LA FILIERA DELL`ALLEVAMENTO ITTICO
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LA FILIERA DELL`ALLEVAMENTO ITTICO
MATERIALE DIDATTICO “LA FILIERA DELL’ALLEVAMENTO ITTICO” Dott.Giuseppe Candela Introduzione Il progresso scientifico dell’uomo ha determinato negli anni il cambiamento del modo di interagire con l’ambiente naturale circostante, passando da uno sfruttamento incontrollato delle risorse naturali ad una sempre più accurata gestione delle risorse finalizzata al cosidetto “sviluppo sostenibile”. Se ciò si è verificato in campi quali l’agricoltura (con il passaggio dalla raccolta dei vegetali prodotti spontaneamente dalla terra, all’adozione di tecniche di coltivazione dei terreni) e l’allevamento (con il passaggio dalla caccia all’accrescimento controllato di specie animali dalle quali ricavare carne, uova, latte ecc…), lo stesso non si può dire per lo sfruttamento dei mari per i quali continua a prevalere la pesca, un’attività molto antica e ben poco sostenibile. Anzi, con il passaggio dalla pesca artigianale a quella industriale, oggi la pesca si trova di fronte a diverse problematiche, quali: sforzo di pesca eccessivo; fenomeni di sovrasfruttamento; turbamento degli equilibri naturali delle popolazioni ittiche. Cosa significa questo? Che si pesca sempre più spesso e sempre di più in maniera non selettiva, andando a pescare qualsiasi taglia di pesci, anche le taglie più piccole, rischiando di portare alcune specie sull’orlo dell’estinzione. Un’eventualità che porterebbe ad effetti devastanti per tutto l’ecosistema marino. Tutto questo mentre la richiesta di pesce da parte dei consumatori cresce in maniera costante; la soluzione sostenibile ai problemi prospettati può venire dall’acquacoltura. Lo sviluppo dell’acquacoltura rappresenta, quindi, il significativo passaggio da sistemi di approvvigionamento delle risorse ittiche basati sulla pura e semplice raccolta delle risorse presenti nelle acque, a pratiche produttive tecnologicamente più avanzate e controllate dall’uomo, che mirano ad una programmazione della produzione ed evitano l’impoverimento delle risorse naturali. Il mercato delle produzioni alimentari ha subito, negli ultimi decenni, profonde trasformazioni che hanno portato alla diffusione di produzioni su larga scala; aree di produzione sempre più lontane dai luoghi di consumo del prodotto; globalizzazione e ampliamento dei mercati. Tutto ciò ha determinato maggiori preoccupazioni per la salute del consumatore e soprattutto maggiore propensione del consumatore alla “scelta consapevole”. Cosa è la “scelta consapevole”? oggi l’attenzione dei consumatori si è ampliata passando dai soli requisiti di appetibilità del prodotto, al soddisfacimento di caratteristiche di qualità come, ad esempio, origine del prodotto, sicurezza dell’alimento, rispetto dell’ambiente. I consumatori sono quindi diventati più critici ed hanno iniziato ad esigere maggiori garanzie dai produttori in tema di qualità e sicurezza, due ambiti troppo spesso sacrificati nelle filiere industriali a vantaggio di scelte legate alla massimizzazione delle vendite e dei profitti. Negli anni si è visto come la qualità ma soprattutto la sicurezza alimentare può essere garantita grazie al cocetto di “filiera”. La filiera è stata definita dalla norma UNI 10939/2001 come: “l’insieme definito delle organizzazioni (od operatori) con i relativi flussi materiali che concorrono alla formazione, distribuzione, commercializzazione e fornitura di un prodotto alimentare”. Essa rappresenta, in sostanza, l’insieme di tutti i passaggi di trasformazione dalla materia prima al prodotto finito, compresi lo stoccaggio e l’imballaggio. L’accurata conoscenza di tutti i passaggi permette, quindi, di valutare e controllare con maggiore sicurezza il prodotto in esame. La filiera è documentata dalla tracciabilità, il sistema che descrive il percorso di un alimento “da monte a valle” e che permette, perciò, di fare rintracciabilità, ossia di ricostruire tale percorso. Il Reg. CE n. 178/02 stabilisce all’art. 18 la prima definizione di rintracciabilità come “la possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un alimento, di un mangime, di un animale destinato alla produzione alimentare e di qualsiasi altra sostanza destinata o atta ad entrare a far parte di un alimento o di un mangime, attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione”. A tal fine gli OSA devono essere in grado di individuare chi abbia fornito loro un alimento, un mangime, un animale destinato alla produzione alimentare o qualsiasi sostanza destinata a entrare a far parte di un alimento, e nello stesso tempo devono disporre di sistemi e procedure per individuare le imprese alle quali hanno fornito i propri prodotti. Risulta chiaro come le due fasi (tracciabilità e rintracciabilità), anche se indipendenti, sono strettamente connesse fra loro (non può esistere la rintracciabilità senza la tracciabilità) e rappresentano un valido mezzo per garantire la sicurezza del consumatore e la qualità del prodotto finale. La filiera pesca e acquacoltura Molto spesso quando si parla di filiera ittica ci si riferisce sia ai prodotti della pesca che ai prodotti dell’acquacoltura. Questa assimilazione risulta però non essere del tutto adeguata in quanto è più corretto distinguere tra: filiera della pesca e filiera dell’acquacoltura. La filiera della pesca comprende tutti i passaggi che un prodotto compie dalla fase di pesca fino alla vendita diretta al consumatore: pesca e manipolazione a bordo; sbarco del prodotto in apposite cassette; trasporto con veicoli refrigerati e prima commercializzazione; stoccaggio ed eventuale trasformazione; distribuzione all’ingrosso e al dettaglio. La filiera dei prodotti di allevamento presenta delle differenze con quella della pesca; prevede i seguenti passaggi: attività di allevamento; macellazione e trasporto; distribuzione all’ingrosso ed al dettaglio. Per garantire la sicurezza alimentare e per poter quindi bloccare in tempi rapidi eventuali casi di emergenza sanitaria, la normativa comunitaria e nazionale prevede che tutti i passaggi, sia della filiera della pesca che della filiera dell’acquacoltura, siano descritti e certificati, tanto da poter percorrere tutta la catena sia in un senso che nell’altro. Negli anni si è evidenziato che la messa in pratica di questi procedimenti determina una serie di ricadute positive sull’intero settore ittico, in quanto: è migliorata la sicurezza alimentare dei prodotti, perché si è favorita la gestione e l’intervento degli organi competenti per il controllo sanitario; la tracciabilità lungo tutta la filiera ha aumentato le informazioni ai consumatori e la capacità di comunicazione delle aziende, migliorando in generale la trasparenza di tutta la filiera. Bisogna però prestare molta attenzione, perché l’efficienza delle filiere destinate alla commercializzazione di prodotti deperibili, come i prodotti ittici, è molto più difficile da garantire rispetto ad una qualsiasi altra classica filiera industriale. Questo perché i prodotti ittici, sono molto più facilmente deperibili di qualsiasi altro prodotto alimentare. Un’errata gestione della filiera potrebbe, oltre a mettere a rischio la sicurezza alimentare, causare notevoli danni economici, in quanto il deterioramento potrebbe determinare la perdita delle caratteristiche qualitative che caratterizzano il profilo sensoriale e sanitario del prodotto stesso rendendolo praticamente invendibile. Quindi come agire? nella filiera dei prodotti ittici è di fondamentale importanza la cosiddetta COLD CHAIN (catena del freddo). Questo perché attraverso numerosi studi si è dimostrato come la velocità di deperimento è strettamente legata alla temperatura di conservazione, e quindi di conseguenza, attraverso il monitoraggio della temperatura di conservazione è possibile fermare il deperimento del prodotto. L’esperienza ha dimostrato che l’introduzione dei concetti di filiera e rintracciabilità in ambito ittico ha rappresentato un passaggio fondamentale nel garantire la sicurezza alimentare. E’ da ricordare, comunque, che la rintracciabilità, per quanto sia uno strumento valido ed efficace, non può da sola assicurare la sicurezza alimentare poiché quest’ultima si basa anche su azioni finalizzate alla prevenzione delle emergenze: Manuali di Corretta Prassi Igienica, HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points) e Manuali di Autocontrollo. La rintracciabilità, quindi, è solo uno dei punti su cui si basa la sicurezza alimentare ed interviene solo quando le azioni preventive falliscono e non sono sufficienti per evitare la commercializzazione di prodotti alimentari a rischio. La filiera dell’allevamento ittico in Sicilia L’acquacoltura consiste nell’allevamento di organismi acquatici mediante l’impiego di tecniche finalizzate ad aumentare, al di là delle capacità naturali dell'ambiente, la resa degli organismi in questione. Si esplica con il controllo, parziale o totale, del ciclo di sviluppo di tali organismi sia direttamente sia indirettamente. Tradizionalmente le produzioni vengono classificate tenendo conto degli ambienti di allevamento e della specie allevata, e conseguentemente si parla di acquacoltura marina e acquacoltura continentale. In ogni caso, la classificazione che tradizionalmente viene fatta nelle produzioni acquatiche tiene conto: delle metodologie di produzione; delle forme di acquacoltura; delle tipologie degli impianti di allevamento. Metodologie di produzione Le metodologie di produzione di pesce dall’allevamento sono essenzialmente riconducibili a due sistemi: allevamento in “piccoli volumi” e allevamento in “grandi volumi”. Il sistema dei piccoli volumi è quello maggiormente utilizzato nelle avannotterie commerciali con elevata produzione di capi per anno (oltre i 2-3 milioni); tale sistema è anche detto delle “acque chiare” e si basa sull’utilizzo di vasche di piccola o media dimensione (3-6 metri cubi) dove vengono immesse uova o larve appena schiuse. Durante i primi 40-50 giorni di allevamento larvale viene somministrato alimento vivo (zooplancton), dapprima rotiferi (Brachionus plicatilis) e successivamente artemia (Artemia salina), per poi passare progressivamente allo svezzamento con alimento inerte. Il sistema dei “grandi volumi”, anche detto delle “acque verdi”, oltre che utilizzare volumi più ampi (50-70 metri cubi), essenzialmente si basa sull’introduzione di larve in vasche dove precedentemente è stata innescata una coltura di fito e zooplancton, in modo da riprodurre condizioni assimilabili a quelle naturali. Forme di acquacoltura Nell’acquacoltura moderna, possiamo distinguere tre forme principali: a) agricolo - industriale; b) di ripopolamento; c) ornamentale. L’acquacoltura agricolo - industriale consiste nell’allevamento delle specie ittiche di maggior pregio economico, e fisiologicamente più note, partendo dall’uovo o dagli avannotti, per arrivare alla immissione del pesce maturo sui mercati di vendita L’acquacoltura di ripopolamento si occupa, invece, della fecondazione artificiale e dell’incubazione delle uova delle principali specie oggetto di pesca, per produrre esemplari che vengono seminati in acque pubbliche o private. L’acquacoltura ornamentale, infine, provvede al mantenimento, e talvolta alla riproduzione, di forme ornamentali, prevalentemente tropicali, di acqua salata o dolce. Il più comune esponente di questo mondo variopinto è il pesce rosso. Tipologie degli impianti di allevamento In funzione della capacità di controllo di alcuni parametri ambientali e in base anche al ruolo che l’uomo svolge nei confronti delle specie allevate, è possibile distinguere le seguenti pratiche produttive: acquacoltura estensiva, intensiva e semi-intensiva. La distinzione viene comunemente fatta in base alle procedure di alimentazione: se gli organismi si alimentano su catene trofiche naturali si parla di allevamento di tipo estensivo. Se invece si ha una totale introduzione del cibo dall’esterno, sotto forma di mangime, si parla di allevamento intensivo. Viene talvolta utilizzata la definizione di acquicoltura semi-intensiva (o semi-estensiva), per indicare sia differenti livelli di integrazione ad una base alimentare naturale, sia per indicare una provenienza del novellame da riproduzione artificiale. Normativa del settore acquacoltura Oggi l’obiettivo, anche in ambito comunitario, della normativa è focalizzato sull’esigenza di garantire la sostenibilità del settore a livello ambientale, economico e sociale, tutelando l’habitat naturale e assicurando, nel contempo, un congruo reddito agli operatori e la sicurezza alimentare dei consumatori. Proprio la sicurezza alimentare dei consumatori sta trovando sempre più spazio a livello normativo, partendo dal presupposto che questa può essere garantita soltanto attraverso la prevenzione e l’applicazione di specifiche disposizioni e pratiche lavorative da rispettare lungo tutta la filiera dell’allevamento ittico. Sulla base di tali considerazioni è stato emanato, in recepimento della normativa Direttiva 2006/88/CE, il Decreto Legislativo n. 148/08. Il decreto legislativo 4 agosto 2008 n. 148 ha lo scopo di stabilire le norme di polizia sanitaria che disciplinano l’immissione sul mercato, l’importazione e il transito degli animali di acquacoltura su tutto il territorio nazionale. Il decreto stabilisce inoltre le misure preventive minime riguardo alle malattie negli animali d’acquacoltura, e le misure minime di lotta da applicarsi in caso di sospetta o confermata presenza di malattia. I principali aspetti salienti del decreto riguardano: registrazione, riconoscimento e autorizzazione delle aziende; controlli sanitari sui prodotti d’acquacoltura, con particolare attenzione ai compiti dell’OSA (Operatore del Settore Alimentare) e dell’Autorità competente; certificazioni sanitarie; misure di controllo delle malattie infettive; riconoscimento dello status di indennità da malattia; determinazione del livello di rischio delle aziende. L’acquacoltura in Italia In Italia, l’attività di acquacoltura è basata su tre prodotti, che incidono per oltre l’85% sulla produzione totale: le trote, che sono al primo posto con circa 40.000 t, seguite da orate e spigole, la cui produzione si attesta intorno alle 10.000 t. Tra gli “altri pesci” rientrano tutte quelle categorie di cui ancora non è molto diffuso l’allevamento, principalmente perché non si conoscono molto bene i meccanismi riproduttivi e il loro tipo di alimentazione. L’acqucoltura in Sicilia Anche in Sicilia l’acquacoltura è un’attività molto diffusa con numerose aziende diffuse lungo tutto il territorio costiero. La moderna acquacoltura siciliana è caratterizzata quasi esclusivamente dall’allevamento di spigole ed orate, con una produzione di circa 2.000-3.000 t/anno. In Sicilia vengono utilizzati fondamentalmente 3 tipi di impianto: l’allevamento in gabbie galleggianti, che rappresenta la più comune metodologia utilizzata con otto impianti; l’allevamento in vasche a terra di cui abbiamo solamente due impianti industriali; e infine le due avannotterie esistenti nella Regione, a Marsala ed a Lampedusa. L’impianto di acquacoltura dai riproduttori agli avannotti Con il termine avannotto si indicano i piccoli nati dei pesci, dal momento in cui assumono le sembianze dell'adulto, quindi appena finita la fase larvale. Le loro dimensioni vanno da alcuni decimi di millimetro a qualche cm. L’azienda da noi analizzata è una delle avannotterie più all’avanguardia di tutta Italia e d’Europa. Lo scopo dell’impianto di acquacoltura è l’allevamento intensivo di avannotti di spigole e orate. L’impianto è costituito dai seguenti reparti: 1. Area riproduzione e deposizione al coperto (foto-termoperiodo); 2. Area riproduzione e deposizione all’aperto; 3. Schiuditoio; 4. Area produzione Fitoplancton; 5. Area produzione Rotiferi (Brachionus Plicatilis); 6. Area produzione Artemia Salina; 7. Settore di accrescimento larvale (nursery); 8. Settore preingrasso. L’acqua utilizzata per l’allevamento degli animali è prelevata, attraverso una stazione di pompaggio, direttamente dallo specchio di acqua marina antistante. Prima di arrivare alle vasche di allevamento è previsto un passaggio attraverso una serie di filtri meccanici per abbattere al minimo le particelle in sospensione. Successivamente alla filtrazione, l’acqua è sottoposta ad un processo di sterilizzazione attraverso il passaggio forzato in un circuito a raggi UV. In seguito ai trattamenti di filtrazione e sterilizzazione l’acqua passa in un collettore che permette di far giungere l’acqua a tutti i vari reparti. Tutti i reflui provenienti dai vari settori dell’avannotteria, invece, prima di essere reimmessi in mare transitano da un canale di decantazione in cui le particelle più pesanti si separano dalla parte liquida prima di essere rigettata in mare. Ciclo di allevamento Il ciclo di allevamento è diviso in 4 fasi: 1. Fase di riproduzione e deposizione; 2. Fase di schiusa; 3. Fase di accrescimento larvale; 4. Fase di preingrasso. Ognuna di queste fasi è svolta in una zona stabilita e ben delimitata dell’impianto produttivo. 1. Fase di riproduzione e deposizione La fase di riproduzione è la prima fase del ciclo di allevamento. I riproduttori presenti nell’impianto sono tutti selvatici (vengono pescati in mare) e di ottima qualità. Riconoscere un buon riproduttore non è per niente semplice, in quanto occorrono una notevole esperienza e competenza. In genere per valutare la qualità di un riproduttore vengono controllate le seguenti caratteristiche: la forma, in quanto il pesce non deve avere malformazioni; gli occhi e la distanza degli occhi l’uno dall’altro; il posto da dove vengono pescati, che ovviamente deve essere il più lontano possibile dai centri abitati e agglomerati industriali per evitare la presenza di scarichi urbani e industriali. Come già accennato, all’interno dell’impianto abbiamo due aeree di riproduzione: un’area riproduzione e deposizione al coperto (foto-termoperiodo), ed un’area riproduzione e deposizione all’aperto. L’aerea di riproduzione e deposizione all’aperto consente la riproduzione e la deposizione delle uova in maniera naturale, che si verifica in autunno-inverno, in particolare tra ottobre e dicembre, mesi in cui la temperatura è naturalmente intorno a 14-15°C e le ore di luce si aggirano all’incirca intorno a 7. L’area di riproduzione e deposizione al coperto, invece, usa il sistema del cosiddetto fototermoperiodo. Numerose specie allevate sincronizzano l’orologio biologico interno sui cicli di luce e di temperatura dell’ambiente in cui vivono; questi fenomeni vengono sfruttati dagli allevatori per ottenere la riproduzione al di fuori delle stagioni naturali. Il foto-termoperiodo consente quindi all’allevatore di manipolare il ciclo riproduttivo naturale ed estendere il periodo produttivo al di fuori delle fasi naturali. Il vantaggio principale dell’applicazione del foto-termoperiodo è che riduce la stagionalità del lavoro nelle avannotterie, permettendo di disporre di prodotto a taglia commerciale in tutti i periodi dell’anno. L’adattamento dei riproduttori a questi cicli richiede però tempi lunghi (circa 4-6 mesi), e notevoli investimenti necessari per creare: locali attrezzati con lampade che riproducano l’effetto alba-tramonto; teloni per ricreare condizioni di buio completo; sistemi di raffreddamento e riscaldamento dell’acqua; software e controllo computerizzato. Bisogna inoltre ricordare che all’interno dell’impianto il foto-termoperiodo viene utilizzato per avere uova al massimo per 6-8 mesi l’anno e non per l’intero anno solare; questo perché nei mesi estivi (luglio e agosto in particolare) il mantenimento di temperature così basse all’interno dell’area di riproduzione comporterebbe un consumo energetico ed un dispendio economico eccessivo. In ogni vasca è fondamentale controllare 3 parametri: luce (durata e intensità), temperatura, concentrazione di ossigeno. La regolazione della luce avviene grazie ad una lampada neon posizionata al centro della vasca; la temperatura e la concentrazione di ossigeno vengono invece monitorati costantemente da due sonde posizionate all’interno della vasca. I riproduttori vengono collocati in vasche da riproduzione di forma rettangolare con una densità media di 10 individui per vasca, solitamente collocati in un rapporto di 7 femmine e 3 maschi. Come avviene la riproduzione? La riproduzione avviene in due fasi: i riproduttori femmina mantenuti in stabulazione, iniziano a deporre spontaneamente le uova. Le uova emesse vengono fecondate dai maschi naturalmente e spontaneamente all’interno delle stesse vasche. Le uova fecondate hanno una densità inferiore rispetto a quella dell’acqua di mare, pertanto galleggiano in superficie; diversamente le uova non feconde, o comunque non adatte per il proseguimento dello sviluppo embrionale, tenderanno a precipitare al fondo. Le uova galleggianti vengono raccolte attraverso un filtro. A questo punto le uova vengono prelevate dal filtro e trasferite negli appositi schiuditoi per l’inizio della seconda fase di allevamento: LA FASE DI SCHIUSA. 2. Fase di schiusa Gli schiuditoi sono vasche cilindrico-coniche da 500 litri. La forma conica è appositamente voluta per permettere di raccogliere sul fondo ed allontanare facilmente, tramite apposite tubazioni, le uova morte ed i gusci dopo la schiusa. All’interno degli schiuditoi è fondamentale mantenere il buio totale, questo perché la luce diretta interferirebbe (negativamente) con lo sviluppo delle uova; inoltre in questa fase è molto importante controllare la temperatura, che deve essere mantenuta tra 13°C e 18°C. Una volte trasferite negli schiuditoi, dopo circa 2-3 giorni, le uova si schiudono dando vita alle larve; in questa fase non vi è alimentazione dall’esterno poiché le larve appena nate riescono a sopravvivere e svilupparsi nutrendosi del proprio sacco vitellino. Successivamente, tra il quarto ed il sesto giorno dal trasferimento negli schiuditoi, in seguito all’apertura della cavità buccale, le larve vengono trasferite in apposite vasche di accrescimento larvale (nursery). 3. Fase di accrescimento larvale Il reparto nursery è costituito da 10 vasche circolari da 60-70 metri cubi ciascuna, contenenti singolarmente all’incirca 1 milione di avannotti. L’utilizzo di questi grandi volumi, o mesocosmi, è un sistema di nursery innovativo e completamente diverso dal sistema tradizionale. In un sistema tradizionale (o dei piccoli volumi) vengono utilizzate vasche di 2-3 metri cubi all’interno delle quali vengono inseriti da 800.000 fino ad 1 milione di larve; nel sistema dei grandi volumi, invece, la stessa quantità di larve viene inserita in vasche di dimensioni notevolmente superiori (60-70 metri cubi). Di conseguenza è facile intuire che vi è una differenza notevole tra i due sistemi: nel sistema tradizionale, le larve hanno poca libertà di movimento e praticamente per alimentarsi devono semplicemente aprire la bocca e nutrirsi; nel sistema dei grandi volumi, invece, le larve hanno una notevole libertà di movimento e per alimentarsi devono essere in grado di predare; poiché solo le larve che sono nate perfettamente sane possiedono la capacità di predare, si viene a creare una selezione naturale che permette di aumentare considerevolmente la qualità del prodotto. Una caratteristica dell’impianto è che la fase di accrescimento larvale avviene in “acqua verde”: all’interno delle vasche vengono inserite microalghe fitoplantoniche prodotte all’interno dell’impianto stesso. La presenza delle microalghe in vasca è molto importante perché esse svolgono una triplice funzione: sono un alimento per i rotiferi inseriti in vasca; sono un batteriostatico naturale (consentono di controllare in maniera efficace la carica batterica); filtrano la luce (che in maniera diretta darebbe fastidio alle larve). Nella nursery si verificano due fenomeni molto importanti, che allo stesso tempo rappresentano i due momenti più critici di questa fase: la formazione della vescica natatoria, che si verifica intorno all’8°-15° giorno, e lo svezzamento, che avviene tra il 55° ed il 65° giorno. Proprio per questo motivo, in questa fase, è fondamentale l’alimentazione: alle larve non deve mai mancare il cibo, perché l’assenza di nutrimento (anche per brevi periodi) è fonte di notevole stress per l’animale, che può andare incontro a gravi conseguenze quali una scarsa qualità del prodotto, la comparsa di malformazioni o, peggio ancora, il mancato sviluppo della vescica natatoria (che fa andare incontro a morte l’animale). Il ciclo di produzione dei mangimi Contemporaneamente al processo di produzione degli avannotti è di fondamentale importanza far partire il ciclo di produzione dei mangimi. All’interno dell’impianto i mangimi vivi vengono preparati separatamente, ognuno in un apposito settore: sala fito settore in cui avviene il ciclo algale che si conclude con la produzione di microalghe; sala rotiferi settore in cui vengono prodotti i rotiferi; sala artemia settore in cui viene fatta nascere e crescere l’artemia salina. Sala fito La produzione di microalghe viene effettuata in sacchi di polietilene di 280 litri posti in un’apposita sala in cui la temperatura viene mantenuta a 20°C. Le colture vengono mantenute all’interno dei sacchi per circa una settimana passando da 2-3 milioni di cellule per ml di partenza, fino ad arrivare a 15-20 milioni di cellule per ml. Una volta finita la riproduzione algale (che viene valutata in base alla colorazione della coltura), il ciclo si conclude prelevando le microalghe dai sacchi e avviandole ai reparti successivi per i vari utilizzi previsti. All’interno dell’impianto vi è un’apposita sala contenente i cosiddetti fotobioreattori. Il principio di funzionamento è esattamente lo stesso dei sacchi in polietilene; la peculiarità di questi attrezzi è però che si raggiungono, al termine del ciclo algale, densità di cellule altissime (circa 1,5 miliardi di cellule per ml). I fotobioreattori possono essere a colonna o a pannello e, data la maggiore densità algale, richiedono un controllo ancora più accurato. Il sistema dei fotobioreattori, nonostante richieda un investimento iniziale maggiore ed un consumo energetico notevole, presenta, rispetto ai sacchi in polietilene, due vantaggi significativi: permette, a parità di tempo impiegato (1 settimana circa), la produzione di una quantità di microalghe notevolmente superiore (1,5 miliardi di cellule per ml contro 15-20 milioni di cellule per ml); la pasta algale che viene estratta può essere conservata a temperature di 4-5°C (in frigorifero) fino ad un mese dal prelievo, costituendo una preziosa riserva di cibo per le larve in caso di necessità. Sala rotiferi Dopo aver parlato delle microalghe parliamo adesso dei rotiferi. I rotiferi sono dei piccoli organismi viventi che fanno parte dello zooplancton marino. Sono molto importanti perché vengono utilizzati come alimento per le larve nei primi giorni di vita. La produzione dei rotiferi avviene in delle apposite vasche in vetroresina quadrate con fondo conico della capienza di 3.000 litri. Una volta in vasca particolare attenzione viene rivolta all’alimentazione dei rotiferi, dato che ad essa sono strettamente legate le caratteristiche nutrizionali finali del rotifero. All’interno dell’impianto, l’alimentazione dei rotiferi viene effettuata con una somministrazione quotidiana di microalghe e Saccharomyces cerevisiae (il comune lievito di birra). In questa fase è di fondamentale importanza effettuare costantemente la verifica dello stato delle colture. La principale operazione consiste nel valutare il colore della coltura: esso risulterà tendente al verde, se la concentrazione di rotiferi è bassa, mentre tende al giallo-marrone chiaro quando è in atto una notevole moltiplicazione. La coltura dei rotiferi dura circa 6 giorni, passando da 2 – 3 milioni di rotiferi per vasca al momento dell’avviamento, a 20 – 30 milioni di rotiferi per vasca al termine della moltiplicazione. Una volta pronti, i rotiferi passano attraverso dei concentratori, ossia dei filtri che servono per effettuare il lavaggio dei rotiferi. Finito il lavaggio, i rotiferi vengono prelevati dai concentratori e riavviati alle vasche per una procedura di arricchimento in cui all’acqua verranno aggiunte due soluzioni: una soluzione ricca di vitamine (B1, B2 e C); una soluzione in grado di aumentare la concentrazione finale degli acidi grassi polinsaturi essenziali (Polyunsaturated Fatty Acid – PUFA) al loro interno. Finito l’arricchimento (che dura 24 ore circa) i rotiferi vengono nuovamente lavati nei concentratori per 2-3 ore e successivamente prelevati e somministrati alle larve. Sala artemia Le larve dei pesci marini maggiormente allevati (orata e spigola) dopo la fase in cui si alimentano di rotiferi, devono assumere un’ulteriore tipologia di alimento vivo prima di passare all’assunzione di cibo inerte (mangime): l’artemia salina. L’artemia salina è un piccolo crostaceo che in base alle dimensioni si divide in: artemia EG (artemia grande) e artemia AF (artemia piccola). La preparazione dell’artemia avviene all’interno di una apposita sala (denominata sala artemia) contenente 8 vasche per l’artemia EG e 6 vasche per l’artemia AF. L’artemia arriva all’impianto sotto forma di cisti disidratate. Le cisti disidratate vengono pesate e messe ad idratare per circa un’ora. Successivamente vengono poste nelle apposite vasche e schiudono nell’arco di 24 ore ad una temperatura di 30°C e sono pronti per la raccolta e la somministrazione alle larve. 4. Fase di preingrasso Terminata la fase di accrescimento larvale, gli avannotti vengono trasferiti nelle vasche di preingrasso e qui stabulati fino alla vendita. Il preingrasso dura all’incirca 5-6 mesi cioè fino a quando gli avannotti raggiungono il peso di 2-3 grammi. Nelle vasche di preingrasso ai pesci viene gradatamente sostituito il mangime vivo con l’inerte. In questa fase bisogna prestare molta attenzione poiché il passaggio, se effettuato in maniera troppo rapida, può comportare uno stress eccessivo per il pesce. L’alimentazione avviene con due modalità differenti in base al tipo di mangime: se si tratta di mangime vivo (artemia EG) allora questo sarà immesso nella vasca da un operatore; se si tratta di mangime inerte allora questo verrà immesso tramite dei dispositivi automatici. I mangimi inerti, per garantire un sistema ufficiale di controllo lungo l’intera filiera alimentare e un elevato livello di protezione della salute umana, animale e dell’ambiente, vengono sottoposti, nell’ambito del PNAA (Piano Nazionale Alimentazione Animale), a campionamento da parte dei Tecnici della Prevenzione dell’ASP 1 volta l’anno. I campioni prelevati vengono analizzati per effettuare la ricerca di: proteine animali trasformate non ammesse nei mangimi; principi farmacologicamente attivi e additivi; sostanze indesiderabili e contaminanti ambientali (micotossine, diossine, melamina); organismi geneticamente modificati (OGM). Questa procedura garantisce la piena tracciabilità del prodotto e la massima qualità e sicurezza alimentare. Nella fase di preingrasso un particolare tipo di problema a cui occorre fare particolarmente attenzione è il cannibalismo. Durante questa fase non tutti i pesci si sviluppano con la stessa velocità; questo fa si che nella stessa vasca siano presenti contemporaneamente pesci più grossi e sviluppati e pesci più piccoli e meno sviluppati. Può succedere che i pesci più grossi seguano il loro istinto naturale e caccino i pesci più piccoli, determinando un aumento notevole della mortalità che potrebbe avere effetti devastanti sulla produzione finale. Per evitare il fenomeno del cannibalismo gli avannotti subiscono diverse manipolazioni al fine di suddividere attraverso una selezione meccanica i gruppi di animali con accrescimenti diversi. Nel compiere tali operazioni bisogna prestare parecchia attenzione, poiché causano nell’animale una certa forma di stress che può tradursi nella comparsa di patologie di diverso tipo. La pesca e il carico Finita la fase di preingrasso, gli avannotti sono pronti per essere pescati; la pesca è una fase molto delicata poiché il pesce viene sottoposto ad un notevole stress fisico. Per iniziare le operazioni di pesca gli avannotti vengono raccolti all’interno di una rete, che viene tirata in superficie dagli operatori. A questo punto, viene somministrato un anestetico che serve per “addormentare” gli avannotti, riducendo così lo stress fisico a loro carico. Dopo aver aspettato alcuni secondi, per consentire all’anestetico di fare effetto, gli avannotti cominciano ad essere prelevati tramite un secchio forato che consente la fuoriuscita e lo scolo dell’acqua. Successivamente i pesci vengono pesati e trasferiti in un apposito camion per il trasporto. Il trasporto a destinazione deve avvenire massimo in 5 giorni e deve avvenire mantenendo la temperatura dell’acqua di trasporto compresa tra 15 e 23°C. La sicurezza alimentare ed il benessere animale Oggi, la sicurezza alimentare del prodotto finale rappresenta sempre di più un prerequisito di qualità. Ciò presuppone che tutte le fasi del ciclo produttivo siano soggette a controlli ed a costante monitoraggio sia nell’ambito di procedure di autocontrollo volontario da parte dell’allevatore, sia da parte degli organi del servizio sanitario nazionale che verificano periodicamente tutte le fasi della filiera produttiva dei prodotti ittici Negli ultimi anni, un notevole interesse di natura pubblica, politica e commerciale si sta sviluppando relativamente al benessere animale, tanto che per l’anno 2012, nell’ambito del Piano Nazionale Benessere Animale, il benessere animale è stato inserito come obiettivo aziendale del Dipartimento di prevenzione veterinario dell’ASP 6 di Palermo e come obiettivo regionale L.E.A. (Livelli Essenziali di Assistenza). All’interno dell’impianto oggetto di studio, sono numerose le strategie messe in atto in ogni fase dell’allevamento per garantire il benessere animale. Innanzitutto i riproduttori: vengono alimentati solo con magimi naturali, e stabulati con una densità in vasca molto bassa, che consente un’ampia libertà di movimento. Lo stesso principio viene applicato nella nursery, in cui si ha una densità in vasca molto bassa garantendo ancora una volta una libertà di movimento notevole. Sempre nella fase di nursery, ulteriore garanzia di benessere del pesce allevato è rappresentata dall’utilizzo di acqua verde, e dall’utilizzo di mangime vivo. Un’altra strategia prevede l’utilizzo di lievito come alimento per rotiferi: questa tecnica consente di somministrare alle larve nei primi giorni di vita solo alimenti al cento per cento naturali, evitando così qualsiasi forma di stress per l’intestino dell’animale che non è ancora completamente formato. Nel preingrasso la fase che comporta lo stress maggiore è il passaggio dal mangime vivo al mangime inerte; proprio per questo lo svezzamento viene effettuato in maniera graduale. Inoltre la selezione meccanica effettuata giornalmente consente di contrastare il fenomeno del cannibalismo. Durante la pesca, fase che può sottoporre il pesce ad un notevole stress fisico, le strategie per garantire il più alto livello di benessere possibile per l’animale sono fondamentalmente 2: la somministrazione dell’anestetico prima della pesca per ridurre lo stress fisico; il trasferimento immediato del pesce all’interno delle vasche del camion di trasporto. Infine, l’attenzione dedicata all’alimentazione, alla luce, alla temperatura e all’ossigeno in vasca durante tutte le varie fasi garantisce un elevato benessere dell’animale e avvicina notevolmente le condizioni in vasca alle condizioni naturali di mare aperto. L’impiego di risorse e mezzi viene ampiamente ripagato in termini di qualità del prodotto, perché garantire il benessere del pesce allevato e la tracciabilità lungo tutta la filiera significa garantire la sicurezza alimentare, portando sulle tavole un prodotto di qualità, capace di tutelare il cittadino non solo in quanto diretto consumatore ma anche come persona.