Mian: «Ecco il mio basket passione allo stato puro
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Mian: «Ecco il mio basket passione allo stato puro
L'INTERVISTA Mian: «Ecco il mio basket passione allo stato puro» Oggi un anniversario particolare: il 3 gennaio di 18 anni fa l'allora Sdag Gorizia sconfisse la grande Virtus Bologna di Danilovic e Rigaudeau in serie Al di Guido Barella » GORIZIA Era il 3 gennaio 1999, cestisticamente parlando una vita fa. Sdag Gorizia-Kinder Virtus Bologna 67-64. Non il canto del cigno di Gorizia su un campo di basket (all'ultima di campionato arrivò anche 0 65-63 alla Benetton Treviso), ma quel successo sulla Virtus che a fine stagione avrebbe vinto lo scudetto è ancora negli occhi e nel cuore di tanti, tantissimi baskettomani goriziani: sarà stato il fascino delle V nere, sarà stato il clima di quei giorni di vacanza e lo spirito che si respirava quel giorno al palasport, chissà...Da una parte, con Messina in panca, gente come Danilovic, Rigaudeau, Sconochini, Gus Binelli, Abbio o Crippa. Dall'altra, guidati da Tonino Zorzi (contro la Benetton ci sarebbe stato invece Franco Ciani), Tonut, Poi Bodetto, Timinskas, Stazic (Bazerevich sarebbe arrivato di 11 a poco). E poi...E poi "abbiamo un giocatore da portare in Nazional, Michi Mian-Michi Mian" come cantava il palasport. Michele Mian, ovvero il ragazzo di casa, classe 1973, da Aquileia a Gorizia per studiare alle superiori e giocare a basket, con giusto una pausa a ora di pranzo per mangiare qualcosa al "Cavallino", la trattoria allora gestita da Guido Malfatti, in fondo a via XXTV Maggio. Michi Mian che in Nazionale non solo ci è arrivato davvero (anzi, in quel 1999 ne faceva già parte...) ma ha anche vinto tanto (argento olimpico ad Atene 2004, oro europeo a Francia 1999 e bronzo europeo a Svezia 2003). Michele Mian che però con i giornalisti ha sempre parlato poco. Anzi, almeno finche è rimasto a Gorizia, nulla. Michele Mian, mi tolga subito questa curiosità: ma perché non parlava con noi giornalisti, cosale avevamo fatto? Niente, per carità. Era così, un po' per carattere, un po' perché poi volevo che a parlare fosse il campo, volevo essere apprezzato non per quello che magari dicevo ma per quello che facevo sul parquet. Poi si cresce, si cambia. Alla fine di quella stagione i diritti dell'Ai di Gorizia furono venduti a Pesaro. E a Pesaro, finiste anche lei e Pecile. Poi, le maglie di Udine, Rieti, Veroli e Cantù. Di quale di queste piazze ha i ricordi più vividi? A parte Pesaro, tutte le altre destinazioni lo ho sempre scelte io. E ovunque mi sono trovato molto bene: certo, però, Rieti e Cantù sono due state due esperienze molto forti, piazze dove si respira basket tutti i giorni della settimana, dove c'è grande entusiasmo. Ricordo che andare al Pianella da avversario era sempre difficile: giocare con la maglia di Cantù su quel campo invece era straordinario, bellissimo. E poi sette anni di Nazionale e due Olimpiadi... Ad Atene abbiamo vinto l'argento, ma Sydney, quattro anni prima, è stata magica: la prima Olimpiade non si scorda mai. La vita al Villaggio, andare alla mensa e trovarsi con altri atleti di tutto il mondo e di tutti gli sport, la sfilata inaugurale... Ecco, lì, alla sfilata inaugurale credo che sono andato fuori di testa! Lei poi si è sempre guadagnato sul campo le convocazioni con grande determinazione. È vero, nessuno mi ha mai regalato nulla. Nei raduni prima di ogni grande manifestazione il primo candidato al taglio ero sempre io. E invece poi mi sono spesso ritagliato un posticino per esserci alle manifestazioni che contano. A quale tecnico si sente più riconoscente? Innanzitutto a Tanjevic, mio allenatore in Nazionale: il primo a credere in me a certi livelli. Con lui non mi serviva parlare tanto, era sufficiente uno sguardo e ci si intendeva al volo. Poco tempo fa lui parlava di me e mi ha definito un "suo" giocatore: ne sono stato molto orgoglioso. Ma non posso non citare anche Fabrizio Frates: mi ha fatto crescere tantissimo allenandomi a Gorizia. Il basket è sempre stato la sua passione? Avevo iniziato con il minibasket ad Aquileia a 6 anni, ma avevo subito mollato. Non mi piaceva. E allora sono andato a giocare a calcio, portiere. Fino ai 10 anni, poi ho riscoperto il basket. E non l'ho più lasciato. Quanto ha capito che per lei il basket non era solo passione ma anche un lavoro? Non ho mai voluto sentirmi un giocatore di basket e basta. Anche finite le superiori, e già giocavo in prima squadra, sentirmi "solo" un cestista lo ritenevo riduttivo e per questo mi sono iscritto all'Università (Filosofia, a Trieste). Ecco, forse quando poi mi sono laureato ho iniziato a vivere anche il basket in maniera diversa. Ma io ero sempre quello che nei momenti liberi andava a giocare al Campetto. E volevo continuare a essere quel ragazzo lì. Ha due figli, peraltro ancora piccoli: ha trasmesso loro il virus del basket? Il piti grande gioca nel Dom, ma sono liberi di scegliere di fare lo sport che vogliono: non sono un genitore che mette pressione.A casa poi si vede anche, tutto sommato, poco basket alla tv: a me è sempre piaciuto piti giocarlo che vederlo. E così se con i miei figli si decide di andare al Campetto non mi tiro certo indietro! Ma come giudica il basket di oggi? Già nel 2003 dissi a coach Recalcati: questo basket sta diventando troppo fisico, non mi piace. Lui invece sosteneva che presto si sarebbe raggiunto un equilibrio tra tecnica e fisicità: secondo me non ci siamo ancora. Lei oggi ha una scuola di minibasket a Udine. E' un'attività bellissima. I bambini giocano per il piacere di giocare, i miei collaboratori tecnici sono tutti sintonizzati su questa lunghezza d'onda e anche i genitori sono coinvolti nel modo giusto. Perché non l'ho aperta a Gorizia? Qua collaboravo già con alcune società, non mi sembrava corretto varare un progetto di questo tipo in città. E allora sono andato a farlo a Udine. Quando passa davanti al palasport di via delle Grappate co- sa pensa? Quando furono venduti i diritti a Pesaro ci rimasi malissimo, da morire: quel palazzetto era la mia casa. Oggi invece dico che si deve comunque ringraziare chi ci permise di vivere quell'ultima meravigliosa stagione in Al. Certo, il rammarico è rimasto ed è sempre forte. Io poi ho sempre pensato che in quel momento sarebbe stata vincente la proposta di creare una squadra regionale: c'erano gli imprenditori pronti a investire in un progetto di questo tipo, c'era un forte bacino regionale di giocatori, c'erano i tecnici. E le vittorie avrebbero cancellato ogni forma di campanilismo, credetemi. Si sarebbe potuto creare un modello nuovo e diverso. Soprattutto, vincente. E invece, niente. BRIPR0DUZI0NE RISERVATA EEEEZ Maglie prestigiose e tanto azzurro Michele Mian, nato a Gorizia il 18 luglio 1973, è cresciuto ad Aquileia prima di tornare in città per frequentare le superiori e giocare a basket. Alto 196 cm era una guardia/ala piccola. La sua carriera si è svi I uppata passando da Gorizia a Pesaro nel 1999 in coincidenza con la cessione dei diritti sportivi di Al al club marchigiano e quindi, dal 2000 al 2006 a Udine, dal 2006 al 2008 a Rieti, nel la stagione 2008/2009 a Veroli e dal 2009 al 2011 a Cantù. Una curiosità che ben descrive il personaggio Mian: lui non ha mai avuto un procuratore. In Nazionale, dopo la maglia della Under 22 (con cui ha vinto l'argento Europeo nel 1994 in Slovenia), ha vestito la maglia della prima squadra trail 1997 e il 2004 in 156 partite segnando 810 punti. In azzurro ha partecipato a due Olimpiadi (Sydney 2000 e Atene 2004) vincendo l'argento nel 2004, ha vinto l'oro Europeo in Francia nel 1999 e il bronzo Europeo in Svezia nel 2003. Ha vinto anche l'argento ai Giochi del Mediterraneo di Bari 1997. Michele Mian con la maglia Sdag nella stagione 1998/99 (Foto Bumbaca)