parte seconda - Giovanna Righini Ricci

Transcript

parte seconda - Giovanna Righini Ricci
PARTE SECONDA
Si propongono ora alcuni “casi” particolari, al fine di
esemplificare, con delle situazioni reali, esperienze e
punti di vista fin qui esposti: tali schede non hanno tuttavia la pretesa di fornire dei modelli rigorosamente
scientifici, bensì di illustrare, narrativamente ma sotto
forma di cronaca il più possibile obiettiva e spersonalizzata, dei quadri umani e delle occasioni di interventi
specifici, che talvolta hanno risolto il problema del preadolescente in maniera soddisfacente, spesso però hanno
solo messo in luce dei drammi, delle crisi, delle necessità, avviandoli piano piano a soluzione.
86
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
SCHEDA N. 1
ELENA
Anni 11; classe prima; intelligenza superiore alla media; livello culturale notevole; sviluppo fisico precoce;
personalità spiccata; comportamento piuttosto schivo e
riservato.
Robusta è formosa, la ragazza manifesta nel modo di
muoversi e di camminare una certa goffaggine: quando
non indossa il grembiule o la tuta da ginnastica, incurva
le spalle per nascondere il seno, molto più pronunciato
di quello delle sue coetanee.
Parla poco, con lentezza, ma negli scritti rivela una
personalità ricca e un temperamento impetuoso.
Tutto nel suo comportamento fa supporre una specie
di “compressione psicologica”, un blocco che la frena,
rendendola impacciata, innaturale.
Le compagne dimostrano scarsa simpatia nei suoi
confronti, anche se ne ammirano (e un po’ ne invidiano!) bravura e prestanza fisica.
La madre, una donna giovane recettiva, durante un
lungo colloquio, confessa che Elena rappresenta per lei
un grosso problema: aperta e spontanea fino a poco
tempo fa, abituata fin da piccola al dialogo con i genitori, ora Elena si è fatta sfuggente, ambigua, ed evita di
proposito qualunque chiarificazione. La donna vorrebbe iniziare con lei il discorso dello sviluppo puberale,
ma non sa come né quando farlo.
Nel corso di incontri successivi, apprendo che la giovane donna è quasi sempre lontana dalla figlia (segue infatti il marito, spesso all’estero per motivi di lavoro) la
87
Giovanna Righini Ricci
quale, insieme con il fratello Paolo (di sei anni) resta affidata alle cure dei nonni, persone colte, efficienti, in età
non ancora avanzata, ma piuttosto rigidi e apprensivi.
Sono avvenute intanto riunioni con i genitori di tutti
i ragazzi e, con la loro collaborazione, si sta impostando,
nelle sue grandi linee, il programma di educazione sessuale. Siccome la maggior parte dei genitori si dimostra
preoccupata per i problemi dello sviluppo puberale e si
è dichiarata disponibile per una fattiva collaborazione,
decido di affrontare in classe (composta da una trentina
di maschi e femmine, molto eterogenei per livello intellettuale, socioculturale, e per età) il problema, delegando i genitori a intervenire direttamente e ad approfondire l’argomento con i loro figli, qualora questi abbiano
bisogno di particolari chiarimenti; incoraggio pertanto i
ragazzi a rivolgersi preferibilmente ai loro genitori ogni
qualvolta abbiano bisogno di spiegazioni personali ma,
nello stesso tempo, mi rendo disponibile per tutti quelli
che desiderino esporre a me i loro dubbi; questa differenziazione nasce dal fatto che non tutti i genitori sono
ugualmente preparati a fornire chiarificazioni ai loro figli; d’altra parte non posso affrontare i temi dello sviluppo puberale con tutti i ragazzi, in quanto essi si trovano
a diversi stadi, sia dal punto di vista psicologico, sia per
ragioni ambientali: un discorso uguale per tutti potrebbe, in queste condizioni, risultare pericoloso perché verrebbe diversamente recepito, e delle “informazioni premature” potrebbero turbare la serenità di qualche elemento ancora molto infantile.
Elena, in un primo momento, rimane estranea alla discussione anche leggermente diffidente; sembra che il
mio linguaggio, gratificante e sfumato, non abbia alcuna
presa su di lei. A poco a poco, tuttavia, noto nella ragazza una cambiamento: durante le pause conversa con i
compagni, cominciando a partecipare alla vita di gruppo; successivamente mi accorgo che cammina più spedi88
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
ta, più sciolta nei movimenti e non cerca più di nascondere i suoi “segnali sessuali”.
Poi l’esplosione, inaspettata: sul torpedone che li
conduce alle rispettive abitazioni, un ragazzo di terza rivolge a Elena un apprezzamento galante ma piuttosto
pesante sui suoi “attributi fisici”: la ragazza, la quale in
passato si era sempre schermita, tutta di fuoco, rimbecca ora, prontamente, con un realismo che (racconterà
poi la madre) lascia di sasso l’incauto ammiratore. A casa, riferisce alla madre l’episodio e ne ride di cuore: è la
prima volta che si confida su un argomento che la tocca
così da vicino.
Da questo momento, ogni volta che in classe si presenta l’occasione per un approfondimento psicologico o
si parla di qualche problema di carattere sessuale, Elena
torna a casa ansiosa di documentarsi, di consultare riviste specializzate ed enciclopedie; e ogni volta chiede
chiarimenti alla madre, la quale sta intessendo, con molto tatto, una sottile trama di amicizia e di confidenza con
la figlia. Tutta tesa a scoprire quello che sta avvenendo
in lei, Elena pone sempre nuovi interrogativi, cominciando anche ad accettare la sua femminilità, il suo “ruolo”. Infine allarga problematica e interessi, spingendosi
a chiedere franche spiegazioni anche al padre; ricevute
risposte esaurienti e non reticenti, una sera prende coraggio e interpella entrambi i genitori per sapere tutto:
come è stata concepita, come è nata, quali rapporti intimi intercorrono ora fra i genitori, in che modo evitano
che siano concepiti altri figli, ecc. I due (“con il viso di
fiamma”, confesserà poi la madre, vittima di un’educazione rigida e di ancestrali “tabù”) affrontano strenuamente l’assalto; alla fine del colloquio, Elena dimostra
una così tranquilla consapevolezza, una tale serenità di
spirito che la donna sente il bisogno di venire il giorno
dopo a scuola ad annunciarmelo (ed è raggiante perché
l’esperienza è servita anche ai due coniugi, per rompere
89
Giovanna Righini Ricci
una sorta di impalpabile reticenza che toglieva naturalezza alla loro confidenza, spontaneità alla loro intesa).
Da questo momento, Elena ascolta con distacco, anche se con attenzione, ciò che si va dicendo in classe: ora
non ha più bisogno di noi, essendo già arrivata a uno stadio molto più avanzato dei problema personale, sul diario scriverà, in tutte maiuscole, di là a poco:
EVVIVA MIA MADRE!
MIA MADRE È LA MIA MIGLIORE AMICA!
Aggiunge che, ora, non se la sente più di fare i capricci ogni volta che sua madre segue il marito all’estero,
rendendosi conto che, “oltre che una madre è anche una
moglie”. Ma queste cose (aggiunge maliziosamente) guai
a farle capire alla nonna: ci sarebbe di che farla rimanere secca, povera vecchia!”.
90
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
SCHEDA N. 2
FABIANO
Anni 15 e mezzo; classe terza; sviluppo fisico superiore alla media e corporatura atletica; intelligenza vivace;
grande abilità manuale e grafica; rendimento scolastico
tuttavia assai mediocre; pluriripetente. Di temperamento
violento, sgarbato, è in continua polemica nei confronti
della scuola, della società, dell’autorità precostituita.
Si trova inserito nell’ultima sezione, in una classe di
“risulta”, composta cioè di ragazzi ripetenti, affetti da
preesistenti carenze e da lacune espressive, provenienti
generalmente da ambenti di livello socioculturale molto
basso (la scuola è ancora visibilmente improntata a criteri didattici selettivi: nelle prime sezioni sono stati convogliati, infatti, gli elementi migliori, più recettivi, di agiate
condizioni, mentre l’ultima sezione raccoglie gli emarginati, i reietti, i caratteriali, gli ipodotati, i pluriripetenti).
Con un’esperienza scolastica del tutto negativa alle
spalle (ha ripetuto per due anni la prima, subìto sospensioni e sanzioni, per motivi disciplinari, ricevuto più volte la qualifica di indesiderabile, di elemento sovvertitore
dell’ordine, ecc.) non collabora, non si impegna, risponde con cinismo, tende alla violenza fisica (mette le mani
addosso ai compagni, prediligendo i “colpi bassi”).
La famiglia, composta di genitori anziani, operai in
fabbrica, e di una sorella maggiore, già sposata, si disinteressa completamente del ragazzo, il quale vive abbandonato a se stesso, tracotante e solitario.
Una mattina, entrando in classe, avverto qualcosa di
“elettrico” nell’aria, ma non riesco a individuare subito
91
Giovanna Righini Ricci
la causa ( ho “ereditato” questa classe da pochi giorni e
ho il compito di insegnare storia, geografia e - almeno
nelle mie intenzioni! - educazione civica, e sono l’ultima
di una lunga serie di insegnanti. Ogni volta che cerco di
far leva sul loro senso di responsabilità o di instaurare
un dialogo, mi fissano con aria di sfida e mi rispondono
amaramente, beffardi: “Cosa diavolo si aspetta da noi?
Non le hanno detto che siamo le pecore nere della scuola, i somari patentati, i contestatori? E allora?” Di qui
l’urgenza di recuperarli, almeno sul piano morale, di infondere in loro un po’ di fiducia, di distruggere questo
malcostume di dividere e di segregare, creando ragazzi
di serie A e ragazzi di serie B! Ma sono qui da poco, sono nuova dell’ambiente e, mentre da parte dei ragazzi le
mie iniziative ricevono ancora un cinico disinteresse, da
parte del preside e dei colleghi, si sta creando l’abile
congiura del silenzio e della resistenza passiva). Entrando in classe, dunque, sento che un magico fluido sotterraneo mette scintille negli occhi dei più “grandi”, i quali appaiono oggi stranamente attenti e disciplinati, ma
sono invece eccitati, tesi. Tuttavia inizio la normale routine, senza dar peso alla cosa e, durante l’intervallo, sto
all’erta: noto allora che, invece di precipitarsi a fare una
rumorosa ricreazione nel corridoio, i ragazzi più adulti
restano in classe e fanno capannello attorno a Fabiano.
Odo risolini soffocati, commenti a mezza voce. Non entro nel gruppo, per non avere l’aria inquisitoria e per
non spezzare quell’esile filo di confidenza e di fiducia
che sto faticosamente cercando di intessere con loro; mi
rivolgo invece a Marcello, un ragazzetto piuttosto fragile, emotivamente. Egli arrossisce e si sottrae alla domanda. Allora affronto direttamente Fabiano, che intuisco
essere il leader del gruppo, e gli chiedo, di lontano, il
motivo di quell’assembramento. Esita un istante, indi mi
risponde, a testa alta, con aria “brava”: “Sto mostrando
ai miei amici una rivista “per soli uomini!”.
92
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
Sono combattuta: una mia mossa sbagliata, e l’occasione che mi si sta presentando sfumerà, annullando anche il leggero progresso psicologico avvenuto in alcuni
ragazzi, grazie al metodo didattico attivo e promotore di
personalità che sto tentando di impostare nella classe.
Mi accorgo che Marcello trattiene il respiro, avido di vedere che cosa succederà ora e probabilmente desideroso di una severa sanzione, che colpisca duramente l’ardire di Fabiano (che egli ama e detesta allo stesso tempo, perché ne subisce la forte personalità e ne è la vittima prediletta, in quanto non è in grado di difendersi).
Anche gli altri ragazzi sono molto tesi; qualcuno cerca di
scostarsi dal gruppo, nella vile speranza di non essere
coinvolto.
Domando, con voce tranquilla: “Vuoi mostrarla anche a me?”
Un vivo imbarazzo si dipinge di colpo sulla faccia di
Fabiano, il quale ora ha tutti gli occhi addosso: si è fatto un grande silenzio.
Fabiano intuisce che deve prendere una decisione
coerente con il suo comportamento spregiudicato e anticonformista di sempre e, con fare annoiato, viene verso di me, che non mi sono mossa dalla porta, e mi allunga, senza guardarmi in viso, la rivista, dicendomi, con
aria aggressiva:
“Badi che ci sono solo delle porcherie!”
“Guardiamole insieme”. Propongo, accostandomi a
un banco.
Erano tutti talmente convinti che la cosa sarebbe sfociata in uno scandalo, finendo in presidenza, che, alla
mia proposta, mi fissano sbalorditi (e anche un po’ costernati).
Comincio a sfogliare la rivista, facendomi forza (è decisamente oscena) e sollevo di tanto in tanto lo sguardo
per osservare le reazioni di Fabiano e dei suoi amici. Mi
accorgo che provano un senso di vergogna e che stanno
93
Giovanna Righini Ricci
osservando quei nudi repellenti non più con gli occhi
avidi di poco prima, ma con spirito critico, oggettivandoli e, quindi, respingendoli.
Arrivo all’ultima pagina, senza rompere quel silenzio,
facendo passare lentamente tutti quei corpi in pose
scomposte, quelle immagini di carne “mercificata”.
Forse avvertono nel mio silenzio una condanna; Fabiano è sulle spine. Allora chiudo la rivista e domando:
“Vorrei sapere, sinceramente, le ragioni per le quali queste riviste pornografiche vi attirano tanto”.
Risolini imbarazzati; la tensione tuttavia si va allentando.
Fabiano risponde, con aria di sfida:
“Perché siamo uomini!”
“Cioè?” Insisto.
“Un uomo deve saperle, certe cose!”
“E la donna no?” Incalzo.
“La donna è meglio che non ci metta il naso, in queste porcherie”.
“Perché sono porcherie?”
Nessuna risposta: sono tutti sulla difensiva.
Sono rientrati intanto, finita la ricreazione, gli altri ragazzi, e anche le poche compagne che fanno parte della
classe.
Non mollo la presa e propongo loro di discutere insieme l’argomento.
Ne scaturisce immediatamente un vivacissimo dibattito che vede subito i ragazzi schierati in due fazioni opposte: le femmine, infatti, condannano senza appello
l’accaduto e bollano le letture pornografiche a sfondo
erotico, anche se rivendicano per la loro “categoria” il
diritto di essere informate sui problemi sessuali; i maschi
invece (e soprattutto Fabiano) difendono una loro pretesa posizione di superiorità e di privilegio, insistendo
sul ruolo prestabilito della donna, che deve essere sposa, madre, strumento di piacere per l’uomo, ecc.
94
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
Dagli interventi balza subito evidente lo stato di ignoranza, di confusione, di “disinformazione”, di pregiudizio in cui si trovano quasi tutti. Colgo allora l’occasione
per proporre loro di approfondire l’argomento e di allargarlo, durante alcune ore pomeridiane, al di fuori
cioè del normale orario scolastico. Mi rendo conto di
chiedere molto e non credo che la proposta “passerà”,
in quanto il numero di assenze e l’evasione scolastica in
questa classe è massiccia. Con mio sommo stupore, invece, la proposta viene accolta con vero entusiasmo.
Il giorno successivo porto a scuola, insieme con la rivista pornografica che ho conservato, benché Fabiano
mi supplicasse con gli occhi di non farlo, un buon libro
di storia dell’arte, e insieme esaminiamo i vari nudi artistici, confrontandoli con le immagini riprodotte sul rotocalco.
I ragazzi, immediatamente, da soli, sottolineano la carica di sollecitazione morbosa e spesso di depravazione
contenuta in quasi tutte le fotografie della rivista, di
stortura e di degradazione del sesso, e passano a considerare il nudo nei suoi valori emblematici attraverso i secoli (come nelle culture primitive non vi sia la vergogna
della nudità, come il pudore sia il frutto di convenzioni
sociali, come la convivenza e le sovrastrutture arricchiscano il corpo di sottintesi, di “segnali”, ecc.).
Di qui, in un’atmosfera via via più distesa e, nello
stesso tempo, fervida di pensiero, si passa, di volta in
volta, ad argomenti più specifici; lascio che i ragazzi
concludano liberamente la loro inchiesta sulla “donnaoggetto”, sulle suggestioni pubblicitarie dei “persuasori
occulti”, sulla prostituzione, sulle deviazioni sessuali,
ecc., intervenendo solo quando desidero imprimere alla
discussione una svolta o indurre a qualche approfondimento. Infine, si passa a trattare il rapporto fra i due sessi e il tema dell’amore e, quando Fabiano per primo,
giunge ad affermare che amare è dare; amore non è so95
Giovanna Righini Ricci
praffazione del partner ma integrazione della propria personalità con quella dell’altro, sento di aver fatto un grande balzo in avanti. Egli aggiunge ancora che il giovanotto che chiede alla sua ragazza la famosa “prova d’amore”, usa l’arma del ricatto morale, ledendo la libertà di
scelta di lei, obbedendo a puro egoismo, non rispettando la sua compagna, né nel corpo né nell’anima. Qualcun altro riesce perfino ad andare oltre, affermando che
l’amore è una libera scelta che deve elevare l’individuo,
non abbrutirlo né asservirlo facendo del corpo uno strumento e, perciò, degradandolo.
Fabiano non manca agli incontri pomeridiani e la sua
presenza è fortemente stimolante per i compagni, essendo egli dotato di una certa “esperienza” sessuale di una
spiccata personalità. Sta anche imparando piano piano a
rispettare chi la pensa in maniera diversa da lui (le prime volte, invece, se qualcuno osava contraddirlo, lo insultava o minacciava di “spaccargli la faccia”!).
Poi, poco per volta, il suo interesse viene meno (mentre si accentua invece quello dei suoi compagni, ora tutti protesi a scoprire quello che sta avvenendo in loro e
sempre desiderosi di espormi i loro problemi). Noto anche che, durante le discussioni, si stacca dai problemi
“personali”, rivolgendo la sua attenzione ad aspetti sociali, politici, morali (incremento delle nascite e loro
controllo, sottosviluppo, ignoranza, limitatezza delle risorse terrestri, libertà e suoi limiti, ecc.).
Ancora, giocando con i compagni, si abbandona all’aggressività, ma non cerca più di colpirli nelle parti più
delicate (un tempo lo faceva ad arte, con un piacere sadico alla vista del malcapitato che si piegava in due per
il dolore!). È stato però necessario che lo chiamassi in
disparte e che gli spiegassi, con franchezza e con minuziosità, i guai che può provocare un colpo violento ai genitali di un adolescente, perché desistesse per sempre
dal suo passatempo preferito.
96
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
Alla fine di un incontro pomeridiano, mi aspetta sui
gradini per dirmi, bruscamente:
“C’è una novità che la farà contenta!”
E mi racconta che si “è calmato” perché ha trovato
“una tipa” che gli fa “tenere le mani a posto”; mi confessa anche che è “la prima volta” in vita sua che rispetta una ragazza, e mi annuncia che, dopo l’esame di licenza, andrà a lavorare in un’officina (dove sta già facendo
pratica).
Gli chiedo il motivo della sua decisione; risponde che
gli piace “muovere le mani” (le ha grandissime!) e vedere subito “che cosa succede”. Poi (ma questo lo dice sottovoce, con un improvviso pudore, senza guardarmi in
faccia) mi confida che vuole sposarsi “per sentirsi più
completo, come dice sempre lei”. Indi si mette a ridere,
mi fissa negli occhi e aggiunge, volubile:
“Ma forse non è vero niente, perché io faccio presto
a cambiare idea”.
Mi saluta in fretta e se ne va, con la mente piena di
progetti, finalmente “impegnato”, partecipe, desideroso
di essere artefice del proprio divenire, padrone della
propria esistenza.
97
Giovanna Righini Ricci
SCHEDA N. 3
DANIELE
Anni 11; classe prima; intelligenza pronta, intuitiva;
sviluppo fisico normale; instabilità emotiva. Di temperamento loquace, estroverso, con punte notevoli di esibizionismo, fin dal primo giorno di scuola si atteggia a “Pierino la peste” e racconta, con compiacimento, di essere
sempre stato la disperazione di tutti i maestri e di rendere molto difficile la vita anche a suo padre e a sua madre.
Si agita in continuazione ma produce poco, tanto da
solo quanto in gruppo; anzi, con i compagni è petulante, dispettoso, confusionario e, dopo poco, viene estromesso.
Ha molto bisogno di gratificazioni e di ricevere sempre un “trattamento di favore”: lavora solo se mi siedo
accanto a lui e lo guido, passo passo. Allora ride, parla,
mi racconta storielline, alla pari, senza ombra di soggezione. Si compiace di definirsi un “caso difficile” e cita
continuamente, con sussiego, il suo pediatra, il suo psicologo.
L’ambiente familiare è agiato, ma i genitori (molto
giovani e spensierati) lo educano in maniera incostante e
sono molto permissivi e, intimamente, indifferenti. La
madre conduce un’elegante boutique, lasciando Daniele quasi sempre solo o affidandolo a “bonnes” improvvisate; appena c’è qualche “ponte”, padre e madre partono per costosi viaggi e crociere di lusso, portandosi
dietro Daniele, il quale torna regolarmente a scuola con
alcuni giorni di ritardo, più irrequieto e impertinente di
prima. Si atteggia a uomo navigato, si compiace di sape98
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
re barzellette “spinte” (ne possiede una collezione inesauribile!), si esibisce, per sbalordire i compagni.
Un giorno, inaspettatamente, mentre cerco di recuperarlo nell’ortografia (scrive con parole smozzicate, lasciando a metà i pensieri; armeggia in continuazione con
pennarelli di diverso colore; strappa fogli su fogli) mi
confida:
“Sa, signora professoressa (mi apostrofa sempre così,
con tutti i miei titoli!) che mia madre ha il pancione?”
E mi racconta che presto dovranno cambiare casa
perché, con la nascita di un altro marmocchio, ci vuole
più spazio, e lui, la sua stanza dei giochi, non è affatto
disposto a cederla. La sua labilità emotiva nasconde
dunque una latente gelosia per quell’intruso che già prima di nascere, minaccia la sua situazione privilegiata di
figlio unico e, sotto la sua apparente sicurezza, si celano
carenze affettive, sfiducia in se stesso, solitudine? Mi domando.
Siccome è sveglio e “preparato”, decido di coinvolgerlo nell’esperimento di educazione sessuale che sto
impostando nella classe, con la collaborazione dei genitori. Perciò, ogni volta che si parla della gestazione, dei
problemi di una donna in attesa, della vita prenatale,
chiamo direttamente in causa Daniele, perché ci parli
delle sue “esperienze” dirette, gratificandolo frequentemente con affermazioni di questo genere: “Vedete, ragazzi: il vostro compagno è fortunato! Egli può studiare
“dal vivo” tutti questi problemi”. “Quando il fratellino
- o la sorellina - di Daniele nascerà, egli ci racconterà
ogni giorno l’avventura di un neonato nel mondo”.
Noto subito un cambiamento nel suo modo di comportarsi in classe: è più calmo, meno esibizionista. Richiamato amorevolmente al dovere, quando si gingilla
con il suo armamentario di penne e non lavora, risponde immediatamente, con estrema buona volontà: “Sì, signora professoressa, ha ragione: lo faccio subito!”
99
Giovanna Righini Ricci
Ogni giorno, appena entrato in classe, ci informa sullo stato di salute di sua madre, sui suoi sintomi.
Una mattina viene a scuola tutto eccitato perché sua
madre gli ha fatto sentire con la mano il suo fratellino
mentre tirava calci: “È un maschio senz’altro: sentisse
come spara!” Commenta, compiaciuto; ora la fase prenatale lo appassiona enormemente (è molto acuto nelle
sue osservazioni e bene informato, anche perché la madre, sollecitata, si sta impegnando con encomiabile buona volontà).
Daniele comincia a portare a scuola libri per gestanti, che consulta ogni giorno e ci mostra in che “fase” si
trova ora il “fratellino” (ormai è escluso che possa essere una femmina!).
Una mattina non si presenta. Compare invece verso
mezzogiorno e ci informa, tutto trafelato, che il fratellino “sta arrivando” e sua madre è stata portata con
un’autoambulanza in clinica, mentre lui si è sentito rifilare a una giovane zia.
Resta assente per quasi una settimana; quando ritorna a scuola, è ansioso di informarci sugli sviluppi della
situazione: con narrazione realistica, efficace, colorita e
con rilievi burbero-affettuosi, ci descrive la nascita e
prodezze di Omar (un maschio!).
I compagni lo ascoltano con vivo interesse; egli se ne
accorge e il fatto di essere al centro dell’attenzione senza faticosi funambolismi, lo rassicura.
Ogni giorno, con competenza e con una sorprendente abilità dialettica, intrattiene i compagni sui fatti che
caratterizzano i primi giorni di vita di un neonato, sui
problemi di una puerpera, sull’allattamento, sul distacco del cordone ombelicale, ecc.
Insieme con i ragazzi, prendo la decisione di seguire fino alla fine dell’anno scolastico la vita e le prodezze di questo neonato che ci pare, avendolo “studiato” anche prima
che nascesse, un po’… opera nostra!
100
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
Daniele ne è entusiasta: ora ha un posto importante
nella classe, ma non ne abusa. Il suo rendimento scolastico è ancora piuttosto discontinuo e la sua capacità di
attenzione labile, ma il suo sviluppo psichico ha fatto un
buon progresso e la sua personalità si sta evolvendo verso manifestazioni più mature.
A poco a poco, tuttavia, passata l’eccitazione dei primi giorni, l’attenzione della classe si attenua e il resoconto delle esperienze di Omar trova orecchi non sempre
attenti: svanita la tensione iniziale, infatti, ormai per gli
altri ragazzi si tratta di continuare il discorso anche sotto altre angolature, mentre per Daniele la narrazione
delle sue esperienze personali era tutto. Egli soffre del
diminuito interesse. Cerco allora di fargli accettare la
sua situazione, di fargli capire che non sempre si è necessari al prossimo e che ora i suoi compagni desiderano affrontare altri problemi. Sembra convinto, ma appare
piuttosto depresso.
Il suo stato d’animo si aggrava quando, a causa della
perpetua confusione che regna in casa sua da quando è
nato Omar, egli comincia ad arrivare regolarmente in ritardo a scuola, scarmigliato, trafelato, teso: “La mamma
si è addormentata all’alba, perché Omar aveva frignato
tutta la notte e nessuno mi ha svegliato in tempo”. “La
sveglia stamattina non ha suonato”. “Mi sono alzato in
ritardo e ho dimenticato sulla scrivania tutti i libri”. “Sono venuto un’ora dopo, perché dovevo badare a Omar
finchè non arrivava la baby-sitter”.
Ogni giorno deve giustificarsi, ogni giorno entra in
classe quando l’attività è in pieno svolgimento ed egli
si sente estraneo, isolato, spettinato, senza l’occorrente
per scrivere, spesso a digiuno. Sta ripiombando nel disordine emotivo dei primi giorni di scuola, regredendo, e me ne affliggo perché la soluzione questa volta
non dipende dalla mia opera ma deve scaturire dalla
famiglia.
101
Giovanna Righini Ricci
Una mattina mi confida:
“Lo sa, signora professoressa, che ieri per poco non
ho buttato Omar giù dal balcone? Davvero, sa, non
scherzo! Stavo davanti alla televisione, quando lui si è
messo a frignare. Sono andato a ficcargli il succhiotto in
bocca; ma quello, niente! Per la rabbia mi sono dato un
morso a un braccio: guardi!” E mi mostra il polso dove
sono rimasti, nitidi, i segni dei denti!
Il suo equilibrio emotivo è sul punto di rottura: mangia in ore strane, è trasandato nel vestire, dorme poco la
notte, si sente emarginato, infelice. Chiedo aiuto allo
psicologo, il quale convoca la madre, convincendola a
trascurare per qualche tempo la sua bene avviata boutique per dedicarsi un po’ di più a Daniele, sull’orlo di
una crisi pericolosa.
La donna per fortuna capisce.
Ora viene ogni giorno ad attendere Daniele, all’uscita della scuola, con Omar nella carrozzina. Daniele, di
nuovo al centro dell’attenzione, appare più disteso e fiducioso.
La storia da percorrere è ancora lunga, ma Daniele si
confida regolarmente, chiede consiglio, aiuto, e non dispero di riuscire, col tempo, a fargli trovare la sua dimensione e ad acquisire autonomia.
102
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
SCHEDA N. 4
LIVIO
Anni 16; classe terza; intelligenza acuta; sviluppo fisico notevole; corporatura atletica (frequenta una palestra
di cultura fisica); aspetto molto virile; bellezza inconsueta, delicata e aggressiva nello stesso tempo; ha ripetuto
la terza elementare e due volte la prima media; di temperamento chiuso, sfuggente, parla raramente e non
prende parte alla vita scolastica (la collega di italiano,
che io affianco per l’insegnamento della storia e della
geografia, mi informa che, da anni, appare così: inerte,
apatico, e che “è sempre stato aiutato considerando la
sua età”, ma spesso rifiuta di fare il compito o di svolgere il tema “perché l’enunciato è troppo infantile”).
È così palesemente adulto che incute un senso di
soggezione nei suoi compagni (i quali sono quasi tutti
sui quattordici anni; anzi, qualcuna delle ragazze ne ha
poco più di tredici). Pur essendo molto avvenente, raramente viene accostato dalle ragazze della sua classe
(per le quali del resto ostenta la più “oltraggiosa” indifferenza!). Nei confronti delle insegnanti è rispettoso,
quasi deferente, ma scontroso (parla solo se direttamente interpellato e le sue parole sono di una concisione talvolta ermetica); tuttavia, da come le osserva furtivamente, balza subito agli occhi che egli le vede “da
uomo”, cioè nel pieno possesso della sua virilità, non
da “alunno”.
Quando Livio è presente (fa assenze frequenti, senza
fornire esaurienti giustificazioni) il suo comportamento
rivela un chiaro disadattamento: il contesto scolastico, la
103
Giovanna Righini Ricci
dinamica di classe non sono per lui affatto stimolanti ed
egli si estrania, si isola.
Da qualche tempo noto tuttavia che ha stretto amicizia con Marco, un ragazzo venuto all’inizio dell’anno da
un’altra città, immaturo, dai tratti piuttosto femminei,
unico figlio di una madre volitiva e iperprotettiva. Fin
dal primo giorno Marco si è scelto il posto accanto a Livio (che se ne sta sempre solo, in fondo all’aula) e sembra ricevere sicurezza e protezione dalla vicinanza di
questo giovane, che è esattamente il suo opposto: il suo
attaccamento a Livio si fa di giorno in giorno più morboso, eccessivo, anche se è fatto soprattutto di sconfinata ammirazione per la virilità, la prestanza fisica e l’indifferenza del compagno, il quale si lascia “adorare”, con
altero distacco.
Da qualche tempo Livio giunge regolarmente a scuola con un’ora di ritardo; ha l’aspetto trasandato, l’aria assente, stanca; è anche deperito fisicamente, invecchiato.
La madre, interrogata sulle frequenti assenze del figlio e
richiesta del motivo per cui il giovane si firma da solo le
giustificazioni, ammette che da anni ormai egli è autosufficiente, vive con estrema indipendenza, possiede le
chiavi di casa, entra ed esce a qualsiasi ora del giorno e
della notte. “Prima c’era la sorella a custodirlo; poi lei si
è sposata e Livio se la cava da solo. Del resto è un bravo
figliolo, anche se non è semre promosso a scuola, e io sono tranquilla. E poi, mi dica come farei a stargli dietro,
tutto il giorno? Io lavoro in una lavanderia, in città: esco
di casa che è buio, rientro la notte!”
Decido di fare un tentativo per coinvolgere Livio, e
gli domando, con chiaro intendimento provocatorio,
una franca spiegazione e una critica sulla scuola che sta
frequentando da anni con così scarso successo. Mi fissa
sorpreso (e anche un po’ seccato) di essere stato chiamato direttamente in causa, e si rifiuta di rispondere. Si accende invece fra i compagni una vivace discussione sui
104
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
difetti della scuola e dei metodi didattici; qualcuno anzi
si inardisce fino a cercare di motivare lo scarso rendimento e lo scarso interesse di Livio, il quale ascolta attentamente, senza intervenire. Tuttavia, quando una ragazza avanza la supposizione che Livio sia così distaccato perché “è troppo maturo per questo tipo di scuola”,
noto che il giovane arrossisce e ho la sensazione che la
sua maschera si stia incrinando. Suggerisco allora ai ragazzi di elencare gli argomenti sui quali vorrebbero discutere più a fondo, liberamente insieme, e propongo
loro di ritornare a scuola nel pomeriggio, al di fuori delle ore scolastiche. Accettano con entusiasmo.
Al pomeriggio, li ritrovo quasi tutti, anche Livio, e all’unanimità mi propongono di parlare dei problemi dei
giovani e degli argomenti sessuali che, alla loro età “sono più importanti del resto” (sanno che sto conducendo
da due anni in una seconda classe un’esperimento di
educazione sessuale).
Mi accorgo che Livio annuisce alle richieste dei compagni e appare vivamente interessato, anche se non si è
ancora sciolto dal suo riserbo.
Durante la discussione, vedendo che non perde una
parola ma è molto teso, lo coinvolgo bruscamente:
“A questo proposito mi piacerebbe conoscere l’opinione e le esperienze di Livio”.
Risponde, con inaspettata franchezza, esponendo
brevemente il suo punto di vista e dimostrando di aver
letto (e forse mal digerito!) libri di informazione sessuale, di psicologia, di psicanalisi (si inceppa infatti sulla
teoria onirica di Freud e fa un po’ di confusione con il
complesso di Edipo).
Il linguaggio che usa, stringato e irto di vocaboli
“specialistici”, lascia piuttosto confusi i compagni e i
particolare Marco (lo sento infatti chiedere sottovoce
chiarimenti a Livio, il quale, con un certo sussiego, gli risponde: “Te lo spiego dopo, quando siamo fuori”).
105
Giovanna Righini Ricci
L’interesse è vivissimo e la discussione si protrae per
tutto il pomeriggio.
All’uscita dalla scuola, noto che Livio sta distanziando i compagni, rallentando a bella posa il passo; indi si
fa coraggio, mi si affianca e, immediatamente, si “confida”: ne esce un racconto smozzicato, con molte zone
d’ombra (non oso mai interromperlo per porre domande, chiarire concetti, rendendomi conto oscuramente
che ora Livio ha bisogno di essere ascoltato, di parlare di
sé, di capirsi, oggettivandosi), situazioni delicate, particolari scabrosi (ha una “relazione” con una giovane
donna sposata e madre di un bambino), slanci idealistici (vuole “rompere”, punirsi, pagare o fuggire con lei,
“regolarizzando” la loro situazione) e una forte carica
erotica.
Non mi chiede aiuto né consiglio, anche se si dibatte
in un vicolo cieco: finito il racconto, appare confuso e si
ritrae in sé, quasi pentito del suo abbandono. Sembra
che voglia andarsene, non aspettare la mia risposta, qualunque essa sia, come se la paventasse.
Gli propongo di incontrare lo psicologo, per avere un
colloquio più chiarificatore di quanto possa essere il discorso estemporaneo e frettoloso che stiamo facendo,
sul piazzale della scuola.
Rifiuta, educatamente ma con fermezza, si richiude
nel suo riserbo. Sento che devo mantenere vivo il dialogo, alimentare quella fiducia che lo ha indotto, suo malgrado, ad aprirsi: gli propongo allora, semplicemente, di
considerarmi sempre disponibile, qualora senta il bisogno di riparlarne, di approfondire sensazioni e stati
d’animo, e lo prego di non prendere decisioni drastiche
senza che prima ne abbiamo discusso insieme, mettendo
il luce tutti gli aspetti della vicenda, tutte le implicazioni
morali, civili, giuridiche.
Ha l’aria sollevata e accetta quasi con gioia. Si allontana con passo veloce e poco dopo lo vedo buttarsi a ca106
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
pofitto nella mischia dei compagni, che si sono messi a
disputare un’accanita partita di pallone sul piazzale: improvvisamente è più giovane, spensierato.
Livio comincia anche a seguire con maggiore assiduità le lezioni del mattino (salvo qualche ritardo) e non
manca mai alle discussioni pomeridiane. Il suo contributo ai dibattiti è di capitale importanza, data la sua maturità psicologica, anche per i compagni, i quali stanno
piano piano scoprendo in lui una dimensione nuova.
Quasi ogni giorno si attarda a raccontarmi gli sviluppi
della sua vicenda, ma ogni giorno mi appare più sbrigativo e più distaccato. Si dice consapevole della labilità
della sua situazione e si dichiara desideroso di conseguire la licenza, per poi continuare studi di indirizzo tecnico: un giorno ho la sensazione che l’esame di licenza sia
un alibi, per rimandare la romantica decisione confidatami tempo addietro (fuggire con la donna amata e costruirsi un’esistenza tutta sua, lontano dal mondo); altre
volte dichiara che la cosa è rimandata perché “non si
sente bene”, avendo subito uno strappo muscolare piuttosto doloroso, mentre sollevava un peso; infine confessa che lui si sente tropo giovane e che ritiene sia meglio
rimandare ogni decisione all’inizio delle vacanze. Mentre parla, si accorge con disappunto (e anche con un vago senso di vergogna), che quella che gli sembrava una
passione travolgente, senza fine, si sta ridimensionando,
calando piano piano da puro limbo del sentimento alla
prosaica realtà: sta cessando di amare e si sente in colpa,
avvilito, sconcertato. Non intervengo né con suggerimenti né con parole di commento o di conforto: deve
trovare da solo la sua vera identità, fare una scelta meditata e consapevole. Tuttavia gli ripropongo l’incontro
con lo psicologo; scuote il capo:
“Non ce n’è più bisogno”. Mi dice.
È l’ultima volta che cerca di parlare con me di problemi personali.
107
Giovanna Righini Ricci
Il suo atteggiamento in classe appare mutato: nei riguardi di Marco è piuttosto brusco ed energico; lo strapazza anche, sottraendosi così alla supina adorazione
del compagno. Il suo rendimento scolastico è notevolmente migliorato e l’affiatamento raggiunto durante gli
incontri pomeridiani si rivela molto produttivo nel lavoro di gruppo: i compagni infatti affidano ora la Livio
compiti di leader e il giovane, pur rimanendo sempre un
po’ schivo e con certe durezze improvvise, rivela buone
doti di organizzatore. Qualche compagno lo guarda con
occhi adoranti (Simonetta si è già più volta offerta di
aiutarlo a “ripassare” le lezioni per le ormai imminenti
prove d’esame, ma Livio, con mio profondo sollievo, rifiuta sempre il suo aiuto, scoraggiando, con fare tra il
brusco e il paterno, quelle timide “avances” che a lui, reduce da un’esperienza così cocente, devono apparire
molto ingenue e goffe).
Qualcosa però si è sciolto dentro di lui, che appare
ora “liberato”, e sta imparando faticosamente ad accettare la convivenza con gli altri, a sentirsi un essere normale, né più privilegiato né più reprobo di altri, ad accettare il diverso e a capirlo, a oggettivare le sue esperienze e, soprattutto, a fare delle scelte ragionate.
108
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
SCHEDA N. 5
GINA
Anni 13; classe prima; ripetente; sviluppo fisico notevole; molto graziosa, con “segnali sessuali” particolarmente accentuati (capelli lunghi e folti, occhi azzurri, seno piccolo ma molto evidenziato da magliette “rivelatrici”, gambe perfette, andatura ancheggiante).
Quando passa tra i banchi, sfiora volutamente i compagni, con promettente provocazione. È affetta da lieve
balbuzie e arrossisce violentemente quando viene chiamata in causa; poi subito impallidisce e le sudano le mani. Dalla sua scheda medica apprendo che soffre di enuresi notturna. L’ambiente in cui vive è molto modesto,
sia dal punto di vista sociale che culturale.
Gina scrive con effusione, con abbandono; è prolissa,
sgrammaticata ma efficace. Un giorno lascia tutti di
stucco (i compagni sono molto più acerbi di lei) leggendo ad alta voce, senza ombra di imbarazzo, una cronaca
dal titolo: “Ieri era domenica e io…”: in essa infatti racconta le varie fasi di un pic-nic sull’erba, in compagnia
di un ragazzo “che è uno schianto”, e la conclusione della giornata, fatta di passeggiate romantiche, mano nella
mano, occhi negli occhi e “lunghi baci inebrianti”.
Il momento è delicato: la notizia rimbalza infatti fulminea dalla scuola alle case; nel pomeriggio molte madri
mi telefonano preoccupate perché “una poco di buono”
siede accanto alle loro “bambine”, e sollecitano me a
prendere iniziative drastiche che allontanino la “reproba”. Il mio tentativo di far notare come la convivenza civile non permetta ormai più a nessuno di vivere un’ esi109
Giovanna Righini Ricci
stenza del tutto asettica, ben lontani dal “male”, qualunque esso sia, e che è molto più educativo per le loro
“bambine” conoscere i vari aspetti della vita “immunizzandosi contro il male” sui banchi di scuola, piuttosto
che correre il rischio di “contagiarsi” fuori, nella strada,
fallisce miseramente: l’ambiente non è maturo per recepire questo discorso (anche i colleghi sono in subbuglio
e mi fanno pressione perché io ricorra alle sanzioni).
Per chiarire la situazione e ridimensionare la cosa,
convoco tutti i genitori e, insieme, si dibattono i vari
problemi che possono nascere in un preadolescente.
Coinvolti, i genitori recedono dalla loro rigida intransigenza, dalla loro cieca riprovazione, e si dichiarano disposti a collaborare perché si possa iniziare un esperimento di educazione sessuale. Stabilita la programmazione di base e la linea di condotta, tutto rientra nella
normalità e io posso accingermi a un discorso che sia
promotore di personalità, ma anche rispettoso della libertà di tutti, delle “bambine” come anche della “poco
di buono”.
Gina però continua a crearmi dei problemi, in quanto si abbandona ancora a confidenze piuttosto azzardate con le compagne, le quali ne parlano a casa, facendo
così piombare di nuovo nel dubbio le famiglie.
Consiglio allora ai ragazzi di tenere un diario personale, su cui annotare esperienze, sensazioni, stati d’animo: essi me lo presenteranno quando lo desidereranno,
quando avranno bisogno di un consiglio, di una parola
di conforto. Nessun intervento, che non sia richiesto,
nessun segno di correzione: dovrà essere un’esposizione
del tutto libera e spontanea, da parte loro, accostata con
il massimo riserbo e rispetto, da parte mia.
Gina si butta a capofitto nell’impresa, e di lì a pochi
giorni mi consegna un grosso quaderno su cui sono annotate, a torrente, confidenze scottanti, stati d’animo,
slanci lirici, canzonette d’amore, parolacce. Da queste
110
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
pagine balza vivo davanti agli occhi il quadro di un ambiente familiare piuttosto squallido: genitori anziani, immigrati dal meridione da parecchi anni, operai in fabbrica, di costumi rigidissimi; una sorella di diciassette anni,
apprendista parrucchiera, disinvolta, priva di freni, forse “abbagliata” dalla libertà di cui dispone; un fratello
ventitreenne, senza un lavoro fisso, cinico, tracotante, il
quale alterna sarcasmi e minacce alle sorelle (che giudica “femmine scostumate”) a effusioni e “avances” di
dubbio significato. Gina subisce l’ascendente della sorella, con la quale si reca molto spesso in balere di infimo ordine, nonostante i divieti dei genitori, sotto la “custodia” del fratello: i giovanotti che ronzano loro attorno hanno la mano lesta e la “parolaccia” facile. Al ritorno dalla balera, la madre bastona tutte e due le figlie e le
tratta da sgualdrine.
Il giorno dopo, però, è già tutto dimenticato, e si ricomincia daccapo con i sotterfugi, le percosse, gli insulti.
In uno scambio fittissimo (Gina mi consegna all’inizio
della settimana il suo diario, con sempre nuove confidenze) cerco di instaurare un dialogo civico, di farle capire
che non deve “buttarsi via” così, senza aver fatto una scelta, senza vera gioia; che ogni individuo è un essere pensante, non un oggetto nelle mani degli altri; che ognuno
di noi deve avere una onestà e una “pulizia” interiore; che
si deve rispetto al proprio corpo come alla propria anima;
che la nostra vita e le nostre esperienze non devono costituire oggetto di turbamento per gli altri.
Gina risponde con promesse appassionate, in cui vibra il fermo proposito di uscire dal cerchio, e il desiderio struggente di essere diversa, accanto a una carica
sensuale e a una tensione erotica non comuni.
A queste pagine si alternano ben presto “ricadute”,
ingiurie mosse a se stessa, ai fratelli, ai genitori, alla società, nuovi proponimenti, slanci, canzonette d’amore.
111
Giovanna Righini Ricci
Nel campo dell’informazione sessuale, anche se è al
corrente di molti particolari, conosce le cose male o in
maniera distorta ed è piena di paure; spesso mi chiede
chiarimenti su argomenti per lei di importanza vitale: il
ciclo mestruale, i giorni fecondi, la gravidanza.
Si sta intanto appassionando al discorso che si è avviato in classe sulla vita prenatale del bambino e ne parla, tutta intenerita, nel diario, aggiungendo che, se avrà
mai un figlio, sarà una buona madre; si ripromette anche
una vita castigatissima, irreprensibile.
Ora non confida più alle compagne le sue avventure
amorose e si sfoga con il diario: “Quello che succede a
me riguarda me sola: non ho il diritto di scompigliare la
mente delle compagne con certi discorsi; loro sono ancora troppo piccole”. Scrive, parafrasando le mie costanti raccomandazioni.
Si innamora con incredibile facilità e, ogni volta, delira, si ravvede, si insulta; poi rimpiange di non essere
più bambina, vuole espiare, farsi monaca. Il suo linguaggio ricalca quello dei fotoromanzi; i suoi atteggiamenti
melodrammatici sono ispirati dalle dive dei rotocalchi,
che Gina ammira svisceratamente, per la loro avvenenza, per il loro successo, per i loro amori.
Un giorno l’insegnante di matematica intercetta un
biglietto in cui Gina confida a un’amica di terza la sua
delirante passione per un giovanotto incontrato la sera
precedente, e la fa sospendere, nonostante il mio tentativo di evitare una sanzione che ritengo controproducente.
Il giorno in cui Gina dovrebbe ripresentarsi a scuola,
accompagnata da uno dei genitori, la ragazza non si fa
viva, e neppure il seguente e l’altro ancora. Preoccupata, faccio telefonare dalla segretaria e apprendo che Gina è “malata” (dal diario scoprirò poi che si è finta indisposta, per non dover confessare ai genitori la sospensione ed essere “riempita di botte”).
112
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
Finalmente torna a scuola; ora si fa firmare le giustificazioni dalla sorella; la madre, interpellata telefonicamente (non si è mai presentata a scuola, né per partecipare ai dibattiti, né per incontrare l’équipe, né per avere notizie sul rendimento scolastico) dichiara che la figlia maggiore può fare benissimo le sue veci, essendo già
grande e matura.
In classe, Gina è impacciata, assente, cupa; se le si rivolge direttamente una domanda, arrossisce e balbetta molto.
Non vuole più consegnarmi il diario personale ed evita anche di guardarmi e di parlarmi: probabilmente mi
serba rancore per averla “tradita”, non impedendo la
sua sospensione.
Dopo parecchi giorni di frequenza piuttosto irregolare, me la trovo ad aspettarmi, sulla soglia di un’altra classe: mi allunga il suo diario, senza una parola.
Ci sono scritte poche frasi: “Ormai dicono tutti che
sono una p… Lo crede anche lei? Che cosa devo fare?”
Le rispondo in maniera altrettanto telegrafica: “Io,
no!” e le rivolgo a mia volta una domanda: “Come senti di essere tu, veramente, dentro?”
Risposta di Gina:
“Una ragazza come le altre: solo che le altre sono più
dritte di me e le porcherie le fanno di nascosto!”
Domanda:
“Sei veramente soddisfatta, quando ti comporti in un
certo modo? Questo per me è l’essenziale: che tu sia consapevole di quello che fai e che tu lo faccia perché vuoi farlo”.
Risposta:
“Sul momento mi sembra di essere felice da morire,
ma poi, dopo, vorrei essere morta veramente”.
In classe, appena si presenta l’occasione propizia, affronto il tema della responsabilità che ogni individuo ha
verso se stesso e verso gli altri, e della necessità di essere veramente liberi, interiormente: non è infatti il giudi113
Giovanna Righini Ricci
zio più o meno obiettivo degli altri quello che ci deve
guidare nelle nostre azioni, o la paura “di ciò che può dire la gente”, ma la nostra interiore consapevolezza. Gina,
che è molto intelligente, non perde una sillaba.
A poco a poco mi accorgo che sta cambiando, perfino fisicamente: porta ora i capelli raccolti e stretti da un
elastico, ha la faccia pulita, indossa perfino il grembiule
e viene a scuola con assiduità, cercando anche di prendere parte attivamente alle lezioni.
Un giorno mi presenta, con aria trionfante, il “nuovo
diario”: è tutto costellato di disegni, di note musicali. In
un racconto-fiume, narra di essere veramente maturata e
di “amare” per davvero, “in maniera pulita, come dice
sempre lei, signora” (aggiunge tra parentesi). Il suo ragazzo ha vent’anni ma è già un uomo, “con la testa sul
collo”, e la tratta “come una poppante”, ma è molto affettuoso, anche se è severissimo.
Qualche mese dopo il giovanotto parte per il servizio
militare. Da quel momento, trovo sul diario trascritte solo delle lettere (quelle che lei gli invia e quelle che riceve la lui): tutte punteggiate di esclamativi: “che califfo!”,
“è un drago!”; “lo amo da morire!”.
Dichiara però sempre che è “una cosa seria”, che
aspetta con fiducia, che è felice di vivere.
Alla fine dell’anno, riesco a farla promuovere in seconda, malgrado alcune preesistenti lacune.
Il secondo anno di scuola media trascorre tranquillo,
quasi senza storia. Gina si reca ancora a ballare con la
sorella, ma sul diario confessa che, quando i giovanotti
la stringono, anche se prova “quella certa cosa”, ora ha
messo giudizio e sta in guardia, perché gli uomini “mirano solo a quello!”.
Verso la fine dell’anno scolastico, tuttavia, il suo rendimento cala di colpo e il suo comportamento ridiventa
strano: truccata pesantemente, con gonne quasi inesistenti, ancheggiamento volgare, risata stridula.
114
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
Infine il diario mi illumina: in un racconto spezzato,
drammatico, tra parole scurrili, irreferibili, racconta le
“avances” inequivocabili del fratello che però lei stavolta ha mandato a f…!
Sotto, in stampatello, leggo:
VOGLIO, VOGLIO ESSERE UNA PERSONA
NON UN OGGETTO
HO ANCH’IO UN CERVELLO
NON SOLO UN CORPO!
Del fidanzato non parla più.
L’anno scolastico finisce, con alti e bassi improvvisi,
sempre corrispondenti alle sue “esperienze” extrascolastiche e al suo stato d’animo.
Mediante un corso di recupero estivo, riesco a farla
approdare sulla soglia della terza classe. Alla ripresa della scuola, la trovo cambiata: tranquilla, ingrassata, meno
avvenente, sembra una donna molto più adulta di quello che è.
Sul diario personale è riapparso il nome del fidanzato: dopo averla “piantata per quel... di suo fratello!”,
adesso vuole sposarla.
Noto che il linguaggio di Gina è diventato freddo,
arido, quasi burocratico: non più voli lirici, sentimentalismi, ma concretezza e raziocinio privi di illusioni.
A questo punto, per motivi familiari, devo trasferirmi
in un’altra città: nonostante le abbia lasciato il mio recapito e l’abbia incoraggiata a rivolgersi a me, se ha il desiderio di continuare il dialogo, per molti mesi non ricevo sue notizie. Poi un biglietto, breve, freddo, con una
grafia che quasi non riconosco: “Cara signora, so che le
farà dispiacere, ma ho lasciato la scuola: tanto non servirà a niente”.
Chiedo informazioni a una collega, la quale mi annuncia che “Gina è scappata con un suo “fidanzato” e i
genitori hanno chiesto “le nozze riparatrici”; ma la cosa
ha fatto scalpore perché il fratello voleva sbudellare il
115
Giovanna Righini Ricci
rapitore”. “Come vedi - conclude la collega - è sempre
una poco di buono!”
Infine ricevo un’ultima lettera di Gina; poche frasi:
“Cara signora, so che ha saputo della mia fuga e di tutte le chiacchiere che sono state fatte. La prego di tranquillizzarsi: io ora sono molto felice, perché ho trovato
in Nino quel padre; quel fratello, quell’amico che lei signora sa che io non ho mai avuto”.
116
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
SCHEDA N. 6
ANNA MARIA
Anni 13; classe prima; quoziente intellettuale al limite inferiore alla media; sviluppo fisico notevole; aspetto
sgraziato; movenze goffe; scarsissimo capacità di attenzione; ambiente familiare assai povero di stimoli, anche
se, dal punto di vista economico, non vi sono problemi.
In classe Anna Maria non socializza con i compagni
(quasi tutti più giovani di lei) verso i quali manifesta
astio e senso di inferiorità.
Ultima di quattro sorelle, è abituata fin dall’infanzia a
essere considerata in famiglia poco intelligente, rassegnata a svolgere le mansioni più pesanti, a servire tutti,
a ritenersi “inferiore”.
Anche in classe ha questo atteggiamento di rassegnata umiltà; ogni tanto, però, per motivi molto futili, si
inalbera e si abbandona a crisi di pianto. I compagni
non le vogliono bene ma la “sopportano” (si sono infatti formati i gruppi di lavoro, attraverso un sociogramma,
e Anna Maria è risultata l’unica “esclusa”) e, motivati,
fanno qualche tentativo di recupero, sia sul piano scolastico che su quello della socializzazione.
L’opera tuttavia appare molto problematica. Un giorno, dopo l’ennesimo spostamento da un gruppo all’altro
e il rifiuto a cooperare in qualche modo, richiesta di una
franca risposta, Anna Maria prima si schermisce, indi dichiara, a testa bassa: “Io a scuola non ci vorrei venire,
perché non capisco niente”.
Quando viene deciso, con la collaborazione delle famiglie, l’inizio del programma di educazione sessuale, i
117
Giovanna Righini Ricci
genitori di Anna Maria (che non si sono fatti vivi alle riunioni serali, in cui si discutevano le modalità dell’esperimento) rifiutano (unici, su 32 famiglie!) il loro consenso, dichiarando che “la scuola deve insegnare ben altre
cose ai ragazzi!”
Da questo rifiuto nasce un nuovo motivo di inferiorità per Anna Maria, la quale si sente ora umiliata nei confronti dei compagni per l’atteggiamento dei genitori e
per la sua esclusione.
Riesco ad avere un colloquio diretto con la madre, la
quale, pur riluttante, si persuade a concedere una autorizzazione “parziale”: si parli pure di quello che interessa la madre e il bambino, ma non di “quelle cose!” raccomanda.
Per rispettare nei limiti del possibile, la volontà di
questi genitori, il discorso viene condotto in maniera
molto sfumata e si rimanda a colloqui individuali ogni
ulteriore approfondimento. Nonostante queste cautele,
Anna Maria scrive sul diario personale:
“Quando in classe la professoressa e i miei compagni
parlano del bambino che è ancora nella pancia della madre, io mi vergogno e vorrei andar via, perché non mi
piace”.
Cerco di capire la ragione di questo suo atteggiamento, del suo rifiuto, parlandole con dolcezza, da sola Anna Maria si chiude dapprima in un silenzio ostile, poi
sbotta irosamente in questa frase “illuminante”: “Certe
cose, una donna, le fa, non le va a raccontare!”
Mi sento disarmata, e segnalo il caso allo psicologo.
Nel frattempo alcune madri che abitano nello stesso
rione di Anna Maria mi informano che la ragazza è entrata “in un brutto giro”.
Non avendo elementi di giudizio, mi rivolgo al Comitato scuola-famiglia, perché accerti quanto c’è di vero in
quella denuncia; viene alla luce una situazione molto
squallida: Anna Maria, caduta nelle mani di un uomo
118
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
sposato, senza scrupoli, si prostituisce, ottusa e docile
come una schiava.
Affronto con lei l’argomento: scoppia a piangere e risponde a monosillabi alle mie domande: viene fuori il
sordido quadro della condizione della donna-oggetto,
che obbedisce, con atavica rassegnazione, senza volontà,
che subisce a occhi chiusi, per non vedere, per non sapere, “perché son cose sporche”: il sesso è sopportato
come condanna, come segno di inferiorità, come triste
retaggio di generazioni di schiave, legate al silenzio, all’omertà.
Anna Maria appare un caso troppo difficile perché io
possa tentare, nell’ambito della scuola, il suo recupero,
e abbandono l’incarico allo psicologo, limitandomi a
cooperare nei limiti del possibile. Si sta cercando ora di
“liberarla”, di emanciparla dal suo passivo asservimento, dal suo cupo e caparbio voler tacere nomi e responsabilità, per farle sentire la sua condizione di reietta, per
renderla capace di dire no a una violenza che l’avvilisce,
nel corpo e nell’anima, senza provarne piacere alcuno,
né fisico, né spirituale, ma solo una desolata infelicità.
119
Giovanna Righini Ricci
SCHEDA N. 7
MASSIMO
Anni 12; classe seconda; sviluppo fisico precoce; intelligenza vivace; temperamento fantasioso; ambiente familiare socialmente elevato e culturalmente stimolante.
Piuttosto “represso” con i compagni e con gli insegnanti, negli scritti rivela tuttavia immaginazione accesa
e infantilismo: cerca infatti di evadere continuamente
dalla realtà per trasferirsi in un mondo di dei e di eroi,
diventando l’ardimentoso protagonista di avventure
drammatiche, le quali hanno sempre, tuttavia, un conformistico lieto fine (“e vissero sempre felici e contenti”).
Durante un colloquio, la madre racconta che Massimo, unico figlio, molto viziato da padre non più giovane, le dimostra un attaccamento morboso, e che a nulla
valgono i suoi tentativi di fargli acquisire autonomia, di
immetterlo nel mondo dei coetanei.
Durante la composizione dei gruppi, faccio in modo
che Massimo venga a trovarsi accanto a Stefano, un ragazzino piuttosto emarginato, affetto da dislessia, da disgrafia e da un complesso di inferiorità che lo rende
estremamente chiuso e vulnerabile. Massimo si prende
subito a cuore la sorte del compagno: lo assiste durante
il lavoro di gruppo, lo ammonisce, lo incoraggia, con
una dolcezza e una grazia quasi materne; Stefano lo ricambia subito, con una specie di adorazione attonita.
Un giorno, però, inaspettatamente, Massimo molla
un manrovescio a Stefano, il quale gli stava sussurrando
qualcosa all’orecchio, ridacchiando, e lo pianta in asso,
120
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
tutto dolorante nel corpo e nell’anima, per tornarsene al
proprio banco, dove si chiude in un iroso mutismo, dal
quale né le preghiere né le minacce riescono a smuoverlo.
Dal racconto eccitato dei compagni, che stavano lavorando nello stesso gruppo, viene fuori che Stefano
avrebbe fatto dell’ironia sullo sviluppo fisico precoce
del compagno, suscitando la sua violenta reazione. Massimo non conferma né smentisce; Stefano piange desolatamente e non risponde.
Il giorno dopo Massimo arriva a scuola accompagnato dalla madre, la quale racconta che il ragazzo ha avuto
una crisi di collera, ma non ha voluto dirle il perché:
continuava solo a gridare: “Non voglio, non voglio, non
voglio!” Indi le si è rannicchiato in grembo (grande e
grosso com’è!) chiedendole quelle carezze e quei baci
che gli dava quando era piccolo. La donna appare piuttosto preoccupata.
Per parecchi giorni Massimo è intrattabile e non vuole più saperne di Stefano, il quale, desolato e mogio come un cane strapazzato, lo fissa di lontano, implorante.
Giungono le vacanze di Natale e Massimo viene condotto dai genitori solleciti in una elegante stazione di sci,
perché possa smaltire la sua “ipocondria”.
Al ritorno dalle vacanze, i ragazzi consegnano il diario personale.
Su quello di Massimo c’è scritto poco: solo, in corrispondenza del sei dicembre (la data però è cancellata
con uno sgorbio) si legge: “Oggi avevo voglia di spaccare la faccia a tutti quanti! Mi guardano come se fossi un
fenomeno da baraccone, dicono che si vede (le parole sono sottolineate) e giù a sghignazzare!”.
Seguono alcune frasi staccate che esprimono un accorato rimpianto di quando era bambino e poi c’è un’improvvisa galoppata nel mondo della fantasia: egli si trova nel deserto, sopra un cavallo nero, avviluppato nel
121
Giovanna Righini Ricci
bianco baraccone, inseguito da una torma di nemici urlanti, senza volto: ma il suo nero destriero sembra avere
le ali e in breve si crea il vuoto fra lo sceicco e i “piccoli
cani rognosi”.
Chiedo, per iscritto, sulle pagine del suo diario, la
spiegazione di quel suo sibillino “si vede”, ma ho la sensazione che Massimo non me la fornirà. Ora il ragazzo
in classe è inquieto, di umore balzano, e spesso si rosicchia le unghie. Siccome in passato non aveva mai dato
segni di onicofagia, mi preoccupo per questo suo nervosismo. Noto tuttavia, con sollievo, che con Stefano le cose si sono appianate: ora i due sono di nuovo insieme;
Massimo tratta l’amico con bonaria sufficienza, ma Stefano è ugualmente raggiante.
Poi un giorno, inaspettatamente, mentre si sta parlando del periodo puberale e tutti i ragazzi mi tempestano
di domande, Massimo, che si era finto fino a quel momento indaffarato a scrivere su un quaderno, senza parlare né intervenire, sbotta con violenza: “Son tutte balle!”
Immediatamente si pente, chiede scusa, appare confuso, irritato, al punto di mettersi a piangere. Lo spedisco, con un pretesto, a fare un giro per il cortile, rimandando a più tardi ogni spiegazione. Nel pomeriggio mi
fa telefonare le sue scuse dalla madre, e il giorno dopo
mi consegna il diario personale; vi sono due vignette divertenti: in una c’è una corsa di omini verso un traguardo a forma di uovo; il vincitore ha il petto gonfio di orgoglio, mentre tutti gli altri sono distanziati e hanno
l’aria molto abbattuta. Sotto, la scritta: “Vinca il migliore!”. L’altra, rappresenta un bambino ridente, tutto testa e pancia, che si dondola dolcemente in un’amaca, sospesa ai due lati del grembo materno: sotto, la didascalia “Relaxe”.
Più oltre, trovo questo chiarimento:
“Signora professoressa, a me l’educazione sessuale
122
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
interessa molto, ma sta diventando scocciante, sì, perché
io, essendo molto alto, attiro gli sguardi di tutti e quando si parla dello sviluppo, si sente uno dietro di me che
dice al suo compagno: “Massimo è già un uomo, si vede”; e io mi scoccio perché sembra che mi voglia far vedere da tutti e questo non mi va; comunque, se non ci
fosse questo inconveniente, sarei molto contento di sapere cosa diavolo la natura sta cambiando dentro di
me!”
In classe, appena se ne presenta l’occasione, cerco di
sdrammatizzare l’aspetto traumatico dello sviluppo e
metto in risalto anche il fatto che non sempre ad aumento della statura corrisponde un eguale sviluppo e maturazione del sesso: ci può essere, ad esempio, un piccoletto
tracagnotto, già sessualmente maturo, accanto a uno spilungone ancora lontano dalla piena pubertà: la Natura
provvede a ciascuno, con oculata saggezza. A noi spetta
il compito di saper attendere e di accettare quanto avviene dentro di noi, con serena fiducia.
Noto nella classe un moto di sollievo da parte dei
“piccoletti” i quali, evidentemente, si sentivano insoddisfatti del loro lento sviluppo fisico, mentre Massimo sta
lanciando in giro occhiate fiere: “Contenti, guardoni?!”
Appare visibilmente sollevato: non si sentiva pronto
per sopportare il “peso della virilità”; ancora gli piace
troppo il mondo asettico della fantasia. Anche se il divenire biologico lo appassiona come fatto oggettivo, per la
prima volta in vita sua non se la sente di essere coinvolto nel “dramma” e preferisce la comoda parte di spettatore a quella di protagonista.
123
Giovanna Righini Ricci
SCHEDA N. 8
SERGIO
Anni 11; classe prima; intelligenza pronta; parola facile; sviluppo fisico normale; di temperamento schietto
ed espansivo, ama le compagnie e i giochi.
Fin dai primi giorni di scuola, noto tuttavia che evita
di accostarsi alle compagne (che, quando è in vena di
gentilezze, definisce “racchiette”!).
Sottoposto a un test per la formazione di gruppi di lavoro, sceglie solo dei maschi (pur sapendo che, fra le
compagne, ve ne sono di molto intelligenti e recettive,
che potrebbero recare un valido aiuto al lavoro organizzato). Quando gli chiedo il motivo di tale drastica esclusione, risponde che le femmine non gli sono simpatiche.
Alla mia osservazione che si tratta di organizzare dei
gruppi operativi, per i quali non si deve scegliere in base alle simpatie istintive, ma con criteri razionali, reagisce con una certa veemenza: “Io con le femmine non ci
lavoro: hanno sempre le lacrime in tasca, fanno mille
storie, sono cattive e bugiarde!”
Cerco di sondare se questo sia un suo pregiudizio sulle femmine, in generale, o se abbia avuto dalle compagne prove negative, di slealtà. Ammette francamente che
si tratta di un’opinione preconcetta, ma non per questo
deflette dal suo atteggiamento ostile.
Lo inserisco in un gruppo formato da due ragazzi
piuttosto miti e da due bambine, quiete ma dotate di
personalità armonicamente strutturata: dapprima recalcitra, minaccia di fare uno “sciopero bianco”; indi si
mette a ostentare una chiassosa prepotenza; infine, ac124
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
condiscende a lavorare, ma impone alle compagne ruoli
subordinati: una diventa segretaria (“perché è una sgobbona”), l’altra si vede affibbiare il compito di gregaria
(“perché è una zuccona”). Richiamato a una prassi più
democratica, si assoggetta a fatica al sistema della libera
votazione. Il gruppo, con voto segreto, lo designa leader.
Sergio, appagato nel suo amor proprio, si placa immediatamente e si butta con slancio nel lavora di équipe,
pur mantenendo sempre verso le compagne un contegno di ruvido distacco.
Sul diario personale, in una prosa scarna e concreta,
parla sempre di sua madre e delle sorelline minori, di cui
annota, con comica disperazione, capricci e marachelle.
Talvolta, in occasione di giorni festivi o di periodi di vacanza, racconta i viaggi che deve compiere per raggiungere i nonni paterni “che non vede quasi mai”; segue, la
cronaca delle appassionate partite di calcio che disputa
con i cugini, rimasti al paese.
Un giorno il padre viene a espormi la sua difficile situazione familiare: separato già da alcuni anni dalla moglie, ha con sé Sergio (al quale accudiscono i nonni,
mentre la donna, tornata a vivere al paese natale, con i
suoi, ha portato con sé le due bambine: i tre fratelli si rivedono due-tre volte l’anno, in occasione di feste o di
vacanze). Da quando sua madre se n’è andata, Sergio vive in questa finzione: inventa, per sé e per gli altri, mille
particolari verosimili di una vita quotidiana con la madre e con le sorelline, negando la sua convivenza con i
nonni e capovolgendo continuamente la realtà dei fatti.
Non invita mai gli amici in casa sua e, alla minima, casuale allusione dei compagni ignari, ha scoppi di ira incontrollata (questa è la ragione per cui il padre è venuto
a parlarmi: ieri Sergio ha appunto mollato un pugno in
faccia a un amico perché, mentre discutevano sui punti
di una partita a boccette, gli aveva dato del bugiardo).
Con suo padre, alterna crisi di disperazione a slanci ap125
Giovanna Righini Ricci
passionati, durate i quali lo abbraccia stretto stretto e gli
chiede: “Vero, papà, che noi due stiamo bene anche da
soli? Vero che ti basto io?”
Da questo momento, colgo ogni occasione per invitare Sergio a collaborare con le compagne, ad aiutare
qualche bambina in difficoltà, facendo leva sul suo amor
proprio: “Tu, Sergio, che hai capito molto bene questo
argomento, vuoi aiutarmi a correggere il compito di Manuela?”, “Sergio, per cortesia, va a dare una mano a Tiziana, che ha bisogno di un aiuto”.
Obbedisce al volo, pur mantenendo con le compagne
un atteggiamento di voluto distacco.
Se qualche volta mi accosto a lui, mentre sta lavorando, e gli poso una mano sulla spalla o mi chino su di lui
per incoraggiarlo, di colpo si ritrae, si schermisce, a disagio.
In sede di educazione sessuale, affronto il tema della famiglia, approfondendo i rapporti tra i coniugi, i
loro diritti e doveri, i problemi dei figli, della convivenza, della libertà, della incompatibilità di carattere.
Si accende subito un accanito dibattito sulla possibilità che due persone, “papà e mamma”, pur volendosi
bene e stimandosi, decidano a un certo punto di non
vivere più insieme, a causa di profonde divergenze di
idee o per non dover rinunciare alla libertà personale.
I ragazzi si schierano immediatamente su due fronti:
quelli che dichiarano che i genitori sono legati per sempre fra di loro e ai figli e quelli che considerano liberi di
apportare alla loro unione dei mutamenti radicali.
Sergio, che è stato sempre zitto ad ascoltare, a questo
punto balza in piedi, tutto acceso in volto, e dichiara con
forza che, se i due coniugi hanno dei figli, devono stare
insieme, a tutti i costi. I compagni contrattaccano con
l’argomentazione, via via ripetuta, che, anche se sposati,
i genitori hanno il diritto di separarsi, per non provocare guai maggiori con una convivenza impossibile. Allora
126
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
Sergio grida:
“Una madre non ha il diritto di cambiare idea!”
Mi accorgo che è tutto rosso, congestionato, sul punto di mettersi a piangere; intervengo nella discussione e
propongo ai ragazzi di documentarci, per esaminare attentamente quali siano, secondo la legislazione, i diritti e
i doveri dei coniugi. Accettano subito.
Nei giorni successivi si studiano statistiche, si leggono resoconti giornalistici, si indaga sulle separazioni,
sulla tutela dei figli, sulle adozioni, sul divorzio. Sergio è
vigile e sempre intransigente.
Giungono così le vacanze di Natale, al ritorno dalle
quali i ragazzi mi consegnano i diari; Sergio invece dichiara di averlo dimenticato a casa dei nonni. Gli propongo di farselo spedire per posta e la cosa per il momento finisce lì; passa tuttavia una quindicina di giorni
prima che Sergio mi consegni il quaderno spiegandomi,
con gli occhi a terra, di averlo ritrovato in una valigia.
Sfogliandolo, noto subito che sono state strappate alcune pagine; più oltre, poche righe: Sergio racconta in
esse, con frettolosa banalità, come ha trascorso le vacanze. È una cronaca piatta, impersonale, “scolastica”, che
nasconde completamente pensieri e stati d’animo.
Restituisco il quaderno a Sergio, senza apporvi alcun
giudizio né commento; il ragazzo lo sfoglia e mi domanda, stupito, perché non ho “scritto niente”.
“Non avevo niente da dirti”. Gli confesso.
Appare sollevato, ma mi accorgo che ogni tanto ha
come un senso di inquietudine: forse avverte nel mio silenzio un sottinteso fastidioso.
Passano tuttavia ancora giorni e mesi prima che appaia qualche mutamento evidente in lui, tranne il fatto
che non mi consegna più il diario e io considero positivo questo suo desiderio di non voler più raccontare false avventure, di non sentirsela più di inventarsi una vita
e una felicità immaginarie.
127
Giovanna Righini Ricci
Siamo giunti intanto, in sede di educazione sessuale,
a trattare il problema della nascita e dell’adozione e tutta la classe discute sul fatto che la vita si può dare in tanti modi e sul ruolo prezioso che un genitore adottivo può
svolgere, sul “vincolo di sangue”, ecc.
Sergio appare molto teso e partecipa con il solito dialettico accanimento, difendendo il vincolo di sangue a
spada tratta.
Dopo le vacanze di Pasqua, Sergio mi si avvicina e mi
racconta, inaspettatamente, di essersi recato con suo padre al mare, e di aver conosciuto una signora, vedova,
con una bambina di quattro anni: “Abbiamo deciso di
andare al mare insieme, quest’estate; papà, io, la signora
Costanza e Donatella”. Gli dico: “così avrai anche tu
una vera famiglia”.
Sergio non appare stupito che io “sappia”; annuisce
con convinzione e aggiunge:
“Io sono contento soprattutto per papà”.
Comunico al padre il mutato atteggiamento di Sergio, la sua virile accettazione della realtà; l’uomo ne è
tutto consolato, e mi racconta che Sergio, da qualche
tempo, ha assunto nei suoi confronti un tono così “paterno e protettivo” da arrivare a dirgli, mentre attraversano la strada: “Attento al tram, papà!”
Ora Sergio ogni sabato mi annuncia:
“Oggi partiamo tutti con la roulotte”.
Oppure
“Domani devo portare Donatella a vedere lo zoo”.
All’inizio dell’anno scolastico successivo, me lo ritrovo allegro, cresciuto, mutato nell’aspetto. Subito mi annuncia:
“Papà sta facendo le pratiche per il divorzio: Donatella vive già con noi”.
“E la tua mamma?” Azzardo.
Nulla si altera sul suo viso:
“Ne abbiamo parlato molto, questa estate. È d’accor128
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
do anche lei: sa, quando c’è incompatibilità di carattere,
meglio un taglio netto!”
Lo dice con gravità, con convinzione, da adulto ad
adulto.
129
Giovanna Righini Ricci
SCHEDA N. 9
LUCIANA
Anni 11; classe prima; intelligenza pronta; sviluppo
psicofisico notevole; ambiente culturalmente modesto: i
genitori, piuttosto anziani, immigrati, lavorano al mercato ortofrutticolo e guadagnano molto bene. Luciana è
ultima di cinque fratelli, due dei quali lavorano con il
padre; due invece studiano ancora.
Durante la riunione con i genitori, dove si discute
l’impostazione da dare alla educazione sessuale, il padre
di Luciana si oppone, scandalizzato, dichiarando con
forza che la scuola ha ben altri compiti da svolgere e che
si stupisce che dei genitori possano accettare queste immoralità.
Subito la discussione “degenera”, per la reazione sdegnata degli altri genitori. Più tardi, in un colloquio privato, cerco di approfondire il discorso e di capire le ragioni di questa opposizione. Appare irremovibile. Allora gli faccio notare che c’è una incoerenza nel suo modo
di agire (lo scorso anno, infatti, uno dei suoi figli ha seguito un corso di informazione sessuale, tenuto nella
scuola da un medico); ribatte, tranquillo: “Luciana queste cose non le deve sapere perché femmina è”.
Cerco di convincerlo che non si possono fare discriminazioni tra maschi e femmine, che tutti e due i sessi
devono sapere e devono svolgere nella società il loro
ruolo, in condizioni di parità; che la scuola non può e
non deve rimanere indifferente e inerte di fronte al problema del sesso, perché troppi sono gli stimoli e i pericoli che la società offre ai ragazzi.
130
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
Obietta, con serenità:
“Mia moglie niente sapeva di quelle cose, e ha messo
al mondo sei figli!”
Porto il problema in seno al Consiglio di classe e si
vaglia la situazione, cercando le possibili soluzioni: tener
conto della proibizione paterna e allontanare Luciana
durante le ore in cui si trattano argomenti di carattere
sessuale, creando in questo modo un “caso” clamoroso,
con il rischio di far sorgere nei ragazzi il dubbio che si
tratti di cosa clandestina, inculcando nelle giovani menti dei pericolosi tabù? Ma il discorso di educazione sessuale è così fluido, così legato alla dinamica della classe,
alle motivazioni dei ragazzi, alla loro realtà psicologica,
alle occasioni fornite dal mondo esterno, che non si possono assolutamente stabilire dei confini netti, senza correre il pericolo di fare della educazione sessuale “una
materia di studio” e, come tale, snaturarla.
Come impedire quindi che Luciana partecipi? Quante volte, in una mattinata, farla uscire dalla classe? E poi,
perché infliggerle questo trattamento antieducativo,
umiliante?
Allora, che si fa? Si rinuncia alla sperimentazione, nonostante il parere favorevole di tutti gli altri genitori e le
loro sollecitazioni in proposito; oppure si tiene Luciana
in classe, tranquillamente, nonostante il divieto paterno,
anche a costo di subire una denuncia per… corruzione
di minore?
D’accordo con il Preside e con tutti gli insegnanti del
Consiglio di Classe, decido di “rischiare”: Luciana resterà in classe, con gli altri. Tuttavia, quest’anno il “programma”, che svolgo normalmente con i ragazzi di prima, verrà opportunamente sfrondato, per non tradire
un legittimo (anche se antidiluviano!) diritto del genitore, e i problemi più impegnativi e delicati dei singoli ragazzi verranno trattati e risolti a parte, in colloqui individuali.
131
Giovanna Righini Ricci
Luciana, che è al corrente della proibizione paterna,
quando si introduce un argomento di educazione sessuale, appare combattuta, innaturale.
Richiesta di un suo parere, dichiara che per lei non ha
nessuna importanza rimanere in classe ad ascoltare oppure andare da qualche altra parte, a fare lezione.
Non pone quesiti, non interviene mai nella discussione. Ogni mattina tuttavia mi si accosta, per domandarmi sommessamente:
“Pensa che oggi dovrò uscire?”
“No, puoi restare, se lo vuoi”.
Non dà segno né di sollievo né di rammarico: la sua
maschera, di solito così espressiva, è impenetrabile. Eppure noto che, quando i compagni parlano delle prodezze dei loro fratellini neonati, sorride furtivamente o si
commuove. Se però si accorge di essere osservata, nasconde la faccia.
Sul diario parla di tanti momenti della vita scolastica:
mai però fa un accenno, neppure fugace, al problema
che l’ha coinvolta.
Poi si assenta per alcuni giorni; quando ritorna, è pallida, stralunata. L’accompagna la madre la quale (dice
subito che ha molta fretta di tornare al “banco” e che,
fuori, suo figlio l’aspetta) mi informa: la ragazza è diventata “signorina” e ne ha fatto un dramma: ha pianto tre
giorni.
Chiedo se Luciana era stata preventivamente informata su quanto stava per accaderle (è infatti molto sviluppata fisicamente e la cosa era prevedibile); la donna
mi fissa, costernata, e mi risponde, indignata, che no,
queste cose, nella sua famiglia, non si dicono.
Al mio tentativo di farle capire che se Luciana fosse
stata psicologicamente preparata all’evento non ne sarebbe rimasta traumatizzata, anzi lo avrebbe accolto con
gioia, come una conquista che l’arricchisce, non come
un peso, scuote il capo e dichiara che lei è la mamma e
132
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
solo una mamma può sapere che cosa è bene per la sua
creatura, che Luciana è troppo “sensibile” per sapere
certe cose.
Le dico allora, con franchezza, che in classe può capitare che io, dietro richiesta dei compagni, affronti questi problemi inerenti allo sviluppo. Ribadisce energicamente la proibizione paterna:
“Se suo padre viene a sapere che si dicono certe cose, ritira la figlia sua dalla scuola”.
In classe, Luciana è giudiziosa, diligente, ma ha l’aria
assente, e spesso sembra preoccupata di qualcosa. Non
parla.
Un giorno si affronta il problema dell’allattamento
del bambino e tutti i ragazzi si diffondono a raccontare
esperienze personali; un ragazzo, che ha una sorellina di
pochi mesi, ha portato un libro di puericultura: vi è illustrato il “ciclo del latte” e insieme lo osserviamo.
Levando lo sguardo, mi accorgo che Luciana non è
più in classe: è uscita, alla chetichella, e si è “emarginata” da sola: l’ombra della proibizione paterna e dei tabù
familiari, incombenti su di lei, sono stati più forti della
mia volontà di spezzare il cerchio di ignoranza e di pregiudizio che la circonda. La ragazza ha fatto una scelta
che io, a questo punto, devo rispettare, confidando nella sua intelligenza, nella sua capacità di maturare una coscienza civile e sociale, nonostante le sollecitazioni negative che le provengono, massicce, dall’ambiente in cui
vive.
133
Giovanna Righini Ricci
SCHEDA N. 10
BARBARA
Anni 11; classe prima; intelligenza superiore alla media; sviluppo fisico notevole; temperamento volitivo,
prepotente, con una punta di crudeltà e di sadismo, oltre che di esibizionismo; ambiente culturalmente abbastanza elevato.
In classe, Barbara ama andare controcorrente: si atteggia a maschiaccio, disdegnando le compagne, si misura con i ragazzi e, in particolare, con Gianni, un ragazzo
di tredici anni, mite, espansivo, il quale ne subisce tutto
l’ascendente.
Si trovano a lavorare nello stesso gruppo, Barbara e
Gianni; Barbara in funzione di leader, Gianni di coadiutore: lavorano bene perché le loro intelligenze sono
complementari. Barbara però lo provoca con civetteria
(nel diario si compiace di elencare tutti i ragazzi che “le
fanno la corte”, ma aggiunge anche che, per lei, è estremamente divertente “ridere loro sul muso” quando son
“ben cotti e rosolati”).
Un giorno, improvvisamente, il lavoro di équipe si inceppa e Gianni viene energicamente estromesso; ma
nessuno dei componenti del gruppo sa o vuole spiegarmi la ragione di quella “scissione”; Barbara si chiude in
un caparbio mutismo e, come unica giustificazione, dichiara che lei non se la sente di lavorare con “bambocci
stupidi”. Gli altri membri del gruppo appaiono disorientati.
Il giorno successivo convinco i due a lavorare di nuovo insieme: stavolta però è Gianni a lasciare sdegnosa134
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
mente la comitiva, perché “con delle scemette”è impossibile lavorare!
La spiegazione dell’enigma mi viene dal diario di Barbara: racconta che Gianni si è innamorato cotto di lei,
che è “appiccicoso”, che non la lascia mai in pace, che è
“molto seccante averlo sempre fra i piedi”, anche perché
ora lei “ha un altro per la testa”.
Consiglio a Barbara un colloquio chiarificatore con il
compagno, al quale deve far capire, con garbo, che per
lei è solo un buon amico e un collaboratore e che, se
vuole che la loro amicizia rimanga tale, deve essere leale, controllato.
Successivamente cerco di far capire a Gianni che il
sentimento che sta provando (e che a lui sembra ora unico e irripetibile!) è nella logica delle cose, è un modo di
provare la propria disponibilità all’amore, un avvio a
una ancora lontana maturazione fisica e psicologica, un
sentimento da accettare senza traumi (il rendimento scolastico del ragazzo è di colpo calato) come un’esperienza “pulita”, che arricchisce “dentro”.
Gianni si rasserena e chiede di rientrare nel gruppo.
Si ristabilisce l’accordo. Tuttavia, di lì a poco, mi accorgo che Barbara cerca tutte le occasioni per punzecchiare il compagno, per attirare su di sé la di lui attenzione,
e Gianni ha l’aria di sopportarla: l’infatuazione gli sta
passando e Barbara, che è molto intuitiva, ne è dispiaciuta e fa di tutto per rinfocolare l’interesse del compagno; ma, più si agita, più scade agli occhi di lui! Allora
Barbara “entra in crisi”, si isola di colpo e “rompe” con
tutti i maschi, stringendo un’improvvisa, esagerata amicizia con Lidia, una ragazzetta molto spigliata, smaniosa
anche lei di andare controcorrente.
Le due si “alleano” contro i compagni, e assumono
atteggiamenti di sfida, si scambiano sorrisi d’intesa, bigliettini, organizzano festicciole, dalle quali i maschi sono esclusi con ostentazione, finchè un giorno, durante la
135
Giovanna Righini Ricci
ricreazione, Barbara prende a schiaffi lo sconcertato
Gianni, quindi scoppia in un pianto isterico. Nessuno
dei due vuole spiegare la ragione dell’accaduto.
Per qualche tempo i due non si guardano; poi Gianni fa il primo passo verso la distensione; Barbara però
giura che non gli parlerà più, “fino alla fine dei secoli!”
È scontrosa, sgarbata anche nei miei riguardi (fino a poco tempo fa mi idoleggiava, invece, in maniera eccessiva).
Finalmente una mattina mi consegna il diario: tra
punti esclamativi e frasi teatrali, mi domanda che cosa le
stia succedendo: ha voglia di ridere, di piangere; a volte
vorrebbe abbracciare tutto il mondo, a volte odia tutto
e tutti.
Cerco di spiegarle che la preadolescenza è come “un
febbrone”, che spesso fa perfino delirare; poi scompare,
lasciandoci cresciuti, fortificati: anche lei è alla ricerca
della sua identità, del suo ruolo nella vita: di qui gli sbalzi d’umore, le incomprensioni, le crisi. Temo però di
avere fatto un discorso troppo difficile.
Barbara invece legge d’un fiato la risposta, si illumina
il viso ed esclama: “okay!” E mi pianta in asso.
Il giorno dopo mi consegna di nuovo il diario: le pagine sono tutte costellate di pallini, di fiori, di punti interrogativi ed esclamativi. Poche frasi, scarne. Una di
queste mi colpisce: “Oggi ho fatto a botte con mio fratello (di tre anni maggiore di lei); avrei voluto torcergli
il collo! Mi dici tu, caro diario, a cosa servono i maschi?
Solo a inguaiare le ragazze! Fanno bene le api, che, dopo il volo di nozze, li infilzano!” Più in là dopo una vivace descrizione della festa di carnevale, sospira invece:
“Ah, come mi sarei divertita, se fossi stata un maschio!”
Le faccio notare, in un colloquio, la sua incoerenza;
ride, divertita, ammettendo che sì, a volte ha pensieri
contrastanti. Cerco di farle capire che la femminilità è
anche un modo di essere e di sentire, e di farle accettare
136
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
l’evento che la sta maturando, nel corpo e nell’anima,
non come una privazione ma come una conquista, come
qualcosa che l’arricchirà. Mi ascolta, attenta; poi mi
chiede, con ruvida impazienza: “Quanto dovrò aspettare per diventare una donna completa?”
Consiglio allora alla madre di iscrivere Barbara a
qualche attività sportiva, che le permetta di scaricare la
sua tensione e di soddisfare il suo perenne agonismo.
Per qualche tempo lo sport sembra assorbirla completamente: è anche più tranquilla e distesa. Ora trascura Lidia; con Gianni ha instaurato un buon cameratismo.
Un giorno la madre mi confida che Barbara le crea
dei problemi e che lei non sa come affrontarla: adottata
quando aveva pochi mesi, non ha mai avuto il coraggio
di dirglielo; qualche tempo fa tuttavia Barbara ha saputo della sua condizione, attraverso un documento consegnatole in segreteria: da allora ha crisi di odio verso il
fratello e verso tutti gli uomini in genere; (sa che sua madre era stata abbandonata dall’uomo che l’aveva resa incinta) altre volte invece vorrebbe non aver avuto la vita
da “quella poco di buono”, ma da lei, ed è ossessionata
dalla paura di somigliare alla sua madre sconosciuta
(che Barbara immagina piena di tutti i vizi e di tutte le
bassezze della terra, per averla “rifiutata”) e di non essere abbastanza amata dai genitori adottivi: di qui le
asprezze del carattere, l’esibizionismo, la smania di competere con gli altri, di essere sempre al centro dell’attenzione, di scandalizzare.
Approfitto del fatto che si sta trattando il problema
delle adozioni, per mettere in risalto come un bambino
assorba la cultura, gli stimoli dell’ambiente, l’affetto dei
genitori adottivi e ne venga profondamente influenzato,
tanto da essere completamente diverso dal bambino che
sarebbe stato se fosse vissuto in ambiente diverso, con
persone differenti, sollecitato da stimoli diversi.
Barbara ascolta con avidità e non si stanca di interve137
Giovanna Righini Ricci
nire, di domandare, di approfondire i problemi della
ereditarietà.
Al termine delle lezioni, mentre i compagni stanno
uscendo, mi si accosta e mi dice a bruciapelo:
“Sa che, mentre parlava, ero sicura che lo facesse per
me sola?”
“Perché?” domando un po’ in apprensione.
“Perché ha detto proprio le cose che volevo sapere,
ma che non avevo il coraggio di chiederle!”
“E ora, va tutto bene?”
“Tutto bene. E la sa un’altra cosa? Io sono stata adottata dai miei genitori, quando avevo sette mesi!” Lo ha
confessato, tutto d’un fiato. Sorrido (anche se, dentro,
tremo al pensiero di dire qualcosa che possa guastare
questo momento prezioso).
“Sei una ragazza molto fortunata: sono certa che i
tuoi genitori ti vogliono il doppio del bene che si vuole
in genere a un figlio proprio”. Mi fissa, un po’ incredula; poi aggiunge:
“Io vorrei essere per davvero figlia di mio padre e di
mia madre”.
“Ma lo sei, nel corpo e nell’anima! Lo dimostra il fatto che vi somigliate: se non me lo avessi detto proprio tu,
che sei stata adottata, non ci crederei!”
“Davvero ci somigliamo?”
Poi, senza attendere risposta:
“Effettivamente me lo dicono in tanti che io e quel
bestione di mio fratello ci somigliamo: non che io ci tenga troppo: sa, mio fratello è un po’ svitato! Ma siamo
tutti e due biondi: un’aria di famiglia c’è per davvero,
anche con mio padre. Mia madre, no; quella va per conto suo! Bene, ora scappo, perché ho una fame da lupo!”
E mi pianta in asso, correndo via allegra, con le sue
lunghe gambe di gazzella.
138
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
SCHEDA N. 11
ANDREA
Anni 11; classe prima; sviluppo fisico normale; intelligenza media; carattere timido, apprensivo; ambiente
familiare abbastanza sereno e culturalmente stimolante;
immesso nel contesto scolastico, il ragazzo rivela tuttavia
inerzia, indolenza, e fatica molto a “socializzarsi”.
Un giorno la madre viene a chiedermi aiuto: da qualche tempo infatti Andrea dice molte bugie, nasconde le
note di biasimo, “ritocca” i voti negativi di matematica
e di inglese e ogni tanto sottrae del denaro dal portafogli materno, per comprarsi delle figurine di calciatori. Se
la madre lo rimprovera, Andrea esclama: “Picchiami:
così dopo siamo pari!”
Consiglio alla donna di rivolgersi allo psicologo, il
quale prende in mano la situazione e mi raccomanda di
gratificarlo, di incitarlo a fare vita di gruppo, aiutandolo
in ogni occasione ad acquisire fiducia in se stesso e negli
altri.
Inserisco Andrea in un gruppo formato di ragazzetti
vivaci, espansivi, per niente inibiti, e noto ben presto
che, durante la ricreazione, Andrea regala ai compagni
la sua merenda; il giorno dopo vedo anche il suo astuccio, nuovo fiammante, nelle mani di un “amico”. Alla
mia richiesta di spiegazione, Andrea arrossisce e non risponde; è il compagno a spiegarmi tranquillamente che
Andrea glielo ha regalato.
La cosa si ripete: Andrea regala ai compagni tutto:
pennarelli, tempere, quaderni, figurine, francobolli.
La madre mi informa, angosciata, che il ragazzo continua a rubacchiare in casa, e compra un’infinità di og139
Giovanna Righini Ricci
getti inutili. Scopro allora che i piccoli furti gli sono necessari per acquistare il materiale da regalare agli amici:
convinto di non essere amato, cerca di “comprare” il loro affetto.
La donna mi confida anche, con una sorta di imbarazzo, che Andrea non è figlio suo: il marito, rimasto vedovo quando il bambino aveva poco più di un anno, si
è risposato; dalla loro unione è nata una bambina. Andrea è al corrente, fin dalla prima infanzia, della cosa, e
non ha mai dato segno di disappunto o di traumi. Durante le elementari, ha avuto una maestra piuttosto repressiva e severissima, la quale lo metteva a volte alla
berlina per gli insuccessi scolastici e lo puniva quando
falsificava la firma del padre sotto il brutto voto. Andrea
aveva crisi di pianto quasi ogni mattina, prima di recarsi a scuola, e spesso anche conati di vomito e dolori di
ventre.
La donna mi appare consapevole, intelligente, e credo alle sue parole quando mi assicura che ama i due ragazzi con uguale affetto, con estrema imparzialità.
Apporto modifiche ad alcuni gruppi, al fine di spostare Andrea in una équipe composta da due ragazzine
molto dolci e miti, da Lino, un ragazzo sensato, tranquillo, e da Carlo, espansivo e semplice.
Andrea questa volta si affiata subito con i compagni
e si appassiona al lavoro di gruppo. A poco a poco lo vedo legarsi ad Antonella, che è con lui particolarmente
paziente, quasi materna. Il rendimento scolastico di Andrea migliora immediatamente; anche il gruppo ne riceve un incentivo.
Poi un giorno Andrea non si presenta a scuola. Mi informo, per telefono, sui motivi dell’assenza, e la madre
mi racconta, sconsolata, che il giorno prima ha fatto a
pugni con i compagni ed è tornato a casa con un labbro
spaccato e con gli occhiali rotti. Non ha voluto spiegare
la causa della baruffa e stamani si è rifiutato di tornare a
140
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
scuola: la donna ha insistito e il ragazzo ha avuto una crisi di pianto e di vomito.
Consiglio alla madre di non forzarlo. Intanto svolgo
una breve inchiesta in classe e scopro che Andrea ha fatto a pugni con Sergio e Riccardo, perché lo prendevano
in giro per la sua “cotta” per Antonella.
Convinco a fatica i due colpevoli a recarsi a casa di
Andrea e a chiedergli scusa: sono riluttanti e sostengono
che loro si prendono continuamente in giro per quelle
“sciocchezze”, e nessuno si sogna di reagire a pugni!
Faccio loro capire che hanno ferito senza volerlo Andrea, ragazzo timido e sensibile, nei suoi sentimenti più
intimi, che ciascuno di noi ha diritto alla discrezione degli altri, che non siamo tutti uguali e le reazioni a uno
stesso stimolo possono essere molto diverse da persona
a persona.
Il giorno dopo Andrea torna a scuola; approfitto della prima occasione che mi si presenta (nessuno dei compagni ha fatto la minima allusione all’accaduto) per affrontare il tema dell’amicizia, dell’infatuazione, dell’amore.
Vedo Andrea dapprima confuso, poi stupito, infine
sollevato; Antonella, che era alquanto seccata per tutta
la faccenda, si è rasserenata.
Nel lavoro di gruppo tuttavia i due faticano alquanto
a ritrovare l’affiatamento di prima e sono piuttosto impacciati. Li incoraggio a lavorare insieme perché mi rendo conto che Andrea ha bisogno di Antonella, la quale,
da parte sua, non corre rischi, in quanto nutre per il
compagno una sorta di tenerezza e di sopportazione
quasi materne.
Siamo a San Giuseppe e la madre, informata degli
sviluppi della situazione, accetta l’idea che Andrea inviti a casa sua, per una festicciola, i compagni di scuola:
vengono invitati, oltre ad Antonella e Lino, Carlo, Barbara e Lidia, anche Sergio e Riccardo.
141
Giovanna Righini Ricci
Apprendo poi, dal diario personale di Andrea, che la
festa è molto ben riuscita e che a lui è toccato, per penitenza, di dare un bacio su una guancia ad Antonella, e
che “tutti stavano lì ad aspettare che mi decidessi”.
“Io avevo le gambe che mi tremavano e ho stretto i
pugni. Se loro si mettevano a ridere, sono sicuro che li
avrei picchiati un’altra volta; ma invece mi hanno applaudito e io mi sono sentito subito meglio. È proprio
bello, signora, voler bene a qualcuno!”
Questo sentimento gli sta infondendo una fiducia e
una sicurezza nuova. E Antonella?
Dal suo diario risulta che la storia di Andrea comincia a infastidirla un poco, ma intuisco che sta al gioco serenamente, perché è una ragazzina molto semplice, che
non conosce le complicazioni sentimentali.
Prevedo tuttavia che presto lo “mollerà” e confido
nel suo tatto, nella sua gentilezza innata, e spero che,
quando la “rottura” avverrà, Andrea sia in grado di non
subirne un nuovo trauma e di saper ormai camminare da
solo.
142
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
SCHEDA N. 12
MARCELLO
Anni 14; classe terza; sviluppo fisico un po’ lento; intelligenza vivace ma piuttosto disorganizzata; temperamento emotivo, instabile; ride in continuazione ma, alla
minima contrarietà, scoppia in un pianto a dirotto, puerile.
La sua famiglia si disinteressa del rendimento scolastico di Marcello e non si fa mai viva, né in occasione degli incontri con gli insegnanti, né con l’équipe medicoscolastica.
Da qualche tempo noto che è più irrequieto del solito e tiene continuamente d’occhio la finestra, soprattutto durante le ultime ore di lezione.
Poi finalmente scopro che, fuori, ad aspettarlo c’è il
suo cane, un bastardino affettuosissimo che lo accompagna a scuola ogni mattina e resta ad attenderlo per ore
ed ore, per accoglierlo in un delirio di gioia, quando
Marcello esce. Per il cane il ragazzo rivela un attaccamento enorme.
Dopo lunghe insistenze da parte mia (il rendimento
scolastico di Marcello è molto inferiore alle sue reali capacità) si presenta la cognata, la quale mi informa sulla
situazione familiare del ragazzo: da due anni il fratello
maggiore “ha messo su casa per conto suo” e Marcello è
rimasto solo con i genitori, gente anziana, all’”antica”;
spesso il ragazzo si rifugia in casa del fratello, per cercare conforto e calore umano. Appena però cala la sera,
Marcello si precipita a casa: soffre di enuresi notturna e
il pensiero che qualcuno possa accorgersene lo mette in
143
Giovanna Righini Ricci
uno stato di perenne angoscia. La madre non fa che rimproverarlo per questa sua debolezza: Marcello si considera un anormale ed è convinto che non guarirà mai.
Non si allontana da casa se non è certissimo di potervi
ritornare “in tempo”, e non accetta assolutamente inviti
che comportino il pernottamento fuori; non vuole viaggiare, è sempre in allarme, pronto alle lacrime e al riso
isterico.
Concordiamo insieme una serie di incontri con lo psicologo; intanto, in sede di educazione sessuale, siccome
si sta parlando del bambino e delle sue prime esperienze e conquiste, affronto il problema del controllo degli
sfinteri e della enuresi notturna, mettendone in rilievo le
caratteristiche di origine nervosa e facendo, in particolare, notare come sia quasi sempre un fenomeno transitorio e molto più diffuso di quanto si possa pensare, sia fra
i bambini che fra i ragazzi.
Marcello appare molto scosso e sembra perfino trattenere il respiro.
A questo punto sollecito i ragazzi a raccontare impressioni, sensazioni, esperienze, in proposito, e parecchie confessano, divertiti, di avere avuto qualche volta,
anche in epoca recente, “quella debolezza” (sono soprattutto i maschi a fare questa ammissione) riferendo
stati d’animo, reazioni, “provvedimenti d’emergenza”.
La classe è molto rilassata e io non faccio nulla per frenare l’ilarità che accompagna certe “confessioni”, sperando che questo possa servire da “catarsi” per Marcello e sdrammatizzare la gravità del suo caso.
Il ragazzo ride a non finire, con le lacrime agli occhi;
poi interviene per domandare, al compagno che sta raccontando la sua recente disavventura in casa di parenti
con aria tra puerile e angosciata: “E poi, come hai fatto
a dormire?”
“Mi sono messo in coltello?” Risponde serenamente
l’altro.
144
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
“E… al mattino?”
“Boh, credo che non se ne siamo neanche accorti!”
“E… ti era capitato anche a casa tua?”
“Sì, qualche volta”.
“Cosa ha detto, tua madre?”
“Mi ha pregato di “provvedere” la sera, prima di andare a letto… e ha messo il materasso al sole!”
Risata generale. Questa volta però Marcello non ride.
La risposta del compagno lo ha molto impressionato.
Alla fine della lezione, mentre raccolgo i libri e sto
per allontanarmi, mi accosta, e mi dice:
“Anch’io, qualche volta… non ci resisto”.
Rimango impassibile:
“Capita spesso: può trattarsi di debolezza degli organi, della minzione oppure si tratta di un fenomeno di
origine nervosa: un medico o uno psicologo sono in grado di risolvere in brevissimo tempo il tuo problema”.
Gli dico.
Mi fissa incredulo. Allora aggiungo:
“Se ti interessa, posso segnalare la cosa all’équipe medico-scolastica”.
Parlo con leggerezza, con indifferenza, come se si
trattasse di un problema di ordinaria importanza.
Marcello non dice né sì né no, e si allontana meditabondo. Confido molto nella forza di persuasione del fratello e della giovane cognata, la quale si è presa seriamente a cuore la sua sorte e, soprattutto, nella volontà di
Marcello di superare questa sua avvilente menomazione.
Pochi giorni dopo, infatti, i colloqui con lo psicologo
hanno inizio. L’atteggiamento di Marcello è già cambiato: ride molto meno, è più attento, quasi tranquillo, e
non chiede continuamente di uscire (come faceva in
passato, probabilmente nel timore che gli potesse capitare qualche “incidente” anche in classe).
Un giorno lo raggiungo mentre sta andando incontro
al suo cane, che gli si getta con le zampe sul petto e gli
145
Giovanna Righini Ricci
lecca la faccia con entusiasmo.
“Sa: sono sempre così ossessionato all’idea che possa
capitarmi… un guaio, che, la sera, per precauzione, faccio fare almeno tre giri dell’isolato a Blick, perché si alleggerisca!” Mi confida a un tratto, sorridendo.
Annuisco e rido con lui:
“Potenza della suggestione!” esclamo.
Mi guardo bene dall’avere l’aria di non aver capito
quello strano e sibillino discorso, e sono francamente
sollevata nel sentire che Marcello sta oggettivando il suo
problema, proiettandolo sul cane, facendo perfino dell’autoironia: la sua guarigione non è lontana!
146
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
SCHEDA N. 13
LORELLA
Anni 11; classe prima; intelligenza vivace; temperamento dolce, sensibile, riservato; sviluppo fisico ancora
lento; ambiente culturalmente stimolante.
Lorella segue con vivo interesse gli argomenti di carattere sessuale che stiamo affrontando in classe, ma non
interviene mai, anche se ha un fratellino di pochi anni e
sarebbe in grado di raccontare parecchi episodi e particolari sulla vita di un neonato.
La madre mi informa tuttavia che, a casa, Lorella sfoglia enciclopedie, si documenta, silenziosamente ma con
metodo.
Quando le sorge qualche dubbio, non lo espone mai
“pubblicamente”: mi consegna invece un bigliettino,
con domande laconiche; io allora le chiarisco il problema, da sola a sola, con poche parole (ho notato infatti
che le interessa solo l’essenziale, che non ama entrare nei
dettagli, e rispetto la sua esigenza).
Un giorno entro in classe dopo che i ragazzi hanno
seguito una lezione di Osservazioni Scientifiche e trovo
Lorella tutta in lacrime.
Tiziana, una ragazzetta priva di inibizioni, mi informa
che avevano chiesto all’insegnante come avviene in una
ragazza lo sviluppo e la donna, in perfetta buona fede,
ha preso in disparte le bambine e ha spiegato loro tutto:
“subito dopo Lorella si è messa a piangere come una
fontana!”
Mando Lorella a lavarsi la faccia, sperando che questo l’aiuti ad allentare la tensione che avverto in lei; la ra147
Giovanna Righini Ricci
gazzina obbedisce ma tarda a rientrare, e la cosa mi preoccupa: vado alla sua ricerca e la trovo rannicchiata in
un angolo, disperata e piangente. In uno slancio inconsueto, mi dice, tra i singhiozzi:
“Io… io non voglio che mi succeda quella cosa orribile: io non voglio diventare una donna!”
Intuisco che la spiegazione, forse troppo realistica e
scientifica, fornita dalla collega, deve aver traumatizzato
questa ragazzina, impreparata a ricevere una dose “massiccia” di informazioni; Lorella poi è spaventata soprattutto all’idea del sangue, del dolore fisico, piena di repulsione.
Cerco di rasserenarla, di farle capire che lo sviluppo
puberale è una maturazione graduale, indolore, una
conquista che la farà evolvere verso un’esistenza più
completa.
Scuote il capo, desolata.
Le faccio osservare come le sue compagne abbiano
accolto con serenità la spiegazione: Lorella, piccola e dignitosa nel suo grembiule nero, mi dice, fiera:
“Io no!”
Mi rendo conto allora che le sue compagne erano,
sia dal punto di vista fisiologico che psicologico, mature per ricevere quella informazione e mi riprometto di
riprendere più tardi la spiegazione, porgendola con
garbo, con poesia, in una visione lieta dell’evento, che
metta in risalto la perfezione delle leggi della natura e
il mirabile equilibrio della “macchina umana”: forse, in
questo modo, Lorella accetterà la sua realtà esistenziale.
La mattina dopo la madre mi informa che Lorella
giunta a casa, ha pianto di nuovo e, la notte, ha avuto gli
incubi.
Per parecchio tempo la ragazzina conserva uno
sguardo preoccupato e un’aria smarrita. Poi un giorno,
finalmente, mi aspetta sulla soglia della classe per conse148
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
gnarmi furtivamente il solito bigliettino; si allontana in
fretta, prima che abbia il tempo di leggerlo.
Vi è scritto: “I maschi, quando si sviluppano, hanno
anche loro il ciclo?”
Desiderio di sapere o bisogno inconscio di scaricare
anche sull’altro sesso il peso di una pubertà che lei non
si sente ancora in grado di sopportare?
Le rispondo per iscritto, semplicemente:
“No, non hanno il ciclo; ma il loro corpo subisce delle mutazioni e ha delle reazioni che, se vuoi, ti spiegherò”.
Legge la risposta e mi dice di no, che non le interessa conoscere le fasi dello sviluppo dei maschi.
“Ne parleremo diffusamente, insieme, il prossimo anno”. Promette allora.
Le basta questo, per ora: un breve cenno ha appagato la sua curiosità. Le altre sollecitazioni verranno soddisfatte a mano a mano che si presenteranno alla sua
mente, senza forzarla: solo così posso esserle veramente
di aiuto, senza mancare di rispetto alla sua personalità.
149
Giovanna Righini Ricci
SCHEDA N. 14
SANDRO
Anni 11; classe prima; sviluppo fisico un po’ lento; intelligenza pronta; temperamento pigro, svogliato, sfuggente; facile alla distrazione, un po’ subdolo (quando non si
sente osservato, tende a fare degli scherzi piuttosto cattivi
ai compagni, con i quali non ha socializzato: togliere loro
la sedia di sotto, colpirli con un elastico nel posteriore…
ma sempre con destrezza incredibile e in silenzio!).
Il suo rendimento scolastico è molto scarso, a causa
soprattutto della sua incapacità di concentrazione e della sua indolenza.
Nulla lo interessa, in apparenza; eppure, quando scrive, rivela concretezza, buon senso e il suo stile è rapido,
stringato.
I genitori, commercianti molto agiati, appaiono piuttosto indifferenti ai problemi scolastici del ragazzo, il
quale, quando è a casa, si trova sempre solo, chiuso a
chiave: non ha amici, non pratica attività sportive, non
esce mai; soffre di bronchite e spesso è assente.
Un giorno un collega mi riferisce, preoccupato, che
durante la sua ora di lezione, il ragazzo si toccava in continuazione i genitali, mentre i compagni ridacchiavano.
Cerco di tenerlo d’occhio, senza averne l’aria, per
rendermi conto se si tratta di masturbazione cosciente o
di qualche altro disturbo fisiologico. Noto che tende a
fare quel gesto soprattutto verso la fine della mattinata,
quando è stanco o annoiato (e cerca nelle risorse del suo
fisico quella compensazione che la giornata frustrante
non gli ha dato).
150
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
Lo incoraggio allora a uscire in giardino, a sbrigarmi
qualche piccola commissione o gli affido lavori differenziati che lo impegnino soprattutto manualmente.
Le prime volte esita, non vorrebbe staccarsi dal suo
banco; poi ci prende gusto, a quei diversivi, e parte a
razzo, visibilmente contento di correre a sgranchirsi le
gambe o di lavorare con me.
Un giorno, mentre i compagni sono abbastanza lontani, impegnati in un lavoro di gruppo, gli domando sottovoce se avverta qualche dolore alla vescica, bruciore
agli organi, tensione. Allora mi confessa che ha sempre
lo stimolo alla minzione e, soprattutto durante le ultime
ore di lezione, teme che gli possa succedere qualche “disastro” in classe.
Informo subito la madre, pregandola di sottoporre il
ragazzo alla visita di un urologo; la donna si dimostra
molto stupita e anche un po’ seccata per questa mia “ingerenza” in faccende che non mi riguardano.
I colleghi, intanto, sono sempre più convinti che si
tratti di masturbazione morbosa, consapevole, e vorrebbero addirittura far allontanare il ragazzo dalla scuola!
Mi oppongo decisamente.
Un giorno Sandro, durante la lezione da mezzogiorno alle tredici, chiede al professore di uscire dalla classe,
non ottiene il permesso, resta al suo posto… e fa pipì
sulla sedia!
Scandalo di tutti e (lo confesso) mio enorme sollievo.
Il collega è convinto che sia stato, da parte del ragazzo, un gesto di sfida, una provocazione al suo divieto, ed
è furioso.
Interrogo Sandro con calma e il ragazzo mi confessa,
candidamente, che “proprio non ce la faceva più” a trattenerla.
La madre si convince a portare il ragazzo da uno specialista il quale riscontra una lieve imperfezione fisica, facilmente eliminabile con un piccolo intervento chirurgico.
151
Giovanna Righini Ricci
Sandro, “riabilitato”, torna a scuola (l’operazione avverrà durante le vacanze di Pasqua), ma è a disagio: si
vergogna soprattutto delle compagne, che hanno assunto nei suoi riguardi un atteggiamento altezzoso, pieno di
disprezzo.
Decido allora di apportare una modifica al mio piano
di lavoro per la educazione sessuale e affronto il problema delle funzioni del corpo, il controllo degli sfinteri,
con molta chiarezza ma senza inutili lungaggini. Cerco
di ridimensionare l’incidente occorso a Sandro, mettendo in risalto come possa capitare anche a persone normalissime, in particolari condizioni di stress emotivo; i
ragazzi cessano di guardarlo con aria canzonatoria e di
fare pesanti allusioni.
Anche Sandro si è rasserenato; l’idea dell’intervento
chirurgico lo terrorizza e l’esalta nello stesso tempo, perché egli ora si sente al centro dell’attenzione, colmato di
affettuosità e questo lo fa sentire un po’ vittima e un po’
eroe.
Comincia anche a interessarsi alla vita di gruppo e
ogni tanto si scioglie dalla sua apatia: sarà un lavoro lungo e irto di difficoltà, ma spero che si renda possibile un
buon recupero sia psicologico che scolastico, nonostante le condizioni ambientali negative, la persistente resistenza dei genitori e la sfiducia dei colleghi.
152
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
SCHEDA N. 15
ANNALISA
Anni 13; classe terza (è avanti di un anno rispetto ai
compagni); sviluppo fisico piuttosto lento; intelligenza
discreta; temperamento riservato, orgoglioso.
Nella classe appare poco socializzata (ho ricevuto
questi ragazzi solo in terza e conduco con loro la didattica dell’italiano e del latino); mantiene un contegno
molto corretto ma inerte: a braccia conserte, immobile,
“beve” indiscriminatamente tutto quello che l’insegnante le propina. Richiesta di un suo parere personale, appare sgomenta e spaurita.
Nella classe, pur trovandosi già da anni insieme con i
compagni, ha stretto amicizia solo con Mariella, una ragazzina esile, dolce, la cui vicinanza tuttavia non basta a
scuotere Annalisa dal suo torpore.
I genitori di Annalisa sono abbastanza colti ma intransigenti, repressivi e l’ambiente familiare non appare
molto sereno e stimolante.
Annalisa, che è molto lenta nella esecuzione dei compiti e si affatica subito, impiega l’intero pomeriggio sui libri; piena di amor proprio, stimolata da genitori troppo
ambiziosi, svantaggiata dalla sua ancora acerba età, oppressa da un tipo di scuola rimasta, nonostante i tempi e
le riforme, nozionistica e “quantitativa”, la ragazzina si
estenua in un incessante desiderio di sapere, di emergere,
di essere la prima della classe. Abituata a questo tipo di
insegnamento “depositario” (cioè a un travaso di nozioni
dell’insegnante all’alunno, e poi dall’alunno all’insegnante) di fronte a una didattica nuova, che la coinvolge diret153
Giovanna Righini Ricci
tamente nel processo educativo, che la chiama in causa
perché apporti un suo contributo fattivo, formuli dei giudizi critici, entra in crisi, convinta di non saper più studiare (per lei studiare significa infatti ripetere fedelmente tutto ciò che dice il libro o che espone l’insegnante, senza nessuna selezione da parte sua) e si dispera.
Gli anni precedenti, invece, primeggiava su tutta la
classe per la sua capacità di assorbimento quantitativo,
per la sua assiduità, la sua estenuante applicazione. Ora,
nel vedere i compagni (i quali in passato risultavano
molto mediocri) divenire dopo un brevissimo rodaggio
iniziale, partecipi, attivi, non si raccapezza più.
L’insegnante di lettere dello scorso anno l’aveva prediletta per la sua adesione indiscriminata, per la sua applicazione costante, isolandola in una sorta di “torre
d’avorio”, facendone una “aristocratica intellettuale” e
Annalisa, che non ha mai maturato una coscienza sociale, ora si ritrova senza appoggi, né in classe né in famiglia, mentre i compagni (anche loro fino a poco tempo
fa scarsamente socializzati, privi di coesione e incapaci
di lavorare insieme) siccome sono estroversi e recettivi,
hanno subito saputo cogliere, del nuovo metodo didattico, quanto è loro più congeniale e riescono a realizzarsi compiutatmente.
In un incontro con la madre, cerco di convincerla a
far uscire gradatamente Annalisa dal suo isolamento,
perché maturi attraverso le esperienze della vita di gruppo, attraverso una dinamica costante, uno scambio incessante con i coetanei: la sua riservatezza la rende infatti compressa, vulnerabile.
La risposta della donna è secca:
“Annalisa non ha bisogno degli altri: sa sempre bastare a se stessa!”
Obietto che tutti abbiamo bisogno degli altri, che il
nostro dare è un ricevere, in quanto ogni rapporto è sempre dinamico, vicendevole.
154
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
Se ne va, con aria poco convinta e con una evidente
disapprovazione del mio metodo didattico, tanto più deleterio, ai suoi occhi, in quanto “livella assurdamente la
classe”, facendo apparire tutti dei geni, anche quegli zoticoni i quali fino allo scorso anno erano giustamente
emarginati!
Sono nuova a questo ambiente, ancora disperatamente conservatore e ispirato a criteri selettivi, e incontro resistenze da ogni parte: i colleghi respingono le mie sperimentazioni come “innovazioni fasulle”; i genitori sono
guardinghi, in posizione di “attesa”. Solo i ragazzi hanno accolto la nuova didattica come qualcosa di liberatorio e si accendono subito di entusiasmo, tanto che concordiamo di tornare a scuola nel pomeriggio (con l’approvazione del Preside) per portare avanti discussioni
interclasse.
Ben presto il loro rendimento scolastico migliora sensibilmente, non solo nelle mie discipline, anche se permangono in loro preesistenti lacune e difficoltà nell’uso
degli strumentii espressivi, e questo fa allargare il respiro ai genitori e li rende disponibili al dialogo; in breve i
ragazzi acquisiscono un metodo di ricerca, e acuiscono
la capacità critica e selettiva.
Dalle discussioni scaturiscono anche spunti di carattere sessuale e, per questo, convoco le famiglie per consultarmi con loro sul da farsi: la maggioranza si dichiara
favorevole a un discorso di carattere sessuale e autorizza incontri pomeridiani, per discussioni e approfondimenti.
La madre di Annalisa tuttavia adduce come pretesto,
per non concedere il suo permesso, che la figlia è sempre molto lenta nell’apprendimento e che non può sprecare neppure un pomeriggio.
La ragazza perde così un’altra preziosa occasione per
vivere i propri pensieri, indagare sulla propria dimensione esistenziale e su quella degli altri.
155
Giovanna Righini Ricci
All’inizio della primavera la vedo deperire: pallida, il
viso tirato, lo sguardo assente, dà l’impressione di perdersi in un vuoto senza fine. Il suo rendimento nel latina è sempre notevole (i suoi genitori desiderano che si
iscriva al ginnasio, e Annalisa è convinta che sia anche la
sua volontà!) mentre invece nell’esposizione dei persieri
rivela una progressiva confusione; la sua scrittura si è
fatta contorta, tormentata, illegibile.
Annalisa fa assenze sempre più frequenti e la madre
le motiva adducendo una certa spossatezza fisica che impedisce spesso la figliola di alzarsi sollecitamente dal letto, la mattina.
Poi un giorno in cui Annalisa è nuovamente assente,
il professore di religione, mi informa, costernato, che
Annalisa è fuggita di casa, nel cuor della notte, ed è stata ritrovata solo dopo molte ore, in aperta campagna: vagava senza meta, tutta infreddolita, quando una pattuglia della polizia l’ha scorta, alla luce dei fari, e l’ha portata in questura.
Interrogata, Annalisa dapprima si è chiusa in un disperato mutismo, poi ha declinato generalità false (che si è
scoperto essere quelle della compagna di classe più disinvolta e priva di inibizioni) dichiarando di essere orfana di
padre e di madre, di essere fuggita da un orfanotrofio e di
avere dieci anni (la cosa del resto è stata in un primo momento creduta, dato il suo aspetto infantile e immaturo!).
Solo dopo lunghe insistenze, è venuto fuori il nome
della sua parrocchia e la polizia è riuscita in questo modo a rintracciare il parroco il quale, recatosi immediatamente in questura, ha chiarito la sua vera identità.
Forse che la ragazza, in piena crisi evolutiva, ha cercato disperatamente di rifiutare, in blocco, la sua identità, di cancellare le figure parentali, di regredire all’età infantile, per non doversi misurare con la vita, per non affrontare, con la pubertà, anche la sua crescita come individuo, la responsabilità?
156
Esperienze di educazione sessuale nella scuola media
Mi appare questa la più immediata interpretazione
del suo strano e abnorme comportamento; ma, conoscendo la ferma opposizione materna a ogni mio tentativo di aiutare psicologicamente la ragazza, non so come
intervenire.
D’altra parte Annalisa tarda a ritornare a scuola e
questo rende ancora più problematico qualsiasi tentativo di recupero.
È stato mantenuto il più assoluto riserbo sull’accaduto perché, quando tornerà a scuola, Annalisa non si crei
altri pericolosi complessi di colpa nei riguardi sia dei
compagni che degli insegnanti.
Finalmente la ragazza si rifà viva, accompagnata dalla madre (la quale si ripresenta alla fine della lezione, per
“prelevarla”): sembra tranquilla, ma il suo sguardo ha
una fissità allarmante.
Si sta approfondendo in classe la lettura di un libro di
narrativa, riguardante i problemi di due adolescenti1 e si
dibattono i temi dei rapporti con i coetanei e con l’altro
sesso, della libertà, del primo amore, della incomprensione fra genitori e figli, delle tensioni che sfociano nelle fughe da casa, nell’evasione della droga, ecc.; colgo
l’occasione per far rilevare come i drammi che travagliano gli adolescenti siano gli stessi che hanno tormentato,
da sempre, intere generazioni, sia pure con angolature e
manifestazioni diverse, mettendo i giovani in urto con
gli adulti: ciascuno di noi deve accettare se stesso e gli altri: solo così la convivenza umana è civile e possibile.
Annalisa non perde una sillaba di quanto si va dicendo attorno a lei, ma non interviene mai.
Il giorno successivo non si presenta a scuola: a metà
mattinata è la madre a comunicarmi, angosciata, che
Annalisa ha avuto il suo primo flusso e ne è rimasta
sconvolta: in un attacco isterico, ha urlato di odiare tut1 G. RIGHINI RICCI, Incontri d’estate, Massimo, Milano.
157
Giovanna Righini Ricci
to e tutti, il padre egoista, la madre “ipocrita”, la vita, un
peso insopportabile! Ora piange dicendo che non vuole
crescere, non vuol più saperne della scuola, non vuole
diventare una donna e mettere al mondo figli disgraziati come lei.
Domando alla madre se Annalisa fosse stata preparata all’evento: la risposta è piuttosto evasiva.
Siccome Annalisa ha frequenti conati di vomito, suggerisco alla donna di rivolgersi subito a un medico, spaventandola invece di sminuire la gravità della situazione.
Annalisa viene ricoverata qualche giorno dopo, avendo avuto un vero “collasso”, in una clinica, dove la si
sottopone a una terapia piuttosto energica: ancora immatura, sensibile, vulnerabile, nel momento dell’impatto con la realtà, si è lasciata prendere dal panico e ora si
rifugia in una sorta di mite follia. Solo la medicina e un
paziente lavoro di recupero psicologico possono aiutarla a inserirsi nel contesto sociale, ad accettare l’esistenza, con tutti i suoi doni, le sue frustrazioni e i suoi drammi.
158