Dopo l`infortunio la vita continua

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Dopo l`infortunio la vita continua
6 giugno 2013
M
ZIN
A
G
A
E
RITORNO AL LAVORO
Redazione: Piazza Cavour 17 - 00193 Roma • Poste Italiane spa – Spedizione in abbonamento postale 70% - Roma
Dopo l’infortunio
la vita continua
ANDY HOLZER
Sulle vette del mondo
senza vederle
DANIMARCA
Giovani con autismo
nel business dell’informatica
EDITORIALE
di Luigi Sorrentini
Direttore Centrale Reggente Riabilitazione e Protesi, Inail
Di nuovo al lavoro dopo l’infortunio.
Storie, problemi e buone prassi
S
econdo uno studio dell’Ufficio per i diritti dei portatori di handicap delle
Nazioni Unite, nei soli Paesi industrializzati sarebbero oltre la metà, con
punte fino al 70%, le persone affette da qualche forma di disabilità, ma in
grado di lavorare, a non riuscire a trovare un impiego. Ma il lavoro è un valore,
un progetto di vita, è identità personale, sociale e relazionale. E, come spiega la
psicologa Maria Grazia Giulianelli nell’inchiesta di questo numero, rientrare al
lavoro là dove è avvenuto l’infortunio, oppure in un altro ambiente se la disabilità costringe a cambiare occupazione, significa comunque recuperare un’immagine positiva di se stessi e ritrovare quel quotidiano che si credeva perduto.
Parlare di reinserimento lavorativo delle persone con disabilità appare oggi, in piena crisi economica internazionale, quasi un’utopia. Ma promuovere l’inserimento e l’integrazione nel mondo del lavoro attraverso servizi
di sostegno e di collocamento mirato è l’obiettivo primario che lo Stato si è dato emanando la legge 68/99. Legge avanzata, solidale e innovativa ma che resta in parte inapplicata, perché non in tutte le
realtà hanno funzionato quegli interventi “in rete” fra differenti
soggetti territoriali preposti al cosiddetto “collocamento mirato”.
L’Inail, nell’ambito di una progettualità condivisa a livello locale, sostiene il reinserimento lavorativo degli infortunati sia attraverso la concessione di protesi e ausili tecnologicamente
avanzati – e che quindi facilitano la ripresa delle attività – sia supportando la realizzazione di interventi finalizzati all’incremento delle opportunità occupazionali, come nel caso dell’orientamento lavorativo,
del counselling motivazionale, della definizione di un adeguato profilo professionale, del job coaching e della mediazione lavorativa, del raccordo con il sistema economico produttivo locale e con la rete dei servizi territoriali. È il caso del
progetto della Sede di Vicenza con la cooperativa sociale Easy e con il Centro per
l’impiego di Schio-Thiene e Silas, oppure quello delle tre Sedi di Torino e della
Fondazione Adecco denominato “Sfida” o ancora il progetto “Ergon”, frutto della collaborazione tra l’Inail di Trento, la cooperativa sociale Archè e l’Azienda di
promozione turistica della Valsugana.
Il motore di questa progettualità è costituito dal servizio sociale dell’Istituto, fatto di forze giovani, la maggior parte donne che, con elevata professionalità e dedizione, cercano di fornire risposte adeguate ai bisogni individuali
delle persone in difficoltà e alle storie di vita dei singoli.
3
La forza dell’impegno
Rimettersi in gioco dopo un incidente,
trovare un impiego adatto alle proprie
caratteristiche individuali, continuare
a impegnarsi alacremente per il proprio
reinserimento socio-lavorativo. È il lavoro
il filo conduttore del numero di giugno di
SuperAbile Magazine, inteso non
solo come dato occupazionale
ma soprattutto come
strumento di costruzione
del proprio futuro e
di quello degli altri.
Perché questa è la
storia che la nostra
rivista va raccontando
dall’inizio: quella di chi
non accetta passivamente
la situazione data, ma
investe tutte le proprie energie
nella realizzazione di una vita più
vicina ai propri desideri. Come I meravigliati
fotografati da Ilaria Scarpa, che combattono
ogni giorno per superare i confini del
proprio disagio psichico, in una continua
ricerca di se stessi. O i tanti infortunati
sul lavoro che decidono di rimettersi in
gioco, tornando alla vecchia occupazione o
inventandosi nuove professioni.
NUMERO sei Giugno 2013
EDITORIALE
3 Di nuovo al lavoro dopo
l’infortunio. Storie, problemi
e buone prassi
di Luigi Sorrentini
ACCADE CHE...
5 Boom di iscritti all’università
CRONACHE italiane
il cartellino
di Michela Trigari
11 Sì al supporto psicologico:
il parere di una professionista
di M.T.
di figlio autistico
di Antonella Patete
34 Nick, l’autismo supera il dolore.
Con qualche ingenuità
di A.S.
35 Io regista e vittima
del Contergan
di A.P.
di Antonio Storto
PORTFOLIO
26 Daniela che salta nel cerchio
SPORT
di Marta Rovagna
RUBRICHE
Tempo libero
36 Inail... per saperne di più
28 Sassi per tutti. Matera
Direttore: Luigi Sorrentini
Errata corrige: sul numero di maggio,
a pag. 36, abbiamo erroneamente
attribuito l’articolo sulle prestazioni
protesiche e riabilitative a Simone
Ramella, mentre l’autrice è Simona
Amadesi. Ce ne scusiamo con gli
interessati.
In redazione: Antonella Patete, Laura
Badaracchi e Diego Marsicano
Direttore responsabile: Stefano Trasatti
Hanno collaborato: Carla Chiaramoni,
Giorgia Gay, Elisabetta Proietti, Marta
Rovagna, Antonio Storto, Michela Trigari
di Redattore Sociale; Franco Bomprezzi,
Gian Piero Ventura Mazzuca; Erica
Battaglia, Rosanna Giovèdi, Gabriela
Maucci e Francesca Tulli del Consorzio
sociale Coin
Progetto grafico: Giulio Sansonetti
40
41
41
Abigal e il ritorno all’autonomia Dulcis in fundo
42 Strissie - I pupassi
Pluriminorazioni.
di Adriana Farina
Le provvidenze cumulabili
e Massimiliano Filadoro
38 Tempo libero
Prenotare le vacanze? Sempre
più on line
39 L’esperto risponde
Lavoro, Formazione
con altri occhi
di Laura Badaracchi
Anno II - numero sei, giugno 2013
40
Altro che
di Carla Chiaramoni
Anno europeo, dieci anni dopo
di Gian Piero Ventura Mazzuca
Una nuova dimora per Alcatraz
di E.P.
Le parole per dirlo
Partecipazione
di Franco Bomprezzi
Quando la disabilità
dimenticata sale sul piedistallo
di M.T.
37 Previdenza
INSUPERABILI
Superabile Magazine
PINZILLACCHERE
40 Il pranzo della domenica
si rinnova
di Giorgia Gay
16 Guardare le vette
di L.B.
31 Cercasi uomo per madre single
oltreconfine
auto-aiuto per infortunati
e familiari
8 Quelli che ritimbrano
20 Un lavoro da specialist people
22 Psichica mente
L’INCHIESTA
30 Va in onda l’inchiesta morale
di Elisabetta Proietti
negli ultimi dieci anni
6 A Roma tornano i gruppi di
CULTURA
18 Il Cem non deve morire
Editore: Istituto Nazionale
per l’Assicurazione contro gli Infortuni
sul Lavoro
Redazione: Superabile Magazine
c/o agenzia di stampa Redattore Sociale
Piazza Cavour 17 - 00193 Roma
E-mail: [email protected]
Stampa: Tipografia Inail
Via Boncompagni 41 - 20139 Milano
Autorizzazione del Tribunale di Roma
numero 45 del 13/2/2012
4
Un ringraziamento, per averci
gentilmente concesso l’uso delle foto, a
Eu-Osha (Agenzia europea per la sicurezza
e la salute sul lavoro) (pagg. 1, 3-4, 8-15),
Anna Grazia Giulianelli (pag. 11), Martin
Kopfsguter (pag. 16), Centro educazione
motoria (pagg. 18-19), Specialist people
(pag. 20), Michelangelo Gratton (pag. 26),
SassieMurgia (pagg. 28-29), redazione di
QuiBrescia.it (pag. 41).
In copertina: Grow up (Crescere). Foto
di Isa Kurt, Istanbul. Lo scatto ha vinto il
secondo premio al concorso paneuropeo
promosso nel 2011 dall’Eu-Osha.
ACCADE CHE...
UNIVERSITÀ
tre atenei del Sud: l’Università
Parthenope e l’Orientale
(entrambe di Napoli) e l’Università
del Salento. La valutazione è
per il superamento degli esami
stata fatta sulla base dei dati
universitari. In base a questi
Miur, Almalaurea, Stella e Istat.
criteri, secondo una classifica
A guidare la classifica, è quindi il
Politecnico di Milano, dove è stato
recentemente stilata dal Sole 24
Ore, le migliori università italiane costituito un gruppo di lavoro
per studenti con disabilità sono il composto da professionisti capaci
Politecnico di Milano, il Politecnico di intervenire in ogni momento del
di Torino e l’Università di Modena percorso formativo, offrendo agli
e Reggio Emilia. Agli ultimi posti, studenti con disabilità supporto
personalizzato e servizi tecnici e
didattici. Nelle graduatorie annuali
per l’assegnazione di alloggi, viene
inoltre riconosciuta una priorità
agli studenti con invalidità non
inferiore al 66%, i quali sono anche
esonerati dalla tassa d’iscrizione e
dai contributi universitari. Maglia
nera invece per le università di
Napoli e del Salento, dove i servizi
di accoglienza e tutoraggio per
gli studenti disabili faticano a
decollare.
Boom di iscritti: negli ultimi dieci anni
10mila matricole in più
D
a 4.816 a 14.171: è una vera e
propria impennata la crescita
del numero di studenti con
disabilità iscritti negli atenei
italiani dal 2000-2001 al 2010-2011.
Negli ultimi dieci anni, dunque, a
bussare alle porte delle università
sono stati 10mila studenti in più.
E il merito – almeno in parte – va
attribuito alla legge 17/1999,
che impone agli atenei di
adottare un approccio di tipo
sistematico in materia di
integrazione e supporto
agli studenti disabili,
garantendo sussidi tecnici
e didattici specifici,
tutorato specializzato, un
docente delegato dal rettore
per funzioni di coordinamento,
monitoraggio e supporto e
trattamento individualizzato
vacanze
Arrivano bagnini e albergatori
“autismo friendly”
V
acanze amiche dei ragazzi autistici e delle loro
famiglie. È l’obiettivo di “Autismo friendly beach”,
un progetto per formare bagnini e albergatori
della Riviera promosso dall’associazione di genitori
Rimini Autismo. «A casa c’è l’aiuto di amici, parenti
ed educatori – spiega il presidente Enrico Maria
Fantaguzzi –. Al mare, invece, è raro trovare un
ambiente adatto ai propri figli». Grazie al logo sulle
magliette degli operatori vacanzieri, le famiglie
potranno riconoscere i luoghi che aderiscono
all’iniziativa. Ma la onlus ha pensato anche di
realizzare delle targhette per localizzare tramite Gps
e smartphone i bambini che si sono persi in spiaggia
e di promuovere un corso per ragazzi autistici che,
la prossima estate, potranno aiutare i bagnini a
mettere a posto lettini e ombrelloni.
BELLUNO
Il Centro del libro parlato
a rischio chiusura
G
arantita solo fino al 2016 l’attività del Centro del
libro parlato di Feltre, nel bellunese. Il motivo è
legato al taglio del 50% dei finanziamenti pubblici
subito nell’ultimo anno, che si concretizza in
«140mila euro in meno a fronte di un bilancio di circa
500mila euro», spiegano il presidente Flavio Devetag
e il vicedirettore Piero Reghin. E senza fondi questa
“banca della voce” potrebbe chiudere. Inoltre «due
dipendenti sono stati licenziati, mentre gli altri dieci
si sono visti ridotti le ore e lo stipendio del 20%». Da
30 anni il centro offre i suoi servizi alle biblioteche
e a oltre 1.300 persone con disturbi della vista,
trasferendo in lettura registrata più di 15mila opere
tra libri, periodici e spartiti musicali in braille. Infine
è naufragata l’idea di portare nel veneto il secondo
museo tattile d’Italia, dopo quello di Ancona.
5
“Freedom to move.
L’accessibilità che
vogliamo”. Una
campagna per il
turismo accessibile
rivolta alle persone
con disabilità motoria
e alle loro famiglie.
Voluta dal Centro clinico
Nemo di Milano, in
collaborazione con la
Uildm (Unione italiana
lotta alla distrofia
muscolare) e il servizio
Hotel.info, sono state
testate alcune strutture
alberghiere in base alla
presenza o meno di
barriere. E la prospettiva
è quella di allargare il
raggio d’azione anche
a ristoranti, cinema, e
musei. Per informazioni:
Freedomtomove.it.
ACCADE CHE...
Si è aperto il casting
di “Modelle & rotelle”,
la sfilata di moda
organizzata dalla
Fondazione Vertical di
Roma per raccogliere
fondi in favore della
ricerca sulla lesione
spinale e la cura della
paralisi, rafforzare
l’autostima delle
persone mielolese,
sensibilizzare
l’opinione pubblica e le
istituzioni. Ma la vera
novità di questa terza
edizione è che possono
partecipare anche gli
uomini.
Cosa fare per iscriversi
al concorso? Basta
essere in sedia a
ruote, compilare il
modulo on line sul
sito Modellerotelle.it e
inviare tre foto.
teatro
“StupendaMente” in scena
con Shakespeare
S
ul palco, venti persone con un disagio psichiatrico
con sette attori professionisti. Per interpretare
Insanamente Riccardo III, rilettura dell’opera di
Vita non sempre
Shakespeare proposta in un laboratorio teatrale
facile per i bambini
diretto dalla regista Roberta Torre. Il progetto
disabili in Irlanda.
è
nato dalla collaborazione con l’associazione
E neanche per i figli
StupendaMente,
che gestisce un centro diurno e ha
degli immigrati
coinvolto
come
interpreti
i pazienti con disabilità
(rispettivamente
mentale
tra
i
25
e
i
55
anni.
L’opera teatrale è andata
l’8,3% e il 5,8% degli
in
scena
a
fine
aprile
a
Palermo.
«Ci siamo rivolti a
under 18). L’ultimo
un
pubblico
ampio
–
ha
riferito
Marcello
Alessandra,
rapporto nazionale
psichiatra e presidente di StupendaMente –.
sull’infanzia rivela
Vogliamo raccontare la psichiatria in maniera
infatti l’esigenza di una
diversa, facendo comprendere che è fatta non
maggiore attenzione
del governo verso questi solo di psicofarmaci, ma di socializzazione e
riabilitazione». Il prossimo obiettivo è la creazione di
minori vulnerabili.
una compagnia teatrale stabile. [Serena Termini]
Necessità che si
manifesta soprattutto
in tre aree: istruzione,
relazioni con i coetanei,
salute fisica ed emotiva
che comincia all’interno
della famiglia; il 79% dei
bambini disabili, infatti,
non parla facilmente
con la propria madre.
6
MONDO INAIL
A Roma tornano i gruppi di autoaiuto per infortunati e familiari
Q
uest’anno la novità
è il counselling psicologico individuale o di
coppia. È appena partita
la seconda edizione dei
gruppi di auto-mutuoaiuto per le persone
infortunate sul lavoro e
per i loro familiari organizzati dalla Sede Inail
di Roma Nomentano,
una serie di incontri finalizzati a sostenere dal
punto di vista emotivo,
sociale e relazionale chi
deve fare i conti con una
disabilità acquisita. Si va
dall’affrontare il disagio
di chi non ha ancora
superato l’incidente
all’esigenza di affermare i propri diritti, dal
rapporto con il proprio
corpo a quello con gli
altri e con il partner, dal
desiderio di genitorialità
alle relazioni con i figli.
Il gruppo di supporto
è orientato sia all’ascolto
sia all’azione: le persone,
infatti, condividono
il proprio malessere
ma anche le strategie
per far fronte ai propri
problemi.
Gli incontri guidati
hanno cadenza
quindicinale (il
mercoledì alle ore
17) e si tengono in
via Diego Fabbri 74.
Per informazioni:
06/36437188, e-mail
[email protected].
tecnologie
Città senza barriere grazie a un’app per smartphone
L
Tappa finale degli
Special Olympics
Italia. Dal 21 al 26
giugno fa scalo a
Viterbo l’ultima
fase, quella dedicata
al nuoto, della
ventinovesima edizione
dei Giochi nazionali
estivi per atleti con
disabilità intellettive
e relazionali. Dopo
Arezzo‚ Cagliari e Lodi
– e dopo equitazione,
bocce, pallavolo,
calcio, pallacanestro,
tennis, golf, atletica,
bowling e ginnastica
– ora tocca alla città
dei Papi e all’acqua
diventare scenario delle
competizioni.
e città italiane
diventano senza
barriere per le persone
con disabilità. Almeno
per le zone a traffico
limitato. Ad abbatterle
è un’applicazione
per smartphone che
permette di entrare in
tutte e 140 le città con
limitazioni di traffico
con un semplice click.
Henable Ztl, scaricabile
dal sito Henable.me,
dall’app store e anche
da Google play, viaggia sulle piattaforme
di Android e Iphone.
Con un abbonamento
annuale di 3,59 euro,
ogni utente può avvi-
sare che entrerà in un
varco Ztl: l’applicazione
contiene già in memo-
ria tutti i documenti
necessari, compreso
numero di targa e
contrassegno, prima
caricati dallo stesso
utente, e in seguito
si mette in comunicazione con l’e-mail
dell’amministrazione
AMBIENTE
Sentinelle speciali a protezione
del verde
A
rrivano le “Sentinelle verdi”, una “squadra speciale” di ragazzi disabili per la tutela del verde
pubblico. L’iniziativa è frutto della collaborazione
tra l’amministrazione comunale di Gaeta, in provincia di Latina, e l’associazione Impronte verdi. L’idea
è quella di coniugare politica ambientale e inclusione sociale, con il duplice obiettivo di proteggere
le aree verdi e favorire il protagonismo dei ragazzi
con disabilità. Concretamente, le “Sentinelle verdi”
sono chiamate a far rispettare le regole per la tutela
del paesaggio, a prevenire gli atti di vandalismo e a
diffondere una cultura ambientale: vigilanza, sorveglianza e ricognizione di parchi e giardini pubblici
sono gli incarichi da svolgere, con l’aiuto di uno
psicologo e sotto la guida dell’associazione.
7
comunale dedicata
agli ingressi dai varchi.
L’inventore del programma è Ferdinando
Acerbi: ex olimpionico
di equitazione, nel 2004
è rimasto paralizzato
dalla vita in giù per un
incidente subacqueo,
tentando di salvare la
vita a un amico. «Invece
di lamentarci siamo
noi disabili a dover
presentare le soluzioni
ai problemi che solo
noi possiamo percepire
– ha affermato –. Le
persone “normali” si occupano soprattutto del
macro-problema, quello
evidente».
I disabili inglesi contro
la nuova e contestata
indennità di mobilità.
Si tratta del Personal
independence payment
(Pip) per le persone con
disabilità introdotto
dal governo Cameron.
A essere criticati sono
soprattutto i nuovi
limiti: ora solo chi non
riesce a camminare
per 20 metri ha diritto
all’assegno di invalidità
(prima erano 50). Si
stima così che 51mila
persone potrebbero
non beneficiare più di
questo aiuto economico.
pari opportunitÀ
Una ricerca su disabilità
e omosessualità
R
icercatori
in moto
per conoscere la realtà
sommersa
delle persone
disabili omobisessuali
in Italia. A
condurre l’indagine la
psicoterapeuta Priscilla
Berardi, l’educatrice
Ambra Guarnieri e il
sociologo Raffaele
Lelleri. A distanza di
cinque anni da “Abili di
cuore”, il primo e unico
studio su questo tema,
«abbiamo voluto capire
se la situazione
è cambiata e
se le persone
gay, lesbiche e
bisessuali con
disabilità vivono
tuttora una
doppia discriminazione», dicono.
Lo strumento utilizzato?
Un questionario on line
rivolto anche agli operatori socio-sanitari. I
risultati saranno pubblicati su Priscillaberardi.
it, Lelleri.it e sulla
pagina Facebook “Omobisessualità e disabilità
oggi in Italia”.
Quelli che ritimbrano
C’è chi, dopo un incidente
professionale invalidante, riprende
il proprio impiego e chi invece
non ce la fa. Oppure cambia
occupazione. Tra storie, buone
prassi e difficoltà, ecco il volto
del reinserimento lavorativo
di chi si è fatto male compiendo
il proprio dovere
Michela Trigari
S
tefano ha ripreso il suo vecchio mestiere di tecnico: ripara sempre macchinari nella
stessa azienda, ma lo fa affiancato da un tutor. Antonio, invece, da
agente di commercio è diventato
dipendente del Servizio sanitario
locale. Infatti c’è chi riesce a tornare alla propria mansione e chi
invece, per una ragione o per l’altra, decide di cambiare impiego,
mettersi in proprio o non lavorare
più. E spesso non si tratta di una
scelta ma di una strada obbligata.
Perché un infortunio invalidante, accaduto mentre si guadagna
lo stipendio o mentre si torna a
8
casa dalla fabbrica o dall’ufficio,
stravolge la vita. Stessa cosa dicasi per una malattia professionale.
Ritrovarsi disabili non è facile, e
nemmeno rientrare al lavoro. Si
parte dal calcolo delle abilità residue, si passa eventualmente per
corsi di orientamento, formazione e riqualificazione, per arrivare
poi all’obiettivo finale: il reinserimento occupazionale. A volte serve l’aiuto di una protesi o di un
ausilio, a volte occorre adattare i
veicoli con cui si lavora – come
per esempio un trattore o un furgoncino –, a volte è necessario che
il datore abbatta le barriere architettoniche che ci sono in azienda.
La sicurezza in mostra:
dodici scatti sui
rischi del mestiere
P
il cartellino
Altre volte, invece, tutto questo
non basta. Non è un percorso facile, non tutti ce la fanno (facendosi bastare l’assegno d’invalidità
e la pensione d’inabilità dell’Inps
o la rendita Inail), ma chi si è fatto male sul lavoro gode di un canale privilegiato. Perché sottostà
a una disciplina normativa diversa rispetto a quella dell’invalidità civile e beneficia di prestazioni
e diritti che lo Stato ha assegnato all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul
lavoro, «compresa una serie di
servizi collaterali al reinserimento professionale dell’assistito»,
spiega Ilaria Cannella, assisten-
te sociale della Direzione centrale
Riabilitazione e protesi dell’Inail.
Certo, si passa sempre dal
collocamento mirato gestito
dai Centri provinciali per l’impiego, da intese con gli enti locali, dai servizi di Comune e Asl,
dalle Agenzie per il lavoro, dallo
stanziamento di fondi pubblici o
da convenzioni con le cooperative sociali, ma predisporre progetti individuali per agevolare il
reinserimento lavorativo è uno
degli obiettivi dell’Istituto. «Anche se la crisi si sta facendo
sentire: già per una persona infortunata è difficile reintegrar-
9
revenire è meglio che curare.
Ecco perché è così importante
focalizzare l’attenzione sui pericoli
che si nascondono nel posto di
lavoro. In tutta Europa e anche
attraverso le immagini. È questo
l’obiettivo della mostra fotografica
itinerante che – dopo Napoli,
Roma, Potenza, Pinerolo, Chiari e
Chieti – farà tappa anche in altre
città italiane. Frutto di un’iniziativa
promossa dall’Agenzia europea per
la sicurezza e la salute sul lavoro
(Eu-Osha) – di cui l’Inail è focal
point per l’Italia –, la mostra rientra
nell’ambito della campagna 20122013 “Lavoriamo insieme per la
prevenzione dei rischi” nei cantieri
così come in fabbrica, in ufficio, nei
laboratori, nei campi o in strada.
Queste le prossime date italiane:
dall’11 giugno al 26 luglio presso
la Sede Inail di Torino Nord, dal 5
al 27 settembre in quella di Ivrea
e dall’1 al 25 ottobre a Biella. Il
tour proseguirà nella Sede Inail
dell’Aquila dal 29 ottobre al 30
novembre, e in quella di Venezia
Terraferma dal 2 al 31 dicembre.
I dodici scatti che compongono
l’esposizione, e che raccontano
la sicurezza nei luoghi di lavoro,
sono stati selezionati da una
giuria internazionale tra oltre
2.500 fotografie arrivate da tutto
il continente, e non solo dagli
Stati dell’Unione europea, per
partecipare al concorso indetto
dall’Eu-Osha. In copertina e
nell’inchiesta, gli scatti vincitori.
In queste due pagine, Gold panner,
di Saša Kosanović (Croazia), che ha
vinto il terzo premio; la foto è stata
scattata sul fiume Drava. [M.T.]
l’inchiesta Dopo l’infortunio
Balancing over the
waves di Jose Luis
Morales Martin
(Madrid)
si, figuriamoci quando manca il
lavoro», commenta Cannella. Altra particolarità le differenze tra
Nord e Sud, «in linea però con
quelle che contraddistinguono
l’universo occupazionale nazionale», precisa l’assistente sociale. In Italia sono quasi 710mila le
persone disabili titolari di rendita Inail: 610mila sono maschi, oltre 570mila vengono dal settore
industria e servizi e circa la metà
si ritrova con una disabilità motoria. Altro dato: sono 15.400 gli
invalidi del lavoro iscritti negli
elenchi provinciali del collocamento obbligatorio, la maggioranza nel Mezzogiorno; ma si
tratta di un numero in difetto
perché mancano all’appello 18
province. Tutti i dati sono riferiti
al 2011. Non si sa però quanti siano gli infortunati che riprendono a lavorare.
Tra questi c’è Stefano Piva, blemi nell’afferrare gli oggetti»,
30 anni a novembre. Un inci- spiega il padre Alfredo. Un pro-
dente in itinere (cioè nel tragitto
casa-lavoro) avvenuto il 4 gennaio dell’anno scorso, in cui è morto uno dei titolari dell’azienda di
Marano Vicentino in cui era addetto come riparatore di macchinari per la pulizia industriale, un
grave trauma cranico, un mese di
coma e poi la riabilitazione. «Ma
la voglia di tornare come prima è
tanta», dice, nonostante gli strascichi del rallentamento ideomotorio si facciano ancora sentire e
dureranno per un altro anno. Ecco allora che «il recupero delle
competenze professionali Stefano
lo sta facendo nel suo vecchio posto di lavoro, ricoprendo la stessa
mansione di prima ma affiancato da un terapista occupazionale
che lo aiuta quando ha difficoltà di attenzione, di parola o pro-
10
getto targato Inail di Vicenza,
cooperativa sociale Easy, Centro per l’impiego di Schio-Thiene
e Silas (Servizio integrazione lavorativa area svantaggio) dell’Azienda Ulss n. 4 che «prevede un
reinserimento lavorativo graduale, la presenza di un tutor le cui
ore di affiancamento decrescono
pian piano e a ottobre la riassunzione», conclude l’assistente sociale Inail Paola Bussolin.
Ma dopo il trauma c’è anche chi cambia mestiere. Anzi
più di uno. Come ha fatto Antonio Mecca, un ex agente di commercio di Potenza che nel 1987
ha perso l’avambraccio sinistro
nella roto-pressa per imballare il fieno mentre stava dando
una mano nell’azienda agricola di famiglia. «Per fortuna ero
Sì al supporto psicologico: il parere
di una professionista alla pari
D
assicurato», commenta. Da allora «sono stato responsabile della
sede locale di un’azienda di latte e yogurt, poi l’iscrizione nelle liste delle categorie protette e
infine l’impiego nella farmacia
dell’ospedale di Melfi “San Giovanni di Dio” come dipendente
dell’Asl». Ma Mecca è stato anche
il presidente regionale dell’Anmil
(Associazione nazionale mutilati
e invalidi del lavoro) della Basilicata e oggi, all’età di 53 anni, fa
volontariato in un gruppo di auto
mutuo aiuto di Potenza. Da febbraio dell’anno scorso, inoltre, è
vicesindaco del Comune di Avigliano. «Per me l’invalidità è stata l’opportunità per diventare
quello che sono; nella vita niente
è impossibile: basta volerlo e non
arrendersi mai», dice. Sposato e
con due figli, Antonio è un inguaribile ottimista che continua
ici reinserimento
occupazionale,
leggi riabilitazione.
Parola di Anna Grazia
Giulianelli (nella
foto), che ha messo
la sua professionalità
al servizio del
volontariato. Ex
psicologa dell’Ausl di
Cesena, nell’86 ha un
incidente in itinere
che le lascia una
paraparesi da lesione
spinale. Da allora, a
causa soprattutto
dei conseguenti
problemi di salute
e di complicazioni
all’apparato renale,
non è più tornata al
suo impiego, vivendo
sulla propria pelle la
carenza di figure professionali come la
sua nella presa in carico delle persone con
disabilità acquisita. Ma quando, dopo anni,
inizia a stare meglio, nessuno la ferma più:
fa parte di un gruppo di colleghi con cui
ha fondato la Società italiana di psicologia
della lesione spinale, ha collaborato con
l’Istituto di riabilitazione Montecatone di
Imola, a quasi 60 anni ha imparato a sciare
grazie al progetto “Sci-Abile” (nato dalla
collaborazione tra Inail Emilia Romagna
e Comitato italiano paralimpico) e per
dodici mesi ha condotto, sempre a titolo
volontario, il Punto di ascolto psicologico
dell’Inail di Forlì-Cesena, presto attivo in
pianta stabile.
Perché è così importante ritornare ad
avere un impiego?
«Il lavoro è un valore, un progetto di vita,
è identità personale, sociale e relazionale.
E rientrare là dove è avvenuto l’infortunio,
oppure in un altro ambiente se la disabilità
11
costringe a cambiare
occupazione, significa
comunque recuperare
un’immagine positiva
di se stessi e ritrovare
quel quotidiano che
si credeva perduto.
Il lavoro è un
incredibile strumento
di riabilitazione, uno
strumento importante
per riscoprire un
funzionamento
possibile. Ma
servono progetti di
reinserimento che siano
davvero individualizzati:
è questo il punto
cruciale».
Cosa pensa del
sostegno psicologico
agli infortunati sul
lavoro?
«Penso che questo tipo di supporto
sia sempre necessario quando si tratta
di disabilità acquisita. Le strutture che se
ne fanno carico devono essere deputate
all’ascolto del proprio assistito anche
per quanto riguarda gli aspetti affettivi
e relazionali. Solo così si può avere un
quadro completo della situazione per un
adeguato reinserimento nella vita sociale.
Proprio dall’esperienza dello sportello
dell’Inail di Forlì-Cesena è emerso come,
nelle équipe multidisciplinari, dovrebbe
essere presente la figura di uno psicologo
con formazione clinica ed esperienza
nel campo delle disabilità acquisite, per
favorire la comprensione di situazioni
personali, familiari e sociali anche
particolarmente complesse. Questo è tanto
più necessario per un ente, come l’Inail,
che riconosce l’importanza di attivare
progetti individualizzati per i propri
infortunati». [M.T.]
l’inchiesta Dopo l’infortunio
ancora a darsi da fare nell’azienda di famiglia, che nel frattempo
si è convertita all’allevamento industriale dei polli.
Poi c’è chi ha bisogno di riqualificarsi perché non più ri-
Cold Sandwich di Paweł Ruda, scatto
vincitore del premio per il miglior
partecipante sotto i 21 anni
collocabile nella mansione per
cui era stato assunto oppure perché non raggiunge il grado utile per il collocamento mirato e
per questo ha più difficoltà nel
12
trovare un nuovo impiego. Sono
i 15 infortunati e tecnopatici disoccupati, in cassa integrazione
o mobilità che hanno fatto parte di “Sfida” (Sinergie per la facilitazione all’inserimento dei
disabili con Adecco): un progetto terminato da poco – nato dalla partnership tra le tre sedi Inail
di Torino e la Fondazione Adecco per le pari opportunità – articolato in colloqui conoscitivi e di
orientamento, interventi di recupero delle competenze, azioni di
tutoring e monitoraggio, incontri
di formazione professionale per
sperimentare, sia pure in un contesto simulato, un ambiente di lavoro con ritmi, procedure, regole
e tempi prestabiliti.
Grazie al progetto “Ergon” invece – frutto della collaborazione
tra l’Inail di Trento, la cooperativa sociale Arché e l’Azienda di
promozione turistica della Valsugana – Loredana e Giulia (le
chiameremo così per motivi di
privacy) sono entrate a far parte di un percorso di formazione
che le porterà ad acquisire tutte
le competenze necessarie per diventare esperte organizzatrici di
vacanze accessibili: le due donne,
entrambe infortunate sul lavoro,
si affacceranno così a un nuovo
universo occupazionale dedito
alla creazione di pacchetti turistici per le persone con disabilità motoria o sensoriale orientati
tanto al relax quanto allo sport e
al divertimento.
Fondamentali sono anche
la terapia occupazionale e il
recupero del gesto lavorativo, secondo il modello bio-psico-sociale basato sull’Icf (International
classification of functioning, disability and health) come indicato dall’Organizzazione mondiale
della sanità. «Da circa due anni,
infatti, nella sede Inail di Bari è
in sperimentazione il progetto
“Work” (Work oriented rehabilitation and kinesis), incentrato
sullo sviluppo e il mantenimento
della capacità di agire della persona, per fornire all’infortunato
una riabilitazione specifica che
minimizzi il rischio di perdita
dell’idoneità professionale simu-
lando i gesti lavorativi in un ambiente protetto come una palestra
o un laboratorio occupazionale»,
dice la dottoressa Maria Rosaria
Matarrese della Sovrintendenza medica generale dell’Istituto.
Un caso concreto è quello di Luigi (nome di fantasia per garantirgli l’anonimato), un giardiniere
di 43 anni che si è rotto il femore destro sul lavoro. Per riuscire
13
Working with a view di Felipe
Antonio Juarez Moreno (Madrid)
l’inchiesta Dopo l’infortunio
Qui sopra, Beginners
di Miran Beškovnik
(Slovenia). Nella
pagina accanto, The
Solution, di Riccardo
Cigno (Luco Dei
Marsi, L’Aquila): un
contadino durante
la preparazione
per il trattamento
antiparassitario dei
pomodori.
a riprendere il proprio impiego,
tornando a fare tutto quello che
faceva prima, ha effettuato esercizi di fisioterapia che simulavano «la salita e discesa dalla scala,
la posizione inginocchiata e accovacciata, le attività su suoli sconnessi e terreni irregolari», spiega
il dottor Vincenzo Castaldo della
Direzione regionale Inail Puglia.
E il recupero del gesto lavorativo
può essere utile anche nei casi di
disabilità acquisita.
Altra buona prassi è il Servizio per l’integrazione socio lavorativa del Centro protesi Inail di
Vigorso di Budrio (Bologna), che
ospita uno sportello di informazione e orientamento professionale, un supporto per la ricerca
attiva del lavoro e un laboratorio
di informatica assistita. Il servizio si rivolge agli utenti del Cen-
tro (l’anno scorso sono state 200
persone), che però «provengono da tutta Italia – precisa Ilaria Giovanetti, responsabile del
Processo socio educativo e progettualità della struttura –, e
fornisce indicazioni utili sulla
normativa, l’offerta formativa del
territorio di residenza, i Centri
provinciali per l’impiego, il collocamento mirato, le aziende con
obbligo di assunzione e la ricerca autonoma del lavoro. Inoltre è
possibile tanto avvicinarsi all’alfabetizzazione informatica di base quanto conseguire il patentino
Ecdl (European computer driving licence) o la certificazione e-Citizen»: un’opportunità in
più per ripensare la propria professione soprattutto quando non
è più possibile riprendere la vecchia mansione.
14
Ma il Centro protesi Inail
si occupa anche di adattare
i veicoli al tipo di disabilità.
E così Silvio, un agricoltore di 63
anni che lavora nella sua azienda di Faenza (Ravenna), è risalito di nuovo sul trattore dopo che
tre anni fa un incidente nei campi, tra i suoi alberi da frutto, lo
aveva fatto finire su una sedia a
ruote.
Come ha fatto? Sul mezzo è
stata montata una seduta mobile esterna che lo trasporta, come
una sorta di piccolo “ascensore”,
all’altezza del sedile dell’abitacolo, per poi richiudersi all’interno della cabina di guida. Lì non
ci sono pedali, ma solo comandi manuali. Ed è grazie a queste
modifiche che Silvio è tornato a
raccogliere pesche, albicocche e
susine.
Anmil e Italia Lavoro: quando il privato dà una mano al ricollocamento
U
n connubio tra servizio pubblico e privato accreditato.
Spesso, infatti, il reinserimento
occupazionale di chi ha avuto
un incidente sul lavoro passa
anche da cooperative sociali, associazioni di disabili e organismi
di intermediazione. Come l’Agenzia per il lavoro dell’Anmil,
con sedi operative a Milano,
Bergamo, Bologna, Roma
e Napoli, sorte per favorire
l’incontro tra la domanda e l’offerta d’impiego. O come Italia
Lavoro, la società strumentale
al ministero del Welfare per
promuovere e gestire azioni nel
campo delle politiche dell’occupazione e dell’inclusione
sociale. Entrambe operano
in collaborazione con gli enti
locali e le Sedi territoriali Inail.
Ma l’Associazione nazionale
mutilati e invalidi del lavoro
«dispone anche di un proprio
Istituto di riabilitazione e formazione deputato al bilancio
delle competenze, ai corsi di
riqualificazione professionale,
al coaching e all’auto-imprenditorialità», spiega il presidente
dell’Anmil Franco Bettoni.
Italia Lavoro invece, precisa il
responsabile dell’Area inclusione sociale e lavorativa Mario
Conclave, svolge «attività di
supporto, consulenza e formazione in Piemonte, Liguria,
Veneto, Friuli Venezia Giulia,
Marche, Abruzzo, Molise,
Campania, Calabria, Puglia e
Sicilia, seguendo queste linee
15
d’intervento: diffusione della
Classificazione internazionale
di funzionamento, disabilità e
salute, rafforzamento del collocamento mirato soprattutto in
situazioni di crisi occupazionale
e attraverso lo strumento della
convenzione, valorizzazione del
tele-lavoro e dell’impresa individuale o familiare».
Qualche caso concreto? Negli
ultimi quattro anni l’Agenzia
milanese dell’Anmil «ha seguito
una trentina di infortunati, di
cui 22 hanno trovato impiego»,
riferisce il responsabile Claudio
Messori. Spesso, per chi si è
fatto male mentre svolgeva la
propria mansione, «è difficile
accettare concetti come ricollocazione professionale e tirocini
formativi. Altri, invece, decidono di non lavorare più perché
gli basta la rendita Inail». Ma c’è
anche chi si vuole rimettere in
gioco. Franco (il nome è inventato per motivi di privacy, come
gli altri che seguono) «era un
muratore e ora fa il receptionist,
Massimo da magazziniere è diventato autotrasportatore su un
veicolo adattato, Yon sta imparando l’italiano» perché le sue
doti da perito meccanico non gli
serviranno più. «Elena, invece,
laureata in Giurisprudenza,
non ha ancora trovato nessuno
disposto ad assumerla: lavorava
nell’ufficio legale di un’azienda,
ma le sue difficoltà di memoria
le stanno creando problemi»,
conclude Messori. [M.T.]
INSUPERABILI Intervista ad Andy Holzer
Guardare le vette con altri occhi
Cieco dalla nascita,
l’alpinista austriaco scala
“al buio” le cime più alte
del mondo. E ha deciso
di raccontare la sua
esperienza in un libro,
best-seller in Germania,
Austria e Svizzera. Per
«aprire gli occhi ai vedenti»
Laura Badaracchi
I
nserirlo nel Guiness dei primati sarebbe riduttivo: quello che fa somiglia
a una “missione impossibile” degna
dei più avventurosi film di successo. Ha
scalato sei delle sette cime più alte del
mondo, affrontando fra l’altro una delle pareti più insidiose delle Alpi e delle
Dolomiti, come la parete nord della Cima Grande di Lavaredo o il lato sud della Marmolada. È appena tornato da una
spedizione in Turchia sul monte Ararat,
vicino all’Armenia e all’Iran. Un grande alpinista? Sì, e per di più non vedente
dalla nascita. Fino a 20 anni Andy Holzer, austriaco, non aveva fatto pace con
la sua disabilità. Sono passati altri 27
anni e ha scelto di raccontarsi in Gioco
d’equilibrio. Cieco sulla cima del mondo,
edito da Keller.
Pagine in cui ripercorre diverse arrampicate, oltre alle escursioni – fin da
bambino – con sci di fondo, mountain
bike e surf. Un best-seller in Germania,
16
Austria e Svizzera, tradotto in italiano
da Keller editore. Dall’infanzia vissuta
a Lienz, paesino del Tirolo orientale, fino ai concerti del suo duo musicale, approdando a una passione “temeraria”: le
vette. Non può vedere le montagne con
gli occhi, ma gli altri suoi sensi – udito,
olfatto, gusto e tatto – gli danno le coordinate necessarie per scalare le cime più
alte della terra, come ha dimostrato nelle sue spedizioni.
Senza guardare sentieri, pareti rocciose né il paesaggio che ricompensa le
fatiche della salita, Andy coglie con un
sesto senso le informazioni che gli sono necessarie per assemblare una precisa immagine del mondo. Superando gli
ostacoli con una determinazione condita di ottimismo che affonda le radici nella fiducia: in se stesso, ma anche
nei suoi affetti. La famiglia, gli amici:
nel volume Holzer racconta la crescita
con genitori per cui la sua cecità non è
mai stato un limite invalicabile. La sfida
più grande? «Aprire gli occhi ai vedenti». Una cima davvero ardua da scalare.
Non le sembra di sfidare il limite, la sorte,
attraverso l’alpinismo estremo?
Per tanti ciò che faccio può sembrare
folle ma per me è la normalità: quando
qualcuno mi chiede se sono triste per il
fatto che non posso vedere le montagne,
chiedo se è triste di non poter essere in
grado di volare. Il mio cervello non sa
che sono cieco e si comporta come quello di tutti gli altri: sta a me inviargli i
segnali giusti per arrivare in cima alla vetta. Ogni roccia ha il suo odore e
le mie mani sono in grado di “leggerla” per capire cosa mi aspetta 20 metri
più avanti. Anche l’udito è importantissimo.
Come ha imparato ad arrampicare?
Innanzitutto, ho dovuto memorizzare nella visualizzazione mentale la rappresentazione della parete che sto per
scalare. Poi il feedback degli altri sensi mi dice se la realtà coincide davvero
con l’immagine che ho in testa. Se è co-
Classe 1966, da quando ha 15 anni Andy Holzer
canta nel gruppo Dolomitenduo, suonando
anche la chitarra e il basso. Dal 1984 lavora come
fisioterapista e balneoterapista all’ospedale di
Lienz; nel ’90 si sposa con Sabine. Quando ha 23
anni, Hans Bruckner, guida alpina del suo paese, gli
insegna “il mestiere dell’arrampicata”. Sulla parete
sud della Torre Preuß della Piccolissima (Ortles) si
è avventurato in una cordata a tre con Hugh Herr,
scalatore americano bi-amputato alle gambe, ed Erik
Weihenmayer, un altro alpinista non vedente. Il suo
sito è Andyholzer.com. (Nella pagina accanto, foto di
Martin Kopfsguter)
sì, posso proseguire con la scalata, altri- si gestiscono i propri deficit e come ci si
menti sono costretto a sincronizzare di relaziona con gli altri.
nuovo i due livelli con l’aiuto degli orgaLe vette la mettono in contatto con l’assoluto?
ni di senso di cui dispongo.
In montagna non contano le gerarNel libro scrive: «Dipendere l’uno dall’altro
chie né i soldi in banca o le polizze assipuò essere una benedizione».
Dipendere dagli altri non è un peso. curative. Lassù le uniche assicurazioni
Raggiungere un obiettivo insieme è me- che contano sono il compagno di cordaraviglioso. Una volta che si è capito che ta, il buon Dio e se stessi. Penso pure che
ciascuno di noi ha un’abilità con cui può a volte Dio si infili nei miei pensieri per
contribuire alla riuscita di un’impresa, guidarmi nelle decisioni importanti. E
si tratta solo di scoprirla. È da presun- ne sono ben contento. Ci sono situaziotuosi credere che a questo mondo ci sia ni, sia su una parete verticale che nella
qualcuno davvero indipendente. Natu- vita quotidiana, in cui sono confuso. Siralmente io dipendo molto dagli altri: gnifica che è proprio ora che io ceda il
potrei considerarlo uno svantaggio so- volante per un po’ e chieda a Lui di guistanziale o una grande ingiustizia ri- dare al mio posto. I miei sensori in quelservatami dal destino. Ma nella mia le circostanze sono tarati sulla massima
“seconda” vita ho imparato a pensarla sensibilità, così riesco a capire in che didiversamente.
rezione devo andare e quando è tempo
Quindi com’è cambiata la sua prospettiva? che io riprenda il controllo. Il momenSi sprecano molte energie se si cer- to in cui percepisco che a guidarmi non
ca di nascondere le proprie debolezze sono io, spesso dura solo pochi secondi.
per mettersi in testa un falso senso di E in quella fase di solito succedono mesuperiorità. C’è tutto da guadagnare a no guai rispetto alle volte in cui cerco di
riuscire a mettere da parte questo mo- cavarmela da solo.
Scalare le montagne è una scuola di vita?
dello comportamentale non costruttivo.
A quota 6mila per un cieco e una perIl mondo della montagna ha contrisona priva di un braccio è infatti molto buito molto ai miei progressi, evidenti
più semplice dichiararsi a vicenda cosa a dispetto del mio handicap: nel corso
si è in grado di fare, anziché cercare di del tempo la fiducia in me stesso è aningannarsi reciprocamente. In quel mo- data aumentando e sono sempre in cerdo, le poche energie disponibili in situa- ca di nuove sfide. Perciò ogni giorno di
zioni così estreme si possono impiegare più cerco di vivere una vita per quanper le cose essenziali. Una consapevo- to possibile dinamica ed emozionante,
lezza che mi ha fatto capire che il punto perché so che ogni mattina è un evento
non è ciò che si ha o non si ha, ma come unico e irripetibile.
17
cronache italiane Roma
Gestito dalla Croce
rossa, attivo dal 1956, il
Centro rischiava di essere
smobilitato per mancanza
di fondi. Una chiusura
scongiurata grazie
alla determinazione
dei genitori: per ora
Il Cem non deve
«
Elisabetta Proietti
S
i chiude per gestione fallimentare. E trasferiamo i pazienti. Ma
i nostri figli non sono una merce!». Così diceva appena un mese fa Maria Cidoni, mamma di Barbara, disabile
gravissima che il 2 maggio ha compiuto 46 anni, 42 dei quali trascorsi al Cem
di Roma, Centro educazione motoria gestito dal 1956 dalla Croce rossa italiana.
Oggi «il rischio di chiusura non c’è più»
– come ha dichiarato il governatore della Regione Lazio Nicola Zingaretti, a seguito di manifestazioni ed estenuanti
trattative – ed è utile ripercorrere queste
ultime settimane, in cui la tenacia dei familiari ha avuto un ruolo determinante.
Barbara è cerebrolesa dalla nascita «per
colpa dell’incuria» di un grande ospeda-
18
le: «Erano giorni di festa – racconta Maria – e non c’era nessuno, l’hanno presa
che era già asfittica e hanno dovuto utilizzare il forcipe. Me l’hanno rovinata.
Al Cem è riuscita a camminare e a muoversi. Qui ha trovato tutto».
Una storia di eccellenza. Negli anni, il Centro di via Ramazzini ha sempre garantito «un sollievo» per i genitori.
Standard elevati lo hanno reso un riferimento di eccellenza nel panorama
dell’assistenza alle gravi disabilità psicofisiche in Italia. «Chi non è mai venuto
al Cem non può capire», ripetono alcuni
familiari. E aggiungono: «Nessuno qui
ha mai avuto una piaga da decubito». Per
gli utenti – 49 adulti disabili gravi che
vivono assistiti e curati lì, per lo più ce-
morire
rebrolesi – il Cem è la loro casa. Nel senso più vero: lì sono i colori, gli odori, gli
arredi, le voci, i volti e le mani, sempre
le stesse, che li imboccano da una vita.
«Staccarli dai loro punti di riferimento può portare a depressione e morte»,
avvisano i parenti. La struttura è anche
centro diurno per 13 ragazzi disabili con
laboratori di arte e mestieri. Inoltre ospita due ambulatori, uno per l’età evolutiva
(35 bambini fanno riabilitazione del linguaggio e neuropsicomotoria) e uno per
i malati di Parkinson. In tutti i casi sono
impiegate équipe multiprofessionali. Le
persone che lavorano al Cem sono 114, 78
gli operatori sociosanitari cui si affiancano altre professionalità.
È datata 24 aprile la lettera inviata ai
familiari dal presidente del Comitato
provinciale di Roma della Croce rossa,
Flavio Ronzi, già commissario straordinario per il Cem e con un passato di volontario presso la struttura. «Con grande
dispiacere e sentito rammarico scrivo
queste poche righe. La chiusura definitiva del Cem è prevista per il 1° giugno
2013». E questo malgrado «la spasmodica ricerca di collaborazione e attenzione
da parte della Regione Lazio». La lettera, definitiva e senza speranza, è arrivata
anche a casa del signor Franco (il nome è
di fantasia), che nel leggerla ha avuto un
malore: vedovo da poco, 79 anni, ha due
figlie al Cem e 5 bypass al cuore. «Stanno giocando con la vita delle persone»,
commenta un conoscente.
«Adesso si sta deteriorando tutto, ma
prima pagavamo noi genitori e i figli andavano a cavallo, facevano tante attività. Da tre anni non vanno più nemmeno
in vacanza: non ci sono i soldi, dicono». Maria Cidoni da un anno e mezzo instancabilmente racconta, spiega, va
in ogni consesso in cui può essere utile
portare la propria testimonianza. Scrive
su Facebook, spedisce e-mail a istituzioni, politici, giornalisti; il 5 maggio era su
Blob di Rai Tre. Come lei, «tutti uniti»,
i genitori dell’Agecem (Associazione genitori Cem) e del Comitato genitori ambulatori Cem. Per questi ultimi parla la
portavoce Sonia Di Lenarda, mamma
del piccolo Marco, in cura finora presso l’ambulatorio dell’età evolutiva: «Cosa faremo ora? Siamo in lista d’attesa
nei centri convenzionati. Mio figlio ha
una forma di epilessia di cui, per fortuna, abbiamo trovato il meccanismo scatenante. Abbiamo fatto la riabilitazione
al Centro e ora resta un disturbo comportamentale su cui ci sarebbe da lavorare ancora per un anno, ma non siamo
il caso più grave: una coppia di gemelli è
in attesa da due o tre anni, e parliamo di
Nella pagina accanto: i locali del Cem. Sopra:
il compleanno di Barbara, 46 anni, ospite del Centro
19
percorsi riabilitativi che hanno bisogno
di essere precoci, oltre che mirati».
Una crisi che viene da lontano. Il
70% dei lavoratori del Cem è precario da
20 anni. Un anno fa il commissario Ronzi rassicurava: «Il Centro non cambierà
destinazione d’uso», mentre spiegava
che «da mesi pulizie, servizio lavanderia
e mensa non vengono pagati». «Finché
dura», si era lasciato sfuggire. Una situazione di cui la Regione Lazio è stata messa subito al corrente e «di cui dovrebbe
farsi carico: la Asl prenda in gestione il
servizio». Ronzi riferisce che «ogni anno
il Cem crea un disavanzo di 4,5 milioni
di euro: le entrate dalla Regione sono (fino al 31 dicembre scorso, ndr) di circa 2,3
milioni, a fronte di una spesa annua di
6 milioni». Il disavanzo si inserisce nella realtà critica del Comitato provinciale di Roma della Croce rossa, gestore del
Cem, che ha progressivamente accumulato ben 27 milioni di euro di debito. La
proposta della Regione Lazio di trasferire gli utenti a un padiglione del vicino
Ospedale Forlanini non viene ben accolta dai familiari: «Tanto vale ucciderli».
Alle manifestazioni si mescola la voce di qualche parlamentare. I genitori
citano la Convenzione Onu per i diritti delle persone disabili: «Niente su di
noi senza di noi». Convinti più che mai
a non lasciare il Centro, anche di fronte
alla necessità impellente di ristrutturare la palazzina, percepita come un escamotage per liberare lo stabile: «Anche il
Cem Campania aveva bisogno di una ristrutturazione, e i disabili non sono più
rientrati». Il 7 maggio il presidente del
Consiglio regionale del Lazio Daniele
Leodori ascolta i familiari e i rappresentanti dei servizi Cem, concludendo: «Capisco da voi che quella del Forlanini non
è una brillante idea». E il 16 la svolta, con
il prefetto di Roma: «La Croce rossa prosegua i servizi e rimuova le carenze, la
Regione sistemi autorizzazioni e accreditamenti».
oltreconfine Galassia autismo
Un lavoro da specialist people
N
Tutto comincia quando
Thorkil Sonne ipoteca
la casa di famiglia per
fondare Speciliasterne,
società informatica che
impiega persone con
disturbi dello spettro
autistico. Oggi
la fondazione è attiva
in vari Paesi, per creare
un milione di posti di
lavoro in tutto il mondo
Antonio Storto
el film Rain man. L’uomo della
pioggia Raymond Babbit riesce a
sbancare, con il calcolo delle probabilità, i temibili tavoli da black jack
di Las Vegas. Alla tenera età di sette anni, invece, il Fred Tate de Il mio piccolo
genio studiava fisica quantistica all’università di Cincinnati. Il cinema abbonda di narrazioni sui talenti, quasi
soprannaturali, degli individui affetti
da autismo.
Ma la vita, purtroppo, è più sfaccettata di come appare sul grande schermo. Non tutti gli autistici sono dotati
di queste miracolose abilità. Ma è certo che molti di loro riescono a svolgere
con disinvoltura mansioni che per il resto della popolazione possono risultare difficili, se non proprio alienanti. Per
20
Thorkil Sonne, questo tipo di inclinazione equivale a un «alto potenziale di
business». Sonne è un informatico danese che ha scorto un’opportunità dove molte aziende continuano a vedere
un limite. La sua fondazione si chiama
Specialist people e si occupa di inserire
nel mondo del lavoro persone affette da
disturbi dello spettro autistico, nei settori della programmazione e della consulenza informatica.
Il nome stesso dell’organizzazione sta a indicare l’alto livello di spe-
cializzazione che gli autistici riescono a
raggiungere in questo campo. È ormai
dimostrato, per esempio, come nel collaudo del software gli individui con disturbi dello spettro autistico abbiano
una percentuale di riuscita di dieci vol-
te superiore rispetto ai cosiddetti neurotipici. E non è un caso se i 34 autistici
impiegati all’interno di Specialisterne,
la società di consulenza informatica che
opera all’interno della fondazione, prestano abitualmente i loro servizi ad alcune tra le maggiori aziende del settore.
Thorkil Sonne è entrato in contatto con questa realtà nel 2003, quando a suo figlio Lars, che aveva appena
due anni, venne diagnosticata una forma di autismo infantile. Studiando il
welfare nazionale, Sonne è giunto alla conclusione che il mondo del lavoro non avrebbe offerto a Lars le giuste
opportunità. La sua risposta, quindi, è stata di ipotecare la casa di famiglia, utilizzando il denaro per dar vita
a Speciliasterne, una piccola società
di informatica che impiegasse persone con disturbi dello spettro autistico.
Un posto dove «tratti caratteriali come
l’attenzione maniacale ai dettagli e l’intolleranza agli errori, che generalmente isolano gli autistici dal mercato del
lavoro, vengono valorizzati e ricercati»,
recita la presentazione web.
Il modello di business si è dimostrato vincente e Sonne ha deciso di
replicarlo su vasta scala. Oggi la fondazione Specialist people è attiva a livello internazionale e opera su più livelli,
secondo uno schema chiamato “modello Dandelion”. Gli individui reclutati
passano attraverso un periodo di formazione che va dai tre ai cinque mesi,
allo scopo di farne emergere attitudini,
punti di forza e di debolezza. Terminato
il training, il 40% di loro viene assunto
da Specialisterne, mentre gli altri sono
guidati in un percorso di avviamento
al lavoro. Ciò è possibile perché, oltre
a formare le persone autistiche, Specialist people sta educando il mondo del
lavoro a rapportarsi proficuamente con
loro. Attualmente, infatti, l’organizzazione offre supporto e assistenza agli
imprenditori che vogliano replicarne il
modello di business. In questo modo,
Thorkil e i suoi hanno creato un network di imprese che opera in tutto il
mondo: tra i Paesi che hanno avviato
una “Specialisterne operation”, figurano Scozia, Islanda e Stati Uniti, ai quali
presto si aggiungerà la Spagna.
Cambiando il modo in cui i soggetti autistici vengono percepiti dal mondo del lavoro, Specialist people ha finito
per realizzare un modello di innovazione sociale. «Le persone affette da forme di autismo ad alto funzionamento
– spiega Ilaria Minio Paluello, ricercatrice del Laboratorio di neuroscienze sociali e cognitive dell’Università
La Sapienza di Roma – potrebbero essere una grande risorsa per l’ambiente
di lavoro. Sono estremamente affidabili, meticolose, attente ai dettagli. Sono
capaci di concentrarsi per ore su compiti ripetitivi, come l’immissione dati». Spesso queste capacità, fa notare la
studiosa, «non vengono valorizzate per
problemi di relazione: nel 2001 una ricerca ha mostrato che nel 90% dei casi
le persone disabili perdono il lavoro per
un deficit nella comunicazione sociale.
Il che rappresenta proprio il primo e
più grande limite delle persone autistiche». Progetti come quelli di Specialist
people o dell’inglese National authistic
society, quindi, «funzionano perché offrono a questi ultimi e alle aziende gli
strumenti per aggirare tali difficoltà»,
conclude Minio Paluello.
Oggi Specialist people si propone
l’ambizioso obiettivo di creare un milione di posti di lavoro in tutto il mondo. Ma da qualche anno la fondazione
si occupa anche di istruzione in senso lato. Nel settembre 2009, a Copenaghen, è partita la Specialisterne school,
un istituto per ragazzi autistici dai 16 ai
24 anni che, oltre a fornir loro un’istruzione scolastica, li educa a interagire
proficuamente con il mondo circostante, compensando il deficit nelle abilità
sociali.
21
Talenti particolari.
A volte nascosti
J
ohn e Michael, i gemelli autistici
seguiti dal noto neuropsichiatra Oliver
Sacks, riuscirono a contare con una
sola occhiata i 111 fiammiferi caduti sul
pavimento della loro stanza d’ospedale.
Matt Savage, ragazzo prodigio del jazz,
a nove anni scoprì di riuscire a leggere
gli spartiti di piano senza averne alcuna
nozione pregressa. Da un secolo e mezzo,
la comunità scientifica si interroga sui
prodigiosi talenti di individui affetti da
ritardo cognitivo. Che
costituiscono il focus del
saggio Autismo e talento.
Svelare il mistero delle
abilità eccezionali, edito
dal Centro studi Erickson.
Il volume è curato
da Francesca Happé,
docente di neuroscienze
cognitive all’Università di Oxford, e
Uta Frith, tra i maggiori studiosi di
autismo e dislessia. Nella maggioranza
dei casi, riferiscono le studiose, la
cosiddetta sindrome savant si riscontra
in associazione a disturbi dello spettro
autistico. E, di contro, è stimato che il 30%
degli autistici sia dotato di queste capacità.
Oltre a indagare la questione dal punto di
vista strettamente scientifico, le autrici si
interrogano su quale sia il modo migliore
di promuovere gli individui dotati di
questo tipo di talento, superando il deficit
comunicativo che spesso li ostacola. [A.S.]
portfolio Psichica mente
Raccontare il disagio psichico
attraverso il ritratto. Catturando
l’unicità della persona: emozioni
e sentimenti che trapelano da
un volto, da uno sguardo, da
un gesto, in un’espressività
che diventa poesia. E alla fine
viene raffigurato semplicemente
l’essere: nessuno stereotipo
o cliché tipico della salute
mentale. Obiettivi raggiunti
da I meravigliati, progetto
fotografico nato soprattutto
da uno scambio, una
contaminazione, un incontro
tra sensibilità diverse. Gli
scatti, infatti, sono frutto della
collaborazione con le persone
che si sono lasciate immortalare.
Individui che narrano storie e
vissuti, che parlano di se stessi,
e non modelli passivi davanti
all’obiettivo. Solo così il corpo,
qualora imperfetto, può rendere
giustizia alla natura umana:
grazie a un punto di vista
lontano dalla morbosa curiosità
di spiare un mondo “diverso”
perché vicino alla volontà di
coglierne l’essenza.
22
23
portfolio Psichica mente
I protagonisti di questo
reportage frequentano centri
di riabilitazione, case famiglia e
laboratori, come quello di teatro
psicosociale condotto dalla
compagnia Alcantara di Rimini.
Alcune immagini, invece, sono
state realizzate all’interno
dell’Istituto di Nuova Olonio
(Sondrio). Dove agli ospiti è
stata posta la domanda: «Come
ti senti quando sei fotografato
o quando sei davanti alla
macchina fotografica?». La
risposta l’hanno messa per
iscritto; e allora si leggono frasi
tipo «Sto bene e mi emoziono»,
oppure «Sono contenta». E
ancora «Mi rilasso perché
stiamo in silenzio per posare»,
ma anche «Mi sento una foto
model» (nella pagina accanto,
in basso).
24
Ilaria Scarpa, l’autrice
di questi scatti, è nata
a Rimini nel 1989 e ha
studiato fotografia
all’Istituto europeo di
design di Roma. Si occupa
di teatro e reportage. Ha
esposto, fra l’altro, anche
a Milano e Parigi. Il suo
ultimo lavoro, Senza via
d’uscita. Viaggio negli
opg, è stato realizzato
negli ospedali psichiatrici
giudiziari di Aversa
(Caserta) e Montelupo
Fiorentino. I suoi lavori
sono visibili su Ilariascarpa.
wordpress.com.
25
Appuntamento
a Sofia
SPORT Nuove
leve
Daniela
che salta
nel cerchio
Ha quasi 21 anni,
la sindrome di Down
e una grande passione:
la ginnastica ritmica, che
pratica ormai da sei anni.
Un allenamento costante,
che ha reso la giovane
romana campionessa
italiana nella sua
specialità
Marta Rovagna
H
a i capelli biondo scuro, gli occhiali, un caschetto lungo e una
postura perfetta mostrata durante l’allenamento di ginnastica ritmica,
che pratica da sei anni. Daniela Cotogni, 21 anni da compiere il 6 settembre,
è nata con la sindrome di Down e da
cinque è campionessa italiana nella sua
specialità. Si allena con costanza, salta
nel cerchio con facilità, fa un tirocinio
26
in una mensa scolastica e il sabato e la
domenica ama uscire con il suo ragazzo, Giacomo. La sua passione più grande è proprio la ginnastica ritmica.
«Ho iniziato qui, come studentessa della scuola», dice mentre si
allena nella palestra dell’Istituto tecnico commerciale “Cartesio-Rosa Luxemburg” di Roma, «e ho continuato anche
dopo essermi diplomata: il mio sogno è
A sinistra, Daniela Cotogni ritratta
da Michelangelo Gratton. In questa pagina,
l’atleta durante una gara disputata
lo scorso anno a Leicester (Inghilterra)
diventare brava come l’atleta canadese»
che lo scorso anno ha potuto ammirare nel corso di una gara internazionale
organizzata in Inghilterra poco dopo la
fine delle Paralimpiadi di Londra 2012
a cui lei stessa ha partecipato come rappresentante per l’Italia.
Lo sport e l’attività fisica l’accompagnano da sempre: «Dai 4 ai 14 anni
– racconta la mamma, Maria Franceschini – ha fatto nuoto per fortificare
il tono muscolare, poi è approdata alla ginnastica ritmica». Un percorso duro, che nei primi due anni l’ha vista
acquisire le basi tecniche della disciplina e poi metterle a frutto, con grande
sorpresa anche della madre: «La portavo agli allenamenti ma non mi fermavo a seguirli. Così, osservarla al primo
saggio muoversi come se facesse la cosa
più facile e normale del mondo è stata
un’emozione fortissima. Anche perché,
durante le gare, ci mette il triplo della fatica degli altri». La cosa più bella?
«Vederla saltare nel cerchio: quello che
ha imparato a fare nel corso del tempo,
anche grazie alla sua allenatrice, è una
cosa davvero sorprendente».
Da quando ha incontrato la ginnastica ritmica, a seguire i passi di Daniela nella disciplina è sempre Luisa
Vagliviello: «La mia società sportiva,
la Asd Gymnasium Monte Mario – ricorda l’allenatrice – aveva proposto un
progetto sperimentale alla scuola e la
preside ci segnalò Daniela, allora quat-
tordicenne». È iniziato così un cammino che dapprima sembrava impossibile:
«All’inizio Daniela non riusciva ad alzarsi da terra né a tenere i piedi in modo corretto – spiega Vagliviello –, anche
perché la base della ginnastica ritmica è
la danza classica; da subito però si è appassionata, creando una buona comunicazione e un bel feeling».
E così dopo il primo attrezzo, la palla, Daniela ha iniziato a usare il cerchio,
e poi la fune, il nastro e, lo scorso anno,
le clavette, crescendo anche nell’attenzione alla postura, alla concentrazione, allo studio degli errori più comuni
e al modo di riparare allo sbaglio, alla memorizzazione dello spazio e della
sequenza degli esercizi. Il tutto condito
da tanta, tantissima musica che atleta
e allenatrice scelgono insieme. I cinque titoli italiani vinti nei campionati
nazionali Fisdir (Federazione italiana
sport disabilità intellettiva relazionale),
disputati ogni anno in diverse città italiane, testimoniano l’impegno e la bravura raggiunti.
«Questo sport – sottolinea con orgoglio la madre di Daniela – l’ha aiutata
nella capacità di ricordare i diversi esercizi, e la coordinazione motoria che ha
acquisito con la danza ritmica si è riversata positivamente anche dal punto di
vista intellettivo e della memoria». Forse è anche per questo che Daniela ha
avuto un percorso scolastico lineare, è
sempre stata promossa e ha concluso la
27
scuola a 19 anni. «Mia figlia – dice ancora – non ha avuto patologie gravi alla
nascita; oggi è una ragazza serena, gioiosa e tranquilla». E con la sorella, che
ha sei anni meno di lei, è «disponibile e
affettuosa».
Nella vita di tutti i giorni, quando
non è impegnata con la ginnastica ritmica, Daniela si divide tra un tirocinio
in una mensa scolastica iniziato a settembre 2012 e l’Agenzia del tempo libero (uno dei progetti di autonomia curati
dall’Aipd, l’Associazione italiana persone down), dove si incontra con il suo fidanzato Giacomo e altri ragazzi con la
sindrome di Down. E poi, come se non
bastasse, c’è anche il bowling, di cui è
campionessa europea Special Olympics.
La sua capacità nello sport è sottolineata ancora dall’allenatrice:
«Mi sono accorta presto delle sue doti
perché ha diverse caratteristiche da atleta. Anzitutto la memoria, poi ha un
grande senso ritmico e tanta disciplina,
infine ha mobilità articolare e tonicità.
Per me – confida – ha rappresentato lo
sport nel vero senso del termine, come
misura delle possibilità umane: siamo
riusciti a tirare fuori da lei cose che probabilmente non sarebbero mai emerse».
In gara Daniela dà il massimo:
quando è il suo momento difficilmente sbaglia, è determinata e sicura. Con
queste capacità si è mostrata nel settembre 2012 a Leicester, 150 chilometri
a nord di Londra, in una gara internazionale di ginnastica ritmica promossa
e organizzata dalla Dsigo (Down syndrome international gymnastic organization). «Ha voluto cimentarsi con un
programma molto difficile – racconta
l’allenatrice –, iniziando un periodo di
allenamento molto duro già dal mese di
giugno: ha portato tutti gli attrezzi e si
è misurata finalmente con atlete preparatissime, che superavano il suo livello. Lassù, in Inghilterra, ha capito dove
vuole arrivare».
teMpO libero Città d’arte
È una delle più affascinanti località
del Sud, ma finora nessuno aveva
pensato di renderla accessibile a tutti.
Finché l’associazione SassieMurgia
ha iniziato a proporre un percorso
ad hoc per ciechi e sordi. Attirando
in un anno oltre 500 turisti
Sassi per tutti
Matera si rinnova
Giorgia Gay
P
oche città al mondo hanno il fascino di Matera. Unica nel suo genere,
sa regalare panorami mozzafiato ed è scelta ogni anno da migliaia di
turisti che rimangono a bocca aperta
mentre passeggiano nel centro storico.
Non a caso nel 1993 l’Unesco l’ha riconosciuta patrimonio dell’umanità. Oggi
l’associazione SassieMurgia si propone
di mettere questo patrimonio a disposizione di tutti, progettando itinerari per
persone prive della vista e dell’udito e
promuovendo una grande campagna di
sensibilizzazione con le strutture ricettive del territorio.
Il primo passo per iniziare questo
percorso è conoscere lo stato dell’arte.
«La verifica del livello di accessibilità di
alberghi, agriturismi, bed & breakfast e
residence, bar e ristoranti è propedeutica a qualsiasi progetto di turismo accessibile che voglia essere credibile e
duraturo – sottolinea Luca Petruzzellis,
presidente dell’associazione –. E serve a
comprendere, se e in quale misura, il sistema ricettivo è pronto a soddisfare le
esigenze dei turisti con bisogni speciali». Per questo l’associazione, grazie alla
collaborazione del tour operator I Viaggi del sapere, si è lanciata in una campagna di monitoraggio di tutte le strutture
della provincia: a ognuna è stato inviato
un questionario in cui indicare il grado
di accessibilità e la capacità di ospitare
utenti ciechi o sordi, disabili su sedia a
28
ruote, famiglie con bimbi piccoli, persone che hanno allergie o problemi di
tipo alimentare. Particolarmente significativo è che l’iniziativa coinvolga un’agenzia di viaggi: «Sono stati loro stessi
a contattarmi, perché interessati ad avviare l’incoming per persone con esigenze speciali – ricorda Petruzzellis –.
Non ho avuto alcuna remora ad accettare la proposta di collaborazione. Siamo
ben consapevoli di non poter fare tutto
da soli e che nessuno meglio di un’agenzia di viaggi può occuparsi della commercializzazione di pacchetti turistici
accessibili».
Per il territorio si tratta di un’esperienza pilota, perché «qui da noi
tri disabili. La scorsa primavera, quindi,
il lancio dei primi tre itinerari, che in un
anno sono stati visitati da oltre 500 persone: turisti provenienti soprattutto dal
Centro-Sud, per cui l’obiettivo è di allargare la platea di visitatori anche alle regioni del Nord.
«Una volta formato il personale
e definiti gli itinerari ci siamo chie-
nessun ente o istituzione pubblica o privata, prima d’ora, ha avviato un’indagine di questo tipo. La collaborazione con
il tour operator non è casuale. Vogliamo che il turismo accessibile a Matera
sia considerato, oltre che nella sua innegabile valenza sociale, anche un’opportunità economica su cui lavorare con
competenza e professionalità».
In attesa che il monitoraggio sia concluso, l’associazione SassieMurgia si
sta impegnando per offrire itinerari ad
hoc. In un anno ne sono già stati realizzati tre: nei Sassi, nella Cripta del peccato originale e presso l’Oasi Wwf di San
Giuliano. L’iniziativa è realizzata in collaborazione con il centro di educazione
ambientale Lega navale Matera-Castellaneta e finanziata dalla Regione Basilicata con i fondi del Programma Epos
2012 e di recente approvata da Unione
italiana ciechi ed Ente nazionale sordi. «Il progetto nasce a fine 2010 – ri-
Nella pagina precedente e in alto:
spiegazione in Lis e passeggiata tra i sassi
durante uno degli itinerari organizzati
dall’associazione SassieMurgia
corda Petruzzellis –, quando ci venne
chiesto di organizzare una visita ai Sassi per le sezioni dell’Unione italiana ciechi di Matera e Potenza. A quell’epoca
non avevamo idea di cosa volesse dire pensare a degli itinerari per disabili,
ma abbiamo accettato la sfida». E da lì è
iniziato tutto: prima l’attività di formazione del personale, poi la valutazione
di percorsi adatti a persone non vedenti e non udenti, ma che fossero anche in
grado di rispondere alle esigenze di al-
29
sti: quale servizio in più possiamo offrire? Presto detto: stiamo lavorando per
far sì che lungo alcune tappe vengano
posizionate tavolette in braille o videomonitor in Lis, con informazioni sulla
chiesa rupestre, sulla civiltà e sulla collezione di opere del museo. Strada facendo abbiamo capito che accessibilità
significa anche garantire alle persone
disabili la medesima capacità di fruizione dei luoghi che hanno tutti gli altri, non obbligandole a pagare le guide
per poter avere informazioni su un sito». Il progetto ora è nella delicata fase
di ricerca fondi, necessari non solo per
le istallazioni ma anche per l’attività di
promozione.
Quando è in vacanza, però, il turista
cerca anche occasioni per divertirsi e rilassarsi. Così l’associazione si è inserita nel Parco Murgia film, cinema sotto
le stelle con spettacoli sottotitolati. «A
volte per rendere un evento accessibile
basta veramente poco – riflette Petruzzellis –. In questo caso non abbiamo dovuto fare niente perché i sottotitoli sono
già in dotazione nelle pellicole. Bastava
solo pensarci. È proprio questo il nostro
obiettivo: stiamo cercando di cambiare
la forma mentis degli operatori turistici.
Da qui l’iniziativa del censimento delle
strutture ricettive: vogliamo smuovere
un po’ le acque e dimostrare che il turismo accessibile ha anche una valenza
economica. In questo senso stiamo lavorando affinché la tassa di soggiorno
del Comune di Matera garantisca l’esenzione totale per i turisti disabili, che ora
non è prevista».
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IBRIRAGAZZIM TRECINEMAFESTIVALFICTIO
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NFUMET
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TITELEVISIO
NEPERSONAGGILIBRITEA
 televisione 
Va in onda
l’inchiesta
morale
oinvolgente, delicato, inten-
Accanto, sullo
sfondo, Edda
Fasciano e suo
figlio Giulio in
una puntata del
programma I dieci
comandamenti
C
so, senza sbavature. I dieci
comandamenti, programma
del giornalista Domenico Iannacone in onda il lunedì alle 22,50 su
Rai Tre fino a metà luglio, vuole
esplorare con inchieste e reportage l’etica laica del terzo millennio.
Storie in cui entrare in punta di
piedi, che abbracciano ovviamente anche la disabilità.
Nella puntata Onora il padre e
la madre «affrontiamo la vicenda di Edda Fasciano e di suo figlio Giulio, 16 anni, affetto da una
grave forma di epilessia che gli ha
compromesso lo sviluppo: non
parla, risponde battendo le mani
a terra senza rendersi conto di farsi male», riferisce l’autore, che lavora in squadra con altri colleghi
e ottimi operatori, tecnici, montatori. Il risultato è una nitidezza
dei ritratti sia corali che individuali, «minimi ma esemplari». E
tanta qualità nei dettagli, con un
equilibrio tra brevi commenti e
silenzi da ascoltare, primi piani e
campo lungo.
Un nuovo modo di fare televisione? «Le telecamere non pos-
Giovani oltre la sclerosi multipla: quando il web
è un’idea vincente. Hanno tra i 20 e i 35 anni, sono
in nove (cinque ragazze e quattro ragazzi) e il loro
blog – all’ultima edizione del Festival internazionale
del giornalismo di Perugia – ha vinto la sezione “new
media” del Premio nazionale Comunicazione, nuovi
media e informazione per la salute.
Sono quelli di “Giovani oltre la SM”,
un gruppo di ragazzi provenienti
un po’ da tutta Italia che fanno
parte del movimento di attivisti
dell’Associazione italiana sclerosi
sono essere un’ingerenza nella
vita delle persone», puntualizza.
«Con questa trasmissione cerco
una strada per raccontare la morale senza essere moralisti: è necessario un paradigma etico in
una società scomposta», sottolinea Iannacone, che ha provato a
entrare nella vita di Edda, impegnata nell’Associazione nazionale famiglie di disabili intellettivi e
relazionali (Anffas) di Campobasso: «Una donna forte come una
roccia che si scioglie solo quando parla di musica: diplomata in
contrabbasso, si è piegata alla disabilità del terzo figlio, per cui ha
lasciato il lavoro». Uno dei fratelli di Giulio ha confidato che
«non sarebbe la persona che è se
non avesse avuto questa esperienza in famiglia: lo ha reso migliore». Il giornalista è interessato al
pianeta disabilità «in tutte le sue
sfaccettature: esplorandone la sfera affettiva e le pulsioni sessuali».
La prima puntata, Non commettere atti impuri, è stata aperta dalla
storia d’amore tra Max Ulivieri e
sua moglie Enza; lui, distrofico, si
batte perché l’assistenza sessuale
sia legalizzata anche in Italia. Tutti i video su Idiecicomandamenti.
rai.it e sulla pagina Facebook.
Di taglio completamente diverso Can Have Sex Will Have Sex, in
onda sulla popolare emittente britannica Channel 4. Tacciato di voyeurismo ma anche ben accolto,
il reality racconta la vita sessuale
di persone disabili. Come il 26enne John, che perde la verginità con
una escort assunta da sua madre.
Telecamere invadenti e morbose o
spaccato di una realtà ancora tabù
che non si vuole vedere? [L.B.]
multipla (Aism). E che hanno scelto il social web per
raccontarsi e dialogare con chi è colpito in maniera
diretta o indiretta dalla malattia. Perché al bisogno
di informazione da parte delle persone con sclerosi
multipla si affianca anche il desiderio di confronto e
scambio con chi sta affrontando una situazione simile,
per condividere esperienze, stati
d’animo ed emozioni. Ricevuto a fine
aprile, il riconoscimento ottenuto da
Giovanioltrelasm.it segue il Premio
Aretè per la comunicazione responsabile, conquistato nel 2011. [M.T.]
30
GRAFIAVIDEOMUSICARADIOLIBRIRAGAZZ
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 libri 
Cercasi uomo
per madre
single di figlio
autistico
er gli amanti del dramma in salsa dis-
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sacrante Il bambino che cadde sulla
Terra di Kathy Lette è il romanzo perfetto. Brillante come un’esplosione di fuochi artificiali in una notte artica, il volume
appena edito da Baldini&Castoldi affronta un tema “difficile” come quello
dell’autismo attraverso il registro dello humour: l’ironia
disincantata e corrosiva della madre
single di un figlio
con sindrome di Asperger, che ha fatto di
quel ragazzo il centro unico della sua vita
e, giunta alla soglia dei 40, decide di lanciarsi nella difficile quanto esilarante ricerca di un nuovo compagno.
Le tappe della storia sono quelle classiche: abbandonata da un marito ricco e
rampante all’indomani della diagnosi,
Lucy si dedica anima e corpo al piccolo
Merlin, lanciandosi in un contorto viaggio della speranza attraverso un labirinto di assistenti sociali,
terapisti occupazionali, psicologi e logopedisti. Fino a che, dieci
anni dopo, non decide
di cambiare obiettivo: rompere la corazza
di solitudine e castità nella quale si è rinchiusa, alla ricerca di un uomo per sé e di
un nuovo padre per Merlin. Della carrellata di uomini di ogni sorta che Lucy incontrerà sulla sua strada, alla fine soltanto
l’improbabile Archie riuscirà a fare breccia nel suo cuore avvizzito con il calore di
un eccentrico, ma confortante, menage familiare: perché sotto le maniere trasgres-
sive e sessiste, questo chitarrista rock in
prepensionamento nasconde in realtà
l’affabilità del gentleman e la premura del
buon padre di famiglia.
Al di là di qualche eccesso nell’uso dei
cliché, il romanzo può essere però autentico e coinvolgente. Soprattutto nei passaggi
che raccontano la relazione madre-figlio o
i rapporti con le istituzioni sociosanitarie
con cui qualsiasi genitore di figli autistici
è costretto a fare
i conti. A cominciare dal difficile momento della
diagnosi che trasforma il piccolo
Merlin, di appena due anni, in una «busta senza indirizzo». «La parola “autismo” mi trafisse
come la lama fredda e affilata di un coltello», confida una sconsolata madre che
però non conosce rassegnazione: «Mio figlio fu sottoposto a così tanti esami che
deve aver pensato di essere stato arruolato nel gruppo scelto di astronauti per una
missione sulla Luna. Fui costretta a tenerlo fermo mentre veniva misurato, pesato,
accecato da torce elettriche, punzecchiato, pizzicato, auscultato e siringato, nonostante il fatto che si contorcesse disperato
piangendo in
modo inconsolabile».
Kathy Lette vive a Londra, è autrice
di sit-com televisive e i suoi romanzi sono stati tradotti in 14 lingue. È madre di
un figlio con sindrome di Asperger oggi
ventunenne e della sua attività di scrittrice dice: «L’unica ragione che mi spinge a
scrivere è che è costa meno delle sedute di
psicanalisi». [Antonella Patete]
31
Kathy Lette
Il bambino che
cadde sulla Terra
Baldini&Castoldi 2013
pagine 287, euro 15,90
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 libri 
Dalla polio
al mondo
oliomielitico, su sedia a ruo-
P
Ancora una riflessione sui
termini più appropriati (e quelli
da evitare) per dire la disabilità.
Il dibattito questa volta è su
Parlare civile – Comunicare senza
discriminare, la guida al linguaggio
corretto pubblicata in queste
settimane da Bruno Mondadori
e curata dall’agenzia di stampa
Redattore sociale (pagg. 178, euro
15). «Le parole possono essere
muri o ponti. Possono creare
distanza o aiutare la comprensione
dei problemi. Le stesse parole
usate in contesti diversi possono
essere appropriate, confondere
o addirittura offendere», scrive
Stefano Trasatti nell’introduzione
al volume. Tra i termini analizzati:
disabili, diversamente abile o
diversabile, handicappato. Ma
anche Paralimpiadi, normodotato,
falso invalido, svantaggiato. [A.P.]
te, Massimo Toschi racconta
la sua vera “abilità”: lottare
per gli ultimi. Perché anche una
persona disabile «può andare nei
luoghi del mondo dove il conflitto è più grande e, proprio in forza
della sua disabilità, acquistare autorità e autorevolezza che nessuna
competenza, pur necessaria, può
sostituire». S’intitola un po’ provocatoriamente Un “abile per la
pace” il volume pubblicato da Jaca Book, in copertina un disegno
di Sergio Staino, che dà voce alla
testimonianza vibrante di un toscano verace.
Gli effetti della polio, contratta nel 1945 – durante il primo anno di vita – non gli impediscono
di mettersi in moto, anzi. «Mia
madre non si è mai vergognata di
me», afferma. La sua prima terapia? Pedalare su un triciclo, immaginandosi alla ruota di Bartali.
Inizia a camminare a undici anni, per brevi tratti, appoggiandosi a un bastone; altrimenti usa la
sedia a ruote. Si sposa con Piera e
nasce Sara: «Mi hanno mostrato
che è possibile, nella forza dell’amore, realizzare l’impossibile».
Andando in pellegrinaggio a
Lourdes per la prima volta – che
sarà seguita da molte altre –, vive
un miracolo interiore: si accorge
di quante persone, molte, soffrano più di lui: «Mi hanno spinto a
uscire dal mio dolore per incontrare il dolore degli altri», confida. Fino ad abbracciare Ranì, un
ragazzo algerino di Medea che ha
perso una gamba a causa di una
mina e che una protesi rimette-
32
Massimo Toschi
Un “abile
per la pace”
Jaca Book 2013
pagine 320, euro 22
rà in piedi. Poi Aram e Yussuph,
i due primi bambini palestinesi
curati grazie al progetto Saving
Children, a cui sono devoluti i diritti d’autore (Peres-center.org/
saving_children). «La vera questione è non perdere mai il filo
d’oro della verità e della coerenza,
di una cultura capace di cambiare
la storia, guardando a essa con gli
occhi delle vittime», conclude Toschi. In un volume che ha il sapore di speranza [L.B.]
 libri 
Maternità
(e paternità)
a ostacoli
a sua bambina... malattia
«
L
Anne-Dauphine
Julliand
Due piccoli passi
sulla sabbia
bagnata
Bompiani 2012
pagine 238, euro 16,50
genetica grave... leucodistrofia metacromatica...
danno degenerativo... aspettativa di vita molto limitata». Notizie che nessuna madre vorrebbe
sentire. Ancora più toccanti perché non si tratta di una finzione romanzesca: a raccontare la
sua storia è chi l’ha vissuta in
prima persona. Anne-Dauphine
Julliand, giornalista parigina, ripercorre la sua dolorosa e luminosa vicenda familiare in Due
piccoli passi sulla sabbia bagnata.
Tradotto in Italia da Bompiani, in
Francia il volume ha venduto oltre 200mila copie.
Forse il segreto di questo successo sta nel linguaggio asciutto,
quasi lapidario, con cui l’autrice
sceglie di ricordare. Senza sentimentalismi mette a nudo il dolore di ricevere un annuncio di
morte mentre è al quinto mese di gravidanza. Di fronte a una
probabilità su quattro che anche il nascituro abbia la stessa
FUMETTITELEVISIONEPERSONAGGILIBRI
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TEATROD
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ANZAFO
IVALFI
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A
GAZZIMOSTRECINEM
malattia rara di Thaïs, i genitori scelgono la vita. In modo consapevole, né eroico né ideologico:
«Il responso si schianta come un
fulmine. Ai nostri piedi, uno spaventoso buco nero. Il futuro si riduce a nulla. Eppure, in questo
istante terribile, il nostro istinto
di sopravvivenza riesce ad avere
il sopravvento per alcuni secondi, brevi ma decisivi. No, non vogliamo una diagnosi prenatale.
Vogliamo il bambino. È una vita!
Una minuscola piccola luce in un
orizzonte completamente buio».
Ed è l’istinto materno che ha
fatto percepire nella camminata
della piccola di due anni qualcosa
che non andava: «Mi piace guardare le impronte lasciate dai suoi
piccoli piedi sulla sabbia bagnata.
E lì, su una spiaggia tiepida della Bretagna, mi sono accorta della
particolare maniera di camminare di Thaïs. Ha il piede che curva verso l’esterno». Di qui il titolo
del libro, che non scivola nella
tragedia.
Nelle pagine, sofferenza e
morte fanno parte dell’esistenza come il gioco e la felicità, i
sorrisi e il lavoro: «E ogni giorno mi aggrappo ai semplici gesti
del quotidiano come a una boa di
salvataggio. Per non affondare»,
scrive Julliand. Con grande maturità – questa sì, straordinaria –
lei e suo marito Loïc decidono di
gestire gli ultimi mesi della figlia
trattandola come sempre, non
come una malata terminale. Gestendo la ferialità dei gesti, le abitudini, i piccoli riti di ogni giorno
senza pensare che siano gli ultimi. Con loro, il primogenito Gaspard, quattro anni, che firma
l’incipit del libro con questa frase: «La morte non è grave. È triste, ma non è grave». [L.B.]
 ragazzi 
L’amicizia vale
unacconta
tesoro
le tappe di un ini-
R
Nadia Cerchi
La principessa
che stava sempre
seduta
illustrazioni
di Marianna Sauro
dai 9 anni
Edizioni Il ciliegio 2013
pagine 96, euro 12
ziale rifiuto e di una progressiva accettazione della
disabilità motoria la fiaba scritta da Nadia Cerchi, intitolata La
principessa che stava sempre seduta, pubblicata dalle Edizioni Il ciliegio. La dinastia regale di Elisa è
la prima particolarità: come dire
ai piccoli lettori che la sofferenza
non risparmia nessuno, neppure i
più ricchi e potenti, come i re e le
regine. Anche loro sperimentano
un senso di impotenza di fronte al
fatto che la loro figlia non possa
camminare. E decidono di riempirla di beni materiali, forse tentando di colmare il loro vuoto e
la sua infelicità, tanto che il trono d’oro di Elisa – incastonato di
gioielli – ha due ruote per potersi spostare. Sommersa di giocattoli e privilegi, cresce come una
bambina viziata e preferisce stare chiusa nelle sue stanze: sintomo di un disagio interiore che da
sola non riesce proprio a superare.
L’autrice, maestra elementare,
evidenzia come il valore dell’amicizia riesce a scardinare le difese
di Elisa. Facendole sentire il suo
affetto, la domestica Dorotea (sua
coetanea) riuscirà ad accrescere l’autostima della principessa.
Peripezie e avventure, fino al lieto fine, sono metafore del viaggio
esistenziale per diventare grandi,
accettandosi fino in fondo con i
propri limiti e risorse. Aprendosi alla fiducia, «perché ai sogni si
possono dare le ali». I diritti d’autore vengono interamente devoluti ai Goodfellas, la squadra pavese
di wheelchair hockey. [L.B.]
33
Quali sono le parole migliori
per definire la disabilità? Se lo è
chiesto l’Accademia della Crusca,
ispirandosi all’inchiesta pubblicata
da SuperAbile Magazine sul numero
di febbraio, consultabile on line.
A proposito degli
interrogativi
sollevati dalla
nostra rivista, i
rappresentanti
dell’Istituto per la
salvaguarda e lo
studio della lingua
italiana scrivono:
«La risposta – come
spesso accade
quando si trattano argomenti che
toccano non soltanto questioni
terminologiche, ma anche (e
soprattutto) sensibilità individuali
e collettive – non è stata univoca.
Né univoca è stata l’indicazione
di un approccio o totalmente
prescrittivo (questo si può
dire, questo non si deve dire) o
semplicemente descrittivo (questo
è quanto)». Chiaro però «è stato il
senso dell’approfondimento, che
esula da facilonerie pro o contro il
politicamente corretto (a cui spesso
viene associato questo tipo di
dibattito, soprattutto nel tentativo
di liquidarlo velocemente): i termini
vanno considerati nel loro insieme,
valutando (anche in diacronia)
le connotazioni associate a
ciascuno, e verificando, di ciascuno,
la funzionalità a seconda del
contesto». [A.P.]
GRAFIAVIDEOMUSICARADIOLIBRIRAGAZZ
O
T
O
F
IMOSTRE
NZA
CINEMAFE
A
D
O
R
STIVALFICTION
RITEAT
 cinema
Nick, l’autismo
supera il dolore.
Con qualche
ingenuità
i dice che le persone affet-
S
te da sindrome di Asperger
vivano in una condizione di
quasi impossibilità a comunicare con il resto del mondo. Ma se
si riesce a guardare abbastanza a
lungo, si può scorgere un intero
universo all’interno di quel “quasi”. Su questo assunto si sviluppa
White Frog, teen movie presentato in anteprima all’ultimo Lgbt
film festival di Torino.
Di certo è così che la pensa Chaz (intepretato da Harry
Shum), un ragazzo della numerosa comunità cinese di San Francisco. Che, almeno in apparenza,
conduce la vita del perfetto teenager americano: piace alle ragazze,
fa volontariato in una struttura comunitaria e ha degli ottimi
voti a scuola. E si prende amo-
revolmente cura del suo fratello
minore Nick (interpretato da Boo
Boo Stewart, ovvero il Seth della
saga Disney Twilight). Il quale è,
per l’appunto, un ragazzo Asperger. Chaz è l’unico che riesca a
metterlo a suo agio: riponendo
una cieca fiducia nel metodo BeMod (che persegue la modifica
dei comportamenti), cerca di nutrirne la psiche con degli stimoli
positivi. Arrivando spesso a trascurare la sua vita e le sue amicizie per farlo.
Così, quando Chaz muore in
un banale incidente stradale,
Nick finisce per sentirsi imprigionato dentro una bolla sottile ma indistruttibile. Ora più che
mai i suoi genitori – che riponevano in Chaz tutte le loro speranze – sopportano a malapena i
tic di quel figlio autistico, la cui
condizione non hanno mai pienamente accettato. Ma alla fine
sarà proprio lui, con la sua goffaggine e i suoi limiti, a ricomporre il puzzle di quella famiglia,
il cui mondo sembra irrimediabilmente andato in frantumi con
la morte del figlio maggiore. Nick
34
troverà conforto nella compagnia
degli amici di Chaz che, trattandolo da pari – senza alcun tipo di
filtro – si occuperanno della sua
“educazione sentimentale”. Frequentandoli, Nick capirà chi era
davvero suo fratello, arrivando a
conoscerne i segreti più inconfessabili. Segreti che la sua mente di
ragazzo Asperger saprà accettare
meglio dei suoi genitori, almeno
in un primo momento.
È certamente un film piacevole. Ma proprio in questa gradevolezza sta il suo maggior limite.
Nei 90 minuti della pellicola il regista Quentin Lee si addentra in
un reticolo di tematiche spinose, come la religione, la famiglia,
la sessualità (e l’omosessualità)
degli adolescenti. Questioni importanti, certo. Ma decisamente
troppe per risolversi in un lieto
fine di stampo disneyano. Che fa
sorridere finché si è seduti sulle poltrone del cinema ma, una
volta usciti, può lasciare l’amaro
in bocca. Perché nella vita reale,
purtroppo, è molto raro che un
simile groviglio si districhi così
agevolmente. Senza drammi, lacrime e croniche incomunicabilità. [A.S.]
Sopra e in basso,
una scena di White
Frog del regista
Quentin Lee
RITEATRODANZAFOTOGRA
NAGGILIB
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MUSICAR
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ADIOLIBRIRA
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NFUMETT
buddhismo. Dopo due lungometraggi sulla disabilità, di
cui uno sulle vittime del Contergan che gli è valso il successo internazionale e il premio
Deutscher Filmpreis 2009 nel
suo Paese, il tedesco Niko von
combattere le nausee. Ospite del
Goethe Institut di Roma nell’ambito della rassegna cinematografica “Diverso da chi?”, von
Glasow ha parlato senza mezzi termini: «Le mie braccia sono corte a causa del Contergan.
Quelli che mi incontrano per
la prima volta rimangono impressionati. Anche se non dicono nulla, mi fissano o guardano
da un’altra parte. Non si sentono
sicuri della mia presenza. Quasi
non riesco a biasimarli, io stesso mi sento molto insicuro. Per
Glasow ha deciso di tornare a occuparsi d’altro. E di ricominciare
a guardare altrove, come all’inizio della sua carriera, quando ambiva alla notorietà senza
passare per l’etichetta di “regista disabile”. Nel frattempo però
ha condotto la regia di Nobody’s
perfect, il cui intento è fare luce
sulle vite di quanti, come lui, alla fine degli anni Cinquanta sono nati con delle malformazioni
per via del Contergan (o Talidomide), il farmaco assunto in
gravidanza dalle loro madri per
tutta la vita mi sono sentito a disagio pensando alla mia disabilità e ho tentato di ignorarla e
di non affrontare la realtà. Per
molti disabili è difficile sopportare lo sguardo fisso, disgustato,
smarrito o compassionevole del
prossimo in pubblico. La nostra
società deve abituarsi alla nostra
vista e smetterla di vederci come esseri provenienti da un altro pianeta».
Quella di von Glasow, dunque,
è stata una ricerca interiore durata per lo meno fino alla fine di
 RITRATTI
Io regista
e vittima
del
Contergan
l prossimo film lo farà sul
I
35
quel film-verità sulle vittime del
Contergan che al principio non
voleva neppure girare e che, alla fine, «non solo mi ha portato
il successo, ma mi ha fatto sentire più leggero». Perché l’idea di
fondo e il viaggio che ne è derivato hanno donato al regista una
nuova tranquillità rispetto a se
stesso e al proprio fisico. Nobody’s perfect racconta, infatti, la
vicenda di dodici persone, tra
cui lo stesso von Glasow, che accettano di posare nude per sensibilizzare l’opinione pubblica
sugli effetti del
Talidomide. Da
questo progetto sono scaturiti, oltre al film,
un libro, un calendario e una
mostra fotografica di fronte al
Duomo di Colonia. «La gente
che passava di
lì poteva guardare con tutta calma i figli
del Talidomide.
Vedendo l’handicap nelle foto, le persone si
abituano a considerarlo normale. E l’intera operazione alla fine
si è rivelata positiva per gli stessi
protagonisti, che ne hanno tratto maggiore fiducia in se stessi»,
ha sottolineato il regista.
L’intero progetto ha riscosso un grande successo, ma nessuna reazione da parte della
famiglia Wirtz, proprietaria della Grünenthal, società farmaceutica che ha commercializzato il
farmaco. E che in tutti questi anni non ha mai chiesto scusa alle
vittime né ai loro familiari. [A.P.]
Nella foto, Niko
von Glasow in
un’immagine di
Nobody’s perfect
(2008)
RUBRICHE Inail... per saperne di più
Rosanna Giovèdi
Abigal e il ritorno all’autonomia
A causa di un grave infortunio sul lavoro, la giovane
lavoratrice di origine straniera si ritrova su sedia a ruote
e con la necessità di eliminare barriere architettoniche
nel suo appartamento. Un obiettivo raggiunto grazie
al sostegno dell’Istituto
I disegni di questa sezione del Magazine sono di Saul Steinberg
A
bigal è una ragazza straniera che
vive nel nostro Paese da diversi
anni; ha iniziato a lavorare molto giovane per mantenersi, conquistandosi autonomia e libertà. Parla
bene l’italiano, ma scrive ancora con
qualche incertezza, eppure riesce a
sintetizzare con efficacia com’è cambiata la sua vita da quando ha subito
un grave infortunio sul lavoro. Abigal racconta il suo turbamento quando ha scoperto di non poter più usare
le gambe: vive su una sedia a ruote e
può contare sull’aiuto della madre, arrivata nel nostro Paese. È passato un
po’ di tempo dall’incidente: Abigal ha
riacquistato fiducia, desidera tornare a lavorare e a vivere da sola: «Sono giovane e decisa a riacquistare la
mia autonomia, ma prima devo risolvere alcuni problemi di barriere. Ho
trovato un piccolo appartamento al
secondo piano di un condominio con
ascensore, ma per arrivarci ci sono
quattro scalini che non posso salire,
visto che sono su sedia a ruote. Anche l’appartamento necessita di alcuni interventi per renderlo accessibile.
Vorrei sapere se è vero che l’Inail interviene con un rimborso economico
sui lavori che devo fare, a chi mi devo rivolgere e cosa mi possono rimborsare».
L’Inail interviene nei confronti degli assicurati penalizzati nella loro
mobilità e gestione dell’ambiente domestico, a causa delle menomazioni
previsti nel “Regolamento per l’erogazione agli invalidi del lavoro di
dispositivi tecnici e di interventi di
sostegno per il reinserimento nella
vita di relazione”.
Di fatto, per poter accedere a questo
tipo di interventi è necessaria la valutazione di un’équipe multidisciplinare
composta da professionalità presenti
all’interno dell’Inail (dirigente medico, funzionario socio-educativo, professionista della consulenza tecnica
per l’edilizia ecc.), che elabora a favore dell’assicurato un “progetto riabilitativo individualizzato”.
subite in seguito a un evento lavorativo lesivo (infortunio sul lavoro o
tecnopatia). Infatti, al fine di rendere
accessibile e fruibile la loro abitazione e reintrodurli alla quotidianità, reDopo alcuni mesi Abigal decide
stituendo loro l’autonomia, l’Istituto
fornisce particolari dispositivi e rea- di chiamare direttamente il numero
verde di SuperAbile, riferendo che si è
lizza interventi edilizi e impiantirivolta alla Sede Inail competente per
stici per il superamento
la trattazione del suo caso; alcune
e l’abbattimento delfigure professionali dell’Istituto
le barriere architethanno effettuato un sopralluotoniche, con oneri a
suo carico. I limiti
go nel suo appartamento per
e le condizioverificare la sussistenza di tutti
i requisiti e le condizioni previste
ni sono
dalla vigente normativa in merito
agli interventi per l’abbattimento e
il superamento delle barriere. Questi
professionisti fanno parte dell’équipe multidisciplinare di primo livello,
che esprime valutazioni di competenza circa l’adeguatezza del dispositivo
particolare o dell’intervento da erogare in relazione alla disabilità presente,
con lo scopo di realizzare il miglioramento della qualità della vita e l’acquisizione di maggior autonomia da
parte dell’assicurato.
In seguito Abigal scrive nuovamente al servizio SuperAbile, ringraziando per essere stata assistita e
consigliata nel percorso per riprendere la strada dell’autonomia, auspicando che anche nel suo Paese di origine,
in un giorno non molto lontano, possa accadere lo stesso a chi ha bisogno
di aiuto.
36
RUBRICHE Previdenza
Gabriela Maucci
Pluriminorazioni.
Le provvidenze cumulabili
Il diritto al cumulo delle provvidenze economiche è legato
a più riconoscimenti di invalidità per patologie differenti.
L’appartenenza a una determinata categoria non esclude,
infatti, la possibilità di appartenere contemporaneamente
anche a un’altra e l’utilizzo di nuove tecnologie
N
egli accertamenti per invalidità civile si distinguono tre diverse categorie: invalidi civili, ciechi
civili e sordi civili che hanno diritto a
benefici economici diversi. Qualora
sussistano diverse patologie, ognuna
relativa a differenti status (o categorie) di invalidità, è possibile ottenere un riconoscimento per ognuna di
esse in quanto l’appartenenza a una
determinata categoria non esclude la
possibilità di appartenere contemporaneamente anche a un’altra. In questo
caso si parla di pluriminorazioni, ovvero quella condizione sanitaria caratterizzata dalla compresenza di distinte
minorazioni invalidanti e relativi riconoscimenti. Ne deriva il diritto al cumulo delle provvidenze economiche
previste per ogni categoria.
Sono fatte salve, comunque, le eccezioni espressamente previste dal
legislatore, come nel caso dell’indennità di frequenza. Infatti, l’art. 3 della
legge 289/90 preclude, anche in caso
di pluriminorazioni, la concessione
dell’indennità di frequenza per i titolari d’indennità di accompagnamento per gli invalidi civili, indennità di
accompagnamento per ciechi civili
(assoluti), indennità di comunicazione e indennità speciale per ciechi civili (parziali). In questo caso è possibile
optare per il trattamento economico
più favorevole.
Più problematica, invece, è l’ipotesi in cui la persona disabile sof-
fra di minorazioni che possano essere
ripetutamente valutate ai fini dei diversi riconoscimenti di invalidità: l’esempio è in relazione alla cecità, le
provvidenze economiche previste per
i ciechi civili, nonché all’indennità di
accompagnamento prevista per gli
invalidi civili. Tale principio è stato
espresso con la sentenza n. 346/1989:
in quell’occasione la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, primo comma,
della legge 11 febbraio 1980, n. 18 (Indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili) e 2,
quarto comma, della legge 30 marzo
1971, n. 118 (Nuove norme in favore di
mutilati ed invalidi civili) nella parte
in cui si esclude che a integrare lo stato di totale inabilita con diritto all’indennità di accompagnamento possa
37
concorrere, con altre minorazioni, la
cecità parziale che dà titolo a un’autonoma prestazione assistenziale. Infatti, nel caso oggetto del giudizio,
la congiunta valutazione della cecità
parziale e delle altre affezioni riscontrate al ricorrente avrebbe dato luogo
al riconoscimento di un’invalidità totale con incapacità di compiere gli atti
quotidiani della vita, e quindi all’attribuzione dell’indennità di accompagnamento; questo, però, avrebbe
comportato la valutazione, nell’accertamento dell’invalidità civile, anche della cecità parziale per la quale
egli fruiva già delle provvidenze economiche spettanti per questa categoria, incorrendo nel divieto posto dalle
norme, di considerare una stessa patologia per due diversi accertamenti e
conseguenti riconoscimenti. Tale regola, afferma la Corte, risulta priva di
razionalità se applicata nei confronti dell’indennità di accompagnamento: la quale spetta, oltre che ai ciechi
assoluti, ai soggetti totalmente inabili
per affezioni fisiche o psichiche.
Per esempio, nel caso di una persona affetta da problemi di deambulazione e cecità (assoluta o parziale),
la patologia motoria (se valutata singolarmente) potrebbe non dar luogo
all’indennità di accompagnamento;
ma, in questo caso, il problema della cecità concorrerebbe ad aggravare
il problema di deambulazione, quindi deve essere preso in considerazione
ai fini della concessione dell’indennità come invalido civile. Questo non
significa però che la patologia visiva
possa avere una valutazione come invalido civile e, contemporaneamente,
come cieco civile. Riassumendo, dunque: il diritto al cumulo delle provvidenze economiche deriva da diversi
riconoscimenti di invalidità, ognuno
per patologie differenti.
RUBRICHE Tempo libero
Francesca Tulli
Prenotare le vacanze?
Sempre più on line
Sul web abbondano i portali dedicati al turismo senza
barriere in Italia e all’estero: alberghi, campeggi, strutture
per ogni gusto e ogni esigenza. Ma per evitare sorprese
è sempre bene alzare il telefono
È
tempo di pensare alle vacanze e,
per scegliere tra le proposte quella maggiormente adatta alle proprie esigenze specifiche, è opportuno
darsi subito da fare. In aiuto c’è Internet, sempre più ricco di portali dedicati al turismo per tutti e al tempo
libero senza barriere. Una panoramica aiuta a orientarci, ma consigliamo
sempre di telefonare per assicurarsi
che sia tutto come descritto. Il turista
con disabilità non ama le sorprese. Tra
i primi portali si segnala “Freedom to
move. L’accessibilità che vogliamo”,
che nasce da un’idea del Centro clinico Nemo dell’ospedale Niguarda
di Milano e vede la collaborazione di
Hotel.info, marchio internazionale tedesco di prenotazioni alberghiere, ed
alcune sezioni territoriali della Uildm
(Unione italiana lotta alla distrofia
muscolare). Obiettivo del portale è
informare sulle condizioni di accessibilità, per ora solo alberghi, del nostro Paese. Nell’immediato futuro si
auspica un’offerta anche su ristoran-
38
ti, cinema e musei. Navigando nel sito
http://freedomtomove.it, si può scegliere la destinazione e visualizzare la
scheda delle singole strutture monitorate. Mentre per un contatto diretto,
è possibile chiamare subito la Fondazione Serena allo 02/9143371.
Nella ricerca di campeggi e villaggi accessibili è, invece, il network
“Village for all” a dare le giuste indicazioni. Il portale, operativo da diversi anni, è sempre più ricco di strutture
affiliate. Interrogare la banca dati è
piuttosto semplice: basta visualizzare
la home page all’indirizzo Villageforall.net e selezionare i criteri di ricerca.
Ogni complesso ricettivo offre un’ampia descrizione dell’accessibilità degli
ambienti che lo compongono. Chi non
avesse familiarità con il web può contattare il numero 0532/067120.
Nel dettaglio, poi, il Comune di Pisa
ha di recente ampliato la propria offerta informativa, dedicando una sezione
del sito Internet istituzionale all’accessibilità urbana. Il link http://accessibilita.comune.pisa.it consente di
consultare una banca dati, in cui
è possibile effettuare ricerche per
“nome struttura” oppure per tipologia di “attività”. Entrando quindi nell’apposita scheda si arriva a
visualizzare la descrizione dell’ambiente censito e le foto dello stesso.
Gli appassionati del turismo “fuori casa”, l’isola di Malta in particolare,
possono infine contare sul sito Accessibletourismmalta.eu per pianificare
un soggiorno nelle isole maltesi, oppure rivolgersi all’Autorità per il turismo
a Malta (telefono: 00356/22915076). Se
invece è la Repubblica di San Marino ad attirare la nostra curiosità, c’è lo
specifico sito Sanmarinopertutti.com.
Oppure ci si può rivolgere al Consorzio San Marino 2000, telefonando al
numero 00378/0549.995031.
l’ESPERTO RISPONDE
a cura del Consorzio sociale Coin
Lavoro
Vorrei sapere, ai sensi della legge 104,
come si deve comportare il lavoratore
che assiste il familiare con grave
disabilità residente a una distanza
superiore ai 150 chilometri dal luogo
di lavoro.
L
e disposizioni del decreto legislativo
119/2011, in attuazione dell’art. 23, comma 1, della legge 183 del 4 novembre 2010,
hanno apportato modifiche all’art. 33 della legge 104/92. Secondo l’innovazione, il
lavoratore che usufruisce dei permessi per
assistere il familiare in condizione di grave disabilità, residente in un comune differente dal proprio e comunque a una
distanza stradale superiore a 150 chilometri, deve attestare l’effettivo raggiungimento del familiare con disabilità al quale
presta assistenza, quindi il suo luogo di residenza. Nel decreto legislativo 119/2011 si
parla di idonea documentazione o titolo
di viaggio. Nella circolare Inps n. 32 del 6
marzo 2012 (punto 4) e nella circolare
del Dipartimento della Funzione pubblica n. 1 del 3 febbraio 2012 (punto 5)
viene riporta-
Formazione
Ho intezione di frequentare un corso
per addestratore cinofilo presso un
istituto serio e riconosciuto nella città
di Firenze o dintorni, meglio se con
specializzazione nell’aiuto disabili. Se
avete comunque scuole da raccomandarmi, ve ne sarei grato.
P
otrebbe mettersi in contatto con l’Istituto nazionale per lo studio del comportamento animale (Insca), raggiungibile
anche via web all’indirizzo Insca.it. In Toscana, i corsi di suo interesse vengono organizzati a Signa (Fi) e a Tavarnuzze (Fi).
A Signa il corso di ormai prossimo avvio
è al completo, ma sono previsti altri corsi per addestratore cinofilo e pet teraphy
a Tavarnuzze. Per informazioni può rivolgersi a Sara Preteni, e-mail: [email protected].
39
to quanto disposto per legge. Il lavoratore,
sostanzialmente, ha ora l’onere di provare di essersi effettivamente recato, nei giorni di fruizione del permesso legge 104/92,
presso la residenza del familiare al quale
presta assistenza. L’attestazione, come meglio chiarito nella circolare della Funzione
pubblica n. 1/2012, sarà il pedaggio autostradale, il biglietto del mezzo utilizzato
per lo spostamento, oppure la dichiarazione del medico o della struttura sanitaria
presso cui la persona disabile è stata eventualmente accompagnata. L’adeguatezza
della documentazione dovrà essere valutata dall’amministrazione di appartenenza.
Entrambe le circolari citate avvertono
che qualora il lavoratore non riesca a produrre idonea attestazione, l’assenza non
potrà essere giustificata come permessi
legge 104/92. Infine, la circolare del Dipartimento Funzione pubblica n. 1/2012 chiarisce che la disposizione fa riferimento al
luogo di residenza del dipendente e della persona in situazione di handicap grave. Considerato che la finalità della norma
è quella di assicurare l’assistenza alle persone disabili, in base alla legge occorre far
riferimento alla residenza, che è la dimora
abituale della persona, mentre non è possibile considerare il domicilio, che è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale
dei suoi affari e interessi.
pinzillacchere
IL PRANZO DELLA DOMENICA
di Carla Chiaramoni
Altro che
Via Pollio Salimbeni, 9
(angolo via C.
Chamonin)
11100 Aosta
Progettoaltroche.it
Tel. 0165/61065
In cucina Salvatore ed Elena
Chiusura lunedì a cena,
sabato a pranzo, domenica
Coperti 80
Locale accessibile
Prezzo 9 euro (menù
degustazione a pranzo).
A cena menù alla carta
D
i recentissima apertura,
il ristorante-pizzeria
sociale Altro che è la prima
esperienza del genere in Valle
d’Aosta. L’inaugurazione il
20 marzo scorso, alla vigilia
della Giornata delle persone
down, è una dichiarazione di
intenti: avviare un’impresa
“vera”, in grado di competere
sul mercato, dando allo stesso
tempo un’opportunità di
lavoro e strumenti del mestiere
a persone disabili.
Nato all’interno
dell’omonimo progetto, il
ristorante è gestito dalla
cooperativa Enaip Valle
d’Aosta e dall’associazione
Girotondo, che hanno scelto di
investire nel territorio dando
vita a una filiera solidale. Le
divise del personale sono
realizzate dalla cooperativa
sociale L180 di Trieste, mentre
le tovaglie vengono inviate
alla lavanderia del carcere,
gestita dalla cooperativa Mont
Fallère. Inoltre parte delle
materie prime arriva dagli orti
curati dalla cooperativa Les
Relieurs.
La cucina è “quella di casa”:
prodotti e preparazioni
semplici ma genuini. Per
il pranzo un’offerta menù
degustazione a scelta tra tre
primi, tre secondi e il dolce,
che varia settimanalmente.
Per la cena, oltre alla scelta
alla carta, ampia selezione di
pizze: dalle più tradizionali
(tutte in menù) a quella della
casa (pomodoro e mozzarella
con gorgonzola, spinaci e
carciofi) o la “buggets” con
ingredienti a scelta e prezzo in
base alle richieste.
Tre i pilastri del locale:
qualità delle materie prime,
attenzione alla stagionalità
dei prodotti e cucina espressa
dei cibi. Inclusi piatti della
tradizione non esclusivamente
locali, come le orecchiette ai
broccoli, i fusilli alla lucana, la
cotoletta alla milanese.
IL FRANCOBOLLO DEL MESE
fund raising
di Gian Piero Ventura Mazzuca
Una nuova dimora per Alcatraz
Anno europeo, dieci anni dopo
S
ottoscrizione libera per
raccogliere 450mila euro:
a lanciare la sfida è il nuovo
Comitato Nobel per i disabili,
la onlus fondata da Dario Fo,
Franca Rame e il loro figlio
Jacopo. L’obiettivo della
raccolta è la costruzione della
“Casa delle diverse abilità”.
Un progetto ambizioso ma
concreto che punta a costruire
– all’interno dell’ecovillaggio
solare di Alcatraz, in Umbria,
nelle vicinanze di Gubbio –
una casa non solo atossica e
ad alta efficienza energetica,
ma dotata delle più avanzate
tecnologie. La gestione dello
spazio e la proprietà saranno
del Comitato Nobel per i
disabili. Le stanze verranno
affittate a 25 euro a notte a
persona, qualora gli ospiti
E
sattamente nel 2003 si
celebrava l’Anno europeo
delle persone con disabilità.
L’intento? Sensibilizzare
i cittadini sui temi legati
alla non discriminazione e
all’integrazione; diffondere
un’immagine positiva delle
persone con disabilità;
intensificare la cooperazione
tra tutti gli attori delle
politiche a favore delle
stesse; sostenere azioni
concrete per favorire le pari
opportunità e l’inclusione
sociale; promuovere i
diritti dei bambini e dei
giovani con disabilità
a un pari trattamento
nell’insegnamento. Infine,
informare sulle buone prassi
a livello locale, nazionale ed
europeo. A dicembre 2003 si
svolse a Roma la Conferenza
di chiusura dell’Anno, a cui
parteciparono 500 delegati.
Furono esaminati i risultati
e lanciate le strategie future
nel quadro dell’Europa
allargata. In quell’occasione
Poste italiane emise un
francobollo che raffigura un
puzzle, in cui due tessere si
differenziano nel colore dalle
altre. Un’immagine per non
distrarsi, mai.
40
abbiano la possibilità di
pagare. «Detratti i costi di
gestione – spiegano gli
organizzatori – tutto il ricavato
verrà utilizzato per offrire
soggiorni gratuiti o a tariffe
ridotte a persone disabili e
appartenenti a fasce sociali
economicamente disagiate».
Sul blog del Comitato tutte le
informazioni per partecipare
alla raccolta fondi. [E.P.]
LE PAROLE PER DIRLO
questioni di principio
di Franco Bomprezzi
Quando la disabilità dimenticata sale sul piedistallo
è da
Partecipazione Forse
ripetere come
un mantra, visto che questa splendida
definizione, contenuta nel preambolo della
Convenzione Onu sui diritti delle persone
con disabilità, è ancora poco presente nelle
teste di chi governa, di chi amministra, di chi
decide e persino di chi assiste o accudisce.
Rileggiamola e, per favore, ricordiamola a
memoria, come si faceva una volta a scuola:
«La disabilità è il risultato dell’interazione
tra persone con menomazioni e barriere
comportamentali e ambientali, che
impediscono la loro piena ed effettiva
partecipazione alla società su base di
uguaglianza con gli altri».
Ecco, l’obiettivo finale, il grimaldello per
aprire la cassaforte della vita, è sintetizzato
in quella parolina semplice e comprensibile
a tutti: «Partecipazione». La Convenzione
delle Nazioni Unite, dunque, non si pone
come primo obiettivo la salute, le cure, una
generica solidarietà o il soddisfacimento dei
bisogni elementari. No, lo scopo è molto
più importante: togliere gli impedimenti
alla piena ed effettiva partecipazione alla
società.
«La libertà non è star sopra un albero...
La libertà è partecipazione», cantava
Giorgio Gaber e cantavamo tutti in coro.
Star sopra un albero è assai rischioso, a
dire il vero, per una persona con disabilità.
Ma la partecipazione è ancora di fatto
vanificata dalle «barriere comportamentali
e ambientali» che interagiscono con le
persone che presentano «menomazioni».
Spostare il focus dalla menomazione alla
partecipazione. Proviamo a ragionare su
questo diverso accento nell’uso delle parole,
e forse troveremo un nuovo obiettivo di
lotta e di governo. Il silenzio che circonda
le politiche sulla disabilità in questi mesi
è assordante, e la partecipazione è ridotta
al minimo. Il risultato è la perdita di senso
dell’esistenza, la chiusura nel bozzolo della
menomazione.
U
n manichino su una sedia a ruote
al posto della statua del Bigio. È la
singolare protesta di alcune associazioni
di disabili bresciane (Anffas, Aia,
Alleanza salute mentale, Diabete
Brescia, Slow time, Uici e Uildm), riunite
nel comitato “Cittadini come tutti”,
che a metà aprile sono scese in piazza
della Vittoria contro l’amministrazione
comunale per contestare la decisione
di restaurare il monumento. Il motivo?
Soldi a un simbolo fascista e non al
welfare. Ma il sindaco Adriano Paroli
ha fatto sapere alla stampa locale che
«il restauro rientra tra gli interventi
urbanistici collegati alla costruzione
della metropolitana – si legge sul
Giornale di Brescia – e che il Comune,
nel 2012, ha speso nei servizi sociali
42 milioni di euro: in Italia siamo
l’amministrazione che ha dato di più».
Il Bigio, elogiato da Benito Mussolini
nel 1932 come raffigurazione dell’Era
fascista (questo infatti il nome ufficiale
della statua, simbolo di virilità maschile),
è dal 1945 che se ne sta rinchiuso in un
41
magazzino comunale, rimosso in
seguito alle contestazioni antifasciste
dell’immediato dopoguerra. Dopo
quasi 70 anni di oblio, presto il
monumento sarà ricollocato nella
sua posizione originaria. Al momento
della protesta delle associazioni,
insoddisfatte anche per un mancato
confronto con Paroli richiesto a metà
marzo, la città era in piena campagna
elettorale. Si è votato l’ultimo weekend di maggio ma, nel momento
in cui questo articolo è andato in
stampa, il primo cittadino non era
ancora stato eletto. [M.T.]
dulcis in fundo
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dell’Inail, che dal 2000 si dedica alla disabilità.
SuperAbile è il più completo sistema di comunicazione
al servizio degli infortunati sul lavoro e delle persone
disabili. Un’esperienza unica in Italia e in Europa,
che fornisce informazione quotidiana e consulenza
attraverso il suo sito web e il suo Call center.
Con un unico obiettivo: favorire la piena integrazione
sociale, culturale e lavorativa.
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