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Cassazione penale, sez. II, 21 novembre 2006, n. 6323
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORELLI Francesco Presidente
Dott. ESPOSITO Antonio Consigliere
Dott. MONASTERO Francesco est. Consigliere
Dott. CARDELLA Fausto Consigliere
Dott. RENZO Michele Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.G.;
avverso l'ordinanza del 12 giugno 2006, del Tribunale per il riesame di Forlì;
visti gli atti, l'ordinanza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione del Consigliere, Dott. Francesco Monastero;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SALZANO
Francesco, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l'Avv. Antetomaso, difensore del C., che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
Fatto-Diritto
Il Tribunale di Forlì, sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari, con ordinanza in data
12 giugno 2006, rigettava la richiesta di riesame proposta da C.G. avvero il decreto di
sequestro probatorio emesso dal Pubblico Ministero del procedimento, e concernente varie
paia di calzature che apparivano servile imitazione dei modelli originali della Teodori
diffusion s.r.l., facente capo a T.S..
In particolare, il Tribunale, dopo aver ricostruito i fatti che avevano portato al sequestro
probatorio, a seguito della denuncia presentata dal T., nella qualità di legale rappresentante
della Teodori diffusion s.r.l., prendeva in considerazione i motivi di impugnazione e,
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segnatamente, a) la dedotta illegittimità di un sequestro probatorio che, viceversa, presentava
spiccate e inequivoche finalità preventive, b) la ritenuta omessa indicazione nel decreto di
sequestro degli oggetti da sequestrare e, c) la affermata insussistenza del fumus, per avere il
T. presentato richiesta di registrazione di numerosissimi modelli di scarpe, ma non essendo
stato il relativo provvedimento di registrazione ancora emanato al momento del sequestro.
Il Tribunale osservava, quanto al rilievo sub a), che le calzature sequestrate dovevano
considerarsi corpo di reato, e, quindi, soggette a confisca; quanto alla censura sub b), che il
decreto di sequestro appariva estremamente analitico nella indicazione degli oggetti da
sequestrare e quanto, infine, alla doglianza sub c), che gli effetti della registrazione dovevano
ritenersi già operanti al momento del sequestro, atteso che il D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 38,
comma 4, prevede che gli effetti della registrazione decorrano dalla data in cui la domanda è
resa accessibile al pubblico, e il comma 5, dello stesso articolo, che l'Ufficio italiano Brevetti
e Marchi pone a disposizione del pubblico la domanda di registrazione, con le riproduzioni
grafiche o i campioni e le eventuali descrizioni, subito dopo il deposito.
Quanto all'art. 648 c.p., il Tribunale osservava che la sussistenza o meno di tale reato non
incideva in alcun modo sulla sussistenza del fumus dei reati di cui agli artt. 474 o 517 c.p..
Avverso tale provvedimento propone ricorso per Cassazione il difensore dell'imputato
deducendo, con un primo motivo, la violazione degli artt. 253 e 321 c.p.p., avendo il
Tribunale motivato solo in ordine alla astratta assoggettabilità a confisca di un corpo di reato,
senza tener conto delle diverse finalità, rispettivamente, del sequestro preventivo e del
sequestro probatorio: e, nella specie, avendo il Pubblico Ministero perseguito con il sequestro
sostanzialmente scopi di prevenzione, al fine cioè, come si legge nel decreto, di evitare la
commercializzazione del bene e il reiterarsi della condotta criminosa, si deve dedurre che lo
scopo del provvedimento era cautelare e non certo probatorio.
Con un secondo motivo, il ricorrente deduce la manifesta illogicità della motivazione, con
riferimento alla censura, dedotta con l'atto di impugnazione, di omessa individuazione degli
oggetti da sequestrare: sul punto la motivazione del Tribunale, ad avviso del ricorrente,
sarebbe del tutto apodittica e priva di concreti riferimenti al caso di specie che, invece, per la
sua peculiarità, avrebbe imposto una maggiore specificità.
Con un terzo motivo, il ricorrente deduce omessa o insufficiente motivazione in ordine alla
doglianza di omessa indicazione del destinatario del provvedimento del pubblico ministero:
sul punto specifico il Tribunale non avrebbe affatto motivato.
Infine, con un quarto motivo, il ricorrente deduce la violazione dell'art. 127 del codice della
proprietà industriale che, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, accorderebbe
tutela penale solo agli oggetti già registrati, e che, quindi, hanno ottenuto un titolo di proprietà
industriale valido, ai sensi dello stesso codice, e non certo a quelli per i quali sia stata solo
presentata la relativa domanda.
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Sul punto specifico, il ricorrente riporta significativi passi di una decisione di questa sezione
(Cass., sez. 2^, 2 giugno 1998, n. 6418) che ha affermato, appunto, che la tutela prevista dagli
artt. 473 e 474 c.p.p., presuppone che il marchio (o il segno distintivo) sia stato depositato,
registrato o brevettato nelle forme di legge.
Considerazioni, quelle testè evocate che, in ogni caso, rifluirebbero sotto il profilo del dolo in
quanto gli ordini di produzione delle calzature erano addirittura precedenti alla domanda di
registrazione.
Infine il ricorrente osserva, solo "per esigenze di completezza difensiva", che a nulla
rileverebbe la circostanza che il Tribunale abbia ipotizzato la possibile violazione, in
alternativa all'art. 474 c.p., dell'art. 517 c.p.: tale attività integrativa, ad avviso del ricorrente,
non sarebbe consentita in sede di riesame e in ogni caso, la norma richiamata sarebbe
residuale punendo solo chi pone in commercio prodotti con segni-mendaci.
Il ricorso è infondato.
I primo tre motivi di ricorso possono essere congiuntamente affrontati.
Si deduce, infatti, un difetto di motivazione, parziale o integrale, del provvedimento
impugnato circa le finalità del sequestro, l'individuazione dei beni da sequestrare e l'omessa
indicazione del destinatario nel decreto del pubblico ministero.
Su tali motivi di impugnazione il Tribunale ha congruamente motivato rilevando che le
calzature contraffatte costituivano corpo di reato e che il decreto di perquisizione conteneva
una dettagliata e analitica indicazione dei beni da sequestrare: la motivazione è congrua e
l'esame del decreto (possibile, essendo dedotta, sostanzialmente, una violazione di legge
processuale) conferma la valutazione operata dal Tribunale.
Analoghe considerazioni devono porsi con riferimento alla censura concernente l'omessa
indicazione del destinatario dei beni da sottoporre a sequestro: il destinatario del
provvedimento è specificamente indicato nel decreto del Pubblico Ministero e l'ordinanza
censurata ne da atto, sia pure genericamente, nella parte ricostruttiva dei fatti.
Più analitica la motivazione che concerne il quarto motivo di ricorso con il quale il ricorrente
deduce la violazione delle disposizioni del codice della proprietà industriale che,
contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, accorderebbero tutela penale solo agli
oggetti già registrati, e che, quindi, hanno ottenuto un titolo di proprietà industriale valido, ai
sensi dello stesso codice, e non certo a quelli per i quali sia stata solo presentata la relativa
domanda.
E' vero infatti, come affermato dal ricorrente, che questa Corte (Cass., sez. 2^, sentenza n.
6418 del 26/03/1998, Rv. 211176) ha affermato che "poichè la tutela penale dei marchi o dei
segni distintivi delle opere dell'ingegno o di prodotti industriali è finalizzata alla garanzia
dell'interesse pubblico preminente della fede pubblica, più che a quello privato del soggetto
inventore, l'art. 473 c.p., comma 3 - secondo il quale le norme incriminatrici in tema di
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contraffazione e alterazione dei marchi o dei segni si applicano sempre che siano state
osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della
proprietà intellettuale o industriale - deve essere interpretato nel senso che per la
configurabilità dei delitti contemplati dai precedenti commi del medesimo articolo è
necessario che il marchio o il segno distintivo, di cui si assume la falsità, sia stato depositato,
registrato o brevettato nelle forme di legge all'esito della prevista procedura, sicchè la
falsificazione dell'opera dell'ingegno può aversi soltanto se essa sia stata formalmente
riconosciuta come tale", e che ha, altresì, precisato che dall'affermazione di tale principio
discende che la tutela penale dei marchi e dei segni distintivi non possa estendersi contrariamente a quanto avviene in campo civilistico - anche alla posizione interinale del
brevettante nel periodo intercorrente tra il momento della presentazione della domanda e
quello della concessione del brevetto o della registrazione.
Ciò nondimeno questo collegio ritiene di non condividere tale orientamento e di seguire il
diverso indirizzo, già affermato in altra, più recente decisione (Cass., sez. 5^, 22 giugno 1999,
n. 8758) che ha sostenuto che deve prescindere "dalla validità e legittimità della registrazione
o del brevetto una tutela penale intesa a garantire non un diritto di privativa bensì solo a
impedire che un prodotto possa essere immesso sul mercato con una falsa rappresentazione
della sua provenienza".
Il quesito fondamentale che viene prospettato con tale motivo di ricorso è se la tutela penale,
contenuta negli artt.473 e 474 c.p., dispieghi la propria efficacia fin dalla domanda ovvero se
debba decorrere esclusivamente dalla data della avvenuta registrazione.
L'art. 473 c.p., comma 3, dispone che le disposizioni dei precedenti commi si applicano
"sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni
internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale".
Dal canto suo, il D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 38, al comma 1, che "i diritti esclusivi sui disegni
e modelli sono attribuiti con la registrazione: al comma 4, che "gli effetti della registrazione
decorrono dalla data in cui la domanda, con la relativa documentazione, è resa accessibile al
pubblico" e ancora, al comma 5, che "l'ufficio italiano brevetti e marchi pone a disposizione
del pubblico la domanda di registrazione con le riproduzioni grafiche ...".
Ha ritenuto la decisione richiamata dal ricorrente (n. 6418 del 1998), che l'art. 473 c.p.,
contiene una clausola (comma 3) che circoscrive l'applicabilità delle relative incriminazioni ai
soli marchi registrati, dovendosi intendere che l'osservanza delle "norme delle leggi interne o
delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale" deve
comprendere l'intero iter brevettale e non la sola domanda iniziale.
La tutela penale presupporrebbe, quindi,ha ritenuto la citata sentenza, che il marchio sia stato
depositato, registrato e brevettato nelle forme di legge.
Questo collegio ritiene, viceversa, che il richiamo operato dall'art. 473 c.p., non può che far
riferimento alle disposizioni del D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 38, commi 4 e 5, nel loro
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complesso ("i diritti esclusivi sui disegni e modelli sono attribuiti con la registrazione", "gli
effetti della registrazione decorrono dalla data in cui la domanda, con la relativa
documentazione, è resa accessibile al pubblico", "l'ufficio italiano brevetti e marchi pone a
disposizione del pubblico la domanda di registrazione con le riproduzioni grafiche..."), con
conseguente anticipazione della tutela penale delle condotte di contraffazione ed alterazione
fin dal momento della presentazione della domanda anticipazione riconosciuta (ovviamente)
solo quando i modelli risultino conoscibili da pubblico (comma 5), e, quindi, anche prima
della registrazione.
Sotto il profilo penalistico, infatti, con la semplice presentazione della domanda e con la
descrizione dei relativi modelli di cui si rivendica l'esclusiva, si individua l'oggetto materiale
della tutela penale perchè fin da quel momento (conoscibilità al pubblico) ne diventa possibile
l'illecita riproduzione.
Come ha affermato questa Corte con la successiva sentenza n. 8758 del 1999, l'art. 473 c.p.,
ha come oggetto giuridico esclusivamente la fede pubblica mentre il diritto di proprietà o di
esclusiva riceve protezione solo in via indiretta: ne consegue che la tutela immediata
apprestata dalla norma riguarda esclusivamente l'interesse sociale di impedire che si abusi
della pubblica fede (come si ricava dalla stessa Relazione ministeriale).
Correttamente quindi il Tribunale di Forlì ha ritenuto che l'art. 473 c.p., accordi tutela fin dal
momento della presentazione della domanda resa conoscibile al pubblico in quanto la
disposizione penale non mira a garantire il diritto di esclusiva del privato ma tende a impedire
che possano essere immessi sul mercato modelli illecitamente riprodotti.
Al rigetto del ricorso consegue il pagamento delle spese processuali.
P.Q.M
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2007
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