il castrum e villa di monformoso

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il castrum e villa di monformoso
GIOVANNI SOMMO
IL CASTRUM E VILLA DI
MONFORMOSO
Estratti da: «Bollettino Storico Vercellese» n. 22-23 - 1984, pagg. 47-70,
e da : «Archeologia uomo territorio» n. 4 - 1985, pagg. 77-108,
con note e aggiunte.
L’uso privato e a scopo di studio dei testi e delle immagini contenuti
nel presente volume è consentita.
La riproduzione anche parziale per altri scopi ed in contesti pubblici o commerciali
costituisce violazione dei diritti d’autore.
© Archeovercelli 2013
In copertina: Monformoso, fotografia aerea obliqua del 1979.
GIOVANNI SOMMO
IL “CASTRUM” E “VILLA”
DI MONFORMOSO:
UN’EVIDENZA DI SUPERFICIE
E UN CASO DI ABBANDONO
NELL’ALTO VERCELLESE
Estratto dal «Bollettino Storico Vercellese» - n. 22 -23 - anno 1984, pagg. 47-70
GIOVANNI SOMMO
IL CASTRUM E VILLA DI MONFORMOSO:
UN’EVIDENZA DI SUPERFICIE E UN CASO
DI ABBANDONO NELL’ALTO VERCELLESE..
Il problema costituito dall’inquadramento cronologico dell’antico sito
di Monformoso sorse dal tentativo di meglio comprendere un’evidenza di
superficie riscontrata nel corso di ricognizioni aeree e sul terreno, condotte
in più riprese ed in varie stagioni dal Gruppo Archeologico Vercellese
(G.A.V.) fra il 1976 ed il 1983.
L’occasione di chiarire gli aspetti storici ed archeologici fondamentali riguardanti il castrum e villa di Monformoso (1) si dimostrò inoltre utile
stimolo per una sostanziale rilettura dei dati riguardanti l’area baraggiva
pertinente ai torrenti Ostola, Guarabiorie e Rovasenda (2) (dove furono segnalati piccoli insediamenti di epoca romana e tardo antica) in quanto riconducibili ad una visione complessiva dell’evoluzione dell’occupazione
umana di tali territori del Vercellese’.
Una preliminare indagine documentaria, limitata alle fonti più facilmente consultabili ed immediatamente disponibili, è stata svolta con l’intento di fornire una sintetica scheda riguardante il sito; questo lavoro, ovviamente incompleto, ma per certi versi illuminante, andrà visto nel più
corretto contesto dell’auspicabile futuro studio sistematico del Vercellese,
effettuato, come già altrove in Piemonte ( 3), su di un ampio repertorio di
fonti ed attraverso un diretto riscontro sul terreno.
Le note che seguono non potranno pertanto che evidenziare un semplice campione, tuttavia stimolante, di una situazione assai complessa non
ancora adeguatamente affrontata.
Monformoso rientra, se di abbandono si può effettivamente parlare,
fra i casi di abbandono tardo, progressivo e parziale (4) dovuto al
prevalere del contermine centro di Villarboit. Lo studio che si va sviluppando in questi anni sui siti abbandonati (5), suscitando interessanti spunti di
riflessione sull’evoluzione del ruolo di un luogo fortificato rurale nei vari
momenti della storia del paesaggio agricolo e dell’economia di una porzione della campagna vercellese, ha incoraggiato l’assemblaggio dei dati raccolti in alcuni anni sull’area di Monformoso, anche in previsione di una
futura tutela di tali evidenze (6).
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La connotazione del sito in questione quale micro campione
delle vicende di un gran numero di dimore e castelli abbandonati o
profondamente trasformati da nuove esigenze, è certamente
inseribile nella recente attenzione ad aspetti minori del patrimonio
culturale,situati fra storia e cultura materiale, la cui analisi tipologica
ed archeologica ( 7), anche se spesso rivolta a luoghi di non particolare rilevanza storica ( 8), è riconducibile ad una vasta serie di
interrogativisulla realtà umana dell’occupazione del territorio nelle sue varie forme e situazioni locali.
In questo senso l’abbandono e la successiva spogliazione del
castello e del villaggio di Monformoso presentano una delle attuali
opportunità di indagine, non solo archeologica, di taluni aspetti,
finora nel Vercellese del tutto insondati, dell’evoluzionc dell’insediamento fortificato rurale e della cultura materiale ad esso pertinente ( 9).
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Alla confluenza del Cervo nella Sesia si innalza dalla pianura
un modesto terrazzamento prodotto dall’azione erosiva delle acque.
Esso, con direzione nord-ovest, si spinge, tagliato da numerosi corsi d’acqua minori, affluenti di sinistra del Cervo, sino alle radici
delle colline masseranesi.
Lungo tale gradino, elevantesi di alcuni metri, si osservano,
in prossimità delle confluenze, i luoghi fortificati medievali di
Villarboit, Monformoso, Bastia, Buronzo, il “castellazzo” ed il
monastero di Castelletto, il castello di Castelletto Cervo ( 10).
Malgrado le distanze prese dalla contemporanea storiografia
nei riguardi di teorie inerenti logiche di confine o di strada
nell’ubicazione di luoghi fortificati medievali ( 11), si è costretti in
questo caso a prendere atto dell’indubbia relazione esistente fra i
castelli sopra elencati (fra i quali quello di Monformoso, di cui qui
particolarmente ci occupiamo), la loro situazione topografica e le
caratteristiche orograliche dei terreni da essi occupati.
La sistematica utilizzazione di piccoli “promontori” lungo la
costa di cui si è appena detto per Pubicazione dei centri fortificati,
sembra rispondere, al di là di quelle teorie un tempo in auge, ad una
naturale prosecuzione del rapporto umano con il territorio,
sovrapponentesi nel medioevo alla ormai conclusa fase romana.
Del resto la possibilità di interpretare la logica degli insediamenti
attraverso l’individuazione di “processi tipici” di antropizzazione
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del territorio (12), oltre a fornire alla ricerca storica ed archeologica
nuove chiavi di lettura mutuate dalla geografia e dall’urbanistica,
offre, fatte salve le riserve su frettolose generalizzazioni, uno strumento di analisi per studiare le relazioni tra i siti e tra un sito ed il
suo ambiente. Proponendo qui un tentativo di lettura in chiave territoriale di un certo numero di insediamenti lungo il margine
dell’altopiano costeggiante la riva sinistra del Cervo, si rileva inoltre la possibilità di intravvedervi in trasparenza il palinsesto dell’organizzazione romana e tardoantica, parzialmente riutilizzata ed
affiorante ancora in epoca medievale (fig. 1).
Orografia schematica della zona compresa fra il territorio di Villarboit e Buronzo. In nero
gli insediamenti fortificati situati presso la “costa” ed insistenti su “promontori”.
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Esaminando l’oroidrografia della zona in rapporto con i siti
ed i ritrovamenti ad essa afferenti è altresì possibile riconoscervi
una distribuzione degli insediamenti secondo schemi “di promontorio” e “di fondovalle” ( 13), dalla quale sembrerebbe discendere,
applicando i concetti generali propri degli studi sulfantropizzazione,
una sufficientemente netta distinzione cronologica fra i due schemi, rispondenti a necessità economiche e sociali assai distanti fra
di loro.
Insediamenti e tracce di insediamenti “cli valle” seguono i
corsi del Cervo e della Sesia (Balocco, Forrnigliana, Greggio,
Albano) e sembrano avere in comune ritrovamenti di epoca romana
( 14), nonché una logica di percorso di fondovalle in cui è pure
collocabile la chiesa plebana del X secolo di Balocco. La sopravvivenza di alcuni di questi centri di probabile origine romana, fortificati in epoca medievale, potrebbe rappresentare (Balocco, Greggio)
la permanenza di interessi già presenti in antico. Una logica completamente diversa presiederebbe agli stanziamenti “di promontorio”, (Villarboit, Monformoso, Bastia, Buronzo ecc.) dai quali, va
sottolineato, non si sono avuti ritrovamenti di epoca romana, se non
lungo i corsi dei torrenti che vi fanno capo. Essi, anche per la loro
naturale predisposizione difensiva, possono aver trovato origine solamente dalle esigenze di incastellamento medievali ( 15).
Tale tentativo di analisi delle localizzazioni, che probabilmente è estensibile ad un’area più vasta di quella considerata, propone
inoltre un attendibile inquadramento del rilevato abbandono e
spogliazione di tutta una fitta serie di piccoli insediamenti rurali di
epoca romana e tardo antica presenti lungo i corsi dei torrenti minori ( 16), in aderenza alla logica insecliativa “di valle” ed in probabile connessione con i nuovi insediamenti medievali di cui potrebbero costituire le naturali matrici ( 17).
Gli elementi di cui si è tentato di dare una proposta di interpretazione, costituiscono comunque una solida base su cui fondare
la certezza di una sostanziale continuità di occupazione del territorio esaminato a partire dai primi secoli d.C., continuità ben leggibile attraverso il sovrapporsi e l’affiancarsi delle logiche insediative
romana e medievale ( 18).
L’inserimento del sito di Monformoso in tale contesto territoriale non è certamente in grado di supplire all’assenza di documenti
che chiariscano l’origine e la formazione di un casrrum, tuttavia
sembrerebbe lecito inquadrarne la natura, e forse i dati cronologici,
fra quel gruppo omogeneo di insediamenti fortificati prima elencati,
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aventi comune logica di localizzazione ( 19).
Monformoso, di cui molto poco è noto e di cui appare incerta
l’ubicazione ancora in un saggio di pochi anni orsono (20), assumerebbe, considerato insieme con alcuni altri siti dell’alto Vercellese,
un notevole interesse nell’ottica dello studio archeologico dell’insediamento fortificato medievale in tale area. Non essendo ormai
più in vista alcuna struttura architettonica, Monformoso sfugge infatti all’analisi della castellologia per porsi, meno romanticamente
rispetto ad un anche recente passato ( 21), come oggetto di riflessioni sul problema più ampio dell’occupazione ed organizzazione del
territorio in epoca post-classica.
L’esistenza nel Vercellese di non pochi rilevanti esempi di
insediamenti medievali, abbondanti in varie epoche ed in seguito a
vari sconvolgimenti, propone, come è già stato più volte opportunamente rilevato, il problema della tutela di tali emergenze e l’esigenza di esplorazioni archeologiche che ne consentano una più approfondita conoscenza (22).
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Il Cenisio ( 23), tratteggiando la storia del castello e del luogo
di Villarboit, ricorda che fino al 1814 il distretto, poi denominato
di Villarboit, ebbe il nome di Monformoso, sottendendo tale fatto
la rilevanza che ebbe detto luogo, non già in antico dipendenza di
Villarboit, ma centro di maggiore importanza, progressivamente
decaduto sino alla denominazione, con il toponimo di
“Monformoso”, di un semplice cascinale.
La scomparsa del toponimo dalla cartografia attuale (è
rilevabile solo nelle tavolette l.G.M.) spiegherebbe inoltre come di
recente si sia potuto identificare il sito di Monformoso con
Formigliana ( 24) in assenza di un lavoro aggiornato sugli antichi
toponimi del Vercellese.
La “postura” ed il “prospetto”, secondo il Bruzza ( 25), furono
al1’origine del nome della località, insieme con Mongrandis,
Monsregis, Montar uco, mentre l’Olivieri ( 26 ), identificando
Monformoso con “l’altura di Villarboit”, deriverebbe il toponimo
da formoso, nome personale, e quello di Villarboit da villar, termine originato da villare, che avrebbe rispetto a villa valore di lieve
inferiorità, e boit, forma genitivale di nome personale germanico
(Bodi=Boid) con il finale internato ( 27).
M. G. Virgili (28), citando il Deambrogio (29), colloca Villarboit e
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Monformoso fra i possessi dei Biandrate longobardorum natione,
ricordando documenti del XII secolo sui quali sono stati peraltro
avanzati seri dubbi ( 30); un ramo dei Biandrate avrebbe inoltre assunto il nome “di Monformoso” ( 31).
SuIl’origine di un abitato nel luogo di cui ci occupiamo non
sono attualmente disponibili documenti certi; essa potrebbe collocarsi cronologicamente fra X e XII secolo ed in tale supposizione
sarebbe di conforto l’opinione del Settia ( 32), che, contrariamente a
quanto suppone l’Olivieri riguardo alla derivazione del toponimo
da formoso, nome personale, ritiene i toponomi in mons indizio di
località deserta in epoca romana. Avrebbe probabilmente dunque
attribuito più giustamente il Bruzza a formosus un significato
aggettivale derivante dal particolare aspetto dell’altura, che ne dovette altresì favorire la fortificazione, senz’altro inizialmente assai
rustica data la non grande rilevanza del luogo in quei secoli.
Secondo il Guasco il primo documento riguardante Villarboit,
Monformoso e Busonengo, considerati insieme non si sa quanto a
ragione, risalirebbe al 1170 con la vendita da parte di Uberto e
Guglielmo di Biandrate a Palatino e Bongiovanni Avogadro (33).
Successivamente, sempre secondo il Guasco, un Alberto di Villarboit
s i s a r e b b e s o t t o m e s s o n e l 11 8 6 a l C o m u n e d i Ve r c e l l i e a
Monformoso sarebbe probabilmente toccata analoga sorte. L’atto
rientrerebbe nella logica di rafforzamento territoriale perseguita dalla città proprio in quegli anni seguiti alla pace di Costanza ( 34).
Non poche perplessità suscita la difficoltà di avere un quadro
chiaro dei diritti e delle giurisdizioni riguardanti Monformoso e VilIarboit, non solo nei secoli XII e XIII, ma anche successivamente,
prima che Punificazione operata dal gran cancelliere Tommaso di
Langosco li confondesse in unico fondo. Con ogni probabilità ciò è
almeno in parte dovuto proprio a tale unificazione, che rese disagevole a chi si occupò di Villarboit riconoscervi l’accorpamento di
due antichi territori.
Oltre agli Avogadro, dal XIII al XVI secolo furono investiti
di diritti, probabilmente solo su Villarboit, i Raimondi ( 35), mentre i
Delle Donne di Buronzo sono detti “Consignori di Buronzo e
Monformoso” nell’atto di dedizione del feudo di Monformoso ai
Savoia del 1373 ( 36). I Rovasenda acquisteranno diritti su Villarboit,
Monformoso e Busonengo nel 1544 dagli Avogadro (37).
Contemporaneamente dovettero esserne investiti per alcuni
punti anche i Faciotto dei gentiluomini di Arborio ( 38), che cederan-
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no i loro diritti su beni in Monformoso a Tommaso Langosco nel
1578.
In tale complesso contesto va inoltre ricordata l’incertezza
rilevata in ordine all’attribuzione di un’arma gentilizia presente nell’affresco della parrocchiale di S. Marco ( 39) databile al XVI secolo. Con ogni probabilità detto luogo, contrariamente a quanto è solitamente riportato, sarebbe pertinente all’antico feudo di
Monformoso e non già ai tenimenti di Villarboit.
La scarsezza di documenti non sembra comunque contraddire
l’ipotesi de1l’esistenza di un feudo di Monformoso, probabilmente
comprendente l’abitato di S. Marco, già dal XIV secolo; fatto che
si vorrebbe qui particolarmente sottolineare insieme con la riscontrata autonomia del luogo di Monformoso nei riguardi del contermine
territorio di Villarboit. ll già ricordato documento di dedizione riguardante il solo feudo di Monformoso, denominato “villa” cosi
come Greggio e Villarboit (40), e la ancor più chiara formulazione
ne1l’atto in cui Emanuele Filiberto ìnfeuda (1561) il Langosco del
“castrum, villam, territorium et districtum Montisformosi” (41) (tale
distretto comprendeva ancora nel 1710 il luogo di S. Marco), ne
sarebbero sicuro indizio. Dell’esistenza del feudo di Monformoso e
di un luogo fortificato anche in epoca anteriore al 1373, da.ta della
dedizione ai Savoia del castrum e villa, potrebbe inoltre costituire
c o n f e r m a i n d i r e t t a l a p r e s e n z a i n Ve r c e l l i d e i n o b i l i “ d i
Monformoso” ( 42), famiglia di parte guelfa estinta nel XVI secolo.
Un “Ardicio di Mornformoso” è fra i firmatari della “carta
sicut domini de Maxino investiti fuerunt per Comune Vercellarum
de castro et villa Malioni” nel 1289 ( 43); probabilmente lo stesso
“Ardicio” è presente alla “pax pronuntiata per Dominum Prìncipem
inter Tizonos et Advocatos Vercellenses” nel 1311, fra i rappresentanti “de parte Advocatorum” ( 44). Il toponimìco “de Monformoso”
(spettante a quanto risulta ad un ramo degli Avogadro) lo si trova
inoltre più tardi con un “Nicolino di Monformoso” ( 45), ministro
dell’Ospedale di S. Andrea di Vercelli che affitta beni in Viverone
nel 1345 ( 46 ) con rogito del notaio “Antonio (detto) Gazino di
Monformoso”, il quale ritroviamo pure in altro atto del 1347 ( 47),
sempre riguardante Viverone.
La documentazione della diffusione di tale toponimico nei
secoli XIII e XIV rivestirebbe dunque un certo interesse a sostegno
dell’esistenza di un abitato nel luogo di Monformoso di molto anteriore al 1300; appare anche assai probabile, e ciò spiegherebbe l’esi-
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stenza di un castrum già ben consolidato nel 1373, la presenza in
tale luogo di una fortificazione, per quanto rustica, nel Xlll -XIV secolo.
Nei decenni di frequenti lotte che caratterizzarono la seconda
metà del 1300, Monformoso e Vìllarboit, così come molte altre terre del Vercellese, dovettero subire ripetute devastazioni (48). Sottomesso ai Savoia nel 1373 con altri feudi e castelli dei consignori di
Buronzo, fra i primi casati a cercare protezione presso il duca,
Monformoso insieme con altri centri contermini entra a far parte
del Capitanato di Santhià, nel cui territorio è presente anche
Villarboit ( 49). Sul finire del XIV secolo sono da registrare le incursioni delle soldataglie di Facino Cane ( 50) che toccarono molte località dell’alto Vercellese, provocando danni alle colture e
spopolamento delle campagne. Particolarmente interessate dai frequenti eventi bellici le terre del Capitanato, detto anche Castellania
di Santhià. A tali avvenimenti vennero ad aggiungersi le numerose
pestilenze che colpirono il Vercellese nei primi anni del XV secolo
( 51). A cavallo tra XIV e XV secolo sorgono o si ripristinano non
pochi ricetti in molte località (Albano, Arborio, Villata, Viverone)
( 52) e da una sorta di ricetto sembra essere affiancato anche il castello di Monformoso, se sono interpretabili in tal senso le tracce di
abitazioni e di fossato disposte lungo un asse Sud-Nord, individuate nelle adiacenze del sito del castello e purtroppo interessate successivamente dalla costruzione del Canale Cavour.
La presenza di un non grande ricetto potrebbe spiegare inoltre come
il luogo di Monformoso conosca, fra il 1379 ed il 1432, un notevolissimo incremento demografico, riscontrabile in simili proporzioni, fra le terre del Capitanato, solo a Candelo ( 53).
Per quanto riguarda Villarboit, invece, la tendenza nello stesso periodo è sostanzialmente inversa e troverebbe spiegazione in
una, non si sa quanto grave, rovina e devastazione ( 54). Occorre comunque considerare con prudenza tali dati nell’incertezza riguardante il valore demografico del “fuoco” ( 55) e tenendo presente che
le cifre devono probabilmente tener conto degli abitati rustici non
fortificati di S. Marco, pertinenza di Monformoso, e di Busonengo,
spettante a Villarboit.
Alla fine del secolo XV quindi, la situazione, non solo
demografica, dei luoghi di Monformoso e Villarboit apparirebbe
notevolmente diversa, ma la tendenza delle poche fonti moderne a
confondere i due siti e le loro vicende non ha certo contribuito a far luce
nella complessa realtà dei diritti feudali e della loro parcellazione.
Essendo inoltre del tutto assente una specifica bibliografia riguardante
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Monformoso, che per non aver potuto contare sulla sopravvivenza
del proprio castello non viene ricordato se non nelle notizie di
corollario alle vicende di Villarboit, risulta difficile documentare
con piena sicurezza l’esìstenza, almeno per alcuni secoli, di due
feudi contermini ed autonomi cosi come appaiono, per ragioni fiscali, ancora agli inizi del 1700 (56).
Il sito di Monformoso attraversato dal canale Cavour. Rappresentazione tratta
dalla cartografia catastale odierna.
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Il Cenisio ( 57), riferendosi a Villarboit, ricorda che ad esserne
investiti dal 1170 furono gli Avogadro e tra i rami di tale famiglia
quello che prese il predicato “di Villarboit”. Ma gli Avogadro non
furono gli unici ad avere giurisdizione in Villarboit, ne furono infatti investiti, come si è visto, per alcuni punti i Raimondi ed i
Rovasenda.
Nel I446, ricorda sempre il Cenisio (58), il duca Ludovico di
Savoia dava in feudo agli Avogadro di Casanova il luogo di Villarboit
con patto di riscatto, di cui si avvalse Emanuele Filiberto per investirvi, nel 1561, il gran cancelliere Giovan Tommaso Langosco dei
conti di Stroppiana. Ancora il Cenisio infine ( 59), non è chiaro in
base a quale documento, ritiene che Villarboit, Monformoso, S.
Marco e Busonengo fossero un unico territorio fin dal secolo XII
( 60). Il Guasco riporta l’esistenza dei signori di Vìllarboit discendenti dai Biandrate ( 61) e dei “di Monformoso” di cui riconosce due
rami discendenti dai Rovasenda e dai Biandrate ( 62).
Lo stesso autore ( 63), accorpando a Villarboit Monformoso e
Busonengo, riporta il passaggio di quei territori dagli Avogadro a
tale Antonio di Rovasenda (1544, 30 novembre), successivamente
da quest’ultimo ceduti al Langosco per dotare le figlie (1566, 7 gennaio). Il fatto sembra contraddire quanto affermato dal Cenisio relativamente alla cessione di Ludovico di Savoia agli Avogadro con
patto di riscatto esercitato da Emanuele Filiberto nel 1561.
Alcuni documenti, finora inediti, reperiti per la presente ricerca, sembrano inoltre complicare ulteriormente la situazione, chiarendo tuttavia alcune vicende concernenti Monformoso ed il suo
territorio.
Si è già citato il documento di dedizione del feudo di
Monformoso ai Savoia del 1373 ( 64), dal quale risulterebbe essere
tale feudo di spettanza dei Delle Donne di Buronzo, “consignori di
Buronzo e Monformoso”. È probabile che, analogamente a quanto
avviene nello stesso periodo a Balocco ( 65), i diritti dei Delle Donne su Monformoso siano di consignoria con gli Avogadro (a Balocco i Delle Donne detengono diritti insieme con i Confalonieri). Si è
visto inoltre come risultino detentori di ragioni in territorio di
Monformoso i Comerro ed i Faciotto dei gentiluomini di Arborio e
come questi ultimi cedano tali diritti al Langosco nel 1578. A tali
documenti si aggiunge quello, conservato presso l’Opera Pia Barolo (66),
in cui sono ricordati diritti feudali esclusivamente su Monformoso, spettanti ad un Giovanni Antonio di Rovasenda (da non confondere con l’Antonio di Rovasenda poc’anzi citato) che ne fu investito dal duca Carlo
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di Savoia ( 67) nel 1545. L’atto, dato in Vercelli nel maggio 1561
presso la casa Arborio situata nei pressi di S. Maria Maggiore, contiene gli estremi della vendita fatta dal duca Carlo della giurisdizione, feudo e focaggio di Monformoso a Giovanni Antonio di
Rovasenda al prezzo di scudi trecento, vendita che il duca Emanuele Filiberto intende annullare mediante la restituzione del prezzo
alla “Domina Anna”, moglie di Giovanni Antonio di Rovasenda (evidentemente venuto a morte) e tutrice del primogenito “Pirro”: “qui
recusaverunt ipsa scuta trecentum capere et retrovenditione facere”.
L’atto viene comunque perfezionato dal duca mediante il deposito
della somma, con lo scopo di investire, alcuni giorni dopo, delle
ragioni feudali su Monformoso il Langosco. L’insieme di questi dati
mostrerebbe, contrariamente a quanto viene solitamente affermato
nei riguardi di Monformoso, considerato pertinenza di Villarboit,
la presenza, fra il 1300 ed il 1500, di un complesso quadro dei diritti a Monformoso, dove risultano avere giurisdizione i Delle Donne
di Buronzo, con ogni probabilità in consignoria con gli Avogadro
di Monformoso, e poco oltre i Faciotto ed i Cornerro del consortile
di Arborio ed i Rovasenda. Tale situazione sarà notevolmente trasformata dagli acquisti del Langosco che, come si vedrà, acquisirà
le ragioni feudali a Villarboit e quindi a Monformoso nella loro quasi
totalità e nello spazio di un ventennio ( 68).
Il duca Emanuele Filiberto, tornato nei propri Stati dopo la
pace di Cateau-Cambrésis (1559), ha il pesante fardello della totale
ricostruzione.In attesa di riappropriarsi di Torino è a Vercelli dal 7
novembre 1560, dove si installa provvisoriamente nel convento di
Betlemme (ora Billiemme). Ed è a Vercelli che il duca infeuda il
gran cancelliere Tommaso Langosco, conte di Stroppiana, del
castrum, villam, territorium Montisformosi ( 69 ), essendo già il
Langosco in tale atto denominato Valerboyti domino, luogo di cui
ebbe i diritti nel 1556 per cessione da parte dell’Antonio di
Rovasenda ( 70).
L’acquisizione di altri diritti avverrà successivamente fino al
1578 (71) con una precisa strategia di accorpamento fondiario mirante con ogni probabilità a un radicale risanamento economico ed
agricolo dei luoghi. Ad un preciso impegno economico nei riguardi
dei territori di Villarboit e Monformoso risponde pure un programma di irrigazione, per il quale il Langosco domanda ed ottiene facoltà di trarre due canali, uno dalla Sesia ed uno dal Cervo ( 72).
Come il fedele cancelliere avesse ottenuto tanti privilegi e favori, non ultimo il riscatto della vendita di Monformoso al Giovanni Antonio di Rova-
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senda, si spiega, oltre a motivi ( 73) che rientrerebbero nella sfera
famigliare del Langosco da qualcuno ventilati, soprattutto con la
necessità politica di premiare e legare uomini preparati e fedeli per
condurre a buon fine le pressanti riforme intraprese da Emanuele
Filiberto, particolarmente rilevante quella agricola.
La situazione dell’agricoltura piemontese in quegli anni era
infatti pressoché catastrofica, per questo non sembra improponibile
il collegare la politica del Langosco nei confronti dei luoghi a lui
soggetti al frutto di oculate scelte economiche in campo agricolo.
La deduzione di canali richiesta dal cancelliere farebbe inoltre pensare alla introduzione massiccia in quei territori della coltura del
riso, che ritroviamo infatti successivamente, nel XVIII secolo,
fiorentissima ( 74). In tale quadro di nuove strategie economiche e
grazie agli investimenti del gran cancelliere, il centro di Villarboit,
che sul finire del 1400 aveva subito un notevole decadimento (che
la crisi economica e sociale determinatasi in Piemonte durante i lunghi conflitti dilanianti lo stato sabaudo nella prima metà del XVI
secolo non aveva certo contribuito a sanare), riprende vita. Vengono inoltre a cessare del tutto in quel periodo le funzioni difensive
dei castelli, anche in seguito all’introduzione, ormai consolidata
nell’uso bellico,·delle bocche da fuoco. Probabilmente per la posizione nei riguardi delle vie di comunicazione, il luogo di Villarboit
viene preferito quale centro dell’attività agricola. Qui il castello
( 75) assume le connotazioni di una residenza rustica ed attorno ad
esso e alla chiesa, si sviluppa l’abitato con ampie ricostruzioni.
A Monformoso, anche in seguito alla sua vicinanza a
Villarboit, si riscontra invece un lento decadimento che inizia verso la fine del XVI secolo e raggiunge l’apice nel 1666, anno della
soppressione dell’antica parrocchiale di S. Andrea ( 76 ). Lo
spopolamento del luogo va probabilmente interpretato come conseguenza diretta della cessazione del ruolo difensivo del castello e
del supposto piccolo ricetto, nonchè dell’accorpamento dei due feudi
operata dal Langosco, che orienterà la sua politica di ricostruzione
su Villarboit. Ancora nel 1601, comunque, nell’atto con il quale Carlo Emanuele di Savoia investe delle ragioni feudali di Villarboit e
Monformoso le sorelle Margherita e Ludovica, figlie del gran cancelliere ( 77 ) e, per loro tramite, i rispettivi mariti Bernardino
Parapaglia e Lorenzo Birago di S. Martino, sono ricordati idue ducati
“similmente dovuti per li nobili del castello d’esso loco (di
Monformoso)” e compaiono le “case rovinate” di Villarboit come escluse:
“si et come ci spettano, con quelle della città n.ra di Vercelli”, mentre sono
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di spettanza feudale le “case etiamdio rovinate nel castello d’esso
loco (di Villarboit) e attinenti o vicine a quello e altri beni e ragioni
feudali a detto castello spettanti” ( 78). Nello stesso atto sono inoltre
citati come paganti il focaggio “li nobili de constantii” ed “il
Raimondo”, residenti nel “loco territorio e fini di Villarboit, Cassine
e Bosonengo” (79).
La situazione che se ne ricava è caratterizzata dalla presenza,
nel 1601, di un non meglio precisato fuoco nobile al castello di
Monformoso e di due fuochi nobili in territorio di Villarboit; è inoltre
da sottolineare la presenza, esclusivamente a Villarboit, di “case
rovinate” ancora in quegli anni, un trentennio dopo le riedificazioni
promosse dal Langosco. Sarebbe pertanto lecito collocare l’inizio
della progressiva rovina del castello e la decadenza del luogo di
Monforrnoso all’incirca fra il 1600 ed il 1666, data della soppressione della parrocchiale.
La sopravvivenza di Monformoso in qualità di centro rurale
periferico è testimoniata nel 1710 dalla “Carta del finaggio di
Monformoso” ( 80 ), in cui è ben visibile la preponderanza de1l’abitato
di S. Marco rispetto all’antico centro, il cui castello è ormai in rovina.
Nessuna traccia è pure visibile del borgo contiguo al castello,
della cui esistenza pertanto abbiamo labile testimonianza solo dalle
tracce in sito. Lo stesso documento prima citato per il suo carattere
fiscale evidenzia le superfici delle varie colture e riporta le misure
spettanti al rudere del castello ( 81). Nel 1733 la proprietà passa ai
Falletti di Barolo (82). Attorno al castello di Monformoso sono ancora presenti alcune famiglie ed edifici rustici che, nel 1760, nel
periodo in cui sono promosse dallo stato le “comunità” (83), pagano
la “taglia” all’esattore Domenico Stasia ( 84). Ancora un decennio
più tardi, nel 1770, i ruderi del castello sono visibili in una carta
topografica di quell’anno ( 85), ma la decadenza del luogo è ormai
irreversibile ed esso presenta pressoché l’attuale conformazione, caratterizzata da alcuni edifici rurali attornianti l’antica area fortificata. Nel 1814, come si è già ricordato, il distretto perderà la tradizionale denominazione di Monformoso per identificarsi con 1’ormai irrobustito abitato di Villarboit.
Una carta topografica del 1859 ( 86) mostra la pianta schematica
del castello (fig. 3) e la parcellazione agraria anteriore alla costruzione del canale Cavour. Tale canale, sconvolgendo l’assetto territoriale originario, separerà il sito dell’antica parrocchiale dal castello e
cancellerà una parte dell’ar1tico borgo. Nel 1867 la proprietà passa ai
59
Solaroli ( 87).
Più recentemente, nei primi decenni del secolo, la costruzione dell’autostrada Milano-Torino, passando essa a pochi metri dal sito
del1’antica chiesa di S. Andrea, accentuerà lo sconvolgimento operato dal canale.
Profilo schematico della pianta del castello di Monformoso ricavato da uno rilevazione
topografica del 1859 (si veda nota 86).
Non è certo in quale periodo sia stata compiuta la definitiva
spoliazione dei ruderi del castello di Monformoso; essa dovrebbe
essere avvenuta fra la seconda metà del XIX secolo ed i primi decenni del ‘900. Inizia invece assai prima la demolizione degli edifici in rovina non più utilizzati, per recuperare terreni alle coltivazioni ( 88).
Nell’area occupata un tempo dal castello è ora presente il bosco ceduo, analogo destino ha subito l’area della parrocchiale, anche se la spoliazione dei ruderi potrebbe risalire al XVII secolo.
Una lettura più approfondita dei dati topografici ed
archeologici raccolti in sito potrà forse permettere una attendibile
ricostruzione della conformazione del castrum e villa di
Monformoso, di cui più nulla rimane in luce; ciò potrà forse risultare di qualche utilità nell’indicare eventuali aree di interesse archeologico, la cui preventiva tutela apparirebbe auspicabile ( 89).
60
NOTE
BSBS =
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Bollettino Storico Bibliografico Supalpino
I termini castrum e villa sono mutuati dai documenti del XVI secolo, con
essi viene designato il luogo di Monformoso; sul problema della loro relazione ad una particolare situazione concreta si vedano, ad esempio per le
questioni lessicograche: A. A. SETTIA, Tra azienda agricola e fortezza:
case forti, morte e tombe nell ’ltalia settentrionale. Dati e problemi, in
“Archeologia Medievale”, VII, 1980, p. 32 e A.A. SETTIA, Forttficazioni
collettive nei villaggi medievali dell’alta Italia: ricetti, villeforti, recinti,
in B.S.B.S.,1976, p. 535.
Stanziamenti di epoca romana nella baraggia di Masserano, Quaderni del
Gruppo Archeologico Vercellese, n. 2, 1976.
A.A. SETTIA, Insediamenti abbandonati sulla collina torinese, in “Archeologia Medieva1e”, II, 1975, p. 237. M, CORTELAZZO ed altri, Un
approccio metodologico alla cultura materiale nei siti abbandonati della
collina torinese: il caso di Mombello, in B.S.B.S. 1979, p. 504. M.G.
ROVANO, Villaggi abbandonati nel Canavese. Note preliminari, in
B.S.B.S., 1983, p. 291.
AA. SETTIA, op. cit., 1975, p. 237; M.G. ROVANO, op, cit., 1983, p.
314, sugli effetti dell’unifieazior1e di territori contigui.
C. KLAPISCH-ZUBER, Villaggi abbandonati ed emigrazioni interne, in
“Storia d’Italia”, I, Torino 1973, p. 315, sul problema delle Wüstungen.
M. CORTELAZZO ed altri, op. cit., 1979, p. 506, acennano alla situazione
piemontese degli studi e della salvaguardia.
R. COMBA, Cultura materiale e storia sociale nello stadio delle dimore
rurali, in “Archeologia Medievale”, VII, 1980, p, 9.
Ibid., p. 17, rileva l’esigenza del “definitivo superamento dell’equivoca
nozione che in Italia ancora troppo spesso identifica la storia con la ricerca archivistico-documentaria e l’archeologia con lo scavo. Un terreno unificante d’incontro delle pur diverse attitudini dei singoli studiosi a utilizzare in modo corretto le fonti che meglio conoscono, è da tempo identificato nella storia della cultura materiale”.
Per il basso Vercellese sono da considerarsi pioneristìche le ricerche condotte da S. Borla per la ricostruzione del paesaggio agrario tardoantico: S.
BORLA, Trino dalla protostoria al medioevo. Le scoperte archeologiche.
La basilica di S. Michele in insula, Trino, 1982, p. 66. Per 1’a1to Vercellese
è tuttora di grande interesse per i possibili sviluppi: R. ORDANO, Alcune
notizie su Rado e il suo castrum, in “Bol1ettino Storico Vercellese”, 1979,
nn. 13-14.
Non è Stato ricordato il “receptum de Quarabiono” per la sua incerta
ubicazione. L. AVONTO, Andar per castelli. Da Vercelli a Biella tutto intorno,
Torino,1980, p. 141; si vedano inoltre M. VIGLIANO DAVICO, I ricetti del
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Piemonte, Torino, l979, p. 69 e di E. GIVONE, Problemi architettonici
della chiesa di Castelletto Monastero, tesi di laurea, Facoltà di lettere e
filosofia Università di Torino, 1968-69 che cita un documento dell‘abbazia di Cluny in cui è ricordato un “Carelle castri” che egli identifica con il
già citato “castellazzo”, situato in prossimità del cantone Garella (p. 6-9).
A.A. SETTIA, Castelli e strade nel Nord Italia in età comunale: sicurezza, popolamento, strategia, in B.S.B.S., 1979, p. 231.
G. CATALDI, Per una scienza del territorio. Studi e note, Firenze, 1977.
Ibid., pp. 114-125.
V. VIALE, Vercelli e il Vercellese nell’antichità, Vercelli, 1971: Albano e
Balocco, p. 52 (a Balocco sono attribuiti ritrovamenti assai più prossimi a
Formigliana). Ritrovarnentì a Greggio, certamente di epoca tardo romana,
vennero segnalati alcuni anni orsono e sono tuttora inediti. Balocco compare come sede plebana nell’elenco del secolo X pubblicato da G.
FERRARIS, La romanità e i primordi del cristianesimo nel Biellese, in “Il
Biellese e le sue massime glorie”, Biella, 1938, pp, 92-93.
F. COGNASSO, L’incastellamento nel Novarese, in “Storia di Novara”
[s.d.], pp, 124-126. Sì veda inoltre R. ORDANO, op. cit., 1979, p. 34, nota 38.
G. DONNA D’OLDENlCO, La fine delle honoranze feudali nell’economia
della Baraggia vercellese durante il Cinquecento, in “Aspetti sociali ed
economici del Vercellese durante il Cinquecento ed il Seicento”, Vercelli,
1971, p. 38, ricorda la presenza di insediamenti arimannici (“guarnigioni
di uomini liberi ai quali erano state assegnate in uso vaste estensioni di
terre senza la giurisdizione, come controprestazione - dice il Bognetti - e
come base economica di un servizio stabile localizzato”) documentabili in
Baraggia già prima del Mille, sulla sponda destra della Sesia, da Bornate
ad Arborio. Tali insediamenti sarebbero “localizzati con una certa regolarità lungo le rive dei fiumi, dando l’impressìone di un’ordinata dislocazione
degli stanziamenti”. Non è facile stabilire se nella logica degli insediamenti
si possa supporre un’influenza arimannica; essa sarebbe da escludere in
assenza di adeguate documentazioni e comunque da limitarsi ai casi in cui
siano presenti fonti scritte.
Stanziamenti di epoca romana [...], op. cit., 1976.
È in questo senso da indagare, per la massiccia presenza di materiali di
epoca romana reimpiegati nella costruzione, il caso dell’antica chiesa dei
S.S, Pietro e Paolo in regione monastero di Castelletto Cervo. Detti materiali (ara di granito, stele funeraria, laterizio con impronta di calzare ecc.)
possono derivare dalla spogliazione di insediamenti poco lontani, non essendo affatto accertata la presenza nel sito della chiesa di un contesto archeologico di epoca romana.
A tale proposito può essere utile l’nteressante contributo, però riguardante l’area
del basso Vercellese, di S. BORLA, Scoperto un piccolo centro romano
(Matascum ?) fra Trino e Morano Po, in “Bo11ettino Storico Vercellese”, nn.
20-21, 1983, p. l98. Anche nell’area del basso Vercellese è rilevabile la lo-
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calìzzazione dei centri romani lungo i corsi d’acqua. Molto spesso anche
qui l’incastellamento avviene con altra logica insediativa ed è sempre più
numerosa la casistica di centri romani preesistenti abbandonati.
Per Buronzo i primi documenti risalgono al X-X1 secolo, Villarboit è ricordato in documenti del XII. Di antiche origini probabilmente anche il
castello della Bastia, collegato al centro di Balocco (X-Xl secolo).
M.G. VIRGILI, I possessi dei conti di Biandrate nei secoli XI-XII, in
B.S.B.S., 1974, p. 633 e carta a p. 680.
A.A. SETTIA, Erme torri e barbari manieri, gusto antiquario ed evocazione romantica in due secoli di studio sui castelli medievali, in B.S.B.S.,
I97’7, p. 5, per un ampio e critico panorama sugli studi di castellologia
piemontese.
R. ORDANO, op. cit., 1979, accenna, per il castrum di Rado, ai problemi
di tutela anche archeologica di un’area di notevolissimo interesse e non
solo ristretta al perimetro della fortificazione. La tutela preventiva di simili preziose emergenze non e attualmente affrontabile con i mezzi legislativi ed economici disponibili. F. PANERO, Villaggi abbandonati e borghi nuovi nella regione doranea del territorio vercellese: il caso di Uliaco,
in “Studi Piemontesi“, VII, 1978, pp. 100-1l2.
A proposito degli attuali problemi dell’archeologia medievale piemontese
è interessante notare quanto ne scrive la Soprintendente ai Beni
Archeologici del Piemonte, nell’ambito della presentazione al primo dei
“Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte” (L.
MERCANDO, Torino, l982, p. X), in cui è rilevata la necessità di un ampliamento dell’orizzonte della ricerca archeologica medievale piemontese, dai finora privilegiati edifici a destinazione religiosa a tutte le altre
strutture coeve, castelli e insediamenti rurali, presenti sul territorio.
F. CENISIO, I castelli del Vercellese, Vercelli, l957, p. 55.
M.G. VIRGILI, op. cit., 1974, p. 633.
L. BRUZZA, Iscrizioni Antiche Vercellesi, Roma, 1874, p. LXXXVI.
D. OLIVIERI, Dizionario di toponomastica piemontese, Brescia, 1965, p. 222.
A questo proposito sembrerebbe interessante rilevare come nel documento
DXCIX, edito da D. ARNOLDI e F. GABOTTO, Le carte dell’Archivio
Capitolare di Vercelli, II, Pìnerolo, 1914, p. 362, della fine del XII secolo,
si nomini un bioto (p. 365), conduttore di terre presso la curia di
Formigliana: “[ ...] dicit quot sunt bioti tenentque ad curiam fermegnane [ ...]”.
La presenza di questo nome personale (o soprannome) in territorio prossimo a Formigliana, potrebbe far risalire l’etimo di Villarboit da “Villarbloti”, dove “villar” ha signifìcato di luogo o villa e “bloti”, nome personale successivamente evoluto in “boit”, di proprietà o uso del fondo da
parte di un “bioto”. Sempre a Nord di Vercelli è inoltre testimoniato il
toponimo “blot”, riunito in Caresanablot, forse indicativo di altre terre tenute da tale “bioto”. Intorno a tale argomento ho avuto una interessante
discussione ed alcuni preziosi consigli da L. Avonto, che qui doverosamente
ringrazio.
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M.G. VIRGILI, op. cit., p. 635 e sgg.
G. DEAMBROGIO, I Biandrate Longobardorurn Natione, in Bollettino
Storico per la Provincia di Novara, 1970, n. 2, p. 33.
L. AVONTO, op. cit., 1980, p. 369, riassume i più recenti dati critici intorno a tali documenti.
F. GUASC0 DI BISIO, Dizionario feudale degli antichi Stati Sardi,
Pinerolo, 1910, vol, 11: “Monformoso e Cascine S. Marco”.
A.A. SETTIA, Strade romane e antiche pievi fra Tanaro e Po, in B.S.B.S.,
1970, p. 95, nota 658.
F. GUASCO DI BlSI0,op. cit., IV “Vil1arboit (Monformoso e Busonengo)”.
La stessa notizia è riportata da F. CENISIO, op. cit. Sulla politica di espansione e consolidamento territoriale del Comune di Vercelli si veda, per
un’aggiornata introduzione storica: R. ORDANO, Storia di Vercelli, S.
Giovanni in Persiceto, 1982, p. 92 e p. 113.
F. CENISIO, op. cit., p. 56. Si veda inoltre la nota 79.
Atto di dedizione (e successive conferme) dei consignori di Buronzo e
Monformoso al ducato di Savoia per il feudo di Monformoso (1373), conservato in copia pergamenacea alquanto tarda (sec. XVI) presso l’Archivio di Stato di Vercelli. (M. CASSETTI, L’archivio dei conti Buronzo di
Asigliano, in “Bollettino Storico Vercellese”, n. 2, 1973, p. 94). Sul
colonnellato dei Delle Donne di Buronzo è interessante lo scritto di M.
DEL SIGNORE, Ricerche storico giuridiche sul feudo e sul consortile di
Buronzo, in “Bo11ettino Storico Vercellese”, n. 10, 1977, p. 71 e segg. Per
l’aiuto ed i preziosi consigli nella consultazione di molti documenti, indispensabili alla storia del territorio di Monforrnoso, devo ringraziare il dottor
M. Cassetti, Direttore dell‘Archivìo di Stato di Vercelli, ed il personale di
detto Archivio.
F. G U A S C O D 1 B I S I O , o p . c i t . , I V: “ Vi l l a r b o i t ( M o n f o r r n o s o e
Busonengo)”.
Di tale acquisto si ha traccia in “Inventario delle scritture dell’ill.ma Famiglia Langosco Stropiana fatto d’ordine dell’il1.mo Signor Conte
Gioachino Ignazio Langosco Stropiana di Vercelli, nell’anno 1741 “, rubrica intitolata “Faciotto”, f. 29 r. e 29 v., in Archivio del barone Giovanni Donna d’Oldenico, presso gli eredi in Torino: “1578, 24 maggio, Vendita de’ beni di Monformoso e S. Marco fatta dal Sig. Cristoforo Faciotto a
favore del Signor Conte e Gran Cancelliere Gio. Tomaso Langosco
Stropiana per il prezzo di scuti ottocentonovantaquattro d’oro di Genova e
fiorini tre”.
Devo tale preziosa notizia alla cortesia di L. Avonto, che ebbe dal barone
Donna d’Oldenico copia dell’inventario. Per questo e per la nota che segue lo ringrazio. “In un atto del 30 gennaio 1606 (al f, 29 v) il suddetto
Cristoforo Faciotto viene ricordato come Sig. Cristoforo Faciotto de’Gentiluomini di
Arboro (il Faciotto faceva dunque parte dei nobili del Consortiie di Arboro). Dagli atti
citati risulta, dunque, che il Gran Cancelliere Langosco aveva acquisito diritti signo-
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rili su Monformoso e S. Marco in seguito ad acquisti di beni che fino al
1578 erano appartenuti al nobile Cristoforo Faciotto del Consortile di
Arborio. Si trattava evidentemente delle quote parti di Monfomoso e S.
Marco spettanti al Faciotto; non è da escludere, pero, che il Gran Cancelliere Langosco avesse acquistato anche quote parti di Monformoso e S.
Marco da altri signori locali, tanto più che nello stesso anno 1578 risultano presenti in Monformoso anche i Comerro (nella persona del nobile Paolo), famiglia che, come i Faciotto, faceva parte del consortile di Arborio.”
(L.A.).
Opere d’artee a Vercelli e nella sua Provincia. Recuperi e restauri I968l976, Vercelli, 1976, pp.l3-14, fg.a p. 59. lvi G. Romano lamentava la totale assenza di notizie storiche e rilevava il riferimento ad una peste nell’iscrizione pertinente all’affresco. Purtroppo gli affreschi in questione
vengono cosi (“Affreschi della antica parrocchiale di Villarboit, frazione
S. Marco”) identificati con il luogo di Villarboit, con evidenti rischi di
fraintendimento e di confusione, del resto dovuti alle incertezze storiche,
soprattutto nei riguardi del problema di attribuzione dell ’arrna di cui sopra s’è detto. Tale arma potrebbe attualmente essere assegnata ad una delle famiglie che ebbero giurisdizione su Monformoso e S. Marco nel XVI
secolo, fors’anche ai di Monformoso, ramo Avogadro, o ai Delle Donne di
Buronzo. Potrebbe pertanto risultare di un certo interesse una più approfondita ricerca sulle fonti riguardanti Monformoso per meglio chiarire
l’estensione territoriale del feudo e delle sue pertinenze, il cui accorpamento
ai territori passati al Langosco ne ha col tempo provocato la confusione
con le pertinenze ed i territori un tempo spettanti a Villarboit.
Archivio di Stato di Vercelli. Archivio Buronzo di Asigliano, scatola 142:
“l2 giugno 1561, giuramento di fedeltà promesso per il Sig. Antonio fu
Signore Bonifacio Delle Donne di Buronzo per il feudo di Monformoso
all’ill.mo Duca di Savoia Emanuele Filiberto in persona di (noi) Pugliano,
dellegato a ciò a nome e come procuratore Suo [ ...] stando qui pure inserto l’instrumento 19 febbraio 1373 per cui i Consignori detti di Buronzo si
sono donati o sia posti sotto la protezione della Casa di Savoia per sottrarsi al tirannico dominio di Galeazzo Visconti Duca di Milano”.
Opera Pia Barolo, Archivio Storico delle famiglia Folletti di Barolo. Torino. (Per la consultazione di questo ed altri documenti, fonti preziose per la
storia dei luoghi di Monformoso e Villarboit, presenti in detto archivio,
ringrazio, per la grande cortesia e disponibilità, l’architetto Paolo Galli,
conservatore dell’archivio Barolo). 25 maggio 1561, in Vercelli. Emanuele Filiberto duca di Savoia infeuda a Giovanni Tomaso Langosco, conte di
Stroppiana “Valerboyti domino”, il “castrum, villam, territorium et
districtum Montisformosi”, avendo esercitato diritto di riscatto con atto 2
maggio l56l (in Vercelli, vicinia di S. Maria Maggiore) mediante la restituzione del prezzo alla “Domina Anna”, moglie del Signor Giovanni Antonio di Rovasenda, che ne aveva avuto giurisdizione dal duca Carlo II.
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F. D. VIGLIANO, Antiche famiglie vercellesi, Vercelli, l96l , p. 14. i
G. C. FACCIO - M. RANNO, I Biscioni, vol. I, 1934, XXII, 20 agosto
1289, p. 79. A p. 81: “Ardicio de Monformoso”.
G. C. FACCIO - M. RANNO, I Biscioni, vol. II, 1939, CXCVII. 18-30
settembre 1311, p. 37, “Ardicio de Monteformosso”.
F. PANERO, Due borghi franchi padani, Vercelli, 1979, p. 71, propende per
attribuire in genere ai toponimici valore di “testimonianza della località di provenienza se non de11‘individuo citato, certo dei suoi antenati”.
Le comunità di Viverone e di Roppolo nei secoli XIII – XI, catalogo della mostra a cura di M. CASSETTI e G. GIORDANO, Vercelli, 1983, p. 19, n. 24.
Ibid., p. 20, n. 25.
C. DIONISOTTI, Memorie storiche della città di Vercelli, Biella, 1864, p.
252.
Ibid., p. 256.
F. CENISIO, op. cit., p. 57; R. ORDANO, op. cit ., 1982, p. 209; C.
DIONISOTTI, op. cit., p. 256.
C. DIONISOTTI, op. cit., p. 257.
M. VIGLIANO DAVICO, I ricetti del Piemonte, Torino, 1979.
R. COMBA, Vicende demografiche in Piemonte nell’ultimo medioevo, in
B.S.B.S., I, 1977, p. 39: “Distribuzione dei fuochi della castellania di
Santhià nel 1379 per località e categoria”, tav. III, p. 59, Monformoso e
Villarboìt. “Ammontare del numero dei fuochi dei dintorni di Santhià nel
1379 e nel 1432 e del numero delle bocche nel 1571", tav. XVIII p. 119,
Mouformoso e Villarboit. Monformoso: fuochi nel 1379 n. 11, nel 1432 n.
21. Villarboit: fuochi nel 1379 n. 22, nel 1432 n. 12 (Candelo: fuochi nel
1379 n. 75, nel 1432 n. 140). Nel 1379 i fuochi presenti a Monformoso
sono così suddivisi: 6 non nobili e 5 nobili.
F. CENISIO, op. cit., p. 56 afferma: “In seguito alle lotte tra Ghibellini e
Guelfi, Villarboit andò distrutto verso il 1400 per mezzo delle truppe di
Facino Cane, la furia devastatrice assoldata ai Ghibellini milanesi che ridusse in rovina e in miseria buona parte del Vercellese. ll luogo orribilmente devastato, rimase disabitato fino al 1409 e per oltre un secolo languì nella più nera miseria”. In realtà la popolazione di Villarboit risulterebbe dimezzata, fors’anche a favore del centro contermine. Sì veda inoltre R. ORDANO, Castelli, torri e antiche fortificazioni dei Vercellese,
Vercelli, m.s. presso la Biblioteca Civica, 1966, “Villarboit, castello”.
R. COMBA, op. cit., 1977, p. 51.
“Pianta del finaggio di Monfomoso”, 1710, presso Archivio di Stato di
Vercelli, Intendenza di Vercelli - serie I - disegni.
F. CENISIO, op. cit., p. 56.
Ibid., p. 57.
Ibid., p. 56: “Villarboit che con Monformoso e Busonengo (le due frazioni
insieme a Cascine S. Marco facevano parte del territorio di Villarboit) fu
venduto 1’11 marzo 1170 [ ...].” Tale affermazione pare dubbia.
L’esistenza di due rami distinti dei Biandrate aventi il predicato “di Monfor-
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moso” e “di Villarboit” sembra non confermare l’unità territoriale dei due
luoghi.
F. GUASC0 DI BISIO, op. cit., vol. V, p. 164.
F. GUASC0 DI BISIO, op. cit., vol. IV, p, 255.
Ibid., p. 745.
Vedi note 36 e 40.
L. AVONTO, op. cit., p. 148.
1561, 2 maggio, Archivio Storico della famiglia Folletti di Barolo, Opera Pia
Barolo, Torino.
Dovrebbe trattarsi di Carlo II (1486-1553), duca dal 1504. Atto 1545, 30 novembre.
Nella loro quasi totalità, in quanto ancora nel 1601 sono documentati nobili
locali abitanti i castelli di Monformoso e Villarboit, soggetti alla giurisdizione
del Langosco. A Villarboit sono presenti i Raimondi e i de Constanti (si vedano
le note 77 e 79).
1561, 25 maggio, Archivio storico della famiglia Folletti di Barolo,Opera Pia
Barolo, Torino. ivi è ricordato pure l’atto del 1545, 30 novembre, citato alla
nota 67.
Vedi nota 63.
Vedi nota 38.
M. RUGGIERO, Storia del Piemonte, Torino, 1979, p. 327; C. DIONISOTTI,
Studi di storia patria sabalpina, Torino, 1896, p. 195; roggia Formigliana.
F. CENISIO, op. cit., p. 57.
Vedi nota 56. La pianta riporta inoltre la “quantità e qualità delle giornate”. Risultano coltivate a riso 400 giornate con un reddito complessivo
pari 21 più della metà del reddito lordo annuo totale del fondo di
Monformoso, di giornate 2929. R. ORSENIGO, Vercelli Sacra, Como, 1909,
p. 180, riporta 1’atto di investitura concessa in data 21 giugno l566 dal
vicario generale del card. vescovo Ferrero al nob. Giov. Tomaso Langosco
dei conti di Stroppiana: “[...] cumque sit quod ipse lllustris D, magnus
cancellarius cum maxima impensa, ascendente ultra sex mille aureos,
rcstauraverit domos et aedificia et alia nova fabricaverit et praedìa quasi
in totum zerbida et boschiva deduverit ad culturarn et perceptionem
fructuum, propter quod locus ipse alias fere derelictus mediante opera et
industria et impensa ipsius illustris magni cancellarii repleatur hominibus
et habitantibus, quod si deffecisset praedia ad extreman sterilitatem fuissent
reducta et aedificia essent in totum collapsa et prorsus derelicta habitatio
ipsius loci [...]”, dal quale appaiono chiaramente le condizioni del centro
di Villarboit e dell’agricoltura locale ed i massicci interventi economici
operati dal Langosco per la ricostruzione e la messa a coltura dei terreni.
R. ORDANO, op. cit., I966 (Villarboit, castello), data la torre ad epoca
anteriore al XIV secolo (la cui sommità, loggiata, Sarebbe assai più recente), al XIV o al principio del XV secolo risalirebbe invece parte del muro
esterno settentrionale, che lascia intravvedere i merli bifidi.
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R. ORSENIGO, op. cit. , p. 181, cita gli atti della visita pastorale di mons.
Broglia: “eodem die sabb. 5 junii 1666 visitavit oratorium sub titulo B. M.
V. Assutnptae in castro Montis formosi in quo celebratur tantum aliquandiu
per R. Parochum Vallarboit, quia ecclesia parrocchialis longe inter nemora
vetustate collapsa, clìruta et omnibus destituta, locus vero omnimo
derelictus et fere adsunt 20 habitatores; ita ut sacramenta omnia recipiant
a paroco Villarboiti. Ideo videtur unienda”. L’ “Ecclesia S. Andreae de
Monteformoso” è inoltre riportata nell’elenco dei benefici ecclesiastici del
1440 (op. cit. p. 404), due secolipiù avanti essa è abbandonata ed in rovina, tanto che e officiato l‘oratorio nel castello di Monformoso, per i pochi
abitanti rimasti.
1601, 24 ottobre, Carlo Emanuele, duca di Savoia, investe Margherita e
Ludovica, figlie del Langosco, dei luoghi di Villarboit e Monformoso.
Documento conservato presso l’Archivio storico della famiglia Falletti
Barolo, Opera Pia Barolo, Torino. Presso il medesimo archivio è pure conservato un foglio a stampa dal titolo “Arbore de descendenti dal fu Ill.mo
et Ecc.mo Signor Gran Cancelliere Stroppiana”, dal quale apprendiamo
l’aver avuto il Langosco due mogli: dalla prirna, Delia, ebbe una figlia,
Beatrice; dalla seconda, Antonia, il primogenito Carlo Emanuele, morto
dopo il padre senza ñgli, Margherita, moglie del Sig. Bernardino Parapaglia,
e Ludovica, moglie di Lorenzo di Vische. Ivi è inoltre conservata copia
(mazzo 47 n. 14) dì istituzione dì primogenitura da parte del Langosco a
favore del figlio Carlo Emanuele, ed in difetto “voglio che abbi a succedere, et succeda nella predetta primogenitura e beni, quella deile mie tre figlie [...] si troverà avere un figlio maschio di legittimo matrimonio”. Da
questi documenti si ha indizio inoltre di una lunga contesa legale fra i
molti pretendenti alla primogenitura. Non è infine chiaro per quali ragioni
Beatrice, figlia della prima moglie del Langosco, Delia, fosse esclusa
dall’atto del 1601.
Vedere nota 74. L’accenno a “case rovinate” ancora nel 1601 nel luogo di
Villarboit non è certo sia riferibile alle distruzioni presenti già alla fine
del XVI secolo o a nuove devastazioni patite dal borgo. È inoltre possibile
che il recupero del patrimonio edilizio iniziato dal Langosco non fosse del
tutto completato.
F. DI VIGLIANO, op. cit., p. 16, “Raymondi”. Dei “De Constantii” non si ha
traccia. G. DEAMBROGIO, Nobili Castellani e nobili rurali di Arborio, in “Aspetti
sociali ed economici del Vercellese durante il Cinquecento ed il Seicento”, Vercelli,
1971, p. 22, pone la questione dei “nobili di castel1o” e dei “nobili rurali”,
di cui è forse possibile trovare traccia anche in Monformoso e a Villarboit,
in qualche modo, come abbiamo visto, legati ai consortile di Arborio. I
due tipi di nobiltà son ben documentati e legati, sembra, ad origini
arimanniche (vedi nota 15), testimoniate, per Arborio, anche da fonti scritte.
La presenza dei nobili “del castello” a Monformoso, ancora nel secolo XVII, è
senza dubbio possibile se si tien conto delle consuetudini giuridiche rilevate dal
Deambrogio (a p. 15) nel testo della lite del 1642 per il pagamento del focaggio.
Pertanto apparirebbe da approfondire la conoscenza di questa particolare for-
( 80 )
( 81 )
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( 89 )
ma di diritto feudale, che si riscontrerebbe non solo ad Arborìo, ma anche
in territori limitrofi interessati dalla presenza del consortile.
Vedi nota 56.
“Sito del castello”: giornate 2,80, corrispondenti a poco più di diecimila
mq. A. A. SETTIA, La struttura materiale del castello nei secoli X e XI.
Elementi di morfologia castellano nelle fonti scritte dell ’Italia settentrionale, in B.S.B.S., 1979, p. 361, prende in esame le superfici dei castelli
proponendo, per quel periodo, una classificazione nella quale Monformoso
sarebbe da collocare fra i castrum di media ampiezza.
A. MANNO, Dizionario feudale degli antichi Stati della monarchia di
Savoia, Firenze, 1895, p. 168.
S. PUGLIESE, Due secoli di vita agricola, Torino 1908, p. S6. Nel 1701
sono registrate a Monformoso n. 22 famiglie, a Villarboit n. 72.
Archivio di Stato di Vercelli, Insinuazione di Vercelli, vol. 429, p. 307:
“Conto di Domenico Stasia esattore della Comunità di Monformoso nell’anno 1759".
Archivio di Stato di Vercelli, Archivio Arborio Mello, serie disegni, 14:
“Il Rivo Druma nei pressi di Monformoso”. G. DONNA D’OLDEN1CO,
Oldenico ed altre terre vercellesi tra il Cervo e il Sesia, Torino, 1967, p.
184, pubblica una “Carta geografica di parte delle provincie di Vercelli,
Novara e Biella” del 1776; in essa Monformoso è indicato ancora con simbolo grafico di maggiore rilevanza nei con fronti cli quello usato per
Villarboit. Ciò si spiegherebbe con il permanere della vecchia denominazione del distretto con il toponimo di Monforrnoso.
Archivio di Stato di Vercelli, Tribunale di Vercelli. Verbali diversi, 271:
“Mappa territoriale di Villarboit” (1859).
R. ORDANO, op. cit., 1966 (Villarboit, castello). Archivio storico della
famiglio Falletti di Barolo, Opera Pia Barolo, Torino. Foglio a stampa, 8
Febbraio 1867, “Opera Pia Barolo. Avviso d’asta per vendita volontaria
del tenimento unito di Villarboit, Monformoso, San Marco e Busonengo,
nel territorio di Villarboit (Mandarnento di Arboro [...])”.
Appare interessante per la comprensione della situazione del patrimonio
edilizio in eccedenza a Monformoso la consultazione dei “Bilanci di
Villarboit e Busonengo”, le cui raccolte si trovano presso l’Archivio storico della famiglia Falletti di Barolo, Opera Pia Barolo, Torino. Nel bilancio per 1’esercizio 1830- 1831 ad es. si legge: “si esiggerà quanto prima
da chi ne ha assunta l’impresa la completa demolizione di tutti gli avanzi e
fondamenta della cascina atterrata a Monformoso, e si trasporteranno tutti
i materiali di detta demolizione [...] e quindi si spianerà il sito vacuo [...]”
(mazzo 66 n. 1). Le demolizioni di edifici rustici in eccedenza dovettero
essere di notevole entità a Monformoso fin dal XVIII secolo, se si tien
conto del fatto che in antico il sito della parrocchiale e quello del castello,
lungo la vecchia strada tendente alla Bastia, furono probabilmente uniti da
costruzioni.
I dati raccolti sul terreno ed i documenti topograñci reperiti hanno permesso di
69
approntare alcune schede di carattere specificatamente archeologico o comunque
riguardanti le caratteristiche e la morfologia dei siti ritenuti di maggior interesse;
esse saranno presentate in un prossimo intervento.
70
Da: BSBS, anno LXXXIII 1985, primo semestre, p. 325
NOTIZIE DI STORIA SUBALPINA
G. Sommo, Il «castrum» e la e «villa» di Monformoso: un’evidenza
di superficie e un caso di abbandono nell’alto Vercellese, « Bollettino storico vercellese», 22-23 (1984), pp. 47-70, ill. - Il territorio di
Monformoso è oggi spezzato in due dal corso del canale Cavour:
l’abbandono «tardo, progressivo e parziale» della località ebbe come
causa, e nello stesso tempo come conseguenza, la sua fagocitazione
da parte del vicino Villatboit. Studio puntuale e bene informato, condotto con attenta analisi sul terreno e approfondito esame delle fonti
scritte, mostra un’attenzione e una sensibilità nuove verso temi sinora
troppo trascurati, mentre sono fra quelli più indicati per la ricerca
locale; c’è quindi da augurarsi che la tendenza si diffonda mantenendo - come avviene in questo caso - il dovuto collegamento con lo
sviluppo generale degli studi. Cogliamo l’occasione per chiarire che
la nostra presa di posizione contro le « logiche di confine e di strada
nell’ubicazione di luoghi fortificati medievali » (con riferimento a
questo « Bollettino», LXXVII,1979, pp. 232-260) non intendeva affatto escludere una relazione fra i castelli e la loro situazione
topografica e le caratteristiche orografiche dei terreni da essi occupati » (p. 48), che è anzi indispensabile considerare, a patto s’intende di
non ricadere nel vecchio determinismo geografico. L’esempio del
territorio di Trino ci pare poi inadatto a provare una «sostanziale continuità di occupazione del territorio» dall’età romana in poi, poiché
gli scavi ivi condotti hanno semmai mostrato un’interruzione degli
insediamenti. Buona, per contro, e degna di approfondimento ci pare
la proposta (anche troppo timidamente avanzata alla nota 27) di mettere in relazione il boit di Villarboit e il blot di Caresanablot con un
Biotus ivi attestato nel secolo XII.
Aldo A. Settia
Estratto da: «Archeologia uomo territorio» n. 4 - 1985, pagg. 77-108
IL «CASTRUM» E «VILLA»
DI MONFORMOSO: UN CASO DI
ABBANDONO E DI
TRASFORMAZIONE DI UN SITO
FORTIFICATO RURALE
NELL’ALTO VERCELLESE
di Giovanni Sommo (Gruppo Archeologico Vercellese).
L’antico sito di Monformoso, oggetto di una serie di ricognizioni compiute negli ultimi anni dal Gruppo Archeologico Vercellese, propone un interessante caso di abbandono e di trasformazione di un centro fortificato rurale
nell’alto Vercellese, stimolando alcune considerazioni sulla logica di localizzazione di un gruppo di insediamenti, probabilmente coevi, nella quale esso si
inserirebbe.
L’assoluta carenza di notizie storiche ha reso necessario l’approntamento di
una scheda riguardante le vicende del luogo che, ormai dimenticato dagli studi anche
per l’avvenuta spogliazione dei ruderi del castello, è stato recentemente definito di
ubicazione incerta l .
Dell’abbondante materiale documentario reperito si è dato in questa sede solo
un breve sommario per un inquadramento generale, lasciando spazio ai dati di superficie e rimandando ad altre sedi ed occasioni 2 una più esauriente trattazione dell’argomento sotto il profilo storico locale.
Nei pressi della confluenza del torrente Cervo nella Sesia, si eleva dalla pianura un modesto “gradino” prodotto dall’erosione; esso si spinge con direzione nordovest sino alle radici delle colline intersecato da numerosi corsi d’acqua
minori, affluenti di sinistra del torrente Cervo. Nei pressi dei luoghi in cui i
1
M.G. VIRGILI, “I possessi dei conti di Biandrate nei secoli XI-XIV”, in Bollettino Storico Bibliografico
Subalpino, 1974, p. 633 e carta a p. 680.
2
La zona di Monformoso sarà oggetto di più approfondite ricerche documentarie che, dopo la segnalazione dell’interesse archeologico del sito alla competente Soprintendenza, potranno forse proseguire
nell’ambito di un più complesso programma di interventi. Una maggiore dovizia nell’apparato critico e
nella documentazione archivistica si è tentato di fornire in G. SOMMO, “Il castrum e villa di Monformoso:
un’evidenza di superficie ed un caso di abbandono nell’alto Vercellese”, in Bollettino Storico Vercellese,
1984, n. 22-23, in stampa.
77
corsi d’acqua predetti hanno tagliato il margine del terrazzamento, sui promontori, si osserva un gruppo di insediamenti fortificati medievali aventi
comune logica di localizzazione (Villarboit, Monformoso, Bastia, Buronzo,
il “castellazzo” ed il monastero di Castelletto Cervo, il castello di
Castelletto Cervo, fig. 2).
L’analisi dei dati topografici riguardanti i ritrovamenti di epoca romana nella stessa zona, permette di collocare tali dati in una logica assai
diversa dalla precedente, legata al corso dei torrenti 3 , mentre sono assolutamente assenti, nei pressi dei luoghi fortificati di cui si è fatto cenno,
tracce di insediamenti di epoca romana o tardo antica, rilevabili in sito o
desumibili dai toponimi (fig. 2).
Partendo dunque da tale constatazione si è ipotizzata la presenza di
due ben distinte logiche insediative, l’una di epoca romana o tardo antica,
l’altra medievale, assai ben leggibili come forme tipiche di occupazione
del territorio e rispondenti a necessità e condizioni assai diverse fra di
loro 4 .
Logiche “di valle” e logiche “di promontorio” 5 sarebbero in questo
caso nettamente distinguibili nel palinsesto delle tracce di antropizzazione
della zona presa in esame, proponendo (data la rilevata spogliazione di un
notevole numero di piccoli insediamenti romani e tardo antichi ubicati
lungo i corsi d’acqua) l’ipotesi secondo la quale l’origine degli
incastellamenti, situati sui promontori e databili tutti ai secoli X-XII, deriverebbe dall’abbandono di detti insediamenti antichi che ne costituirebbero anche le naturali matrici etniche 6 .
La sovrapposizione delle due logiche, rilevata ad esempio nel caso della sede
3
V. VIALE, “Vercelli e il Vercellese nell’antichità”, Vercelli, 1971, p. 52, Albano e Balocco, ivi sono
attribuiti a Balocco ritrovamenti assai prossimi a Formigliana.
Ritrovamenti a Greggio, certamente di epoca romana e tardo antica, furono segnalati alcuni anni orsono
e tuttora inediti. G. FERRARIS, “La romanità e iprimordi del cristianesimo nel Biellese”, in “Il Biellese
e le sue massime glorie”, Biella, 1938, pp. 92-93, riporta l’elenco delle pievi del secolo X fra le quali è
quella di Balocco.
4
Nonostante i dubbi avanzati circa “logiche di confine” o “di strada” nell’ubicazione di luoghi fortificati (A.A. SETTIA, “Castelli e strade nel Nord Italia in età comunale: sicurezza, popolamento, strategia”,
in Bollettino Storico Bibliografico Subalpino, 1979, p. 231) si deve prendere atto, nel nostro caso, di
una indubbia comune logica di localizzazione per i siti medievali esaminati. E’ altrettanto evidente
l’assenza di precedenti insediamenti in quei siti, almeno allo stato attuale delle ricerche, essendo i
ritrovamenti di epoca romana distribuiti lungo i corsi d’acqua, in zone basse, con una logica assai
diversa.
5
G. CATALDI, “Per una scienza del territorio. Studi e note”, Firenze, 1977, p. 114 e p. 125.
6
Da indagare il caso della massiccia presenza, presso il monastero e chiesa dei S.S. Pietro e Paolo di
Castelletto Cervo, di materiali di spoglio di epoca romana reimpiegati nella costruzione. Non essendo
affatto accertata l’esistenza in sito di uno strato di epoca romana, contestuale al momento o ad un più
antico insediamento, è assai probabile che la provenienza di tali materiali lapidei e laterizi debba essere
ricercata nell’avvenuta spogliazione di insediamenti e necropoli tardo antiche e di epoca romana, situati
a non molta distanza.
A questo proposito si veda “Stanziamenti di epoca romana nella Baraggia di Masserano Quaderni del
Gruppo Archeologico Vercellese, n. 2, 1976, dove sono descritti alcuni siti di epoca romana prossimi a
Castelletto.
78
Fig. 1 - Inquadramento topografico.
Fig. 2 - Sull’andamento schematico dei rilievi è stato sovrapposto, nella stessa scala, il castello di
Monformoso, così come è rappresentato nella carta del 1859.
79
plebana di Balocco, alla quale sembra affiancarsi già in antico il castello,
e per alcuni altri siti lungo il corso della Sesia, potrebbe essere spiegata,
oltrechè con la assolutamente non generalizzabile aderenza dell’ipotesi
ad altri contesti, con il permanere di interessi economici e politici che
resero possibile la sopravvivenza di alcuni centri antichi in epoca medievale.
Monformoso, castrum rurale la cui origine appare organicamente
inseribile in quell’omogenea fase di incastellamento di alcuni dei promontori situati lungo il “gradino” poc’anzi ricordato, presenta in tale quadro
un notevole interesse per il suo graduale abbandono, la sua trasformazione, la sua definitiva e tarda spogliazione. Per le stesse attuali condizioni
di esplorabilità dei terreni, un tempo occupati dal castrum e dalla villa,
sarebbero infatti facilmente programmabili interventi di ricerca tendenti
al recupero delle fasi costruttive ed urbanistiche del sito, configurantesi
come micro campione per lo studio della cultura materiale e del paesaggio agrario nell’alto Vercellese 7” .
Ancora nel 1814 il distretto, successivamente denominato “di
Villarboit”, conservava il nome di “Monformoso” 8. Tale fatto sottolinea
l’importanza che il luogo, oggi dimenticato, ebbe in antico, non già come
dipendenza di Villarboit, ma come centro di un piccolo territorio che, successivamente accorpato a Villarboit, non venne per lo più riconosciuto
come tale dagli studiosi del secolo scorso e del nostro.
L’avere poi Monformoso perduto, probabilmente verso la fine dell’Ottocento, ogni traccia del proprio castello, ha fatto si che di esso e dell’antico borgo non si occupassero i più recenti studi di castellologia. Ciò
è probabilmente avvenuto anche per le vicende amministrative del
tenimento, i cui archivi furono precocemente trasferiti a Torino presso la
famiglia Falletti di Barolo.
La totale scomparsa del toponimo dalla cartografia attuale, dove
una “Cascina Monformoso” è rilevabile solo in una tavoletta I.G.M., spiegherebbe inoltre come sia potuto accadere che il sito di Monformoso si
sia identificato con Formigliana 9 .
Ci si trova pertanto oggi a considerare le vicende del castello e del
borgo di Monformoso nell’ottica degli insediamenti abbandonati, fonti per
la cultura materiale, l’archeologia, la storia del paesaggio, il cui studio sistematico, almeno in Piemonte, conosce un tardivo allineamento alle già consolidate tra-
7
Si veda l’interessante intervento del Soprintendente ai Beni Archeologici del Piemonte L. MERCANDO
in “Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte”, n. 1, 1982, p. X.
8
F. CENISIO, “I castelli del Vercellese Vercelli”, 1957, p, 55.
9
M.G. VIRGILI, op. cit., 1974, p. 633.
80
dizioni europee 10.
Monformoso rientra, se di abbandono effettivamente è corretto parlare, fra i casi di abbandono tardo, progressivo e parziale 11, dovuto al
prevalere del contermine centro di Villarboit; esso suscita interessanti
spunti di riflessione sull’evoluzione del ruolo di un luogo fortificato nella
storia e nell’economia di una porzione della campagna vercellese e
ripropone il problema della migliore conoscenza e tutela di tali evidenze l2.
L’assemblaggio dei dati raccolti in vari anni sulla storia del luogo,
frutto di una ricerca affatto conclusa, ha senz’altro dimostrato, insieme
con i dati di superficie, la rilevanza di alcuni siti per futuri interventi di
tipo archeologico che si auspicano prossimi.
Secondo il Bruzza 13 , la “postura” ed il “prospetto” furono all’origine del nome della località, cosi come per Mongrandis, Monsregis,
Montaruco, mentre secondo l’Olivieri 14 , il toponimo deriverebbe da
formoso, nome personale. La forma del promontorio sul quale sorse il castello darebbe conforto all’ipotesi del Bruzza e, per quanto esposto nei
paragrafi precedenti, è pure di conforto l’opinione del Settia l5 che ritiene
i toponimi in mons indizio di località deserta in epoca romana.
Villarboit e Monformoso, secondo documenti del XII secolo, sarebbero stati fra i possessi dei Biandrate longobardorum natione l6 , ed un
ramo di tale famiglia avrebbe assunto il predicato “di Monformoso”17 .
A fornire indizio circa l’esistenza di un feudo a Monformoso e quindi di un
luogo fortificato in quel sito, è la presenza di un “Ardicio di Monformoso” fra
i firmatari della “carta sicut domini de Maxino investiti fuerunt per Co-
10
A.A. SETTIA, “Tra azienda agricola o fortezza: caseforti, motte e tombe nell`ltalia settentrionale.
Dati e problemi”, in “Archeologia Medievale”, VII, 1980, p. 32; A.A.
SETTIA, “lnsediamenti abbandonati sulla collina torinese”, in “Archeologia Medievale”, II, 1975,
p. 237; M. CORTELAZZO ed altri, “Un approccio metodologico alla cultura materiale nei siti abbandonati della collina torinese: il caso di Mombello” in Bollettino Storico Bibliografico Subalpino, 1979,
p. 504; M.G. ROVANO, “Villaggi abbandonati nel Canavese. Note preliminari”, in Bollettino Storico
Bibliografico Subalpino, 1983, p. 291.
11
A.A. SETTIA, op. cit. 1975, p. 237, M.G. ROVANO, op. cit., 1983, p. 314, sugli effetti
dell’unificazione di territori contigui.
12
F. PANERO, “Villaggi abbandonati e borghinuovi nella regione doranea del territorio vercellese: il
caso di Uliaco”, in “Studi Piemontesi”, VII, 1978, pp. 100-112; L. MERCANDO, op. cit. 1982, p. X.
13
L. BRUZZA, “Iscrizioni antiche vercellesi”, Roma, 1874, p. LXXXVI.
14
D. OLIVIERL “Dizionario di toponomastica piemontese”, Brescia, 1965, p. 222.
15
A.A. SETTIA, “Strade romane e antiche pievi fra Tanaro e Po”, in Bollettino Storico Bibliografico
Subalpino, 1979, p. 95, nota 658.
16
G. DEAMBROGIO, “I Biandrate longobardorum natione”, in “Bollettino Storico per la Provincia di
Novara”, 1970, n. 2, p. 33; L. AVONTO, “Andar per castelli. Da Vercelli a Biella tutto intorno”, Torino
1980, p. 141, riassume i dati critici più recenti intorno a tali documenti.
17
F. GUASCO Dl BISIO, “Dizionario feudale degli antichi stati sardi” Pinerolo, 1910, vol. II:
“Monformoso e Cascine S. Marco”.
81
mune Vercellarum de castro et villa Malioni”18 , documento del 1289, e
probabilmente dello stesso “Ardicio” fra i numerosi sottoscrittori della
“pax pronuntiata per Dominum Principem inter Tizonos et Advocatos
Vercellenses”, nel 1311, come rappresentante “de parte Advocatorum”19 .
Alcuni “di Monformoso” sono pure documentati in carte riguardanti
Viverone della prima metà del 1300 20 ed era inoltre in Vercelli la casata
dei “di Monformoso”, famiglia di parte guelfa estinta nel secolo XVI 21 .
La diffusione del toponimico, rilevata a partire dal secolo XIII, sarebbe dunque conferma indiretta dell’esistenza di un centro, probabilmente
fortificato, in Monformoso già nel 1200. L’inedito documento di dedizione ai Savoia dei Delle Donne di Buronzo, del 1561, riporta l’atto 19 Febbraio 1373 con il quale detti consignori di Buronzo e Monformoso, si affidarono alla protezione della casa di Savoia per sottrarsi al tirannico dominio di Galeazzo Visconti, duca di Milano 22 , in esso Monformoso è denominato villa insieme con Greggio e Villarboit. E’solamente nel testo
del documento di investitura del “castrum, villam, territorium et districtum
Montisformosi” a Tommaso Langosco, conte di Stroppiana, del 1561 23 ,
che abbiamo una sicura menzione della fortificazione del luogo. Appare
comunque assai probabile che, data l’assenza di documenti più antichi
che ne facciano specifico riferimento, tale fortificazione, forse assai rustica inizialmente, preesistesse di alcuni secoli almeno. È questo, del resto, uno dei problemi che solo l’approfondimento di ricerche archivistiche,
sia l’indagine archeologica, potranno forse chiarire.
Durante i periodi di frequenti lotte caratterizzanti la seconda metà
del XIV secolo, Monformoso e Villarboit, e con esse molte altre terre
contermini, subirono ripetute devastazioni 24 . Con la sottomissione ai Savoia del 1373, Monformoso ed altri feudi tenuti dai Buronzo, uno dei primi casati a porsi sotto la protezione del Duca, entrò a far parte della
Castellania di Santhià 25, i cui territori furono più volte interessati dalle
incursioni di Facino Cane 26 .
Fra il XIV ed il XV secolo, forse anche in dipendenza di tali avvenimenti, sorsero o si ripristinarono non pochi ricetti in molte località del
Vercellese 27 e da una sorta di ricetto, probabilmente circondato da un semplice fossato,
18
G.C. FACCIO - M. RANNO, “I Biscioni vol I, 1934, XXII, 20 agosto 1289, p. 81.
Ibid. vol. II, 1939, CXCVII, 18-30 settembre 1311, p. 37,
20
“Le comunità di Viverone e di Roppolo nei secoli XIV-XV”, catalogo della mostra a cura di M.
CASSETTI e G. GIOR DANO, Vercelli, 1983, p, 19, n. 24 e p. 20, n. 25.
21
F. DI VIGLIANO, “Antich.e famiglie verceliesi”, Vercelli, 1961, p. 14.
22
Archivio di Stato di Vercelli, Archivio Buronzo di Asigliano, scatola 142.
23
1561, 25 maggio, in Archivio storico della famiglia Falletti di Barolo, Opera Pia Barolo, Torino.
Per la consultazione di detto Archivio devo ringraziare, per la gentilezza e disponibilità,l’architetto
Paolo Galli, che ne è appassionato custode ed ordìnatore.
24
C. DIONlSOTTI, “Memorie storiche della città di Vercelli”, Biella, 1864, p. 252.
25
Ibìd. p. 256.
26
F, CENISIO, op. cit. p, 57.
27
M. VIGLIAN0 DAVICO, “I ricetti de1 Piemonte”, Torino 1979.
19
82
sembra essere affiancato anche il castello di Monformoso (fig. 3); in tal
senso almeno possono essere interpretati taluni dati di superficie.
Proprio fra il 1379 ed il 1432 inoltre, un notevole incremento
demografico a Monformoso, riscontrabile in tale misura fra i territori della Castellania solo a Candelo, sarebbe indizio di un qualche considerevole mutamento nel luogo delle condizioni di abitabilità e di sicurezza 28 .
A Villarboit gli stessi dati si presentano invece in proporzioni inverse, denunciando una gravissima crisi demografica dovuta senz’altro
alla tramandata distruzione del borgo 29. Per molti decenni dunque, la località di Monformoso ebbe effettivamente una maggiore importanza rispetto al vicino centro di Villarboit, notevolmente decaduto, ma le pestilenze che colpirono il Vercellese nel XV secolo e le cattive condizioni
del]’agricoltura non dovettero certo favorire un ulteriore sviluppo di tali
piccoli centri rurali. Successivamente la lunga crisi economica e politica
determinatasi in Piemonte nei primi decenni del 1500, che ridusse in pessimo stato le condizioni dell’agricoltura e del mercato, si fece sentire con
effetti certamente molto gravi sull’economia di comunità come quella di
Monformoso.
Emanuele Filiberto, reduce del trattato di Cateau-Cambrèsis (1559),
tornò nei propri stati con il gravoso compito della pressoché totale ricostruzione.
In attesa di rientrare a Torino, fu per breve periodo a Vercelli, dove
infeudò il Langosco con il già ricordato atto del 1561, dei diritti sul luogo
di Monformoso, essendo ivi il Cancelliere denominato “Valerboyti domino”, terra di cui era entrato in possesso fin dal 1556 per acquisto da un
Antonio di Rovasenda 30.
L’acquisizione di diritti e di possessi a Villarboit e Monformoso da
parte del Langosco, uomo che potè contare sull’alta considerazione in cui
fu tentuo dal Duca, unitamente alle richieste di dedurre canali irrigui dal
Cervo e dalla Sesia 31, lasciano intravvedere un preciso programma di
risanamento e di investimento economico nei riguardi dei territori posti
sotto il suo dominio. Le necessità di nuove e maggiori disponibilità d’acqua per le colture, farebbero inoltre pensare all’intenzione di introdurre o
sviluppare notevolmente in quei terreni la coltivazione del riso, che peraltro ritroviamo fiorentissima a Monformoso nel 1710 32.
28
R. COMBA, “Vicende demografiche in Piemonte r:eII’uItimo medioevo”, in Bollettino Storico
Bibliografico Subalpino, 1977, p. 39, tav. III, p. 59, tav. XVIII, p. 119.
29
F. CENISIO, op. cit. p, 56.
30
F. GUASC0 DI BISIO, op. cit., vol. IV, p. 745.
31
C. DIONISOTTI, “Studi di storia patria subalpina”, Torino, 1896, p. 195,
32
“Pianta del finaggio di Monformoso”, 1710, in Archivio di Stato di Vercelli, Intendenza di Vercelli,
serie I, disegni. Per la consultazione di questo ed altri documenti conservati in detto Archivio devo
ringraziare, per la sollecitudine e la competenza, il dottor Maurizio Cassetti, direttore dell’Archivio di
Stato di Vercelli, ed il personale dell’istituto.
83
Oltre alla reimpostazione di regolari e proficue pratiche agricole
nei feudi di sua spettanza, Tommaso Langosco intraprese la necessaria
opera di risanamento e ricostruzione del patrimonio edilizio; egli concentrò tuttavia le sue attenzioni sul centro e sul castello di Vìllarboit, probabilmente più adatto a ricevere un notevole incremento demografico e più
adatto certamente, per la favorevole disposizione nei riguardi delle vie di
comunicazione, a divenire il centro sociale ed economico del nuovo territorio.
Questa scelta, in cui dovette pesare anche il cessato ruolo difensivo
del castello, fu determinante per il futuro assetto del luogo di Monformoso.
Nel 1566 il Langosco, in grazia dell’opera di ricostruzione e di messa a
coltura dei terreni in Villarboit e Monfomioso, ricevette dalla Chiesa
vercellese l’investitura anche ecclesiastica per detti luoghi 33 , ed in tale
atto sono ben descritte le misere condizioni in cui versavano le comunità.
Se il castello di Villarboit, ricostruito, assunse le connotazioni di
una dimora rustica, a Monformoso le condizioni del patrimonio edilizio
dovettero progressivamente deteriorarsi parallelamente allo spopolamento
del luogo, via via ridotto ad un semplice grosso cascinale. Un secolo dopo
l’investitura prima citata, nel 1666, la visita pastorale di Mons.Broglia 34
riscontrava il totale abbandono della parrocchiale di Monforrnoso, già da
anni fatiscente, mentre risultava officiato per i pochi abitanti rimasti una ventina di anime - un oratorio dedicato alla B.M.V. Assunta, detto “in
castro” e quindi probabilmente situato all’interno del castello. Da quell’anno la parrocchia di Monforrnoso venne definitivamente accorpata alla
comunità di Villarboit.
Per tutto il XVIII secolo, fino alla seconda meta del XIX, alcune
documentazioni topografiche 35 attestano la sopravvivenza del castello di
Monformoso, anche se in gran parte diroccato (fig. 4).
Nel 1733 la proprietà dei tenimenti passò ai Falletti di Barolo che la tennero sino al 1867, anno in cui Monformoso e Villarboit vennero ceduti ai
33
R, ORSENIGO, “Vercelli sacra”, Como, 1909, p. 180, riporta l’atto in data 21 giugno 1566. La
spesa attribuita al Langosco e di “ultra sex mille aureos”.
34
Ibid. p. 181. Della chiesa di S. Andrea è pure traccia nell’elenco dei benefici ecclesiastici del 1440,
riportato dallo stesso autore a p. 404.
35
“Pianta del finaggio di Monformoso 1710, cit., “Il rivo Druma nei pressi di Monformoso”, 1770, in
Archivio di Stato di Vercelli, Archivio Arborio Mella, serie disegni, 14; “Mappa territoriele di Villorboit”,
in Archivio di Stato dì Vercelli, Tribunale di Vercelli, verbali diversi, 271, recante la data del 1859.
Della demolizione di edifici rustici in Monformoso per far spazio al coltivo è traccia nel “Bilanmcio per
l’esercizio 1830-31 “ conservato presso l’Archivio della famiglia Falletti di Barolo, Opera Pia Barolo,
Torino, mazzo 66, n. 1. La spogliazìone definitiva del castello appare invece posteriore al 1859; tale
edificio infatti, situato sul colle, sopravvisse per alcuni altri decenni in grazia delle robuste murature e
della poca rilevanza economica del terreno occupato. La notevole entità del patrimonio edilizio presente nel luogo di Monformoso in antico rese probabilmente necessario, in varie epoche fra XVI e XX
secolo, lo smantellamento degli edifici inutilizzabili dall’azienda agricola e particolarmente deteriorati
e vetusti che occupavano terreni potenzialmente coltivabili.
84
●
●
●
Fig. 3 - Parcellazione catastale attuale. I cerchi indicano i tre siti di interesse archeologico.
Solaroli 36 .
Il territorio del “finaggio” di Monformoso, cosi come appare al principio
del 1700, subisce un primo notevole sconvolgimento ad opera del tracciamento
del nuovo canale Cavour, che ne attraversò i fondi separando anche il sito del
36
A, MANNO, “Dizionario feudale degli antichi stati della monarchia di Savoia”, Firenze, 1895, p.
108; “‘Opera Pio Barolo. Avviso d’asta per vendita volontaria del tenimento unito di Villurboit,
Mortformoso, Son Marco e Busonengo, nel territorio di Villarboit”, foglio a stampa, 8 febbraio 1867,
presso l‘Archivio Storico della famiglia Falletti di Barolo, Opera Pia Barolo, Torino.
85
Fig. 4 - Sullo schema orografico della zona sono stati evidenziati con i quadratini i siti fortificati o le
tracce di siti fortificati, coni triangoli i ritrovamenti di epoca romana o tardoantica. Il cerchietto presso
Balocco indica la presenza della sede plebana, probabilmente incastellata.
86
castello dalla parrocchiale e cancellando, probabilmente, una parte del
borgo o ricetto 37 .
Fin verso la metà del XVIII secolo, comunque, la comunità di
Monformoso aveva conservato una certa rilevanza numerica espressa dalle riscossioni della “taglia” che la riguardano 38, nel 1701 infatti a
Monformoso erano stanziate ancora 22 famiglie, mentre a Villarboit se ne
contavano ben 72 39 .
Fu solo nel 1814, ancor prima che il canale dividesse fisicamente il
“finaggio”, che il distretto perdette il nome, fino ad allora conservato, di
“Monformoso”, per assumere la denominazione di “distretto di
Villarboit” 40 .
Nei primi decenni del nostro secolo, infine, la costruzione dell’autostrada Torino-Milano provocherà un ulteriore ferita all’antica unità territoriale, lambendo il sito della chiesa di S. Andrea e frazionando ulteriormente l’area che assume l’attuale stato, irriconoscibile rispetto alla
primitiva situazione.
La sopravvivenza del toponimo nell’ indicazione di un cascinale e
la ricchezza delle tradizioni locali 41 costituiscono i documenti delle molte
trasformazioni subite dal centro in circa quattro secoli.
Monformoso può ora offrire, nonostante ogni traccia dell’abitato e
del castello sia pressoché cancellata, molti interessanti spunti di ricerca
sulle vicende dei luogo, dal medioevo alla prima industrializzazione.
37
“Piano parcellario dei terreni da occuparsi alla costruzione del canale Cavour nel territorio di Villarboit”,
in Archivio di Stato di Vercelli, Sottoprefettura di Vercelli, 7,
38
“Conto di Domenico Stasia esattore della comunità di Monformoso nell’anno 1759" in Archivio di
Stato di Vercelli, Insinuazioni di Vercelli, vol. 429, p. 307.
39
S. PUGLIESE, “Duc secoli di vita agricola”, Torino, 1908, p, 56.
40
F. CENISIO, op. cit. p, 55.
41
Il toponimo di “Cascina M0nf0rmoso” è riportato in ISTITUTO GEOGRAFICO MILITARE, f. 43, II
N.O.
La presenza di tradizioni orali riguardanti l’antica parrocchiale di S. Andrea ed il castello, nonché di
antichi toponimi, sarà oggetto di una ricerca che il Gruppo intenderebbe programmare con lo scopo
di approfondire le conoscenze riguardanti il sito.
87
MONFORMOSO: LE EVIDENZE DI
SUPERFICIE DALLE RICOGNIZIONI
PRELIMINARI
.
di Ornella Ferreri - Giovanni Sommo
(Gruppo Archeologico Vercellese).
I SITI
L’area un tempo occupata dal “castrum” e “villa” di Monformoso dovette essere piuttosto ampia se si tiene conto del fatto che fra il sito denominato attualmente “Cascina Monformoso”, prossimo al castello, e quello identificato con i resti della chiesa di S. Andrea, corre una distanza di circa cinquecento metri.
È probabile che parte delle costruzioni a est del castello, tuttora esistenti, possano essere state fra quelle comprese in una propaggine dell’antico
abitato, del quale conserverebbero il nome. Di esse è comunque traccia in
una carta topografica 1 del 1770 che mostra l’esistenza di fabbricati e
cascine anche nella zona ad ovest dell’altura del castello. Lo sviluppo del
piccolo centro, se si analizzano dati di superficie, sopravvivenze e documenti topografici insieme, sembra essere avvenuto lungo l’asse viario
congiungente Villarboit alla Bastia, in parte ancora leggibile nella
cartografia catastale e militare odierna.
Tale percorso seguiva l’andamento della cosi detta “costera”, di cui l’altura di Monformoso fa parte, proseguendo verso Bastia, Buronzo e Castelletto.
Secondo tale ipotesi con ogni verosimilianza il centro abitato, nel periodo della sua massima consistenza, avrebbe avuto inizio con i predetti fabbricati ad est del castello attraversati dalla strada appena ricordata che qui diramava in direzione della frazione S. Marco. Essa proseguiva poi, dopo il guado
del rio Dongrosso, attraverso il luogo che pare conservi nella tradizione locale
il toponimo “porta”, affrontando una breve salita che dava accesso da una
parte al castello,dall’altra al supposto borgo o ricetto. Il castello, situato su di
1
“Il rivo Druma nei pressi di Monfornioso”, 1770, in Archivio di Stato di Vercelli, Archivio Arborio
Mella, serie disegni, 14.
89
un’altura terrazzata e circondata da fossato, è infatti separato dal borgo a
mezzo dell’infossatura della strada che traccia pure il limite meridionale
del medesimo, confinante ad Est con il ripido declivio che mette al rio
Dongrosso, ad Ovest con un non molto profondo fossato. In direzione Nord
tale fossato, supposta opera difensiva, proseguiva prima che si costruisse
il canale Cavour 2, delimitando un’area, pure circondata da sterri, anch’essa, con ogni probabilità, parte del borgo.
Passando attraverso queste aree, entrambe come sembra fortificate,
la strada si dirige tuttora, toccando il luogo in cui ancora oggi sorge un
cascinale e dove in antico erano altri fabbricati 3, verso la zona tradizionalmente indicata come il sito dell’antica parrocchiale di S. Andrea che
doveva segnare il limite settentrionale dell’abitato.
La parrocchiale apparirebbe attualmente alquando decentrata rispetto al luogo tuttora denominato “cascine Monformoso”, ma occorre ricordare che essa è stata separata dai terreni meridionali dal tracciato del canale Cavour.
Alcuni edifici colmavano probabilmente il vuoto ora esistente fra il
castello ed il sito della chiesa, essi possono essere stati atterrati parecchi
decenni prima che fosse progettato il canale se l’appunto inerente l’abbattimento di un cascinale, presente fra i bilanci della tenuta nel 1830-31 4,
ricordasse una pratica non eccezionale in Monformoso. Un’ulteriore deduzione può essere tratta di tale fatto per quanto attiene all ’estensione
dell’edificio abbattuto, senz’altro rimarchevole per meritare quella sorte
nell’ottica del recupero di terreni alla coltivazione.
Lasciando a futuri approfondimenti una meglio documentata analisi dello sviluppo urbanistico e delle trasformazioni subite dal centro, preme qui sottolineare l’esistenza di tre aree di probabile interesse archeologico: il castello, il borgo o ricetto, la chiesa parrocchiale di S. Andrea.
A - Sito del castello (Tav. 1)
L’ i d e n t i f i c a z i o n e d i q u e s t ‘ a r e a c o n i l s i t o d e l c a s t e l l o è
inequivocabilmente emersa dall’esame di materiale topografico della metà
del 1800 e del secolo precedente 5.
2
“Piano parcellario dei terreni da occuparsi alla costruzione del canale Cavour nel territorio di
Villarboit”, in Archivio di Stato di Vercelli, Sottoprefettura di Vercelli, 7.
3
“II rivo Druma nei pressi di Monformoso” cit.
4
“Bilancio per l’esercizio 1830-31”, in Archivio della famiglia Falletti di Barolo, Opera Pia Barolo,
Torino, mazzo 66, n. 1.
5
“Pianta dei finaggio di Monformoso”, 1710, in Archivio di Stato di Vercelli, Intendenza di Vercelli,
Serie I, disegni; “Il Rivo Druma nei pressi di Monformoso”, 1770, cit.; “Mappa territoriale di Villarboit”,
1859, in Archivio di Stato di Vercelli, Tribunale di Vercelli, verbali diversi, 271.
Tav. 1 - Sulla parcellazione catastale attuale sono indicati a: il sito del castello, b: il sito del borgo; c: il
sito della chiesa, i triangoli indicano i siti nei quali è supposta la presenze di edifici in antico.
La superficie occupata dal complesso è di 2,80 giornate piemontesi 6
pari a poco più di diecimila metri quadrati 7. L’altura, dalla quale emergono notevoli quantità di ciottoli e laterizi e che non lascia intravvedere
alcuna struttura muraria fuori terra, appare terrazzata da tre livelli dalle
caratteristiche difficilmente accertabili a mezzo di un rilevamento veloce.
Essi schematicamente possono essere descritti come segue: un primo terrapieno porta dalla strada già ricordata e dal corso della roggia Molinara
ad un piano dal quale si eleva un’area presumibilmente identificabile con
gli antemurali, da essa un leggero dislivello porta alla quota del fabbricato del castello. Lungo il lato settentrionale, confinante con la strada
anzidetta, corre un ulteriore terrapieno che separa il complesso dalla via.
La forma dell’area occupata dal fabbricati vero e proprio, rivelata
oltre che da alcune fotografie aeree da una carta del 1859 8 , mostra una
struttura poligonale dalla quale sembra protendersi in direzione est quello
che potrebbe essere un torrione o un corpo di guardia, in corrispondenza
della più accessibile via di salita alla fortificazione. La raffigurazione più
completa dell’alzato ci viene per il momento solo da una carta topografica
del 1770 in cui è visibile la costruzione (“Rovine del castello di
Monformoso”) rappresentata in forma parallelepipeda con merlatura. Tale
documento grafico è però tanto schematico e fantasioso che appare impossibile considerarlo se non come assai indicativo della reale forma del
castello che raffigura 9 .
Ogni altra considerazione intorno alla effettiva conformazione della fortificazione dovrà essere fatta solo dopo il reperimento di eventuali
mappe catastali particolareggiate e dopo un più accurato rilevamento dei
terrazzamenti.
ll terreno è attualmente condotto a bosco ceduo ed a bosco forte.
B - Sito del borgo o ricetto (Tav. 1).
L’identificazione di quest‘area come pertinente ad un abitato, probabilmente fortificato a mezzo di un semplice fossato, si basa sulla presenza in sito di grande abbondanza di ciottoli e laterizi nonché di frammenti ceramici e metallici.
L’estensione del campo, verosimilmente ridotta dal tracciamento del
canale Cavour, è limitata a circa tremila metri quadrati. Il terreno, condotto a rotazioni di granturco ed erba medica, viene arato con difficoltà per
6
“Pianta del finaggio di Monformoso”, cit.
A.A. SETTIA, “La struttura materiale del castello nei secoli X e XI. Elementi di morfologia castellana
nelle fonti scritte dell’ltalia settentrionale”, in Bollettino Storico Bibliografico Subalpino, 1979, p. 361.
Nella classificazione proposta dall’autore per il periodo preso in esame il castrum di Monformoso
sarebbe da collocarsi fra quelli di media ampiezza.
8
“Mappa territoriale di Villarboit”, 1859, cit.
9
“ll rivo Druma nei pressi di Monformoso”, cit.
7
92
la presenza di strutture murarie interrate, icui frammenti vengono da decenni accumulati ai margini del coltivo.
L’area è di forma vagamente rettangolare e limitata a Sud dalla strada
e da cumuli di materiali risultanti dall’aratura, a est dalla scarpata naturale che mette al rio Dongrosso, a ovest da un fossato in parte colmato da
ciottoli e laterizi, a nord del canale.
Lungo il fossato in direzione ovest è visibile un grande cumulo di
laterizi frammentati, probabilmente di riporto, oltre ad esso il terreno adiacente degrada dolcemente verso la strada tendente alla chiesa e non mostra materiali di superficie.
La natura artificiale del fossato occidentale, che pure non mostra di
essere mai stato utile all’agricoltura, è tale da giustificare l’eventualità
che si tratti di una semplicissima fortificazione racchiudente alcune abitazioni. La parcellazione anteriore alla realizzazione del canale Cavour,
come si è già accennato, pone in evidenza il proseguimento del fossato
fino a racchiudere un’area circa doppia dell’attuale, di forma regolare
anch’essa.
Poiché l’ipotesi non appare confortata da documenti cartografici né
da strutture in vista, l’argomento potrà essere oggetto di ulteriori approfondimenti sia in campo archivistico che archeologico, alquanto promettente quest’ultimo dato il carattere dei materiali di superficie, presenti in
maggior misura nella parte meridionale dell’area considerata,
[G.S.]
C - Sito della chiesa parrocchiale (Tav. 1).
L’area dove si suppone sorgesse la chiesa di Monformoso si trova a
Nord del canale Cavour, la cui costruzione l’ha isolata dall’abitato; essa è
costeggiata a ovest dalla via diretta a Bastia.
Si presenta come una leggera altura di forma allungata disposta lungo l’asse stradale (nord-sud), per circa 150 metri ed estesa in larghezza
(ovest-est) per 50-60 metri. Il terreno, attualmente, è lasciato al bosco
con fitte macchie di rovi.
A causa della folta vegetazione, non sempre la conformazione e le
anomalie del sito risultano chiaramente leggibili.
Un profondo vallo artificiale circonda a nord e a est la zona centrale che, invece, a ovest si affaccia sulla strada (ampliata recentemente a
svantaggio dell’altura) con un dislivello di alcuni metri.
In questa zona si notano, a sud, due strisce prive di vegetazione e
un’abbondante concentrazione di laterizi e ciottoli con tracce di malta che
fanno pensare alla presenza di strutture murarie non più visibili.
L’identificazione di quest’area con il sito della chiesa, intitolata a
Sant’Andrea, menzionata come parrocchiale di Monformoso negli atti della visita
pastorale di Mons. Broglia del 1666, anno in cui la chiesa era già abbandonata
93
ed in rovina 10 ,è confortata dalla tradizione popolare che conserva per
questo terreno ii toponimo di “Sant’Andrea”.
Inoltre nell’abitato “Cascine Monformoso”, durante le ricognizioni
di alcuni anni or sono, si erano riscontrati materiali di spoglio, tra cui tre
fusti e una base di colonna e alcune pietre squadrate in sarizzo, che si era
appurato, provenivano dall’area sopra descritta, probabilmente elementi
architettonici della chiesa (Foto 1 e 2).
IL MATERIALE
Si tratta del materiale rinvenuto nel corso delle ricognizioni condotte nella zona di Monformoso.I reperti, scarsi e frammentari, provengono dalle aree denominate sito a) e b), mentre sul sito c) si nota solo la
presenza di laterizi e ciottoli.
È da rilevare la forte differenza di quantità esistente fra il materiale
proveniente dal sito a) (sette frammenti ceramici) e quello proveniente
dal sito b) (numerosi frammenti di ceramica, pietra ollare e ferro), divario
da mettere in relazione con la diversa utilizzazione agricola dei due terreni indagati, il primo occupato da bosco, il secondo coltivato a granoturco
e quindi periodicamente arato.
L’esiguo gruppo ceramico proveniente dall’area del castello ci fornisce dati poco significativi, quindi, in attesa di una auspicabile indagine
più approfondita del sito, si dà in questa sede la semplice schedatura dei
singoli frammenti.
Per quanto riguarda, invece, il nucleo dei materiali rinvenuti sul
luogo del supposto borgo solo il 20% ha dimensioni tali da permettere
confronti attendibili, indispensabili per una datazione seppure approssimativa. Il rimanente 80% è costituto da frammenti molto piccoli ed in
cattive condizioni di conservazione.
Nel complesso le ceramiche qui illustrate sono attribuibili ad un
periodo cronologico che prende l’avvio alla fine del secolo XV ma che ha
la sua massima concentrazione nei secoli XVI - XVII.
Va inoltre sottolineato che molti confronti sono stati trovati proprio
in ambito territoriale ed in alcuni casi con reperti di ipotizzata produzione
locale, più in generale si sono riscontrate analogie con materiali della
Lombardia occidentale.
Ulteriori considerazioni riguardano gli impasti, abbastanza omogenei nei reperti rinvenuti a Monformoso, caratterizzati dal colore arancio più o
meno vivo, a volte rosa scuro, piuttosto consistenti con piccoli inclusi micacei e fi-
10
R, ORSENIGO, “VerceIli Sacra”, Como 1909, p. 181, La chiesa è già menzionata nell’elenco dei
benefici ecclesiastici del 1440 (op. cit, p. 404).
94
Foto 1 - Base di colonna in sarizzo.
Foto 2 - Colonna in sarizzo,
95
ne sabbia quarzosa, accanto a questo tipo ne esiste un secondo più depurato e tenero di colore rosa chiaro con chamotte rossa tritata finemente, tipico solo di poche
classi. Questi biscotti, ed in particolare il primo, sembrano essere molto simili a
quelli caratterizzanti il materiale rinvenuto a Vercelli 11.
Il materiale è stato classificato sulla base dei tipi di rivestimento e quindi
delle tecniche di esecuzione e decorazione 12.
Materiale proveniente dal sito a) (Tav. 2)
CERAMICA
N. fr.
%
peso in gr.
Priva di rivestimento
1
14,2
20
Invetriata
2
28,5
20
Ingobbiata monocroma
4
57,0
30
TOTALE
7
100
70
Priva di rivestimento
MO C 1
Frammento dì forma aperta con fondo apodo piano e parete tronco-conica. Impasto molto duro bicolore, esterno rosa scuro e interno nocciola, con piccoli
inclusi micacei e fine sabbia quarzosa, diam. cm 8; spess. cm 0,6-0,9.
Invetriata
MO C 2
Frammento di parete di pentola. All‘interno vetrina sottile e granulosa di colore
giallo verdognolo. Impasto duro a frattura scistosa, grigio nocciola con inclusi
micacei; spess. cm 0,6. (non illustrato),
MO C 3
Frammento di tesa con orlo leggermente ingrossato pertinente a forma aperta.
All’interno vetrina lucida finemente cavillata in profondità di colore giallo scuro. Impasto duro di colore bianco giallino con fine sabbia quarzosa; diam. cm
20;spess. cm 0,5.
Ingobbiata monocroma
MO C 4
11
Frammento di parete di forma chiusa decorata da piccoli solchi orizzontali.
L. VASCHETTI, “Il materiale ceramico proveniente dalla casa della Torre dell’Angelo in Vercelli”,
in “Atti del XIV convegno internazionale della ceramica”, Albisola 1981, pp. 83-96; L. VASCHETTI,
“Saggio archeologico nel centro storico di Vercelli”, in “Quaderni della Soprintendenza Archeologica
del Piemonte”, Tormo 1983, pp.113-140.
12
T. MANNON1, 19T5, “La ceramica medievale a Genova e nella liguria” “Studi Genuensi” VII
(1968-69).
108
Tav. 2 - Cerarnica proveniente dal sito a (MO C 1 -MC C 2 - MO C 4 -MO C 6-7 ); Ceramica proveniente dal sito b; priva di rivestimento (MO 44-43-37-38), invetriata(M 45-46 ), ingobbiata monocroma
(MO 28-21-23-19-20), graffita a punta decorata a ramina e ferraccia (MO 02-03-04).
97
All’esterno vetrina scrostata di colore giallo su ingobbio sottile bianco, Impasto
di colore rosa; spess. cm 0,4.
MO C6/7 Due frammenti di scodella con piede ad anello appena sporgente e accenno di
tesa.All’interno spesso ingobbio bianco; esterno privo di rivestimento. Non vi
sono tracce di vetrina. Irnpasto tnero di colore rosa pallido con fine chamtte
rossa, diam. piede cm 7.
MO C 5
Frammento di parete di forma aperta. AlI’interno spesso ingobbio bianco; esterno privo di rivestimento. Non vi sono tracce di vetrina. Impasto vacuolato di
colore rosa scuro con inclusi micacei; spess. cm 0,7. (non illustrato)
Materiale proveniente dal sito b)
CERAMICA
N. fr.
%
Priva di rivestimento
Invetriata
lngobbiata monocroma
Ingobbiata dipinta
Graffita monocroma a punta
Graffita a ramina e ferraccia
Graffita a fondo ribassato
Graffita a più colori
lng. dipinta imitante la maiolica
Maiolica a decorazione blu
9
15
19
1
2
11
2
1
4
1
13,8
23,0
29,3
1,5
3,0
16,9
3,0
1,5
6,1
1,5
TOTALE
65
100,0
peso in gr.
155
345
412
107
30
240
210
35
145
5
1.684
Priva di rivestimento (Tav. 2)
Nella generale scarsità dei materiali, questa classe è presente con il 13,8%, pur rappresentando una discreta percentuale si tratta quasi esclusivamente di frammenti di dimensioni
molto ridotte e quindi di difficile attribuzione.
MO 37
Frammento di forma aperta con fondo apodo e parete tronco-conica molto spessa. Impasto di colore rosa scuro, in certi punti marrone con tracce di bruciature,
fine sabbia quarzosa e chamotte rossa; diam. cm 14; spess. cm 0,7 -1,3.
MO 38
Frammento di ansa a nastro. impasto duro di colore rosa bruno con fine sabbia
quarzosa; larg. cm 4,8; spess. cm 1.
MO 40
Frammento di ansa a nastro. Impasto di colore rosa scuro con fine sabbia quarzosa
ed evidenti inclusi di chamotte rossa, larg. cm 2; spess. cm 1,5. (non illustrato).
MO 39
Frammento di ansa a sezione ellittica. Impasto di colore rosa scuro con evi-
98
denti inclusi micacei; lrg. cm 2; spess. cm 1,5. (non illustrato),
MO 44
Frammento di orlo, pertinente a ciotola, ingrossato a sezione quadrata. Impasto di
colore arancio con fine sabbia uarzosa e piccoli inclusi micacei; diam. cm 15 (la
forma ha confronti nel tipo 30, Mannoni 1975).
MO 43
Due frammenti pertinenti a forma aperta con orlo ingrossato e svasato con scanalature al centro, impasto molto duro di colore crema con fine sabbia quarzosa; superficie che varia nel colore dal giallino al rosato, sull’orlo si vede un’esigua traccia di
densa vetrina verde scuro; diam, cm 21 13.
Invetriata (Tav. 2).
È rappresentata da 15 frammenti (23 %), comprendenti, in ma gior numero, esemplari
di invetriata verde, quindi di invetriata marrone e due frammenti di vasellame da cucina. Anche
in questo contesto come per la classe precedente, è valido il discorso delle notevoli difficoltà di
attribuzione dovute sia alla scarsità e frammentarietà sia alla pessima conservazione dei materiali. Le invetriate verdi hanno un impasto che varia dal rosa scuro all’arancio, con fine sabbia
quarzosa e a volte piccoli inclusi mìcacei; la vetrina distribuita, in tutti ì frammenti, su entrambe
le superfici, e quasi sempre scrostata e il colore varia dal verde scuro al verde oliva. In prevalenza sono riconoscibili forme chiuse. I frammenti appartenenti alla invetriata marrone sno molto
pochi e sono qui di seguito descritti:
MO 45
Tre frammenti di parete pertinenti a forma chiusa, decorati sulla superficie esterna
da scanalture e leggere solcature ondulate. Esterno privo di rivestimento. All’interno vetrina molto aderente e lucida di colore marrone ambrato. Impasto tenero di
colore arancio con fine sabbia quarzosa, piccoli inclusi micacei e vacuoli; spess,
cm 0,6. Alcune caratteristiche dei frammenti (decorazione a scanalature, vetrina di
colore ambrato solo sulla superficie interna) sono simili a quelle del tipo 42, Mannoni
1975. Si tratta materiale trovato in contesti sia alto medievali che medievali.
MO 46
Frammento di orlo a mandorla pertinente a forma chiusa (?). All’interno e sull’orlo
vetrina di colore marrone in gran parte scrostata. Impasto di colore rosa scuro con
fine sabbia quarzosa; diam, cm 10; spess. cm.0,5.
MO 29
Frammento di parete di pentola. All’interno vetrina lucida e granulosa di colore
giallo-ocra. Esterno privo di rivestimento con tracce di fumigazione. Impasto molto duro bicolore: nocciola chiaro e grigio scuro con evidenti inclusi micacei; spess.
cm 0,6. (non illustrato).
Ingobbiata monocroma (Tav. 2)
È la classe più numerosa, composta da 19 frammenti (29,3%) che appartengono in
maggioranza al gruppo delle ingobbiate giallo-marroni ed in minima quantità a quello
delle ingobbiate crema. Il tipo giallo-marrone è presente con forme sia chiuse, in prevalenza
boccali, sia aperte, con vetrina generalmente lucida il cui colore varia dal giallo senape al giallo
ocra intenso. Il tipo crema, rappresentato da due frammenti pertinenti a, forme aperte, ha una
vetrina abbastanza sottile di colore giallo paglierino. Entrambi i gruppi hanno un impasto di
13
La presenza della vetrina sul frammento è cosi esigua quanto a superficie coperta da giustificare il
fatto di non averlo inserito nella classe delle invetriate; forse questa traccia è dovuta ad un caso tuttavia
non si possono ignorare similitudini con ti i invetriati (ad es. tipo 36, MANNONI 1975). Purtroppo le
piccole dimensioni del frammento limitano ogni tipo di ipotesi.
99
colore arancio contenente piccoli inclusi rnicacei acei e quarzosì crm ingolabio quasi sempre spesso e
bianco. I confronti più opportuni sono stati individuati proprio in ambito vercellese con il materiale
proveniente d scavi stratigrafici svoltisi nelle cantine di un edificio tardo-quattrocentesco in Vercelli.
Questa ceramica è comunque abbastanza comune e documentata in molte altre zone e viene datata dal
XVI secolo in avanti.
MO19
Frammento di scodella con piede a disco leggermente concavo e cavetto emisferico.All’
interno vetrina lucida, leggermente granulosa di colore giallo senape su ingobbio bianco. Esterno privo di rivestimento con colature di vetrina. Impasto di colore arancio con
piccoli inclusi quarzosi; diam. piede cm 5 14.
MO21
Frammento di orlo verticale leggermente ingrossato pertiente a boccale. Su entrambe le
superfici vetrina giallo-marrone su ingobbio color avorio, impasto di colore arancio con
piccoli inclusi micacei e vacuoli; diam. cm 6.
MO23
Frammento di parete di forma chiusa decorata con leggere solcature orizzontali e ondulate. All’esterno vetrina giallo scuro su spesso ingobbio bianco. All’interno vetrina marrone scuro. impasto color arancio con piccoli inclusi micacei e fine chamotte.
MO 25
Frammento di ansa a nastro appartenente a boccale, vetrina lucida e densa cavillata in
profondità di colore giallo-marrone su spesso ingobbio bianco. Impasto duro di colore
arancio con piccoli inclusi; larg. cm 4,2; spess, cm 0,5. (non illustrato).
MO 26
Frammento di parete di boccale; all’esterno vetrina cavillata di colore giallo-marrone su
spesso ingobbio bianco; all’interno tracce di vetrina giallo pallido. Impasto di colore
arancio con fine sabbia quarzosa, (non illustrato).
MO 28
Frammento di tesa di forma aperta con orlo ingrossato, all’interno e sull’orlo vetrina
quasi completamente scrostata di colore giallo su ingobbio bianco. Impasto color arancio.
MO 20
Frammento di ciotola con orlo leggermente estroflesso; all’interno vetrina di colore
giallo pallido con superficie devetrificata; ingobbio bianco; esterno privo di rivestimento con colatura di vetrina sotto l’orlo. Impasto di colore arancio con piccoli inclusi micacei
diam. orlo cm 13,8 15.
MO 24
Frammento di parete di tazza: all’interno ingobbio sottile di colore giallino senza vetrina; esterno privo di rivestimento con la superficie ondulata. Impasto di colore arancio
depurato con finissima sabbia quarzosa (non illustrato).
Il frammcnto la cui invetriatura è purtroppo scomparsa ricorda tazze emisferiche (tipo
50,Mannoni 1975), frequenti in Liguria negli strati del secolo XVI,
Ingobbiata dipinta
È rappresentata da un solo frammento in cattive condizioni di conservazione tanto da non
permettere una classificazione più precisa. Le poche tracce di vetrina rimasta lasciano appena intuire
una decorazione dipinta in verde pallido usato con parsimonia e distribuito in modo casuale (forse per
ottenere un effetto di marmorizzazione ?).
MO 12
14
15
Frammento pertinente a forma aperta con fondo apodo leggermente concavo. All’interno scarse tracce di vetrina giallina con macchie di colore verde dipinte su spesso ingobbio
bianco. Impasto incolore, esterno rosa scuro, interno grigio, contenente inclusi micacei.
Sul fondo evidenti segni delle stacco; diam. fondo cm 5,2 (non illustrato).
L. VASCHETTI, Op. cit. 1981, p. 88, tav.1, dis. n. 14.
L. VASCHETTI Op. cit. 1981, p. 88, tav. 1, dis. n. 14.
100
Graffita monocroma a punta
Questa classe è rappresentata da due soli frammenti di dimensioni molto piccole che
non consentono alcun genere di confronto,
MO 06
Frammento di tesa di piatto o scodella con orlo ingrossato e rilevato; motivo
decorativo non identificabile; all’interno vetrina lucida di colore giallo ocra su
ingobbio bianco. Impasto di colore arancio con fine sabbia quarzosa, (non illustrato).
MO 13
Frammento di tesa pertinente a piatto o scodella con orlo leggermente ingrossato; motivo decorativo non identificabile; all’interno vetrina granulosa, di colore
giallo con ingobbio bianco. impasto di colore rosso con piccoli inclusi. (non
illustrato).
Graffita policroma
Graffita a punta decorata a ramina e ferraccia (Tavv. 2 e 3)
Questo gruppo rappresenta il 16,9% del totale e comprende 11 frammenti, sfortunatamente di piccole dimensioni, ad eccezione di una tazza apoda, anch’essa frammentaria,
che può essere considerata uno dei reperti più interessanti rinvenuti a Monformoso. La tazza
presenta una decorazione floreale nel cavetto, mentre le pareti sono suddivise in settori da
quattro bande verticali dipinte in giallo. I colori sono distribuiti abbastanza liberamente, in
foggia di macchie oblunghe sullo sfondo giallo pallido (caratteristica tipica della graffita
tarda l6). Sia la forma che la decorazione del frammento trovano sicuri e convincenti confronti con un gruppo di tazze apode, con analogo motivo decorativo, rinvenuto a Trino
Vercellese in un butto ceramico 17 e attribuito a produzione locale probabilmente a partire
dal XVI secolo. Tazze simili sono presenti anche tra il materiale scavato a Vercelli 18 .
Tra i rimanenti frammenti (pareti e orli), tutti appartenenti a forme aperte, gli orli (MO 0203 · 04 sono illustrati) leggermente ingrossati ed introflessi, sottolineati da cerchi graffiti
concentrici, sembrano essere riconducibili a forme simili alla precedente. Infine caratteri
comuni a tutto il materiale di questa classe sono la vetrina, quasi sempre devetrifìcata, di
colore giallo pallido dipinta con verde e giallo molto diluiti; ingobbio bianco; impasto abbastanza duro di colore arancio con piccoli inclusi quarzosi e a volte fine chamotte rossa.
MO 01
Frammento di tazza con fondo apodo leggermente concavo; nel cavetto motivo
floreale a più petali, dipinto in giallo e verde, contenuto entro due cerchi concentrici riempiti in verde. La parete e suddivisa in quattro campi di fasce gialle,
in uno dei settori si intravvede un altro motivo floreale. Vetrina con superficie
devetrificata, di colore giallo pallido su ingobbio bianco; impasto duro di colore
arancio con fine sabbia quarzosa; esterno privo di rivestimento con colature di
vetrina. Sul fondo è graffito un segno a “X”; diam. fondo cm 6,4.
Graffita a fondo ribassato decorata a ramina e ferraccia (Tav. 3).
Si tratta di un solo frammento di piccole dimensioni consistente in parte di tesa di forma
aperta decorata con un motivo geometrico a nastri intrecciati. Una serie di scodelle caratterizzate dalla medesima decorazione proviene dagli scavi della casa della Torre dell’Angelo
in Vercelli 19 .
16
T. MANNONI, 1975, Op. cit., p. 83.
G. DONATO, AL. VASCHETTI, “Le ceramiche”, in AA.VV., “Inventario Trinese: fonti e documenti
figurativi”, Trino 1980, pp. 82-83.
18
L. VASCHETTI, Op. cit. 1981, p. 92.
19
L. VASCHETTI, Op. cit. 1981, p. 93, fig. 4.
17
101
MO 09
Frammento di tesa, mancante di orlo, pertinente a piatto o scodella con decorazione geometrica a nastri intrecciati. Linee concentriche segnano l’inizio della
parete. All’interno vetrina quasi completamente scrostata; ingobbio color avorio; impasto di color arancio con fine chamotte rossa.
A parte viene preso in esame un frammento di fondo, pertinente a forma aperta, sicuramente
il più interessante frammento ceramico raccolto a Monformoso.
MO 10
Frammento di fondo, pertinente a piatto o scodella, con piede a disco leggermente concavo. All‘interno motivo decorativo graffito a punta e parzialmente a
fondo ribassato, rappresentante uno stemma araldico con accanto un nodo savoia.
Lo stemma e diviso in due parti, in quella di destra campeggiano due gigli,
dipinti in giallo su sfondo azzurro; nella parte di sinistra si trova la croce bianca,
bordata in verde, su sfondo rosso (reso con la tecnica del fondo ribassato). Lo
stemma è sormontato da una corona gemmata decorata con perle (che dovevano
essere in numero di sette). Vetrina con superficie devetrificata, scrostata in più
parti di colore giallo paglierino; ingobbio bianco; esterno privo di rivestimento
con colature e macchie di vetrina; impasto consistente di colore arancio con fine
sabbia quarzosa; diam. piede cm 8.
Il frammento è stato inquadrato nella classe delle graffite decorate a ramina e ferraccia,
nonostante la presenza di un terzo colore, in quanto condivide con questo tipo sia le caratteristiche dell’impasto sia quelle formali (caratteristiche che nelle graffite a più colori sembrano differenti, impasto più depurato, tenero di colore rosa, forme in prevalenza apode). L’uso
dell’azzurro oltre al verde e al giallo (così anche per la tecnica del fondo ribassato) è giustificato, in questo caso, dalla necessità di riprodurre, il più fedelmente possibile, la resa
cromatica del motivo araldico. Tale motivo decorativo, individuati; come arma della Duchessa Jolanda di Savoia, permetterebbe di datare il frammento alla fine del secolo XV 20 .
20
L’arma raffigurata sul frammento e certamente quella della duchessa Jolanda, reggente gli stati di
Savoia dal 1469 al 1478, anno della sua morte: (M. RUGGIERO “Storia del Piemonte”, Torino, 1979,
p. 259) targa partita nel primo di Savoia, nel secondo d’azzurro ai tre gigli d’oro (2-1) di Francia,
timbrata dalla corona comitale. La raffigurazione della stessa arma è pure presente in una lapide del
Museo Civico di Torino (A. CAVALLAR1 MURAT, “Tra serra d’Ivrea, Orco e Po”, Torino, 1976, p.
189, fig. 1 ) datata al 1474. (Si veda la figura qui a lato) (Tav. 3).
L’identificazione dello stemma permetterebbe quindi di ipotizzare per il frammento in questione una
datazione (1469-1478) coincidente con gli anni di reggenza della duchessa (i soli in cui l’arma poteva
avere significato celebrativo per gli strati sociali che usarono la classe ceramica, sostanzialmente povera, cui il frammento appartiene); per di più la presenza proprio a Vercelli della corte di Jolanda fra il
1471 ed il 1473 (R. OR DANO “Storia di Vercelli”, San Giovanni in Persiceto, 1983, p. 216) potrebbe
forse restringere ulteriormente l’arco cronologico del manufatto, di probabile produzione vercellese.
Si tratterebbe di un caso sufficientemente attendibile di datazione a mezzo di un motivo araldico, dal
probabile contenuto celebrativo, che consentirebbe di collocare il frammento almeno al decennio 14701480. Esiste infine un diretto rapporto fra la duchessa ed i nobili “de castri Montisformosi” (Archivio di
Stato di Vercelli, Archivio Buronzo di Asigliano, Scatola 142), infatti nel documento di dedizione dei
consignori di Buronzo e Monformoso ai Savoia e successive conferme è ricordata l’investitura per il
castello di Monformoso da parte di Jolanda: “,.. quondam ill.rna d.na Jolant Vercellis dati die decimo
mensi martj anni quatercentesimi septuagesimi tertj...”.
[GS]
102
Tav, 3 - Ceramica proveniente dal sito b): graffìta a punta decorata a ramina e ferraccia (MO 01);
graffita a fondo ribassato (MO 10). Tav. 3 b - Arma della Duchessa Jolanda.
103
Tav. 4 - Ceramica proveniente dal sito b graffita a fondo ribassato (MO 09), graffita a punta decorata a
più colori (MO 11), ìngobbiata dipinta imitante la maiolica (MO 14, MO 15), maiolica a decorazione
blu (MO 16).
Graffita a punta decorata a più colori (Tav. 4)
È rappresentata da un solo frammento, pertinente a forma aperta, decorato con un
motivo geometrico graffito e dipinto nei colori azzurro, giallo, verde e viola distribuiti irregolarmente a chiazze, Questa classe è stata rinvenuta abbondantemente a Pavia e datata, su
basi stratigrafiche, già alla fine del 1400, ma in prevalenza a partire dal 1500 21. Una trentina
di frammenti sono stati trovati anche a Vercelli e attribuiti al 1500, tra questi è presente una
decorazione simile alla nostra 22 .
MO 11
21
Frammento pertinente a forma aperta con tesa obliqua, mancante di orlo. Sulla
tesa decorazione geometrica, formata da fasci di linee incrociantisi, dipinta irregolarmente in azzurro, verde, giallo e viola; sulla parete, il cui inizio è sottolineato da cerchi concentrici, decorazione di linee intersecantesi a graticcio, dipinta
in azzurro con macchie gialle. All’interno vetrina lucida di colore giallino in
alcuni punti devetrificata; ingobbio bianco; esterno privo di rivestimento; impasto tenero di colore rosa con fine chamotte.
S. NEPOTI, “Le cereniichc postmedievali rinvenute negli scavi delle Torre Civica di Pavia”, in Archeologia Medievale, Firenze, 1973, pp. 195-196.
22
L. VASCHETT1, Op. cit. 1981, tav. 11, dis. 34.
104
Ingobbiata dipinta imitante la maiolica (Tav. 4)
Quattro frammenti rappresentano questo tipo, tre appartengono a forme aperte, uno
è pertinente ad un boccale. La decorazione, dipinta sull’1ngobbio bianco, è sempre resa con
il blu cobalto, con 1‘aggiunta di tocchi in ocra rossa. Purtroppo è riconoscibile un solo
motivo decorativo sulla tesa di un piatto o scodella (MO 15), costituito da monticelli divisi
da archetti, parte di un disegno geometrico più complesso di ispirazione faentina (Cfr. n. 592
BARONI,1934 24). La decorazione e l’impiego, in quasi tutti i frammenti, del rosso rende
possibile confronti, seppure generici, con il materiale lombardo, attribuito al tardo ‘500 24.
L’impasto è generalmente depurato e tenero, di colore rosa, con a volte fine chamotte rossa.
MO 14
Frammento di boccale con piede a disco piano; esterno decorato sino al piede
con rapide pennellate blu e qualche tocco di ocra rossa; vetrina cavillata e
devetrificata di colore biancogiallino; ingobbio bianco. All’mterno vetrina lucida di colore giallo paglierino su ingobbio bianco, Impasto depurato e tenero di
colore rosa; diam. cm 10,6.
MO 15
Frammento di tesa obliqua, con orlo arrotondato, pertinente a piatto o scodella;
decorata con un motivo geometrico dipinto in blu. Vetrina lucida e granulosa di
colore nocciola rosato su ingobbio color avorio; esterno privo di rivestimento
con colature di vetrina. Impasto molto tenero rosa con piccoli inclusi di chamotte
rossa.
MO 17
Frammento di forma aperta; rimangono poche tracce di vetrina lucida color crema su ingobbio bianco dipinto in blu e ocra rossa, Impasto tenero e depurato di
colore rosa chiaro, (non illustrato).
MO 18
Frammento di forma aperta con piede a disco leggermente concavo; restano
poche tracce di decorazione dipinta in hlu e rosso tenue; vetrina quasi completamente scrostata bianco giallino su ingobbio bianco. impasto di colore rosa con
fine chamotte rossa; diam, cm 5,5, (non illustrato).
Maiolica a decorazione blu (Tav. 4)
Un unico frammento (MO 16) sembra appartenere a questa classe; si tratta di una
tesa, pertinente a forma aperta, decorata con un motivo a fiammelle dipinto in blu intenso su
smalto sottile di colore grigio chiaro rìcoprente solo l‘interno 25 .
Il motivo decorativo attribuibile alla tradizione Faentina, trova confronti nel frammento n.
595 Baroni, impasto depu rato e tenero di colore rosa crema.
23
C. BARONI, “Ceramiche italiane minori del Castano Sforzesco”, Milano 1934.
S. NEPOTI, Op. cit. 1978, pp. 182-154; P. FILIPPUCCI, A, PERIN “Contributo all’archeologia
medioevale a Milano” in “Archeologia Uomo Territorio” n. 2, Milano, 1983, pp. 121-122.
25
Un sottilissimo velo bianco (ingobbio?), che si intravvede in alcuni punti sotto il rivestimento, ha
causato incertezze nella classificazione del frammento; solo un esame di laboratorio potrebbe sciogliere
ogni dubbio, ma sia le caratteristiche del rivestimento, sia quelle dell’impasto (differente da quello della
sopra descritta ingobbiata dipinta) fanno pensare di essere in presenza di una copertura a base stannifera.
24
105
Tav. 5 - Ferro (MO 517-Pietra ollare (MO 47 - 48)
106
Tav.6 - Ferro (MO 49-52-53-54-55-50)
107
Pietra ollare (Tav. 5)
Son tre frammenti riconducibili a forma cilindrica, ma non appartenenti allo stesso
recipiente; presentano lungo le |‘ratture alcuni fori passanti contenenti residui di filo di rame,
particolari che, probabilmente, rilevano un’antica riparazione.
I recipienti di pietra ollare furono utilizzati in un arco di tempo molto lungo, infatti nel
periodo romano continuarono ad essere in uso, nelle zone rurali, fino al nostro secolo 26.
MO 47
Frammento di parete di forma cilindrica terminante con orlo appuntito;lungo la
frattura sono visibili due piccoli fori passanti in cui vi sono residui di filo di
rame; superficie interna di colore grigio argentato; superficie esterna annerita
dal fuoco; su entrambe le superfici si vedono i segni della tornitura; diam. cm
26; spess. cm 0,9-15.
MO 48
Frammento di fondo convesso; lungo le fratture sono presenti piccoli fori passanti; superfici annerite dal fuoco e all‘ìnterno incrostazioni bruciate; diam. cm
24; spess. cm 0,8-1,5.
Ferro (Tavv. 5 e 6)
MO 49
Semplice fibbia rettangolare con ardiglione, in origine mobile, molto ossidato 27.
MO 50
Anello ovale di catena.
MO 51
Arnese (sgorbia?) con punta piatta ed innesto conico.
MO 52
Parte di infisso.
MO 53
Parte di infisso (?).
MO 54
Chiodo, ripiegato, a sezione quadrata con testa a pianta quadrangolare.
MO 55
Chiodo a sezione quadrata con testa circolare.
Vari
MO 42
Probabile frammento di cannicciato; argilla seccata al sole, varia nel colore dal
rosa scuro al nocciola chiaro; presenta i solchi lasciati dalle canne (non illustrato).
[O.F.]
NOTA ALLE TAVOLE
Le tavv. 1 e 3b sono di G. Sommo, le tavv, dalla 2 alla 6 sono di O. Ferreri.
Per quanto riguarda le rappresentazioni grafiche delle policromie ci si è attenuti alle norme proposte da
A. PERIN , “Proposta di norme per il disegno della ceramica basso medievale” in “Archeologia Uomo
Territorio”, 2, 1983, p. 15.
26
H. BLAKE, “Ceramiche romane e medievali e pietra ollare nella Torre Civica di Pavia”, in Archeologia Medievale 1982, pp. 161-164.
27
M. MILANESE, “Lo scavo archeologico di Castel Delfino (Savona)” in Archeologia Medievale,
1982, p. 91, n. 41, tav. IV.
108
NOTE E AGGIUNTE
Nei due interventi qui riportati erano state omesse per motivi di spazio
alcune illustrazioni riguardanti importanti documenti d’archivio, fotografie di altri elementi in pietra oltre a quelli pubblicati, particolari del terreno e fotografie
aeree oblique.
In questa sede si è colmata la lacuna.
Il blasone dei Monformoso, emerso dall’Archivio del Comune di Biella è
stato ricostruito sulla base del disegno incompiuto e della descrizione relativa
(Mario Coda, Lorenzo Ceratti, Araldica e genealogia, Vercelli 1989, pag. 63).
Inoltre negli anni 2001-2003, in occasione dei lavori per l’alta velocità che
hanno riguardato l’area meridionale del percorso autostradale, si sono indagati
alcuni edifici fra i quali quello della chiesa di S. Andrea con cimitero annesso
(Cristina Ambrosini, Gabriella Pantò, Villarboit. Chiesa ed abitato medievale di
Monformoso. Indagine archeologica lungo il tracciato per la ferrovia Alta Velocità. Tavv. CXIII-CXI, in “Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte”, 21, pagg. 297-299). Riportiamo qui le due fasi edilizie riscontrate dallo
scavo, sovrapposte alla mappa catastale.
Va notato, da ultimo, che osservando i documenti riguardanti il piano territoriale del 1859 e il piano parcellario dei terreni che saranno occupati dal canale
Cavour, compaiono, soprattutto nell’area che sarà interessata dai lavori del canale, alcune particelle la cui peculiare disposizione ricorda un quadrilatero chiuso
da un perimetro difensivo (forse quanto restava di un ricetto) situato a nord del
borgo (area b).
“Il rivo Druma nei pressi di Monfornioso”, 1770, in Archivio di Stato di Vercelli, Archivio Arborio
Mella, serie disegni, 14 (particolare).
“Pianta dei finaggio di Monformoso”, 1710, in Archivio di Stato di Vercelli, Intendenza di Vercelli,
Serie I, disegni; “Il Rivo Druma nei pressi di Monformoso”, 1770
“Mappa territoriale di Villarboit”, 1859, in Archivio di Stato di Vercelli, Tribunale di Vercelli, verbali
diversi, 271.
“Piano parcellario dei terreni da occuparsi alla costruzione del canale Cavour nel territorio di Villarboit”,
in Archivio di Stato di Vercelli, Sottoprefettura di Vercelli, 7.
Fotografie aeree oblique 1979
Foto aerea zenitale Territaly - Istella 1989, particolare area settentrionale.
Monformoso, area degli scavi 2001-2003, foto 2004 Google Earth.
Foto aerea zenitale complessiva del sito di Monformoso, Google Earth 2006.
Le due fasi degli edifici scavati nel sito della chiesa. In azzurro 1200-1300, in rosso 1400-1500.
Zona b, a nord del castello.
Elementi in pietra dall’area della cascina Monformoso.
Archivio Storico del Comune di Biella fondo BULGARO scatola 103, Blasonario del XVII secolo,
foglio 48. “Monformoso: di azzurro ad un albero di [.?.] al naturale, nodrito su terrazzo erboso e sostenuto da due leoni d’oro, affrontati e con la coda rivoltata”
Ricostruzione del balsone dei di Monformoso