Variazioni in diminuzione

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Variazioni in diminuzione
MASTER IVA MYSOLUTION 2014 - CATANIA
Note di variazione, ricevuta fiscale,
scontrino, importazioni ed
esportazioni
a cura del dott. Stefano Setti
CATANIA, 6 FEBBRAIO 2014
Le note di variazione (art.
26 del DPR n. 633/1972)
Concetti introduttivi
Il Decreto IVA prende in considerazione il caso in cui, successivamente all’emissione o alla registrazione della fattura,
l’importo della base imponibile oppure quello dell’imposta venga ad aumentare o a diminuire rispetto a quanto fatturato. Le
disposizioni contenute all’interno dell’art. 26 del DPR n. 633 del 1972, disciplinano distintamente (e diversamente) le ipotesi
della rettifica in aumento e in diminuzione.
Prima di analizzarle, è opportuno ricordare che i documenti rettificativi, ossia le c.d. note di variazione, devono essere emessi
con la stessa aliquota d’imposta a suo tempo applicata, anche se modificata successivamente all’effettuazione
dell’operazione.
In considerazione di ciò, le istruzioni di compilazione della dichiarazione annuale forniscono indicazioni per l’eventualità in cui
il contribuente abbia emesso o ricevuto, nel corso del periodo d’imposta, note di variazione riportanti un’aliquota non in
vigore, e dunque non presente nel modello.
In prima battuta si ricorda, inoltre, che ai sensi dell’articolo 26 del DPR n. 633/1972, la nota di variazione deve essere emessa
quando, dopo l’emissione della fattura o la sua registrazione, si verificano delle circostanze tali da determinare una variazione
(in aumento o in diminuzione ) di quanto fatturato o registrato, ad esempio nei seguenti casi:
a)
quando viene riscontrato un errore nell’aliquota Iva applicata, o nella base imponibile oppure nell’imposta;
b)
quando viene concesso uno sconto o un abbuono;
c)
quando si verifica un fatto che rende nulla l’operazione, ad esempio la rescissione o l’annullamento del contratto.
La nota di variazione (di addebito o di accredito) ha gli stessi requisiti della fattura e deve essere dotata di propria
numerazione progressiva per anno solare. La nota di variazione deve essere emessa, con riferimento all’originaria fattura, per
la differenza dell’importo risultante errato o concesso a titolo di sconto, ecc.
Variazioni in aumento – nota
debito
In caso di variazione in aumento dell’imponibile o dell’imposta, il cedente o prestatore deve emettere un’apposita fattura
integrativa (nota di addebito) per il maggior ammontare dell’IVA dovuta, numerarla progressivamente e registrarla nel
registro delle fatture emesse .
L’acquirente o il committente, quando la riceve, deve registrarla nel registro IVA degli acquisti. Se l’operazione alla quale si
riferisce la variazione non è soggetta all’obbligo di fatturazione, in quanto cessione al dettaglio, è sufficiente annotare la
variazione nel registro dei corrispettivi.
Quindi, il soggetto che ha effettuato l’operazione deve emettere una fattura integrativa, oppure una nota di addebito, in
relazione al maggior tributo dovuto sull’operazione, inviandola alla controparte; per tale adempimento non sono posti limiti
temporali.
L’obbligo va osservato indipendentemente dalla causa della variazione (errore di fatturazione, accordo sopravvenuto ecc.),
fermo restando che se la causa risiede in una irregolarità della fatturazione originaria, possono rendersi applicabili, sia a
carico del cedente/prestatore sia a carico del cessionario/committente, le sanzioni di legge; in tal caso, naturalmente, tornerà
applicabile anche la disciplina sul cd. ravvedimento operoso di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 472/97. In proposito, da alcune
pronunce di prassi si evince che le sanzioni non sono applicabili nel caso in cui la fattura integrativa (o la nota di addebito)
venga emessa prima della constatazione della violazione da parte degli organi competenti (in tal senso, per esempio, le
risoluzioni n. 363180 del 28/7/79 e n. 503269 del 16/12/75). Tale risalente orientamento, invero, non appare né motivato né
condivisibile, sembrando più corretto ritenere che la sanzione sia applicabile qualora il fatto (ossia l’irregolarità della fattura
originaria) costituisca violazione punibile secondo i principi dell’ordinamento sanzionatorio tributario non penale, codificati
nel D.Lgs n. 472/97. Si ricorda, inoltre, che il documento emesso ai sensi dell’art. 26, primo comma, deve essere registrato nel
registro delle fatture emesse.
È opportuno precisare che se la variazione in aumento si verifica prima che la fattura sia stata emessa (ad es. fattura
compilata ma non ancora consegnata o spedita) non è necessario emettere un’apposita fattura integrativa, ma la fattura può
essere annullata e sostituita con un’altra fattura regolare (C.M. 9 settembre 1975, n. 28).
Variazioni in aumento – nota
debito
La procedura di variazione in aumento, con emissione di nota di addebito (fattura
integrativa), deve essere effettuata per regolarizzare, ad esempio, le seguenti situazioni:
-E’ stata applicata l’IVA con aliquota inferiore a quella prevista dalla legge (R.M. 11 marzo 1976,
n. 502716; R.M. 23 dicembre 1975, n. 503576), ad esempio se i corrispettivi dell’appalto relativo
alla realizzazione di un’opera di urbanizzazione sono stati assoggettati all’aliquota Iva del 10%,
mentre l’opera ultimata non rientra nell’elenco tassativo di cui all’articolo 4 della L. 29 settembre
1964, n. 847, come integrato dall’articolo 44 della L. 22.10.1971, n. 865 e deve essere applicata
l’aliquota del 20%;
-nella fattura non sono state comprese tutte le operazioni per le quali si è verificato il
presupposto impositivo (R.M. 23 luglio 1975, n. 501355);
-per mancata applicazione dell’IVA su operazioni che erano soggette (R.M. 12 marzo 1976, n.
504011; R.M. 21 maggio 1979, n. 362750);
-quando lo sconto concesso nella fattura originaria viene meno, ad esempio se il debitore non
rispetta i termini di pagamento a cui lo sconto era collegato (R.M. 30 giugno 1975, n. 501171).
Variazioni in aumento – nota
debito
Quesito
Un’azienda non ha assoggettato ad Iva, per alcuni disguidi, un’operazione soggetta a
tale tributo. Si vorrebbe sapere se sia possibile ricorrere alla procedura di cui all’art. 26,
comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, regolarizzando la posizione dell’azienda tramite la
variazione in aumento prevista dalla citata norma.
Per effetto delle disposizioni contenute nell’art. 26, comma 1, del D.P.R. 26 ottobre
1972, n. 633, occorre operare una variazione in aumento dell’imponibile e dell’imposta
tutte le volte che, successivamente alla emissione della fattura o alla registrazione di cui
ai precedenti artt. 23 e 24, l’ammontare imponibile di un’operazione e quello della
relativa imposta viene ad aumentare per qualsiasi motivo, compresa la rettifica di
inesattezze della fatturazione o della registrazione. In merito, con risoluzione n. 504011
del 12 marzo 1976, è stato precisato che la procedura di variazione in aumento in
esame si rende applicabile non soltanto tutte le volte che, successivamente
all’emissione della fattura o alla registrazione, l’ammontare imponibile di un’operazione
e quello della relativa imposta viene ad aumentare per qualsiasi motivo, ma “anche
quando l’ammontare di un’operazione non sia stato assoggettato all’imposta”.
Variazioni in diminuzione – nota
credito
Come precisato dalla Circolare n. 177 del 2000, le variazioni in diminuzione hanno
carattere facoltativo e, le condizioni per procedere, sono specificatamente individuate
dall’articolo 26, comma 2, DPR n. 633/72.
Il legislatore ha previsto non solo alcuni eventi specifici, ma ha anche introdotto un
limite temporale (un anno) entro il quale l’operatore può procedere alla diminuzione
dell’imponibile (e della relativa imposta), a meno che gli eventi non soggiacciano ad
accordi preventivi o siano indipendenti dalla volontà degli attori.
Quindi, diversamente dalle variazioni in aumento, quelle che comportano una riduzione
dell’imponibile o dell’imposta (variazioni in diminuzione) sono facoltative, non avendo
l’erario interesse a che esse vengano operate .
Come già anticipato, la legge distingue l’ipotesi in cui la variazione discenda da una
causa già prevista negli originari accordi negoziali (art. 26, secondo comma), da quella in
cui discenda, invece, da sopravvenuto accordo tra le parti (art. 26, terzo comma),
subordinando in tale seconda ipotesi la possibilità di operare la variazione a un limite
temporale (pari a un anno).
Sulla base di quanto sopra si analizzeranno nel dettaglio le variazioni in diminuzione
“senza limiti temporali” e quelle “con limite temporale”.
Variazioni in diminuzione – nota
credito (senza limiti temporali)
Secondo quanto disposto dal 2° comma dell’art. 26 del DPR n. 633/1972, le variazioni in diminuzione possono essere operate
senza limiti di tempo (quindi anche oltre un anno), se l’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla
registrazione, viene meno in tutto o in parte, ovvero se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di:
dichiarazione di nullità , annullamento , revoca, risoluzione, rescissione o simili. Il riferimento alla “dichiarazione” di
nullità, annullamento, ecc., non va inteso in senso categorico. L’Agenzia delle entrate, con risoluzione n. 449 del 21/11/2008,
ha infatti precisato che, in conformità all’orientamento della corte di cassazione, si deve ritenere che il provvedimento
dichiarativo è riferito solo all’ipotesi dell’accertamento della nullità dell’atto imponibile, e non anche alle diverse ulteriori
cause di caducazione degli effetti dell’atto (annullamento, revoca, rescissione, risoluzione e simili). Al verificarsi di una causa
di estinzione di un contratto in relazione alla quale il cedente o il prestatore abbia già emesso fattura, pertanto, il soggetto ha
diritto di emettere la nota di variazione e di detrarre l’imposta, a norma dell’articolo 26, secondo comma, senza che occorra
un formale atto di accertamento (negoziale o giudiziale) del verificarsi della causa. Ciò che conta, non è la modalità con cui si
manifesta la causa della variazione dell’imponibile, quanto piuttosto che della variazione e della sua causa si effettui la
registrazione ai sensi degli articoli 23, 24 e 25 del DPR n. 633/1972 (sentenze n. 15696/2002, 5568/1996, 9195/2001);
applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente. In tutti i casi di applicazione di abbuoni, sconti o premi
previsti contrattualmente, che comportino variazioni in diminuzione dell’ammontare imponibile risultante dalla fattura
emessa e registrata (a tal proposito non si può parlare, per definizione, di operazione che viene meno in parte, poiché non
ricorre alcuna ipotesi di risoluzione parziale della cessione originaria), il cedente ha diritto di portare in detrazione l’imposta
corrispondente alla variazione (ammontare dell’abbuono o sconto), emettendo c.d. nota di accredito recante l’importo
dell’abbuono o sconto e l’ammontare della corrispondente imposta calcolata con la stessa aliquota applicata all’operazione
principale. Secondo la previsione dell’art. 26 del DPR n. 633/1972 è importante osservare come sorgano correlati obblighi in
capo al “cessionario-cliente” soltanto nel caso in cui il cedente eserciti il proprio diritto alla detrazione dell’imposta
corrispondente alla variazione: se ciò non avviene, l’operazione rimane definitivamente acquisita nei termini fatturati. La
disposizione, viceversa, non autorizza, né obbliga il cessionario-cliente ad assumere l’iniziativa, uguale e contraria,
dell’emissione di una nota di addebito e, pertanto, il suo comportamento non potrebbe mai determinare l’insorgenza di un
diritto a detrazione in capo al cedente. In altri termini, va chiaramente ribadito come il cliente-cessionario non potrà mai di
propria iniziativa emettere documenti attinenti i premi che comportino una detrazione in capo al cedente. Infine, è
opportuno ricordare che la risoluzione ministeriale n. 120 del 17 settembre 2004 ha chiarito che è possibile procedere alle
variazioni in diminuzione senza limiti temporali anche per i premi in denaro erogati dal produttore dei beni al concessionario
rivenditore, in relazione al raggiungimento di un determinato volume di acquisti. Tali premi consistono sostanzialmente nella
riduzione del prezzo originario della cessione e sono, pertanto, assoggettabili alla disciplina prevista per gli sconti, premi e
abbuoni previsti contrattualmente;
Variazioni in diminuzione – nota
credito (senza limiti temporali)
- variazioni dell’IVA per specifiche disposizioni di legge. Risulta
possibile utilizzare le variazioni in diminuzione dell’imposta, senza alcun
limite temporale, anche in specifiche casistiche in cui una legge riduce
l’aliquota dell’imposta per determinate operazioni ed estende l’efficacia
delle nuove aliquote ad un periodo pregresso. Al riguardo si segnala che
secondo quanto disposto dalla risoluzione n. 106 del 21 maggio 2007, è
consentita la variazione d’imposta, anche oltre il limite temporale di un
anno, nel caso in cui il contribuente abbia applicato una norma,
contenuta in un decreto legge, che è stata poi soppressa dalla legge di
conversione. Infine, con la risoluzione n. 212/E del 22 maggio 2008,
l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che, in caso di applicazione
“retroattiva” di un’aliquota IVA più favorevole, la maggiore imposta
versata all’Erario può essere recuperata (facoltativamente) dal fornitore
attraverso lo strumento della nota di variazione in diminuzione, di cui
all’art. 26, commi 2 e 3, del D.P.R. n. 633/1972;
Variazioni in diminuzione – nota
credito (senza limiti temporali)
mancato pagamento, in tutto o in parte, a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose. La normativa
comunitaria accorda agli stati membri la facoltà di consentire la riduzione dell’imponibile anche in caso di mancato pagamento del prezzo della cessione o
della prestazione (art. 90, direttiva n. 112 del 2006). Di questa facoltà, tuttavia, non ha fatto uso il legislatore domestico, salvo che per l’ipotesi in cui il
mancato pagamento, totale o parziale, dipenda da procedure concorsuali o procedure esecutive rimaste infruttuose. Chiarimenti in merito a tali ipotesi
sono stati forniti dall’amministrazione finanziaria con le circolari 77 del 17/4/2000, ove è stato precisato che il presupposto per la riduzione si realizza, in
via generale, quando il soddisfacimento del creditore viene meno per insussistenza di somme disponibili. Ciò si verifica, a seconda della procedura
concorsuale, nei seguenti momenti: i) fallimento, si fa riferimento alla scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto o, in mancanza di piano
di riparto, alla scadenza del termine per il reclamo al decreto di chiusura del fallimento; ii) liquidazione coatta amministrativa, occorre aver riguardo al
decorso dei termini indicati nell’art. 213 della l.f.; iii) concordato fallimentare, rileva il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del
concordato stesso, atteso che solo da tale momento discendono in modo definitivo gli effetti sia sostanziali che processuali del concordato; iv)
concordato preventivo, il presupposto della infruttuosità della procedura può verificarsi per i soli creditori chirografari, per la parte percentuale del loro
credito che non trova accoglimento con la chiusura del concordato; in tale ambito, occorre aver riguardo, oltre che alla sentenza di omologazione
divenuta definitiva, anche al momento in cui il debitore concordatario adempie agli obblighi assunti in sede di concordato. L’amministrazione controllata
e l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi non rientrano tra le procedure concorsuali legittimanti la riduzione dell’imponibile. Riguardo
alle procedure esecutive rimaste infruttuose, con la predetta circolare è stato precisato che il presupposto legittimante la variazione in diminuzione viene
a esistenza quando il credito non trova soddisfacimento attraverso la distribuzione delle somme ricavate dalla vendita dei beni dell’esecutato, ovvero
quando sia stata accertata e documentata dagli organi della procedura l’insussistenza di beni da assoggettare all’esecuzione. È stato inoltre ritenuto che
possono essere ricomprese nella previsione normativa anche le procedure esecutive degli obblighi di consegna o rilascio, a eccezione dei casi di
prestazione sostitutiva, così come nell’ipotesi di “datio in solutum”, previa accettazione del creditore, prevista dall’art. 1197 c.c., o nel caso di “novazione
oggettiva” ex art. 1230 c.c., o di “conversione del negozio nullo” ex art. 1424 c.c. Anche per tali procedure esecutive in forma specifica, l’infruttuosità,
derivante dalla mancata consegna o rilascio del bene, dovrà essere accertata e documentata dall’autorità preposta alla procedura. Sussistendo i
presupposti indicati, sorge per il cedente o prestatore il diritto potestativo di operare la rettifica in diminuzione, rettifica che dovrà essere operata sia
riguardo all’imponibile che alla relativa imposta; qualora, poi, successivamente alla procedura esecutiva, collettiva o individuale, il cedente del bene o
prestatore del servizio recuperi, in tutto o in parte, il credito in precedenza insoddisfatto, lo stesso dovrà provvedere a effettuare, in relazione all’importo
recuperato, una variazione in aumento rettificativa di quella in diminuzione a suo tempo operata. In ordine agli adempimenti del destinatario della nota
di variazione, con risoluzione n. 155 del 12/10/2001 è stato chiarito che il curatore deve solo procedere alla registrazione “per memoria” delle note di
variazione ricevute, a seguito della ripartizione finale dell’attivo, dai creditori insoddisfatti, al fine di evidenziare il credito d’imposta che l’erario potrà
eventualmente recuperare nel caso di un ritorno “in bonis” del fallito. Il curatore non dovrà pertanto includere il credito erariale nel riparto finale, oramai
definitivo, né dovrà tenerne conto in sede di dichiarazioni periodiche o annuale. Analoga precisazione è stata fornita con risoluzione n. 161 del
17/10/2001 riguardo al debitore concordatario, in relazione alle note di variazione emesse dai creditori per la parte di credito rimasta insoddisfatta
all’esito della procedura di concordato preventivo. Per quanto riguarda, poi, il termine per l’emissione della nota di variazione, con la risoluzione n. 89 del
18/3/2002 l’agenzia delle entrate ha ribadito che, come precisato con la circolare n. 77/2000, il documento può essere emesso senza alcun limite
temporale; ha tuttavia aggiunto che il recupero dell’imposta da parte del creditore insoddisfatto è soggetto al termine di decadenza dell’art. 19, comma
1, del DPR n. 633/72, decorrente dal momento in cui è reso esecutivo il piano di riparto. Pertanto l’imposta può essere recuperata, al più tardi, entro il
secondo anno successivo a quello in cui è stato reso esecutivo il piano di riparto. Questa limitazione, ribadita successivamente con riferimento ad altre
situazioni del genere, non appare convincente, in quanto si fonda su un’opinabile assimilazione tra diritto alla detrazione e rettifica dell’imposta fatturata,
desunta dalla disposizione del secondo comma dell’art. 26, in base alla quale il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di “portare in
detrazione ai sensi dell’art. 19 l’imposta corrispondente alla variazione”. Tale argomentazione letterale è tuttavia indebolita dalla disposizione del
successivo quinto comma, che consente il recupero dell’imposta, in alternativa, mediante apposita annotazione in rettifica nel registro delle operazioni
attive;
Variazioni in diminuzione – nota
credito (senza limiti temporali)
acquisto/costruzione “prima casa”, con la risoluzione ministeriale del 7.12.2000 n. 187/E, il
Ministero delle Finanze ha chiarito l’eventuale variazione in diminuzione dell’aliquota Iva per
sopravvenuti requisiti “prima casa”. Più precisamente è stato fatto presente che, se un contribuente
non ha i requisiti per la “prima casa” al momento del contratto preliminare di compravendita di un
immobile non di lusso o del versamento dell’acconto, può acquisirli successivamente. Anche se è
decorso più di un anno dalla emissione della fattura dovuta in sede di contratto preliminare, il
contribuente può chiedere l’applicazione dell’aliquota Iva “prima casa”, purché dimostri di possederli
al momento della stipulazione del contratto definitivo di compravendita dell’immobile non di lusso.
Quindi, sulla base di quanto sopra, anche in tale ipotesi è consentita l’emissione della nota di credito,
senza il limite temporale di un anno, per la restituzione della differenza d’imposta all’acquirente o
committente che, successivamente alla fatturazione degli acconti con aliquota Iva del 10%, sia venuto
in possesso, all’atto del rogito di compravendita ovvero della consegna dell’abitazione, dei requisiti
necessari per accedere all’aliquota agevolata del 4%;
Variazioni in diminuzione – nota
credito (senza limiti temporali)
vendita per persona da nominare: la facoltà di nomina nelle operazioni di compravendita immobiliare può costare cara al
contribuente che rischia di pagare più volte l’IVA. Ne sa qualcosa chi nel contratto preliminare preveda la clausola in cui si impegna
ad acquistare per sé o per persona da nominare entro il rogito e si avvalga di questa facoltà dopo avere versato degli acconti.
Infatti, se dalla data della fattura trascorrono più di 365 giorni, l’impresa cedente non emette nota di variazione nei confronti del
primo promettente all’acquisto - che quindi rimane soggetto all’Iva - e allo stesso tempo applica al secondo acquirente nominato
l’imposta sull’intero prezzo di cessione dell’immobile. In termini pratici, questo significa che se a un padre che stipula un
preliminare subentra al momento del rogito ad esempio un figlio o la moglie, l’impresa cedente applica prima l’imposta sugli
acconti e al momento della materiale redazione dell’atto quella sul prezzo stabilito per la vendita. Data la frequenza con cui questa
clausola è inserita nei contratti di compravendita immobiliare e soprattutto del suo utilizzo ben si comprende l’entità del fenomeno
su scala nazionale. Del resto solo in questo modo gli acquirenti possono “fermare” l’immobile riservandosi le opportune valutazioni
per stabilire a chi intestarlo al momento del rogito. Ciononostante, alla questione il ministero delle Finanze ha dedicato una sola
risoluzione (n. 400649 del 29 aprile 1986) che peraltro affronta l’argomento in termini poco puntuali. In questo contesto di estrema
incertezza, assume particolare importanza la risposta dell’agenzia delle Entrate, Direzione regionale del l’Emilia Romagna, relativa a
un interpello presentato da una società del settore edilizio (risoluzione n. 909-20845/2002 del 9 maggio 2002). La sua valenza, va
però subito chiarito, è limitata territorialmente alla regione. È auspicabile perciò che i principi in essa enunciati vengano mutuati da
altre direzione regionali o, meglio ancora, ripresi dall’agenzia delle Entrate. La Dre Emilia Romagna ha risposto all’interpello di una
società che “svolge la propria attività nel settore edile immobiliare” la quale chiedeva di sapere se una volta esercitata la facoltà di
nomina, sussistesse, ai sensi dell’articolo 26, secondo comma del DPR n. 633/1972, la possibilità di emettere note di variazione in
diminuzione relative alla fatturazione degli acconti. Sulla base della precedente pronuncia, la società precisava nell’interpello che le
clausole di “riserva di nomina del contraente” che intendeva inserire nei contratti preliminari di vendita immobiliare, avrebbero
previsto la nomina entro un termine fisso, da individuare “facendo riferimento a un giorno fisso del calendario o, alternativamente,
attraverso il riferimento a un giorno tassativamente compreso tra due giorni fissi del calendario”. La direzione, nel rispondere a
questa richiesta di chiarimenti, ha riconosciuto come valide e conformi alle norme sul contratto per persona da nominare le
clausole predisposte dalla società, quindi, ha confermato la tesi proposta dal contribuente. In più l’amministrazione ha affermato
che nella fattispecie l’atto di nomina provoca nei confronti dello stipulante un effetto risolutivo-sostitutivo, con contestuale
imputazione degli effetti del contratto in capo del committente eletto. “Lo strumento delle note di variazione di cui all’articolo 26,
secondo comma del DPR n. 633/1972 consente di addivenire alla raffigurazione dell’effetto risolutivo e della definitiva imputazione
soggettiva all’operazione, e tanto potrebbe inoltre essere avvalorato dall’ampia locuzione “e simili” contenuta nella norma”. In
pratica, secondo la tesi della Direzione regionale delle entrate dell’Emilia Romagna, quando lo stipulante procede alla dichiarazione
di nomina del cessionario, l’impresa cedente può emettere (è un suo diritto, non un obbligo), senza limite temporale, nota di
variazione ai sensi dell’articolo 26 del DPR n. 633/1972, accreditando in capo allo stipulante le somme da quest’ultimo già
corrisposte a titolo di acconto e contestualmente emettendo fattura per le stesse somme nei confronti del cessionario;
Variazioni in diminuzione – nota
credito (senza limiti temporali)
- cambio del gestore di telefonia mobile, secondo quanto disposto dalla risoluzione ministeriale n. 329 del 21/10/2002, l’utente del
servizio di telefonia mobile reso attraverso il sistema della carta prepagata che decide di passare ad altro gestore, ha diritto di
conservare sia il numero telefonico che il credito residuo non utilizzato. Il precedente gestore, in relazione al trasferimento del
credito al nuovo gestore, può annotare una corrispondente variazione in diminuzione, recuperando l’IVA a suo tempo assolta con il
sistema monofase di cui all’art. 74, anche se è trascorso più di un anno dall’effettuazione dell’operazione.
In tutti i casi sopra esaminati è consentito al cedente del bene o prestatore del servizio recuperare la maggiore imposta versata
mediante emissione nei confronti del cessionario o committente di una apposita nota di credito, indipendentemente dal tempo
trascorso tra l’effettuazione dell’operazione originaria e il suo venir meno. Vale infine la pena di ricordare che, anche se la
variazione può essere effettuata senza limiti di tempo, il diritto alla detrazione dell’Iva può essere esercitato al più tardi con la
dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto per la variazione stessa.
Variazioni in diminuzione – nota
credito (con limite temporale)
Secondo quanto disposto dal 3° comma dell’art. 26 del DPR n. 633/1972, se l’annullamento, la
risoluzione, la riduzione, ecc. dell’operazione originaria dipende da accordo sopravvenuto tra le parti,
la variazione in diminuzione ai fini Iva non può essere operata se è decorso più di un anno dal
momento di effettuazione dell’operazione. Al riguardo è opportuno precisare che la relazione
governativa di accompagnamento del decreto istitutivo dell’IVA riconduce all’ipotesi di sopravvenuto
accordo tra le parti l’evento che non trova titolo in una pronuncia dell’autorità giudiziaria, per cui
sembra circoscrivere la possibilità di emettere la nota di variazione oltre l’anno solo al caso in cui
esista una pronuncia giudiziaria. La prassi che si è affermata, tuttavia, non è allineata a questa
interpretazione restrittiva .
Tutto ciò considerato di seguito si analizzano i due casi principali in cui il cedente/prestatore può
(facoltà) emettere note di variazioni in diminuzione entro e non oltre l’anno di effettuazione
dell’operazione.
Variazioni in diminuzione – nota
credito (con limite temporale)
Concessione di sconti o abbuoni non previsti contrattualmente
Nel caso in cui gli sconti o gli abbuoni non siano espressamente ed originariamente previsti nel contratto, la
procedura di variazione è soggetta al limite temporale di un anno.
Al riguardo si segnala che l’Amministrazione finanziaria ha contestato a molti contribuenti l’indebita detrazione
dell’IVA indicata in note di accredito emesse, oltre l’anno, per sconti su vendite concessi a clienti.
Le contestazioni si basano, nella maggior parte dei casi, sulla considerazione che le sole note di variazione non sono
sufficienti, di per sé, a provare l’effettiva esistenza degli elementi previsti dal secondo comma dell’art. 26 del DPR
n. 633/1972 (quindi sulla possibilità di emettere le note di variazioni “senza limiti temporali”) e sulla necessità che
la pattuizione dello sconto non solo debba essere antecedente all’emissione delle note di variazione, ma anche che
debba essere provata da contratto scritto, se non addirittura essere contenuta nel contratto originario.
La motivazione principale che sostiene la tesi dell’Amministrazione finanziaria si basa sulla possibilità che la
concessione di sconti successivi all’effettuazione dell’operazione commerciale oggetto della fatturazione possa
essere dettata da intenti elusivi.
È opportuno evidenziare che la Corte di Cassazione è intervenuta più volte sulla questione con alcune interessanti
sentenze; si segnala, in particolare, la sentenza 11 aprile 1996, n. 3428 con la quale la Corte ha stabilito che lo
sconto deve necessariamente costituire oggetto di apposito accordo tra le parti, indicando, tuttavia, che non è
necessario che le note di variazione facciano puntuale riferimento alle fatture oggetto di variazione.
La Corte di Cassazione si è pronunciata nuovamente sull’argomento con la sentenza 22 febbraio - 22 giugno 2001,
n. 8558, nella quale sono contenute alcune interessanti statuizioni.
In primo luogo la sentenza censura la tesi dell’Amministrazione finanziaria, secondo la quale la pattuizione dello
sconto deve essere contenuta nel contratto originario tra le parti.
Secondo la Corte, infatti, è necessario che esista un accordo contrattuale in forza del quale viene concessa la
riduzione del corrispettivo, ma tale accordo può essere successivo all’originario contratto.
In secondo luogo, la sentenza precisa che la pattuizione dello sconto può essere frutto di un accordo orale, essendo
richiesta la forma scritta solamente nei casi speciali richiesti dalla legge e che l’esistenza di tale accordo può essere
provata con qualunque mezzo previsto in materia contrattuale.
Variazioni in diminuzione – nota
credito (con limite temporale)
In ragione di ciò, la Corte di Cassazione, in contrasto con la tesi dell’Amministrazione finanziaria,
concorda con il comportamento del giudice di merito del caso oggetto della sentenza, che aveva
ritenuto che la pattuizione dello sconto fosse provata dall’esistenza delle note di accredito.
Sulla base di quanto sopra si evince che la sentenza della Corte di Cassazione fornisce importanti
elementi di chiarezza ai contribuenti che si trovano ad attivare la procedura di variazione prevista
dall’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972 in tema di sconti e abbuoni.
La precisazione che la locuzione “abbuoni o sconti previsti contrattualmente”, contenuta nel comma 2
della norma citata, non debba necessariamente essere riferita al contratto originario tra le parti e che
la pattuizione dello sconto possa avvenire anche in forma orale (se non è richiesta per legge la forma
scritta) successivamente al contratto originario consente di risolvere i dubbi principali legati
all’eventualità di un possibile contenzioso con il Fisco.
È necessario rilevare, comunque, che l’Amministrazione finanziaria potrebbe sempre contestare le
note di variazione quale semplice prova della pattuizione dello sconto. Si ritiene, pertanto,
consigliabile, nel caso sottoposto dal lettore, procedere all’emissione delle note di variazione, previa
la raccolta di tutta la documentazione (corrispondenza commerciale e documenti contabili) atta a
provare che lo sconto concesso rientra nella sistematica applicazione di una precisa politica
commerciale e non possa essere confuso con una consuetudine generica o con un semplice mancato
pagamento da parte del cessionario.
Variazioni in diminuzione – nota
credito (con limite temporale)
Quesito
Si vorrebbe sapere il trattamento delle seguenti variazioni in diminuzione dell’Iva, ex art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972, effettuate da una ditta ai propri
clienti a titolo di sconto o abbuono dei corrispettivi richiesti:
-
variazione in diminuzione dell’importo originariamente stabilito in contratto, a seguito di accordo verbale tra la ditta ed i propri clienti;
variazione in diminuzione dell’importo originariamente stabilito in contratto, facendo riferimento a consuetudini o usi commerciali di particolari
settori economici nei quali ordinariamente vengono praticati sconti.
È legittimo il ricorso alla procedura di variazione in diminuzione di cui al richiamato art. 26 del D.P.R. n. 633/1972, in entrambi i casi?
In base alle previsioni contenute nell’art. 26, comma 2, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura,
successivamente alla registrazione viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza, tra l’altro, dell’applicazione di
abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione l’imposta corrispondente alla
variazione, mentre il cessionario o committente, che abbia già registrato l’operazione deve in tal caso registrare la variazione stessa, salvo il suo diritto
alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa. A norma del successivo comma 3 dello stesso art. 26, tale procedura non è
più consentita, decorso un anno dall’effettuazione dell’operazione, qualora gli eventi indicati nel precedente comma 2, si verifichino in dipendenza di
sopravvenuto accordo tra le parti. In merito alla dizione “sopravvenuto accordo tra le parti” è sorta la questione se deve trattarsi di un accordo o
contratto scritto, ovvero se è sufficiente, ai fini della variazione in diminuzione, anche un accordo verbale.
Secondo la prassi di molti uffici tributari e anche secondo parte della dottrina, gli sconti praticati tramite accordi verbali non sembrano trovare alcuna
collocazione nell’ambito delle variazioni in diminuzione di cui al citato art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972. Tuttavia, in merito agli sconti praticati tramite
accordi verbali, si osserva che il termine contratto, secondo la definizione dell’art. 1322 del codice civile, può essere riferito anche ad un accordo verbale
tra le parti, secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione (sentenza del 21 agosto 2001, n. 11173). Ne deriva, agli effetti dell’Iva, che la prova di
tale accordo, ad avviso della Corte di Cassazione, può essere costituita dalle note di credito che il cedente o il prestatore dovrà emettere nei confronti del
cessionario o del committente. Quando la legge non prevede forme specifiche per la conclusione del contratto, la modifica che comporta una riduzione
del corrispettivo può essere anche frutto di un accordo orale e può essere provata con qualunque mezzo previsto in materia contrattuale.
Infatti, ai fini della variazione in diminuzione, non occorre necessariamente l’esistenza di un contratto scritto in data antecedente alle note di credito, in
quanto l’emissione delle note stesse presuppone un accordo verbale tra le parti, e la prova di tale accordo emerge, appunto, da tali note di credito.
Pertanto, in materia di Iva, ad avviso della Corte di Cassazione, sono legittime le detrazioni di imposta effettuate in relazione a note di credito per sconti
su vendite praticati in base ad accordo, anche successivo all’originario contratto e concluso verbalmente, della cui conclusione può essere fornita la prova
con qualunque mezzo previsto in materia contrattuale.
In merito agli sconti derivanti da consuetudini o usi commerciali, si osserva che in particolari settori lo sconto è talmente in uso da indurre gli operatori a
ritenere che lo stesso costituisca una clausola implicita nei contratti e negli accordi contrattuali. Un opposto orientamento è stato manifestato, invece,
dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 4310 dell’8 aprile 1992, nella quale è stato affermato che gli sconti o abbuoni per dare luogo alla variazione in
diminuzione dell’imposta devono essere previsti contrattualmente ed è, quindi, escluso che essi possano essere dedotti da consuetudini o usi
commerciali di qualsiasi genere. Il contenuto di quest’ultima sentenza della Corte di Cassazione va valutato alla luce della richiamata sentenza del 21
agosto 2001, n. 11173, la quale, affermando la piena validità dell’accordo verbale tra le parti, comprovato dalle note di credito, anche se successivo
all’originario contratto, offre comunque al contribuente una ulteriore possibilità di poter effettuare le variazioni in esame, e ciò indipendentemente dal
richiamo a consuetudini o usi commerciali per il riconoscimento degli sconti ed abbuoni praticati.
Inesattezze errori nella fattura
Nel caso in cui, per errore, la fattura viene emessa per operazioni inesistenti ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative
sono indicati in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura.
In tali fattispecie si è in presenza di un errore della fattura di carattere originario (RM 20 novembre 2001, n. 185), in quanto fin dalla sua emissione essa
non rappresenta correttamente la realtà effettiva (es. fattura intestata a un soggetto diverso da quello a cui è stata ceduta la merce). Va da sé, sulla base
di quanto detto, che nel caso in cui originariamente la fattura risultava corretta non si potrà procedere con la variazione in diminuzione.
Tali inesattezze della fatturazione, che determinano la riscossione, da parte dell’erario, di un’IVA superiore a quella realmente dovuta, possono essere
regolarizzate entro un anno effettuando una variazione in diminuzione.
Si precisa, inoltre, che se l’errore è volontario, effettuato con l’intento di frodare l’Erario, non è possibile parlare di inesattezze ma di falsità e in tal caso la
variazione non è ammessa (si veda Cass. 10 giugno 2005, n. 12353).
È opportuno segnalare che nel caso in cui il cedente/prestatore, soggetto passivo IVA, abbia emesso fattura indicando un’aliquota IVA maggiore a quella
dovuta, e che per la medesima fattura non abbia emesso la nota di variazione in diminuzione dell’Iva dovuta, entro il termine prescritto di un anno, può
comunque presentare l’istanza di rimborso della maggiore imposta indebitamente versata.
Al riguardo si evidenzia che con le sentenze 6 febbraio 2004, n. 2274, 19 febbraio 2004, n. 3306, 17 gennaio 2005, n. 813, e 22 aprile 2005, n. 8461 la
Sezione tributaria della Suprema Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sull’applicabilità, in ambito Iva, dell’istituto del rimborso anomalo di cui
all’art. 21 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (art. 16 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, nella formulazione ante riforma del processo tributario), in
alternativa allo strumento della nota di variazione di cui all’art. 26 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
Le suddette pronunce offrono lo spunto per analizzare, in ambito Iva, le possibili ipotesi per le quali è esperibile l’azione di rimborso anomalo e quali sono
i limiti entro i quali esercitare la predetta azione. In altri termini, il problema riguarda la possibilità, per il contribuente Iva che, erroneamente, abbia
versato un’imposta maggiore al dovuto, di chiederne la restituzione, mediante una domanda di rimborso proposta ai sensi del citato art. 21, comma 2,
del D.Lgs. n. 546/1992, il quale stabilisce che “... La domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due
anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”.
La questione ha suscitato un fervido dibattito in seno alla dottrina ed alla giurisprudenza a causa della mancanza nel sistema Iva di una norma che regoli
tutte quelle ipotesi di restituzione dell’imposta sul valore aggiunto non rientranti nelle tipologie e nei limiti temporali del predetto art. 26 del D.P.R. n. 633
del 1972.
Il contenzioso che ne è sorto ha visto numerosi e contrastanti pronunciamenti, sia di merito che di legittimità, che si sono recentemente attestati
sull’ammissibilità dell’utilizzo dello strumento del rimborso anomalo in alternativa all’emissione della nota di variazione prevista dalla disciplina Iva per le
ipotesi di versamenti erronei.
Tutto ciò considerato si rileva che per il recupero dell’eccedenza è, comunque, più agevole percorrere la strada della variazione in diminuzione recata
dall’ art. 26, c. 2, D.P.R. 633/1972. Solo in via residuale, cioè qualora ciò non fosse possibile (ad esempio, poiché trascorso un anno dall’operazione), è
opportuno avvalersi dell’istanza di rimborso.
Il termine per l’emissione delle “note di
accredito” per il “reso” del cliente
In prima battuta è bene precisare che la fattispecie della variazione in diminuzione di una fattura precedentemente emessa e registrata, perché i beni
ceduti sono stati, in tutto o in parte, restituiti al cedente, non è espressamente indicata tra quelle che il legislatore ha voluto elencare nel citato comma 2
dell’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972.
Tuttavia risulta evidente come il “reso” possa essere inquadrato nella figura giuridica della “risoluzione consensuale” o, comunque, nel diritto del
compratore di restituire beni non conformi al pattuito, avariati, eccedenti, eccetera.
Al riguardo risulta opportuno evidenziare come la “risoluzione” del contratto sia prevista espressamente nel comma 2 dell’art. 26 del Decreto IVA.
Non è infrequente anche l’ “errore materiale”, e cioè la spedizione o consegna di beni diversi da quelli che il cliente ha acquistato. Il punto centrale della
questione è comunque quello di stabilire se la nota di accredito (con variazione Iva), a valere sulla fattura oggetto della cessione precedentemente
effettuata, deve essere emessa entro il termine previsto per la fatturazione differita (vale a dire entro il giorno 15 del mese successivo a quello della
consegna o spedizione), oppure se la nota stessa possa essere emessa entro il termine più ampio previsto dal comma 3 dello stesso art. 26 (un anno dalla
data di effettuazione dell’operazione principale di cessione) o addirittura, quando ne ricorrano i presupposti, nel termine più ampio che le parti hanno
originariamente ed espressamente previsto per l’eventuale “reso”, e cioè anche dopo il decorso di un anno dalla data di effettuazione dell’operazione.
Secondo lo scrivente, come sostenuto in dottrina, in tali casi si deve escludere che - solo per il fatto che per i beni restituiti si possa o si debba utilizzare
un “documento di trasporto” – chi ha il diritto di emettere la nota di accredito e di variazione Iva debba emetterla entro il termine previsto nel comma 4
dell’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972, e cioè entro quello stabilito per la “fatturazione differita”. A queste conclusioni è facile pervenire non solo avendo
riguardo delle espresse norme tributarie, ma anche per ragioni di carattere commerciale e di rapporto contrattuale.
In questi casi, prima la abrogata “bolla”, e ora il “Ddt” hanno la sola funzione di documento di trasporto e di identificazione delle parti, e non assistono
un’operazione di “cessione” ma, casomai, un’operazione di “variazione” di una cessione precedente.
Ma la ragione più importante che porta ad escludere che i termini di emissione della nota di variazione per l’accredito del reso siano uguali a quelli
previsti per la fatturazione differita si desumono dalla circostanza, che la variazione è un diritto e non un obbligo di chi ha emesso a suo tempo la fattura
di vendita.
In realtà, poi, il legislatore non ha nemmeno previsto l’emissione di un vero e proprio “documento” (cioè una nota di variazione), anche se poi soprattutto per ragioni di carattere contabile e amministrativo – questo documento viene solitamente emesso per regolare l’operazione fra le parti.
Sarebbero infatti, sufficienti le sole registrazioni sui registri Iva da parte del cedente e del cessionario che ha provveduto alla restituzione.
Che non possa esistere una correlazione e interdipendenza tra l’effettuazione dell’operazione di “reso” e l’operazione precedente di cessione, per ciò che
riguarda i termini di emissione dei documenti e la registrazione degli stessi, si desume anche dalla lettura dei due dispositivi che riguardano,
rispettivamente, l’emissione della fattura (e la sua registrazione) e il termine entro il quale è possibile operare una variazione in diminuzione.
D’altra parte non si può tener conto, al di là di quanto prevede la stessa norma tributaria, delle ragioni di carattere commerciale, contrattuale e di
rapporto tra le parti. Anche il legislatore tributario ha voluto considerare - non vincolando il cedente al rispetto dei termini ravvicinati per la registrazione
delle variazioni derivanti da un “reso” - alcuni aspetti peculiari insiti in queste operazioni. Si deve infatti presumere che, a volte, il “reso” può assumere le
connotazioni di una iniziativa unilaterale e illegittima del cliente, e che il fornitore, in sostanza, può anche non essere d’accordo - indipendentemente
dalla sua facoltà di variare, o meno, l’imponibile e l’imposta della fattura alla quale il “reso” fa riferimento - e rifiutarsi di accettare di ritirare i beni
restituiti.
Scontrino fiscale
Concetti introduttivi
L’art. 12 della L. 30 dicembre 1991, n. 413, ha istituito, con decorrenza 1° gennaio 1993,
l’obbligo di certificare i corrispettivi derivanti da cessioni di beni o prestazioni di servizi
per le quali non è obbligatoria l’emissione della fattura, se non a richiesta del cliente,
mediante il rilascio, rispettivamente, dello scontrino fiscale o della ricevuta fiscale.
Inoltre, l’art. 1 del DPR 696/1996 ha previsto, dal 21.02.1997, la libertà di scelta, senza
preventiva opzione, tra l’emissione dello scontrino e l’emissione della ricevuta, con
l’osservanza delle relative discipline.
Attenzione:
-nel caso in cui venga emessa la fattura immediata, purché contemporaneamente alla
consegna del bene o all’ultimazione della prestazione, non occorre emettere lo
scontrino o la ricevuta (art. 3 comma 2 del DPR 696/1996). Se invece la fattura è
emessa successivamente, è necessario emettere anche lo scontrino o la ricevuta al
momento della consegna o dell’ultimazione (CM 4 aprile 1997 n. 97/E);
-l’art. 2 comma 1 lett. D) del DPR 696/1996 ha stabilito che dal 21.02.1997 non è più
obbligatoria l’emissione dello scontrino o della ricevuta fiscale in presenza di DDT o
documenti di consegna che permettano la fatturazione differita integrati dal
corrispettivo dell’operazione.
Soggetti non obbligati all’emissione
della fattura
In base a quanto previsto all’art. 22, comma 1, D.P.R. n. 633/1972, sono escluse dall’obbligo di
emettere fattura le operazioni effettuate da:
1) commercianti al minuto;
2) soggetti che effettuano le seguenti operazioni:
a. prestazioni alberghiere, somministrazioni di alimenti e bevande effettuate in pubblici esercizi
(bar, ristoranti), nelle mense aziendali o mediante apparecchi di distribuzione automatica;
b. prestazioni di trasporto di persone e di veicoli o bagagli al seguito;
c. prestazioni di servizi rese nell’esercizio di imprese in locali aperti al pubblico, in forma
ambulante o nell’abitazione dei clienti: l’esonero opera solo se i servizi sono resi nell’abitazione
del cliente non soggetto passivo d’imposta;
d. prestazioni di custodia e amministrazione di titoli rese da aziende di credito, da società
finanziarie e da società fiduciarie;
e. operazioni esenti indicate ai nn. da 1) a 5) e ai nn. 7), 8), 9), 16) e 22), art. 10, D.P.R. n.
633/1972 (si tratta di operazioni di credito e di assicurazione; operazioni su valute estere;
operazioni relative ad azioni, obbligazioni ed altri titoli; riscossione dei tributi; giochi di abilità e
simili, mandato, mediazione e intermediazione relative alle precedenti operazioni; locazioni
immobiliari; servizi postali; prestazioni di biblioteche, gallerie, pinacoteche, e simili).
Soggetti non obbligati all’emissione
della fattura
Commercio al minuto
Tale attività è esercitata da soggetti che effettuano cessioni di beni:
•in locali aperti al pubblico;
•in spacci interni, mediante l’uso di apparecchi di distribuzione automatica, per
corrispondenza, a domicilio o in forma ambulante (Risoluzioni AE 23/12/1994, n. 43 e
12/07/1996, n. 119).
Secondo la definizione fornita dall’Amministrazione finanziaria nella Risoluzione
12/07/1996, n. 119, si considera “locale aperto al pubblico” quello in cui: “il pubblico
possa liberamente accedere nelle ore di apertura stabilite dalle competenti autorità,
indipendentemente dalla natura dei beni ceduti e dalla qualità del soggetto cedente, e
nel quale abitualmente vengano eseguite le operazioni, in idonee strutture che
realizzano il concetto di locale, nel diretto ed immediato rapporto tra venditore
dettagliante ed acquirente consumatore”.
Scontrino fiscale
Misuratori fiscali
L’emissione dello scontrino fiscale avviene mediante l’uso di determinati apparecchi, c.d. misuratori fiscali.
Al riguardo si evidenzia che ogni attività commerciale in cui è imposto l’utilizzo del misuratore fiscale deve essere in possesso
dei seguenti documenti:
libretto di dotazione del registratore di cassa, composto da pagine progressiva-mente numerate in cui oltre ai dati
dell’azienda, vengono di volta in volta annotate sia le variazione di ragione sociale che le verifiche periodiche effettuate e
trascritte dal tecnico;
-
registro dei corrispettivi giornalieri in cui trascrivere dalla chiusura di fine serata l’incasso del giorno;
registro per mancato o irregolare funzionamento del misuratore fiscale, su cui annotare l’importo totale pagato da ogni
singolo cliente;
copia dei documenti relativi alla messa in servizio del misuratore fiscale e ricevuta di ritorno della copia spedita
all’Agenzia delle Entrate settorialmente competente.
Entro il giorno successivo alla messa in servizio dell’apparecchio misuratore fiscale, l’utente deve provvedere a dare
comunicazione al competente Ufficio Unico delle Entrate, mediante apposita dichiarazione ( D.M. 23 marzo 1983 art. 8 testo
modificato dal provv. 28/07/2003 ).
La dichiarazione è redatta in duplice copia dall’utente e contiene i dati identificativi:
-
ragione sociale, sede, partita IVA;
-
gli estremi che identificano il registratore di cassa (Produttore modello matricola);
i dati del centro di assistenza e del tecnico che ha effettuato la verificazione periodica. La spedizione della copia per
l’Agenzia delle Entrate deve essere fatta con raccomandata allegata a ricevuta di ritorno, entro le 24 ore successive
all’installazione.
Scontrino fiscale
Attenzione: Il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 28 luglio 2003 ha
stabilito che gli apparecchi misuratori fiscali (di cui all’articolo 12, comma 5, della legge 30
dicembre 1991, n. 413) vengano sottoposti a una verificazione periodica. Scopo di tale controllo è
quello di riscontare che la conformità del misuratore fiscale alle prescrizioni stabilite (attestata
originariamente dal costruttore, prima della vendita, tramite l’apposizione di apposito punzone
approvato dall’Agenzia delle entrate) rimanga inalterata nel corso dell’utilizzo
dell’apparecchiatura.
La richiesta di verificazione, con periodicità almeno annuale, deve avvenire su iniziativa e a spese
dell’utilizzatore del misuratore fiscale.
I soggetti che possono svolgere attività di verificazione sono:
-i laboratori abilitati - Sono soggetti che svolgono la loro attività in maniera autonoma e sono
abilitati alle verificazioni periodiche dei misuratori fiscali da qualsiasi azienda prodotti;
-i fabbricanti (abilitati) – Sono soggetti che fabbricano le apparecchiature approvate con
provvedimento, e che possono svolgere anche attività di verificazione periodica sulle
apparecchiature da essi stessi prodotti;
-i laboratori dei fabbricanti – Sono quelli inseriti nella struttura organizzativa del fabbricante che
agiscono in sedi decentrate. Possono svolgere attività di verificazione periodica solo se
espressamente menzionati nel provvedimento di abilitazione del fabbricante stesso.
Contenuto dello scontrino fiscale
Lo scontrino fiscale deve contenere:
-l’indicazione della ditta, denominazione o ragione sociale, ovvero nome e cognome dell’esercente;
-numero di partita Iva dell’esercente e ubicazione del punto vendita;
-dati contabili (corrispettivi, eventuali subtotali, eventuali rimborsi, totale dovuto, eccetera);
-data, ora di emissione, numero progressivo, logotipo fiscale e numero di matricola del registratore.
Esempio scontrino fiscale
Dati della ditta con denominazione o ragione sociale, ossia nome e cognome del titolare e numero di partita
Iva dell'esercente
Contenuto dello scontrino fiscale
Devono poi esserci: data, ora di emissione e numero progressivo dello scontrino
Logotipo fiscale e numero di matricola del registratore
Importo del corrispettivo pagato
Casi particolari
Scontrino parlante (art. 3, commi 1 e 3, del D.P.R. n. 696 del 21 dicembre 1996)
si tratta di uno scontrino "integrato" con la "natura, qualità e quantità" dei be-ni venduti e del codice fiscale del cliente.
È documento idoneo ad accertare la spesa dell'acquirente ai fini delle imposte dirette;
-
sono illegittime integrazioni manuali o con timbri da chiunque apposte;
-
la "qualità" delle operazioni può essere indicata in modo abbreviato, purché comprensibile;
il "codice fiscale" del cliente (soggetto Iva) può essere stampato in qualsiasi parte dello scontrino preceduto dalle
lettere "C.F." prima della collocazione del logotipo fiscale e con evidenziazione grafica diversa rispetto alle altre indicazioni.
Contenuto dello "scontrino" per ambulanti
sullo scontrino fiscale rilasciato dagli ambulanti, che non operano nel settore della somministrazione di alimenti e
bevande, non è più necessario riportare quanto è previsto dall'art. 17, comma 2, del D.M. 30 marzo 1992, e cioè il numero di
iscrizione al REC e la città sede della relativa Camera di commercio in luogo dell'ubicazione dell'esercizio.
Vendita al dettaglio e all'ingrosso congiuntamente
nel caso di esercizio congiunto di commercio al dettaglio e all'ingrosso nello stesso punto di vendita lo scontrino va
emesso solo per le vendite al dettaglio (per le vendite all'ingrosso deve essere emessa la normale fattura o uno scontrino
"integrato", come sopra indicato).
Prestazioni senza pagamento del corrispettivo
lo scontrino deve essere rilasciato con la dicitura "corrispettivo non riscosso" e, all'atto del successivo pagamento,
dovrà essere rilasciato un altro scontrino.
Casi particolari
Lo scontrino e le vendite con riserva di pagamento o in prova
il documento di certificazione fiscale va rilasciato al momento del perfezionamento della vendita. In questi casi, è però,
opportuno che la merce in prova venga accompagnata da un documento di trasporto che certifichi la condizione di "vendita
sospesa" o "condizione".
Lo scontrino e i rimborsi a piè di lista
lo scontrino è idoneo a documentare le spese sostenute dai dipendenti alla condizione che sullo stesso siano stampati,
oltre al codice fiscale del dipendente e del committente, anche i dati relativi alla natura, quantità e qualità dell'operazione.
Esonero per gli agricoltori in "regime speciale"
-
lo scontrino fiscale può essere omesso per le vendite degli agricoltori che usufruiscono del "regime speciale".
Vendite con consegna a domicilio
-
lo scontrino deve accompagnare il trasporto dei beni al domicilio dell'acquirente.
Lo scontrino e i pagamenti a rate
lo scontrino deve essere emesso all'atto della consegna dei beni per l'intero corrispettivo e, per i pagamenti rateali,
non si emetterà alcuno scontrino (ma, ovviamente, si terrà conto dei versamenti in contabilità).
Emissione
Cessione di beni: entro il primo dei seguenti eventi
-consegna o spedizione dei beni;
-pagamento totale o parziale.
Prestazioni di servizi: entro il primo dei seguenti eventi
-ultimazione della prestazione;
-pagamento totale o parziale.
Per le prestazioni non pagate è possibile emettere uno scontrino recante
la dicitura “corrispettivo non riscosso”. In tal modo il corrispettivo non
concorrerà alla formazione dell’importo a debito di IVA ma, quando verrà
pagata la prestazione, dovrà essere emesso un nuovo scontrino.
Tale facoltà deriva dal fatto che l’art. 6 del DPR n. 633/72 individua, per
le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi, due diversi momenti
impositivi.
Chiusura giornaliera
Al termine della giornata lavorativa, l’utente provvede a stampare, con
apposito comando, lo scontrino di chiusura giornaliera. Le imprese che
esercitano la loro attività su più turni per l’intero arco della giornata (ad
esempio “autogrill”), eseguono la stampa dello scontrino di chiusura
giornaliera al termine del turno che si conclude prima della mezzanotte
(CM 10 giugno 1983 n. 60).
Attenzione: Per gli esercizi che protraggono la loro attività oltre le ore 24
(ad esempio bar, ecc.) non è prevista una specifica disciplina e pertanto
lo scontrino di chiusura giornaliera dovrebbe essere stampato entro le
ore 24 di ciascun giorno. Tuttavia, per gli esercenti le attività di
intrattenimento e spettacolo che si protraggono oltre le ore 24 (ad
esempio discoteche, ecc.) obbligati al rilascio di un “titolo di accesso”, lo
scontrino di chiusura giornaliera deve essere emesso al termine di
effettivo svolgimento dell’attività, con riferimento alla data di inizio
dell’evento.
Correzione di errori
Gli scontrini che riportano dati errati e non ancora rilasciati possono
essere annullati apponendo sugli stessi un’annotazione che indichi anche
la causale. Lo scontrino errato deve essere poi allegato allo scontrino di
chiusura giornaliera.
Qualora lo scontrino errato sia stato già rilasciato non può più essere
annullato, ma degli errori si può tenere conto nelle annotazioni dei
corrispettivi negli appositi registri sempreché vi siano giustificati motivi.
Nel caso di fatturazione differita cioè quando il soggetto emette all’atto
della consegna o spedizione la bolla di accompagnamento e solo
successivamente emette la relativa fattura, l’importo delle vendite deve
essere sottratto dai corrispettivi della giornata con apposita annotazione
sul giornale di fondo e sullo scontrino di chiusura giornaliera (se è
emesso lo scontrino). La fattura deve contenere numero e data della
bolla, data dello scontrino, matricola del registratore di cassa.
Errori in caso di errata impostazione
dei dati nel misuratore fiscale
Il contribuente può procedere con le seguenti modalità:
Operazione
Descrizione
Annullamento da tastiera
Se l’importo non è stato ancora stampato sullo scontrino l’operazione è effettuata
utilizzando l’apposito tasto (come si fa in una qualunque calcolatrice)
Annullamento mediante digitazione di
uguale importo con segno negativo
Ciò in caso di importo battuto sullo scontrino non ancora stampato con il totale.
L’apparecchio si blocca se per errore o volutamente si tenta di impostare un importo
negativo superiore a quello errato.
Rilascio di un nuovo scontrino
Se lo scontrino è stato già chiuso con la stampa del totale ma non ancora consegnato
al cliente, è possibile rilasciare un nuovo scontrino con l’importo corretto e
conservare quello errato, debitamente annullato, allegandolo allo scontrino di
chiusura giornaliera.
Sconti concessi dopo l’emissione dello
scontrino
Gli sconti concessi sui corrispettivi dopo l’emissione dello scontrino possono essere
dedotti dall’ammontare lordo del corrispettivo mediante annotazione anche manuale
con l’indicazione della relativa causale, anche in codice, sullo scontrino fiscale e sul
giornale di fondo (CM n. 60 del 10 giugno 1983)
Mancato funzionamento del
misuratore fiscale
È previsto l’utilizzo di apposito registro c.d.
“registro di emergenza” in cui andranno annotati
i singoli corrispettivi.
Il registro non è obbligatorio se è possibile
emettere ricevute fiscali.
Annotazione dei corrispettivi
L’annotazione del corrispettivo giornaliero entro il giorno non festivo
successivo (art. 24 comma 1 DPR n. 633/72) è stata implicitamente
abrogata dal comma 4 dell’art. 6 del DPR n. 695/96.
Le operazione per cui è rilasciato lo scontrino possono essere annotate
nel registro corrispettivi entro il giorno 15 del mese successivo.
A norma dell’art. 15 del DPR n. 435/2001, non è più obbligatoria
l’allegazione dello scontrino di chiusura giornaliero.
Visto che il comma 4 dell’art. 6 del DPR n. 695/96 non prevede che i
corrispettivi registrati entro il 15 del mese successivo partecipino alla
liquidazione del mese di effettuazione delle operazioni, ne consegue che
il relativo ammontare andrebbe conteggiato nella liquidazione del mese
o trimestre di registrazione.
Si tenga presente che nella norma di legge è prevista la possibilità di
un’unica registrazione dei corrispettivi mensili,solo per le operazioni
documentate da scontrino e non per quelle documentate da ricevuta.
Rimborso integrale del prezzo di
vendita
Se l'operazione originaria è stata documentata da scontrino fiscale non è possibile ricorrere alla
procedura di variazione di cui all'art. 26 del DPR 633/72. I dati contenuti nella fattura e nella nota
di variazione non sono, infatti, presenti nello scontrino fiscale che, per sua natura, è destinato a
documentare tutte quelle operazioni compiute da soggetti che svolgono attività di commercio al
minuto e assimilate, ovvero di quei soggetti che operano in locali aperti al pubblico e che
prestano servizi al pubblico con carattere di uniformità, frequenza e di importo limitato, tali da
rendere onerosa l'emissione della fattura (R.M. 8.8.2000 n. 130/E; C.M. 77/E/2000; R.M. 24.10.90
n. 571646).
Qualora l'acquisto originario sia stato documentato mediante l'emissione di scontrino fiscale, se il
cliente esige il rimborso del prezzo pagato, la società venditrice resta incisa dall'IVA assolta sul
bene restituito. Peraltro, se quest'ultimo viene reinserito nel circuito di vendita, al momento della
cessione lo stesso viene nuovamente assoggettato ad imposta.
In caso di restituzione della merce venduta per corrispondenza, non è quindi possibile avvalersi
della procedura di variazione in diminuzione di cui all'art. 26 co. 2 del DPR 633/72, in quanto le
vendite non sono documentate da fattura (ris. Agenzia delle Entrate 5.11.2009 n. 274/E).
Ancorché, tuttavia, si tratti di operazioni per le quali il venditore è esonerato non solo dall'obbligo
di emissione della fattura (ex art. 22 co. 1 del DPR 633/72), ma anche da quello del rilascio dello
scontrino o della ricevuta fiscale (ex art. 2 lett. oo del DPR 696/96), è possibile recuperare
l'imposta versata purché si adotti una procedura documentale idonea a collegare la vendita con il
successivo reso e a verificare la movimentazione della merce restituita.
Procedura di rettifica
La ris. Agenzia delle Entrate 5.12.2003 n. 219/E
ha chiarito la procedura da applicare per il
recupero dell'IVA assolta sulle vendite venute
meno a seguito del recesso del cliente e per la
restituzione totale del relativo prezzo di vendita,
nel caso in cui le vendite stesse siano
documentate mediante lo scontrino fiscale.
Restituzione del prezzo
La procedura di rettifica, da esplicarsi all'atto del ritiro del bene e dello scontrino fi-scale, è la
seguente:
• apertura di una "pratica di reso" numerata, contenente tutti i dati e i documenti relativi
all'originaria operazione e alla sua avvenuta risoluzione;
• presa in carico del bene restituito nella contabilità di magazzino, con indicazione della
causale e del numero identificativo della pratica di reso;
• emissione di scontrino fiscale "negativo", con indicazione sia della causale "rimborso per
restituzione vendita", sia del numero identificativo della pratica di reso;
• registrazione dello scontrino fiscale "negativo" nel registro dei corrispettivi (di cui all'art. 24
del DPR 633/72), in diminuzione dei corrispettivi del giorno soggetti alla stessa aliquota del bene
restituito;
• restituzione al cliente del prezzo pagato, oppure - in caso di cambio merce - consegna di un
"buono acquisto", con sottoscrizione, in entrambi i casi, di una ricevuta da parte del cliente;
• conservazione della pratica di reso fino alla scadenza dei termini per l'accertamento.
Consegna di un "buono acquisto"
Nell'ipotesi di consegna di un "buono acquisto",
invece, al momento dell'acquisto del bene sostitutivo,
la società provvede a:
•ritirare il "buono acquisto" alla cassa come forma di
pagamento del prezzo per conservarlo agli atti;
•emettere un normale scontrino di vendita per
documentare l'acquisto sostitutivo, nel quale
registrare il prezzo pieno di vendita, con conseguente
integrale assoggettamento a IVA della nuova
operazione con l'aliquota sua propria.
Condizioni
È valida la procedura di rettifica basata sull'emissione di uno scontrino fiscale compilato solo alla voce
"rimborsi per restituzione merce venduta" e, quindi, con un "totale dovuto" di segno negativo, da annotare
nel registro dei corrispettivi in diminuzione dell'imposta dovuta sugli incassi del giorno, a condizione che:
•
sullo scontrino sia indicato il numero identificativo della "pratica di reso";
•
dell'operazione di rettifica resti traccia anche nello scontrino di chiusura giornaliero, relativo al giorno in
cui è operato il rimborso, in modo da consentire il controllo da parte dell'Amministrazione finanziaria;
•
il prezzo di acquisto venga rimborsato integralmente.
La procedura in esame, applicabile nel caso in cui il cliente esiga, al momento della restituzione del bene, il
rimborso del prezzo in denaro, offre idonee garanzie in merito alla certezza dell'operazione di reso, in quanto
è dato individuare tutti quegli e-lementi che servono a correlare la restituzione del bene ai documenti
probanti l'acquisto originario, quali:
•
le generalità del soggetto acquirente;
•
l'ammontare del prezzo rimborsato, distinto in imponibile ed imposta
•
i dati di riferimento del documento certificativo dell'operazione originaria;
•
il numero di identificazione attribuito alla pratica di reso che deve essere ri-portato su ogni documento
emesso per certificare il rimborso.
Tabella di sintesi
DOCUMENTO
PROCEDURA
PER IL RESO
PROCEDURA DI VARIAZIONE
MOMENTO RILEVANTE
PER IL RECUPERO
DELL'IVA
Fattura
Nota di
credito ex art.
26 co. 2 del
DPR 633/72
Registrazione della nota di credito nel registro IVA
acquisti
Emissione della nota di
credito
Scontrino
Acquisto di un
altro bene di
uguale o
maggior
valore
Sottrazione del prezzo del bene sostituito dal nuovo
acquisto
Acquisto del nuovo
bene
Scontrino
Buono sconto
Sottrazione del prezzo del bene sostituito dal nuovo
acquisto
Acquisto del nuovo
bene
Scontrino
Buono sconto
Emissione di due scontrino, di cui uno "negativo" (pari
al valore del buono sconto) e l'altro relativo alla nuova
cessione
Acquisto del nuovo
bene
Scontrino
Rimborso del
prezzo
Scontrino negativo
Rimborso del prezzo
Omaggi
Per quanto attiene alla cessione in omaggio di beni il
cui commercio sia oggetto dell’attività dell’impresa va
emesso lo scontrino fiscale. Tale obbligo non sussiste
per le cessioni in omaggio di beni di costo unitario fino
ad Euro 25,82 che non siano oggetto dell’attività
propria dell’impresa e di quelli per i quali l’IVA
sull’acquisto sia indetraibile a norma dell’art. 19 del
DPR n. 633/1972 anche per effetto dell’opzione ex art.
36-bis del medesimo DPR.
Scontrino fiscale manuale e
prestampato
È previsto per i soggetti che esercitano il
commercio su aree pubbliche in forma
itinerante. I prodotti commercializzati non
devono appartenere a più di tre tabelle
merceologiche (ora peraltro abrogate) e il
numero di operazioni effettuate nell’anno
solare precedente non sia superiore a 4.000.
Naturalmente vale anche per quest’ultimo la
libertà di opzione per la ricevuta fiscale.
Biglietto di trasporto
Per le prestazioni di trasporto pubblico collettivo di persone (anche con bagagli o veicoli
al seguito) il biglietto di trasporto sostituisce lo scontrino fiscale. Il biglietto deve
contenere:
-ditta, denominazione o ragione sociale (se impresa, società o ente) o nome e cognome
(se persona fisica) ovvero il “marchio” dell’impresa e il numero di partita IVA; nei
trasporti cumulativi, che danno luogo ad un unico biglietto integrato, i dati possono
essere riferiti all’emittente o a una sola delle imprese;
-descrizione del trasporto e indicazione del corrispettivo (anche in codice alfanumerico
preventivamente comunicato al competente Ufficio delle entrate ovvero con legenda
stampata sul titolo);
-numero progressivo;
-data, da apporre al momento della emissione del documento o della sua utilizzazione.
Il biglietto di trasporto può essere costituito da un supporto con banda magnetica o
microprocessore, anche programmabile (D.M. 30.6.1992).
Conservazione degli scontrini fiscali
Lo scontrino di chiusura giornaliera ed il registro dei
corrispettivi di emergenza devono essere conservati
per i termini ordinari previsti per le scritture contabili
(per un periodo minimo di 4 anni a decorrere dal 31
dicembre dell’anno in cui è stata presentata la
dichiarazione annuale cui si riferiscono le
registrazioni).
Ai fini civilistici, il termine per la conservazione delle
scritture per le imprese commerciali è di 10 anni dalla
data dell’ultima registrazione.
Ricevuta fiscale
Modello e contenuto
La ricevuta fiscale va emessa in duplice esemplare utilizzando modelli sostanzialmente conformi a
quello approvato con DM 30.03.1992.
La ricevuta fiscale deve contenere i seguenti dati obbligatori:
numerazione progressiva prestampata per anno solare;
data di emissione;
dati identificativi dell’emittente (cognome e nome, se si tratta di persona fisica, ditta,
denominazione o ragione sociale, se impresa individuale, società di capitali o società di persone;
numero di partita IVA e luogo in cui viene esercitata l’attività e sono conservati i documenti);
dati relativi ai beni ceduti e ai servizi prestati (natura, qualità e quantità);
corrispettivo dovuto comprensivo dell’IVA. L’indicazione del corrispettivo può essere
omessa:
o sull’originale consegnato quando il committente lo richiede al fine di non farne conoscere
l’ammontare al soggetto al quale è materialmente consegnato (circ. 13.6.1980, n. 25);
o quando tra il committente e il prestatore esiste una convenzione relativamente alla
prestazione e al corrispettivo (in tal caso la ricevuta riporta il nome delle parti e gli estremi della
convenzione).
Stampati fiscali
Gli stampati possono essere acquistati da tipografie o rivenditori
autorizzati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.
La richiesta deve essere fatta per iscritto e corredata da documenti
identificativi del soggetto utilizzatore.
Non è più obbligatorio per l’utilizzatore la tenuta di una registro di carico
degli stampati (art. 6 comma 2 lett. a) del DPR 404/2001).
È obbligatoria per i rivenditori e le tipografie la trasmissione telematica
annuale delle forniture effettuate nonché, fino al momento della
comunicazione annuale, l’annotazione in apposito registro dei dati delle
forniture effettuate. (art. 3 comma 1 DPR 404/2001 come modificato
dall’art. 4 DPR 126/2003).
Emissione
La ricevuta fiscale non può essere trasmessa in via elettronica tramite sistemi informatici (circ.
17.5.2000, n. 98/E).
La ricevuta fiscale, di norma, viene emessa in duplice copia al momento della consegna del bene
o dell’ultimazione della prestazione.
Se il momento dell’ultimazione e quello del saldo non coincidono, andranno emesse le seguenti
ricevute nei seguenti casi:
-ricevuta con “corrispettivo non riscosso”: nel caso di prestazione ultimata e non pagata;
-ricevuta con “corrispettivo non determinato”: nel caso di prestazione ultimata ma non
determinata nel quantum;
-ricevuta per l’acconto: in caso di prestazione non ultimata e riscossione di parte del
corrispettivo;
-ricevuta completa con acconto: in caso di prestazione ultimata e riscossione di parte del
corrispettivo.
Al momento del saldo andrà emessa una nuova ricevuta con riferimento alla o alle precedenti.
In caso di noleggio di beni mobili la ricevuta va emessa all’atto della consegna del bene.
Registro dei corrispettivi
I commercianti al minuto e gli altri soggetti assimilati possono annotare le operazioni
effettuate e documentate con uno scontrino, ricevuta o fattura (se richiesta dal cliente)
in un apposito registro dei corrispettivi indicando:data (giorno di effettuazione delle
operazioni);gli importi imponibili, divisi per aliquota;importi non imponibili;gli importi
esenti. I corrispettivi devono essere annotati entro il giorno successivo non festivo a
quello in cui l’operazione è stata effettuata, con riferimento al giorno in cui le
operazioni sono state effettuate. Per le vendite a credito, i corrispettivi devono essere
annotati entro il giorno successivo alla consegna dei beni e non all’atto della
riscossione. Se non è tenuto anche il registro delle fatture, i corrispettivi delle
operazioni per le quali è o sarà emessa fattura debbono essere annotati negli stessi
termini di cui sopra. Inoltre, il comma 4, dell’art. 6, del DPR 9 dicembre 1996, n. 695, ha
previsto, allo scopo di semplificare gli obblighi in capo ai contribuenti, che le operazioni
per le quali è rilasciato lo scontrino fiscale o la ricevuta fiscale, effettuate in ciascun
mese solare, possono essere annotate, anche con unica registrazione, nel registro
previsto dei corrispettivi, entro il giorno 15 del mese successivo.
Focus: ventilazione dei
corrispettivi
Esistono alcune categorie di contribuenti che calcolano l’IVA da
versare all’erario attraverso un procedimento particolare che
prende il nome di ventilazione dei corrispettivi. I soggetti che
possono adottare tale metodologia sono:
i soggetti che esercitano il commercio al minuto dei seguenti
articoli:
- prodotti alimentari e dietetici;
- articoli tessili, vestiario e calzature;
- prodotti farmaceutici e per l’igiene della persona.
Si precisa al riguardo che nel caso di commercianti al minuto che,
oltre al commercio dei prodotti sopra detti, trattino anche altri
prodotti, la ventilazione può essere applicata se l’ammontare degli
acquisti e delle importazioni relative a prodotti diversi non supera il
50% del totale degli acquisti.
Esempio
Si pensi ad un commerciante che vende sia prodotti per
l’igiene della persona (ammessi alla ventilazione) che prodotti
per l’igiene della casa.
Il totale degli acquisti effettuati nel corso dell’anno ammonta a
700.000 euro. Di questi 380.000 sono acquisti per l’igiene della
persona. Quindi, poiché gli acquisti di prodotti ammessi alla
ventilazione supera il 50% del totale degli acquisti, essa è
applicabile.
Inoltre, affinché la ventilazione possa essere utilizzata dal
commerciante al minuto è necessario che le vendite con
emissione di fattura non superino il 20% dei corrispettivi totali.
Dal calcolo sono escluse le fatture emesse relative alla vendita
di beni strumentali e di immobili.
Sanzioni per scontrino fiscale e
ricevuta fiscale
Nell’ambito della disciplina sanzionatoria delle
violazioni tributarie, definita dal d.lgs. n. 471 del 18
dicembre 1997, le norme riguardanti la mancata
emissione della ricevuta e dello scontrino fiscale
sono collocate all’interno dell’art. 6 e dell’art. 12 di
detto decreto. I due articoli si occupano,
rispettivamente, delle violazioni degli obblighi
relativi alla documentazione, registrazione ed
individuazione delle operazioni soggette all’IVA e
delle sanzioni accessorie in materia di imposte
dirette ed IVA.
Sanzioni per scontrino fiscale e
ricevuta fiscale
Sanzioni pecuniarie
A norma del comma terzo del citato art. 6, quando le violazioni inerenti alla documentazione delle operazioni soggette ad Iva
consistono nella mancata emissione di ricevute o scontrini fiscali, ovvero nell'emissione di tali documenti per importi inferiori
a quelli reali, la sanzione è pari al cento per cento dell'imposta corrispondente all'importo non documentato. Ai sensi del
successivo comma 4, la sanzione non può essere applicata in misura inferiore a 516 euro per singola infrazione. A tale
riguardo l’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 23/E del 25 gennaio 1999, ha evidenziato che la previsione di un importo
minimo per ogni singola violazione commessa non può più comportare, come in passato, la quantificazione delle sanzioni in
misura abnorme, soccorrendo in proposito, in caso di più violazioni, i ben più incisivi istituti del concorso o della progressione,
previsti dall'art. 12 del d.lgs. n. 472/1997.
Attenzione: In particolare, il comma 2 del citato art. 12 dispone che è punito con la sanzione che dovrebbe infliggersi per la
violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio, chi, anche in tempi diversi, commette più violazioni che, nella loro
progressione, pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione dell'imponibile ovvero la liquidazione anche
periodica del tributo. Orbene, la norma appena citata può trovare applicazione nei casi di ripetute mancate emissioni di
ricevuta o scontrino fiscale e/o mancate registrazioni commesse dallo stesso soggetto, sia quando a tali violazioni non faccia
seguito l'infedele dichiarazione (ipotesi di progressione che tende a pregiudicare la determinazione dell'imponibile) sia
quando alla mancata emissione e/o registrazione dei documenti segua l'infedele dichiarazione (progressione che pregiudica
la determinazione dell'imponibile). Tutto ciò, purché la progressione non sia interrotta dalla constatazione della violazione,
secondo quanto stabilito dal comma 6 dell'art. 12 medesimo.
Si rileva, infine, che non è più prevista, a differenza del passato (cfr. ad es. art. 2 della l. n. 18 del 26 gennaio 1983), alcuna
sanzione nei confronti del cliente a cui non venga rilasciata o consegnata la ricevuta o lo scontrino fiscale. Tale
comportamento, pertanto, non può più essere punito, anche se, naturalmente, permane il diritto del cliente di pretendere
che il documento gli sia rilasciato.
Sanzioni per scontrino fiscale e
ricevuta fiscale
Sanzioni accessorie
La disciplina delle sanzioni accessorie in materia di scontrino e ricevuta fiscale è contenuta nell'art. 12, comma 2 e ss. del d.lgs. 18 dicembre 1997,
n. 471, entrato in vigore a partire dal 1° aprile 1998. Tuttavia, la materia è stata oggetto di significative modifiche nel corso del 2006, con il
collegato fiscale alla Finanziaria 2007 e a seguito della legge Finanziaria 2008. Si ripercorrono quindi il percorso di tali modifiche per giungere al
quadro normativo attualmente in vigore.
Le modifiche del decreto legge n. 262/2006
Il collegato alla Finanziaria 2007, ovverosia il d.l. n. 262 del 3 ottobre 2006, come anticipato, ha introdotto alcune modifiche alla disciplina delle
sanzioni accessorie a quelle pecuniarie in caso di violazione degli obblighi di emissione dello scontrino e della ricevuta fiscale. In particolare, la
norma di riferimento, ovverosia l’art. 12 del d.lgs. n. 471/1997 è stata riformulata dall’art. 1, commi da 8 a 8-ter del predetto d.l. n. 262/2006,
convertito dalla l. n. 286 del 24 novembre 2006.
Prima delle modifiche in commento, la suddetta norma prevedeva la sospensione della licenza o dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività
ovvero dell'esercizio dell'attività medesima per un periodo da quindici giorni a due mesi qualora fossero state definitivamente accertate, in tempi
diversi, tre distinte violazioni dell'obbligo di emettere lo scontrino o la ricevuta fiscale commesse in giorni diversi nel corso di un quinquennio. Le
modifiche introdotte, con decorrenza dal 29 novembre 2006 (data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in rassegna), hanno
riguardato sia le modalità di applicazione ed esecuzione della sanzione, sia il trattamento sanzionatorio.
Presupposti per l’applicazione della sanzione
Rispetto al regime previgente, ai fini dell'applicazione della sanzione accessoria, le modifiche del d.l. n. 262/2006 prevedevano che fosse
sufficiente la constatazione nel corso di un quinquennio, di tre distinte violazioni dell'obbligo di emettere la ricevuta fiscale o lo scontrino fiscale,
essendo stato eliminato il presupposto del definitivo accertamento delle stesse. Ciò comporta che l'applicazione della sanzione accessoria diviene
indipendente dal decorso dei termini per l'impugnazione dell'atto di contestazione o del provvedimento di irrogazione, così come diviene
irrilevante il passaggio in giudicato della pronuncia giurisdizionale in caso di impugnazione (momenti ai quali si ricollega la definitività
dell'accertamento).
Inoltre, la disposizione del d.l. n. 262/2006 non richiedeva che le tre distinte violazioni fossero “accertate in tempi diversi”. In sostanza, l'autorità
competente poteva disporre la sospensione della licenza o dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività ovvero la sospensione dell'esercizio
dell'attività medesima anche nel caso in cui le tre violazioni fossero contestate unitariamente (ad es. nello stesso verbale).
Sanzioni per scontrino fiscale e
ricevuta fiscale
Trattamento sanzionatorio
Riguardo al trattamento sanzionatorio in sé, che non è stato modificato dalla legge Finanziaria 2008, il d.l. n. 262/2006 ha stabilito che la sanzione
accessoria venga disposta per un periodo compreso tra tre giorni ed un mese, mentre in passato poteva essere disposta per un periodo superiore,
compreso tra quindici giorni e due mesi. Anche l'ipotesi "aggravata" della fattispecie in esame, che prevedeva un innalzamento della misura della
sospensione per un periodo da due a sei mesi quando i corrispettivi non documentati nel corso del quinquennio eccedessero la somma di
103.291,37 euro, è stata modificata. Da un lato è stata ridotta a 50.000 euro la soglia a partire dalla quale la misura “aggravata” trova applicazione
(in precedenza 200milioni di lire), dall'altro la sospensione può essere disposta per un periodo inferiore, compreso tra un mese e sei mesi .
Le ulteriori modifiche della Finanziaria 2008
L’art. 1, comma 269 della l. n. 244 del 24 dicembre 2007 (Finanziaria 2008), in vigore dal 1° gennaio 2008, è nuovamente intervenuto sul sistema
sanzionatorio riguardante le violazioni in esame modificando alcuni presupposti per l’applicazione delle sanzioni accessorie. Più precisamente, è
stato portato a quattro il numero delle violazioni dell’obbligo di emettere la ricevuta o scontrino fiscale per fare scattare tali sanzioni ed è stato
previsto che la constatazione di dette violazioni debba avvenire in giorni diversi.
In sostanza, quindi, la normativa attualmente in vigore dal 1° gennaio 2008, fatto salvo il principio del “favor rei”, prevede che, qualora siano state
constatate nei confronti di un contribuente, nel corso di un quinquennio, quattro distinte violazioni dell’obbligo di emettere la ricevuta o lo
scontrino fiscale compiute in giorni diversi, è disposta la sospensione della licenza o dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività, ovvero
dell’esercizio dell’attività (in caso di attività non soggetta a licenze o autorizzazioni) per un periodo da tre giorni ad un mese.
Aspetti procedurali
Con riferimento agli aspetti procedurali, modificati esclusivamente dal d.l. n. 262/2006, da una parte è venuto meno il presupposto del definitivo
accertamento delle violazioni, dall’altra è stato espressamente previsto che il provvedimento di sospensione sia immediatamente esecutivo, in
deroga a quanto prevede l'art. 19, comma 7 del d.lgs. n. 472/1997, il quale dispone che le sanzioni accessorie sono eseguite dopo che il
provvedimento di irrogazione è divenuto definitivo.
Ai sensi del nuovo art. 12, comma 2-bis del d.lgs. n. 471/1997, competente a disporre il provvedimento di sospensione - da notificare a pena di
decadenza entro sei mesi decorrenti dalla contestazione della terza violazione - è la direzione regionale dell'Agenzia delle Entrate competente per
territorio in relazione al domicilio fiscale del contribuente. Il compito di dare esecuzione e verificare l'effettivo adempimento dei provvedimenti di
sospensione di cui all'art. 12, comma 2, è affidato all'Agenzia medesima ovvero alla Guardia di finanza.
A tale fine, l'esecuzione del provvedimento di sospensione è assicurata mediante applicazione del sigillo dell'organo procedente e con le
sottoscrizioni del personale incaricato ovvero con altro mezzo idoneo a indicare il vincolo imposto a fini fiscali.
Le modalità di apposizione del sigillo devono essere tali da consentire la riconoscibilità del provvedimento di sospensione della licenza o
dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività.
Importazioni
Concetti introduttivi
L’effettuazione di operazioni di importazione di beni
costituisce autonomo presupposto di applicazione
dell’IVA. Non è rilevante che l’operazione sia
effettuata nell’esercizio di imprese, arti o professioni;
l’importazione,
da
chiunque
effettuata,
è
un’operazione rilevante ai fini IVA (artt. 1 e 67, D.P.R.
n. 633/1972).
L’IVA assolta in dogana da soggetti passivi IVA potrà
essere portata in detrazione secondo le regole
ordinarie (artt. 19 e ss. D.P.R. n. 633/1972), mentre i
soggetti privati ne restano definitivamente incisi.
Concetti introduttivi
Con il termine «importazioni» si individua l’introduzione in
Italia di beni e/o di merci che originano da Paesi extra-Ue che
non devono risultare già stati immessi in libera pratica in altro
Paese membro della Ue oppure che provengono dai territori
considerati esclusi dalla Ue in relazione all’art. 7 del decreto
Iva.
Attenzione: dal 1° gennaio 2011 le
importate nella U.E. devono essere
dichiarazione sommaria di entrata
applicazione delle misure di sicurezza
19/D).
merci che vengono
precedute da una
(ENS) prevista in
(circ. 30.12.2010, n.
Importazioni
Importazioni
-Le operazioni di immissione in libera pratica. Riguarda i beni non comunitari introdotti in Italia per i quali siano state assolte
tutte le formalità doganali, nonché pagati i relativi dazi. Queste operazioni costituiscono i presupposti necessari per la regolare
immissione al consumo in Italia dei beni. La riscossione dell’IVA può essere tuttavia sospesa qualora si tratti di beni destinati a
proseguire verso altro Stato membro della Comunità europea ovvero laddove siano destinati all’immissione in un deposito IVA
(art. 50-bis, D.P.R. n. 633/1972);
-le operazioni di immissione in consumo di beni provenienti dal Monte Athos, dalle isole Canarie e dai Dipartimenti francesi
d’oltremare;
-le operazioni di perfezionamento attivo come definite dal Codice doganale comunitario. Secondo la disciplina del Codice
doganale comunitario (art. 115), le operazioni di perfezionamento attivo riguardano la lavorazione di merci, compreso il loro
montaggio, assemblaggio e adattamento ad altre merci, la trasformazione di merci, la ripartizione di merci, compreso il loro
riattamento e la loro messa a punto, se sono eseguite nel territorio dello Stato. Se le lavorazioni sono effettuate all’estero, si parla
invece di perfezionamento passivo. In materia di dazi doganali, la procedura di perfezionamento attivo è disciplinata dagli artt. 175
e seguenti del D.P.R. n. 43/1973 e indica il regime con il quale si sottopongono a perfezionamento, senza pagamento di dazi
doganali, merci importate, a condizione che le stesse siano destinate a essere esportate al di fuori del territorio doganale della
Comunità europea, in tutto o in parte, sotto forma di “prodotti compensatori”. Le operazioni di perfezionamento attivo eseguite
nel territorio dello Stato italiano costituiscono importazioni soggette a IVA (art. 67, c. 1, lett. b, D.P.R. n. 633/1972);
-le operazioni di ammissione temporanea aventi per oggetto beni, destinati a essere riesportati tali quali (salvo il normale
deprezzamento dovuto al loro utilizzo) e che, in base a disposizioni comunitarie, non fruiscano dell’esenzione totale dai dazi di
importazione. In materia doganale, le operazioni di ammissione temporanea sono definite con la denominazione di “operazioni di
temporanea importazione”. Trattasi di speciali agevolazioni per il movimento di specifici beni spediti da e per l’estero e da
riesportare o reimportare tali e quali, per essere impiegati per diverse utilizzazioni (per esempio tentata vendita) (art. 214, D.P.R. n.
43/1973). Ai fini IVA, costituiscono importazioni anche le operazioni di ammissione temporanea aventi per oggetto beni destinati
a essere riesportati tali e quali che, in base a disposizioni comunitarie, non fruiscono dell’esenzione totale dai dazi di importazione
(art. 67, c. 1, lett. c, D.P.R. n. 633/1972);
Importazioni
Importazioni
-le operazioni di reimportazione a scarico di esportazione temporanea fuori della Comunità europea. Tali operazioni
consistono nella reintroduzione in Italia di beni precedentemente oggetto di temporanea esportazione al di fuori del
territorio della UE per essere sottoposti a perfezionamento passivo (lavorazione, riparazione o trasformazione) ovvero a
riparazione gratuita per obblighi di garanzia o per difetti di fabbricazione. La temporanea esportazione è consentita
allorché le merci da esportare siano destinate a ricevere specifici trattamenti, quali la trasformazione in prodotti aventi
caratteristiche chimiche, fisiche od organolettiche diverse da quelle delle merci temporaneamente esportate, ovvero altre
lavorazioni, compresi il montaggio, l’assiemaggio e l’adattamento ad altre merci, o ancora la riparazione, compresi il
riattamento e la messa a punto. L’IVA si applica in tal caso sul valore della lavorazione subita all’estero (art. 69, D.P.R. n.
633/1972);
-le operazioni di reintroduzione di beni precedentemente esportati fuori della Comunità europea. La reintroduzione di
beni precedentemente esportati può beneficiare dell’esenzione dai dazi all’importazione qualora le merci comunitarie
precedentemente esportate fuori del territorio doganale comunitario siano, entro il termine di tre anni, ivi reintrodotte e
immesse in libera pratica (artt. 185-187 Codice doganale). L’esenzione dei dazi all’importazione non è, tuttavia, concessa
per le merci esportate fuori del territorio doganale della Comunità europea nell’ambito del regime del perfezionamento
passivo, a meno che tali merci non si trovino nello stato in cui sono state esportate, nonché per le merci che sono state
oggetto di una misura comunitaria che ne impone l’esportazione in Paesi terzi. Ai fini IVA, tali operazioni costituiscono
importazioni imponibili (art. 67, c. 2, D.P.R. n. 633/1972), salvo il caso in cui (art. 68, c. 1, lett. d, D.P.R. n. 633/1972): i)
la reintroduzione sia effettuata dallo stesso soggetto che li aveva in precedenza esportati; ii) i beni reintrodotti siano “tali
quali” a quelli precedentemente esportati; iii) ricorrano, all’atto della reintroduzione, le condizioni per la franchigia
doganale.
Applicazione dell’IVA
Regola operativa -> l’imposta viene accertata,
liquidata e riscossa all’atto di ogni operazione in
base alle regole doganali e, quindi, l’Iva sulle
importazioni è equiparata ai diritti di confine.
Base imponibile -> valore dei beni importati
determinato in base alle norme doganali + diritti
doganali (esclusa l’Iva) + spese di inoltro
(trasporto, ecc.) dei beni alla destinazione
all’interno dell’Ue.
Applicazione dell’IVA
Aliquota Iva -> corrispondente al bene importato nelle
cessioni interne.
Momento impositivo -> presentazione dogana della
dichiarazione di importazione.
Detraibilità -> l’Iva addebitata è detraibile secondo le regole
generali.
Controversie e le sanzioni -> disposizioni delle leggi doganali
sui diritti di confine.
NB: l’Iva relativa all’importazione di materiale d’oro e
semilavorati di purezza pari o superiore a 325/1000, nonché
argento deve essere accertata e liquidata nella dichiarazione
doganale, ma deve essere corrisposta con il meccanismo del
reverse charge.
Dichiarazione doganale
Regola -> la dichiarazione doganale, redatta e sottoscritta dal dichiarante su stampati conformi,
deve essere presentata quando le merci sono giunte negli spazi doganali o in specifici luoghi
operativi.
Contenuto:
• identità e domicilio fiscale del proprietario delle merci, del suo rappresentante e di tutti coloro
per conto dei quali l’operazione doganale viene effettuata;
• codici fiscali dei soggetti che intervengono nell’operazione doganale e degli altri soggetti
interessati o il codice sostitutivo ad uso meccanografico;
• luoghi di origine, di provenienza e di destinazione delle merci;
• quantità e natura dei colli con le marche, sigle o cifre identificative;
• descrizione delle merci con l’indicazione della posizione di tariffa, della qualità, della quantità
del valore e di ogni altro elemento necessari per la liquidazione dei diritti;
• altri dati richiesti dalla modulistica ufficiale;
• importo singoli tributi che gravano e della somma da pagare o da garantire.
NB: Unitamente alla dichiarazione devono essere presentati all’Ufficio doganale i documenti
commerciali e di trasporto inerenti alla merce dichiarata, nonché ogni altro documento utile e/o
previsto per l’operazione.
Importazioni escluse
Attenzione: secondo quanto disposto dall’art. 68 del DPR n. 633/1972 non sono soggette ad IVA le seguenti
importazioni (si veda tabella di seguito riportata)
Importazioni non soggette ad IVA
-Beni destinati a essere riesportati da parte di esportatori abituali o relativi a servizi internazionali e a operazioni assimilate alle
esportazioni. Le importazioni in oggetto sono escluse dal pagamento dell’IVA nei limiti del plafond, ossia dell’ammontare delle
cessioni all’esportazione, cessioni intracomunitarie non imponibili e operazioni assimilate annotate nel registro delle fatture emesse
nell’anno solare precedente (c.d. plafond fisso) o nei dodici mesi precedenti (c.d. plafond mobile) a quello di effettuazione degli
acquisti senza applicazione dell’IVA. Prima dell’effettuazione dell’importazione, l’esportatore abituale deve presentare in dogana la
dichiarazione d’intento da cui risulta la volontà dell’esportatore di avvalersi della facoltà di effettuare acquisti (anche intracomunitari)
e importazioni senza applicazione dell’imposta (ris. 27.7.1985, n. 355235);
-campioni gratuiti di modico valore appositamente contrassegnati;
-beni la cui cessione è esente da IVA;
-beni indicati nell’art. 2, c. 3, lett. l, D.P.R. n. 633/1972 (paste alimentari, biscotto di mare, latte fresco ecc.);
-beni la cui cessione nello Stato è agevolata in virtù di trattati e accordi internazionali, ovvero effettuata dalle sedi
diplomatiche e consolari, organismi militari, organizzazioni internazionali e dall’istituto universitario europeo;
-navi, aeromobili, satelliti e altri beni a essi connessi;
-beni donati a enti pubblici o ad associazioni riconosciute o fondazioni aventi esclusivamente finalità di assistenza,
beneficenza, educazione, istruzione, studio o ricerca scientifica, nonché beni donati a favore delle popolazioni colpite da calamità
naturali o catastrofi;
-pubblicazioni estere effettuate da biblioteche universitarie (art. 3, c. 7, D.L. n. 90/1990);
-reintroduzione di beni precedentemente esportati fuori della UE quando la reintroduzione ha a oggetto beni che non hanno
subito alcuna lavorazione (per esempio beni difettosi rifiutati dal destinatario) e viene effettuata dallo stesso soggetto che ha
precedentemente esportato i beni gode della franchigia doganale;
-importazione di beni indicati nella Direttiva 83/181/CEE (beni personali, corredi, masserizie ecc.);
-importazione di rottami e altri materiali quali carta da macero, gomma, stracci ecc. (art. 74, c. 8 e 9, D.P.R. n. 633/1972).
Esportazioni ed
operazioni assimilate
Concetti introduttivi
• Esportazioni dirette (art. 8, lett. a)
• Cessioni in Italia a importatori esteri (art. 8, lett. b)
• Esportazioni triangolari (art. 8, lett. a)
• Esportazioni indirette (art. 8, lett. c)
• Operazioni assimilate alle esportazioni (art. 8-bis)
• Servizi internazionali (art. 9)
• Cessioni per la cooperazione con i PVS (L. 49/1987)
• Operazioni con il Vaticano e S. Marino (art. 71)
• Operazioni in base a trattati internazionali (art. 72)
Esportazioni ed operazioni
assimilate
Regola -> sono esportazioni le cessioni di beni poste in
essere mediante trasporto o spedizione dei medesimi
fuori dal territorio dell’Unione europea, comprese
[circolare 33650/1972] le operazioni di:
• esportazione definitiva;
• esportazione temporanea;
• riesportazione;
• nonché quelle poste in essere con la Città del
Vaticano, San Marino e effettuate in base a trattati
internazionali (artt. 71 e 72 del decreto Iva).
L’esportazione può essere diretta o triangolare.
Esportazioni ed operazioni
assimilate
Ne deriva che:
• le cessioni all’esportazione (art. 8);
• le operazioni assimilate alle cessioni
all’esportazione (art. 8-bis);
• le prestazioni di servizi internazionali o
connesse agli scambi internazionali (art. 9);
beneficiano del regime di non imponibilità (cioè
di non applicazione dell’Iva).
Esportazioni ed operazioni
assimilate
Onerosità delle cessioni -> requisito indispensabile
affinché sussista una cessione all’esportazione è il
trasferimento della proprietà (o di altro diritto reale)
sul bene, nonché l’invio del medesimo al di fuori del
territorio dell’Ue.
Diversamente da quanto accade nelle cessioni
intracomunitarie, ne deriva che, poiché non è prevista
la condizione della onerosità della cessione, anche le
esportazioni a titolo gratuito sono non imponibili ai
sensi dell’art. 8 se poste in essere nel rispetto delle
procedure doganali.
Esportazioni ed operazioni
assimilate
Non imponibilità delle esportazioni -> si rende
operativa solamente per le cessioni di beni, mentre le
prestazioni di servizi possono essere:
• imponibili;
• non imponibili;
• escluse da iva;
tenendo presente che se una prestazione di servizi
comporta l’esportazione di beni destinati a fornire il
servizio medesimo, la non imponibilità sussiste
limitatamente a detti beni.
Esportazioni
Esportazioni -> concorrono alla formazione del volume d’affari -> sono soggette a:
• fatturazione;
• registrazione;
e:
• dichiarazione;
tenendo presente che, pur non applicando l’Iva, non solo la detrazione del tributo
inerente agli acquisti non subisce limitazioni, ma risulta accordata all’esportatore, per
certe situazioni, di porre in essere:
• acquisizione di beni e servizi senza l’applicazione dell’Iva;
• rimborso o compensazione del credito Iva anche infra annuale.
Le cessioni e gli acquisti di beni, comprese le esportazioni e le importazioni, e/o le
prestazioni di servizi rese o ricevute, comprese quelle per mancanza del requisito di
territorialità, poste in essere con soggetti residenti in Paesi a fiscalità privilegiata, sono
soggette alla prevista segnalazione telematica mensile o trimestrale all’Agenzia delle
entrate.
Esportazioni dirette
Regola -> a norma dell’art. 8, comma 1, lettera a) del decreto Iva, si devono considerare
esportazioni dirette le cessioni che risultano eseguite, anche tramite commissionari,
con trasporto o spedizione dei beni a cura o a nome del cedente fuori dal territorio
dell’Unione europea.
Al riguardo, tenere in considerazione che si devono considerare trasportati fuori dal
predetto territorio anche i beni destinati ad essere impiegati nel mare territoriale per:
• la costruzione;
• la riparazione;
• la manutenzione;
• l’equipaggiamento;
e:
• il rifornimento delle piattaforme di perforazione e sfruttamento;
nonché:
• l’effettuazione dei relativi collegamenti.
Documentazione esportazioni
Esportazioni dirette -> devono essere comprovate da un documento doganale o dalla
vidimazione da parte dell’ufficio doganale su uno dei seguenti esemplari:
• della fattura;
• del Ddt-documento di trasporto;
• della bolla di accompagnamento (per i prodotti soggetti a tale obbligo); tenendo
presente che poiché la fattura deve risultare presentata per l’effettuazione della pratica
doganale non è consentita la fatturazione differita.
La circ. 13.2.1997, n, 35/E precisa che nelle operazioni triangolari o nei rapporti
committente-commissionario, la qualifica di esportatore compete a quest’ultimo o al
primo cessionario italiano, mentre per il committente o per il primo cedente italiano la
dimostrazione dell’avvenuta esportazione può risultare dal visto doganale su un
esemplare della fattura emessa o dalla fotocopia del documento doganale vistato o dal
Ddt-documento di trasporto integrato.
Documentazione obbligatoria
Regola -> il riconoscimento della non imponibilità è condizionata alla
prova dell’effettiva esportazione costituita solamente dal visto di uscita
dal territorio dell’Unione europea rilasciato dalla dogana.
N.B.: dal 1° luglio 2009:
• nelle operazioni doganali deve essere inserito nella documentazione il
codice Eori-Economic Operator Registration and Identification, operativo
a livello comunitario (tale codice è costituito per gli operatori dal numero
di partita Iva preceduto dal codice «IT», mentre per le persone fisiche dal
codice fiscale preceduto da «IT»;
• le procedure telematiche di invio della dichiarazione si rendono attive
anche alle esportazioni abbinate al transito.
Le esportazioni di beni poste in essere utilizzando il servizio postale –
poste in essere tramite stampe, pacchetto postale o pacco postale - sono
regolate dal D.M. 22 gennaio 1977.
Consignment stock
Regola -> l’inoltro di beni in Stati extra Unione europea costituisce una
cessione all’esportazione anche quando è effettuato in base ad un
contratto di consignment stock, cioè con deposito dei beni presso il
soggetto acquirente estero e trasferimento della proprietà all’atto del
prelevamento dei beni da parte del cessionario.
N.B.: nella ris. 5 maggio 2005, n. 58/E, l’Agenzia delle entrate ha
puntualizzato che:
• l’esportazione si deve ritenere perfezionata, per il plafond, solamente al
momento in cui si verifica il prelievo dei beni da parte dell’acquirente;
• l’invio di beni ad un proprio deposito all’estero non realizza
un’esportazione in quanto non è operazione a titolo oneroso e la
successiva cessione posta in essere in un Paese estero concretizza
un’operazione fuori campo Iva per mancanza del principio/requisito della
territorialità.
Lavorazioni
Lavorazioni su beni da esportare -> i beni destinati all’esportazione possono essere
sottoposti in Italia, per conto del soggetto cessionario non residente, a lavorazione,
trasformazione, assiemaggio, adattamento ad altri beni ad opera dell’esportatore o di
terzi;
tenendo presente che:
• per la circolare 9 aprile 1981, n. 12/370205, l’esportazione può risultare posta in
essere anche dal soggetto che ha posto in essere la trasformazione;
• a norma del comma 9 dell’art. 9 del decreto Iva e della ris. 15 luglio 1999, n. 156/E, le
lavorazioni mantengono la non imponibilità se sono richieste da un committente
estero, che, tra l’altro, può anche risultare diverso dal cessionario non residente.
Il regime Iva delle lavorazioni su beni nazionali esportati temporaneamente, eseguite da
soggetti ubicati fuori dall’Ue, possono avvenire solo in presenza di:
• perfezionamento passivo;
• esportazione definitiva senza trasferimento della proprietà;
• esportazione definitiva con trasferimento della proprietà.
Perfezionamento passivo
Metodo del perfezionamento passivo – il ricorso a tale metodo prevede
la necessità del rilascio di una specifica autorizzazione da parte della
circoscrizione doganale territorialmente competente e, per alcuni beni,
da parte del Ministero dell’Economia e delle finanze o altro ministero
espressamente delegato.
A seguito della richiesta per l’ottenimento dell’autorizzazione, la
competente autorità provvede a fissare:
● il termine entro il quale i prodotti compensatori devono risultare
reimportati nel territorio doganale dell’Unione europea (termine
prorogabile su domanda del titolare dell’autorizzazione);
● tasso di rendimento dell’operazione e, se necessario, le modalità di
determinazione del medesimo, che, come regola procedurale, deve
essere individuato nella quantità o percentuale di beni compensatori
ottenuta al momento del perfezionamento da una quantità determinata
di beni o prodotti o merci in temporanea esportazione.
Perfezionamento passivo
In relazione all’autorizzazione ottenuta, l’operazione di perfezionamento passivo si
concretizza in sede di:
• esportazione, con la compilazione del Dau–Ex-Documento amministrativo unico
esportazioni con in quale si:
• individuano con precisione il valore delle merci;
• definiscono i diritti doganali che gravano sui beni in uscita dal territorio doganale
(diritti che costituiranno oggetto di scomputo per l’importazione);
• procede alla presentazione delle merci in dogana;
• reimportazione, con la redazione del Dau–Imp-Documento amministrativo unico
importazione, con il quale procedere alla rideterminazione del valore dei beni
compensatori, tenendo in considerazione anche:
• gli oneri di carico, trasporto ed assicurazione dal luogo dove sono state effettuate le
attività di perfezionamento a quello di introduzione nel territorio doganale comunitario;
• ridefinizione dei diritti doganali;
• procede alla presentazione delle merci in dogana.
Esportazioni senza passaggio di
proprietà
Esportazione senza passaggio di proprietà che - ai fini Iva - non genera un’esportazione, in
quanto manca il requisito essenziale del trasferimento della proprietà e del relativo pagamento,
si concretizza in sede di:
● esportazione, con:
• a redazione di un dettaglio valorizzato, nel quale devono essere dettagliati i beni e/o le merci
esportate su carta intestata del soggetto esportatore;
• la compilazione del Dau–Ex-Documento amministrativo unico esportazioni;
• l’invalidazione da parte dell’Ufficio doganale dei documenti che risultano presentati a corredo
della dichiarazione di esportazione definitiva, con la dicitura «Non valida ai fini dell’art. 8 del
D.P.R. 633/1972»;
● importazione, con:
• la redazione del Dau–Imp-Documento amministrativo unico importazione;
• l’individuazione del valore doganale dei beni, dei prodotti e/o delle merci reimportati, che
devono comprendere anche l’entità del corrispettivo fatturato per la lavorazione eseguita
all’estero;
• la specificazione del valore della precedente esportazione;
• la determinazione per la coerente definizione dei diritti doganali.
Esportazioni con passaggio di
proprietà
Esportazione con passaggio di proprietà che - ai fini Iva - genera un’esportazione, in
quanto sussistono i requisiti previsti nell’art. 8, comma 1, lett. a) del decreto Iva, si
concretizza in sede di:
● esportazione, con:
• l’emissione della fattura ai sensi dell’art. 21 del decreto iva (passaggio di proprietà);
• la presentazione del Dau–Ex-Documento amministrativo unico esportazioni;
• il pagamento del corrispettivo pattuito per i beni o i prodotti o la merce oggetto di
trasferimento soggetti a lavorazione;
● importazione, con:
• la redazione del Dau–Imp-Documento amministrativo unico importazione;
• l’individuazione del valore doganale dei beni, dei prodotti e/o delle merci reimportati,
che deve essere definito in relazione alle norme vigenti in materia, incrementato dei
diritti doganali dovuti, con esclusione dell’Iva e delle spese di inoltro fino al luogo di
destinazione nel territorio dell’Unione europea;
• la determinazione per la coerente definizione dei diritti doganali.
Lavorazioni presso operatore
extra-UE
Cessioni a soggetti non
residenti
Cessioni a non residenti -> sono cessioni all’esportazione anche le cessioni di beni a un
cessionario non residente (cliente estero) che provvede a ritirare, direttamente o
tramite terzi, i beni presso il cedente italiano, curando la successiva esportazione degli
stessi.
Tali esportazioni sono non imponibili se:
• il soggetto acquirente è un operatore economico e non un consumatore finale;
• i beni vengono esportati senza subire lavorazioni nel territorio nazionale;
• l’esportazione viene eseguita non oltre 90 giorni dalla consegna dei beni al cessionario
non residente.
N.B.: in caso di mancato rispetto di tale termine viene meno il beneficio della non
imponibilità con sanzione a carico del cedente italiano.
Non è consentito attivare tale tipo di esportazione per le cessioni di beni:
• destinati a dotazione o provvista di bordo di imbarcazioni o navi da diporto, di
aeromobili da turismo o di qualsiasi altro mezzo di trasporto ad uso privato;
• a turisti extracomunitari che trasportano gli stessi nei bagagli personali (art. 38-quater
del decreto Iva).
Acconti percepiti prima della
spedizione
Acconti incassati prima della spedizione -> Ris. 7 settembre 1998, n.
125/E – tali acconti si devono considerare operazioni non imponibili se
risulta emessa e registrata:
• la fattura per l’acconto (non imponibile) al momento dell’incasso di
ciascun importo;
• la fattura riepilogativa (non imponibile) al momento della spedizione
della merce, con l’indicazione del prezzo complessivo e degli estremi di
tutte le fatture emesse all’incasso degli acconti.
N.B.: la fattura riepilogativa, che può indicare un saldo pari zero se il
prezzo è già stato interamente corrisposto in acconto, deve
necessariamente specificare solo il conguaglio se il prezzo pattuito è
stato solo parzialmente pagato. Su tali fatture è indispensabile la
presenza della dicitura che si tratta di «operazione non imponibile ai
sensi dell’art. 8, c. 1, lett. a), D.P.R. 633/1972».
Operazioni assimilate alle
esportazioni
Art. 8-bis decreto Iva -> sono operazioni assimilate alle esportazioni, se non
costituiscono cessioni all’esportazione, le cessioni effettuate nel territorio dello Stato
di:
● navi adibite alla navigazione in alto mare e destinate ad attività commerciali o alla
pesca; navi destinate alla pesca costiera o ad operazioni di salvataggio o assistenza in
mare, oppure alla demolizione, ecc.;
● navi militari e da guerra;
● aeromobili, compresi i satelliti, ad organi dello Stato;
● aeromobili ad imprese di navigazione aerea che effettuano prevalentemente trasporti
internazionali; apparati motori, componenti, parti di ricambio di apparati motori, di navi
e di aeromobili di cui ai punti precedenti;
● dotazioni di bordo compresi i containers e forniture destinate a rifornimento e
vettovagliamento; prestazioni di servizi relative alle operazioni di cui ai punti
precedenti, alla demolizione di navi, locazioni, noleggi, carenaggi, costruzione e
riparazione, ecc. e prestazioni destinate a sopperire direttamente ai bisogni delle navi e
degli aeromobili.
Servizi connessi agli scambi
internazionali
Servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali -> servizi,
elencati dall’art. 9, c. 1, del decreto Iva, che, pur rientrando nella sfera di
applicazione dell’Iva, godono del regime di non imponibilità.
Operazioni di credito e finanziamento-> dall’1.1.2010 non costituiscono
servizio internazionale le operazioni di credito o finanziamento, di
assicurazione, riassicurazione, operazioni relative a valute estere aventi
corso legale, ad azioni, obbligazioni o altri titoli non rappresentativi di
merce (nn. da 1 a 4, art. 10, effettuate nei confronti di soggetti residenti
fuori dalla Ue o relative a beni destinati ad essere esportati fuori dalla Ue
(sono esenti da Iva, ma consentono la detrazione dell’imposta (ved. art.
19, c. 3, lett. a-bis), D.P.R. 633/1972).
Transito nei trafori internazionali -> dall’1.1.2003 non costituisce più un
servizio internazionale (è prevista l’applicazione dell’Iva nel Paese in cui
avviene il pagamento del pedaggio e/o dell’abbonamento).
Esportazioni triangolari
Esportazione triangolare -> cessione posta in essere mediante trasporto o spedizione
all’estero dei beni a cura o a nome del primo cedente nazionale (ITA 1), su incarico del
cliente residente (ITA 2) al cliente extra-Ue (ExCee).
Ai fini operativi:
1. l’impresa residente ITA 1 (= soggetto fornitore) vende un bene all’impresa residente
ITA 2 (= soggetto acquirente intermedio);
2. l’impresa residente ITA 2 (= soggetto acquirente intermedio) a sua volta rivende il
bene all’impresa (ExCee) non residente nel territorio dell’Unione europea (= soggetto
acquirente finale).
La triangolazione si può realizzare anche tramite i commissionari di ITA 1 o ITA 2.
Le cessioni da ITA a ITA 2 e quella da Ita 2 a ExCee costituiscono operazioni non
imponibili, per cui è necessario specificare in fattura «art. 8, comma 1, lettera a), del
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633» (la non imponibilità opera anche rispetto agli eventuali
commissionari).
Triangolazioni dirette
Triangolazioni dirette
Triangolazioni comunitarie
improprie
Triangolazioni comunitarie
improprie
Quadrangolazione comunitaria
impropria
Triangolazione con lavorazione
Triangolazioni con lavorazione -> che riguardano beni oggetto di interventi di
perfezionamento (lavorazioni, modificazioni, adattamenti, trasformazioni e riparazioni
di beni), costituisce operazione non imponibile se curata dal trasformatore (fornitore o
da un terzo su incarico del cedente) e, quindi, il cessionario non può effettuare
operazioni di perfezionamento.
Condizioni per non imponibilità (ris. 4 marzo 1995, n. 51/E e 13 agosto 1996, n. 178/E) > triangolazione non è un’esportazione e, quindi, non si rende applicabile il regime di
non imponibilità se il cessionario residente:
• esegue il trasporto con mezzi propri, acquisendo la disponibilità materiale dei beni nel
territorio nazionale;
• procede a stipulare direttamente il contratto di trasporto;
• Incarica soggetti terzi ad effettuare il servizio di trasporto.
Se l’incarico al trasportatore o allo spedizioniere viene conferito dal primo cedente
italiano (ITA 1), l’operazione triangolare mantiene la non imponibilità, anche se il
trasporto sia pagato dal cedente (ITA 1) o dal cessionario (ITA 2).
Cessionario non residente
Status di esportatore
abituale
Introduzione
•
I contribuenti che effettuano, tra l’altro,
cessioni
all’esportazione
ed
operazioni
assimilate versano in una situazione strutturale
di credito Iva;
•
un rimedio, parziale, consiste nella facoltà, in
presenza di determinate condizioni e nei limiti
di alcune disposizioni, di poter acquistare e
importare beni e servizi senza pagamento
dell’Iva.
L’esportatore abituale e la formazione del
plafond
i.
Oggetto del beneficio:
beneficio l’importo utilizzabile per
effettuare acquisti interni, acquisti intracomunitari e
importazioni (esclusi fabbricati, aree fabbricabili e
beni/servizi per i quali l’Iva è indetraibile), viene definito
Plafond
ii.
Requisiti soggettivi per lo status di esportatore
abituale
iii.
Le operazioni che alimentano il plafond
iv.
Momento di formazione del plafond
ii. Requisiti soggettivi
•
ESPORTATORE ABITUALE, art. 1, DL n. 746/83: i
contribuenti che nell’anno solare precedente, ovvero
negli ultimi dodici mesi, hanno registrato cessioni
all’esportazione, cessioni intracomunitarie o altre
operazioni assimilate, per un ammontare superiore
al 10 per cento del volume d’affari.
•
Il contribuente deve aver iniziato l’attività da
almeno 12 mesi: termine da intendersi in senso
generico come inizio dell’attività d’impresa e non di
esportazione.
Acquisizione dello status di esportatore abituale
Corrispettivi cessioni all’esportazione
e delle operazioni a tali effetti
assimilate, registrate nell’anno
precedente o nei 12 mesi precedenti
> del 10%
Volume d’affari(*) per l’anno precedente
o per i 12 mesi precedenti
(*)
al netto delle cessioni di beni in transito o depositati in luoghi soggetti a
vigilanza doganale; separazione attività; note credito/debito (Circolare n. 8/D
del 27 febbraio 2003)
ii. Requisiti soggettivi (segue)
•
ESEMPIO: volume d’affari pari a 1.000, il
contribuente è considerato esportatore abituale se
l’ammontare delle operazioni che costituiscono
plafond è pari o superiore a 101 (superiore al 10%
del volume d’affari).
•
AL CONTRARIO, il contribuente non sarà
considerato esportatore abituale se l’ammontare
delle operazioni che costituiscono plafond è pari o
inferiore a 100 (uguale o inferiore al 10% del volume
d’affari).
iii. Le operazioni che alimentano il plafond
•
Cessioni all’esportazione ai sensi dell’art. 8, 1°
comma, lett. a) e b) del DPR n. 633/72;
•
operazioni assimilate alle precedenti o servizi
internazionali
o
connessi
agli
scambi
internazionali ai sensi degli artt. 8-bis e 9 del DPR
n. 633/72;
•
cessioni intracomunitarie ai sensi dell’art. 41 del
DL n. 331/93;
•
altre operazioni: art. 71 e 72 DPR 633/72; margini
beni usati DL 41/1995 (non imponibili)
iii. Le operazioni che alimentano il plafond:
le triangolazioni
•
Art. 8, 1° comma, lett. a) del DPR n. 633/72:
ITA1 cede a ITA2 e riceve l’incarico da ITA2
stesso di inviare la merce fuori dal territorio
comunitario. Condizioni:
1) il
trasporto o la spedizione dei beni devono
avvenire su incarico del cessionario residente
(ITA2) a cura o a nome del cedente (ITA1);
2) prova dell’avvenuta esportazione.
iii. Le operazioni che alimentano il plafond:
le triangolazioni (segue)
•
Art. 58, 1° comma, del DL n. 331/93: ITA1 cede a
ITA2 e riceve l’incarico di inviare la merce in altro
Paese comunitario. Condizioni:
1.
2.
il trasporto o la spedizione all’estero deve
avvenire a cura o nome del cedente (ITA1);
prova dell’invio del bene in altro Stato membro
iv. Momento di formazione del plafond
•
A decorrere dal 14/03/1997 concorrono alla
formazione del plafond le operazioni registrate
nell’anno solare precedente o nei 12 mesi precedenti
(in caso di utilizzo del metodo del plafond mobile)
nel registro delle fatture emesse.
•
Pertanto, il Plafond viene alimentato da tutte le
operazioni non imponibili effettuate verso l’estero,
la cui fattura sia annotata nel registro delle fatture
emesse previsto dall’articolo 23 del DPR n. 633/72. Si
precisa che non si fa riferimento alle operazioni
effettuate.
Il plafond nelle operazioni triangolari: il
plafond libero e il plafond vincolato
•
In base all’art. 8, comma 2, del DPR n. 633/72, i
cessionari* che intervengono in un’operazione di
triangolazione possono avvalersi del plafond di cui
dispongono:
integralmente per gli acquisti di beni che siano esportati
nello stato originario nei sei mesi successivi alla loro
consegna (plafond vincolato);
- nei limiti della differenza tra il plafond complessivo di
cui dispongono e l’ammontare delle cessioni di beni
effettuate nei loro confronti nello stesso anno senza IVA,
in quanto esportate in triangolazione, per gli acquisti di
altri beni o servizi (plafond libero).
-
* Si precisa che tale modalità vale anche nel caso dei commissionari
Il plafond libero e il plafond vincolato:
esempio
•
Cessione intracomunitaria in triangolazione, ai sensi dell’art.
58, comma 1, del DL n. 331/93:
ITA1 vende a ITA2 merce per euro 10.000;
ITA2 cede a sua volta merce a FR per euro 12.000;
la merce è consegnata in Francia da ITA1 su incarico di ITA2;
ITA1 dispone di un plafond di EURO 10.000, liberamente
utilizzabile;
ITA2 dispone di un duplice plafond:
Euro 2.000 (pari alla differenza tra il corrispettivo dei beni
ceduti e quello dei beni acquistati: 12.000 – 10.000)
liberamente utilizzabile;
Euro 10.000 (pari al corrispettivo dei beni acquistati) ad
utilizzo vincolato, con il quale potrà acquistare beni da
esportare nello stato originario entro 6 mesi dalla data in
cui gli sono stati consegnati.
Beni e servizi acquistabili con il plafond
•
In generale, sono agevolabili gli acquisti e le
importazione di tutti i beni e servizi ad eccezione di:
− beni e servizi per i quali l’Iva è indetraibile*;
− fabbricati;
− aree edificabili.
* I soggetti con pro-rata riducono il plafond di una percentuale equivalente (Circolare n. 145 del 10 giugno 1998)
Gli adempimenti dell’esportatore abituale: la
lettera di intento
•
Deve essere compilata, in duplice copia, in
conformità al modello approvato con Decreto
Ministeriale del 6 dicembre 1986 e consegnata o
spedita prima dell’effettuazione dell’operazione,
vale a dire:
per gli acquisti interni, prima della consegna o
spedizione della merce ovvero, in presenza di
servizi, prima del pagamento del corrispettivo e, in
ogni caso, prima dell’emissione della fattura, se
antecedente;
− per le importazioni, prima della data di accettazione
della bolla doganale.
−
L’efficacia della lettera di intento
•
Può essere rilasciata:
per una singola operazione;
ii. per più operazioni effettuate nell’anno solare e fino a
concorrenza di un determinato ammontare imponibile;
iii. per più operazioni effettuate nell’anno solare entro un certo
periodo di tempo.
i.
•
•
La dichiarazione di intento non può produrre effetti
oltre il 31 dicembre dell’anno di emissione.
Per la revoca non sono mai state dettate istruzioni
ufficiali: si ritiene che possa avvenire in qualsiasi
forma.
Registrazione delle dichiarazioni di intento
•
L’esportatore abituale deve datare, numerare
ed annotare le dichiarazioni di intento emesse
in un apposito registro o, in alternativa, in
un’apposita sezione del registro delle fatture
emesse o dei corrispettivi entro i 15 giorni
successivi all’emissione.
Gli adempimenti del fornitore
•
•
•
•
Deve numerare ed annotare le dichiarazioni di intento ricevute in un apposito registro
o, in alternativa, in un’apposita sezione del registro delle fatture emesse o dei
corrispettivi entro 15 giorni dal ricevimento.
Deve poi emettere le fatture in regime di non imponibilità Iva, ai sensi dell’art. 8,
comma 1, lett. c) del DPR n. 633/72, riportando gli estremi della dichiarazione di
intento ricevuta.
Il fornitore non è tenuto a verificare che il dichiarante risulti effettivamente in possesso
dello status di “esportatore abituale”.
Il D.L. n. 16/2012 è intervenuto in merito al termine per la comunicazione
all’Agenzia delle Entrate delle dichiarazioni di intento. Infatti, a decorrere dal 2
marzo 2012 la scadenza per l’invio della dichiarazione d’intento non è più fissata al
giorno 16 del mese successivo alla ricezione, bensì entro il termine della prima
liquidazione IVA (mensile o trimestrale) nella quale sono ricomprese le forniture
effettuate in sospensione di imposta in dipendenza delle dichiarazioni di intento. È’
opportuno precisare che la norma di fatto deve essere letta come un’agevolazione e
non come un obbligo (infatti, nella norma viene riportato che “... entro il termine di
effettuazione ...”); ne consegue che gli operatori potranno inviare la comunicazione
anche prima (ma non oltre) del termine di effettuazione della prima liquidazione
periodica IVA, mensile ovvero trimestrale, nella quale confluiscono le operazioni
realizzate senza applicazione dell’imposta.
I metodi per il calcolo del plafond
1)
2)
Plafond fisso o solare:
solare fa riferimento alle
operazioni registrate nell’anno solare precedente.
Plafond mobile o mensile:
mensile si prendono come
riferimento le operazioni registrate nei 12 mesi
solari precedenti.
• Il plafond fisso può essere utilizzato già a partire
dal 1° gennaio successivo a quello di inizio
dell’attività, mentre per il plafond mobile dal 1°
gennaio dell’anno in cui siano già trascorsi almeno
12 mesi dall’inizio dell’attività.
Il plafond fisso
•
Al 1° gennaio di ciascun anno, il plafond disponibile
per detto anno è semplicemente costituito dalle
operazioni non imponibili registrate nell’anno
precedente e poi, nel corso dell’anno di utilizzo, è
sufficiente controllare che gli acquisti e le
importazioni con lettera di intento non superino
l’ammontare del plafond disponibile per non
incorrere nello splafonamento.
Il plafond fisso
Il plafond mobile
•
All’inizio di ciascun mese solare, è necessario
verificare la sussistenza dello status di “esportatore
abituale” e l’ammontare del plafond di cui si dispone
che, a sua volta, è dato da:
Esportazioni ed operazioni assimilate registrate nei 12
mesi precedenti
progressivo utilizzo
L’evoluzione del progressivo utilizzo
•
Alla fine dei mesi successivi a quello in cui si sono realizzati
i primi acquisti in sospensione, si ha che il progressivo
utilizzo è pari alla seguente somma algebrica:
Progressivo utilizzo alla fine del mese precedente
+
Esportazioni registrate nel 13° mese che si espelle (segno -)
Plafond utilizzato nel mese che si chiude (segno -)
Esempio di struttura da utilizzare per il calcolo
del plafond mobile
Volume d'affari (o
V.A.)
Ultimi 12
Mese
mesi
Mese
Esportazioni
Registrate
Ultimi 12
% su V.A.
mesi
Acquisti agevolati effettuati
Mese
Ultimi 12
mesi
Prog. Utiliz.
Plafond disponibile
all'inizio del mese
successivo
> o < al 10%
del V.A.???
Progressivo utilizzo alla fine del mese precedente
+
Esportazioni registrate nel 13°° mese che si espelle (segno -)
Plafond utilizzato nel mese che si chiude (segno -)
Esportazioni ed operazioni assimilate registrate nei 12 mesi precedenti
progressivo utilizzo
Esempio di plafond mobile
Ipotesi: esportazioni
al 10% del V.A.
Note (es. gennaio 2007):
Prog. Util. = 0 + (- 1.000) –
3.000) = 2.000
Plafond disp. = 40.600 + (2.000 –
1.000) – 2.000 = 39.600
(-
>
Passaggio da un metodo ad un altro
È possibile modificare il criterio di calcolo solo al 1° gennaio
dell’anno successivo e non in corso d’anno.
Passaggio dal plafond fisso a quello mobile
Se nell’anno solare precedente si è utilizzato il plafond fisso e si
vuole passare al plafond mobile non sorge alcun problema, nel
senso che il plafond disponibile all’inizio dell’anno è pari alle
esportazioni e operazioni assimilate registrate nell’anno solare
precedente.
Passaggio dal plafond mobile a quello fisso
Se si passa dal plafond mobile a quello fisso, il plafond
disponibile all’inizio dell’anno è pari al plafond che sarebbe
risultato disponibile per il mese di gennaio se si fosse mantenuto
il metodo mobile (RM n. 77 del 6 marzo 2002).
Momento di utilizzo del plafond
•
Non coincide con il momento in cui vengono annotate nei
registri le fatture passive o le bollette di importazione,
bensì il plafond si considera utilizzato nel momento di
effettuazione degli acquisti ed importazioni ai sensi
dell’art. 6 del DPR n. 633/72.
Variazioni del plafond*
Può variare a seguito di note di debito e/o di
credito emesse dall’esportatore abituale anche
in anni successivi a quello di formazione del
plafond.
* Circolare Agenzia delle Dogane 8/D del 27 febbraio 2003
Note di debito
a)
b)
c)
Se emesse nello stesso anno di effettuazione
dell’operazione principale, incrementano il plafond in
corso di formazione in quell’anno;
se emesse nell’anno successivo, incrementano il
plafond formatosi nell’anno di effettuazione
dell’operazione principale (quindi quello dell’anno
precedente);
se emesse in anni ancora successivi, incrementano il
plafond formatosi nell’anno in cui è stata effettuata
l’operazione principale che però non è più
utilizzabile. Non si produce in questo caso nessun
aumento di plafond.
Note di credito
Se emesse (anche fuori campo IVA) nello stesso anno di
effettuazione dell’operazione principale, riducono il
plafond in corso di formazione in quell’anno;
b) se emesse (anche fuori campo IVA) nell’anno successivo,
diminuiscono il plafond formatosi nell’anno precedente,
cioè quello di effettuazione dell’operazione principale;
c) se emesse in anni ancora successivi, sono imputate a
decremento del plafond formatosi nell’anno in cui è stata
effettuata l’operazione principale.
a)
La dichiarazione Iva 2007 (anno d’imposta 2006): Il
quadro VC
È un prospetto in cui vanno indicati i dati relativi
all’utilizzazione del plafond nei singoli mesi dell’anno
2006, oltre a quelli riguardanti la formazione del plafond
creatosi nello stesso anno e utilizzabile nell’anno
successivo.
• È suddiviso in 12 righi (da VC 1 a VC 12), rappresentativi
dei 12 mesi dell’anno, e in 6 colonne: le colonne 5 e 6
devono essere compilate solo da chi nel 2006 ha adottato il
metodo mobile. Nel rigo VC 13 vanno riportati, in
relazione a ciascuna colonna, i totali dei dati riportati nei
singoli righi.
• Al rigo VC 14, campo 1, si indica il plafond disponibile al
1° gennaio 2006 e poi si barra la casella 2 o 3 a seconda del
metodo adottato nel 2006 (plafond fisso o mobile).
•
Sanzioni
Sono disciplinate dai commi 3 e 4 dell’art. 7 del D.Lgs. n.
471/97.
• Chi emette fatture senza applicazione dell’Iva, in assenza
della dichiarazione di intento, è soggetto ad una sanzione
compresa tra il 100 e il 200% dell’imposta non applicata in
fattura, oltre ad essere tenuto al versamento dell’imposta
stessa (comma 3).
• Chi rilascia una dichiarazione di intento senza essere in
possesso della qualifica di “esportatore abituale” è l’unico
responsabile del mancato pagamento dell’Iva ed è punito
con una sanzione che varia dal 100 al 200% dell’imposta
(commi 3 e 4).
•
Lo splafonamento
Si ha quando si impiega il plafond oltre i limiti
consentiti (comma 4 del D.Lgs. n. 471/97).
• La sanzione prevista oscilla dal 100 al 200%
dell’imposta evasa ed è a carico dell’esportatore
abituale. È possibile sanare spontaneamente la
violazione tramite il ravvedimento operoso (art. 13
del D.Lgs. n. 472/97) entro il termine della
presentazione della dichiarazione Iva relativa
all’anno in cui è stata commessa. Il ravvedimento è
percorribile sia che lo splafonamento si riferisca ad
acquisti interni che ad importazioni.
•
Lo splafonamento (segue)
•
Per lo splafonamento presso fornitori nazionali, è
possibile
regolarizzare
spontaneamente
la
violazione commessa secondo 2 procedure
alternative:
a. l’emissione di una nota di debito da parte del
fornitore;
b. l’emissione
di
un’autofattura
da
parte
dell’esportatore abituale.
Emissione di una nota di debito
•
Il fornitore emette una fattura integrativa per l’Iva
originariamente non applicata e la annota nel
registro delle vendite. L’esportatore abituale annota
poi la fattura ricevuta nel registro degli acquisti e
detrae così l’Iva. Contestualmente versa con l’F24 la
sanzione ridotta, pari al 20% dell’imposta, con il
codice 8904, nonché gli interessi maturati a
decorrere dal giorno in cui è stata commessa la
violazione.
Emissione dell’autofattura
•
L’esportatore
contenente:
1)
2)
3)
•
abituale
emette
un’autofattura
in
duplice
copia
i dati di ciascun fornitore o prestatore;
il numero di protocollo attributo alle fatture ricevute e, per ciascuna di esse,
l’ammontare eccedente il plafond;
l’imposta che avrebbe dovuto essere addebitata nelle singole fatture.
Poi l’autofattura va presentata al competente ufficio delle Entrate che
restituisce una copia per consentire l’annotazione negli acquisti e la
detrazione dell’Iva. L’imposta, che a suo tempo non è stata assolta, va
versata, unitamente agli interessi di mora, calcolati dal giorno in cui è
stata commessa la violazione, con l’F24 indicando il codice tributo
relativo al periodo in cui è stato effettuato l’acquisto agevolato. Deve
essere versata contestualmente anche la sanzione ridotta, pari al 20%
dell’Iva, con il codice 8904. L’imposta e gli interessi possono in
alternativa essere contabilizzati nella liquidazione periodica.
Lo splafonamento in dogana
•
Con la circolare n. 23/99, è stato precisato che il
ravvedimento è praticabile anche per il
superamento del plafond in occasione di
un’importazione. Per la regolarizzazione spontanea,
non valgono le procedure descritte con riferimento
agli acquisti interni, ma è necessario interpellare
direttamente la Dogana interessata.
Aspetti sanzionatori riguardanti la
comunicazione telematica
•
•
In caso di invio oltre i termini o con dati incompleti o inesatti, è
ammesso l’istituto del ravvedimento.
In base al comma 4-bis dell’art. 7 del D.Lgs. n. 471/97, se si omette
di presentare la comunicazione telematica entro i termini
prescritti o la si presenta con dati incompleti o inesatti, è
applicabile la sanzione dal 100 al 200% dell’imposta non
addebitata in fattura. Con la circolare n. 10 del 16 marzo 2005, al
quesito 9.6, si è affermato che la sanzione si applica comunque
anche se le forniture senza applicazione dell’Iva sono state
effettuate nei confronti di un soggetto che effettivamente gode
dello status di “esportatore abituale”.
Ulteriori sanzioni previste
•
Nell’ipotesi in cui non risultino ancora emesse
fatture in regime di non imponibilità, al quesito 9.3
della circolare n. 10/2005, l’Agenzia ha precisato che
l’omessa presentazione o la trasmissione con dati
incompleti o inesatti è punita con una sanzione
compresa tra 258 e 2.065 euro, in base a quanto
disposto dall’art. 11, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n.
471/97, mancando l’operazione su cui avrebbe
dovuto gravare il tributo.
Ulteriori sanzioni previste (segue)
•
La Finanziaria 2005 ha poi previsto, al comma 384 dell’art. 1,
che, nel caso in cui si trasmetti la comunicazione in ritardo o
con dati incompleti o inesatti e la dichiarazione di intento
risulti essere infedele (in quanto il dichiarante ad esempio
non è in possesso dello status di “esportatore abituale” o a
causa dell’utilizzo del plafond oltre i limiti), il fornitore è
responsabile in via solidale con il proprio cliente per
l’imposta evasa. Nell’ambito della circolare n° 10, al punto
9.4, le Entrate hanno affermato che la responsabilità solidale
non scatta qualora le forniture agevolate non abbiano dato
luogo ad un utilizzo irregolare del plafond, cioè nel caso in
cui il dichiarante risulti effettivamente in possesso dello
status di “esportatore abituale” e gli acquisti non eccedano il
plafond disponibile.
Operazioni straordinarie
•
Il diritto ad acquistare beni e servizi in
sospensione di imposta può essere trasferito
nel caso di:
affitto d’azienda;
B) fusioni e scissioni;
C) cessione o conferimento d’azienda.
A)
A) Affitto d’azienda
•
•
Secondo l’art. 8, comma 4, del DPR n. 633/72, il
plafond si trasferisce all’affittuario a condizione che
il trasferimento del plafond sia espressamente
previsto nel contratto di affitto.
L’avvenuto trasferimento del plafond deve essere
poi comunicato, entro 30 giorni, all’Ufficio delle
Entrate mediante raccomandata. Considerato però
che il trasferimento deve essere segnalato nella
comunicazione di variazione dati, si ritiene che tale
adempimento supplisca l’invio della raccomandata.
B) Fusioni e scissioni
•
•
•
Con diverse risoluzioni, il Ministero delle Finanze ha
precisato che la società incorporante o risultante dalla
fusione, subentrando in tutti i rapporti giuridici attivi
e passivi della società che si estingue, eredita anche il
relativo plafond.
In tema di scissione, con l’art. 16, comma 11, lett. d)
della legge 537/93, la beneficiaria acquisisce il diritto
ad acquistare ed importare senza pagamento dell’Iva
maturato in capo alla scissa.
In ambedue i casi, il trasferimento del plafond si
segnala nel modello di variazione dati (Mod. AA7/8),
entro 30 giorni dall’efficacia dell’operazione.
C) Cessione o conferimento d’azienda
•
•
•
In caso di cessione di ramo d’azienda, è possibile
trasferire il plafond a condizione che il cessionario
subentri nei rapporti giuridici attivi e passivi del
cedente e ciò venga specificato nell’atto di cessione
(RM n. 16 del 15 gennaio 1996).
Alle stesse condizioni avviene il trasferimento del
plafond nel caso di conferimento d’azienda (RM n.
621099 del 4 luglio 1989).
È sempre necessario comunicare il trasferimento
tramite la comunicazione di variazione dati.
Operazioni con San
Marino
Concetti introduttivi
La disciplina agli effetti dell’IVA dei rapporti tra
l’Italia e la Repubblica di San Marino è regolata
dall’art. 71 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e,
da ultimo, dal D.M. 24 dicembre 1993, entrato in
vigore il 1° gennaio 1994.
Cessioni da parte di soggetto passivo italiano
verso soggetti passivi di imposta sanmarinesi
Le cessioni di beni ad operatori sanmarinesi, eseguite mediante trasporto o consegna di beni
verso la Repubblica di San Marino, sono considerate assimilate alle esportazioni per espresso
rinvio normativo all’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972. Agli effetti IVA le operazioni in argomento
beneficiano, pertanto, della non imponibilità, applicabile anche ai servizi connessi che, per rinvio
all’art. 9, sono equiparati ai servizi internazionali.
L’applicabilità delle disposizioni di cui agli artt. 8 e 9 del D.P.R. n. 633/1972 e, quindi, la non
imponibilità delle operazioni in argomento, è subordinata alla prova, da parte dell’operatore
economico italiano, dell’avvenuta introduzione dei beni nello Stato sanmarinese.
Attenzione: nei rapporti commerciali con San Marino, il regime della non imponibilità Iva si ispira
alle regole che disciplinano gli scambi intracomunitari; conseguentemente, nelle cessioni di beni
effettuate nei confronti di residenti sanmarinesi, è necessario distinguere le vendite effettuate a
favore di operatori economici, da quelle realizzate nei confronti di privati o soggetti a essi
assimilati. Detto regime, previsto per gli scambi italo-sanmarinesi dal decreto ministeriale 24
dicembre 1993, può essere applicato, infatti, solo alle cessioni di beni materialmente inviati a
San Marino a operatori economici di questo Stato.
Pertanto, il primo problema che un operatore nazionale deve affrontare nel vendere beni a
operatori sanmarinesi è quello di richiedere il codice identificativo (composto di cinque cifre
precedute dal prefisso SM) e, laddove questo non venisse fornito, l'acquirente deve essere
sempre parificato a un privato. In questo caso l'operazione deve essere assoggettata a imposta
indipendentemente dal fatto che la merce sia fisicamente esportata nello Stato di San Marino.
Cessioni da parte di soggetto passivo italiano
verso soggetti passivi di imposta sanmarinesi
Per le vendite effettuate dagli operatori italiani mediante consegna, spedizione o trasporto di beni nel territorio di San Marino deve essere emessa
regolare fattura in 4 copie e nei corretti termini stabiliti dall'art. 21 del DPR n. 633/72.
Attenzione: Una copia verrà trattenuta dal cedente italiano mentre le rimanenti tre copie saranno consegnate o spedite al cessionario
sanmarinese il quale ne restituirà una copia munita della marca "originale" e del timbro a secco apposti dall'Ufficio Tributario di San Marino.
La merce in questione viaggia accompagnata da apposito DDT (documento di trasporto) in tre copie (una copia rimane archiviata con la fattura dal
cedente italiano). Nel caso di spedizione a mezzo servizio postale si può evitare di stampare la terza copia per lo spedizioniere.
Attenzione: Per le merci in entrata e in uscita da San Marino è d’obbligo l’emissione del documento di trasporto.
Ai fini IVA per l'ottenimento dei requisiti di non imponibilità è necessario che:
-nella fattura siano indicati i numeri di partita IVA nel formato europeo, ovvero anteponendo il prefisso "IT" prima delle 11 cifre del numero di
partita IVA per il cedente italiano ed anteponendo il prefisso "SM" prima delle 5 cifre del numero IVA per il cessionario di San Marino;
-la fattura deve indicare il titolo di non imponibilità IVA (art. 71, DPR 633/1972);
-il cedente italiano sia tornato in possesso della fattura sulla quale l'ufficio tributario di San Marino ha apposto le marche ed i timbri dell'ufficio con
il numero progressivo e la data della marca. Questo esemplare della fattura andrà conservato assieme al DDT (documento di trasporto) ed alla
prima fattura. Trascorsi 4 mesi senza che il cedente italiano abbia avuto di ritorno l'esemplare della fattura originaria, con apposte le marche ed i
timbri, deve darne comunicazione all'Ufficio Tributario di San Marino e, per conoscenza, al proprio Ufficio IVA (al riguardo si veda l’esempio di
seguito proposto);
-- i soggetti che effettuano cessioni intracomunitarie sono tenuti a compilare e presentare gli elenchi INTRASTAT (mod. INTRA-1) per la sola parte
fiscale.
o
Relativamente alla compilazione degli elenchi riepilogativi occorre ricordare che:
- se l’operatore nazionale effettua esclusivamente cessioni verso San Marino (e nel territorio nazionale), non è tenuto alla presentazione degli
elenchi INTRA;
- se l’operatore nazionale effettua cessioni verso San Marino ed acquista beni comunitari, non è tenuto alla presentazione degli elenchi INTRA; se
l’operatore nazionale effettua cessioni verso San Marino ed anche verso altri paesi UE, è tenuto a presentare il mod. INTRA-1, anche se nel
mese/trimestre ha effettuato solo cessioni verso San Marino.
Cessioni da parte di soggetto passivo italiano
verso soggetti passivi di imposta sanmarinesi
Esempio: comunicazione all’Ufficio Tributario di San Marino (da spedire con raccomandata a/r allo scopo di averne la prova)
Spett.le
Ufficio Tributario
Via 28 Luglio, 212
47893 Borgo Maggiore
Rep. San Marino
c/c Agenzia delle Entrate
Ufficio di …………….
Il sottoscritto Franco Rossi in qualità di legale rappresentante della società “Sisma s.r.l.” con sede a Trento,
Via S. Marco 2, codice fiscale e partita IVA XXXXXXX,
COMUNICA
che in data 01 gennaio 2011 ha emesso fattura n. 1 nei confronti della società “Alfa” con sede nella
Repubblica di San Marino, Via Vespucci, codice identificativo SM 33333, per un importo complessivo di
Euro 40.000,00, operazione non imponibile IVA ai sensi dell’art. 71 del DPR n. 633/1972.
Ai sensi dell’art. 5, D.M. 24 dicembre 1993, si comunica che sono trascorsi quattro mesi dalla cessione dei
beni di cui alla suddetta fattura n. 1 e che la scrivente società non ha ancora ricevuto la copia della fattura
con la marca debitamente perforata applicata da codesto spettabile Ufficio Tributario.
Saluti.
Trento, li 10 maggio 2011
Timbro e firma
Acquisto da San Marino
A seguito di un’importazione in Italia di beni provenienti dalla Repubblica di San Marino, il
cessionario nazionale, soggetto passivo d’imposta, potrebbe ricevere:
a) fattura con addebito di IVA;
b) fattura senza addebito di IVA.
Nel primo caso, l’IVA è già versata dall’operatore sanmarinese, nel secondo caso, l’IVA dovrà
essere assolta dall’operatore italiano tramite l’emissione di autofattura ex art. 17, secondo
comma, del D.P.R. n. 633/1972.
Le due modalità operative, cessione con addebito di IVA o cessione senza addebito di IVA,
possono essere scelte indifferentemente, previo accordo con i contraenti.
Adempimenti da osservare e contabilizzazione
delle fatture d’acquisto
Di seguito, vengono esposti gli adempimenti che il cedente sanmarinese e l’acquirente italiano
sono tenuti ad osservare nelle due differenti ipotesi.
Fattura senza addebito di IVA
In questo caso l’IVA viene liquidata dall’operatore nazionale mediante emissione di autofattura
(ex art. 17, c. 2, DPR 633/1972).
Al ricevimento della fattura (emessa senza applicazione dell’IVA dal cedente sanmarinese e
vidimata dall’Ufficio tributario della Repubblica di San Marino) occorre:
corrispondere l’IVA emettendo autofattura ai sensi dell’art. 17, secondo comma, del D.P.R.
n. 633/1972;
l’autofattura rispettivamente nel registro IVA acquisti e IVA vendite;
comunicare le avvenute annotazioni al proprio Ufficio locale dell’Agenzia delle entrate, entro
cinque giorni, ovvero entro i termini previsti per le liquidazioni periodiche relative al mese o al
trimestre in cui sono state annotate le fatture (in caso detto termine, stabilito dalla C.M. 20 aprile
1973, n. 30/510542, non venisse rispettato, non sono previste specifiche sanzioni).
Adempimenti da osservare e contabilizzazione
delle fatture d’acquisto
Esempio: comunicazione all’Ufficio dell’Agenzia delle entrate territorialmente competente (da
spedire con raccomandata a/r allo scopo di averne la prova)
Spett.le
Agenzia delle Entrate
Ufficio….
Oggetto: Comunicazione di registrazione delle fatture di acquisto emesse senza addebito IVA da operatori
economici sanmarinesi.
Il sottoscritto Franco Rossi in qualità di legale rappresentante della società “Sisma s.r.l.” con sede a Trento,
Via S. Marco 2, codice fiscale e partita IVA XXXXXXX,
PREMESSO
di aver effettuato in data 1° gennaio 2011 acquisti di beni di cui al DDT n. 123 emesso dalla società “Alfa”
con sede nella Repubblica di San Marino, Via Vespucci, codice identificativo SM 33333,
COMUNICA
ai sensi di quanto previsto dall’art. 16, lett. c), D.M. 24.12.1993, di aver provveduto ad annotare la fattura
emessa senza addebito d’imposta, dopo le integrazioni previste dall’art. 16, lett. a), D.M. 24.12.1993, nel
registro delle fatture emesse al n. progressivo annuale ……. e nel registro degli acquisti al n. progressivo
annuale ……. .
Saluti
Trento, li 5 gennaio 2011
Timbro e firma
Adempimenti da osservare e contabilizzazione
delle fatture d’acquisto
Invece, gli operatori sanmarinesi i quali cedono beni a operatori economici italiani, emettendo
fattura senza addebito di IVA, sono tenuti a:
emettere fattura in tre esemplari, indicando sia il proprio numero identificativo (SM + 5
cifre) sia il numero di partita IVA del cessionario italiano;
presentare al proprio Ufficio tributario le tre fatture accompagnate da un elenco
riepilogativo in tre copie;
trasmettere un esemplare della fattura restituito dall’Ufficio tributario, all’acquirente
italiano.
L’Ufficio tributario appone sulle fatture ricevute timbro a secco circolare e restituisce due
esemplari delle fatture al cedente sanmarinese, il quale invia o consegna uno degli esemplari
all’acquirente italiano.
Adempimenti da osservare e contabilizzazione
delle fatture d’acquisto
Fattura con addebito di IVA
In questo caso, l’IVA, esposta in fattura, viene versata dal cedente sanmarinese all’Ufficio tributario della Repubblica di San
Marino (che ha sua volta la riversa all’Agenzia delle Entrate di Pesaro).
Gli adempimenti in capo all’acquirente nazionale:
1)
annotazione della fattura di acquisto (emessa con IVA esposta e vidimata dall’Ufficio tributario della Repubblica di San
Marino) nel registro IVA acquisti;
2)
detrazione dell’imposta (nei limiti oggettivi e soggettivi dell’art. 19, DPR 633/1972).
Invece, l’operatore sanmarinese è tenuto a:
emettere fattura in quattro esemplari, indicando il proprio numero identificativo e il numero di partita IVA del
cessionario italiano;
indicare sulla fattura l’ammontare dell’IVA dovuta dal cessionario in correlazione al tipo di beni ceduti (si applica
l’aliquota IVA in vigore a San Marino, aliquota che in linea di massima trova corrispondenza in Italia);
presentare al proprio Ufficio tributario i quattro esemplari della fattura accompagnate da un elenco di presentazione
riepilogativo anch’esso in quattro esemplari;
consegnare all’Ufficio tributario la somma corrispondente all’ammontare dell’IVA risultante dall’elenco di
presentazione;
trasmettere la fattura originale, perforata e timbrata, restituita dall’Ufficio tributario sanmarinese al cessionario
italiano.
Adempimenti da osservare e contabilizzazione
delle fatture d’acquisto
Resi merce
Secondo la R.M. 5 maggio 1982, n. 3903435, l’operatore italiano per i resi di merce dovrebbe
emettere fattura di cessione merci,non imponibile ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972
unitamente al relativo documento di trasporto.
Beni ricevuti in conto lavorazione
I passaggi dei beni ricevuti in conto lavorazione sono regolati dalla C.M. 20 aprile 1973, n.
30/510542, le cui indicazioni devono ritenersi ancora valide.
I beni inviati a scopo di lavorazione in Italia da operatori sanmarinesi debbono essere annotati da
coloro che eseguono la lavorazione in apposito registro debitamente numerato e bollato, ai sensi
dell’art. 39 del D.P.R. n. 633/1973. Tale annotazione va effettuata sulla scorta di apposita nota di
accompagnamento, emessa dal committente con l’indicazione della natura e quantità dei beni in
questione,debitamente vidimata dall’Ufficio tributario della Repubblica di San Marino.
Attenzione: In fattura troverà indicazione il corrispettivo della lavorazione: tale importo risulterà
non imponibile IVA ai sensi dell’art. 9, primo comma, n. 9, del D.P.R. n. 633/19736. L’operatore
italiano deve quindi emettere fattura per la lavorazione con l’indicazione del corrispettivo e
l’indicazione della norma di non imponibilità, utilizzando ad esempio la dicitura “importo non
imponibile ai sensi dell’art. 9, primo comma,n. 9 del D.P.R. n. 633/1973”. La fattura va emessa in
duplice esemplare, il duplo, vistato dall’Ufficio tributario della Repubblica di San Marino,
costituirà la prova dell’avvenuta reintroduzione dei beni nel territorio sanmarinese.