Variazioni in diminuzione
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Variazioni in diminuzione
MASTER IVA MYSOLUTION 2014 - CATANIA Note di variazione, ricevuta fiscale, scontrino, importazioni ed esportazioni a cura del dott. Stefano Setti CATANIA, 6 FEBBRAIO 2014 Le note di variazione (art. 26 del DPR n. 633/1972) Concetti introduttivi Il Decreto IVA prende in considerazione il caso in cui, successivamente all’emissione o alla registrazione della fattura, l’importo della base imponibile oppure quello dell’imposta venga ad aumentare o a diminuire rispetto a quanto fatturato. Le disposizioni contenute all’interno dell’art. 26 del DPR n. 633 del 1972, disciplinano distintamente (e diversamente) le ipotesi della rettifica in aumento e in diminuzione. Prima di analizzarle, è opportuno ricordare che i documenti rettificativi, ossia le c.d. note di variazione, devono essere emessi con la stessa aliquota d’imposta a suo tempo applicata, anche se modificata successivamente all’effettuazione dell’operazione. In considerazione di ciò, le istruzioni di compilazione della dichiarazione annuale forniscono indicazioni per l’eventualità in cui il contribuente abbia emesso o ricevuto, nel corso del periodo d’imposta, note di variazione riportanti un’aliquota non in vigore, e dunque non presente nel modello. In prima battuta si ricorda, inoltre, che ai sensi dell’articolo 26 del DPR n. 633/1972, la nota di variazione deve essere emessa quando, dopo l’emissione della fattura o la sua registrazione, si verificano delle circostanze tali da determinare una variazione (in aumento o in diminuzione ) di quanto fatturato o registrato, ad esempio nei seguenti casi: a) quando viene riscontrato un errore nell’aliquota Iva applicata, o nella base imponibile oppure nell’imposta; b) quando viene concesso uno sconto o un abbuono; c) quando si verifica un fatto che rende nulla l’operazione, ad esempio la rescissione o l’annullamento del contratto. La nota di variazione (di addebito o di accredito) ha gli stessi requisiti della fattura e deve essere dotata di propria numerazione progressiva per anno solare. La nota di variazione deve essere emessa, con riferimento all’originaria fattura, per la differenza dell’importo risultante errato o concesso a titolo di sconto, ecc. Variazioni in aumento – nota debito In caso di variazione in aumento dell’imponibile o dell’imposta, il cedente o prestatore deve emettere un’apposita fattura integrativa (nota di addebito) per il maggior ammontare dell’IVA dovuta, numerarla progressivamente e registrarla nel registro delle fatture emesse . L’acquirente o il committente, quando la riceve, deve registrarla nel registro IVA degli acquisti. Se l’operazione alla quale si riferisce la variazione non è soggetta all’obbligo di fatturazione, in quanto cessione al dettaglio, è sufficiente annotare la variazione nel registro dei corrispettivi. Quindi, il soggetto che ha effettuato l’operazione deve emettere una fattura integrativa, oppure una nota di addebito, in relazione al maggior tributo dovuto sull’operazione, inviandola alla controparte; per tale adempimento non sono posti limiti temporali. L’obbligo va osservato indipendentemente dalla causa della variazione (errore di fatturazione, accordo sopravvenuto ecc.), fermo restando che se la causa risiede in una irregolarità della fatturazione originaria, possono rendersi applicabili, sia a carico del cedente/prestatore sia a carico del cessionario/committente, le sanzioni di legge; in tal caso, naturalmente, tornerà applicabile anche la disciplina sul cd. ravvedimento operoso di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 472/97. In proposito, da alcune pronunce di prassi si evince che le sanzioni non sono applicabili nel caso in cui la fattura integrativa (o la nota di addebito) venga emessa prima della constatazione della violazione da parte degli organi competenti (in tal senso, per esempio, le risoluzioni n. 363180 del 28/7/79 e n. 503269 del 16/12/75). Tale risalente orientamento, invero, non appare né motivato né condivisibile, sembrando più corretto ritenere che la sanzione sia applicabile qualora il fatto (ossia l’irregolarità della fattura originaria) costituisca violazione punibile secondo i principi dell’ordinamento sanzionatorio tributario non penale, codificati nel D.Lgs n. 472/97. Si ricorda, inoltre, che il documento emesso ai sensi dell’art. 26, primo comma, deve essere registrato nel registro delle fatture emesse. È opportuno precisare che se la variazione in aumento si verifica prima che la fattura sia stata emessa (ad es. fattura compilata ma non ancora consegnata o spedita) non è necessario emettere un’apposita fattura integrativa, ma la fattura può essere annullata e sostituita con un’altra fattura regolare (C.M. 9 settembre 1975, n. 28). Variazioni in aumento – nota debito La procedura di variazione in aumento, con emissione di nota di addebito (fattura integrativa), deve essere effettuata per regolarizzare, ad esempio, le seguenti situazioni: -E’ stata applicata l’IVA con aliquota inferiore a quella prevista dalla legge (R.M. 11 marzo 1976, n. 502716; R.M. 23 dicembre 1975, n. 503576), ad esempio se i corrispettivi dell’appalto relativo alla realizzazione di un’opera di urbanizzazione sono stati assoggettati all’aliquota Iva del 10%, mentre l’opera ultimata non rientra nell’elenco tassativo di cui all’articolo 4 della L. 29 settembre 1964, n. 847, come integrato dall’articolo 44 della L. 22.10.1971, n. 865 e deve essere applicata l’aliquota del 20%; -nella fattura non sono state comprese tutte le operazioni per le quali si è verificato il presupposto impositivo (R.M. 23 luglio 1975, n. 501355); -per mancata applicazione dell’IVA su operazioni che erano soggette (R.M. 12 marzo 1976, n. 504011; R.M. 21 maggio 1979, n. 362750); -quando lo sconto concesso nella fattura originaria viene meno, ad esempio se il debitore non rispetta i termini di pagamento a cui lo sconto era collegato (R.M. 30 giugno 1975, n. 501171). Variazioni in aumento – nota debito Quesito Un’azienda non ha assoggettato ad Iva, per alcuni disguidi, un’operazione soggetta a tale tributo. Si vorrebbe sapere se sia possibile ricorrere alla procedura di cui all’art. 26, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, regolarizzando la posizione dell’azienda tramite la variazione in aumento prevista dalla citata norma. Per effetto delle disposizioni contenute nell’art. 26, comma 1, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, occorre operare una variazione in aumento dell’imponibile e dell’imposta tutte le volte che, successivamente alla emissione della fattura o alla registrazione di cui ai precedenti artt. 23 e 24, l’ammontare imponibile di un’operazione e quello della relativa imposta viene ad aumentare per qualsiasi motivo, compresa la rettifica di inesattezze della fatturazione o della registrazione. In merito, con risoluzione n. 504011 del 12 marzo 1976, è stato precisato che la procedura di variazione in aumento in esame si rende applicabile non soltanto tutte le volte che, successivamente all’emissione della fattura o alla registrazione, l’ammontare imponibile di un’operazione e quello della relativa imposta viene ad aumentare per qualsiasi motivo, ma “anche quando l’ammontare di un’operazione non sia stato assoggettato all’imposta”. Variazioni in diminuzione – nota credito Come precisato dalla Circolare n. 177 del 2000, le variazioni in diminuzione hanno carattere facoltativo e, le condizioni per procedere, sono specificatamente individuate dall’articolo 26, comma 2, DPR n. 633/72. Il legislatore ha previsto non solo alcuni eventi specifici, ma ha anche introdotto un limite temporale (un anno) entro il quale l’operatore può procedere alla diminuzione dell’imponibile (e della relativa imposta), a meno che gli eventi non soggiacciano ad accordi preventivi o siano indipendenti dalla volontà degli attori. Quindi, diversamente dalle variazioni in aumento, quelle che comportano una riduzione dell’imponibile o dell’imposta (variazioni in diminuzione) sono facoltative, non avendo l’erario interesse a che esse vengano operate . Come già anticipato, la legge distingue l’ipotesi in cui la variazione discenda da una causa già prevista negli originari accordi negoziali (art. 26, secondo comma), da quella in cui discenda, invece, da sopravvenuto accordo tra le parti (art. 26, terzo comma), subordinando in tale seconda ipotesi la possibilità di operare la variazione a un limite temporale (pari a un anno). Sulla base di quanto sopra si analizzeranno nel dettaglio le variazioni in diminuzione “senza limiti temporali” e quelle “con limite temporale”. Variazioni in diminuzione – nota credito (senza limiti temporali) Secondo quanto disposto dal 2° comma dell’art. 26 del DPR n. 633/1972, le variazioni in diminuzione possono essere operate senza limiti di tempo (quindi anche oltre un anno), se l’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione, viene meno in tutto o in parte, ovvero se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di: dichiarazione di nullità , annullamento , revoca, risoluzione, rescissione o simili. Il riferimento alla “dichiarazione” di nullità, annullamento, ecc., non va inteso in senso categorico. L’Agenzia delle entrate, con risoluzione n. 449 del 21/11/2008, ha infatti precisato che, in conformità all’orientamento della corte di cassazione, si deve ritenere che il provvedimento dichiarativo è riferito solo all’ipotesi dell’accertamento della nullità dell’atto imponibile, e non anche alle diverse ulteriori cause di caducazione degli effetti dell’atto (annullamento, revoca, rescissione, risoluzione e simili). Al verificarsi di una causa di estinzione di un contratto in relazione alla quale il cedente o il prestatore abbia già emesso fattura, pertanto, il soggetto ha diritto di emettere la nota di variazione e di detrarre l’imposta, a norma dell’articolo 26, secondo comma, senza che occorra un formale atto di accertamento (negoziale o giudiziale) del verificarsi della causa. Ciò che conta, non è la modalità con cui si manifesta la causa della variazione dell’imponibile, quanto piuttosto che della variazione e della sua causa si effettui la registrazione ai sensi degli articoli 23, 24 e 25 del DPR n. 633/1972 (sentenze n. 15696/2002, 5568/1996, 9195/2001); applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente. In tutti i casi di applicazione di abbuoni, sconti o premi previsti contrattualmente, che comportino variazioni in diminuzione dell’ammontare imponibile risultante dalla fattura emessa e registrata (a tal proposito non si può parlare, per definizione, di operazione che viene meno in parte, poiché non ricorre alcuna ipotesi di risoluzione parziale della cessione originaria), il cedente ha diritto di portare in detrazione l’imposta corrispondente alla variazione (ammontare dell’abbuono o sconto), emettendo c.d. nota di accredito recante l’importo dell’abbuono o sconto e l’ammontare della corrispondente imposta calcolata con la stessa aliquota applicata all’operazione principale. Secondo la previsione dell’art. 26 del DPR n. 633/1972 è importante osservare come sorgano correlati obblighi in capo al “cessionario-cliente” soltanto nel caso in cui il cedente eserciti il proprio diritto alla detrazione dell’imposta corrispondente alla variazione: se ciò non avviene, l’operazione rimane definitivamente acquisita nei termini fatturati. La disposizione, viceversa, non autorizza, né obbliga il cessionario-cliente ad assumere l’iniziativa, uguale e contraria, dell’emissione di una nota di addebito e, pertanto, il suo comportamento non potrebbe mai determinare l’insorgenza di un diritto a detrazione in capo al cedente. In altri termini, va chiaramente ribadito come il cliente-cessionario non potrà mai di propria iniziativa emettere documenti attinenti i premi che comportino una detrazione in capo al cedente. Infine, è opportuno ricordare che la risoluzione ministeriale n. 120 del 17 settembre 2004 ha chiarito che è possibile procedere alle variazioni in diminuzione senza limiti temporali anche per i premi in denaro erogati dal produttore dei beni al concessionario rivenditore, in relazione al raggiungimento di un determinato volume di acquisti. Tali premi consistono sostanzialmente nella riduzione del prezzo originario della cessione e sono, pertanto, assoggettabili alla disciplina prevista per gli sconti, premi e abbuoni previsti contrattualmente; Variazioni in diminuzione – nota credito (senza limiti temporali) - variazioni dell’IVA per specifiche disposizioni di legge. Risulta possibile utilizzare le variazioni in diminuzione dell’imposta, senza alcun limite temporale, anche in specifiche casistiche in cui una legge riduce l’aliquota dell’imposta per determinate operazioni ed estende l’efficacia delle nuove aliquote ad un periodo pregresso. Al riguardo si segnala che secondo quanto disposto dalla risoluzione n. 106 del 21 maggio 2007, è consentita la variazione d’imposta, anche oltre il limite temporale di un anno, nel caso in cui il contribuente abbia applicato una norma, contenuta in un decreto legge, che è stata poi soppressa dalla legge di conversione. Infine, con la risoluzione n. 212/E del 22 maggio 2008, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che, in caso di applicazione “retroattiva” di un’aliquota IVA più favorevole, la maggiore imposta versata all’Erario può essere recuperata (facoltativamente) dal fornitore attraverso lo strumento della nota di variazione in diminuzione, di cui all’art. 26, commi 2 e 3, del D.P.R. n. 633/1972; Variazioni in diminuzione – nota credito (senza limiti temporali) mancato pagamento, in tutto o in parte, a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose. La normativa comunitaria accorda agli stati membri la facoltà di consentire la riduzione dell’imponibile anche in caso di mancato pagamento del prezzo della cessione o della prestazione (art. 90, direttiva n. 112 del 2006). Di questa facoltà, tuttavia, non ha fatto uso il legislatore domestico, salvo che per l’ipotesi in cui il mancato pagamento, totale o parziale, dipenda da procedure concorsuali o procedure esecutive rimaste infruttuose. Chiarimenti in merito a tali ipotesi sono stati forniti dall’amministrazione finanziaria con le circolari 77 del 17/4/2000, ove è stato precisato che il presupposto per la riduzione si realizza, in via generale, quando il soddisfacimento del creditore viene meno per insussistenza di somme disponibili. Ciò si verifica, a seconda della procedura concorsuale, nei seguenti momenti: i) fallimento, si fa riferimento alla scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto o, in mancanza di piano di riparto, alla scadenza del termine per il reclamo al decreto di chiusura del fallimento; ii) liquidazione coatta amministrativa, occorre aver riguardo al decorso dei termini indicati nell’art. 213 della l.f.; iii) concordato fallimentare, rileva il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato stesso, atteso che solo da tale momento discendono in modo definitivo gli effetti sia sostanziali che processuali del concordato; iv) concordato preventivo, il presupposto della infruttuosità della procedura può verificarsi per i soli creditori chirografari, per la parte percentuale del loro credito che non trova accoglimento con la chiusura del concordato; in tale ambito, occorre aver riguardo, oltre che alla sentenza di omologazione divenuta definitiva, anche al momento in cui il debitore concordatario adempie agli obblighi assunti in sede di concordato. L’amministrazione controllata e l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi non rientrano tra le procedure concorsuali legittimanti la riduzione dell’imponibile. Riguardo alle procedure esecutive rimaste infruttuose, con la predetta circolare è stato precisato che il presupposto legittimante la variazione in diminuzione viene a esistenza quando il credito non trova soddisfacimento attraverso la distribuzione delle somme ricavate dalla vendita dei beni dell’esecutato, ovvero quando sia stata accertata e documentata dagli organi della procedura l’insussistenza di beni da assoggettare all’esecuzione. È stato inoltre ritenuto che possono essere ricomprese nella previsione normativa anche le procedure esecutive degli obblighi di consegna o rilascio, a eccezione dei casi di prestazione sostitutiva, così come nell’ipotesi di “datio in solutum”, previa accettazione del creditore, prevista dall’art. 1197 c.c., o nel caso di “novazione oggettiva” ex art. 1230 c.c., o di “conversione del negozio nullo” ex art. 1424 c.c. Anche per tali procedure esecutive in forma specifica, l’infruttuosità, derivante dalla mancata consegna o rilascio del bene, dovrà essere accertata e documentata dall’autorità preposta alla procedura. Sussistendo i presupposti indicati, sorge per il cedente o prestatore il diritto potestativo di operare la rettifica in diminuzione, rettifica che dovrà essere operata sia riguardo all’imponibile che alla relativa imposta; qualora, poi, successivamente alla procedura esecutiva, collettiva o individuale, il cedente del bene o prestatore del servizio recuperi, in tutto o in parte, il credito in precedenza insoddisfatto, lo stesso dovrà provvedere a effettuare, in relazione all’importo recuperato, una variazione in aumento rettificativa di quella in diminuzione a suo tempo operata. In ordine agli adempimenti del destinatario della nota di variazione, con risoluzione n. 155 del 12/10/2001 è stato chiarito che il curatore deve solo procedere alla registrazione “per memoria” delle note di variazione ricevute, a seguito della ripartizione finale dell’attivo, dai creditori insoddisfatti, al fine di evidenziare il credito d’imposta che l’erario potrà eventualmente recuperare nel caso di un ritorno “in bonis” del fallito. Il curatore non dovrà pertanto includere il credito erariale nel riparto finale, oramai definitivo, né dovrà tenerne conto in sede di dichiarazioni periodiche o annuale. Analoga precisazione è stata fornita con risoluzione n. 161 del 17/10/2001 riguardo al debitore concordatario, in relazione alle note di variazione emesse dai creditori per la parte di credito rimasta insoddisfatta all’esito della procedura di concordato preventivo. Per quanto riguarda, poi, il termine per l’emissione della nota di variazione, con la risoluzione n. 89 del 18/3/2002 l’agenzia delle entrate ha ribadito che, come precisato con la circolare n. 77/2000, il documento può essere emesso senza alcun limite temporale; ha tuttavia aggiunto che il recupero dell’imposta da parte del creditore insoddisfatto è soggetto al termine di decadenza dell’art. 19, comma 1, del DPR n. 633/72, decorrente dal momento in cui è reso esecutivo il piano di riparto. Pertanto l’imposta può essere recuperata, al più tardi, entro il secondo anno successivo a quello in cui è stato reso esecutivo il piano di riparto. Questa limitazione, ribadita successivamente con riferimento ad altre situazioni del genere, non appare convincente, in quanto si fonda su un’opinabile assimilazione tra diritto alla detrazione e rettifica dell’imposta fatturata, desunta dalla disposizione del secondo comma dell’art. 26, in base alla quale il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di “portare in detrazione ai sensi dell’art. 19 l’imposta corrispondente alla variazione”. Tale argomentazione letterale è tuttavia indebolita dalla disposizione del successivo quinto comma, che consente il recupero dell’imposta, in alternativa, mediante apposita annotazione in rettifica nel registro delle operazioni attive; Variazioni in diminuzione – nota credito (senza limiti temporali) acquisto/costruzione “prima casa”, con la risoluzione ministeriale del 7.12.2000 n. 187/E, il Ministero delle Finanze ha chiarito l’eventuale variazione in diminuzione dell’aliquota Iva per sopravvenuti requisiti “prima casa”. Più precisamente è stato fatto presente che, se un contribuente non ha i requisiti per la “prima casa” al momento del contratto preliminare di compravendita di un immobile non di lusso o del versamento dell’acconto, può acquisirli successivamente. Anche se è decorso più di un anno dalla emissione della fattura dovuta in sede di contratto preliminare, il contribuente può chiedere l’applicazione dell’aliquota Iva “prima casa”, purché dimostri di possederli al momento della stipulazione del contratto definitivo di compravendita dell’immobile non di lusso. Quindi, sulla base di quanto sopra, anche in tale ipotesi è consentita l’emissione della nota di credito, senza il limite temporale di un anno, per la restituzione della differenza d’imposta all’acquirente o committente che, successivamente alla fatturazione degli acconti con aliquota Iva del 10%, sia venuto in possesso, all’atto del rogito di compravendita ovvero della consegna dell’abitazione, dei requisiti necessari per accedere all’aliquota agevolata del 4%; Variazioni in diminuzione – nota credito (senza limiti temporali) vendita per persona da nominare: la facoltà di nomina nelle operazioni di compravendita immobiliare può costare cara al contribuente che rischia di pagare più volte l’IVA. Ne sa qualcosa chi nel contratto preliminare preveda la clausola in cui si impegna ad acquistare per sé o per persona da nominare entro il rogito e si avvalga di questa facoltà dopo avere versato degli acconti. Infatti, se dalla data della fattura trascorrono più di 365 giorni, l’impresa cedente non emette nota di variazione nei confronti del primo promettente all’acquisto - che quindi rimane soggetto all’Iva - e allo stesso tempo applica al secondo acquirente nominato l’imposta sull’intero prezzo di cessione dell’immobile. In termini pratici, questo significa che se a un padre che stipula un preliminare subentra al momento del rogito ad esempio un figlio o la moglie, l’impresa cedente applica prima l’imposta sugli acconti e al momento della materiale redazione dell’atto quella sul prezzo stabilito per la vendita. Data la frequenza con cui questa clausola è inserita nei contratti di compravendita immobiliare e soprattutto del suo utilizzo ben si comprende l’entità del fenomeno su scala nazionale. Del resto solo in questo modo gli acquirenti possono “fermare” l’immobile riservandosi le opportune valutazioni per stabilire a chi intestarlo al momento del rogito. Ciononostante, alla questione il ministero delle Finanze ha dedicato una sola risoluzione (n. 400649 del 29 aprile 1986) che peraltro affronta l’argomento in termini poco puntuali. In questo contesto di estrema incertezza, assume particolare importanza la risposta dell’agenzia delle Entrate, Direzione regionale del l’Emilia Romagna, relativa a un interpello presentato da una società del settore edilizio (risoluzione n. 909-20845/2002 del 9 maggio 2002). La sua valenza, va però subito chiarito, è limitata territorialmente alla regione. È auspicabile perciò che i principi in essa enunciati vengano mutuati da altre direzione regionali o, meglio ancora, ripresi dall’agenzia delle Entrate. La Dre Emilia Romagna ha risposto all’interpello di una società che “svolge la propria attività nel settore edile immobiliare” la quale chiedeva di sapere se una volta esercitata la facoltà di nomina, sussistesse, ai sensi dell’articolo 26, secondo comma del DPR n. 633/1972, la possibilità di emettere note di variazione in diminuzione relative alla fatturazione degli acconti. Sulla base della precedente pronuncia, la società precisava nell’interpello che le clausole di “riserva di nomina del contraente” che intendeva inserire nei contratti preliminari di vendita immobiliare, avrebbero previsto la nomina entro un termine fisso, da individuare “facendo riferimento a un giorno fisso del calendario o, alternativamente, attraverso il riferimento a un giorno tassativamente compreso tra due giorni fissi del calendario”. La direzione, nel rispondere a questa richiesta di chiarimenti, ha riconosciuto come valide e conformi alle norme sul contratto per persona da nominare le clausole predisposte dalla società, quindi, ha confermato la tesi proposta dal contribuente. In più l’amministrazione ha affermato che nella fattispecie l’atto di nomina provoca nei confronti dello stipulante un effetto risolutivo-sostitutivo, con contestuale imputazione degli effetti del contratto in capo del committente eletto. “Lo strumento delle note di variazione di cui all’articolo 26, secondo comma del DPR n. 633/1972 consente di addivenire alla raffigurazione dell’effetto risolutivo e della definitiva imputazione soggettiva all’operazione, e tanto potrebbe inoltre essere avvalorato dall’ampia locuzione “e simili” contenuta nella norma”. In pratica, secondo la tesi della Direzione regionale delle entrate dell’Emilia Romagna, quando lo stipulante procede alla dichiarazione di nomina del cessionario, l’impresa cedente può emettere (è un suo diritto, non un obbligo), senza limite temporale, nota di variazione ai sensi dell’articolo 26 del DPR n. 633/1972, accreditando in capo allo stipulante le somme da quest’ultimo già corrisposte a titolo di acconto e contestualmente emettendo fattura per le stesse somme nei confronti del cessionario; Variazioni in diminuzione – nota credito (senza limiti temporali) - cambio del gestore di telefonia mobile, secondo quanto disposto dalla risoluzione ministeriale n. 329 del 21/10/2002, l’utente del servizio di telefonia mobile reso attraverso il sistema della carta prepagata che decide di passare ad altro gestore, ha diritto di conservare sia il numero telefonico che il credito residuo non utilizzato. Il precedente gestore, in relazione al trasferimento del credito al nuovo gestore, può annotare una corrispondente variazione in diminuzione, recuperando l’IVA a suo tempo assolta con il sistema monofase di cui all’art. 74, anche se è trascorso più di un anno dall’effettuazione dell’operazione. In tutti i casi sopra esaminati è consentito al cedente del bene o prestatore del servizio recuperare la maggiore imposta versata mediante emissione nei confronti del cessionario o committente di una apposita nota di credito, indipendentemente dal tempo trascorso tra l’effettuazione dell’operazione originaria e il suo venir meno. Vale infine la pena di ricordare che, anche se la variazione può essere effettuata senza limiti di tempo, il diritto alla detrazione dell’Iva può essere esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto per la variazione stessa. Variazioni in diminuzione – nota credito (con limite temporale) Secondo quanto disposto dal 3° comma dell’art. 26 del DPR n. 633/1972, se l’annullamento, la risoluzione, la riduzione, ecc. dell’operazione originaria dipende da accordo sopravvenuto tra le parti, la variazione in diminuzione ai fini Iva non può essere operata se è decorso più di un anno dal momento di effettuazione dell’operazione. Al riguardo è opportuno precisare che la relazione governativa di accompagnamento del decreto istitutivo dell’IVA riconduce all’ipotesi di sopravvenuto accordo tra le parti l’evento che non trova titolo in una pronuncia dell’autorità giudiziaria, per cui sembra circoscrivere la possibilità di emettere la nota di variazione oltre l’anno solo al caso in cui esista una pronuncia giudiziaria. La prassi che si è affermata, tuttavia, non è allineata a questa interpretazione restrittiva . Tutto ciò considerato di seguito si analizzano i due casi principali in cui il cedente/prestatore può (facoltà) emettere note di variazioni in diminuzione entro e non oltre l’anno di effettuazione dell’operazione. Variazioni in diminuzione – nota credito (con limite temporale) Concessione di sconti o abbuoni non previsti contrattualmente Nel caso in cui gli sconti o gli abbuoni non siano espressamente ed originariamente previsti nel contratto, la procedura di variazione è soggetta al limite temporale di un anno. Al riguardo si segnala che l’Amministrazione finanziaria ha contestato a molti contribuenti l’indebita detrazione dell’IVA indicata in note di accredito emesse, oltre l’anno, per sconti su vendite concessi a clienti. Le contestazioni si basano, nella maggior parte dei casi, sulla considerazione che le sole note di variazione non sono sufficienti, di per sé, a provare l’effettiva esistenza degli elementi previsti dal secondo comma dell’art. 26 del DPR n. 633/1972 (quindi sulla possibilità di emettere le note di variazioni “senza limiti temporali”) e sulla necessità che la pattuizione dello sconto non solo debba essere antecedente all’emissione delle note di variazione, ma anche che debba essere provata da contratto scritto, se non addirittura essere contenuta nel contratto originario. La motivazione principale che sostiene la tesi dell’Amministrazione finanziaria si basa sulla possibilità che la concessione di sconti successivi all’effettuazione dell’operazione commerciale oggetto della fatturazione possa essere dettata da intenti elusivi. È opportuno evidenziare che la Corte di Cassazione è intervenuta più volte sulla questione con alcune interessanti sentenze; si segnala, in particolare, la sentenza 11 aprile 1996, n. 3428 con la quale la Corte ha stabilito che lo sconto deve necessariamente costituire oggetto di apposito accordo tra le parti, indicando, tuttavia, che non è necessario che le note di variazione facciano puntuale riferimento alle fatture oggetto di variazione. La Corte di Cassazione si è pronunciata nuovamente sull’argomento con la sentenza 22 febbraio - 22 giugno 2001, n. 8558, nella quale sono contenute alcune interessanti statuizioni. In primo luogo la sentenza censura la tesi dell’Amministrazione finanziaria, secondo la quale la pattuizione dello sconto deve essere contenuta nel contratto originario tra le parti. Secondo la Corte, infatti, è necessario che esista un accordo contrattuale in forza del quale viene concessa la riduzione del corrispettivo, ma tale accordo può essere successivo all’originario contratto. In secondo luogo, la sentenza precisa che la pattuizione dello sconto può essere frutto di un accordo orale, essendo richiesta la forma scritta solamente nei casi speciali richiesti dalla legge e che l’esistenza di tale accordo può essere provata con qualunque mezzo previsto in materia contrattuale. Variazioni in diminuzione – nota credito (con limite temporale) In ragione di ciò, la Corte di Cassazione, in contrasto con la tesi dell’Amministrazione finanziaria, concorda con il comportamento del giudice di merito del caso oggetto della sentenza, che aveva ritenuto che la pattuizione dello sconto fosse provata dall’esistenza delle note di accredito. Sulla base di quanto sopra si evince che la sentenza della Corte di Cassazione fornisce importanti elementi di chiarezza ai contribuenti che si trovano ad attivare la procedura di variazione prevista dall’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972 in tema di sconti e abbuoni. La precisazione che la locuzione “abbuoni o sconti previsti contrattualmente”, contenuta nel comma 2 della norma citata, non debba necessariamente essere riferita al contratto originario tra le parti e che la pattuizione dello sconto possa avvenire anche in forma orale (se non è richiesta per legge la forma scritta) successivamente al contratto originario consente di risolvere i dubbi principali legati all’eventualità di un possibile contenzioso con il Fisco. È necessario rilevare, comunque, che l’Amministrazione finanziaria potrebbe sempre contestare le note di variazione quale semplice prova della pattuizione dello sconto. Si ritiene, pertanto, consigliabile, nel caso sottoposto dal lettore, procedere all’emissione delle note di variazione, previa la raccolta di tutta la documentazione (corrispondenza commerciale e documenti contabili) atta a provare che lo sconto concesso rientra nella sistematica applicazione di una precisa politica commerciale e non possa essere confuso con una consuetudine generica o con un semplice mancato pagamento da parte del cessionario. Variazioni in diminuzione – nota credito (con limite temporale) Quesito Si vorrebbe sapere il trattamento delle seguenti variazioni in diminuzione dell’Iva, ex art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972, effettuate da una ditta ai propri clienti a titolo di sconto o abbuono dei corrispettivi richiesti: - variazione in diminuzione dell’importo originariamente stabilito in contratto, a seguito di accordo verbale tra la ditta ed i propri clienti; variazione in diminuzione dell’importo originariamente stabilito in contratto, facendo riferimento a consuetudini o usi commerciali di particolari settori economici nei quali ordinariamente vengono praticati sconti. È legittimo il ricorso alla procedura di variazione in diminuzione di cui al richiamato art. 26 del D.P.R. n. 633/1972, in entrambi i casi? In base alle previsioni contenute nell’art. 26, comma 2, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza, tra l’altro, dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione l’imposta corrispondente alla variazione, mentre il cessionario o committente, che abbia già registrato l’operazione deve in tal caso registrare la variazione stessa, salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa. A norma del successivo comma 3 dello stesso art. 26, tale procedura non è più consentita, decorso un anno dall’effettuazione dell’operazione, qualora gli eventi indicati nel precedente comma 2, si verifichino in dipendenza di sopravvenuto accordo tra le parti. In merito alla dizione “sopravvenuto accordo tra le parti” è sorta la questione se deve trattarsi di un accordo o contratto scritto, ovvero se è sufficiente, ai fini della variazione in diminuzione, anche un accordo verbale. Secondo la prassi di molti uffici tributari e anche secondo parte della dottrina, gli sconti praticati tramite accordi verbali non sembrano trovare alcuna collocazione nell’ambito delle variazioni in diminuzione di cui al citato art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972. Tuttavia, in merito agli sconti praticati tramite accordi verbali, si osserva che il termine contratto, secondo la definizione dell’art. 1322 del codice civile, può essere riferito anche ad un accordo verbale tra le parti, secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione (sentenza del 21 agosto 2001, n. 11173). Ne deriva, agli effetti dell’Iva, che la prova di tale accordo, ad avviso della Corte di Cassazione, può essere costituita dalle note di credito che il cedente o il prestatore dovrà emettere nei confronti del cessionario o del committente. Quando la legge non prevede forme specifiche per la conclusione del contratto, la modifica che comporta una riduzione del corrispettivo può essere anche frutto di un accordo orale e può essere provata con qualunque mezzo previsto in materia contrattuale. Infatti, ai fini della variazione in diminuzione, non occorre necessariamente l’esistenza di un contratto scritto in data antecedente alle note di credito, in quanto l’emissione delle note stesse presuppone un accordo verbale tra le parti, e la prova di tale accordo emerge, appunto, da tali note di credito. Pertanto, in materia di Iva, ad avviso della Corte di Cassazione, sono legittime le detrazioni di imposta effettuate in relazione a note di credito per sconti su vendite praticati in base ad accordo, anche successivo all’originario contratto e concluso verbalmente, della cui conclusione può essere fornita la prova con qualunque mezzo previsto in materia contrattuale. In merito agli sconti derivanti da consuetudini o usi commerciali, si osserva che in particolari settori lo sconto è talmente in uso da indurre gli operatori a ritenere che lo stesso costituisca una clausola implicita nei contratti e negli accordi contrattuali. Un opposto orientamento è stato manifestato, invece, dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 4310 dell’8 aprile 1992, nella quale è stato affermato che gli sconti o abbuoni per dare luogo alla variazione in diminuzione dell’imposta devono essere previsti contrattualmente ed è, quindi, escluso che essi possano essere dedotti da consuetudini o usi commerciali di qualsiasi genere. Il contenuto di quest’ultima sentenza della Corte di Cassazione va valutato alla luce della richiamata sentenza del 21 agosto 2001, n. 11173, la quale, affermando la piena validità dell’accordo verbale tra le parti, comprovato dalle note di credito, anche se successivo all’originario contratto, offre comunque al contribuente una ulteriore possibilità di poter effettuare le variazioni in esame, e ciò indipendentemente dal richiamo a consuetudini o usi commerciali per il riconoscimento degli sconti ed abbuoni praticati. Inesattezze errori nella fattura Nel caso in cui, per errore, la fattura viene emessa per operazioni inesistenti ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative sono indicati in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura. In tali fattispecie si è in presenza di un errore della fattura di carattere originario (RM 20 novembre 2001, n. 185), in quanto fin dalla sua emissione essa non rappresenta correttamente la realtà effettiva (es. fattura intestata a un soggetto diverso da quello a cui è stata ceduta la merce). Va da sé, sulla base di quanto detto, che nel caso in cui originariamente la fattura risultava corretta non si potrà procedere con la variazione in diminuzione. Tali inesattezze della fatturazione, che determinano la riscossione, da parte dell’erario, di un’IVA superiore a quella realmente dovuta, possono essere regolarizzate entro un anno effettuando una variazione in diminuzione. Si precisa, inoltre, che se l’errore è volontario, effettuato con l’intento di frodare l’Erario, non è possibile parlare di inesattezze ma di falsità e in tal caso la variazione non è ammessa (si veda Cass. 10 giugno 2005, n. 12353). È opportuno segnalare che nel caso in cui il cedente/prestatore, soggetto passivo IVA, abbia emesso fattura indicando un’aliquota IVA maggiore a quella dovuta, e che per la medesima fattura non abbia emesso la nota di variazione in diminuzione dell’Iva dovuta, entro il termine prescritto di un anno, può comunque presentare l’istanza di rimborso della maggiore imposta indebitamente versata. Al riguardo si evidenzia che con le sentenze 6 febbraio 2004, n. 2274, 19 febbraio 2004, n. 3306, 17 gennaio 2005, n. 813, e 22 aprile 2005, n. 8461 la Sezione tributaria della Suprema Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sull’applicabilità, in ambito Iva, dell’istituto del rimborso anomalo di cui all’art. 21 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (art. 16 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, nella formulazione ante riforma del processo tributario), in alternativa allo strumento della nota di variazione di cui all’art. 26 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Le suddette pronunce offrono lo spunto per analizzare, in ambito Iva, le possibili ipotesi per le quali è esperibile l’azione di rimborso anomalo e quali sono i limiti entro i quali esercitare la predetta azione. In altri termini, il problema riguarda la possibilità, per il contribuente Iva che, erroneamente, abbia versato un’imposta maggiore al dovuto, di chiederne la restituzione, mediante una domanda di rimborso proposta ai sensi del citato art. 21, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992, il quale stabilisce che “... La domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”. La questione ha suscitato un fervido dibattito in seno alla dottrina ed alla giurisprudenza a causa della mancanza nel sistema Iva di una norma che regoli tutte quelle ipotesi di restituzione dell’imposta sul valore aggiunto non rientranti nelle tipologie e nei limiti temporali del predetto art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972. Il contenzioso che ne è sorto ha visto numerosi e contrastanti pronunciamenti, sia di merito che di legittimità, che si sono recentemente attestati sull’ammissibilità dell’utilizzo dello strumento del rimborso anomalo in alternativa all’emissione della nota di variazione prevista dalla disciplina Iva per le ipotesi di versamenti erronei. Tutto ciò considerato si rileva che per il recupero dell’eccedenza è, comunque, più agevole percorrere la strada della variazione in diminuzione recata dall’ art. 26, c. 2, D.P.R. 633/1972. Solo in via residuale, cioè qualora ciò non fosse possibile (ad esempio, poiché trascorso un anno dall’operazione), è opportuno avvalersi dell’istanza di rimborso. Il termine per l’emissione delle “note di accredito” per il “reso” del cliente In prima battuta è bene precisare che la fattispecie della variazione in diminuzione di una fattura precedentemente emessa e registrata, perché i beni ceduti sono stati, in tutto o in parte, restituiti al cedente, non è espressamente indicata tra quelle che il legislatore ha voluto elencare nel citato comma 2 dell’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972. Tuttavia risulta evidente come il “reso” possa essere inquadrato nella figura giuridica della “risoluzione consensuale” o, comunque, nel diritto del compratore di restituire beni non conformi al pattuito, avariati, eccedenti, eccetera. Al riguardo risulta opportuno evidenziare come la “risoluzione” del contratto sia prevista espressamente nel comma 2 dell’art. 26 del Decreto IVA. Non è infrequente anche l’ “errore materiale”, e cioè la spedizione o consegna di beni diversi da quelli che il cliente ha acquistato. Il punto centrale della questione è comunque quello di stabilire se la nota di accredito (con variazione Iva), a valere sulla fattura oggetto della cessione precedentemente effettuata, deve essere emessa entro il termine previsto per la fatturazione differita (vale a dire entro il giorno 15 del mese successivo a quello della consegna o spedizione), oppure se la nota stessa possa essere emessa entro il termine più ampio previsto dal comma 3 dello stesso art. 26 (un anno dalla data di effettuazione dell’operazione principale di cessione) o addirittura, quando ne ricorrano i presupposti, nel termine più ampio che le parti hanno originariamente ed espressamente previsto per l’eventuale “reso”, e cioè anche dopo il decorso di un anno dalla data di effettuazione dell’operazione. Secondo lo scrivente, come sostenuto in dottrina, in tali casi si deve escludere che - solo per il fatto che per i beni restituiti si possa o si debba utilizzare un “documento di trasporto” – chi ha il diritto di emettere la nota di accredito e di variazione Iva debba emetterla entro il termine previsto nel comma 4 dell’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972, e cioè entro quello stabilito per la “fatturazione differita”. A queste conclusioni è facile pervenire non solo avendo riguardo delle espresse norme tributarie, ma anche per ragioni di carattere commerciale e di rapporto contrattuale. In questi casi, prima la abrogata “bolla”, e ora il “Ddt” hanno la sola funzione di documento di trasporto e di identificazione delle parti, e non assistono un’operazione di “cessione” ma, casomai, un’operazione di “variazione” di una cessione precedente. Ma la ragione più importante che porta ad escludere che i termini di emissione della nota di variazione per l’accredito del reso siano uguali a quelli previsti per la fatturazione differita si desumono dalla circostanza, che la variazione è un diritto e non un obbligo di chi ha emesso a suo tempo la fattura di vendita. In realtà, poi, il legislatore non ha nemmeno previsto l’emissione di un vero e proprio “documento” (cioè una nota di variazione), anche se poi soprattutto per ragioni di carattere contabile e amministrativo – questo documento viene solitamente emesso per regolare l’operazione fra le parti. Sarebbero infatti, sufficienti le sole registrazioni sui registri Iva da parte del cedente e del cessionario che ha provveduto alla restituzione. Che non possa esistere una correlazione e interdipendenza tra l’effettuazione dell’operazione di “reso” e l’operazione precedente di cessione, per ciò che riguarda i termini di emissione dei documenti e la registrazione degli stessi, si desume anche dalla lettura dei due dispositivi che riguardano, rispettivamente, l’emissione della fattura (e la sua registrazione) e il termine entro il quale è possibile operare una variazione in diminuzione. D’altra parte non si può tener conto, al di là di quanto prevede la stessa norma tributaria, delle ragioni di carattere commerciale, contrattuale e di rapporto tra le parti. Anche il legislatore tributario ha voluto considerare - non vincolando il cedente al rispetto dei termini ravvicinati per la registrazione delle variazioni derivanti da un “reso” - alcuni aspetti peculiari insiti in queste operazioni. Si deve infatti presumere che, a volte, il “reso” può assumere le connotazioni di una iniziativa unilaterale e illegittima del cliente, e che il fornitore, in sostanza, può anche non essere d’accordo - indipendentemente dalla sua facoltà di variare, o meno, l’imponibile e l’imposta della fattura alla quale il “reso” fa riferimento - e rifiutarsi di accettare di ritirare i beni restituiti. Scontrino fiscale Concetti introduttivi L’art. 12 della L. 30 dicembre 1991, n. 413, ha istituito, con decorrenza 1° gennaio 1993, l’obbligo di certificare i corrispettivi derivanti da cessioni di beni o prestazioni di servizi per le quali non è obbligatoria l’emissione della fattura, se non a richiesta del cliente, mediante il rilascio, rispettivamente, dello scontrino fiscale o della ricevuta fiscale. Inoltre, l’art. 1 del DPR 696/1996 ha previsto, dal 21.02.1997, la libertà di scelta, senza preventiva opzione, tra l’emissione dello scontrino e l’emissione della ricevuta, con l’osservanza delle relative discipline. Attenzione: -nel caso in cui venga emessa la fattura immediata, purché contemporaneamente alla consegna del bene o all’ultimazione della prestazione, non occorre emettere lo scontrino o la ricevuta (art. 3 comma 2 del DPR 696/1996). Se invece la fattura è emessa successivamente, è necessario emettere anche lo scontrino o la ricevuta al momento della consegna o dell’ultimazione (CM 4 aprile 1997 n. 97/E); -l’art. 2 comma 1 lett. D) del DPR 696/1996 ha stabilito che dal 21.02.1997 non è più obbligatoria l’emissione dello scontrino o della ricevuta fiscale in presenza di DDT o documenti di consegna che permettano la fatturazione differita integrati dal corrispettivo dell’operazione. Soggetti non obbligati all’emissione della fattura In base a quanto previsto all’art. 22, comma 1, D.P.R. n. 633/1972, sono escluse dall’obbligo di emettere fattura le operazioni effettuate da: 1) commercianti al minuto; 2) soggetti che effettuano le seguenti operazioni: a. prestazioni alberghiere, somministrazioni di alimenti e bevande effettuate in pubblici esercizi (bar, ristoranti), nelle mense aziendali o mediante apparecchi di distribuzione automatica; b. prestazioni di trasporto di persone e di veicoli o bagagli al seguito; c. prestazioni di servizi rese nell’esercizio di imprese in locali aperti al pubblico, in forma ambulante o nell’abitazione dei clienti: l’esonero opera solo se i servizi sono resi nell’abitazione del cliente non soggetto passivo d’imposta; d. prestazioni di custodia e amministrazione di titoli rese da aziende di credito, da società finanziarie e da società fiduciarie; e. operazioni esenti indicate ai nn. da 1) a 5) e ai nn. 7), 8), 9), 16) e 22), art. 10, D.P.R. n. 633/1972 (si tratta di operazioni di credito e di assicurazione; operazioni su valute estere; operazioni relative ad azioni, obbligazioni ed altri titoli; riscossione dei tributi; giochi di abilità e simili, mandato, mediazione e intermediazione relative alle precedenti operazioni; locazioni immobiliari; servizi postali; prestazioni di biblioteche, gallerie, pinacoteche, e simili). Soggetti non obbligati all’emissione della fattura Commercio al minuto Tale attività è esercitata da soggetti che effettuano cessioni di beni: •in locali aperti al pubblico; •in spacci interni, mediante l’uso di apparecchi di distribuzione automatica, per corrispondenza, a domicilio o in forma ambulante (Risoluzioni AE 23/12/1994, n. 43 e 12/07/1996, n. 119). Secondo la definizione fornita dall’Amministrazione finanziaria nella Risoluzione 12/07/1996, n. 119, si considera “locale aperto al pubblico” quello in cui: “il pubblico possa liberamente accedere nelle ore di apertura stabilite dalle competenti autorità, indipendentemente dalla natura dei beni ceduti e dalla qualità del soggetto cedente, e nel quale abitualmente vengano eseguite le operazioni, in idonee strutture che realizzano il concetto di locale, nel diretto ed immediato rapporto tra venditore dettagliante ed acquirente consumatore”. Scontrino fiscale Misuratori fiscali L’emissione dello scontrino fiscale avviene mediante l’uso di determinati apparecchi, c.d. misuratori fiscali. Al riguardo si evidenzia che ogni attività commerciale in cui è imposto l’utilizzo del misuratore fiscale deve essere in possesso dei seguenti documenti: libretto di dotazione del registratore di cassa, composto da pagine progressiva-mente numerate in cui oltre ai dati dell’azienda, vengono di volta in volta annotate sia le variazione di ragione sociale che le verifiche periodiche effettuate e trascritte dal tecnico; - registro dei corrispettivi giornalieri in cui trascrivere dalla chiusura di fine serata l’incasso del giorno; registro per mancato o irregolare funzionamento del misuratore fiscale, su cui annotare l’importo totale pagato da ogni singolo cliente; copia dei documenti relativi alla messa in servizio del misuratore fiscale e ricevuta di ritorno della copia spedita all’Agenzia delle Entrate settorialmente competente. Entro il giorno successivo alla messa in servizio dell’apparecchio misuratore fiscale, l’utente deve provvedere a dare comunicazione al competente Ufficio Unico delle Entrate, mediante apposita dichiarazione ( D.M. 23 marzo 1983 art. 8 testo modificato dal provv. 28/07/2003 ). La dichiarazione è redatta in duplice copia dall’utente e contiene i dati identificativi: - ragione sociale, sede, partita IVA; - gli estremi che identificano il registratore di cassa (Produttore modello matricola); i dati del centro di assistenza e del tecnico che ha effettuato la verificazione periodica. La spedizione della copia per l’Agenzia delle Entrate deve essere fatta con raccomandata allegata a ricevuta di ritorno, entro le 24 ore successive all’installazione. Scontrino fiscale Attenzione: Il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 28 luglio 2003 ha stabilito che gli apparecchi misuratori fiscali (di cui all’articolo 12, comma 5, della legge 30 dicembre 1991, n. 413) vengano sottoposti a una verificazione periodica. Scopo di tale controllo è quello di riscontare che la conformità del misuratore fiscale alle prescrizioni stabilite (attestata originariamente dal costruttore, prima della vendita, tramite l’apposizione di apposito punzone approvato dall’Agenzia delle entrate) rimanga inalterata nel corso dell’utilizzo dell’apparecchiatura. La richiesta di verificazione, con periodicità almeno annuale, deve avvenire su iniziativa e a spese dell’utilizzatore del misuratore fiscale. I soggetti che possono svolgere attività di verificazione sono: -i laboratori abilitati - Sono soggetti che svolgono la loro attività in maniera autonoma e sono abilitati alle verificazioni periodiche dei misuratori fiscali da qualsiasi azienda prodotti; -i fabbricanti (abilitati) – Sono soggetti che fabbricano le apparecchiature approvate con provvedimento, e che possono svolgere anche attività di verificazione periodica sulle apparecchiature da essi stessi prodotti; -i laboratori dei fabbricanti – Sono quelli inseriti nella struttura organizzativa del fabbricante che agiscono in sedi decentrate. Possono svolgere attività di verificazione periodica solo se espressamente menzionati nel provvedimento di abilitazione del fabbricante stesso. Contenuto dello scontrino fiscale Lo scontrino fiscale deve contenere: -l’indicazione della ditta, denominazione o ragione sociale, ovvero nome e cognome dell’esercente; -numero di partita Iva dell’esercente e ubicazione del punto vendita; -dati contabili (corrispettivi, eventuali subtotali, eventuali rimborsi, totale dovuto, eccetera); -data, ora di emissione, numero progressivo, logotipo fiscale e numero di matricola del registratore. Esempio scontrino fiscale Dati della ditta con denominazione o ragione sociale, ossia nome e cognome del titolare e numero di partita Iva dell'esercente Contenuto dello scontrino fiscale Devono poi esserci: data, ora di emissione e numero progressivo dello scontrino Logotipo fiscale e numero di matricola del registratore Importo del corrispettivo pagato Casi particolari Scontrino parlante (art. 3, commi 1 e 3, del D.P.R. n. 696 del 21 dicembre 1996) si tratta di uno scontrino "integrato" con la "natura, qualità e quantità" dei be-ni venduti e del codice fiscale del cliente. È documento idoneo ad accertare la spesa dell'acquirente ai fini delle imposte dirette; - sono illegittime integrazioni manuali o con timbri da chiunque apposte; - la "qualità" delle operazioni può essere indicata in modo abbreviato, purché comprensibile; il "codice fiscale" del cliente (soggetto Iva) può essere stampato in qualsiasi parte dello scontrino preceduto dalle lettere "C.F." prima della collocazione del logotipo fiscale e con evidenziazione grafica diversa rispetto alle altre indicazioni. Contenuto dello "scontrino" per ambulanti sullo scontrino fiscale rilasciato dagli ambulanti, che non operano nel settore della somministrazione di alimenti e bevande, non è più necessario riportare quanto è previsto dall'art. 17, comma 2, del D.M. 30 marzo 1992, e cioè il numero di iscrizione al REC e la città sede della relativa Camera di commercio in luogo dell'ubicazione dell'esercizio. Vendita al dettaglio e all'ingrosso congiuntamente nel caso di esercizio congiunto di commercio al dettaglio e all'ingrosso nello stesso punto di vendita lo scontrino va emesso solo per le vendite al dettaglio (per le vendite all'ingrosso deve essere emessa la normale fattura o uno scontrino "integrato", come sopra indicato). Prestazioni senza pagamento del corrispettivo lo scontrino deve essere rilasciato con la dicitura "corrispettivo non riscosso" e, all'atto del successivo pagamento, dovrà essere rilasciato un altro scontrino. Casi particolari Lo scontrino e le vendite con riserva di pagamento o in prova il documento di certificazione fiscale va rilasciato al momento del perfezionamento della vendita. In questi casi, è però, opportuno che la merce in prova venga accompagnata da un documento di trasporto che certifichi la condizione di "vendita sospesa" o "condizione". Lo scontrino e i rimborsi a piè di lista lo scontrino è idoneo a documentare le spese sostenute dai dipendenti alla condizione che sullo stesso siano stampati, oltre al codice fiscale del dipendente e del committente, anche i dati relativi alla natura, quantità e qualità dell'operazione. Esonero per gli agricoltori in "regime speciale" - lo scontrino fiscale può essere omesso per le vendite degli agricoltori che usufruiscono del "regime speciale". Vendite con consegna a domicilio - lo scontrino deve accompagnare il trasporto dei beni al domicilio dell'acquirente. Lo scontrino e i pagamenti a rate lo scontrino deve essere emesso all'atto della consegna dei beni per l'intero corrispettivo e, per i pagamenti rateali, non si emetterà alcuno scontrino (ma, ovviamente, si terrà conto dei versamenti in contabilità). Emissione Cessione di beni: entro il primo dei seguenti eventi -consegna o spedizione dei beni; -pagamento totale o parziale. Prestazioni di servizi: entro il primo dei seguenti eventi -ultimazione della prestazione; -pagamento totale o parziale. Per le prestazioni non pagate è possibile emettere uno scontrino recante la dicitura “corrispettivo non riscosso”. In tal modo il corrispettivo non concorrerà alla formazione dell’importo a debito di IVA ma, quando verrà pagata la prestazione, dovrà essere emesso un nuovo scontrino. Tale facoltà deriva dal fatto che l’art. 6 del DPR n. 633/72 individua, per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi, due diversi momenti impositivi. Chiusura giornaliera Al termine della giornata lavorativa, l’utente provvede a stampare, con apposito comando, lo scontrino di chiusura giornaliera. Le imprese che esercitano la loro attività su più turni per l’intero arco della giornata (ad esempio “autogrill”), eseguono la stampa dello scontrino di chiusura giornaliera al termine del turno che si conclude prima della mezzanotte (CM 10 giugno 1983 n. 60). Attenzione: Per gli esercizi che protraggono la loro attività oltre le ore 24 (ad esempio bar, ecc.) non è prevista una specifica disciplina e pertanto lo scontrino di chiusura giornaliera dovrebbe essere stampato entro le ore 24 di ciascun giorno. Tuttavia, per gli esercenti le attività di intrattenimento e spettacolo che si protraggono oltre le ore 24 (ad esempio discoteche, ecc.) obbligati al rilascio di un “titolo di accesso”, lo scontrino di chiusura giornaliera deve essere emesso al termine di effettivo svolgimento dell’attività, con riferimento alla data di inizio dell’evento. Correzione di errori Gli scontrini che riportano dati errati e non ancora rilasciati possono essere annullati apponendo sugli stessi un’annotazione che indichi anche la causale. Lo scontrino errato deve essere poi allegato allo scontrino di chiusura giornaliera. Qualora lo scontrino errato sia stato già rilasciato non può più essere annullato, ma degli errori si può tenere conto nelle annotazioni dei corrispettivi negli appositi registri sempreché vi siano giustificati motivi. Nel caso di fatturazione differita cioè quando il soggetto emette all’atto della consegna o spedizione la bolla di accompagnamento e solo successivamente emette la relativa fattura, l’importo delle vendite deve essere sottratto dai corrispettivi della giornata con apposita annotazione sul giornale di fondo e sullo scontrino di chiusura giornaliera (se è emesso lo scontrino). La fattura deve contenere numero e data della bolla, data dello scontrino, matricola del registratore di cassa. Errori in caso di errata impostazione dei dati nel misuratore fiscale Il contribuente può procedere con le seguenti modalità: Operazione Descrizione Annullamento da tastiera Se l’importo non è stato ancora stampato sullo scontrino l’operazione è effettuata utilizzando l’apposito tasto (come si fa in una qualunque calcolatrice) Annullamento mediante digitazione di uguale importo con segno negativo Ciò in caso di importo battuto sullo scontrino non ancora stampato con il totale. L’apparecchio si blocca se per errore o volutamente si tenta di impostare un importo negativo superiore a quello errato. Rilascio di un nuovo scontrino Se lo scontrino è stato già chiuso con la stampa del totale ma non ancora consegnato al cliente, è possibile rilasciare un nuovo scontrino con l’importo corretto e conservare quello errato, debitamente annullato, allegandolo allo scontrino di chiusura giornaliera. Sconti concessi dopo l’emissione dello scontrino Gli sconti concessi sui corrispettivi dopo l’emissione dello scontrino possono essere dedotti dall’ammontare lordo del corrispettivo mediante annotazione anche manuale con l’indicazione della relativa causale, anche in codice, sullo scontrino fiscale e sul giornale di fondo (CM n. 60 del 10 giugno 1983) Mancato funzionamento del misuratore fiscale È previsto l’utilizzo di apposito registro c.d. “registro di emergenza” in cui andranno annotati i singoli corrispettivi. Il registro non è obbligatorio se è possibile emettere ricevute fiscali. Annotazione dei corrispettivi L’annotazione del corrispettivo giornaliero entro il giorno non festivo successivo (art. 24 comma 1 DPR n. 633/72) è stata implicitamente abrogata dal comma 4 dell’art. 6 del DPR n. 695/96. Le operazione per cui è rilasciato lo scontrino possono essere annotate nel registro corrispettivi entro il giorno 15 del mese successivo. A norma dell’art. 15 del DPR n. 435/2001, non è più obbligatoria l’allegazione dello scontrino di chiusura giornaliero. Visto che il comma 4 dell’art. 6 del DPR n. 695/96 non prevede che i corrispettivi registrati entro il 15 del mese successivo partecipino alla liquidazione del mese di effettuazione delle operazioni, ne consegue che il relativo ammontare andrebbe conteggiato nella liquidazione del mese o trimestre di registrazione. Si tenga presente che nella norma di legge è prevista la possibilità di un’unica registrazione dei corrispettivi mensili,solo per le operazioni documentate da scontrino e non per quelle documentate da ricevuta. Rimborso integrale del prezzo di vendita Se l'operazione originaria è stata documentata da scontrino fiscale non è possibile ricorrere alla procedura di variazione di cui all'art. 26 del DPR 633/72. I dati contenuti nella fattura e nella nota di variazione non sono, infatti, presenti nello scontrino fiscale che, per sua natura, è destinato a documentare tutte quelle operazioni compiute da soggetti che svolgono attività di commercio al minuto e assimilate, ovvero di quei soggetti che operano in locali aperti al pubblico e che prestano servizi al pubblico con carattere di uniformità, frequenza e di importo limitato, tali da rendere onerosa l'emissione della fattura (R.M. 8.8.2000 n. 130/E; C.M. 77/E/2000; R.M. 24.10.90 n. 571646). Qualora l'acquisto originario sia stato documentato mediante l'emissione di scontrino fiscale, se il cliente esige il rimborso del prezzo pagato, la società venditrice resta incisa dall'IVA assolta sul bene restituito. Peraltro, se quest'ultimo viene reinserito nel circuito di vendita, al momento della cessione lo stesso viene nuovamente assoggettato ad imposta. In caso di restituzione della merce venduta per corrispondenza, non è quindi possibile avvalersi della procedura di variazione in diminuzione di cui all'art. 26 co. 2 del DPR 633/72, in quanto le vendite non sono documentate da fattura (ris. Agenzia delle Entrate 5.11.2009 n. 274/E). Ancorché, tuttavia, si tratti di operazioni per le quali il venditore è esonerato non solo dall'obbligo di emissione della fattura (ex art. 22 co. 1 del DPR 633/72), ma anche da quello del rilascio dello scontrino o della ricevuta fiscale (ex art. 2 lett. oo del DPR 696/96), è possibile recuperare l'imposta versata purché si adotti una procedura documentale idonea a collegare la vendita con il successivo reso e a verificare la movimentazione della merce restituita. Procedura di rettifica La ris. Agenzia delle Entrate 5.12.2003 n. 219/E ha chiarito la procedura da applicare per il recupero dell'IVA assolta sulle vendite venute meno a seguito del recesso del cliente e per la restituzione totale del relativo prezzo di vendita, nel caso in cui le vendite stesse siano documentate mediante lo scontrino fiscale. Restituzione del prezzo La procedura di rettifica, da esplicarsi all'atto del ritiro del bene e dello scontrino fi-scale, è la seguente: • apertura di una "pratica di reso" numerata, contenente tutti i dati e i documenti relativi all'originaria operazione e alla sua avvenuta risoluzione; • presa in carico del bene restituito nella contabilità di magazzino, con indicazione della causale e del numero identificativo della pratica di reso; • emissione di scontrino fiscale "negativo", con indicazione sia della causale "rimborso per restituzione vendita", sia del numero identificativo della pratica di reso; • registrazione dello scontrino fiscale "negativo" nel registro dei corrispettivi (di cui all'art. 24 del DPR 633/72), in diminuzione dei corrispettivi del giorno soggetti alla stessa aliquota del bene restituito; • restituzione al cliente del prezzo pagato, oppure - in caso di cambio merce - consegna di un "buono acquisto", con sottoscrizione, in entrambi i casi, di una ricevuta da parte del cliente; • conservazione della pratica di reso fino alla scadenza dei termini per l'accertamento. Consegna di un "buono acquisto" Nell'ipotesi di consegna di un "buono acquisto", invece, al momento dell'acquisto del bene sostitutivo, la società provvede a: •ritirare il "buono acquisto" alla cassa come forma di pagamento del prezzo per conservarlo agli atti; •emettere un normale scontrino di vendita per documentare l'acquisto sostitutivo, nel quale registrare il prezzo pieno di vendita, con conseguente integrale assoggettamento a IVA della nuova operazione con l'aliquota sua propria. Condizioni È valida la procedura di rettifica basata sull'emissione di uno scontrino fiscale compilato solo alla voce "rimborsi per restituzione merce venduta" e, quindi, con un "totale dovuto" di segno negativo, da annotare nel registro dei corrispettivi in diminuzione dell'imposta dovuta sugli incassi del giorno, a condizione che: • sullo scontrino sia indicato il numero identificativo della "pratica di reso"; • dell'operazione di rettifica resti traccia anche nello scontrino di chiusura giornaliero, relativo al giorno in cui è operato il rimborso, in modo da consentire il controllo da parte dell'Amministrazione finanziaria; • il prezzo di acquisto venga rimborsato integralmente. La procedura in esame, applicabile nel caso in cui il cliente esiga, al momento della restituzione del bene, il rimborso del prezzo in denaro, offre idonee garanzie in merito alla certezza dell'operazione di reso, in quanto è dato individuare tutti quegli e-lementi che servono a correlare la restituzione del bene ai documenti probanti l'acquisto originario, quali: • le generalità del soggetto acquirente; • l'ammontare del prezzo rimborsato, distinto in imponibile ed imposta • i dati di riferimento del documento certificativo dell'operazione originaria; • il numero di identificazione attribuito alla pratica di reso che deve essere ri-portato su ogni documento emesso per certificare il rimborso. Tabella di sintesi DOCUMENTO PROCEDURA PER IL RESO PROCEDURA DI VARIAZIONE MOMENTO RILEVANTE PER IL RECUPERO DELL'IVA Fattura Nota di credito ex art. 26 co. 2 del DPR 633/72 Registrazione della nota di credito nel registro IVA acquisti Emissione della nota di credito Scontrino Acquisto di un altro bene di uguale o maggior valore Sottrazione del prezzo del bene sostituito dal nuovo acquisto Acquisto del nuovo bene Scontrino Buono sconto Sottrazione del prezzo del bene sostituito dal nuovo acquisto Acquisto del nuovo bene Scontrino Buono sconto Emissione di due scontrino, di cui uno "negativo" (pari al valore del buono sconto) e l'altro relativo alla nuova cessione Acquisto del nuovo bene Scontrino Rimborso del prezzo Scontrino negativo Rimborso del prezzo Omaggi Per quanto attiene alla cessione in omaggio di beni il cui commercio sia oggetto dell’attività dell’impresa va emesso lo scontrino fiscale. Tale obbligo non sussiste per le cessioni in omaggio di beni di costo unitario fino ad Euro 25,82 che non siano oggetto dell’attività propria dell’impresa e di quelli per i quali l’IVA sull’acquisto sia indetraibile a norma dell’art. 19 del DPR n. 633/1972 anche per effetto dell’opzione ex art. 36-bis del medesimo DPR. Scontrino fiscale manuale e prestampato È previsto per i soggetti che esercitano il commercio su aree pubbliche in forma itinerante. I prodotti commercializzati non devono appartenere a più di tre tabelle merceologiche (ora peraltro abrogate) e il numero di operazioni effettuate nell’anno solare precedente non sia superiore a 4.000. Naturalmente vale anche per quest’ultimo la libertà di opzione per la ricevuta fiscale. Biglietto di trasporto Per le prestazioni di trasporto pubblico collettivo di persone (anche con bagagli o veicoli al seguito) il biglietto di trasporto sostituisce lo scontrino fiscale. Il biglietto deve contenere: -ditta, denominazione o ragione sociale (se impresa, società o ente) o nome e cognome (se persona fisica) ovvero il “marchio” dell’impresa e il numero di partita IVA; nei trasporti cumulativi, che danno luogo ad un unico biglietto integrato, i dati possono essere riferiti all’emittente o a una sola delle imprese; -descrizione del trasporto e indicazione del corrispettivo (anche in codice alfanumerico preventivamente comunicato al competente Ufficio delle entrate ovvero con legenda stampata sul titolo); -numero progressivo; -data, da apporre al momento della emissione del documento o della sua utilizzazione. Il biglietto di trasporto può essere costituito da un supporto con banda magnetica o microprocessore, anche programmabile (D.M. 30.6.1992). Conservazione degli scontrini fiscali Lo scontrino di chiusura giornaliera ed il registro dei corrispettivi di emergenza devono essere conservati per i termini ordinari previsti per le scritture contabili (per un periodo minimo di 4 anni a decorrere dal 31 dicembre dell’anno in cui è stata presentata la dichiarazione annuale cui si riferiscono le registrazioni). Ai fini civilistici, il termine per la conservazione delle scritture per le imprese commerciali è di 10 anni dalla data dell’ultima registrazione. Ricevuta fiscale Modello e contenuto La ricevuta fiscale va emessa in duplice esemplare utilizzando modelli sostanzialmente conformi a quello approvato con DM 30.03.1992. La ricevuta fiscale deve contenere i seguenti dati obbligatori: numerazione progressiva prestampata per anno solare; data di emissione; dati identificativi dell’emittente (cognome e nome, se si tratta di persona fisica, ditta, denominazione o ragione sociale, se impresa individuale, società di capitali o società di persone; numero di partita IVA e luogo in cui viene esercitata l’attività e sono conservati i documenti); dati relativi ai beni ceduti e ai servizi prestati (natura, qualità e quantità); corrispettivo dovuto comprensivo dell’IVA. L’indicazione del corrispettivo può essere omessa: o sull’originale consegnato quando il committente lo richiede al fine di non farne conoscere l’ammontare al soggetto al quale è materialmente consegnato (circ. 13.6.1980, n. 25); o quando tra il committente e il prestatore esiste una convenzione relativamente alla prestazione e al corrispettivo (in tal caso la ricevuta riporta il nome delle parti e gli estremi della convenzione). Stampati fiscali Gli stampati possono essere acquistati da tipografie o rivenditori autorizzati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. La richiesta deve essere fatta per iscritto e corredata da documenti identificativi del soggetto utilizzatore. Non è più obbligatorio per l’utilizzatore la tenuta di una registro di carico degli stampati (art. 6 comma 2 lett. a) del DPR 404/2001). È obbligatoria per i rivenditori e le tipografie la trasmissione telematica annuale delle forniture effettuate nonché, fino al momento della comunicazione annuale, l’annotazione in apposito registro dei dati delle forniture effettuate. (art. 3 comma 1 DPR 404/2001 come modificato dall’art. 4 DPR 126/2003). Emissione La ricevuta fiscale non può essere trasmessa in via elettronica tramite sistemi informatici (circ. 17.5.2000, n. 98/E). La ricevuta fiscale, di norma, viene emessa in duplice copia al momento della consegna del bene o dell’ultimazione della prestazione. Se il momento dell’ultimazione e quello del saldo non coincidono, andranno emesse le seguenti ricevute nei seguenti casi: -ricevuta con “corrispettivo non riscosso”: nel caso di prestazione ultimata e non pagata; -ricevuta con “corrispettivo non determinato”: nel caso di prestazione ultimata ma non determinata nel quantum; -ricevuta per l’acconto: in caso di prestazione non ultimata e riscossione di parte del corrispettivo; -ricevuta completa con acconto: in caso di prestazione ultimata e riscossione di parte del corrispettivo. Al momento del saldo andrà emessa una nuova ricevuta con riferimento alla o alle precedenti. In caso di noleggio di beni mobili la ricevuta va emessa all’atto della consegna del bene. Registro dei corrispettivi I commercianti al minuto e gli altri soggetti assimilati possono annotare le operazioni effettuate e documentate con uno scontrino, ricevuta o fattura (se richiesta dal cliente) in un apposito registro dei corrispettivi indicando:data (giorno di effettuazione delle operazioni);gli importi imponibili, divisi per aliquota;importi non imponibili;gli importi esenti. I corrispettivi devono essere annotati entro il giorno successivo non festivo a quello in cui l’operazione è stata effettuata, con riferimento al giorno in cui le operazioni sono state effettuate. Per le vendite a credito, i corrispettivi devono essere annotati entro il giorno successivo alla consegna dei beni e non all’atto della riscossione. Se non è tenuto anche il registro delle fatture, i corrispettivi delle operazioni per le quali è o sarà emessa fattura debbono essere annotati negli stessi termini di cui sopra. Inoltre, il comma 4, dell’art. 6, del DPR 9 dicembre 1996, n. 695, ha previsto, allo scopo di semplificare gli obblighi in capo ai contribuenti, che le operazioni per le quali è rilasciato lo scontrino fiscale o la ricevuta fiscale, effettuate in ciascun mese solare, possono essere annotate, anche con unica registrazione, nel registro previsto dei corrispettivi, entro il giorno 15 del mese successivo. Focus: ventilazione dei corrispettivi Esistono alcune categorie di contribuenti che calcolano l’IVA da versare all’erario attraverso un procedimento particolare che prende il nome di ventilazione dei corrispettivi. I soggetti che possono adottare tale metodologia sono: i soggetti che esercitano il commercio al minuto dei seguenti articoli: - prodotti alimentari e dietetici; - articoli tessili, vestiario e calzature; - prodotti farmaceutici e per l’igiene della persona. Si precisa al riguardo che nel caso di commercianti al minuto che, oltre al commercio dei prodotti sopra detti, trattino anche altri prodotti, la ventilazione può essere applicata se l’ammontare degli acquisti e delle importazioni relative a prodotti diversi non supera il 50% del totale degli acquisti. Esempio Si pensi ad un commerciante che vende sia prodotti per l’igiene della persona (ammessi alla ventilazione) che prodotti per l’igiene della casa. Il totale degli acquisti effettuati nel corso dell’anno ammonta a 700.000 euro. Di questi 380.000 sono acquisti per l’igiene della persona. Quindi, poiché gli acquisti di prodotti ammessi alla ventilazione supera il 50% del totale degli acquisti, essa è applicabile. Inoltre, affinché la ventilazione possa essere utilizzata dal commerciante al minuto è necessario che le vendite con emissione di fattura non superino il 20% dei corrispettivi totali. Dal calcolo sono escluse le fatture emesse relative alla vendita di beni strumentali e di immobili. Sanzioni per scontrino fiscale e ricevuta fiscale Nell’ambito della disciplina sanzionatoria delle violazioni tributarie, definita dal d.lgs. n. 471 del 18 dicembre 1997, le norme riguardanti la mancata emissione della ricevuta e dello scontrino fiscale sono collocate all’interno dell’art. 6 e dell’art. 12 di detto decreto. I due articoli si occupano, rispettivamente, delle violazioni degli obblighi relativi alla documentazione, registrazione ed individuazione delle operazioni soggette all’IVA e delle sanzioni accessorie in materia di imposte dirette ed IVA. Sanzioni per scontrino fiscale e ricevuta fiscale Sanzioni pecuniarie A norma del comma terzo del citato art. 6, quando le violazioni inerenti alla documentazione delle operazioni soggette ad Iva consistono nella mancata emissione di ricevute o scontrini fiscali, ovvero nell'emissione di tali documenti per importi inferiori a quelli reali, la sanzione è pari al cento per cento dell'imposta corrispondente all'importo non documentato. Ai sensi del successivo comma 4, la sanzione non può essere applicata in misura inferiore a 516 euro per singola infrazione. A tale riguardo l’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 23/E del 25 gennaio 1999, ha evidenziato che la previsione di un importo minimo per ogni singola violazione commessa non può più comportare, come in passato, la quantificazione delle sanzioni in misura abnorme, soccorrendo in proposito, in caso di più violazioni, i ben più incisivi istituti del concorso o della progressione, previsti dall'art. 12 del d.lgs. n. 472/1997. Attenzione: In particolare, il comma 2 del citato art. 12 dispone che è punito con la sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio, chi, anche in tempi diversi, commette più violazioni che, nella loro progressione, pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione dell'imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo. Orbene, la norma appena citata può trovare applicazione nei casi di ripetute mancate emissioni di ricevuta o scontrino fiscale e/o mancate registrazioni commesse dallo stesso soggetto, sia quando a tali violazioni non faccia seguito l'infedele dichiarazione (ipotesi di progressione che tende a pregiudicare la determinazione dell'imponibile) sia quando alla mancata emissione e/o registrazione dei documenti segua l'infedele dichiarazione (progressione che pregiudica la determinazione dell'imponibile). Tutto ciò, purché la progressione non sia interrotta dalla constatazione della violazione, secondo quanto stabilito dal comma 6 dell'art. 12 medesimo. Si rileva, infine, che non è più prevista, a differenza del passato (cfr. ad es. art. 2 della l. n. 18 del 26 gennaio 1983), alcuna sanzione nei confronti del cliente a cui non venga rilasciata o consegnata la ricevuta o lo scontrino fiscale. Tale comportamento, pertanto, non può più essere punito, anche se, naturalmente, permane il diritto del cliente di pretendere che il documento gli sia rilasciato. Sanzioni per scontrino fiscale e ricevuta fiscale Sanzioni accessorie La disciplina delle sanzioni accessorie in materia di scontrino e ricevuta fiscale è contenuta nell'art. 12, comma 2 e ss. del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, entrato in vigore a partire dal 1° aprile 1998. Tuttavia, la materia è stata oggetto di significative modifiche nel corso del 2006, con il collegato fiscale alla Finanziaria 2007 e a seguito della legge Finanziaria 2008. Si ripercorrono quindi il percorso di tali modifiche per giungere al quadro normativo attualmente in vigore. Le modifiche del decreto legge n. 262/2006 Il collegato alla Finanziaria 2007, ovverosia il d.l. n. 262 del 3 ottobre 2006, come anticipato, ha introdotto alcune modifiche alla disciplina delle sanzioni accessorie a quelle pecuniarie in caso di violazione degli obblighi di emissione dello scontrino e della ricevuta fiscale. In particolare, la norma di riferimento, ovverosia l’art. 12 del d.lgs. n. 471/1997 è stata riformulata dall’art. 1, commi da 8 a 8-ter del predetto d.l. n. 262/2006, convertito dalla l. n. 286 del 24 novembre 2006. Prima delle modifiche in commento, la suddetta norma prevedeva la sospensione della licenza o dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività ovvero dell'esercizio dell'attività medesima per un periodo da quindici giorni a due mesi qualora fossero state definitivamente accertate, in tempi diversi, tre distinte violazioni dell'obbligo di emettere lo scontrino o la ricevuta fiscale commesse in giorni diversi nel corso di un quinquennio. Le modifiche introdotte, con decorrenza dal 29 novembre 2006 (data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in rassegna), hanno riguardato sia le modalità di applicazione ed esecuzione della sanzione, sia il trattamento sanzionatorio. Presupposti per l’applicazione della sanzione Rispetto al regime previgente, ai fini dell'applicazione della sanzione accessoria, le modifiche del d.l. n. 262/2006 prevedevano che fosse sufficiente la constatazione nel corso di un quinquennio, di tre distinte violazioni dell'obbligo di emettere la ricevuta fiscale o lo scontrino fiscale, essendo stato eliminato il presupposto del definitivo accertamento delle stesse. Ciò comporta che l'applicazione della sanzione accessoria diviene indipendente dal decorso dei termini per l'impugnazione dell'atto di contestazione o del provvedimento di irrogazione, così come diviene irrilevante il passaggio in giudicato della pronuncia giurisdizionale in caso di impugnazione (momenti ai quali si ricollega la definitività dell'accertamento). Inoltre, la disposizione del d.l. n. 262/2006 non richiedeva che le tre distinte violazioni fossero “accertate in tempi diversi”. In sostanza, l'autorità competente poteva disporre la sospensione della licenza o dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività ovvero la sospensione dell'esercizio dell'attività medesima anche nel caso in cui le tre violazioni fossero contestate unitariamente (ad es. nello stesso verbale). Sanzioni per scontrino fiscale e ricevuta fiscale Trattamento sanzionatorio Riguardo al trattamento sanzionatorio in sé, che non è stato modificato dalla legge Finanziaria 2008, il d.l. n. 262/2006 ha stabilito che la sanzione accessoria venga disposta per un periodo compreso tra tre giorni ed un mese, mentre in passato poteva essere disposta per un periodo superiore, compreso tra quindici giorni e due mesi. Anche l'ipotesi "aggravata" della fattispecie in esame, che prevedeva un innalzamento della misura della sospensione per un periodo da due a sei mesi quando i corrispettivi non documentati nel corso del quinquennio eccedessero la somma di 103.291,37 euro, è stata modificata. Da un lato è stata ridotta a 50.000 euro la soglia a partire dalla quale la misura “aggravata” trova applicazione (in precedenza 200milioni di lire), dall'altro la sospensione può essere disposta per un periodo inferiore, compreso tra un mese e sei mesi . Le ulteriori modifiche della Finanziaria 2008 L’art. 1, comma 269 della l. n. 244 del 24 dicembre 2007 (Finanziaria 2008), in vigore dal 1° gennaio 2008, è nuovamente intervenuto sul sistema sanzionatorio riguardante le violazioni in esame modificando alcuni presupposti per l’applicazione delle sanzioni accessorie. Più precisamente, è stato portato a quattro il numero delle violazioni dell’obbligo di emettere la ricevuta o scontrino fiscale per fare scattare tali sanzioni ed è stato previsto che la constatazione di dette violazioni debba avvenire in giorni diversi. In sostanza, quindi, la normativa attualmente in vigore dal 1° gennaio 2008, fatto salvo il principio del “favor rei”, prevede che, qualora siano state constatate nei confronti di un contribuente, nel corso di un quinquennio, quattro distinte violazioni dell’obbligo di emettere la ricevuta o lo scontrino fiscale compiute in giorni diversi, è disposta la sospensione della licenza o dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività, ovvero dell’esercizio dell’attività (in caso di attività non soggetta a licenze o autorizzazioni) per un periodo da tre giorni ad un mese. Aspetti procedurali Con riferimento agli aspetti procedurali, modificati esclusivamente dal d.l. n. 262/2006, da una parte è venuto meno il presupposto del definitivo accertamento delle violazioni, dall’altra è stato espressamente previsto che il provvedimento di sospensione sia immediatamente esecutivo, in deroga a quanto prevede l'art. 19, comma 7 del d.lgs. n. 472/1997, il quale dispone che le sanzioni accessorie sono eseguite dopo che il provvedimento di irrogazione è divenuto definitivo. Ai sensi del nuovo art. 12, comma 2-bis del d.lgs. n. 471/1997, competente a disporre il provvedimento di sospensione - da notificare a pena di decadenza entro sei mesi decorrenti dalla contestazione della terza violazione - è la direzione regionale dell'Agenzia delle Entrate competente per territorio in relazione al domicilio fiscale del contribuente. Il compito di dare esecuzione e verificare l'effettivo adempimento dei provvedimenti di sospensione di cui all'art. 12, comma 2, è affidato all'Agenzia medesima ovvero alla Guardia di finanza. A tale fine, l'esecuzione del provvedimento di sospensione è assicurata mediante applicazione del sigillo dell'organo procedente e con le sottoscrizioni del personale incaricato ovvero con altro mezzo idoneo a indicare il vincolo imposto a fini fiscali. Le modalità di apposizione del sigillo devono essere tali da consentire la riconoscibilità del provvedimento di sospensione della licenza o dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività. Importazioni Concetti introduttivi L’effettuazione di operazioni di importazione di beni costituisce autonomo presupposto di applicazione dell’IVA. Non è rilevante che l’operazione sia effettuata nell’esercizio di imprese, arti o professioni; l’importazione, da chiunque effettuata, è un’operazione rilevante ai fini IVA (artt. 1 e 67, D.P.R. n. 633/1972). L’IVA assolta in dogana da soggetti passivi IVA potrà essere portata in detrazione secondo le regole ordinarie (artt. 19 e ss. D.P.R. n. 633/1972), mentre i soggetti privati ne restano definitivamente incisi. Concetti introduttivi Con il termine «importazioni» si individua l’introduzione in Italia di beni e/o di merci che originano da Paesi extra-Ue che non devono risultare già stati immessi in libera pratica in altro Paese membro della Ue oppure che provengono dai territori considerati esclusi dalla Ue in relazione all’art. 7 del decreto Iva. Attenzione: dal 1° gennaio 2011 le importate nella U.E. devono essere dichiarazione sommaria di entrata applicazione delle misure di sicurezza 19/D). merci che vengono precedute da una (ENS) prevista in (circ. 30.12.2010, n. Importazioni Importazioni -Le operazioni di immissione in libera pratica. Riguarda i beni non comunitari introdotti in Italia per i quali siano state assolte tutte le formalità doganali, nonché pagati i relativi dazi. Queste operazioni costituiscono i presupposti necessari per la regolare immissione al consumo in Italia dei beni. La riscossione dell’IVA può essere tuttavia sospesa qualora si tratti di beni destinati a proseguire verso altro Stato membro della Comunità europea ovvero laddove siano destinati all’immissione in un deposito IVA (art. 50-bis, D.P.R. n. 633/1972); -le operazioni di immissione in consumo di beni provenienti dal Monte Athos, dalle isole Canarie e dai Dipartimenti francesi d’oltremare; -le operazioni di perfezionamento attivo come definite dal Codice doganale comunitario. Secondo la disciplina del Codice doganale comunitario (art. 115), le operazioni di perfezionamento attivo riguardano la lavorazione di merci, compreso il loro montaggio, assemblaggio e adattamento ad altre merci, la trasformazione di merci, la ripartizione di merci, compreso il loro riattamento e la loro messa a punto, se sono eseguite nel territorio dello Stato. Se le lavorazioni sono effettuate all’estero, si parla invece di perfezionamento passivo. In materia di dazi doganali, la procedura di perfezionamento attivo è disciplinata dagli artt. 175 e seguenti del D.P.R. n. 43/1973 e indica il regime con il quale si sottopongono a perfezionamento, senza pagamento di dazi doganali, merci importate, a condizione che le stesse siano destinate a essere esportate al di fuori del territorio doganale della Comunità europea, in tutto o in parte, sotto forma di “prodotti compensatori”. Le operazioni di perfezionamento attivo eseguite nel territorio dello Stato italiano costituiscono importazioni soggette a IVA (art. 67, c. 1, lett. b, D.P.R. n. 633/1972); -le operazioni di ammissione temporanea aventi per oggetto beni, destinati a essere riesportati tali quali (salvo il normale deprezzamento dovuto al loro utilizzo) e che, in base a disposizioni comunitarie, non fruiscano dell’esenzione totale dai dazi di importazione. In materia doganale, le operazioni di ammissione temporanea sono definite con la denominazione di “operazioni di temporanea importazione”. Trattasi di speciali agevolazioni per il movimento di specifici beni spediti da e per l’estero e da riesportare o reimportare tali e quali, per essere impiegati per diverse utilizzazioni (per esempio tentata vendita) (art. 214, D.P.R. n. 43/1973). Ai fini IVA, costituiscono importazioni anche le operazioni di ammissione temporanea aventi per oggetto beni destinati a essere riesportati tali e quali che, in base a disposizioni comunitarie, non fruiscono dell’esenzione totale dai dazi di importazione (art. 67, c. 1, lett. c, D.P.R. n. 633/1972); Importazioni Importazioni -le operazioni di reimportazione a scarico di esportazione temporanea fuori della Comunità europea. Tali operazioni consistono nella reintroduzione in Italia di beni precedentemente oggetto di temporanea esportazione al di fuori del territorio della UE per essere sottoposti a perfezionamento passivo (lavorazione, riparazione o trasformazione) ovvero a riparazione gratuita per obblighi di garanzia o per difetti di fabbricazione. La temporanea esportazione è consentita allorché le merci da esportare siano destinate a ricevere specifici trattamenti, quali la trasformazione in prodotti aventi caratteristiche chimiche, fisiche od organolettiche diverse da quelle delle merci temporaneamente esportate, ovvero altre lavorazioni, compresi il montaggio, l’assiemaggio e l’adattamento ad altre merci, o ancora la riparazione, compresi il riattamento e la messa a punto. L’IVA si applica in tal caso sul valore della lavorazione subita all’estero (art. 69, D.P.R. n. 633/1972); -le operazioni di reintroduzione di beni precedentemente esportati fuori della Comunità europea. La reintroduzione di beni precedentemente esportati può beneficiare dell’esenzione dai dazi all’importazione qualora le merci comunitarie precedentemente esportate fuori del territorio doganale comunitario siano, entro il termine di tre anni, ivi reintrodotte e immesse in libera pratica (artt. 185-187 Codice doganale). L’esenzione dei dazi all’importazione non è, tuttavia, concessa per le merci esportate fuori del territorio doganale della Comunità europea nell’ambito del regime del perfezionamento passivo, a meno che tali merci non si trovino nello stato in cui sono state esportate, nonché per le merci che sono state oggetto di una misura comunitaria che ne impone l’esportazione in Paesi terzi. Ai fini IVA, tali operazioni costituiscono importazioni imponibili (art. 67, c. 2, D.P.R. n. 633/1972), salvo il caso in cui (art. 68, c. 1, lett. d, D.P.R. n. 633/1972): i) la reintroduzione sia effettuata dallo stesso soggetto che li aveva in precedenza esportati; ii) i beni reintrodotti siano “tali quali” a quelli precedentemente esportati; iii) ricorrano, all’atto della reintroduzione, le condizioni per la franchigia doganale. Applicazione dell’IVA Regola operativa -> l’imposta viene accertata, liquidata e riscossa all’atto di ogni operazione in base alle regole doganali e, quindi, l’Iva sulle importazioni è equiparata ai diritti di confine. Base imponibile -> valore dei beni importati determinato in base alle norme doganali + diritti doganali (esclusa l’Iva) + spese di inoltro (trasporto, ecc.) dei beni alla destinazione all’interno dell’Ue. Applicazione dell’IVA Aliquota Iva -> corrispondente al bene importato nelle cessioni interne. Momento impositivo -> presentazione dogana della dichiarazione di importazione. Detraibilità -> l’Iva addebitata è detraibile secondo le regole generali. Controversie e le sanzioni -> disposizioni delle leggi doganali sui diritti di confine. NB: l’Iva relativa all’importazione di materiale d’oro e semilavorati di purezza pari o superiore a 325/1000, nonché argento deve essere accertata e liquidata nella dichiarazione doganale, ma deve essere corrisposta con il meccanismo del reverse charge. Dichiarazione doganale Regola -> la dichiarazione doganale, redatta e sottoscritta dal dichiarante su stampati conformi, deve essere presentata quando le merci sono giunte negli spazi doganali o in specifici luoghi operativi. Contenuto: • identità e domicilio fiscale del proprietario delle merci, del suo rappresentante e di tutti coloro per conto dei quali l’operazione doganale viene effettuata; • codici fiscali dei soggetti che intervengono nell’operazione doganale e degli altri soggetti interessati o il codice sostitutivo ad uso meccanografico; • luoghi di origine, di provenienza e di destinazione delle merci; • quantità e natura dei colli con le marche, sigle o cifre identificative; • descrizione delle merci con l’indicazione della posizione di tariffa, della qualità, della quantità del valore e di ogni altro elemento necessari per la liquidazione dei diritti; • altri dati richiesti dalla modulistica ufficiale; • importo singoli tributi che gravano e della somma da pagare o da garantire. NB: Unitamente alla dichiarazione devono essere presentati all’Ufficio doganale i documenti commerciali e di trasporto inerenti alla merce dichiarata, nonché ogni altro documento utile e/o previsto per l’operazione. Importazioni escluse Attenzione: secondo quanto disposto dall’art. 68 del DPR n. 633/1972 non sono soggette ad IVA le seguenti importazioni (si veda tabella di seguito riportata) Importazioni non soggette ad IVA -Beni destinati a essere riesportati da parte di esportatori abituali o relativi a servizi internazionali e a operazioni assimilate alle esportazioni. Le importazioni in oggetto sono escluse dal pagamento dell’IVA nei limiti del plafond, ossia dell’ammontare delle cessioni all’esportazione, cessioni intracomunitarie non imponibili e operazioni assimilate annotate nel registro delle fatture emesse nell’anno solare precedente (c.d. plafond fisso) o nei dodici mesi precedenti (c.d. plafond mobile) a quello di effettuazione degli acquisti senza applicazione dell’IVA. Prima dell’effettuazione dell’importazione, l’esportatore abituale deve presentare in dogana la dichiarazione d’intento da cui risulta la volontà dell’esportatore di avvalersi della facoltà di effettuare acquisti (anche intracomunitari) e importazioni senza applicazione dell’imposta (ris. 27.7.1985, n. 355235); -campioni gratuiti di modico valore appositamente contrassegnati; -beni la cui cessione è esente da IVA; -beni indicati nell’art. 2, c. 3, lett. l, D.P.R. n. 633/1972 (paste alimentari, biscotto di mare, latte fresco ecc.); -beni la cui cessione nello Stato è agevolata in virtù di trattati e accordi internazionali, ovvero effettuata dalle sedi diplomatiche e consolari, organismi militari, organizzazioni internazionali e dall’istituto universitario europeo; -navi, aeromobili, satelliti e altri beni a essi connessi; -beni donati a enti pubblici o ad associazioni riconosciute o fondazioni aventi esclusivamente finalità di assistenza, beneficenza, educazione, istruzione, studio o ricerca scientifica, nonché beni donati a favore delle popolazioni colpite da calamità naturali o catastrofi; -pubblicazioni estere effettuate da biblioteche universitarie (art. 3, c. 7, D.L. n. 90/1990); -reintroduzione di beni precedentemente esportati fuori della UE quando la reintroduzione ha a oggetto beni che non hanno subito alcuna lavorazione (per esempio beni difettosi rifiutati dal destinatario) e viene effettuata dallo stesso soggetto che ha precedentemente esportato i beni gode della franchigia doganale; -importazione di beni indicati nella Direttiva 83/181/CEE (beni personali, corredi, masserizie ecc.); -importazione di rottami e altri materiali quali carta da macero, gomma, stracci ecc. (art. 74, c. 8 e 9, D.P.R. n. 633/1972). Esportazioni ed operazioni assimilate Concetti introduttivi • Esportazioni dirette (art. 8, lett. a) • Cessioni in Italia a importatori esteri (art. 8, lett. b) • Esportazioni triangolari (art. 8, lett. a) • Esportazioni indirette (art. 8, lett. c) • Operazioni assimilate alle esportazioni (art. 8-bis) • Servizi internazionali (art. 9) • Cessioni per la cooperazione con i PVS (L. 49/1987) • Operazioni con il Vaticano e S. Marino (art. 71) • Operazioni in base a trattati internazionali (art. 72) Esportazioni ed operazioni assimilate Regola -> sono esportazioni le cessioni di beni poste in essere mediante trasporto o spedizione dei medesimi fuori dal territorio dell’Unione europea, comprese [circolare 33650/1972] le operazioni di: • esportazione definitiva; • esportazione temporanea; • riesportazione; • nonché quelle poste in essere con la Città del Vaticano, San Marino e effettuate in base a trattati internazionali (artt. 71 e 72 del decreto Iva). L’esportazione può essere diretta o triangolare. Esportazioni ed operazioni assimilate Ne deriva che: • le cessioni all’esportazione (art. 8); • le operazioni assimilate alle cessioni all’esportazione (art. 8-bis); • le prestazioni di servizi internazionali o connesse agli scambi internazionali (art. 9); beneficiano del regime di non imponibilità (cioè di non applicazione dell’Iva). Esportazioni ed operazioni assimilate Onerosità delle cessioni -> requisito indispensabile affinché sussista una cessione all’esportazione è il trasferimento della proprietà (o di altro diritto reale) sul bene, nonché l’invio del medesimo al di fuori del territorio dell’Ue. Diversamente da quanto accade nelle cessioni intracomunitarie, ne deriva che, poiché non è prevista la condizione della onerosità della cessione, anche le esportazioni a titolo gratuito sono non imponibili ai sensi dell’art. 8 se poste in essere nel rispetto delle procedure doganali. Esportazioni ed operazioni assimilate Non imponibilità delle esportazioni -> si rende operativa solamente per le cessioni di beni, mentre le prestazioni di servizi possono essere: • imponibili; • non imponibili; • escluse da iva; tenendo presente che se una prestazione di servizi comporta l’esportazione di beni destinati a fornire il servizio medesimo, la non imponibilità sussiste limitatamente a detti beni. Esportazioni Esportazioni -> concorrono alla formazione del volume d’affari -> sono soggette a: • fatturazione; • registrazione; e: • dichiarazione; tenendo presente che, pur non applicando l’Iva, non solo la detrazione del tributo inerente agli acquisti non subisce limitazioni, ma risulta accordata all’esportatore, per certe situazioni, di porre in essere: • acquisizione di beni e servizi senza l’applicazione dell’Iva; • rimborso o compensazione del credito Iva anche infra annuale. Le cessioni e gli acquisti di beni, comprese le esportazioni e le importazioni, e/o le prestazioni di servizi rese o ricevute, comprese quelle per mancanza del requisito di territorialità, poste in essere con soggetti residenti in Paesi a fiscalità privilegiata, sono soggette alla prevista segnalazione telematica mensile o trimestrale all’Agenzia delle entrate. Esportazioni dirette Regola -> a norma dell’art. 8, comma 1, lettera a) del decreto Iva, si devono considerare esportazioni dirette le cessioni che risultano eseguite, anche tramite commissionari, con trasporto o spedizione dei beni a cura o a nome del cedente fuori dal territorio dell’Unione europea. Al riguardo, tenere in considerazione che si devono considerare trasportati fuori dal predetto territorio anche i beni destinati ad essere impiegati nel mare territoriale per: • la costruzione; • la riparazione; • la manutenzione; • l’equipaggiamento; e: • il rifornimento delle piattaforme di perforazione e sfruttamento; nonché: • l’effettuazione dei relativi collegamenti. Documentazione esportazioni Esportazioni dirette -> devono essere comprovate da un documento doganale o dalla vidimazione da parte dell’ufficio doganale su uno dei seguenti esemplari: • della fattura; • del Ddt-documento di trasporto; • della bolla di accompagnamento (per i prodotti soggetti a tale obbligo); tenendo presente che poiché la fattura deve risultare presentata per l’effettuazione della pratica doganale non è consentita la fatturazione differita. La circ. 13.2.1997, n, 35/E precisa che nelle operazioni triangolari o nei rapporti committente-commissionario, la qualifica di esportatore compete a quest’ultimo o al primo cessionario italiano, mentre per il committente o per il primo cedente italiano la dimostrazione dell’avvenuta esportazione può risultare dal visto doganale su un esemplare della fattura emessa o dalla fotocopia del documento doganale vistato o dal Ddt-documento di trasporto integrato. Documentazione obbligatoria Regola -> il riconoscimento della non imponibilità è condizionata alla prova dell’effettiva esportazione costituita solamente dal visto di uscita dal territorio dell’Unione europea rilasciato dalla dogana. N.B.: dal 1° luglio 2009: • nelle operazioni doganali deve essere inserito nella documentazione il codice Eori-Economic Operator Registration and Identification, operativo a livello comunitario (tale codice è costituito per gli operatori dal numero di partita Iva preceduto dal codice «IT», mentre per le persone fisiche dal codice fiscale preceduto da «IT»; • le procedure telematiche di invio della dichiarazione si rendono attive anche alle esportazioni abbinate al transito. Le esportazioni di beni poste in essere utilizzando il servizio postale – poste in essere tramite stampe, pacchetto postale o pacco postale - sono regolate dal D.M. 22 gennaio 1977. Consignment stock Regola -> l’inoltro di beni in Stati extra Unione europea costituisce una cessione all’esportazione anche quando è effettuato in base ad un contratto di consignment stock, cioè con deposito dei beni presso il soggetto acquirente estero e trasferimento della proprietà all’atto del prelevamento dei beni da parte del cessionario. N.B.: nella ris. 5 maggio 2005, n. 58/E, l’Agenzia delle entrate ha puntualizzato che: • l’esportazione si deve ritenere perfezionata, per il plafond, solamente al momento in cui si verifica il prelievo dei beni da parte dell’acquirente; • l’invio di beni ad un proprio deposito all’estero non realizza un’esportazione in quanto non è operazione a titolo oneroso e la successiva cessione posta in essere in un Paese estero concretizza un’operazione fuori campo Iva per mancanza del principio/requisito della territorialità. Lavorazioni Lavorazioni su beni da esportare -> i beni destinati all’esportazione possono essere sottoposti in Italia, per conto del soggetto cessionario non residente, a lavorazione, trasformazione, assiemaggio, adattamento ad altri beni ad opera dell’esportatore o di terzi; tenendo presente che: • per la circolare 9 aprile 1981, n. 12/370205, l’esportazione può risultare posta in essere anche dal soggetto che ha posto in essere la trasformazione; • a norma del comma 9 dell’art. 9 del decreto Iva e della ris. 15 luglio 1999, n. 156/E, le lavorazioni mantengono la non imponibilità se sono richieste da un committente estero, che, tra l’altro, può anche risultare diverso dal cessionario non residente. Il regime Iva delle lavorazioni su beni nazionali esportati temporaneamente, eseguite da soggetti ubicati fuori dall’Ue, possono avvenire solo in presenza di: • perfezionamento passivo; • esportazione definitiva senza trasferimento della proprietà; • esportazione definitiva con trasferimento della proprietà. Perfezionamento passivo Metodo del perfezionamento passivo – il ricorso a tale metodo prevede la necessità del rilascio di una specifica autorizzazione da parte della circoscrizione doganale territorialmente competente e, per alcuni beni, da parte del Ministero dell’Economia e delle finanze o altro ministero espressamente delegato. A seguito della richiesta per l’ottenimento dell’autorizzazione, la competente autorità provvede a fissare: ● il termine entro il quale i prodotti compensatori devono risultare reimportati nel territorio doganale dell’Unione europea (termine prorogabile su domanda del titolare dell’autorizzazione); ● tasso di rendimento dell’operazione e, se necessario, le modalità di determinazione del medesimo, che, come regola procedurale, deve essere individuato nella quantità o percentuale di beni compensatori ottenuta al momento del perfezionamento da una quantità determinata di beni o prodotti o merci in temporanea esportazione. Perfezionamento passivo In relazione all’autorizzazione ottenuta, l’operazione di perfezionamento passivo si concretizza in sede di: • esportazione, con la compilazione del Dau–Ex-Documento amministrativo unico esportazioni con in quale si: • individuano con precisione il valore delle merci; • definiscono i diritti doganali che gravano sui beni in uscita dal territorio doganale (diritti che costituiranno oggetto di scomputo per l’importazione); • procede alla presentazione delle merci in dogana; • reimportazione, con la redazione del Dau–Imp-Documento amministrativo unico importazione, con il quale procedere alla rideterminazione del valore dei beni compensatori, tenendo in considerazione anche: • gli oneri di carico, trasporto ed assicurazione dal luogo dove sono state effettuate le attività di perfezionamento a quello di introduzione nel territorio doganale comunitario; • ridefinizione dei diritti doganali; • procede alla presentazione delle merci in dogana. Esportazioni senza passaggio di proprietà Esportazione senza passaggio di proprietà che - ai fini Iva - non genera un’esportazione, in quanto manca il requisito essenziale del trasferimento della proprietà e del relativo pagamento, si concretizza in sede di: ● esportazione, con: • a redazione di un dettaglio valorizzato, nel quale devono essere dettagliati i beni e/o le merci esportate su carta intestata del soggetto esportatore; • la compilazione del Dau–Ex-Documento amministrativo unico esportazioni; • l’invalidazione da parte dell’Ufficio doganale dei documenti che risultano presentati a corredo della dichiarazione di esportazione definitiva, con la dicitura «Non valida ai fini dell’art. 8 del D.P.R. 633/1972»; ● importazione, con: • la redazione del Dau–Imp-Documento amministrativo unico importazione; • l’individuazione del valore doganale dei beni, dei prodotti e/o delle merci reimportati, che devono comprendere anche l’entità del corrispettivo fatturato per la lavorazione eseguita all’estero; • la specificazione del valore della precedente esportazione; • la determinazione per la coerente definizione dei diritti doganali. Esportazioni con passaggio di proprietà Esportazione con passaggio di proprietà che - ai fini Iva - genera un’esportazione, in quanto sussistono i requisiti previsti nell’art. 8, comma 1, lett. a) del decreto Iva, si concretizza in sede di: ● esportazione, con: • l’emissione della fattura ai sensi dell’art. 21 del decreto iva (passaggio di proprietà); • la presentazione del Dau–Ex-Documento amministrativo unico esportazioni; • il pagamento del corrispettivo pattuito per i beni o i prodotti o la merce oggetto di trasferimento soggetti a lavorazione; ● importazione, con: • la redazione del Dau–Imp-Documento amministrativo unico importazione; • l’individuazione del valore doganale dei beni, dei prodotti e/o delle merci reimportati, che deve essere definito in relazione alle norme vigenti in materia, incrementato dei diritti doganali dovuti, con esclusione dell’Iva e delle spese di inoltro fino al luogo di destinazione nel territorio dell’Unione europea; • la determinazione per la coerente definizione dei diritti doganali. Lavorazioni presso operatore extra-UE Cessioni a soggetti non residenti Cessioni a non residenti -> sono cessioni all’esportazione anche le cessioni di beni a un cessionario non residente (cliente estero) che provvede a ritirare, direttamente o tramite terzi, i beni presso il cedente italiano, curando la successiva esportazione degli stessi. Tali esportazioni sono non imponibili se: • il soggetto acquirente è un operatore economico e non un consumatore finale; • i beni vengono esportati senza subire lavorazioni nel territorio nazionale; • l’esportazione viene eseguita non oltre 90 giorni dalla consegna dei beni al cessionario non residente. N.B.: in caso di mancato rispetto di tale termine viene meno il beneficio della non imponibilità con sanzione a carico del cedente italiano. Non è consentito attivare tale tipo di esportazione per le cessioni di beni: • destinati a dotazione o provvista di bordo di imbarcazioni o navi da diporto, di aeromobili da turismo o di qualsiasi altro mezzo di trasporto ad uso privato; • a turisti extracomunitari che trasportano gli stessi nei bagagli personali (art. 38-quater del decreto Iva). Acconti percepiti prima della spedizione Acconti incassati prima della spedizione -> Ris. 7 settembre 1998, n. 125/E – tali acconti si devono considerare operazioni non imponibili se risulta emessa e registrata: • la fattura per l’acconto (non imponibile) al momento dell’incasso di ciascun importo; • la fattura riepilogativa (non imponibile) al momento della spedizione della merce, con l’indicazione del prezzo complessivo e degli estremi di tutte le fatture emesse all’incasso degli acconti. N.B.: la fattura riepilogativa, che può indicare un saldo pari zero se il prezzo è già stato interamente corrisposto in acconto, deve necessariamente specificare solo il conguaglio se il prezzo pattuito è stato solo parzialmente pagato. Su tali fatture è indispensabile la presenza della dicitura che si tratta di «operazione non imponibile ai sensi dell’art. 8, c. 1, lett. a), D.P.R. 633/1972». Operazioni assimilate alle esportazioni Art. 8-bis decreto Iva -> sono operazioni assimilate alle esportazioni, se non costituiscono cessioni all’esportazione, le cessioni effettuate nel territorio dello Stato di: ● navi adibite alla navigazione in alto mare e destinate ad attività commerciali o alla pesca; navi destinate alla pesca costiera o ad operazioni di salvataggio o assistenza in mare, oppure alla demolizione, ecc.; ● navi militari e da guerra; ● aeromobili, compresi i satelliti, ad organi dello Stato; ● aeromobili ad imprese di navigazione aerea che effettuano prevalentemente trasporti internazionali; apparati motori, componenti, parti di ricambio di apparati motori, di navi e di aeromobili di cui ai punti precedenti; ● dotazioni di bordo compresi i containers e forniture destinate a rifornimento e vettovagliamento; prestazioni di servizi relative alle operazioni di cui ai punti precedenti, alla demolizione di navi, locazioni, noleggi, carenaggi, costruzione e riparazione, ecc. e prestazioni destinate a sopperire direttamente ai bisogni delle navi e degli aeromobili. Servizi connessi agli scambi internazionali Servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali -> servizi, elencati dall’art. 9, c. 1, del decreto Iva, che, pur rientrando nella sfera di applicazione dell’Iva, godono del regime di non imponibilità. Operazioni di credito e finanziamento-> dall’1.1.2010 non costituiscono servizio internazionale le operazioni di credito o finanziamento, di assicurazione, riassicurazione, operazioni relative a valute estere aventi corso legale, ad azioni, obbligazioni o altri titoli non rappresentativi di merce (nn. da 1 a 4, art. 10, effettuate nei confronti di soggetti residenti fuori dalla Ue o relative a beni destinati ad essere esportati fuori dalla Ue (sono esenti da Iva, ma consentono la detrazione dell’imposta (ved. art. 19, c. 3, lett. a-bis), D.P.R. 633/1972). Transito nei trafori internazionali -> dall’1.1.2003 non costituisce più un servizio internazionale (è prevista l’applicazione dell’Iva nel Paese in cui avviene il pagamento del pedaggio e/o dell’abbonamento). Esportazioni triangolari Esportazione triangolare -> cessione posta in essere mediante trasporto o spedizione all’estero dei beni a cura o a nome del primo cedente nazionale (ITA 1), su incarico del cliente residente (ITA 2) al cliente extra-Ue (ExCee). Ai fini operativi: 1. l’impresa residente ITA 1 (= soggetto fornitore) vende un bene all’impresa residente ITA 2 (= soggetto acquirente intermedio); 2. l’impresa residente ITA 2 (= soggetto acquirente intermedio) a sua volta rivende il bene all’impresa (ExCee) non residente nel territorio dell’Unione europea (= soggetto acquirente finale). La triangolazione si può realizzare anche tramite i commissionari di ITA 1 o ITA 2. Le cessioni da ITA a ITA 2 e quella da Ita 2 a ExCee costituiscono operazioni non imponibili, per cui è necessario specificare in fattura «art. 8, comma 1, lettera a), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633» (la non imponibilità opera anche rispetto agli eventuali commissionari). Triangolazioni dirette Triangolazioni dirette Triangolazioni comunitarie improprie Triangolazioni comunitarie improprie Quadrangolazione comunitaria impropria Triangolazione con lavorazione Triangolazioni con lavorazione -> che riguardano beni oggetto di interventi di perfezionamento (lavorazioni, modificazioni, adattamenti, trasformazioni e riparazioni di beni), costituisce operazione non imponibile se curata dal trasformatore (fornitore o da un terzo su incarico del cedente) e, quindi, il cessionario non può effettuare operazioni di perfezionamento. Condizioni per non imponibilità (ris. 4 marzo 1995, n. 51/E e 13 agosto 1996, n. 178/E) > triangolazione non è un’esportazione e, quindi, non si rende applicabile il regime di non imponibilità se il cessionario residente: • esegue il trasporto con mezzi propri, acquisendo la disponibilità materiale dei beni nel territorio nazionale; • procede a stipulare direttamente il contratto di trasporto; • Incarica soggetti terzi ad effettuare il servizio di trasporto. Se l’incarico al trasportatore o allo spedizioniere viene conferito dal primo cedente italiano (ITA 1), l’operazione triangolare mantiene la non imponibilità, anche se il trasporto sia pagato dal cedente (ITA 1) o dal cessionario (ITA 2). Cessionario non residente Status di esportatore abituale Introduzione • I contribuenti che effettuano, tra l’altro, cessioni all’esportazione ed operazioni assimilate versano in una situazione strutturale di credito Iva; • un rimedio, parziale, consiste nella facoltà, in presenza di determinate condizioni e nei limiti di alcune disposizioni, di poter acquistare e importare beni e servizi senza pagamento dell’Iva. L’esportatore abituale e la formazione del plafond i. Oggetto del beneficio: beneficio l’importo utilizzabile per effettuare acquisti interni, acquisti intracomunitari e importazioni (esclusi fabbricati, aree fabbricabili e beni/servizi per i quali l’Iva è indetraibile), viene definito Plafond ii. Requisiti soggettivi per lo status di esportatore abituale iii. Le operazioni che alimentano il plafond iv. Momento di formazione del plafond ii. Requisiti soggettivi • ESPORTATORE ABITUALE, art. 1, DL n. 746/83: i contribuenti che nell’anno solare precedente, ovvero negli ultimi dodici mesi, hanno registrato cessioni all’esportazione, cessioni intracomunitarie o altre operazioni assimilate, per un ammontare superiore al 10 per cento del volume d’affari. • Il contribuente deve aver iniziato l’attività da almeno 12 mesi: termine da intendersi in senso generico come inizio dell’attività d’impresa e non di esportazione. Acquisizione dello status di esportatore abituale Corrispettivi cessioni all’esportazione e delle operazioni a tali effetti assimilate, registrate nell’anno precedente o nei 12 mesi precedenti > del 10% Volume d’affari(*) per l’anno precedente o per i 12 mesi precedenti (*) al netto delle cessioni di beni in transito o depositati in luoghi soggetti a vigilanza doganale; separazione attività; note credito/debito (Circolare n. 8/D del 27 febbraio 2003) ii. Requisiti soggettivi (segue) • ESEMPIO: volume d’affari pari a 1.000, il contribuente è considerato esportatore abituale se l’ammontare delle operazioni che costituiscono plafond è pari o superiore a 101 (superiore al 10% del volume d’affari). • AL CONTRARIO, il contribuente non sarà considerato esportatore abituale se l’ammontare delle operazioni che costituiscono plafond è pari o inferiore a 100 (uguale o inferiore al 10% del volume d’affari). iii. Le operazioni che alimentano il plafond • Cessioni all’esportazione ai sensi dell’art. 8, 1° comma, lett. a) e b) del DPR n. 633/72; • operazioni assimilate alle precedenti o servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali ai sensi degli artt. 8-bis e 9 del DPR n. 633/72; • cessioni intracomunitarie ai sensi dell’art. 41 del DL n. 331/93; • altre operazioni: art. 71 e 72 DPR 633/72; margini beni usati DL 41/1995 (non imponibili) iii. Le operazioni che alimentano il plafond: le triangolazioni • Art. 8, 1° comma, lett. a) del DPR n. 633/72: ITA1 cede a ITA2 e riceve l’incarico da ITA2 stesso di inviare la merce fuori dal territorio comunitario. Condizioni: 1) il trasporto o la spedizione dei beni devono avvenire su incarico del cessionario residente (ITA2) a cura o a nome del cedente (ITA1); 2) prova dell’avvenuta esportazione. iii. Le operazioni che alimentano il plafond: le triangolazioni (segue) • Art. 58, 1° comma, del DL n. 331/93: ITA1 cede a ITA2 e riceve l’incarico di inviare la merce in altro Paese comunitario. Condizioni: 1. 2. il trasporto o la spedizione all’estero deve avvenire a cura o nome del cedente (ITA1); prova dell’invio del bene in altro Stato membro iv. Momento di formazione del plafond • A decorrere dal 14/03/1997 concorrono alla formazione del plafond le operazioni registrate nell’anno solare precedente o nei 12 mesi precedenti (in caso di utilizzo del metodo del plafond mobile) nel registro delle fatture emesse. • Pertanto, il Plafond viene alimentato da tutte le operazioni non imponibili effettuate verso l’estero, la cui fattura sia annotata nel registro delle fatture emesse previsto dall’articolo 23 del DPR n. 633/72. Si precisa che non si fa riferimento alle operazioni effettuate. Il plafond nelle operazioni triangolari: il plafond libero e il plafond vincolato • In base all’art. 8, comma 2, del DPR n. 633/72, i cessionari* che intervengono in un’operazione di triangolazione possono avvalersi del plafond di cui dispongono: integralmente per gli acquisti di beni che siano esportati nello stato originario nei sei mesi successivi alla loro consegna (plafond vincolato); - nei limiti della differenza tra il plafond complessivo di cui dispongono e l’ammontare delle cessioni di beni effettuate nei loro confronti nello stesso anno senza IVA, in quanto esportate in triangolazione, per gli acquisti di altri beni o servizi (plafond libero). - * Si precisa che tale modalità vale anche nel caso dei commissionari Il plafond libero e il plafond vincolato: esempio • Cessione intracomunitaria in triangolazione, ai sensi dell’art. 58, comma 1, del DL n. 331/93: ITA1 vende a ITA2 merce per euro 10.000; ITA2 cede a sua volta merce a FR per euro 12.000; la merce è consegnata in Francia da ITA1 su incarico di ITA2; ITA1 dispone di un plafond di EURO 10.000, liberamente utilizzabile; ITA2 dispone di un duplice plafond: Euro 2.000 (pari alla differenza tra il corrispettivo dei beni ceduti e quello dei beni acquistati: 12.000 – 10.000) liberamente utilizzabile; Euro 10.000 (pari al corrispettivo dei beni acquistati) ad utilizzo vincolato, con il quale potrà acquistare beni da esportare nello stato originario entro 6 mesi dalla data in cui gli sono stati consegnati. Beni e servizi acquistabili con il plafond • In generale, sono agevolabili gli acquisti e le importazione di tutti i beni e servizi ad eccezione di: − beni e servizi per i quali l’Iva è indetraibile*; − fabbricati; − aree edificabili. * I soggetti con pro-rata riducono il plafond di una percentuale equivalente (Circolare n. 145 del 10 giugno 1998) Gli adempimenti dell’esportatore abituale: la lettera di intento • Deve essere compilata, in duplice copia, in conformità al modello approvato con Decreto Ministeriale del 6 dicembre 1986 e consegnata o spedita prima dell’effettuazione dell’operazione, vale a dire: per gli acquisti interni, prima della consegna o spedizione della merce ovvero, in presenza di servizi, prima del pagamento del corrispettivo e, in ogni caso, prima dell’emissione della fattura, se antecedente; − per le importazioni, prima della data di accettazione della bolla doganale. − L’efficacia della lettera di intento • Può essere rilasciata: per una singola operazione; ii. per più operazioni effettuate nell’anno solare e fino a concorrenza di un determinato ammontare imponibile; iii. per più operazioni effettuate nell’anno solare entro un certo periodo di tempo. i. • • La dichiarazione di intento non può produrre effetti oltre il 31 dicembre dell’anno di emissione. Per la revoca non sono mai state dettate istruzioni ufficiali: si ritiene che possa avvenire in qualsiasi forma. Registrazione delle dichiarazioni di intento • L’esportatore abituale deve datare, numerare ed annotare le dichiarazioni di intento emesse in un apposito registro o, in alternativa, in un’apposita sezione del registro delle fatture emesse o dei corrispettivi entro i 15 giorni successivi all’emissione. Gli adempimenti del fornitore • • • • Deve numerare ed annotare le dichiarazioni di intento ricevute in un apposito registro o, in alternativa, in un’apposita sezione del registro delle fatture emesse o dei corrispettivi entro 15 giorni dal ricevimento. Deve poi emettere le fatture in regime di non imponibilità Iva, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. c) del DPR n. 633/72, riportando gli estremi della dichiarazione di intento ricevuta. Il fornitore non è tenuto a verificare che il dichiarante risulti effettivamente in possesso dello status di “esportatore abituale”. Il D.L. n. 16/2012 è intervenuto in merito al termine per la comunicazione all’Agenzia delle Entrate delle dichiarazioni di intento. Infatti, a decorrere dal 2 marzo 2012 la scadenza per l’invio della dichiarazione d’intento non è più fissata al giorno 16 del mese successivo alla ricezione, bensì entro il termine della prima liquidazione IVA (mensile o trimestrale) nella quale sono ricomprese le forniture effettuate in sospensione di imposta in dipendenza delle dichiarazioni di intento. È’ opportuno precisare che la norma di fatto deve essere letta come un’agevolazione e non come un obbligo (infatti, nella norma viene riportato che “... entro il termine di effettuazione ...”); ne consegue che gli operatori potranno inviare la comunicazione anche prima (ma non oltre) del termine di effettuazione della prima liquidazione periodica IVA, mensile ovvero trimestrale, nella quale confluiscono le operazioni realizzate senza applicazione dell’imposta. I metodi per il calcolo del plafond 1) 2) Plafond fisso o solare: solare fa riferimento alle operazioni registrate nell’anno solare precedente. Plafond mobile o mensile: mensile si prendono come riferimento le operazioni registrate nei 12 mesi solari precedenti. • Il plafond fisso può essere utilizzato già a partire dal 1° gennaio successivo a quello di inizio dell’attività, mentre per il plafond mobile dal 1° gennaio dell’anno in cui siano già trascorsi almeno 12 mesi dall’inizio dell’attività. Il plafond fisso • Al 1° gennaio di ciascun anno, il plafond disponibile per detto anno è semplicemente costituito dalle operazioni non imponibili registrate nell’anno precedente e poi, nel corso dell’anno di utilizzo, è sufficiente controllare che gli acquisti e le importazioni con lettera di intento non superino l’ammontare del plafond disponibile per non incorrere nello splafonamento. Il plafond fisso Il plafond mobile • All’inizio di ciascun mese solare, è necessario verificare la sussistenza dello status di “esportatore abituale” e l’ammontare del plafond di cui si dispone che, a sua volta, è dato da: Esportazioni ed operazioni assimilate registrate nei 12 mesi precedenti progressivo utilizzo L’evoluzione del progressivo utilizzo • Alla fine dei mesi successivi a quello in cui si sono realizzati i primi acquisti in sospensione, si ha che il progressivo utilizzo è pari alla seguente somma algebrica: Progressivo utilizzo alla fine del mese precedente + Esportazioni registrate nel 13° mese che si espelle (segno -) Plafond utilizzato nel mese che si chiude (segno -) Esempio di struttura da utilizzare per il calcolo del plafond mobile Volume d'affari (o V.A.) Ultimi 12 Mese mesi Mese Esportazioni Registrate Ultimi 12 % su V.A. mesi Acquisti agevolati effettuati Mese Ultimi 12 mesi Prog. Utiliz. Plafond disponibile all'inizio del mese successivo > o < al 10% del V.A.??? Progressivo utilizzo alla fine del mese precedente + Esportazioni registrate nel 13°° mese che si espelle (segno -) Plafond utilizzato nel mese che si chiude (segno -) Esportazioni ed operazioni assimilate registrate nei 12 mesi precedenti progressivo utilizzo Esempio di plafond mobile Ipotesi: esportazioni al 10% del V.A. Note (es. gennaio 2007): Prog. Util. = 0 + (- 1.000) – 3.000) = 2.000 Plafond disp. = 40.600 + (2.000 – 1.000) – 2.000 = 39.600 (- > Passaggio da un metodo ad un altro È possibile modificare il criterio di calcolo solo al 1° gennaio dell’anno successivo e non in corso d’anno. Passaggio dal plafond fisso a quello mobile Se nell’anno solare precedente si è utilizzato il plafond fisso e si vuole passare al plafond mobile non sorge alcun problema, nel senso che il plafond disponibile all’inizio dell’anno è pari alle esportazioni e operazioni assimilate registrate nell’anno solare precedente. Passaggio dal plafond mobile a quello fisso Se si passa dal plafond mobile a quello fisso, il plafond disponibile all’inizio dell’anno è pari al plafond che sarebbe risultato disponibile per il mese di gennaio se si fosse mantenuto il metodo mobile (RM n. 77 del 6 marzo 2002). Momento di utilizzo del plafond • Non coincide con il momento in cui vengono annotate nei registri le fatture passive o le bollette di importazione, bensì il plafond si considera utilizzato nel momento di effettuazione degli acquisti ed importazioni ai sensi dell’art. 6 del DPR n. 633/72. Variazioni del plafond* Può variare a seguito di note di debito e/o di credito emesse dall’esportatore abituale anche in anni successivi a quello di formazione del plafond. * Circolare Agenzia delle Dogane 8/D del 27 febbraio 2003 Note di debito a) b) c) Se emesse nello stesso anno di effettuazione dell’operazione principale, incrementano il plafond in corso di formazione in quell’anno; se emesse nell’anno successivo, incrementano il plafond formatosi nell’anno di effettuazione dell’operazione principale (quindi quello dell’anno precedente); se emesse in anni ancora successivi, incrementano il plafond formatosi nell’anno in cui è stata effettuata l’operazione principale che però non è più utilizzabile. Non si produce in questo caso nessun aumento di plafond. Note di credito Se emesse (anche fuori campo IVA) nello stesso anno di effettuazione dell’operazione principale, riducono il plafond in corso di formazione in quell’anno; b) se emesse (anche fuori campo IVA) nell’anno successivo, diminuiscono il plafond formatosi nell’anno precedente, cioè quello di effettuazione dell’operazione principale; c) se emesse in anni ancora successivi, sono imputate a decremento del plafond formatosi nell’anno in cui è stata effettuata l’operazione principale. a) La dichiarazione Iva 2007 (anno d’imposta 2006): Il quadro VC È un prospetto in cui vanno indicati i dati relativi all’utilizzazione del plafond nei singoli mesi dell’anno 2006, oltre a quelli riguardanti la formazione del plafond creatosi nello stesso anno e utilizzabile nell’anno successivo. • È suddiviso in 12 righi (da VC 1 a VC 12), rappresentativi dei 12 mesi dell’anno, e in 6 colonne: le colonne 5 e 6 devono essere compilate solo da chi nel 2006 ha adottato il metodo mobile. Nel rigo VC 13 vanno riportati, in relazione a ciascuna colonna, i totali dei dati riportati nei singoli righi. • Al rigo VC 14, campo 1, si indica il plafond disponibile al 1° gennaio 2006 e poi si barra la casella 2 o 3 a seconda del metodo adottato nel 2006 (plafond fisso o mobile). • Sanzioni Sono disciplinate dai commi 3 e 4 dell’art. 7 del D.Lgs. n. 471/97. • Chi emette fatture senza applicazione dell’Iva, in assenza della dichiarazione di intento, è soggetto ad una sanzione compresa tra il 100 e il 200% dell’imposta non applicata in fattura, oltre ad essere tenuto al versamento dell’imposta stessa (comma 3). • Chi rilascia una dichiarazione di intento senza essere in possesso della qualifica di “esportatore abituale” è l’unico responsabile del mancato pagamento dell’Iva ed è punito con una sanzione che varia dal 100 al 200% dell’imposta (commi 3 e 4). • Lo splafonamento Si ha quando si impiega il plafond oltre i limiti consentiti (comma 4 del D.Lgs. n. 471/97). • La sanzione prevista oscilla dal 100 al 200% dell’imposta evasa ed è a carico dell’esportatore abituale. È possibile sanare spontaneamente la violazione tramite il ravvedimento operoso (art. 13 del D.Lgs. n. 472/97) entro il termine della presentazione della dichiarazione Iva relativa all’anno in cui è stata commessa. Il ravvedimento è percorribile sia che lo splafonamento si riferisca ad acquisti interni che ad importazioni. • Lo splafonamento (segue) • Per lo splafonamento presso fornitori nazionali, è possibile regolarizzare spontaneamente la violazione commessa secondo 2 procedure alternative: a. l’emissione di una nota di debito da parte del fornitore; b. l’emissione di un’autofattura da parte dell’esportatore abituale. Emissione di una nota di debito • Il fornitore emette una fattura integrativa per l’Iva originariamente non applicata e la annota nel registro delle vendite. L’esportatore abituale annota poi la fattura ricevuta nel registro degli acquisti e detrae così l’Iva. Contestualmente versa con l’F24 la sanzione ridotta, pari al 20% dell’imposta, con il codice 8904, nonché gli interessi maturati a decorrere dal giorno in cui è stata commessa la violazione. Emissione dell’autofattura • L’esportatore contenente: 1) 2) 3) • abituale emette un’autofattura in duplice copia i dati di ciascun fornitore o prestatore; il numero di protocollo attributo alle fatture ricevute e, per ciascuna di esse, l’ammontare eccedente il plafond; l’imposta che avrebbe dovuto essere addebitata nelle singole fatture. Poi l’autofattura va presentata al competente ufficio delle Entrate che restituisce una copia per consentire l’annotazione negli acquisti e la detrazione dell’Iva. L’imposta, che a suo tempo non è stata assolta, va versata, unitamente agli interessi di mora, calcolati dal giorno in cui è stata commessa la violazione, con l’F24 indicando il codice tributo relativo al periodo in cui è stato effettuato l’acquisto agevolato. Deve essere versata contestualmente anche la sanzione ridotta, pari al 20% dell’Iva, con il codice 8904. L’imposta e gli interessi possono in alternativa essere contabilizzati nella liquidazione periodica. Lo splafonamento in dogana • Con la circolare n. 23/99, è stato precisato che il ravvedimento è praticabile anche per il superamento del plafond in occasione di un’importazione. Per la regolarizzazione spontanea, non valgono le procedure descritte con riferimento agli acquisti interni, ma è necessario interpellare direttamente la Dogana interessata. Aspetti sanzionatori riguardanti la comunicazione telematica • • In caso di invio oltre i termini o con dati incompleti o inesatti, è ammesso l’istituto del ravvedimento. In base al comma 4-bis dell’art. 7 del D.Lgs. n. 471/97, se si omette di presentare la comunicazione telematica entro i termini prescritti o la si presenta con dati incompleti o inesatti, è applicabile la sanzione dal 100 al 200% dell’imposta non addebitata in fattura. Con la circolare n. 10 del 16 marzo 2005, al quesito 9.6, si è affermato che la sanzione si applica comunque anche se le forniture senza applicazione dell’Iva sono state effettuate nei confronti di un soggetto che effettivamente gode dello status di “esportatore abituale”. Ulteriori sanzioni previste • Nell’ipotesi in cui non risultino ancora emesse fatture in regime di non imponibilità, al quesito 9.3 della circolare n. 10/2005, l’Agenzia ha precisato che l’omessa presentazione o la trasmissione con dati incompleti o inesatti è punita con una sanzione compresa tra 258 e 2.065 euro, in base a quanto disposto dall’art. 11, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 471/97, mancando l’operazione su cui avrebbe dovuto gravare il tributo. Ulteriori sanzioni previste (segue) • La Finanziaria 2005 ha poi previsto, al comma 384 dell’art. 1, che, nel caso in cui si trasmetti la comunicazione in ritardo o con dati incompleti o inesatti e la dichiarazione di intento risulti essere infedele (in quanto il dichiarante ad esempio non è in possesso dello status di “esportatore abituale” o a causa dell’utilizzo del plafond oltre i limiti), il fornitore è responsabile in via solidale con il proprio cliente per l’imposta evasa. Nell’ambito della circolare n° 10, al punto 9.4, le Entrate hanno affermato che la responsabilità solidale non scatta qualora le forniture agevolate non abbiano dato luogo ad un utilizzo irregolare del plafond, cioè nel caso in cui il dichiarante risulti effettivamente in possesso dello status di “esportatore abituale” e gli acquisti non eccedano il plafond disponibile. Operazioni straordinarie • Il diritto ad acquistare beni e servizi in sospensione di imposta può essere trasferito nel caso di: affitto d’azienda; B) fusioni e scissioni; C) cessione o conferimento d’azienda. A) A) Affitto d’azienda • • Secondo l’art. 8, comma 4, del DPR n. 633/72, il plafond si trasferisce all’affittuario a condizione che il trasferimento del plafond sia espressamente previsto nel contratto di affitto. L’avvenuto trasferimento del plafond deve essere poi comunicato, entro 30 giorni, all’Ufficio delle Entrate mediante raccomandata. Considerato però che il trasferimento deve essere segnalato nella comunicazione di variazione dati, si ritiene che tale adempimento supplisca l’invio della raccomandata. B) Fusioni e scissioni • • • Con diverse risoluzioni, il Ministero delle Finanze ha precisato che la società incorporante o risultante dalla fusione, subentrando in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi della società che si estingue, eredita anche il relativo plafond. In tema di scissione, con l’art. 16, comma 11, lett. d) della legge 537/93, la beneficiaria acquisisce il diritto ad acquistare ed importare senza pagamento dell’Iva maturato in capo alla scissa. In ambedue i casi, il trasferimento del plafond si segnala nel modello di variazione dati (Mod. AA7/8), entro 30 giorni dall’efficacia dell’operazione. C) Cessione o conferimento d’azienda • • • In caso di cessione di ramo d’azienda, è possibile trasferire il plafond a condizione che il cessionario subentri nei rapporti giuridici attivi e passivi del cedente e ciò venga specificato nell’atto di cessione (RM n. 16 del 15 gennaio 1996). Alle stesse condizioni avviene il trasferimento del plafond nel caso di conferimento d’azienda (RM n. 621099 del 4 luglio 1989). È sempre necessario comunicare il trasferimento tramite la comunicazione di variazione dati. Operazioni con San Marino Concetti introduttivi La disciplina agli effetti dell’IVA dei rapporti tra l’Italia e la Repubblica di San Marino è regolata dall’art. 71 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e, da ultimo, dal D.M. 24 dicembre 1993, entrato in vigore il 1° gennaio 1994. Cessioni da parte di soggetto passivo italiano verso soggetti passivi di imposta sanmarinesi Le cessioni di beni ad operatori sanmarinesi, eseguite mediante trasporto o consegna di beni verso la Repubblica di San Marino, sono considerate assimilate alle esportazioni per espresso rinvio normativo all’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972. Agli effetti IVA le operazioni in argomento beneficiano, pertanto, della non imponibilità, applicabile anche ai servizi connessi che, per rinvio all’art. 9, sono equiparati ai servizi internazionali. L’applicabilità delle disposizioni di cui agli artt. 8 e 9 del D.P.R. n. 633/1972 e, quindi, la non imponibilità delle operazioni in argomento, è subordinata alla prova, da parte dell’operatore economico italiano, dell’avvenuta introduzione dei beni nello Stato sanmarinese. Attenzione: nei rapporti commerciali con San Marino, il regime della non imponibilità Iva si ispira alle regole che disciplinano gli scambi intracomunitari; conseguentemente, nelle cessioni di beni effettuate nei confronti di residenti sanmarinesi, è necessario distinguere le vendite effettuate a favore di operatori economici, da quelle realizzate nei confronti di privati o soggetti a essi assimilati. Detto regime, previsto per gli scambi italo-sanmarinesi dal decreto ministeriale 24 dicembre 1993, può essere applicato, infatti, solo alle cessioni di beni materialmente inviati a San Marino a operatori economici di questo Stato. Pertanto, il primo problema che un operatore nazionale deve affrontare nel vendere beni a operatori sanmarinesi è quello di richiedere il codice identificativo (composto di cinque cifre precedute dal prefisso SM) e, laddove questo non venisse fornito, l'acquirente deve essere sempre parificato a un privato. In questo caso l'operazione deve essere assoggettata a imposta indipendentemente dal fatto che la merce sia fisicamente esportata nello Stato di San Marino. Cessioni da parte di soggetto passivo italiano verso soggetti passivi di imposta sanmarinesi Per le vendite effettuate dagli operatori italiani mediante consegna, spedizione o trasporto di beni nel territorio di San Marino deve essere emessa regolare fattura in 4 copie e nei corretti termini stabiliti dall'art. 21 del DPR n. 633/72. Attenzione: Una copia verrà trattenuta dal cedente italiano mentre le rimanenti tre copie saranno consegnate o spedite al cessionario sanmarinese il quale ne restituirà una copia munita della marca "originale" e del timbro a secco apposti dall'Ufficio Tributario di San Marino. La merce in questione viaggia accompagnata da apposito DDT (documento di trasporto) in tre copie (una copia rimane archiviata con la fattura dal cedente italiano). Nel caso di spedizione a mezzo servizio postale si può evitare di stampare la terza copia per lo spedizioniere. Attenzione: Per le merci in entrata e in uscita da San Marino è d’obbligo l’emissione del documento di trasporto. Ai fini IVA per l'ottenimento dei requisiti di non imponibilità è necessario che: -nella fattura siano indicati i numeri di partita IVA nel formato europeo, ovvero anteponendo il prefisso "IT" prima delle 11 cifre del numero di partita IVA per il cedente italiano ed anteponendo il prefisso "SM" prima delle 5 cifre del numero IVA per il cessionario di San Marino; -la fattura deve indicare il titolo di non imponibilità IVA (art. 71, DPR 633/1972); -il cedente italiano sia tornato in possesso della fattura sulla quale l'ufficio tributario di San Marino ha apposto le marche ed i timbri dell'ufficio con il numero progressivo e la data della marca. Questo esemplare della fattura andrà conservato assieme al DDT (documento di trasporto) ed alla prima fattura. Trascorsi 4 mesi senza che il cedente italiano abbia avuto di ritorno l'esemplare della fattura originaria, con apposte le marche ed i timbri, deve darne comunicazione all'Ufficio Tributario di San Marino e, per conoscenza, al proprio Ufficio IVA (al riguardo si veda l’esempio di seguito proposto); -- i soggetti che effettuano cessioni intracomunitarie sono tenuti a compilare e presentare gli elenchi INTRASTAT (mod. INTRA-1) per la sola parte fiscale. o Relativamente alla compilazione degli elenchi riepilogativi occorre ricordare che: - se l’operatore nazionale effettua esclusivamente cessioni verso San Marino (e nel territorio nazionale), non è tenuto alla presentazione degli elenchi INTRA; - se l’operatore nazionale effettua cessioni verso San Marino ed acquista beni comunitari, non è tenuto alla presentazione degli elenchi INTRA; se l’operatore nazionale effettua cessioni verso San Marino ed anche verso altri paesi UE, è tenuto a presentare il mod. INTRA-1, anche se nel mese/trimestre ha effettuato solo cessioni verso San Marino. Cessioni da parte di soggetto passivo italiano verso soggetti passivi di imposta sanmarinesi Esempio: comunicazione all’Ufficio Tributario di San Marino (da spedire con raccomandata a/r allo scopo di averne la prova) Spett.le Ufficio Tributario Via 28 Luglio, 212 47893 Borgo Maggiore Rep. San Marino c/c Agenzia delle Entrate Ufficio di ……………. Il sottoscritto Franco Rossi in qualità di legale rappresentante della società “Sisma s.r.l.” con sede a Trento, Via S. Marco 2, codice fiscale e partita IVA XXXXXXX, COMUNICA che in data 01 gennaio 2011 ha emesso fattura n. 1 nei confronti della società “Alfa” con sede nella Repubblica di San Marino, Via Vespucci, codice identificativo SM 33333, per un importo complessivo di Euro 40.000,00, operazione non imponibile IVA ai sensi dell’art. 71 del DPR n. 633/1972. Ai sensi dell’art. 5, D.M. 24 dicembre 1993, si comunica che sono trascorsi quattro mesi dalla cessione dei beni di cui alla suddetta fattura n. 1 e che la scrivente società non ha ancora ricevuto la copia della fattura con la marca debitamente perforata applicata da codesto spettabile Ufficio Tributario. Saluti. Trento, li 10 maggio 2011 Timbro e firma Acquisto da San Marino A seguito di un’importazione in Italia di beni provenienti dalla Repubblica di San Marino, il cessionario nazionale, soggetto passivo d’imposta, potrebbe ricevere: a) fattura con addebito di IVA; b) fattura senza addebito di IVA. Nel primo caso, l’IVA è già versata dall’operatore sanmarinese, nel secondo caso, l’IVA dovrà essere assolta dall’operatore italiano tramite l’emissione di autofattura ex art. 17, secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972. Le due modalità operative, cessione con addebito di IVA o cessione senza addebito di IVA, possono essere scelte indifferentemente, previo accordo con i contraenti. Adempimenti da osservare e contabilizzazione delle fatture d’acquisto Di seguito, vengono esposti gli adempimenti che il cedente sanmarinese e l’acquirente italiano sono tenuti ad osservare nelle due differenti ipotesi. Fattura senza addebito di IVA In questo caso l’IVA viene liquidata dall’operatore nazionale mediante emissione di autofattura (ex art. 17, c. 2, DPR 633/1972). Al ricevimento della fattura (emessa senza applicazione dell’IVA dal cedente sanmarinese e vidimata dall’Ufficio tributario della Repubblica di San Marino) occorre: corrispondere l’IVA emettendo autofattura ai sensi dell’art. 17, secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972; l’autofattura rispettivamente nel registro IVA acquisti e IVA vendite; comunicare le avvenute annotazioni al proprio Ufficio locale dell’Agenzia delle entrate, entro cinque giorni, ovvero entro i termini previsti per le liquidazioni periodiche relative al mese o al trimestre in cui sono state annotate le fatture (in caso detto termine, stabilito dalla C.M. 20 aprile 1973, n. 30/510542, non venisse rispettato, non sono previste specifiche sanzioni). Adempimenti da osservare e contabilizzazione delle fatture d’acquisto Esempio: comunicazione all’Ufficio dell’Agenzia delle entrate territorialmente competente (da spedire con raccomandata a/r allo scopo di averne la prova) Spett.le Agenzia delle Entrate Ufficio…. Oggetto: Comunicazione di registrazione delle fatture di acquisto emesse senza addebito IVA da operatori economici sanmarinesi. Il sottoscritto Franco Rossi in qualità di legale rappresentante della società “Sisma s.r.l.” con sede a Trento, Via S. Marco 2, codice fiscale e partita IVA XXXXXXX, PREMESSO di aver effettuato in data 1° gennaio 2011 acquisti di beni di cui al DDT n. 123 emesso dalla società “Alfa” con sede nella Repubblica di San Marino, Via Vespucci, codice identificativo SM 33333, COMUNICA ai sensi di quanto previsto dall’art. 16, lett. c), D.M. 24.12.1993, di aver provveduto ad annotare la fattura emessa senza addebito d’imposta, dopo le integrazioni previste dall’art. 16, lett. a), D.M. 24.12.1993, nel registro delle fatture emesse al n. progressivo annuale ……. e nel registro degli acquisti al n. progressivo annuale ……. . Saluti Trento, li 5 gennaio 2011 Timbro e firma Adempimenti da osservare e contabilizzazione delle fatture d’acquisto Invece, gli operatori sanmarinesi i quali cedono beni a operatori economici italiani, emettendo fattura senza addebito di IVA, sono tenuti a: emettere fattura in tre esemplari, indicando sia il proprio numero identificativo (SM + 5 cifre) sia il numero di partita IVA del cessionario italiano; presentare al proprio Ufficio tributario le tre fatture accompagnate da un elenco riepilogativo in tre copie; trasmettere un esemplare della fattura restituito dall’Ufficio tributario, all’acquirente italiano. L’Ufficio tributario appone sulle fatture ricevute timbro a secco circolare e restituisce due esemplari delle fatture al cedente sanmarinese, il quale invia o consegna uno degli esemplari all’acquirente italiano. Adempimenti da osservare e contabilizzazione delle fatture d’acquisto Fattura con addebito di IVA In questo caso, l’IVA, esposta in fattura, viene versata dal cedente sanmarinese all’Ufficio tributario della Repubblica di San Marino (che ha sua volta la riversa all’Agenzia delle Entrate di Pesaro). Gli adempimenti in capo all’acquirente nazionale: 1) annotazione della fattura di acquisto (emessa con IVA esposta e vidimata dall’Ufficio tributario della Repubblica di San Marino) nel registro IVA acquisti; 2) detrazione dell’imposta (nei limiti oggettivi e soggettivi dell’art. 19, DPR 633/1972). Invece, l’operatore sanmarinese è tenuto a: emettere fattura in quattro esemplari, indicando il proprio numero identificativo e il numero di partita IVA del cessionario italiano; indicare sulla fattura l’ammontare dell’IVA dovuta dal cessionario in correlazione al tipo di beni ceduti (si applica l’aliquota IVA in vigore a San Marino, aliquota che in linea di massima trova corrispondenza in Italia); presentare al proprio Ufficio tributario i quattro esemplari della fattura accompagnate da un elenco di presentazione riepilogativo anch’esso in quattro esemplari; consegnare all’Ufficio tributario la somma corrispondente all’ammontare dell’IVA risultante dall’elenco di presentazione; trasmettere la fattura originale, perforata e timbrata, restituita dall’Ufficio tributario sanmarinese al cessionario italiano. Adempimenti da osservare e contabilizzazione delle fatture d’acquisto Resi merce Secondo la R.M. 5 maggio 1982, n. 3903435, l’operatore italiano per i resi di merce dovrebbe emettere fattura di cessione merci,non imponibile ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972 unitamente al relativo documento di trasporto. Beni ricevuti in conto lavorazione I passaggi dei beni ricevuti in conto lavorazione sono regolati dalla C.M. 20 aprile 1973, n. 30/510542, le cui indicazioni devono ritenersi ancora valide. I beni inviati a scopo di lavorazione in Italia da operatori sanmarinesi debbono essere annotati da coloro che eseguono la lavorazione in apposito registro debitamente numerato e bollato, ai sensi dell’art. 39 del D.P.R. n. 633/1973. Tale annotazione va effettuata sulla scorta di apposita nota di accompagnamento, emessa dal committente con l’indicazione della natura e quantità dei beni in questione,debitamente vidimata dall’Ufficio tributario della Repubblica di San Marino. Attenzione: In fattura troverà indicazione il corrispettivo della lavorazione: tale importo risulterà non imponibile IVA ai sensi dell’art. 9, primo comma, n. 9, del D.P.R. n. 633/19736. L’operatore italiano deve quindi emettere fattura per la lavorazione con l’indicazione del corrispettivo e l’indicazione della norma di non imponibilità, utilizzando ad esempio la dicitura “importo non imponibile ai sensi dell’art. 9, primo comma,n. 9 del D.P.R. n. 633/1973”. La fattura va emessa in duplice esemplare, il duplo, vistato dall’Ufficio tributario della Repubblica di San Marino, costituirà la prova dell’avvenuta reintroduzione dei beni nel territorio sanmarinese.