potrei stendere un asciugamano sulla battigia appena calpestata. Che bello il
sole, ma che non faccia troppo caldo! Perché la temperatura alta mi mette ansia, più di
un esame scolastico per un alunno poco sapiente.
Mi fa scoppiare la testa, mi rende fiacco quanto una vecchietta che deve spingere un
carrello della spesa troppo pesante.
Con quel sudore che mi cola dalla fronte. Mi aggroviglia i capelli, mi scivola negli
occhi, e mi rende salate le labbra.
Meglio un tiepido sole. Brillante e lucente come una lampadina accesa nella notte, che
rende il buio più sicuro, tenendo lontani i cattivi soggetti, le ombre tetre, e i brutti sogni.
L'altro giorno mentre stavo prendendo un tè caldo, mi sono emozionato.
Ho ripensato ai tempi della scuola, alla colazione che la mamma mi preparava; al sapore
dolce dello zucchero e dei biscotti; al profumo aspro del limone spremuto.
Mi sono ricordato i miei compagni di scuola. A quelle pedalate in bicicletta. A quelle
partite di pallone. Ai libri letti in classe, o a casa del mio amico più caro.
Quante emozioni che nasconde una giornata.
Un altro sguardo dal vetro, e da lontano, nel bosco ormai scuro della sera, mi sembra di
udire il verso stridulo di una civetta. Magari alla ricerca di un topo, o di un coniglietto.
Magari dello stesso che oggi ha corso qualche minuto accanto ai miei piedi.
La mia lunga corsa sopra l'Arno
Sono nato in val Padana, dove la nebbia avvolge le giornate, come la carta regalo
quando stringe e chiude un pacco.
La mia famiglia è scesa in Toscana con me piccino, senza denti, ma fin troppo
turbolento.
Abbiamo vissuto trenta anni a Fucecchio e l'Arno lo vidi la prima volta quando
frequentavo le scuole medie.
Conoscevo il Ticino, e lo chiamavamo il mare di Milano. Era pieno di sassi, di alberi
fioriti, di case di legno costruite sull'argine, dove passavamo ore spensierate con musica,
carte e giochi col pallone.
Conobbi in seguito il maestoso Po e il gradevole Reno, così fresco e pulito d'estate.
Ho bei ricordi di quando passeggiavo sulla Secchia insieme a mio nonno. Pescavamo in
un canale vicino e passavo molte ore accanto a lui.
Durante il mio periodo di leva trovavo emozionante camminare sopra il Castelvecchio a
Verona, mentre un calmo Adige ci passava sotto, circondando tutta questa splendida
città.
Imparai ad apprezzare il Serchio e vidi un meraviglioso Tevere scorrere accanto ai viali
imperiosi di Roma.
Trovai grandi sensazioni di libertà quando col camper transitavo nelle vie adiacenti al
Tagliamento.
Ammirai il Rodano dall’alto di un hotel spettacolare.
Mi estasiai, osservando da un battello, la fantastica Senna, ed entrai in un quadro di Van
Gogh quando vidi il canal d’Arles
col ponte da lui dipinto.
Tanti sono stati i fiumi che hanno -per modo di dire- bagnato le mie giornate, ma è stato
l’Arno a essere quello più vicino a me. Il più presente.
Guardando l'Arno dal ponte di Fucecchio mi cresceva una morbosa curiosità, quando
aumentava con le piogge.
Una sera d'estate la jeep di militari ci cascò giù. Proprio dal quel ponte.
Con l'Arno m'innamorai della storica Firenze. Così colorata e preziosa come le orchidee
a primavera.
Impazzii per il ponte di Mezzo a Pisa pieno di muscolosi remieri.
Ho stretto tra le braccia una donna mentre il buio nascondeva i ponti di Empoli, e l'Arno
ci strisciava sotto silenzioso.
Dal finestrino di un'auto immersa nel traffico, ho visto i lungarni che sembravano
seguirmi, da Pontedera a Cascina.
Col passare del tempo iniziai a correre, e come un viaggio mai finito, percorsi buona
parte del suo morbido argine.
Correvo a S. Croce sull'Arno, sul lungarno di Uliveto Terme, e a Calcinaia mi avvicinai
a un ponte ferrato ormai distrutto.
Correvo a Roffia, dove l'Arno si appoggia a un lago. Correvo a S. Giovanni alla Vena,
dove un canale ci passa sotto grazie all'intuito di un genio.
Ho corso la maratona di Pisa e quella di Firenze, dove le mie scarpe hanno battuto
l'asfalto dei meravigliosi ponti e dei lungarni infiniti, così pieni di chiese, palazzi antichi
e di alberi profumati.
Ho corso sopra i Monti Pisani, dove l'Arno, visto da lassù, diventa un serpentone dorato
che brilla nel verde, tra le case, e tra capannoni fumanti, come un'anguilla che s'infila
nella sabbia per deporre le sue uova.
La mia città non è bagnata dall’Arno, ma i suoi fossati, e il suo canale, entrano a fare
parte delle sue acque.
E poi insieme all'Arno s'immergono nel mare.
D'estate quell’acqua salata diventa il mio sogno, il mio piccolo paradiso raggiunto, come
la placenta creata da una mamma per sostenere una vita che sta nascendo.
Sperando che sia meravigliosa.
Vincere le Olimpiadi della vita
Mi sento qualcosa addosso. Una sostanza avvolgente e appiccicosa.
Accanto a me ci sono altri oggetti. Sono morbidi, umidi e caldi. Un po' vischiosi.
Dove sono? Dove mi trovo? Che cosa faccio qua? Sento freddo, è buio. Mi sento
pungere sotto un fianco. Sopra la mia testa qualcosa di soffice, ruvido e bagnato, si sta
muovendo. Mi solletica la testa. Un po' mi piace, perché è rilassante. Vorrei aprire gli
occhi, ma non ci riesco, sembrano incollati. Mi sforzo nel farlo, ma proprio non ne sono
capace. Vorrei parlare, ma emetto solo un piccolo suono. Un mugolio.
Qualcosa di diverso dal mio corpo si sta agitando. Io cerco di allungare una zampa, e
piano piano anche l'altra, e l'altra ancora, e quella che pare più lontana dalla mia testa,
invece, si era già alzata.
Sono in piedi, a quattro zampe. Vedo solo buio. Sento che accanto a me ci sono altre
cose morbide.
Come me che sono un gatto.
Voglio la mamma. Il mio fratellino (l'ho scoperto perché sembriamo uguali) ha
socchiuso un occhio. L'ho visto, perché anche il mio è un po' aperto. Fino a ieri sentivo
solo un odore diverso. Oggi mi sono svegliata (a proposito, non vi ho raccontato di aver
scoperto che sono una bimba perché bagnavo mamma, e lo facevo in un'altra maniera?)
e oltre a quell'odore acre, sono riuscita a vedere un mucchietto nero, e alcune (forse otto)
zampette marrone. C'era anche una cosa rannicchiata in un angolo. Ho udito perfino una
vocina. Ho pure visto tanti oggetti brutti: Due o tre pungono, altri schiacciano, altri mi
bagnano, alcuni puzzano. Come cavolo ci sono finita qua? E perché?
Mamma dice che ho tre fratellini. Mi sforzo di guardare. Due ci sono, li sento, e un po'
riesco a vederli, ma il terzo? È quel coso nascosto?
Fammi andare ad annusare.
Con la zampetta lo tocco. È fermo, anzi si sta muovendo un pochino. Gira la testolina
nera. Ha un occhietto solo, l'altro è chiuso. Peggio del mio. Mi guarda, e mi sorride.
Siamo fratelli.
Quanto tempo devo restare ancora qua. Le mie zampette hanno voglia di correre.
<<Mamma io vado a fare un giro>>.
Dove vado? Provo a salire sopra a quel pezzo di legno. Mi arriva un soffio di vento.
Faccio un saltello e balzo sopra a una pietra. Ora che sono più in alto, l'aria è ancora più
fresca.
Da una settimana ho aperto entrambi gli occhi. È tutto così strano qua intorno. Vedo
muri, pietre, pezzi di legno, vetri, frammenti di ferro, erba e rami che pungono. C'è tanta
puzza.
I miei fratellini stavano dormendo uno accanto all'altro. Una pietra è caduta, e loro non
si sono più mossi.
Dice mamma che sono volati sul Ponte dell'Arcobaleno.
Dov'è questo Ponte? Se ci sono andati loro, perché io sono rimasta qua?
L'altro fratellino non sta bene. Ha un occhio sporgente, grigiastro e sembra scoppiare da
un instante all'altro. Mi ha detto che non ci vede. Ieri è venuto vicino a me perché ha
fame, e mamma non lo fa mangiare. Mi fa pena, poverino.
Io ogni tanto esco e vado a fare un giro. Mi piace saltellare e andare a prendere una
boccata d'aria. Là sotto c'è freddo, puzza e umidità.
Ieri mi facevano male le spalle. Ci dormo male. Mamma dice di non allontanarmi
troppo, ma ieri ho visto un essere grande e grosso. Era colorato. Con due occhi buffi, e
due zampe lunghe, grosse e rosa. In fondo a lui vedevo altre due zampe con un paio di
cordine bianche. Erano divertenti. Ho provato a prenderle, perché ci volevo giocare. Poi
ho visto le due zampe rosa avvicinarsi. Mi sono spaventata, e sono corsa veloce a
nascondermi.
Oggi l'ho rivisto. Mamma lo guardava, un po' nervosa e arrabbiata, ma quando
quell'essere si è avvicinato, e tra le zampe aveva qualcosa che emanava un profumino
buono, mamma lo ha lasciato fare. L'essere (mamma dice che si chiama uomo, e spesso
è cattivo) poi si è allontanato (forse si era nascosto per osservarci), mamma allora ci ha
chiamato, e ci ha fatto assaggiare quelle cose buone. Era la pappa! Anche mio fratello ha
mangiato. Poi, con la pancia piena, si è rintanato sotto a una pietra, e si è messo a
dormire. Io e mamma abbiamo mangiato tutto. Che cose buone!
<<Com’è bello qua! Mamma non torno in quel postaccio.>>
C'è tanta erba fresca, la terra è pulita, i sassolini sono tondi, (ci posso giocare!), e ci sono
tanti amici come piace a me.
Mio fratello è affogato due giorni fa. È caduto in una buca.
Mamma dice che ha raggiunto gli altri per correrci insieme sul Ponte dell'Arcobaleno.
Quando sarò grande anch’io, ci voglio andare. Adesso sto bene qua. Questo posto l'ho
scoperto tre giorni fa.
Mi ero stufata di quella stanza buia e puzzolente. Con quel crocefisso di legno rovinato
dal tempo (ma un Dio per gatti randagi esiste? Mi sono chiesta tante volte) di questa
vecchia chiesa abbandonata. Sono salita su un sasso, mi sono aggrappata a un legno
grosso, come ho visto fare da mamma, e sono scivolata da questa parte.
Mi sono sbucciata due zampe, ma ne è valsa la pena!
Ho rivisto l'uomo tre volte. E per tre volte ho mangiato pappa buona. Un amico mi ha
detto che esiste della pappa speciale. Soffice e profumata più di una cavalletta appena
catturata. Se incontri l'uomo giusto, basta muovere un po' il pancino, fare un rumore che
sembra un piccolo motore, e la pappa speciale arriva. Io ci ho provato, ma l'uomo mi ha
toccato (brrr) e la pappa era sempre la stessa!
Devo insistere, forse la pappa speciale arriverà anche per me. Domani ci riproverò!
Sarà la mia battaglia. E voglio vincerla!
<<Perché mi soffi?>>
<<Perché il padrone qua sono io>>
<<Mammaaaaaa>> urlo più che posso. Il gattaccio mi guarda, mi graffia sul naso, e se
ne va. <<Cattivo>>.
Un rumore forte, il cielo è diventato scuro. Un altro rumore. Ho paura. Sento l'acqua
bagnarmi, non voglio affogare come mio fratello. <<Mamma mi sto bagnando tutta>>.
Lei mi prende per la zampa <<vieni andiamocene sotto quelle cassette>>.
Mamma dice che per noi gatti la pioggia è pericolosa. E questa scende giù forte come
una fontana.
Fa diventare tutto più freddo. Meno male che l'uomo ci ha messo queste cose morbide.
Una per me, una per mamma, e una per ognuno dei miei amichetti. Anche per quello
cattivo.
Mi stringo a mamma, e lei mi sorride. Mi lecca la faccia, mi mordicchia un orecchio.
Posso miagolare felice.
E finalmente dormo.
Tutti i giorni è una lotta per la sopravvivenza. Gatti antipatici e prepotenti, anzi nemici;
tempo brutto; poco cibo, a volte neanche buono.
Vorrei tanto vincerla. Vorrei potermi affacciare dalla finestra di una casa pulita.
Guardare il sole, gli uccellini volare (magari pensando a come catturarli), sapendo poi di
trovare tutto pronto. Tutto nel migliore dei modi.
Così mi hanno raccontato alcuni mici che venivano da luoghi simili.
Loro per un po' hanno vissuto felici. Poi hanno provato la tristezza di posti come questo,
e qualcuno si è ritrovato spiaccicato sull'asfalto, travolto da una macchina potente e
rumorosa.
Stamani mi sono svegliata quando pioveva ancora. Ho voglia di camminare un po'
sull'erba.
Mamma dice di non andarci, perché è bagnata, e mi posso prendere il raffreddore.
Mangerò la pappa che l'uomo buono ci ha lasciato ieri sera.
Nel mio piatto stiamo mangiando in quattro. Siamo amici e ci dividiamo tutto. Perfino le
cose morbide e calde per riposare.
L'inverno è triste. È sempre freddo, vorrei avere una coperta tutta per me, ma siamo
venti gatti, e le cassette non bastano per tutti.
L'uomo ha messo dei sacchi di plastica davanti all'ingresso perché ieri l'acqua entrando
mi ha bagnato la coda.
L'estate, invece, è tanto calda. Il sole batte forte, e noi andiamo a ripararci sotto qualche
bella pianta, ma gli uomini che passano mi riempiono il pelo di polvere.
Durante la primavera si sta meglio. Il profumo dei fiori mi piace. I campi sono freschi e
posso correrci tranquilla.
I gattoni sono in amore. Li sento soffiare tra loro, li vedo rincorrersi sugli alberi, e
quando si avvicinano a me, vogliono fare quelle cose strane.
Un gatto nero, che è arrivato qualche giorno fa, mi ha detto che il suo amico uomo lo
faceva dormire sopra una grande cosa molto soffice e tanto calda. E quando andava a
nanna, l'uomo si accovacciava accanto a lui.
Chissà quanto deve essere bello dormire così. Lui per ringraziarlo faceva quel rumorino
con la pancia.
L'uomo appoggiava la zampa rosa sulla sua testa, e lo massaggiava fino alla coda.
<<Sapessi com’era bello, quando lo faceva!>> Il gatto nero sorrideva mentre lo
raccontava, ed io lo invidiavo.
<<E mi portava certe pappe buonissime. Sapevano di tonno, di salmone, di coniglio.
Mmm! Roba da leccarsi i baffi!>>
<<Se stavi così bene col tuo amico, perché sei venuto qua?>>
<<L'uomo un giorno decise di partire, e dopo aver caricato la macchina con tanta roba,
mi prese in braccio e mi portò qua>>. Il gatto nero diventò triste.
<<Neanche mi accarezzò, mi posò sopra quella scatola e mi lasciò lì>>. Quel gattone
nero, con una zampetta bianca, mi era simpatico <<sono rimasto ad aspettarlo due giorni
e due notti>>, continuò a raccontare, <<ma lui non venne più>>.
<<Benvenuto tra i gatti poveri>> gli dissi. Lui mi fece un piccolo sorriso.
<<Svegliati, pelandrona!>>. È mamma che sta urlando. Io stropiccio gli occhietti,
distendo le zampette, tiro fuori le unghie, e alzo il culetto.
<<Arrivo. Uffi, però>> era il mio modo di rispondere quando non volevo fare qualcosa.
<<Vieni qua a sentire>> mi dice mamma.
Io ascolto due uomini parlare. Quello alto e buffo lo conosco, mi porta sempre la pappa,
ma l'altro no.
<<Questa mi piace, ha un pelo morbido e si lascia accarezzare>>. Io sento una zampa
rosa sulla schiena. Mi rilassa, così mi rotolo a pancia all'aria. Faccio pure il rumorino.
Mi sento sollevare, stringere e accarezzarmi la testa.
Che bello, però adesso vedo mamma piccola, piccola.
<<Mi piace troppo questa gatta, la porto via.>>
Sono messa dentro una scatola, ma riesco a vedere tutto. Sento un rumore forte, e vedo
gli alberi che iniziano a muoversi.
Prima ho visto mamma sorridermi, e alzare la zampetta. Con un miagolio rotto
dall'emozione, mi ha detto <<Ciao piccola, da oggi vai a vivere felice>>.
Oggi mi sono alzata. <<Miao, miao>>. Mamma non c'è, i gatti non ci sono. Sento
qualcosa di tanto soffice e caldo sotto la pancia.
Una zampa rosa mi sta accarezzando sulla schiena. Sento un buon profumo. Pappa
buonissima, col sapore del tonno.
Non l'ho mai mangiata di così buona. È davvero squisita.
Un uomo dolce, un letto caldo, e pappa speciale.
Vuoi vedere che mi sono presa la rivincita e ho vinto la mia battaglia contro le difficoltà
della vita?
La vita, la corsa e la Toscana
Un uomo e una donna si sono conosciuti con un colpo di fulmine. Lui consegnava
bombole del gas, lei, che gli aprì la porta in quel giorno d'aprile, era la figlia unica di una
famiglia semplice.
Era la fine degli anni cinquanta.
A quel tempo internet non esisteva, di smartphone non c'era neanche la parola, e le
automobili erano sogni. Al massimo si scorrazzava sopra lente e rumorose motorette.
Uscirono insieme, le loro bocche si baciarono rispettose, le mani si accarezzavano, senza
scendere nel volgare.
Si sposarono felici, mentre lei era incinta della prima figlia. Qualche anno dopo arrivai
io, l'unico maschio. Loro erano mio padre e mia madre.
La situazione cambiò, la necessità di lavorare e veder crescere i figli, li costrinse a
lasciare la città. Dalla tiepida, e spesso umida, Vigevano, si trasferirono nella più solare
Toscana. A Fucecchio, dove nel 1971 nacque la terza figlia.
Il lavoro impegnava mio padre fino a renderlo sfinito e senza forze. Spesso era fuori
città, mentre mia madre lottava per farci crescere nel migliore dei modi. Una casalinga
indaffarata e moglie senza grilli per la testa.
Andammo a vivere in una casa più grande, l'affitto era buono, noi avevamo il nostro bel
cortile, dove giocare.
Avevo la mia piccola compagnia, le partitelle di pallone, le biciclettate con mia sorella e
i miei amici.
Giunse la scuola media. I primi allontanamenti da casa. Il motorino sostituì la bicicletta.
La compagnia d'amici si allargò. Cercavo qualche nuova emozione, ma senza voglia di
fare stupide follie. Mi accontentavo di poco.
Finite le scuole medie, incominciai a lavorare. Davanti ai miei occhi si apriva il mondo
dei grandi.
La mia vicina di casa era il mio desiderio non ricambiato. C'era tanta amicizia tra noi,
ma a me non bastava. Se volevo il mio colpo di fulmine, lo avrei cercato dentro il suo
volto. Ho pensato molto a lei, ma, mentre il tempo passava, capivo che dovevo andare a
parare in altre situazioni.
Fui frastornato dalla musica di Vasco Rossi e lo consideravo come un fratello maggiore.
Seguivo, insieme a mio padre, con il cuore e con l'ardore, le sconfitte e le vittorie della
Juventus.
Partii militare, quando una bella estate stava per incominciare. Fu, invece, una stagione
triste. Lontano da casa, dai miei amici, e sopratutto dalla mia vita. Fui graziato dalla
splendida Verona, dove feci la mia leva, e dai miei nonni, che riuscivo a vedere spesso,
dopo aver passato una mezz'ora in treno.
Quando tornai nella mia Toscana, e ripresi in mano tutta la mia vita da ventenne, con un
colpo di fulmine, conobbi Daniela. Fu un terremoto, un cataclisma, uno tsunami di
felicità.
Passò quasi un decennio di calda passione, e lei diventò mia moglie. Ci furono mesi di
gioia allo stato puro. E sul più bello, restai senza lavoro. Con la forza e con l'impegno
ripartii subito, e trovai lavoro a Lucca.
Mi sembrava di rincominciare un'altra vita.
Passarono anni sereni, ma i solchi del tempo mi fecero perdere i nonni e lentamente si
portò via anche mio padre.
Non fu il babbo perfetto. E in fin dei conti, un figliolo non se lo sceglie.
Abbiamo lavorato insieme per anni, ma prima di farlo, era troppo distante dai miei
pensieri. Io non capivo lui, e lui non s'intendeva con me. Fu tardi, quando capimmo che
ci potevamo, e dovevamo, aiutare un con l'altro.
Cambiarono perfino le cose con mia moglie. E quando un mattone ti casca sulla testa,
vuol dire che sta per cascarti l'intera casa addosso. Con un grosso sforzo e tante lacrime,
riuscimmo a sollevarci da questo crollo improvviso.
Io, in mezzo a tutte queste forti emozioni, iniziai a perlustrare il terreno vicino a casa.
Misi ai piedi un paio di scarpette di gomma. Indossai un pantaloncino corto e una
maglietta colorata e iniziai a sollevare i piedi da terra. Il sole mi batteva sulla fronte,
quando incominciai a fare trecento metri di corsa.
Fu un movimento che mi piacque, e la volta dopo cercai di allungare il passo. Un po' alla
volta mi accorgevo, che correndo, davo sfogo ad alcune sensazioni che parevano
assopite. Mi stancavo ma tornavo a casa contento, carico di buoni propositi, libero dalle
brutte situazioni che mi giravano intorno.
Capita, però, che alcuni momenti di serenità debbano, per forza di cose, essere ostacolati
da qualcosa di tremendo. E così, in una fredda serata di novembre, Jenny, la nostra
piccola e scodinzolante amica, ci abbandonò. Le sue zampette bianche e nere smisero di
muoversi e il suo dolce musetto cessò di guardarci.
Quando la strinsi tra le braccia tredici anni prima, era un batuffolo morbido e giocoso.
Un colpo di fulmine e la portai via con me.
Una cagnolina di una tenerezza infinita.
Per superare i brutti momenti, correvo. Più lo facevo e più mi sentivo bene. Più
chilometri scorrevano sotto i miei piedi e più luoghi riuscivo a vedere.
Ho viaggiato e visitato città con la macchina, col treno o in autobus, perfino con un
vecchio camper. Lontane ore, o giorni da casa mia. Ho visto luoghi che mai mi sarei
aspettato di vedere. Incontrato altre lingue e altri dialetti. Le sorprese più belle, però, le
ho trovate nella mia regione: La Toscana. Un vero colpo di fulmine. Quello per cui ho
iniziato questo racconto.
Era una calda domenica mattina di luglio. Era il 2007. L'aria era pesante già di buon'ora,
ma ciò non m'impedì di unirmi a una specie di festa paesana. Un viavai di persone si
muoveva partendo dalla mia città. C'era la 26a edizione della Marcia della Smarrita. Da
Altopascio, ci si dirigeva verso, e oltre, Montecarlo. Attraverso viottoli di campo,
sentieri tra boschi e strade poco trafficate. Io, con il mio passo accaldato e stanco,
correvo tra quelle colline, e ammiravo il paesaggio.
Fu da quel giorno che iniziai a vedere luoghi e posti, con un'altra visuale, rispetto a
quella veloce e fuggitiva dell'automobilista frettoloso.
Il mese proseguì faticoso, e afoso come non mai. E per l'agosto di quella pazza estate, io
e mia moglie, avevamo programmato una vacanza in Maremma. Un paio di settimane
col nostro camper, spaziando tra Marina di Bibbona e l'Argentario. L'ennesimo colpo di
fulmine che mi cambiò la vita, e sopratutto il luogo dove passare le vacanze.
Inoltre, in questa bellissima terra, proprio in quel 2007, m'incantai ascoltando la musica
e la splendida voce di Elisa. E quando correvo, la portavo dietro con me.
Piano piano arrivò l'autunno. Portò nuovi colori e fresche mattine. Ormai mi ero
aggregato alla fauna podistica della domenica. Ci chiamano tapascioni. E quando
corriamo insieme, dimentichiamo i problemi di tutti i giorni. Apparteniamo a un altro
universo. Eppure non ci allontaniamo da casa, se non per qualche decina di chilometri.
Perché, nella nostra Toscana, troviamo tutto quello che ci serve.
Una Toscana che ci fa sudare, ma sempre col nostro sorriso stampato in faccia.
Lavoravo tutta la settimana, aspettando in ogni domenica mattina, quella corsa che mi
avrebbe portato in qualche angolo nascosto della mia regione.
Conobbi Vicopisano, con i suoi faticosi Monti Pisani, e le visuali paradisiache.
M'innamorai delle colline di San Miniato. In quei dolci sali e scendi che intercorrono tra
un borgo, un bosco, e l'altro, ci ho grondato catinelle di sudore, ma sempre affascinato
da paesaggi che mi facevano sentire come dentro a un quadro di un pittore.
Restai incantato da Pescia e da Collodi, dove nel borgo vecchio, situato sopra un colle
che domina la Valdinievole, mi sembrava di fare un salto nel passato. Ammirai le ville
lucchesi, con la corsa considerata la regina della Toscana. Insieme con oltre diecimila
persone che correvano accanto a me. Riscoprii città come Altopascio, Fucecchio,
Montecatini, Montopoli, Lucca e Pisa. Le rivedevo tutte con un occhio diverso. Annusai
dopo anni il profumo dei pini nel Parco di San Rossore, correrci dentro per venti
chilometri è stato come per un bambino mettere le dita dentro il barattolo della
cioccolata.
Ho corso lungo le rive dei corsi d'acqua e le strade bianche del Padule di Fucecchio.
Un'immensa pianura prolifera di uccelli acquatici.
Mi sono fatto qualche maratona, come se fossi un atleta professionista. Sono rimasto
folgorato dalle colline e le crete senesi. Ed estasiato da decine di piccole località
medievali che, forse, avevo oltrepassato di sfuggita con la macchina.
La vera scoperta, però, l'ho fatta correndo a due passi da casa. Basta che mi allontani di
cinquecento metri e mi ritrovo dentro un altro mondo. Si chiamano Cerbaie, e sono
luoghi pieni di boschi, di stagni, di piccoli laghetti. Ricchi di vegetazione e pieni di
storia (c'è la storica via Francigena; ci sono tante vecchie marginette, che erano punti
d'incontro e di preghiera in tempo di guerra). Correre tra le sue vallate, e i suoi rialzi, è
una cosa che mi riempie di serenità.
Così mi passano gli anni, e da tapascione che corre sopra un argine di fiume, un colle
pieno di sassi o fango, tra uliveti e pinete, stradine o sentieri polverosi, lungomari, e
perfino sulla spiaggia maremmana, ho conosciuto tanta gente nuova. Compagni di
queste splendide scorrazzate, di queste faticose sudate.
A ogni corsa mi sento come a una festa. Ci sono dei ristori a renderci meno duri i
chilometri da percorrere. In alcune corse, questi rifornimenti sono autentiche sagre
paesane. C'è la calda focaccia toscana, o la pizza appena sfornata. C'è il farro con i
fagioli, o la panzanella contadina. Ci sono dolci casalinghi, o le macedonie di frutta.
Bicchierate di tè, vino e aranciate. Corro, mangiucchio, riparto.
Quasi tutti i partecipanti fanno parte di qualche gruppo podistico. Non ci sono limiti
d'età, e pochi sono gli obblighi. Certo abbiamo le nostre regole. Come per qualsiasi
sport. Ognuno è libero di correre, o camminare, come preferisce.
Vedere bambini, vecchietti, e atleti muoversi sullo stesso percorso, sono di una bellezza
assoluta. Tutti fanno il tifo per se stessi e per gli altri. Non ci sono distinzioni di razza e
di colore. Se corri veloce, c'è sempre qualcuno che corre più veloce di te. E tutti
stimolano tutti.
Alla fine della corsa c'è festa per chiunque.
Organizziamo gite, e capita di uscire dalla nostra Toscana, o dall'Italia. Io sono stato a
correre a Rimini, e a Portovenere. Dove tra monte, scogli e mare, è stata davvero una
corsa speciale.
Non mi ferma né il maltempo, né il solleone. Inverno o primavera non fa nessuna
differenza. È la natura a fare il suo corso. Profumi e colori cambiano con lei. Vedo
boschi gialli e verdi in autunno, mentre le foglie scricchiolano sotto i miei passi. Osservo
la brina sciogliersi sui rami, come le stalattiti dentro una grotta. Annuso i profumi dei
fiori a primavera. Il bianco delle rose selvatiche, il giallo delle mimose. L'odore acre e
spinoso della resina dei pini, quando arriva l'estate.
Mi è capitato di osservare una volpe correre più veloce di me. Un cerbiatto balzare
curioso, un leprotto fuggire spaventato. Ho udito il grufolare dei cinghiali, e il cinguettio
degli uccelli innamorati. Sono rimasto bloccato per l'abbaiare di un cane arrabbiato.
Ogni metro che percorro, ogni piccolo passo che avanzo, mi costa fatica, energia e
sudore. Il tutto è ripagato da una miriade d'emozioni. Unire la Toscana alla corsa, è il più
bel regalo che mi sono fatto: Non potrei vivere senza di loro.
Ogni istante che scorre, mi lega a questa terra, a questa regione, più di ogni altra cosa.
Nei momenti più tristi e più dolenti della mia vita, ho pensato di scappare da questo
posto:
Quando ero un ragazzino desideroso d'avventure. Quando ero un uomo solitario.
Quando la vita mi diceva di no.
Se non l'ho mai fatto, è perché, la sorpresa e l'amore per la Toscana, m’inchiodavano
qua. Era come se una voce mi diceva "dove la trovi un'altra regione bella come questa?"
Non voglio più altri colpi di fulmine. Mi bastano questi: La Toscana e correre. Unirli
insieme è come vivere in eterno.
Brividi a Lione
La luce illumina il viso della ragazza che ha dormito vicino a me.
Durante la notte sentivo il suo respiro, e i suoi battiti del cuore.
Le pareti, la moquette e le tende di questa stanza sono rosa; il copriletto ha il color del
grano: Mi sento come un confetto dentro una bomboniera. Mi alzo e vado alla grande
vetrata che abbiamo come finestra.
Questa è la stanza n° 459. Siamo a cento metri da terra e pare di toccare il cielo con un
dito. Sotto di noi Lione.
Ho sentito parlare di questo hotel da un mio compagno di lavoro marocchino. Abdul mi
parlò di un "Le Matiton", quando gli raccontai che sarei partito per questo viaggio. Del
perché di questo soprannome ce ne siamo accorti guardando la sagoma: Un’enorme
matita capovolta. Eravamo ancora a venti chilometri dalla città.
Lei si sveglia ed entra nel bagno. Apre il rubinetto della vasca. Mi chiama. Un profumo
di bagnoschiuma al cioccolato m'inebria. Sonia è immersa con la schiuma fino al collo.
Entro pure io nella vasca. Faccio finta di lavarla, mentre in realtà voglio toccarla.
Ci alziamo in piedi. Passo le mie mani tra i suoi capelli neri e bagnati. Le faccio
scendere sulle sue spalle. Due pendii, lievi come le colline del Chianti.
I suoi seni, duri e marmorei, mi traboccano dalle mani. I capezzoli mi fanno capolino tra
le dita. Mi avvicino, e la mia bocca cerca la sua. Un bacio lunghissimo, mentre due dita
mi sono discese fino a toccarle il dolce fiore che ha tra le gambe.
La sento fremere, eccitarsi. Mi mordicchia un labbro. Con la lingua mi abbasso lungo il
suo corpo, fino alla fica. Lecco avido il suo nettare, sta per avere un orgasmo.
Lei s’inginocchia, avvicina la sua lingua al mio pene e incomincia a succhiare. Un
brivido intenso mi travolge. Sento qualcosa risucchiarmi l'anima. La testa mi scoppia, la
stanza mi gira intorno. Il cazzo mi scoppia, devo penetrarla.
E così la giro. Appoggia le mani alle piastrelle umide.
Io osservo la sua parte migliore: Un culo così liscio e morbido, come un pomodoro
appena colto.
E le gambe. Due meravigliosi strumenti musicali. Potrei suonarli, come se fossero
violini.
Con la mano stringo il pene, quasi fosse una mazza da baseball. E mi spingo dentro di
lei.
Stringo i suoi fianchi, mentre incomincio a muovermi. A cavalcarla. Avanti e indietro,
quasi a svenire.
Usciamo dalla vasca, ma non facciamo in tempo a raggiungere il letto. Mi distendo sul
tappeto, blu con i fiorellini.
Lei viene a sedersi sopra il mio cazzo. Su e giù, su e giù, mentre i capelli le ricadono sul
viso.
Urliamo come due pazzi anche se ormai siamo una persona sola. Mi sento scoppiare,
mentre lei ottiene un altro orgasmo.
Adesso si stende sul tappeto, pare un petalo tra i fiori. Le sue gambe avvolgono la mia
schiena.
Io riprendo a spingere, e per ogni colpo che do’, ricevo una spinta dal basso verso l'alto.
Come il principio di Archimede.
Il sesso, a volte spiega anche la fisica.
Sono ad un passo dall'estremo, non resisto più e mi avvicino al paradiso. Un urlo
agghiacciante risuona nella toilette.
Il mio seme la riempie. E il mondo si ferma per un po'.
Finita la scorpacciata di piacere, ci vestiamo, e dopo un'abbondante colazione scendiamo
a fare un giro per la città.
Lione è divisa tra due fiumi, ha vicoli stretti e parecchi ponti. Particolari sono le case
con facciate dipinte da bellissime immagini che ritraggono lionesi famosi.
Ti appoggi al muro e sembra di stringere la mano ai fratelli Wright.
Un tenero spuntino verso mezzogiorno, un bicchiere di bavarese e un caffè. La
passeggiata continua fino all'ora di cena.
Rientriamo al Matitone, ceniamo a lume di candela, tra ostriche e champagne.
Dopodiché lei mi dice: <<Ho voglia di fare l'amore.>>
Io non le dico mai di no.
20.02.2002
Certe volte vorrei tornare indietro nel tempo.
Ai giorni della scuola. Quando mia madre mi chiamava, e dal letto sentivo il profumo di
tè caldo, che lei aveva appena messo nella teiera colorata.
Mia madre, un angelo biondo che ha saputo farmi apprezzare le cose semplici della vita.
A incominciare dal risveglio e dalla prima colazione.
Alla radio c'era la musica di Radio Montecarlo, che con le voci di Robertino e Awana
Gana, trasmetteva canzoni e giochi già dalle prime ore del mattino.
Lei possedeva una macchina per cucire, con cui lavorava scarpe, seduta davanti alla
porta del nostro piccolo balcone.
E cercava, con il suo magro stipendio, di arrotondare quello modesto, da operaio
meccanico, di mio padre.
Ci accompagnava a scuola con la sua bicicletta, io seduto dietro e mia sorella sopra il
manubrio. A mezzogiorno tornava a riprenderci, aspettandoci con la bici appoggiata al
cancello.
I miei pomeriggi diventavano magia, nel giocare tra la polvere del cortile e un sogno da
grandi campioni del pallone. A volte ero con bambini della mia età, ma spesso mi
ritrovavo da solo a immaginarmi fantomatiche partite di calcio, dove io ero la stella in
mezzo al campo.
Oppure m’inginocchiavo con modellini di automobili in piste da fuoristrada.
O con i tappi delle bottiglie, dove c'erano stampate le figure dei personaggi del ciclismo,
o i colori delle bandiere nazionali, nelle nostre sfide sopra il pavimento del salotto.
<<Ce l'ho, ce l'ho, manca.>> Chi non l'ha mai detto.
E noi bambini eravamo lì.
A scambiarci figurine. A sfidarci a piattello con le cento lire tra le dita, sperando che il
tiro fatto sia migliore di quello dell'amico. Oppure a pelino, dove la fortuna, a volte, era
un avversario troppo grosso da sconfiggere.
Crescendo sono tante le cose che ho imparato e ho apprezzato. E quando a quattordici
anni mi sono messo a lavorare, l'ho fatto con buona volontà.
Cercavo di aiutare la mia famiglia come meglio potevo. E nello stesso tempo tenere una
mia autonomia.
Ho trovato difficoltà e persone senza scrupoli, ma anche tanti amici, che poi per un
motivo o l'altro ho perso.
Adesso dal suono della sveglia sento che mi devo alzare. Se osservo il quadrante
dell'orologio, vedo che oggi è un giorno un po' diverso 20022002.
Nei miei pensieri ci sono quegli anni passati, come quei sogni che cerchiamo di
ricordarci. Nella realtà c'è il solito lavoro che mi aspetta, ma prima la moglie e il gatto
da salutare.
Un bel viaggio rock
Fuori è ancora buio, ma la mia radiosveglia già suona.
Una musica dolcissima si diffonde nell'aria. Mariah Carey con la sua splendida voce mi
fa sentire vivo.
Nonostante l'ora mattiniera mi sento in gran forma. Ho dormito bene, adesso c'è bisogno
di cercare un po' di svago per queste fredde giornate di dicembre.
Preparo una vasca colma d'acqua calda per potermi fare un bel bagno. Subito dopo una
buona colazione.
Ho davanti a me c'è un lungo giorno da vivere.
Telefono a Sandro, il mio migliore amico, e lui mi risponde dopo sei squilli a vuoto
<<Ehi dormiglione, ti ho svegliato?>> gli chiedo mentre mi stropiccio gli occhi e la
punta del naso.
<<Buongiorno Francesco, vieni pure sono pronto.>> Mi risponde con la voce ancora
impastata dal sonno.
Chiudo la porta di casa quando sono le cinque e dieci del mattino. Fa freddo e tira un
vento che mette i brividi addosso.
Accendo l'autoradio della mia Golf, e il riscaldamento inizia a farsi sentire dopo qualche
chilometro.
Pistoia è una città triste a quest'ora, ma io ho voglia di sentire parlare qualcuno.
Il radiogiornale mette brutto tempo, ma sono sicuro che con Sandro mi divertirò pure
stavolta.
Arrivo sotto casa sua e lui è già fuori che mi aspetta: Con lo zaino in spalla, pronto per
un'altra avventura.
Lui è davvero un bel ragazzo, alto, moro e con luminosi occhi verdi, che quando lo
osservi da vicino ti fa pentire di non esser nato donna.
Sicuramente l'incontrario di me: Basso e tarchiato, e come ci dice qualcuno, io e lui
insieme siamo come il gatto e la volpe.
<<Sandro, hai deciso, dove andare?>> Lui mi risponde sicuro <<Roma è la città giusta
che fa per noi>>.
Mi dirigo verso l'autostrada, e stavolta sono le note ruvide di Bryan Adams a metterci la
carica addosso.
Sono le cinque e trenta, ma la musica rock non conosce orari.
La strada fila via liscia come l'olio, è deserta o quasi. Sorpassiamo qualche camion, forse
diretto a fare consegne di regali natalizi, e passiamo Firenze quando il sole cerca di fare
capolino tra le nubi, in un'alba da incorniciare.
Il cielo, tra l'arancione e il grigio, regala sensazioni cariche di elettricità mentre il vento
freddo che soffia, fa sentire importante il riscaldamento della nostra auto. <<Mi passi
quel cd che c'è nel cruscotto>> dico al mio compagno.
<< È giunta l'ora di svegliarci un po'.>> Aggiungo, mentre faccio a Sandro un sorriso.
Quasi una risata.
Lui sonnecchia un po', ma appena sente le prime note di sax e batteria, capisce subito
che non scherzo.
“...sai che cosa c'è brutta storia eh...certo che a correre sempre, dici tu, quando mai ti
fermi più..."
Osservo il contachilometri e vedo 130, 140, 160, la musica di Vasco è sempre stata la
mia spinta.
Sandro ed io cantiamo, urliamo, guardiamo le auto sfrecciarci accanto.
"…loro non sanno com’è facile innamorarsi di una come te, piuttosto che morire
immobile..."
Qualche goccia di pioggia ci dice che non sogniamo, ma per noi quest’autostrada sembra
l'America.
Il dolcissimo sax di Toffee ci regala emozioni pure.
Adesso come quindici anni fa, quando da ragazzi ascoltavamo il Blasco nella nostra
stanza tappezzata dai suoi poster, e con vicino a noi la ragazza del momento.
Forse le parole che stiamo ascoltando ora
" ...e rimani così intontito a guardare qualche cosa che forse non potrai raccontare e
lasci che il vento ti porti con sé, mentre suoni e la musica nasce da se..."
spiegano veramente quello che stiamo provando: Grosse sensazioni rock.
Passiamo Arezzo e Perugia che neanche ce ne accorgiamo. Con la buona musica ti
dimentichi quello che stai facendo.
Ti fa scordare tempo e spazio. Rabbia e dolore.
Nelle nostre orecchie c'è ancora il signor Rossi e la sua band.
Che sia Delusa, Vita spericolata, Ogni volta, Brava, Sally, o qualsiasi altra sua canzone,
la mia Golf ci ha portato anche stavolta, insieme con lui, alle porte di Roma.
<<Dove andiamo, adesso, Sandro?>> Domando un po' preoccupato.
<< Vicino piazza Navona, è là che abita Roberta. Mi ha detto che ospita una sua amica,
e penso che voglia farcela conoscere.>>
<<Mi sono sempre piaciute le amiche di Roberta>> gli rispondo con i miei splendenti
trentadue denti, mentre gli allungo un colpetto sulla testa.
"... Vivere e sorridere dei guai così come non hai fatto mai e poi pensare che domani
sarà sempre meglio ..."
Con questa canzone il nostro viaggio rock è finito. Adesso per un paio di giorni ce ne
staremo al caldo in una casetta nel centro di Roma con due belle ragazze da riempire di
sesso, regali e rock'n roll.
Gelosia e tanto amore
Sudato ma felice. Così Alberto si abbottona i jeans e guarda il soffitto.
Gli piace molto fare l'amore con Irene. Adesso che siamo a luglio e la scuola è finita loro
riescono a passare tanto tempo insieme, soprattutto la sera, e così si amano.
E dire che solamente dieci giorni fa lui voleva lasciarla, ma poi pensandoci bene, ha
capito che quella piccola ragazza potrebbe essere la tipa dei suoi sogni.
Diciotto anni, bionda col viso pieno di lentiggini, così fitte come il cielo stellato nella
notte di San Lorenzo, e i suoi occhi sono azzurri come il mare della loro Toscana.
Lui ha scoperto le parti migliori del suo corpo la scorsa estate a Torre del Lago, quando
dopo un bacio lunghissimo, le sue mani si posarono sulle curve del suo seno e scesero
nell'incavo delle sue morbide gambe.
Alberto ha venti anni, e dodici mesi fa, da quella serata in spiaggia, si è sentito come un
vero uomo.
<<Che cosa faremo domani Alberto? Ti piacerebbe andare al mare?>> Chiede Irene.
Lui, un po' distratto da quei ricordi, le dice un piccolo sì, poi ci pensa un attimo e
aggiunge <<Ho davvero voglia di farmi una bella nuotata.>>
Irene allunga la mano e gli tocca il naso con un dito <<Lo immagino amore perché so
che per te il mare è un’ottima medicina.>>
Nel 2007 ad Alberto scoprirono un'allergia piuttosto rara, e proprio l'acqua salata del
mare è una delle cure migliori per lui.
<<Ho voglia poi di rotolarmi con te sulla sabbia, e baciarti con il sole che mi brucia la
pelle.>> Alberto le risponde e continua <<Chissà, forse la nostra storia un giorno
finirà.>>
<<Di cosa stai parlando? Lo sai che ti amo e sto veramente bene quando sono con te.>>
Risponde con fermezza Irene al suo ragazzo. I suoi occhi si voltano a guardarlo, e con
un brivido di nervosismo si mordicchia il labbro inferiore.
Lei non è figlia unica, ha una sorella più grande. Suo padre (la mamma è morta quando
Irene aveva quattordici anni, lasciando in lei un vuoto immenso) la considera come una
bastarda piccola troia, mentre stravede per la sorella e in quella matrigna che pare avere
occupato il posto di sua madre.
Per Irene non è così. E la vede solo come una mignotta in cerca di fortuna mentre il suo
Alberto vale più di un amore semplice, e forse, per lui, lascerebbe la famiglia nel godersi
dell'amicizia per quella donna.
<<Non c'è niente di eterno, ragazza mia. E la sensazione che provo è che un giorno
succederà qualcosa e darà alla nostra storia la parola fine.>> Alberto sembra pensieroso
e Irene gli domanda <<Cosa te lo fa capire?>>
Lui le risponde ricordando un fatto accaduto qualche giorno prima <<L'altra sera ho
visto come guardavi quel ragazzo in discoteca, sembrava che te lo mangiassi con gli
occhi.>>
Filippo, un ragazzone di un metro e ottantacinque e almeno novanta chili di muscoli,
cresciuto a pane e nutella, ma anche con tanto kick-boxing.
Bello e dannato, sempre in jeans e maglietta, con il ciuffo in testa. Tutti lo conoscono
come Elvis. Per le ragazze, tra cui Irene, può essere un mito, un sogno ad occhi aperti,
invece per i ragazzi della zona è solo un buffone, esaltato da troppa gelatina tra i capelli.
<<Lo sai che Elvis lo considero un bel ragazzo, ma da qui a pensare che la nostra storia
finisca per colpa sua, ce ne passa di tempo.>> È quello che dice Irene per
sdrammatizzare.
<<Comunque non sopporto che tu guardi altre persone. E soprattutto quell'essere
odioso.>> Gli risponde seccato Alberto.
<<Anche tu non scherzi caro. Non mi dire che la moratuttotette, in spiaggia, domenica
scorsa, non l'hai notata?>> Irene gli domanda.
<<Ti ho visto che sbavavi per lei. Sembravi un cane dopo una corsa con il suo
padrone>> la gelosia, per Irene e Alberto, è un brutto male. Loro riescono perfino a
rovinarsi i momenti più dolci e caldi, come quelli che seguono i piaceri del sesso.
Riescono a crearsi gelosie, anche se dall'altra parte dei loro occhi non c'è nulla da
guardare.
Come l'anno scorso, dopo una serata in discoteca, litigarono ore per colpa di una ragazza
cui Alberto aveva messo le mani addosso, un po' per piacere, un po' perché aveva bevuto
Tequila, quando la sua giovane età non regge a certe bevute.
Altro che la moratuttotette di domenica, quella era davvero uno schianto.
Elisa, venticinque anni con delle misure da far impallidire qualsiasi ragazza copertina di
Penthouse. Non per niente lavora come cubista all'Indianapolis, la discoteca vip della
Versilia, usa perizoma e top attillatissimi durante le sue performance danzerecce ed è
super pagata.
Un'autentica bomba sexy.
Quella sera, un inizio d'ottobre, così caldo da sembrare giugno, Alberto incontrò Elisa
all'uscita delle toilette. Lei così bellissima, lui era un po' alticcio. Alberto allungò la
mano sul suo didietro, mentre la sua bocca andava dritta sul collo morbido della ragazza.
Elisa sembrò stare al gioco ma è stato solo un momento. Irene, seduta poco lontano da
loro, osservò la scena e si avvicinò rabbiosa ai due.
Diventò rossa come un peperone ma fu pronta alla sfida. Tirò Alberto per i capelli, e
sentì quell'odioso schiocco che fecero le sue labbra sul collo di Elisa. Mollò uno schiaffo
a entrambi.
Elisa, si preoccupò più del suo rossetto che del dolore fisico, eclissandosi verso il bagno,
ma lasciando i due al proprio destino.
Per Alberto non era finita, Irene era troppo nervosa e incominciò a prendergli a calci i
testicoli.
Dovette intervenire addirittura la security per dividere i due, e per calmare Irene non
bastò neanche la camomilla che il bestione della sicurezza offrì a quella ragazza così
scalmanata.
Un litigio quello che si era protratto per tutto il viaggio di ritorno verso casa, e fino a
quando, esausta, disse basta alle ostilità. Poi avvolse Alberto con un bacio sulla bocca, e
minacciò rabbiosa <<Non lo fare più, altrimenti ti ammazzo!!>>
Ora, in un silenzio reso tenero dai loro abbracci, quel giorno pare lontano secoli.
<<Beh, forse siamo troppo gelosi e così roviniamo quei momenti belli che passiamo
insieme, ma forse è proprio il nostro amore che ci fa comportare così. Amore vuol dire
gelosia, non può essere altrimenti.>>
<<È vero, stavolta hai proprio ragione Irene! Le nostre sofferenze ci tengono uniti. Io
non posso stare senza di te. Questo lo sai benissimo.>>
La musica nella stanza termina, gli U2 non stanno cantando più. Alberto si avvicina
all'impianto stereo, e si mette a frugare tra i suoi cd.
Irene gli chiede di mettere qualcosa di dolce << Ho voglia di stringerti forte e
dimenticare il mondo.>>
Alberto sceglie un vecchio cd di Umberto Tozzi.
Con le note di Donna amante mia, lui si avvicina, gli mette la mano tra i capelli,
osservandola con i suoi occhioni verdi, e con un bacio inizia a dimenticare il mondo.
Insieme con lei.
Resoconti di corse
Da Montecarlo all'Isola dei Girasoli con Paolo
La storia racconta che Leonardo da Vinci sognava di volare, e così inventò i primi
rudimentali mezzi per farlo.
Secondo me, solo un genio come lui poteva aver inventato anche la corsa. Uno sport
tanto bello, anzi spettacolare ma semplice. E l'ha regalato a tutti noi podisti attuali.
Noi che possiamo unire alla fatica un aspetto ludico verso questo sport che aggrega e
mai divide.
Noi che possiamo creare una compagnia valorosa, senza però affrontare guerre e
battaglie.
Noi che possiamo divertirci, essere contenti, e magari portare sensazioni di gioia a chi ci
può solo guardare.
Con questi input è stata creata a Montecarlo la "Corri con Paolo", dove molti di voi
avranno preso parte nelle scorse edizioni.
Come ben sapete il ricavato di quella manifestazione (chiamarla corsa podistica è
riduttivo) è donato all’AGBALT ONLUS:
Associazione Genitori Bambini Affetti da Leucemie e Tumori, e per suggellare questo
legame, è stata creata una staffetta, con l'intento simbolico di portare correndo, l'assegno
ricavato ad aprile.
Incuriosito e innamorato da questo impegno, mi sono voluto unire a questi corridori
speciali.
Sabato mattina mi reco a quest’appuntamento, situato a Montecarlo, per una giornata
particolare ed emozionante.
Ho passato la notte da insonne, con la solita stupida ansia che mi ha portato via le ore di
sonno, come se avessi avuto una saponetta tra le mani.
Eppure dopo il mio risveglio dovrei sentirmi al sicuro perché passerò una giornata tra
amici, e se avrò dei problemi, saranno poco importanti, rispetto a chi aveva percorso
quel lungo tratto, da Montecarlo a Pisa, in tutt'altra maniera.
Quando alle ore sette arrivo in centro a Montecarlo quasi tutto è silenzioso, solo un
piccolo brusio si unisce a questo borgo storico, dove le pietre sembrano ascoltare i nostri
respiri e le nostre parole, che di lì a poco aumenteranno e prenderanno forma in un
piccolo e gioioso serpente che lentamente scenderà verso la piana lucchese.
Prima di partire ci spostiamo a ridosso della Fortezza, suggellando con un sorriso la foto
che per prima ci rimarrà stretta nella memoria.
Siamo otto corridori locomotive, cui man mano, senza regole o impedimenti, si potranno
aggregare, o togliere, podisti di ogni forma e generazione. L'unica regola che conta è
partecipare, cercando di rendersi utile, e chi non può, o non ce la fa a correre, premi un
clacson, una trombetta, un campanaccio.
Anche il sostegno morale è importante, perché la strada è davvero lunga da percorrere.
Non serve urlare per farsi vedere: C'era scritto alla Torretta per la Porcari Corre,
ricordate?
Non c'è staffetta senza un supporto tecnico. Senza aiuto non si va da nessuna parte, e il
gruppo portante è composto di una buona fetta d'iscritti con l'Atletica Porcari. Meglio di
così!
Accanto a noi corridori, e al supporto specializzato, ci sono i mezzi meccanici che
serviranno per la via di ritorno:
Alcune auto piene di fanciulli e donzelle, spesso con le mani impegnate in sonori tric e
trac e strombazzate da stadio; un furgone per borsoni e cibarie; una Vespa con due
simpatici ragazzi; e una biker gioviale che non si stancherà mai di scampanare, incitare,
e sorridere, e lo farà per tutto il tragitto.
Io sono alla prima esperienza su questa Staffetta, e silenziosamente procedo col mio
passetto, deciso a proseguire fin dove mi reggeranno le gambe, ovviamente senza nessun
assillo cronometrico.
Oltre a me tra le novità ci sono: Michela, Massimo, Mauro, e Gino.
Coloro che hanno già partecipato a questa corsa speciale sono: Marco, Enzo, Umberto, e
Odette.
Persone di buon cuore, dalle gambe svelte e veloci, capaci di ripetute imprese sportive.
Per loro è semplice andatura di scarico. <<La prossima maratona me la voglio gustare
così>> qualcuno mi sussurra in un orecchio.
Per le mie gambe sarà una bella prova, perché da molti mesi non sto toccando asfalto,
ma solo Via Francigena e i boschi delle Cerbaie e da oltre un anno non supero i trenta
chilometri tutto di un fiato.
C'è una buona aria fresca, tanto profumo di gelsomino e di rose, mentre le strade sono
deserte e in leggera discesa, perché dobbiamo uscire dal paese per dirigerci verso
Capannori.
Così insieme a un gruppetto di giovani Amici di Paolo, che col loro passo reso agile
dalle poche primavere trascorse, scendiamo verso San Giuseppe e poi fino Micheloni e
lo facciamo in un battibaleno.
Qualche giovanotto si alterna all'altro nella corsa, offrendoi piccole soste per riunire il
gruppo, rendendoci la situazione tranquilla e serena, fin dai primi chilometri.
.
Siamo scesi a Turchetto, e svoltiamo subito a destra per dirigerci verso Porcari.
Davanti allo Stadio, sulla via Romana Est -dove ad agosto sarà organizzata la Corsa dei
100- ci aspettano i nostri Tifosi, e in mano hanno alcuni vassoi pieni di dolci leccornie,
offerte dal panificio Pane e Poi.
Immancabile foto di gruppo, e piano piano si riprende a correre.
In una Porcari assonnata echeggia prorompente il campanaccio di Cathy, mentre noi
silenziosi corridori attraversiamo via Roma e siamo un poco preoccupati <<perché
qualcuno si sveglierà e tirerà giù una secchiata d'acqua>>.
Svoltiamo a sinistra, dove ora s’intravede questo lungo viale che porta fino a Capannori.
Un rettilineo che avevo già corso in tre occasioni durante le maratone di Lucca.
Stamani non c'è nessuna fretta, e ci fermiamo due volte per sostituire un paio di
giovanotti.
Il sole incomincia a farsi valere, le auto rumoreggiano noiose, e l'asfalto pare un
lastricato odioso.
Non è molto bella la via Romana, ma va già meglio quando ci addentriamo nel centro di
Capannori.
Altra breve sosta, e poi tutti riuniti con l'assegno bene in vista, mentre la chiesa e
qualche curioso ci osservano.
Attraversiamo con attenzione la via Romana e proseguiamo verso via Casalino, e la zona
industriale di Carraia.
Auto e sostenitori si fanno sentire, ed è veramente bello correre con tutta questa
compagnia.
Capisco che sono tra le mani dell'Atletica Porcari quando mi ritrovo in un’altra sosta
gradevole a base di treccia con uvetta, dolcetti e tanta acqua rinfrescante.
Poco dopo superiamo la via Sarzanese e ci dirigiamo verso Parezzana.
La strada è sempre asfaltata, ma molto serena e immersa nel verde della campagna
lucchese, mentre le mie scarpette nuove ammortizzano a meraviglia, le gambe mi
viaggiano spedite, e respiro senza nessun affanno, così con Enzo e Gino, mi metto a
raccontare il Trail di Vinci dello scorso anno e di quei trentaquattro chilometri vissuti tra
sole, frecce mancanti e uvetta sultanina.
Il percorso incomincia a piacermi, e a Verciano ci fermiamo per un'altra allettante sosta,
mentre una signora mi chiede <<siete della corsa?>>, io le rispondo di sì, ma
ripensandoci, la corsa vera e propria, quella che intendeva lei, passerà tra qualche ora
riempiendo tutte le vie e i sentieri del paese.
Percorriamo altri tratti di belle strade, senza auto a infastidirci, e con il continuo
supporto dei nostri sostenitori.
Poi costeggiamo l'Acquedotto Nottolini e ci ritroviamo a Badia di Cantignano per un
piccolo ricambio di giovani podisti e di abbeveraggi per noi corridori.
La chiesa e il vicino cimitero mi portano a ricordare un ragazzo molto sfortunato, con
cui ho passato alcuni giorni lavorativi.
Appena riprendo a correre mi sono subito a galla questi tipi di pensieri, e oltre a Luca,
ripenso a tutte le care persone che mi hanno lasciato vagante su questo strano pianeta.
Solo pochi giorni fa l’ha fatto Giovanni, uno dei fondatori della Podistica Galleno, uno
che alle corse sapeva andare, e adesso le sue gambe veloci potranno correre solo sopra le
nuvole.
E insieme con lui penso a Paolo, che vorrei conoscere, magari adesso, per guardarlo
correre accanto a noi, verso questa impresa nata per aiutare chi è più sfortunato e per
cercare di rendere un poco più leggera tutta la loro sofferenza.
Sofferenze che mi hanno toccato da vicino, perché i miei Nonni, gli Zii e Papà mi hanno
lasciato, sì tanti insegnamenti, ma anche troppi giorni che non ho più potuto vivere
insieme con loro.
Forse in questo momento la famiglia Neri si è riunita davanti a una televisione speciale e
mi starà guardando.
Così affronto questa staffetta con uno spirito quasi surreale, dove memoria, ricordi, e
pensieri riguardano spesso persone care che non ho più. E ogni metro calcato su
quest’asfalto, mi porterà qualcosa che va di là dal semplice correre e del trascorrere dei
minuti.
Sarà merito forse delle scarpette nuove, o della voglia immensa di poter portare fino a
Pisa un prezioso assegno, oppure il sostegno morale e fisico che persone eccezionali mi
stanno offrendo.
Così ogni chilometro che devo ancora affrontare fa sempre meno paura.
Il tracciato adesso si fa ombroso e in leggera salita. M'infastidisce lo scarico (e quel
brontolio motorizzato) del vespino dei nostri fotografi/sostenitori, poi correndo sopra
altre viette circostanti, sbuchiamo sulla Statale 12.
L'aspetto è certamente diverso da qualche metro fa: Il traffico è notevole, le auto ci
sfiorano veloci, per la biker Cathy, e la Vespa, va peggio che per noi podisti. La
carreggiata non ha la ciclabile (mica siamo in Olanda) e non mi resta che correre su quel
poco di striscia d'erba che trovo tra l'asfalto e le automobili.
Qualche centinaio di metri, poi per fortuna svoltiamo per salire a Santa Maria del
Giudice.
Dove, una volta riuniti tutti, ci soffermiamo per un veloce ristoro.
Abbiamo fatto circa venticinque chilometri, non ho al polso l’orologio col gps, ma le
mie gambe sembrano confermare la cifra.
Un'ultima sguazzata con la fontanella, e Odette mi sprona a rimettermi in corsa
<<perché siamo gli ultimi>>.
Si scende veloci dal paese e ritorniamo sulla SS 12. Ancora miasmi di auto e traffico,
poi la parte peggiore:
La galleria dei Monti Pisani. Quella che tutti chiamiamo "il Foro". Quasi un chilometro
di follia pura.
Già, perché correre in questo tratto, è veramente uno schifo.
Davanti a me c'è Odette, la seguo con lo sguardo, cercando di capire dove mettere i
piedi.
Il marciapiede è stretto; i pannelli catarifrangenti quasi si toccano col braccio sinistro;
per evitare i cartelli stradali bisogna abbassare la testa; ai lati, e in terra c'è una sostanza
catramosa/scivolosa (con cui m'impregno la mano quando mi appoggio alla parete buia);
il rumore assordante dei ventilatori è incredibile (pare che sopra ci sia costruita
un'autostrada); auto e camion sembrano sfidarsi come in Formula 1.
Non vedo l'ora d'uscire da qua. Tutti mi aspettano, e finalmente anch’io riesco a rivedere
il Sole!
Scendiamo lungo un piccolo sentiero, dove posso osservare il monte con le sue rocce, le
sue piante, e i suoi fiori.
Adesso ci vorrebbe la macchina fotografica.
Al termine di questa breve discesa sbuchiamo nell'Anfiteatro di San Giuliano Terme.
È il momento e il luogo giusto per fare merenda.
Sono presi d'assalto i freschi spiedini di frutta, le dolcissime torte, le dissetanti bevande.
Donne e ragazze ci trattano con i guanti. Siamo podisti stanchi ma felici.
Su consiglio di Paola è chiamata Caterina, la coreografa del gruppo, che con grande
precisione, nonostante l'erba del parco non sia stata tagliata, ricrea un enorme cuore
formato da tutti noi! Spalle al monte e braccia alzate, per una foto davvero magica.
Prima di ripartire bisogna sedersi e levare i forasacchi dai calzini. Usciamo da questo
piazzale un po' abbandonato, e scendiamo in paese, riprendendo la nostra corsa.
Sono passati trenta chilometri, adesso è veramente dura rincominciare a correre. Per
fortuna siamo aiutati da questa piccola discesa.
Poi ci dirigiamo verso via Nicolini, e dopo prendiamo la via delle Sorgenti, ci sono auto
e furgoni, ma lo strombettare dei nostri sostenitori si fa sentire eccome!
Facciamo un forte assedio alla fontanella ad Asciano. Le fresche chiare acque potabili
sono sempre ben accettate, testa e corpo vanno rinfrescati, l'importante è continuare a
tenere caldo il cuore.
In compenso le mie gambe iniziano a essere dure.
Svoltiamo in via dei Condotti, per un meraviglioso tratto sulla ciclabile, e poi sullo
sterrato.
L'Acquedotto dei Medici è uno spettacolo. È la prima volta che corro in queste zone.
Noto, invece, che sono molti i podisti che la transitano. Apprezzo pure i defibrillatori
situati lungo il percorso.
Un Sole che abbaglia, un Acquedotto storico, molti Amici e la Corri con Paolo: Tutto è
emozionante, e ogni cosa prende parte allo stupendo scenario di questi ultimi chilometri.
Il mio passo cala notevolmente, e appena accenno tratti di cammino, sono supportato
meglio di Daniele Meucci.
E posso riprendere a correre.
Dopo questi bellissimi quattro chilometri arriviamo a Ghezzano. Si oltrepassa la
Vicarese e svoltiamo a sinistra per fare gli ultimi mille metri di questa Staffetta del
Cuore tra Montecarlo e Pisa.
Mano nella mano, a braccia alzate, gli occhi lucidi, e con il prezioso assegno come
protagonista, terminiamo questi importanti 38 chilometri (in 4h12.12 col cronometro
fermato solo durante le soste prolungate).
Qualche minuto per rifiatare, per cambiarci il vestiario sudato restando seduti sull'erba,
poi entriamo nella nuova costruzione per opera dell'AGBLT ONLUS.
Dolcetti, salatini, e bevande ci aspettano, ma questo non sono le cose più importanti.
Sono piccoli piaceri aggiunti, ma la voglia adesso è quella di guardare cosa è stato fatto
qua:
Un bellissimo residence, che però di vacanziero ci ha ben poco. Lo scopo cui servirà è
tutt'altro: Aiutare, offrire, consolare, divertire se così si può dire, quelle persone
sfortunate che hanno (avranno) figli, bimbi, ragazzi con patimenti inimmaginabili.
Niente potrà essere paragonato a questo, né trentotto chilometri corsi a piedi, né anni di
dure fatiche.
Qua molto è stato fatto, ma c'è ancora troppo da fare. Purtroppo.
Il mondo prosegue e continua a girare, e così noi riprendiamo il viaggio di ritorno.
Sull'auto di Giusy, ce ne torniamo a Montecarlo.
Si va verso casa Troilo, dove in questo luogo da sogno, ci sono offerte lasagne ai funghi
e alle verdure, focacce, e pasta fritta, mousse di cioccolato, cheesecake, vari tipi di caffè
e di bevande.
Poi mi sono chiesto <<Ma ho trovato degli amici, oppure ogni tanto qualche sogno
accade?>>
Grazie a tutti, è stata un'esperienza speciale.
Dedicato a un ragazzo che non ho avuto la fortuna di conoscere: Paolo Pieraccini.
Con tutto il mio cuore.
A Prato per la 16a Un po' 'n Poggio
Una delle cose più belle del podismo è di poter cambiare i percorsi e di non dover
giocare sempre sugli stessi terreni.
Come invece succede negli altri sport.
Oppure di tenersi quelli abituali, per vedere i miglioramenti fatti, o approfondire le
conoscenze nel cercare manifestazioni nuove.
Oggi ne ho trovata un'altra. E la mia impressione a caldo, è quella di averne trovata una
con i fiocchi.
Forse ho scoperto l'acqua calda, ma la 16a edizione della "Un po' 'n poggio" di Prato è
una corsa che segnalerò in rosso e che (il futuro è sempre un'incognita), l'anno prossimo
mi vedrà ancora tra i suoi partecipanti.
L'ho fatta per la prima volta, e la ritengo una delle corse più belle che ho mai fatto.
Lo so, lo dico sempre e spesso per (quasi) tutte le corse, ma chissà perché, il più delle
volte è davvero così.
In sveglio di buon mattino, poiché le partenze libere sono consentite fino alle ore nove.
Faccio colazione con un po’ di pastasciutta e una mela, poi procedo lungo l’autostrada.
Arrivo a Prato ma non trovo indicazioni per potermi recare velocemente in piazza
Mercatale.
Parcheggio l’auto, m'iscrivo per la corsa e scelgo di prendere il premio magnum, che per
quattro euri consiste in un fiasco da un litro e mezzo di vino.
Faccio un leggero riscaldamento, e sono pronto per iniziare a correre. Alle otto e
cinquanta avvio il garmin, mentre non sono sicuro quale sia il percorso per
incominciare.
Seguo le altre persone, ma non vedo nessuna freccia a indicarmi la via.
Percorro un chilometro e poco più, poi davanti a me appare un’ascesa notevolmente
folle: La Salita dei Cappuccini. La pendenza pare superare il venti per cento e molti
partecipanti scelgono di affrontarla camminando.
Io al momento mi sento bene e così proseguo correndo.
Rimango preoccupato per quest’Un Po' che mi porterà sopra i Monti della Calvana.
Come prima salita non c'è male. Lunga anche troppo, circa due chilometri e mezzo, per i
muscoli che sono ancora intorpiditi.
Quasi mi sorprendo ad arrivarci in cima senza patemi.
Ha inizio un percorso pedocollinare. Sembra più una ciclabile che una strada vera e
propria.
Davanti alla chiesa di Filettole trovo il primo ristoro. Ho fatto neanche quattro
chilometri e ci sono già tante leccornie da gustare, sia dolci sia salate.
La strada è ancora lunga, preferisco rimanere leggero. Una freccia a sinistra indica il
bivio del percorso di sei chilometri.
Finito l'asfalto di via Valdona, la mia corsa prende un'altra impennata mirabolante.
L'altitudine raddoppia con millecinquecento metri di tratto boschivo, fresco e pietroso.
Sono all'inizio della Calvana, a due passi dalla città, dall'industria e dai miasmi, e pare di
essere entrato in un mondo selvatico.
Trovo camminatori e podisti già provati, e capisco che qua non si scherza. Devo tenere
duro e resistere. Tra l'altro ho l'incognita di un percorso per me nuovo, e quindi
nemmeno so la quantità, la durata, la lunghezza di una salita, e tanto meno lo sforzo che
devo compiere per arrivare al suo scollinare.
Il mio pensiero è: Fino ai quindici chilometri salirò, poi per forza di cosa, incomincerà
pure la discesa.
Il bosco diventa fitto, la Strada Romana, porta sempre più in alto, e giungo
all'attraversamento di Rio Buti.
L'unico punto pericoloso, che mi avevano segnalato tramite mail, qualche giorno prima.
Gli amici del gruppo podistico Croce D'oro Prato, hanno prevenuto mettendo una bella
corda, e due addetti per rendere agevole il guado.
Neanche mi bagno le scarpe, nonostante il fragore delle cascate, che si trovano sotto i
miei piedi.
Li ringrazio per l'aiuto, e trovo subito il terreno che si rialza, in un bel tratto assolato e
aperto, dove posso allungare la vista e godermi un po' di paesaggio:
Montagne, vallate e città. Con il Bisenzio a serpeggiare azzurro, come a dividere il
sogno dalla realtà.
Il sole picchia caldo e la temperatura aumenta, ci sono continui cambiamenti di clima.
Vedo nuvole bianche, e sento un venticello fresco che fa parte dell'altura. E più salgo, e
più rimango immerso nella vegetazione, più trovo perfetta la mia giornata podistica.
Neanche i nuvoloni scuri mi mettono paura, il cielo rimane aperto, l'umidità non
infastidisce e l'aria è sempre ottima, pulita e si può respirare a pieni polmoni.
Giungo a Faltugnano, al secondo ristoro, dove incomincio ad addentare qualcosa di più.
Mangio un po’ di torrone e alcuni pezzi di uova pasquali. Bevo del succo di frutta e
dell’acqua, che uso anche per bagnarci il cappello. Dietro al tavolino del ristoro si
vedono fin troppo vicino i monti della Calvana.
Pochi passi ancora sull'asfalto e, dopo una svolta a destra, dove rischio di spezzarmi una
gamba con una storta micidiale, prendo un sentiero sterrato.
Pare tranquillo, ma lentamente, e poi inesorabilmente, sale verso le alture.
Un podista camminando mi dice <<Beato te che ce la fai, io sono già scoppiato>>.
La Strada Bianca, e tre auto che transitano, mi sembrano dire di usare prudenza.
Un lento scalare e un attento osservare, tra i verdi prati, e i fiori dai tanti colori.
Ci sono bovini tranquilli nel loro pascolare, ed io, che con i pensieri torno bambino,
perché è dall’era di Matusalemme che non li vedevo così vicino e così liberi.
Dal tempo di quando i miei poveri nonni vivevano a Vigevano, nella pianura Padana.
Raggiungo una coppia d'amici, per fare uno scambio di foto.
Percorro insieme con loro alcuni chilometri di sterrato collinare, mentre un gruppo di
buoi invade la nostra corsia. Per fortuna vedendoci arrivare i timori se li prendono loro,
e da bravi animali si spostano.
Con la coda dell'occhio osserviamo i vitellini e nel frattempo arriviamo allo scollinare,
dove il ragazzo allunga il passo.
Corro chiacchierando insieme alla ragazza, e giovane mamma, attraversando un
bellissimo tratto di discesa boschiva.
Arriviamo al terzo ristoro, posto in un agriturismo. Panzanella, fagioli e salsiccia, uova
fritte: Sembra di essere al ristorante.
I trekker fanno riposo seduti sul muretto in pietra, appoggiando i loro bastoncini, e
addentando le leccornie pratesi.
Io e la ragazza beviamo un po’ di acqua e menta, mentre mangio un pezzo di pane,
perché c’è ancora tanta strada da fare.
Subito dopo c'è il bivio per il tracciato da ventitré chilometri e così devo salutare i miei
compagni di corsa.
Io proseguo sulla destra, uscendo dall'agriturismo e dal paesino, che osservo ormai alle
mie spalle.
Ancora un piacevole spezzone di bosco, con un buon fondo, e l'aria ancora fresca.
Ci sono alcuni leggeri saliscendi collinari, e un altro attraversamento di un rio. Quanto
basta per bagnarsi la scarpa e il piede.
Incrocio alcuni biker e mi ritrovo dentro un altro piccolo paese in pietra.
Scendo ancora e mi trovo dentro un'azienda agricola.
I primi che noto sono i cavalli, con le belle e giovani destriere. Poi i cani da guardia e da
pastore.
Vedo pure oche, tacchini, capre e capretti che saltellano allegri. Pecore al pascolo, con il
cane maremmano che abbaia e si avvicina a me, quasi minaccioso. E guardo con piacere
una distesa di pannelli solari.
All'uscita dell'azienda c’è il quarto ristoro. C'è folla di biker e di trekker. I biscotti mi
scendono nella gola con sommo piacere.
Lascio la mia firma come il centonovantanovesimo che percorre questa corsa di trentuno
chilometri.
Ed è un record per questa manifestazione.
Una lunga discesa mi porta verso la località La Tignamica e inizio a correre sulla
bellissima pista ciclabile del LungoBisenzio.
Un paio di chilometri e, arrivato a Isola, mi ritrovo su di una salita veramente da
spezzare le gambe.
È il diciottesimo chilometro, e le due ragazze che fotografo, e la mia faccia affaticata,
rendono chiara la situazione.
Percorro ancora via di Faltugnano, stavolta sotto il sole, e in località Gamberame rientro
in uno sterrato difficile, e di conseguenza mi ritrovo dentro il bosco.
Altro rumore di cascate, mentre la segnaletica del CAI di Prato indica diversi sentieri,
fonti e ponticelli vari.
Scendo in un fuoripista, per fotografare l'acqua fresca, verde, quasi trasparente, del Rio
Buti. Mi viene la voglia di saltarci dentro per fare un bel bagnetto.
Trovo due amici, e corro con loro verso l'uscita del bosco e la pista ciclabile Fausto
Coppi di piana S. Lucia.
Abbiamo perso (non era segnalato) il quinto ristoro, ma per fortuna quello lungo la
ciclabile è degno dei migliori.
È ora di pranzo, per cui il pane e pomodoro giunge a fagiolo. Mangio anche alcuni
cioccolatini e dolcetti vari. Bevo del succo di frutta e via che riparto bello carico.
Poco più avanti, su consiglio dei miei compagni pratesi, scendo alcuni scalini e vado a
bagnarmi nella Fonte dei Miracoli e della Salute.
Percorro via del Palco, e di nuovo la bellissima pista ciclabile. Solo a Principina a Mare,
tra pineta e mare, ne esiste una più bella.
Ho la mia via Francigena, ma invidio i pratesi, e i vaianesi per questo LungoBisenzio
pedalabile e corribile anche di sera.
Prato si avvicina, la civiltà, quella motorizzata e veloce, pure.
Dopo il passaggio sul ponte e sotto Porta Mercatale, sono arrivato nella piazza da dove
ho incominciato questa bellissima e trascinante avventura.
Ci ho messo 4h01.21 per fare questi lunghissimi e fantastici 30 chilometri e 140 metri.
La media di corsa è stata 8 minuti ogni 1000 metri.
L’altitudine massima raggiunta è stata di 450 metri, mentre il dislivello positivo è stato
di 877 metri. Con pendenze che sfiorano il 30%.
Un ristoro finale con i fiocchi, tra uova sode, pasta con fagioli, e tantissimi dolci.
Mangio la mia parte seduto sul candido prato del giardino pubblico.
Ringrazio tutti per la bella giornata e la splendida manifestazione podistica, che
ricorderò in eterno.
Ho corso, ho mangiato, e ho scattato molte fotografie che continuo a fare a un fiume
Bisenzio silenzioso e bello da ammirare.
Sotto una fievole pioggerella, metto in moto la macchina e ascoltando Renato Zero non
penso all'ora tarda che ho fatto.
Non prendo neanche l'autostrada, ma a Serravalle Pistoiese un vero acquazzone, fa
pensare che pure stamani mi è andata alla grande!
Poesie
Per Nutella il mio dolcissimo saluto
Nutella un batuffolo bianco e nero dal nome dolcissimo,
così ti ho preso tra le braccia
come una figlia appena nata.
Ti ho visto crescere,
ma ti ho persa mentre ero lontano.
Ho sentito le tue unghie aggrapparsi nei miei capelli
e le zampette fare la pasta sulla mia schiena.
Il caldo torpore del tuo corpo appoggiarsi al mio
come una bambina al seno della mamma.
Eri un gatto difficile, ma sincero più degli umani
Ci hai fatto capire tutto,
o forse noi non ti abbiamo compreso fino in fondo
Un sorriso per la pappa,
la coda dritta per una coccola.
Solo una, due erano troppe:
Sono un gatto!
Indipendente, sornione, e curioso.
Osservo il sole la mattina.
Annuso la luna quando è notte.
Ascolto gli uccellini far festa.
Mi accoccolo perché ho una casa e una coperta.
Lascio a voi il mio testamento:
Fare felice un gatto
e regalare a lui
quello che ho avuto io.
Sono Nutella e
vi ritroverò sul Ponte dell'Arcobaleno.
Insieme con i miei, e vostri Amici,
ci ritroveremo facendo le fusa e scodinzolando contenti.
Saluto tutti
sono Nutella,
un dolcissimo gatto tanto bianco e tanto nero.
Il cane più buono che c'è
Gli animali hanno un'altra vita
lontano dalla follia della gente
e dalla loro stupidità.
Nell'occhio umano c'è odio,
nei tuoi ormai persi c'era una leggera tristezza
e tanta immensa bontà.
Gli amici gatti venivano da te
perché ti sapevano fedele.
Tu non tradivi mai.
Davi a loro un boccone del tuo cibo
e loro lasciavano a te il proprio.
Il tuo pelo era lungo e morbido
come il tuo cuore.
Le tue zampe veloci da giovane
sentivano il peso degli anni passati.
Una sera di pioggia ti ha portato via.
Una sera di novembre volevi uscire e salutarci,
non hai potuto farlo,
il tuo cuore non ha retto
il dolore nell'allontanarti da noi.
Vivi felice
nel tuo paradiso animale.
So che sarai lì,
per sempre.
So che sarai sempre dentro di me
come il cane più buono che c'è.
I momenti della vita
Certi momenti scappano veloci
...quelli belli da tenere stretti
come una foto ricordo.
Certi momenti li vivi lentamente
...non passano mai
come l'ombra che segue il tuo cammino.
La vedi incollata a te
…per sempre.
Certi momenti vorresti cancellarli dalla mente
...quando senti la testa vaneggiare
in un languido lamento.
Certi momenti ...invece sai
che non ci staranno più,
nella borsa che usi come diario.
La tieni per una mano
...non l’abbandoni mai.
Certi momenti, e sono quelli belli
puoi essere da solo
...e sei felice.
Puoi essere con un cane
o con una donna
...e sei felice.
Certi momenti, e sono quelli brutti
ti domandi:
Che cazzo ci faccio qua?
Un campo pieno di follie
Un campo pieno di erbacce
ero un ragazzino
e ci correvo inseguendo un pallone.
Ero tra gli amici
e il mio futuro da aspettare.
Una sbucciatura, due risate,
si rincomincia.
Un campo pieno di profumo del grano
ero un ventenne
e rincorrevo la mia donzella.
Mi tuffavo con lei
come se fosse il mio cuscino.
Mille baci, due pagliacci
...non ci lasceremo mai.
Un campo pieno di sabbia
ero un trentenne
viaggiavo col mio sacco.
Eravamo in due e costruivamo i nostri castelli
come se fossero la nostra favola dorata.
Quello che faremo
lo scopriremo poi.
Un campo pieno di case
sono un adulto, e urlo.
Ho rabbia da svuotare.
Ho vomito da sputare.
Leggo i miei pensieri,
ma non vedo niente.
A volte mi chiedo
quanto farà male
quel muro in fondo al viale.
Ma se lo evito, mi accorgo che...
posso poi fuggire via.
Acrostici su Elisa
Era una notte buia e tempestosa,
La pioggia scendeva
Impervia
Sui tetti delle case.
Alcuni cani cercavano cibo
Tra vicoli umidi e deserti.
Ogni tanto abbaiavano alla lunaFacci avere la nostra ciotola di cibo,
Facci avere un padrone che ci voglia bene,
Ogni giorno dell'anno.La luna osservava
Immobile e incredula. -Come si può abbandonare un cane?È mezzanotte.
Le campane di una chiesa risuonano lontane.
Intanto due giovani stanno ascoltando musica dentro la loro auto.
Si spogliano lentamente, con dolcezza.
Attendono questi momenti da alcuni mesi.
Tutto così romantico.
Ogni cosa magica, pure la luna che brilla nel cielo, insieme alle stelle.
Finché le note di Dancing diventano il sottofondo perfetto, per farlo.
Fanno l'amore mentre i loro cuori battono all'impazzata.
Ogni battito per un movimento dei corpi uniti.
Lontani anni luce dalle sofferenze passate.
Inspirando sogni e desideri futuri.
Ecco:
La mia vita inizia nel 1968.
In un anno particolarmente agitato.
Studenti, operai, uomini, donne erano alla ricerca di qualcosa.
Avevano le loro cose da protestare.
Tutti odiavano, tutti amavano.
Ogni persona rincorreva i propri sogni.
Finché alcune cose si sistemarono.
Fu un anno difficile, duro, tosto.
Oggi se stiamo bene, lo dobbiamo a chi ha lottato.
L'amore ha vinto su tutto.
I problemi, alcuni però, sono rimasti.
È tutto così facile.
Le dita che battono sulla tastiera.
In un file di testo, ci va quello che mi pare.
Scrivo quello che penso.
A volte può essere uno sfogo, ma rispetto le iniziali di Elisa Toffoli.
Tre sono le cose che amo di più fare:
Ogni tanto vado a correre.
Faccio tra gli otto e i trenta chilometri.
Fuggo dalla realtà e sto da Dio.
Oppure mi metto davanti al pc.
La musica mi segue sempre, è la terza cosa che adoro.
In auto, in corsa, a casa, non potrei farne a meno.
E vai.
Le mie storie continuano.
Io mi diverto.
Se a qualcuno non piacciono.
A me non importa.
Erano in tre, quel pomeriggio.
Lei, bionda mozzafiato, lui alto, moro e bello, l'altro basso e tarchiato.
Il loro obiettivo era la banca.
Soldi, c'erano tanti euri da rubare.
Armati fino ai denti e decisi a tutto.
Tirarono fuori la mappa, e studiarono le cose da fare.
Ogni cosa doveva filare liscia, il rischio era alto.
Forzarono la porta d'ingresso.
Furono attimi di terrore.
Ogni sparo colpì qualcosa, o qualcuno.
Le persone che stavano dentro si sdraiarono per terra, tremando.
I poliziotti, rinchiusi nella cassaforte, li arrestarono subito.
Paesi e riflessioni di pace
E se domani partissi per un lungo viaggio?
La mia terra dei sogni è l'Amazzonia, o il Giappone.
In entrambi i casi, posti lontanissimi da questa vita banale.
Sino a qualche anno fa, andavo pazzo per l'America.
Amo la natura, e vedere grattacieli oscurare il sole, oggi mi fa stare male.
Tremo al pensiero di andare in Cina, in India o nel terzo mondo.
Odio osservare immobile le persone soffrire.
Forse sono egoista, invece credo di essere realista.
Finché ci saranno guerre e prepotenze, eviterò quei paesi.
Ogni giorno leggo notizie che mi fanno accapponare la pelle.
L'odio che la gente ha verso altre persone, sopratutto se deboli.
Io ho imparato ad avere rispetto, educazione e civiltà, verso tutte le forme di vita, quindi
lontani da me le nazioni incivili.
Poesia titolo:
Fremiti, tremori e ricordi
È così dolce il suo profumo.
La sua pelle vellutata si dona a me.
I suoi capelli soffici volano sul mio viso.
Sento il suo calore espandersi nell'aria.
Ascolto i suoi sussurri e ho gli occhi chiusi.
Tutto il mio corpo vive nell'attesa.
Ogni centimetro di me esplode di estasi.
Fremo e tremo, come vent'anni fa.
Fu bella la prima volta, intensa l'ultima.
Ogni giorno aspetto questi momenti.
La sua bocca adesso mi bacia.
Io volo verso il paradiso.
E che dire?
Le regole le hai scelte tu...
Io cerco di rispettare quelle classiche.
Spaziare con la fantasia e la semplicità è dovere di tutti.
Anche se pure io sono un rivoluzionario...
Ti ringrazio.
Ogni tanto fa piacere sapere che qualcuno apprezzi ciò che scrivo.
Fammi sapere se apprezzi pure questa cosa.
Forse non è una poesia.
O forse non serve essere poeti, per divertirsi.
Le cose dette in sincerità sono le più piacevoli.
Io sono sincero.
-
AfoLORISmi
I problemi difficili non esistono
tutti hanno prima o poi una soluzione...
quelli che non l'hanno
non sono problemi.
Se qualcuno mi odia
sappia che l'odio è reciproco.
A essere ottimista mi sento egoista
nel confronto degli altri.
A essere pessimista mi sento egoista
nel confronto di me stesso.
Non disabili ma più abili a fare cose migliori di altri.
Non siamo tutti uguali.
Io non mi sento simile a un assassino, a un ladro, oppure a un violento.
E sono molto più umano di molti miei simili
L’uomo è l’essere inumano di questo pianeta.
L’unico che riesce a rovinarlo.
La fortuna capita una sola volta nella vita.
Tutto il resto è solo sfortuna.
Bastano cinque secondi per fare una fotografia
e cinque secoli serviranno per non mandare via quel ricordo.
È meglio una spremuta di frutta che essere spremuti.
Non grosso che tappi, non lungo che tocchi,
ma duro che duri!
I miei ringraziamenti vanno a tutte le persone che si rendono volontarie e affettuose
verso il prossimo.
A chi rispetta la natura e ama gli animali in uguale maniera.
Code & Passi rappresenta quello che Loris ha sempre voluto raccontare.
La coda è una parte del corpo che ogni animale usa per difendersi, per cercare l'amore,
per vivere.
I passi sono i segnali di un lungo o breve cammino. Veloce o lento non ha importanza,
come non l’ha né la partenza e nemmeno la meta.
L'importante è incamminarsi, muoversi, per rendersi partecipe di qualsiasi avventura.
Loris con questa raccolta ha descritto l'unione e i vari volti del suo modo di scrivere.
Il legame tra passato e presente, tra l'uomo vivo e l'essere genuino.
Semplice e mai falso Code & Passi si lascia leggere con leggerezza anche nei momenti
d’intervallo.
Loris Neri è nato a Vigevano nel 1968 ma vive in Toscana fin da piccolo.
Ha lavorato per oltre trenta anni come operaio coltivando a lungo il sogno della scrittura.
Amante degli animali, della natura, della musica e dello sport, pratica podismo con
accanimento e divulga i resoconti delle sue partecipazioni su xcorre.it.
Ha deciso di intraprendere questa nuova avventura pubblicando la sua prima raccolta di
racconti brevi.