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CENTRO STUDI FEDERTRASPORTO - RAPPORTO 1996 RICERCA ECONOMICA E TRASPORTI PREFAZIONE Claudio Podestà PARTE I GLI IMPATTI DEL TRASPORTO CAPITOLO 1. INFRASTRUTTURE DI TRASPORTO, SVILUPPO ECONOMICO E DIVARI REGIONALI Daniele Fabbri 1.1. 1.2. 1.3. 1.4. Introduzione Il concetto di sviluppo economico Teorie economiche della crescita e dello sviluppo regionale Il ruolo delle infrastrutture di trasporto nello sviluppo economico regionale. 1.5. Trasporti sostenibili e sviluppo regionale sostenibile 1.6. Analisi empiriche dell’impatto delle infrastrutture di trasporto sullo sviluppo economico 1.7. L’analisi dell’impatto delle infrastrutture di trasporto sullo sviluppo economico nei contributi italiani Bibliografia CAPITOLO 2. IMPATTI ECONOMICO-TERRITORIALI INFRASTRUTTURE DI TRASPORTO Daniele Fabbri 2.1. 2.2. DELLE Introduzione Effetti delle infrastrutture di trasporto sull'attività economica: il quadro teorico di riferimento 2.3. I modelli per l’analisi economica dell’interazione trasportiterritorio 2.4. I modelli di simulazione urbana 2.5. Gli studi italiani sull'interazione tra trasporti e territorio Bibliografia CAPITOLO 3. I COSTI ESTERNI DEL TRASPORTO Sergio De Lazzari 3.1. Definizione e sistemazione teorica 3.2. Tassonomia e valutazione 3.3. Le politiche di internalizzazione Bibliografia COMMENTO Marco Ponti PARTE II LA DOMANDA DI TRASPORTO CAPITOLO 1. MODELLI E DEFINIZIONI Maurizio Caruso Frezza CAPITOLO 2. LA DOMANDA DI TRASPORTO DEI VIAGGIATORI Maurizio Caruso Frezza 2.1. 2.2. 2.3. 2.4. I modelli di domanda a quattro stadi I modelli di domanda comportamentali o di utilità casuali L’approccio di analisi activity-based Strategie semplificate di modellizzazione della domanda di trasporto 3. LA DOMANDA DI TRASPORTO DELLE MERCI Maurizio Caruso Frezza 3.1. Aspetti generali 3.2. I modelli di domanda di trasporto merci aggregati o descrittivi 3.3. I modelli disaggregati o comportamentali Bibiliografia COMMENTO Giorgio Beltrami PARTE III L’ OFFERTA DI TRASPORTO CAPITOLO 1. GLI AMBITI DELL’ANALISI Alessandra De Lellis 2 CAPITOLO 2. STRUTTURE INDUSTRIALI E FORME DI MERCATO Alessandra De Lellis 2.1. Le peculiarità del mercato dei trasporti 2.2. La natura dei costi 2.3. La struttura industriala determinata dalla tecnologia 2.4. La struttura industriale determinata dalla domanda CAPITOLO 3. COMPORTAMENTI E PERFORMANCE DELLE IMPRESE Alessandra De Lellis 3.1. Efficienza delle imprese 3.2. Innovazione tecnologica e imprese Appendice 1 I costi standard e il trasporto pubblico locale: due metodologie di analisi Appendice 2 Il trasporto e la tassonomia di Pavitt Bibliografia COMMENTO Riccardo Mercurio PARTE IV LA POLITICA DEL TRASPORTO CAPITOLO 1. LA PIANIFICAZIONE DEI SISTEMI DI TRASPORTO Flavia Di Castro 1.1. 1.2. Introduzione L’evoluzione della programmazione nazionale in materia di trasporti 1.3. L’analisi costi-benefici Bibliografia CAPITOLO 2. IL FINANZIAMENTO DELLE INFRASTRUTTURE Anna Gervasoni e Marco Ponti 2.1. 2.2. 2.3. Alcuni richiami teorici I problemi pratici del finanziamento pubblico I vantaggi del project financing 3 2.4. Svantaggi e rischi del project financing 2.5. Alcuni aspetti politici 2.6. Aspetti tecnici Bibliografia CAPITOLO 3. LA REGOLAZIONE DELL’OFFERTA Gerardo Marletto 3.1. Premessa: i connotati pubblici del trasporto 3.2. Gli schemi di regolazione 3.3. Le istituzioni della regolazione 3.4. Gli approfondimenti modali Bibliografia CAPITOLO 4. LA REGOLAZIONE DELLA DOMANDA Gerardo Marletto 4.1. Premessa: uno strumento poco applicato 4.2. La mobilità e l’ottimo collettivo 4.3. L’operatività: verso il park pricing? Bibliografia COMMENTO Ennio Cascetta 4 PREFAZIONE Claudio Podestà, Politecnico di Milano 1. Il Rapporto 1996 del Centro studi della Federtrasporto va accolto con vivo interesse ed apprezzato per l’impegno e l’accuratezza profusi nell’affrontare tematiche di grande attualità. Lo sforzo di illustrare lo “stato dell’arte” della ricerca nel campo dell’economia dei trasporti è infatti opportunamente basato più sull’esame e sull’aggiornamento degli aspetti teorici della complessa materia, che non sul tentativo di proporre delle linee di soluzione ai numerosissimi problemi affrontati. Questo di Federtrasporto vuole essere dunque un intervento sostanzialmente culturale, con respiro peraltro non circoscritto ai soliti noti addetti ai lavori ma teso, almeno nelle intenzioni, alla diffusione anche presso ambienti di operatori per conseguire un aumento del livello delle conoscenze (e della coscienza) da parte di chi "vive" i trasporti, che non può che migliorarne i comportamenti nelle varie articolazioni di attività. Attività che, come soprattutto l'esperienza recente ci insegna, è marcata sempre più dalla necessità di interpretare ed assecondare le complessità sempre più accentuate della domanda e del mercato: una migliore comprensione dei fenomeni dovrebbe quindi aiutare tutti a trovare, mediante opportune mediazioni fra stati di fatto generali cogenti ed interessi circoscritti, l'uscita dalle difficili situazioni in cui ci troviamo. Basti pensare per esempio a tutta la emergente problematica delle "esternalità" nel campo dei trasporti urbani ed alle difficoltà diffuse di traduzione in pratica delle politiche che ne derivano, per rendersi conto della necessità che certi approcci teorici innovativi non restino più confinati ad ambienti ristretti di intellettuali, ma debbano viceversa essere resi comprensibili e diffusi, così da formare e consolidare la consapevolezza degli operatori (inclusi i legislatori) e degli utenti in generale. Ci sembra che questo Rapporto voglia muoversi in questo senso e noi vorremmo sottolineare maggiormente tali aspetti, anche se certamente in modo parziale e frammentario. Innanzitutto va sottolineato come a fare da sfondo a tutto il discorso sia solidamente affermata una concezione "plurimodale" ovverosia di piena integrazione fra modalità di trasporto. Da questo punto di vista ci pare che la ricerca ricordi al mondo della nostra politica che non si può più continuare a conservare il settore dei trasporti nazionali come una serie di compartimenti autogestiti e tendenzialmente separati nelle strategie, nelle strutture operative, nella spesa. Ancora (ma si potrebbero derivare numerosissimi richiami dalla lettura di questi saggi), ci viene da sottolineare come dai diversi contributi affiori una valorizzazione del ruolo dell'impresa, quella vera capace di misurarsi effettivamente col mercato, anche in un settore che ci ha un po’ fatto dimenticare molti concetti che viceversa negli altri ci sentiamo in obbligo di considerare. Potremmo continuare, ma vogliamo invece concludere queste prime notazioni generali domandandoci come mai per esempio la sfera politica in Italia sia tanto riluttante a dialogare con il mondo della ricerca scientifica al fine di perseguire quelle soluzioni che, oltre a raggiungere risultati concreti e di soddisfazione generale, magari anche dal punto di vista del consenso popolare, rispondano anche a quei requisiti di modernità (non diciamo di innovazione) culturale, che dovrebbero essere attributo orgoglioso dei policy-makers di oggi. Forse ciò è dovuto al timore di perdere la forza di una discrezionalità finora spesso malamente sperimentata. Forse intervengono anche spinte contrastanti, fra le quali finiscono poi col dominare interessi che puntano a frenare gli spunti innovativi provenienti dalla ricerca e ne impediscono l'affermazione. Oppure gli studiosi e la sfera accademica in particolare si bloccano dietro una concezione di distaccata autonomia, chiusa e in definitiva poco comunicativa delle proprie attività, o magari troppo accomodante. Per cui finiscono col non rendere trasferibili i risultati delle proprie elaborazioni e dunque col non esercitare alcuna influenza sul piano politico. Dimenticando spesso che tutto quanto attiene al mondo del trasporto costituisce elemento economico decisivo per i conti delle imprese ed in buona sostanza delle famiglie, della gente comune. 2. L'operazione di illustrare ai lettori di questo testo i caratteri e gli intendimenti che gli Autori ed i Commentatori chiamati da Federtrasporto hanno voluto perseguire, è compito stimolante anche se non semplice. Seppure in senso generale l'organizzazione adottata per la stesura, in forma antologica per parti redatte da vari Autori e relativi commenti, proponga una ripartizione della materia lineare ed equilibrata, in buona misura classica nella scelta e nella sequenza degli argomenti illustrati (gli impatti, la domanda, l'offerta, la politica, il finanziamento delle infrastrutture, la regolazione della domanda e dell'offerta). Tuttavia questo stesso criterio tende a proporre, nell'ambito di ciascuna delle parti, una trattazione monografica che offre talvolta qualche difficoltà di raccordo fra le parti e di omogeneità dell'esposizione, come spesso accade peraltro in questo tipo di composizioni a più mani. Il compito del prefatore è reso poi più arduo (o più semplice, se si vuole) dal fatto che i commenti a ciascuna parte offrono già di per se spunto esplicativo e ne accentuano in parte tale carattere monografico. Nonostante le difficoltà riscontrate in una lettura e valutazione d’insieme del Rapporto, l'analisi dello stato dell'arte nell'ambito della ricerca sui trasporti, offerto da questa raccolta di saggi ci sembra conseguente ed esaustiva. Il bagaglio di ricerche illustrato dai vari autori - e reso accessibile attraverso le bibliografie, oltre che dai commenti sviluppati per ciascun nucleo di argomenti - fornisce in effetti uno stimolante invito all'approfondimento. 3. La questione degli "impatti" del trasporto, sviluppata nella prima parte da Fabbri e De Lazzari, con commento generale di M. Ponti, viene trattata partendo dai presupposti teorici più attuali e cioè quelli che si basano essenzialmente sui limiti imposti alla crescita economica dall'habitat naturale e quindi dalla considerazione di questioni come l'inquinamento, l'esaurimento di risorse naturali non rinnovabili e l'eccesso di sfruttamento di risorse rinnovabili. Cui si dovrebbe forse aggiungere, seppure in senso "macro", l'accelerazione del danno "entropico" causato dai processi produttivi, incluso quello legato alle attività di trasporto (v. ad esempio conseguenze dell'intensificarsi dell'aerotrasporto massivo). Il principio ormai acquisito, che si debba procedere seguendo uno sviluppo "che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i propri", viene esaminato nella ricerca teorica corrente secondo due punti di vista antagonisti, da cui derivano evidentemente modi differenti di svolgere il tema, funzionali a tali visioni, in particolare per quanto concerne gli interventi infrastrutturali. L'assunzione di un modello di sviluppo "equilibrato", sostiene la tendenza verso una distribuzione delle attività sul territorio armonica rispetto ad eccessi di concentrazioni produttive e include altresì l'ipotesi di un mercato perfettamente concorrenziale: più il sistema dei trasporti è caratterizzato da elevata copertura delle relazioni spaziali e da buona efficienza funzionale, maggiormente esso, secondo questa teoria, dovrebbe contribuire ad eliminare gli elementi di frizione e dunque a neutralizzare il connotato spaziale che ostacola il raggiungimento dell'equilibrio regionale perseguito. Ogni miglioramento al sistema introdotto in modo coerente seguendo tale visione, dovrebbe dunque operare in senso favorevole al conseguimento dell'obiettivo. In pratica però risulta che tutto è condizionato dalle tipologie dell'offerta di trasporto preesistente e dal reciproco condizionamento fra dette tipologie e la dinamica di evoluzione dei processi produttivi. Per cui nel concreto si instaurano forme di adattamento fra sistema produttivo e sistema di trasporto che configurano ibride e certo non ottimali situazioni, con forti diversificazioni spaziali. Pensando all'Italia non si può al riguardo dimenticare che la tendenza è storicamente verso una consolidata monomodalità (automobilistica) di trasporto, che certo condiziona ulteriormente il modello di sviluppo territoriale ed ispira conseguentemente la considerazione che il divario fra questa teoria e la prassi corrente, misurato negli effetti rimane molto ampio. Ammesso e non concesso difatti che l'obiettivo di una eventuale politica dei trasporti in Italia fosse stato quello di "distribuire" meglio lo sviluppo fra regioni, mediante miglioramenti sui trasporti interregionali (quindi sulle distanze medio-lunghe), la risposta sarebbe chiaramente che tale obiettivo non è stato almeno per ora conseguito. 4. Partendo viceversa da un approccio di analisi radicalmente diverso (teoria dello sviluppo ineguale e dei rendimenti di scala), si può argomentare che finora di fatto si è marciato piuttosto verso un modello di sviluppo territoriale di questo tipo, cioè di non-equilibrio, basato su "rendimenti di scala" come indicano gli autori, che affermano sulla base delle teorie correnti che "l'industrializzazione ha proceduto verso concentrazioni territoriali produttive sempre più spinte provocate dallo sviluppo di tecnologie con elevati rendimenti di scala. Per cui sviluppo tecnologico e spazio hanno operato in questo senso come forze conflittuali". Adottando questa chiave di lettura dei fenomeni si giunge pertanto alla conclusione che i miglioramenti introdotti nel sistema dei trasporti non solo non favoriscono uno sviluppo equilibrato, ma addirittura rendono più marcati i divari "favorendo ulteriormente i processi di concentrazione produttiva e di specializzazione regionale". Una riflessione su queste due interpretazioni circa il ruolo giocato dai sistemi di trasporto nel processo di sviluppo regionale, permette di osservare comunque, assieme agli autori, come l'interazione fra trasporti e sviluppo è fenomeno di non facile decifrabilità. E come quindi, anche agli effetti di una pianificazione degli interventi infrastrutturali, le scale di analisi ed i contesti locali d'area debbano assumere rilievo decisivo nella formazione delle decisioni. 5. Si potrebbe aggiungere, a titolo peraltro di rilievo marginale, che gli approcci di ricerca considerati in questa parte del Rapporto ai fini di approfondire la conoscenza di tali interazioni, tendono forse a sottovalutare la mobilità delle persone. La grande concentrazione di mobilità umana che di fatto si va sviluppando ovunque, probabilmente per le stesse ragioni per cui si formano le concentrazioni territoriali produttive di cui si è accennato, pongono ci sembra questioni interpretative (e pratiche) egualmente pesanti. Con la conseguenza che, associato ad un grande ed indecifrabile problema di trasporto merci, è presente un altrettanto cospicuo e rilevante problema di traffico di persone connotato per di più da elementi contrastanti di sistematicità ed erraticità, che ne rendono assai complessa la teorizzazione e soprattutto ostacolano il concepimento di soluzioni armonicamente coniugabili con il resto. Ci piace qui ricordare in merito che negli ultimi decenni la crescita della domanda passeggeri in ambito metropolitano ed urbano, quella che potremmo chiamare "l'urbanizzazione del traffico", prodotta dalle trasformazioni in atto del territorio e delle funzioni insediative, è stata in pratica il fenomeno più rilevante e davvero prioritario da fronteggiare. Mediante una piccola analisi numerica possiamo rilevare infatti dalle tabelle dell'ultimo CNT che il totale dei Pkm sulle distanze brevi (meno di 50 km) ha superato fra il '92 e il '93 quello dei Pkm sulle distanze medio-lunghe. Mentre infatti questi ultimi apparentemente si sono sviluppati nel tempo secondo un andamento lineare, i Pkm sulle brevi distanze crescono secondo un andamento non lineare e con gradiente apparentemente più deciso. Se poi teniamo conto della circostanza che tale crescita è avvenuta di fatto a spese di una sola componente del sistema di trasporto e cioè quella stradale, causando inconvenienti ormai ben noti, in termini di congestione, di impatto ambientale e, si deve sottolineare con forza, di incidentalità stradale, con particolare riferimento proprio all'ambito urbano, in cui questo particolare fenomeno si va manifestando ed accentuando in modo forse più rapido e preoccupante, come accenna anche De Lazzari, ci rendiamo conto della necessità da parte del mondo della ricerca di dedicare maggiore attenzione a questo aspetto. Il commento di Ponti in merito è molto puntuale, quando afferma la crucialità dei costi di trasporto-persone nel contesto produttivo inteso però come fattore "allargato". Non considerato cioè come semplicemente legato al mercato tradizionale del lavoro, anche se riferito a profili d'impiego sempre più qualificati (terziario, hi-tech, ecc.) e dunque più rari, ma in generale come fattore indicativo della "qualità della vita" nell'area considerata. Avendo menzionato questo commento non si può anche fare a meno di segnalare come rimarchevoli le osservazioni che Ponti propone a proposito delle "esternalità". 6. Altro rilievo forse non del tutto marginale su questa parte dedicata agli impatti, riguarda la influenza delle tecnologie innovative (in particolare TLC) ed i cambiamenti in atto a livello sociale, individuale e di organizzazione aziendale, che portano ormai ad assumere una visione globale della "comunicazione". Intendendo con tale termine qualsiasi forma di interazione, sia che questa comporti spostamenti di persone e/o merci, sia che comporti trasmissione di informazioni. L'idea di una vantaggiosa fungibilità fra i trasporti e le telecomunicazioni scaturisce fra l'altro da diverse considerazioni ed analogie presenti nei due sistemi. Innanzitutto, si ha sempre "trasporto" (di persone e cose o di informazioni); le infrastrutture relative ("autostrade delle informazioni" e "teleporti") seguono spesso lo sviluppo delle reti di trasporto esistenti; alcuni spostamenti fisici vengono effettuati per acquisire o comunicare informazioni; ecc. In entrambi i sistemi si hanno "reti": in ciascun tipo di rete gli archi possono avere differenti capacità, diverse velocità di trasporto ed essere progettati per differenti tipologie di traffico. Trattando di "reti", si possono poi applicare le stesse tecniche analitiche sia alle telecomunicazioni che ai trasporti (teoria delle reti, tecniche di controllo ottimo, ricerca operativa, ecc.) La possibilità di considerare i trasporti e le telecomunicazioni come un unico sistema in rete (teletrans network), all'interno del quale il processo di scelta tra l'effettuazione di uno spostamento fisico e l'utilizzazione di strumenti telematici può avvenire in modo equilibrato, produce importanti conseguenze. Spostarsi istantaneamente da un luogo all'altro annullando virtualmente le distanze diviene oggi un'alternativa reale e le teleattività (telelavoro, teleshopping, teleservizi, ecc.) sono già attualmente praticabili per lo svolgimento di funzioni od attività. L'accesso alle informazioni è poi divenuto immediato e ciò spesso senza bisogno di sapere dove esse si trovino ed indipendentemente dal luogo in cui ci si trovi. Nel campo della mobilità si presenta in conseguenza una nuova alternativa, che potremmo definire opzione di non-spostamento "produttivo", di cui si deve tenere conto. L'effetto totale delle telecomunicazioni sui trasporti non è ancora ben definito, ma esso si manifesterà probabilmente con una modificazione dei modelli di viaggio, piuttosto che con una riduzione della domanda di spostamenti; ulteriori spostamenti potranno, al contrario, essere generati proprio per effetto dell'innovazione, con la disponibilità di tempo libero utilizzabile per altri viaggi, dovuto alla sostituzione della mobilità fisica con le telecomunicazioni. A lungo termine, le ripercussioni sull'uso del suolo di queste innovazioni potrebbero portare a localizzazioni residenziali ed industriali più disperse con viaggi più lunghi o con più spostamenti complessivi, forse proprio nel senso promosso dalla teoria dello sviluppo equilibrato. Se accettiamo dunque il fatto che le potenziali interazioni tra gli spostamenti fisici e gli spostamenti immateriali possono determinare notevoli impatti a livello individuale, familiare, di organizzazione aziendale, della società intesa in senso lato, ecc. sia a breve che a lungo termine, il compito del mondo della ricerca di valutare nel suo complesso il nuovo sistema trasporti-telecomunicazioni, appare decisivo. Come già accennato, purtroppo la conoscenza attuale delle interazioni tra telecomunicazioni e trasporti, dei reciproci impatti su domanda ed offerta e dei fattori che li determinano, è molto limitata. L'ipotesi di sostituzione si indirizza verso una singola e forse ottimistica dimensione del cambiamento e l'affermazione di Miller (1980) che la sostituzione "è più citata che esaminata", risulta ancora valida. 7. La parte dedicata alla domanda (M. Caruso Frezza, con commento di G. Beltrami) si sviluppa secondo il classico assunto per i trasporti della "domanda derivata", cioè di un'attività che si associa in modo complementare ad altre da svolgere in luoghi diversi e di conseguenza argomenta che dietro la domanda di trasporto "esistono una molteplicità di soggetti e di condizioni che impongono di volta in volta un processo di caratterizzazione secondo diversi parametri, al fine di pervenire ad una modellizzazione utile all'individuazione delle variabili esplicative della mobilità delle persone o delle merci". Viene quindi proposta una vasta ed esauriente rassegna delle ricerche nell'ambito della domanda, sostanzialmente basata sulla modellistica disponibile in letteratura. L'autore del saggio infatti ritiene che partendo dall'analisi delle numerose famiglie di modelli che si sono sviluppate nel tempo come frutto delle attività delle varie scuole di ricerca, si pervenga oltre che al risultato di poter effettuare delle simulazioni di funzionamento di reti utili ai fini della valutazione degli interventi da compiere, anche ad "una concettualizzazione per quanto possibile precisa dei fattori e dei vincoli che condizionano le decisioni di mobilità sul territorio". E' evidente che il momento della "concettualizzazione" cui si fa riferimento è proprio quello iniziale della messa a fuoco e della selezione dei criteri da assumere come significativi nella descrizione dei comportamenti. Esso rappresenta quindi la base di partenza per le elaborazioni modellistiche successive, in quanto, come osserva anche Beltrami nel suo commento, "la scelta degli elementi ritenuti rilevanti condiziona la capacità del modello di rappresentare la realtà secondo particolari punti di vista". Condivisibile anche l'altra osservazione di Beltrami, riferita chiaramente alla situazione italiana, che l'apparato modellistico funge più spesso da orpello (Beltrami dice "da corredo") che non da organico e sentito integratore dei processi decisionali. Anche se vale la pena rilevare che il carattere necessariamente approssimativo delle risultanze provenienti dalle applicazioni modellistiche, deve sempre ricevere secondo noi rigorosi ed "onesti" temperamenti nella fase di traduzione nella pratica. 8. Alla panoramica sullo stato della ricerca nel campo della domanda di trasporto, fa seguito la terza parte sull'offerta, curata da Alessandra De Lellis con commento di R. Mercurio. La materia viene inquadrata rilevando anzitutto il cambiamento che si è prodotto nei riguardi della ricerca in termini di prospettiva e di metodologie, per effetto dell'evoluzione più recente del settore. Ed indicando poi che gli studi in letteratura sull'argomento si possono raggruppare sostanzialmente in due filoni, quelli che analizzano i trasporti secondo schemi teorici noti, ma facendo uso di strumenti di analisi sofisticati e quelli che seguono metodologie standard di analisi industriale. Viene inoltre precisato che ai fini della rassegna vengono considerati i concetti di offerta, limitatamente alla gestione della componente veicolare, cioè in generale al materiale mobile (poiché si ritiene che l'analisi dei contributi di ricerca sull'offerta di infrastrutture appartenga alla sfera dei lavori sulla valutazione e pianificazione degli investimenti) e della cosiddetta filiera dei trasporti, approccio innovativo di analisi secondo il quale diviene prioritario il riferimento alla tecnologia di produzione, superando per ciò l'approccio SCP (struttura-comportamento-performance) secondo il quale tale aspetto interviene solo come componente di costo. A proposito di questi concetti viene tuttavia preliminarmente affermato come ambedue siano caratterizzati dal fatto che dal punto di vista dell'analisi economica "non definiscono esattamente l'ambito di studio". Nonostante tale posizione apparentemente riduttiva, in particolare per quanto riguarda la filiera, si può osservare che le due chiavi di lettura si evidenziano egualmente in modo abbastanza definito attraverso l'esame dei contributi considerati. Aiuta poi ci sembra alla migliore comprensione di questa tematica, la serie molto puntuale di commenti sviluppata da R. Mercurio, che si manifesta decisamente a favore dell'assunzione di punti di vista innovativi nell'attività di analisi e di studio dell'offerta di trasporto. Punti di vista che tengano conto dei molti e sostanziali cambiamenti che sono ultimamente sopravvenuti, sia sotto l'aspetto della tecnologia e dunque dell'organizzazione industriale, sia sotto l'aspetto della gestione delle imprese esercenti il trasporto, le quali da un'impostazione pubblicistica e fondamentalmente monopolistica, devono per forza di cose assumere la capacità di muoversi secondo logiche di mercato e di orientamento al cliente. Tutto ciò impone, e ci sembra che la doviziosa rassegna della letteratura lo confermi, la necessità, come sostiene anche Mercurio, di un "cambio di paradigma, passando da una visione statica, tipica del modello SCP ad una dinamica, che assegna invece un particolare rilievo all'innovazione e che pertanto trova nella tecnologia la sua variabile esplicativa principale". I nuovi percorsi di ricerca ispirati all'assunzione di tale punto di vista in cui la tecnologia assume un ruolo centrale e innovativo, certamente si presentano suscettibili di interessanti sviluppi. Ciò tuttavia non deve far dimenticare l'aspetto menzionato della gestione delle imprese esercenti su cui la ricerca almeno in Italia non si è forse abbastanza misurata, probabilmente per lo stato deplorevole del settore che vale la pena qui ricordare assieme alla circostanza del ritardo inspiegabile con cui si procede alle riforme. I dati sui costi italiani per questo segmento di attività pubblica ed in particolare sul costo del lavoro, a confronto con altre realtà nazionali e straniere, sono infatti ben noti ma restano comunque sconcertanti. Secondo un'indagine proprio di Federtrasporto ad esempio, riportata da A. Boitani, posto 100 la retribuzione contrattuale nell'industria, risulta 108,8 quella nelle ferrovie concesse; 114,49 quella nelle municipalizzate; 136 quella nelle FS. Nel corso degli ultimi vent'anni il costo del lavoro nel settore è aumentato di un indice 1014, mentre l'inflazione è aumentata di 816. Non è certo questa l'occasione per entrare nel merito di un argomento così complesso e delicato che fra l'altro viene ampiamente ripreso da G. Marletto successivamente nel corso di questa raccolta di saggi, a proposito della regolazione dell'offerta. Ci sembra comunque da segnalare che nell'ambito di così qualificati contributi di ricerca teorica, non sia mai perso di vista il lato pratico dei problemi dell'offerta e che venga mantenuta piena consapevolezza di tutti gli aspetti della questione, anche nell'ispirare le linee di ricerca. 9. La quarta parte affronta in generale il tema della politica del trasporto con commenti di E. Cascetta. Il primo paragrafo sviluppato da Flavia Di Castro tratta della pianificazione da un punto di vista sostanzialmente descrittivo delle metodologie applicate ed in particolare dell'analisi Costi-Benefici e dell'analisi Multicriteriale (MCDM), per la valutazione ed il confronto delle alternative d'intervento sugli elementi del sistema di trasporto. Questo aggiornamento su di una tematica che conserva diffuso interesse, nonostante i mutamenti d'indirizzo in atto in materia di scelte nell'ambito dei trasporti, si associa opportunamente al contenuto del paragrafo successivo (Gervasoni-Ponti), dedicato al finanziamento delle infrastrutture ed in particolare all'ampia ed attuale problematica del cosiddetto "project-financing" PF. Su questo tema, partendo da una lucida premessa descrittiva di efficace carattere teorico-esemplificativo, gli autori del saggio giungono ad esempio a formulare amare seppur realistiche constatazioni su alcune significative esperienze italiane come autostrade ed alta-velocità ferroviaria, troppo spesso forzatamente giustificate in base a necessità di sviluppo in presenza di limitanti carenze di contesto. Dalle quali constatazioni si ricava che proprio le grandi infrastrutture di trasporto sono state e tuttora sono in Italia oggetto di fenomeni di "cattura" del soggetto pubblico da parte di gestori di monopoli naturali (magari soggetti privati mascherati da pubblici), che tendono ad occultare nelle pieghe del bilancio pubblico, magari sotto forma di "garanzie" (cioè indebitamenti surrettizi), operazioni speculative e comunque ogni componente di rischio, assieme ad operazioni di "overinvestment". Laddove viceversa l'esperienza di altri paesi avanzati, anch'essi alle prese con problemi di scarsità di risorse finanziarie pubbliche, dimostra che non è attraverso l'investimento nei trasporti che si risolvono i problemi dello sviluppo, come anche altri saggi della raccolta tendono a sottolineare. Si sta difatti osservando che nei paesi industrializzati è in atto un calo di investimenti in questo settore, mentre non è affatto in via di riduzione la domanda di servizi di trasporto. Il PF, inteso non come ricetta univoca, ma come linea di approccio in cui ad un soggetto di natura privatistica viene affidata mediante gara la concessione di costruzione e gestione di un'infrastruttura, sembra offrire il vantaggio del superamento di parecchi degli svantaggi connessi al modus-operandi finora seguito nella programmazione ed attuazione di tali opere. C'è peraltro da osservare che il contesto politico-normativo italiano non è molto incentivante verso forme di rischio imprenditoriale applicato ad opere d'uso pubblico: il caso ad esempio dei parcheggi urbani che ovunque in Europa sono privati e funzionano, è abbastanza indicativo. La descrizione comunque dei tecnicismi nei quali oggi si possono articolare le varie forme applicative di PF, offre agli autori lo spunto per ulteriori interessanti osservazioni che si concludono peraltro con l'implicita conclusione che su questi procedimenti l'elaborazione teorica italiana è ancora agli inizi. 10. Gli ultimi due saggi della raccolta, relativi alla Regolazione dell'Offerta (e della Domanda), sono sviluppati da G. Marletto, che rileva anzitutto come, per una serie di cause storiche ormai ben individuate e dalle quali sono derivati guasti cospicui al sistema in termini di cadute di efficienza e di qualità dei servizi (oltre ad insostenibili oneri per la finanza pubblica), si vadano ormai affermando nuovi modelli di intervento pubblico nel settore, che si discostano dall'applicazione delle teorie paretiane classiche. In questo mutamento di quadro concettuale si manifesta una crescente attenzione teorica, ma anche politica, verso schemi di "regolazione incentivante" per le imprese, come ad esempio quella basata sul metodo cosiddetto del "price-cap". Molta parte della letteratura descrittiva ed interpretativa di tali schemi (e Marletto ne offre un'ampia panoramica), è ispirata in particolare alle vicende non solo italiane del trasporto collettivo locale. Ampio interesse è dedicato per esempio in questo saggio alle significative sperimentazioni effettuate negli ultimi dieci/quindici anni in Gran Bretagna, ovvero in un contesto operativo (non certo normativo) assimilabile a quello italiano. Sperimentazioni ormai giunte a maturazione con estensiva applicazione della cosiddetta "deregulation", nella cui logica viene eliminata ogni forma di sussidio alle aziende ed ogni tipo di pianificazione della rete da servire, tentando di creare le condizioni per il manifestarsi di una piena concorrenza fra i vari soggetti imprenditoriali coinvolti. I banchi di prova di queste sperimentazioni come noto sono stati Londra (regolazione concorrenziale) ed il resto del paese (liberalizzazione), da cui si è ricavato che l'efficienza delle aziende è migliorata (riduzione dei costi del 15%). Per quanto attiene inoltre la qualità dei servizi, i migliori risultati sono quelli londinesi (per esempio in termini di innovazione tecnologica e di integrazione modale), anche se buone performance hanno dato i sistemi di trasporto periferici. La forma del mercato ha anch'essa fornito interessanti spunti di miglioramento ad esempio per l'affermarsi di una significativa selezione di imprese più capaci, oggi ben consolidate nell'attività. Il saggio si addentra poi nell'ampio e variegato settore delle ferrovie, per le quali a livello mondiale si offrono numerosi esempi di innovazione gestionale, ispirati evidentemente dalla circostanza che l'attività del trasporto ferroviario ha praticamente ovunque offerto un esempio senza appello di "fallimento del mercato", come sostiene lo stesso autore. Nell'acquisizione teorica più recente appare evidente che mentre la rete di infrastrutture, fisicamente non riallocabile, costituisce sicuramente un monopolio naturale, l'esercizio invece rappresenta un'attività "contendibile", nella quale cioè si può espletare la concorrenza. Da ciò l'approccio regolatorio più recente, che prevede la separazione fra rete e produzione del servizio, approccio che costituisce fra l'altro la base dell'orientamento comunitario espresso nella famosa Direttiva 440/91. La questione naturalmente presenta ancora sul piano concettuale ed applicativo molte difficoltà, per cui anche al livello nazionale, dei diversi paesi che si sono e/o si stanno cimentando con le soluzioni a queste complesse problematiche, si offrono soluzioni diverse sulle quali con lucidità e chiarezza il saggio fa buona luce, descrivendo molti dei modelli applicati. COMMENTO PARTE I Marco Ponti, Università di Castellanza 1. Una prima osservazione metodologica concerne la stessa formulazione del problema: l’impatto della infrastrutture di trasporto. Tale impatto, a parte gli effetti “di cantiere” sui quali torneremo, è di per sè nullo: ciò che impatta sul contesto economico sono le variazioni dei costi di trasporto da esse indotte. E tali variazioni di costo necessitano di analisi del tutto specifiche, e scarsamente connesse con le caratteristiche fisiche delle infrastrutture stesse. Infrastrutture di trasporto in contesti non congestionati, che quindi modifichino in modo marginale i costi di trasporto nei paesi sviluppati (dove la congestione è il costo dominante), non hanno impatti apprezzabili. 2. Per il trasporto merci inoltre vi sono forti indizi che fanno ritenere ancora più rilevanti i dubbi sull’impatto economico anche delle infrastrutture “utili”, cioè tali da abbassare i costi di trasporto: tali costi hanno un ruolo decrescente per le imprese, e ciò è senz’altro vero che il passato recente, ma sarà vero anche nel prossimo futuro. Sono sufficienti due osservazioni empiriche: il mix merceologico dei paesi sviluppati tende a spostarsi su beni ad alta “densità di valore” (valore per tonnellata): dal carbone o dal grano ai prodotti elettronici o all’abbigliamento “firmato”. L’incidenza del costo di trasporto decresce rapidamente, in favore del tempo di viaggio e dell’affidabilità delle consegne. Si potrebbe obiettare: la congestione peggiora proprio i tempi e certezze di consegna. Il fenomeno va tuttavia visto nelle sue dimensioni: le perdite di tempo e di affidabilità “da congestione”, anche grave, sono irrilevanti per le consegne: il trasportatore (stradale, poiché questo è il modo dominante e congestionato) programma qualche ora di tempo perduto ed è tutto. Le imprese non se ne accorgono neppure (si immagini un viaggio medio di 300 km, che invece di essere percorso in 5 ore a 60 km/h, sia percorso in 7 ore a 45 km/h, con due ore perse in rallentamenti). Una seconda osservazione empirica è la crescita irresistibile dei modi di trasporto più costosi, ma affidabili e veloci, rispetto a quelli più economici, cioè il prevalere di autotrasporto e aerei su ferrovie e vie d’acqua interne. Ciò è perfettamente coerente con il crescere del valore delle merci. Le riprove scientifiche delle considerazioni precedenti sono ormai numerosissime: da Quinet a Fogel (premio Nobel), ma più recentemente, per negativo, a Porter (cita i trasporti due volte in tutto tra gli elementi da considerare per lo sviluppo di aree industriali “vincenti”, mentre cita la formazione, l’istruzione ecc. credo centocinquanta volte), o a recenti studi europei (DGXV, A.T. Kearney) e italiani (Economia Pubblica). Non si confondano tuttavia i costi di trasporto con i costi logistici. Questi in realtà crescono, e tendono a divenire cruciali in una logica “Just-in-time”: ma la componente di puro trasporto di tali costi rimane assai bassa (cfr. ancora A.T. Kearney) ed anzi, la sostituzione riprova dello scarso peso di quest’ultimo fattore, a fronte di fattori gestionali, di informazione, ecc.. 3. Ma un’altra componente dei costi di trasporto tende a divenire cruciale per le imprese ed a rivestire di conseguenza un ruolo importante nello sviluppo economico di regioni o paesi. Tuttavia mancano ancora ricerche adeguate su questo tema (cfr. Borgnolo). Si tratta dei costi del trasporto persone, non inteso, si badi, come il tradizionale costo della pendolarità degli addetti, e quindi del mercato locale del lavoro. Si tratta delle condizioni di mobilità dell’area in cui l’impresa è insediata, come elemento di “qualità della vita” capace di attrarre la mano d’opera più qualificata, divenuto fattore critico e scarso per i settori industriali più dinamici, che sono quelli terziari o comunque dediti a produzioni “immateriali”. Le caratteristiche tipiche di questo “trasporto” sono i collegamenti aerei o di treni veloci, e la ridotta congestione stradale: ma sono anche fortemente connessi con le caratteristiche urbane complessive, le “amenities” disponibili, la qualità ambientale ecc.. Si tratta di un campo di ricerca su cui varrebbe la pena di concentrare l’attenzione, mettendo a punto appositi strumenti di analisi. 4. Della scarsa incidenza complessiva dei costi di trasporto sullo sviluppo territoriale vi sono ulteriori riscontri empirici: le eccellenti performance di aree congestionate, cioè con costi di trasporto relativamente elevati. si pensi al Giappone (certo dotato di treni veloci, ma con tariffe elevatissime, una congestione stradale estrema, e alti costi di trasporto merci a causa delle distanze dalle aree di approvvigionamento e sbocco), ma anche alla Tailandia, o a Taiwan, o a Hong Kong. Ma in contesti più vicini a noi, Los Angeles è da sempre l’area più congestionata degli Stati Uniti, come molte altre aree metropolitane americane. La Lombardia e il Veneto sono le aree più congestionate d’Italia, da molti anni, e sono quelle con la crescita più dinamica: in termini semplificati, una circolazione rallentata non costituisce vincolo alla crescita, e, viceversa, una dotazione infrastrutturale sovrabbondante non sembra indurre sviluppo. Molte ragioni del Mezzogiorno hanno infrastrutture amplificate sottoutilizzate, senza che ciò abbia costituito un fattore di attrazione rilevante per le imprese. Un altro aspetto critico per gli effetti territoriali sono i collegamenti tra aree a diverso livello di sviluppo: anche qui emergono forti dubbi sull’opinione dominante, che annette grande importanza a questi collegamenti. Tali dubbi sono stati recentemente e clamorosamente confermati in sede teorica da Krugman, ed in sede modellistica da una ricerca della Commissione Europea: vi è convergenza tra teorie e modelli sul fatto che l’abbassamento 2 dei costi di trasporto favorisce le aree forti in relazioni a quelle deboli (“concentra” lo sviluppo là dove è già avviato. Ciò contrasta clamorosamente e frontalmente con le politiche tendenti a favorire i collegamenti tra aree forti ed aree deboli con l’obiettivo di favorire queste ultime. 5. E qui vale la pena di riprendere gli impatti “di cantiere” delle infrastrutture, che sono spesso portati come argomentazioni ad ulteriore supporto di quelle “di sviluppo”. Si tratta di un approccio keynesiano sempre meno difendibile: modelli monetaristi o anche solo neo-keynesiani mostrano benefici di sviluppo modesti, anche se nel caso italiano si commissionano solo ricerche strettamente keynesiane, ed agiografiche, per rinforzare le richieste di denari pubblici per infrastrutture. Vi sarebbe poi da osservare che gli effetti “di cantiere” sono comunque relativamente non favorevoli sia dal punto di vista occupazionale, trattandosi di un settore capital-intensive e con forti fenomeni di punta e di discontinuità temporale, sia dal punto di vista di politica industriale, trattandosi di tecnologie mature, sia dal punto di vista ambientale. Non si deduca da queste considerazioni che infrastrutture nuove non debbano essere costruite; non possiamo qui dilungarci, ma vanno essenzialmente costruite quelle che si autofinanziano in tutto o in buona parte, rinunciando a spendere gli (scarsissimi) fondi pubblici per sempre più opinabili obiettivi di sviluppo. Schemi di “project financing” tra l’altro avrebbero il risultato di far fare un balzo in avanti al settore sul piano tecnologico, gestionale, e della concorrenza, che è stata finora assente nelle infrastrutture. 6. Costi reali e crescenti per la collettività, sono certamente quelli ambientali. Anche qui il dibattito appare fortemente ideologicizzato, con incredibili demonizzazioni dell’automobile (cfr. Guido Viale “tutti in taxi”). Sembra opportuno separare nettamente il campo in tre: l’inquinamento atmosferico (e acustico), gli incidenti, e la congestione, spesso mescolati in modo irrazionale. L’inquinamento è una vera esternalità, nel senso che colpisce soggetti diversi da quelli che viaggiano (e anche generazioni future, con l’effetto serra). Il problema è che non si sa con sufficiente esattezza, nonostante molti eroici tentativi, l’ammontare dei costi che genera, e quindi fino a che punto è razionale affrontare costi certi per abbatterlo. Gli incidenti sono un’esternalità parziale: per la gran parte sono “interni” a chi viaggia, e per la gran parte ancora sono già “internalizzati” dagli oneri assicurativi. Comunque si tratta di costi molto elevati, per i quali sono possibili approcci legati alla “miopia del consumatore” (merit-wants). 3 Infine, la congestione è una “esternalità” solo nel senso che alcuni utenti della strada generano costi “eccessivi” a tutti gli altri, cioè superiori ai benefici che traggono nel viaggiare. Solo i costi degli incidenti e della congestione sono ragionevolmente certi. Ora, per situazioni di elevata incertezza, come i costi da inquinamento, una regola aurea di azione è quella del “no regrets” (senza rimpianti), cioè di provvedimenti che producono benefici netti certi e, come effetto laterale generino anche benefici ambientali. Tali provvedimenti sono di due tipi, ed attengono ai due problemi nominati che presentano costi certi: incidenti e congestione. Ponendo “tariffe di efficienza” per ridurre la congestione (road princing), che è la politica su cui si concentra l’attenzione di tutti i paesi industrializzati, si avrebbero benefici economici certi, e contemporaneamente si ridurrebbe in modo sensibile l’inquinamento nelle aree più densamente popolate, cioè là dove tale fenomeno presenta costi più elevati. Per quanto concerne gli incidenti, mentre sulle cause il quadro rimane oscuro (l’errore umano prevale, e non è facilmente evitabile), sulle conseguenze non ci sono dubbi: la velocità amplifica i costi di ogni incidente, di un fattore quadratico (cioè con l’energia cinetica dei veicolo), quale che sia la causa dell’incidente. Una seria limitazione delle velocità, sia urbane che extraurbane, ridurrebbe in proporzione i danni degli incidenti (non il numero, probabilmente). Ma ciò avrebbe un effetto ambientale indotto molto importante: essendo meno utilizzabili in pratica elevate potenze nelle automobili, si renderebbero accettabili veicoli a bassissima emissione, già oggi perfettamente realizzabili ma di difficile commercializzazione date le modeste prestazioni di velocità ed accelerazione. Certo che la resistenza dei produttori automobilistici a questo tipo di evoluzione del parco veicolare sembrano ancora forti. Un altro provvedimento ascrivibile a quelli “no regrets” infine è lo spostamento del carico fiscale (molto elevato) che grava sull’automobile, sui costi variabili, cioè sul carburante. Ciò a parità di prelievo, in prima istanza. Attualmente l’IVA sul veicolo, il bollo, la tassa di circolazione ecc. costituiscono costi fissi che incentivano l’uso dell’auto a fini di ammortamento. 7. Occorre ricordare tuttavia, a proposito di “tariffe di efficienza” per la congestione, che trattandosi di un’esternalità impropria, poiché concerne solo gli utenti della strada, i ricavi generati da tali tariffe per la sola componente congestione (cioè escludendo altri obiettivi) debbano essere restituiti agli utenti, pena un’inaccettabile iniquità distributiva. E sembra tecnicamente difficile e/o scarsamente efficiente che tale restituzione avvenga in forma monetaria diretta: l’unico modo praticabile è quello di produrre nuova viabilità, ciò però genera ulteriori problemi ambientali, da trattare con strumenti adeguati (es. tutela paesaggistica, ecc.). 4 8. E’ infine da osservare che, anche per ciò che concerne l’ambiente, la ricerca si trova in una fase critica: la troppo scarsa conoscenza di costi reali di inquinamento generati dai veicoli stradali è il principale fattore di confusione ed incertezza per le politiche da adottare, e apre lo spazio ad una vasta gamma di atteggiamenti demagogici ed opportunistici, non ultimo la recente alleanza “di fatto” tra alcuni gruppi ambientalistici e i costruttori di infrastrutture, che hanno giustamente osservato che un’opera “ambientalmente protetta” (es. In galleria invece che a raso, ecc.) tende a costare molto di più di una non protetta, aumentando in proporzione il fatturato delle imprese, a spese dell’erario. Anche su questi aspetti è da auspicare un’integrazione disciplinare tra analisi economico-finanziarie ed ambientali, integrazione ancora molto incerta ed arretrata, anche per note gelosie accademiche tra le discipline coinvolte. 5 PARTE I GLI IMPATTI DEL TRASPORTO Capitolo 1. Infrastrutture di trasporto, sviluppo economico e divari regionali Daniele Fabbri, Dipartimento di Scienze Economiche, Università di Bologna 1.1. Introduzione In generale siamo portati a credere che le infrastrutture siano un fattore dello sviluppo, ovvero che il livello e il saggio dello sviluppo sono correlati positivamente alla dotazione e all’efficienza di infrastrutture. Ne consegue che un miglioramento nella dotazione e nell’efficienza di infrastrutture può concorrere a promuovere lo sviluppo di una economia. Questo nesso fra infrastrutture e sviluppo non è stato ignorato nè dagli studiosi di teoria economica nè da quelli di storia dello sviluppo economico. Autori come Kuznets, Rostow, Hirschman, Tinbergen hanno testimoniato nelle loro opere la rilevanza di tale nesso. Scopo di questo capitolo è quello di presentare gli argomenti principali del dibattito sul ruolo delle infrastrutture come fattore di crescita e sviluppo di una economia regionale. L’attenzione dedicata alle economie regionali non è limitativa. Al contrario, se si riconosce che tutte le economie territoriali possono intendersi come “regionali” rispetto ad aggregazioni territoriali superiori, si comprende il senso di una posizione, del resto autorevolmente testimoniata da economisti di primo piano come Paul Krugman: occorre studiare le economie regionali come “palestra privilegiata” per testare il contenuto empirico di teorie economiche più generali che trattano del funzionamento complessivo delle economie moderne. Questo capitolo è suddiviso idealmente in due parti. La prima è prevalentemente teorica e si articola in tre sezioni. Nel primo paragrafo ci soffermiamo sul concetto di sviluppo economico delineandone l’evoluzione a partire dai concetti tradizionali fino alle recenti problematiche sulla sostenibilità ambientale. Nel secondo traduciamo la lezione teorica in considerazioni applicate agli specifici 1 problemi posti dallo sviluppo regionale. Nel terzo paragrafo proponiamo una lettura organica rispetto alle interpretazioni teoriche presentate dell’impatto che le infrastrutture di trasporto possono ragionevolmente esercitare sullo sviluppo e sui divari regionali. Nella seconda parte del capitolo presentiamo i principali risultati empirici ottenuti in letteratura riguardanti appunto il nesso fra sviluppo regionale e infrastrutture di trasporto. 1.2. Il concetto di sviluppo economico Il concetto di sviluppo economico è controverso ed in parte ambiguo. Gli economisti classici attribuivano al concetto di sviluppo economico, il senso di crecente prosperità non solo economica ma anche sociale, culturale, istituzionale di una collettività. Nelle più recenti accezioni alcuni lo identificano con la crescita economica, ossia incremento nel tempo del livello del prodotto interno lordo, PIL, procapite. Per altri tale definizione è minata da un grave errore di prospettiva. Infatti, poiché la crescita economica si riferisce solo al PIL procapite essa non tiene conto dei seguenti problemi: la distribuzione del PIL procapite tra la popolazione. il problema delle esternalità e della non negoziabilità di alcuni beni e servizi. la valutazione dei beni nel PIL riflette le distorsioni insite in tale meccanismo. In definitiva il concetto di PIL, e quindi di crescita, rimane inadeguato nello spiegare il concetto di sviluppo perché in esso convergono elementi che non sono solo economici ma anche sociali, istituzionali, politici e culturali. 1.2.1. I limiti fisici alla crescita E’ stato detto più volte che è poco opportuno associare il concetto di sviluppo a quello di crescita. Questa affermazione risulta manifesta quando consideriamo le interazioni tra sistemi economici e ambiente naturale. Il paradigma centrale della teoria economica neoclassica considera il mercato come meccanismo allocativo capace di attivare, ovunque venga messo in grado di funzionare, le risorse necessarie ai prezzi più convenienti. In altri termini, il sistema economico è un sistema isolato. Il discorso cambia quando si considera che il sistema economico è integrato in un habitat naturale che, sebbene sia di 2 dimensioni grandi o grandissime, ha pur sempre dimensioni finite. Esistono in questo caso limiti fisici alla crescita, di carrying capacity, quali l’inquinamento, l’esaurimento delle risorse naturali non rinnovabili e l’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali rinnovabili. La preoccupazione per il progressivo impoverimento dell’habitat naturale determinato dallo sviluppo dei moderni sistemi economici ha stimolato la ricerca di soluzioni efficaci per la ridefinizione del rapporto fra economia e problemi ambientali. Le soluzioni indicate si collocano essenzialmente su tre versanti: 1. la prima, meno radicale, propone la riduzione della produzione ad un livello ottimale, cioè l’ipotesi di “crescita zero”. 2. la seconda propone l’introduzione di sistemi contabilità nazionale allargate alla valutazione dei sottosistemi ecologici. 3. la terza, ispirata dal paradigma bioeconomico di Georgescu-Roegen, propone di impostare i sistemi economici sulla valutazione dell’energia solare incorporata nelle produzioni umane. 1.2.2. I limiti sociali allo sviluppo La tesi contro la crescita è stata poi sostenuta da analisi economiche che hanno cercato di metterne in luce i costi sociali e, in particolare, i costi ambientali. Il “paradosso” di Esterlin, cioè a dire, i dati che indicano che la ricchezza materiale e la felicità umana non sono strettamente correlate e l’analisi di Scitovsky della ”economia senza felicità” la cosiddetta joiless economy, con la quale si pone l’enfasi sul bisogno da parte dell’uomo di qualcosa che va oltre la mera ricchezza materiale, sono un esempio di ciò che potremmo definire i limiti sociali allo sviluppo. Ad ogni modo, come enfatizzato dalla letteratura di riferimento, non è possibile parlare di una società in sviluppo se non esiste già una società in crescita, ovvero, lo sviluppo si manifesta dopo la crescita materiale di ua determinata collettività. Un esempio tipico è quello presentato in letteratura come distinzione tra beni primari e beni posizionali: una società, infatti, cercherà di avere i primi se essa versa in condizioni di povertà e cercherà, soprattutto, la seconda se ha già soddisfatto i primi (situazione dei Paesi avanzati). 1.2.3. Lo sviluppo sostenibile Proprio per tener presente sia il problema dei limiti fisici alla crescita sia i limiti sociali allo sviluppo si è resa necessaria l’elaborazione di un nuovo paradigma interpretativo dell’interazione tra sistema 3 socio-economico e sistemi naturali. Il tentativo di costruire una teoria d’intervento ha da alcuni anni un nome molto spesso evocato: sviluppo sostenibile. La definizione più nota di tale concetto è quella data dalla World Commission on Environment and Development (WCDE) ove per sviluppo sostenibile s’intende “uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i propri”. In altri termini, lo sviluppo sostenibile è un processo di cambiamento nel quale lo sfruttamento delle risorse, l’andamento degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i mutamenti istituzionali sono in reciproca armonia ed incrementano le possibilità di soddisfare i bisogni della presente e delle future generazioni. 1.3. Teorie economiche della crescita e dello sviluppo regionale Il territorio e quindi il trasporto svolgono un ruolo importante nell’influire sullo sviluppo di una economia. Un aspetto assai evidente che emerge quando si studia lo sviluppo di una economia spazialmente connotata è quello rappresentato dalla difformità del modo in cui lo sviluppo investe ed interessa le aree e le regioni che quella economia costituiscono. Immaginiamo che il territorio T sia suddiviso in due regioni, A e B. Studiare lo sviluppo economico del territorio T dal punto di vista territoriale significa inevitabilmente discutere dei divari e dei differenziali di sviluppo fra le regioni A e B. Gli economisti regionali hanno fornito numerose spiegazioni teoriche di questo fenomeno. Per presentare sinteticamente queste teorie distinguiamo fra analisi di sviluppo equilibrato e analisi di sviluppo squilibrato1. 1.3.1. Lo sviluppo regionale equilibrato Nell’analisi dello sviluppo equilibrato si assume che il mercato funzioni da allocatore ottimale ed efficiente delle risorse sia a livello sociale che a livello territoriale. In questo senso i divari fra le regioni sono letti come perturbazioni temporanee, provocate da shock esogeni sul lato della domanda o su quello dell’offerta, rispetto ad un equilibrio di lungo periodo in cui i tassi di crescita fra le regioni sono 1 Per una trattazione di questi temi si vedano Ciciotti (1993), cap. 4, e Garofoli (1992). 4 del tutto omogenei. I meccanismi che garantiscono il rientro di ciascuna regione sul sentiero di convergenza verso lo sviluppo equilibrato sono rappresentati dall’aggiustamento dei prezzi e dalla perfetta mobilità settoriale e territoriale dei fattori produttivi. I prezzi riflettono gli eccessi netti di domanda dei beni e dei fattori e i flussi di scambio dei beni e dei fattori si aggiustano fintantochè esistano benefici dallo “scambio” regionale e settoriale ovvero finchè le remunerazioni dei fattori non si eguaglino sull’intera economia2. Dal punto di vista della distribuzione territoriale delle produzioni, la lettura dello sviluppo regionale equilibrato fa riferimento ad un modello di specializzazione basato sui vantaggi comparati, alla Ricardo, o sulle intensità fattoriali delle dotazioni, secondo la teoria di Hecksher-Ohlin. Queste teorie, è noto, spiegano esclusivamente il commercio intersettoriale, ovvero lo scambio fra paesi specializzati nelle produzioni di beni merceologicamente distinti. Inoltre per la natura delle loro formulazioni la teoria ricardiana e quella di Hecksher-Ohlin sono sostanzialmente agnostiche rispetto allo scambio intraregionale, elemento di una certa rilevanza per le finalità della nostra analisi. Evidentemente l’analisi dello sviluppo equilibrato si fonda sull’ipotesi di mercato perfettamente concorrenziale. L’adeguamento dei prezzi secondo le funzioni di eccesso di domanda e di offerta e la perfetta mobilità dei fattori sono infatti i requisiti essenziali del modello. Vi sono peraltro validi motivi per ritenere che laddove si consideri espressamente lo spazio la forma di mercato debba contenere significativi elementi di oligopolio. 1.3.2. Sviluppo ineguale e rendimenti di scala Un’analisi territoriale non può ignorare il ruolo della concentrazione spaziale delle produzioni, ovvero i fenomeni di agglomerazione e dei distretti produttivi indicati da Alfred Marshall come la principale causa delle economie di scala esterne3. In queste circostanze, come le più recenti teorie del commercio internazionale hanno suggerito, una regione che acquisti un piccolo vantaggio comparato iniziale nella 2 Si veda la efficacie trattazione fornita da McCombie (1988). 3 Per una trattazione delle economie di distretto, di agglomerazione e di licalizzazione si vedano Camagni (1992) e Ciciotti (1993). 5 produzione di un certo bene, può accrescerlo nel tempo per effetto delle economie di scala esterne. Da un’altro versante la teoria della crescita endogena ha indicato proprio negli effetti esterni dovuti ad economie di localizzazione e di urbanizzazione i principali motori dei processi di innovazione di distretto e di riflesso della crescita di lungo periodo. La crescita regionale sostenuta nel lungo periodo, si sostiene, è possibile laddove esiste un ambiente favorevole ai processi di innovazione dei singoli operatori e la diffusione ed imitazione delle innovazioni è molto agevole4. In questo senso la teoria della crescita endogena ha fornito una rigorosa sistematizzazione delle teorie shumpeteriane del progresso tecnico. Il fenomeno delle agglomerazioni territoriali non è tuttavia interpretabile solo alla luce delle economie di scala esterne. Nella realtà l’industrializzazione ha proceduto inesorabilmente verso concentrazioni produttive territoriali sempre più spinte provocate dallo sviluppo di tecnologie con elevati rendimenti di scala. Sviluppo tecnologico e spazio hanno operato in questo senso come forze conflittuali. Lo spazio infatti è un innato elemento di diversificazione del prodotto. Il consumatore non è indifferente fra un fornitore vicino ed uno lontano dalla propria abitazione. La differenziazione territoriale del prodotto porta quindi a disegnare un mercato in cui la concorrenza si esplica fra “vicini” 5 in modo diretto, mentre si esprime solo in forma indiretta fra competitori distanti. La possibilità di ciascun produttore di espandere la produzione, come faceva rilevare Piero 4 La teoria della crescita endogena si è sviluppata intorno al contributo di Paul Romer (1986). Questa teoria cerca di motivare la crescita superando la spiegazione tradizionale basata sull’idea di progresso tecnico esogeno, “che piove come manna dal cielo”. Nei modelli di crescita endogena si introduce espressamente la produzione di innovazioni come “ulteriore settore” dell’economia che assorbe risorse e rispetto al quale si sviluppa un programma di ottimizzazione. Inoltre si assume che l’innovazione, una volta conseguita, possieda dei caratteri di bene pubblico, secondo un effetto del tipo economie di distretto, e quindi possa essere appropriata anche da soggetti diversi da quelli che l’hanno effettivamente sviluppata. Questi elementi si dimostrano sufficienti a spiegare un tasso di crescita sostenuto di lungo periodo. 5 La recente teoria dell’Organizzazione Industriale ha approfondito il tema della competizione in un mercato spaziale come metafora della differenziazione del prodotto. Si veda ad esempio Grillo e Silva (1990). 6 Sraffa, è quindi limitata più dalla difficoltà di attrarre la domanda che da quella di ridurre i costi. Ciò impone di esaminare il problema dei divari regionali nell’ambito quantomeno di un modello di concorrenza monopolistica. Krugman (1991) ha recentemente riesaminato queste teorie sintetizzandole efficacemente in un semplice modello economico di concorrenza monopolistica. In quel contesto appare chiaro che lo sviluppo di una regione può essere innescato dal manifestarsi di una esternalità pecuniaria rappresentata dall’allargamento dei bacini di domanda. Questo effetto permette l’adozione di tecnologie più efficienti e quindi di allargare la base produttiva di un area attraverso gli effetti di causazione e di attivazione (backward linkages) sui settori fornitori di input. Poichè la domanda complessiva è limitata, il processo di concentrazione e di causazione circolare cumulativa finisce per premiare una regione a discapito dell’altra. Questi elementi possono produrre quindi differenze strutturali che si accumulano nel tempo e nello spazio portando alla divaricazione dei sentieri di sviluppo delle regioni di un sistema economico territoriale. Queste considerazioni hanno trovato varie espressioni nell’analisi economica regionale. La teoria della causazione circolare cumulativa di Myrdal e Hirshmann, le teorie della diffusione gerarchica dello sviluppo come quella del filtering down di Berry e del polo di sviluppo di Perroux fanno implicitamente riferimento ad un modello economico fondato sugli elementi appena descritti. 1.4. Il ruolo delle infrastrutture di trasporto nello sviluppo economico regionale. Le due interpretazioni appena esposte offrono chiavi lettura radicalmente differenti del ruolo giocato dalle infrastrutture del trasporto nel processo di sviluppo regionale. Ci sembra in particolare di un certo interesse collocare tale ruolo rispetto al tipo di sistema di trasporto di cui il territorio è dotato. 1.4.1. Infrastrutture di trasporto e sviluppo equilibrato Nella lettura dello sviluppo equilibrato i miglioramenti del sistema di trasporto agevolano il processo di aggiustamento settoriale e regionale verso l’allocazione ottimale delle risorse e quindi lo sviluppo equilibrato delle regioni secondo i modelli di specializzazione ottimale 7 delle produzioni. Infatti rispetto al modello di concorrenza perfetta il territorio, a causa dei costi di rilocalizzazione, di mobilità e di informazione, opera come elemento frizionale dei processi di aggiustamento. Ogni miglioramento del sistema di trasporto, contribuendo a vanificare gli elementi di frizione spaziale e a neutralizzare il connotato territoriale dell’economia, fa avvicinare il reale funzionamento dell’economia a quello rappresentato dal modello. Dugonjic (1989) mette in luce tuttavia che lo sviluppo regionale, nella logica della specializzazione ottimale, non è neutrale rispetto al tipo di sistema di trasporto che lo supporta. Infatti la logica della esatta specializzazione delle produzioni regionali trova il suo corrispettivo in una organizzazione del sistema dei trasporti prettamente orientata ad una sola modalità, quella impiegata dall’industria regionale, e rivolta allo sbocco sui mercati esterni, ovvero di portata interregionale. Ciò è rilevante quale che sia la direzione del nesso di causazione trasporti-sviluppo che si considera. Infatti se consideriamo il nesso che dalla struttura economico-industriale di una regione porta alla domanda di infrastrutture di trasporto si può rilevare che tale domanda sarà inevitabilmente influenzata dalla specifiche esigenze del sentiero di sviluppo perseguito. In particolare, come dicevamo, nella modalità preferita e nel grado di apertura all’esterno. Viceversa, qualora si consideri il nesso opposto, il sistema di trasporto opera come uno degli elementi del vantaggio comparato. Pertanto, ad esempio, la scarsità dell’offerta regionale di una certa modalità di trasporto porterà la regione a svilupparsi specializzandosi in settori che richiedono l’uso meno intensivo di quel tipo di trasporto. 1.4.2. Infrastrutture di trasporto e rendimenti di scala L’effetto delle infrastrutture di trasporto nell’ambito della seconda lettura muove invece nella direzione opposta. In quel contesto è agevole infatti argomentare che i miglioramenti delle infrastrutture di trasporto interregionali non favoriscono la diffusione dello sviluppo. Piuttosto, al contrario, essi rendono ancora più marcati i divari di sviluppo regionali favorendo ulteriormente i processi di concentrazione produttiva e di specializzazione regionale. Questa analisi può essere chiarita parafrasando un argomento utilizzato da Krugman in riferimento al processo di unificazione monetaria europea. 8 La figura 1 rappresenta un’industria che può operare in due località, ciascuna delle quali è contraddistinta da una domanda locale del prodotto. La domanda è totalmente inelastica così che la produzione dell’industria è data dall’output OO*, con la vendita di OQ nella regione 1 e di QO* nella regione 2. L’industria è perfettamente concorrenziale. Tuttavia è soggetta ad economia esterne di scala specifiche a ciascuna regione. Perciò la curva di offerta CC della regione 1 e C*C* della regione 2 sono declinanti6. Figura 1 costo1 C* C costo2 c* C c C* O Q O* Consideriamo ora la situazione in cui ciascuna regione è autosufficiente. In questo caso la regione 1 produrrà la quantità OQ al costo unitario c, mentre la regione 2 produrrà la quantità QO* al costo unitario c*>c. Questa situazione non porta necessariamente alla concentrazione industriale. Infatti se i costi di transazione fra le due regioni sono superiori a c*-c la dispersione geografica di questa industria rappresenta un equilibrio stabile. Al contrario qualora i costi di transazione si riducano, ad esempio per effetto di un miglioramento delle infrastrutture di trasporto interregionale, l’esito può essere quello di un processo cumulativo in cui il vantaggio di costo iniziale della regione 1 porta ad una progressiva espansione dell’industria di questa regione e alla contrazione di quella localizzata nella regione 2 con un 6 Poichè la curva di offerta di un settore perfettamente concorrenziale coincide con quella del costo medio e questo, è decrescente al crescere della produzione, per effetto delle economie esterne di scala. 9 progressivo allargamento del vantaggio di costo della prima rispetto alla seconda. L’evoluzione appena descritta porta inevitabilmente alla divaricazione dei sentieri regionali di sviluppo7. Questo argomento si riferisce alla medesima tipologia di intervento infrastrutturale considerata nell’ambito della teoria dello sviluppo equilibrato, cioè quella del trasporto interregionale monomodale. Queste considerazioni vanno opportunamente adattate se si ragiona dell’effetto di interventi sul sistema di trasporto intraregionale e ad impatto multimodale. In questo caso infatti occorre collocare il settore del trasporto come fa Faini (1984) in un modello di crescita a due regioni e a due settori, in cui il trasporto possiede il carattere del bene non-traded. Faini dimostra che qualora si sviluppino rendimenti di scala crescenti nel settore degli inputs intermedi non commerciati ciò è sufficiente a dar luogo ad una divergenza cumulativa dei tassi di crescita regionale. La questione a questo punto diventa quella di dimostrare teoricamente ed empiricamente che la produzione di servizi di trasporto intraregionale è contraddistinta da rendimenti di scala crescenti. Ciò appare assodato in Economia dei Trasporti. Tipicamente infatti il raddoppio delle capacità di carico più che raddoppia i flussi sostenuti dalla infrastruttura8. Inoltre appare altrettanto plausibile che la multimodalità sia contraddistinta dalla presenza di rilevanti economie di scopo9. L’uso della politica delle infrastrutture per le finalità dello sviluppo economico regionale possiede quindi due strumenti fondamentali. Da un lato gli interventi sulla rete interregionale portano ad una più netta definizione dei pattern di specializzazione e all’emergere di fenomeni di concentrazione e di possibile divaricazione dei tassi di crescita regionali. Dall’altro, la strategia di intervento mirata sui sistemi intraregionali può far emergere quegli effetti di economia di localizzazione che la teoria della crescita endogena ci indica come uno 7 Un argomento del tutto analogo viene sviluppato, sebbene in un contesto teorico differente, da Rietveld (1989) in relazione all’effetto di polarizzazione sul mercato del lavoro indotto dai miglioramenti del sistema di trasporto. 8 Si veda a questo proposito il capitolo 12 di Mohring (1976). 9 Andersson (1986) costruisce intorno al ruolo dell’innovazione, delle economie di scala e di scopo nel settore dei trasporti una vera e propria storia delle rivoluzioni economiche dall’epoca di Roma Imperiale fino alla recente rivoluzione post-industriale. 10 dei principali fattori della crescita sostenuta di lungo periodo. In generale ci pare comunque da rilevare che il nesso tra trasporti e sviluppo è di tutt’altro che agevole decifrabilità, soprattutto viste le differenti interpretazioni che di esso si possono dare al variare della scala territoriale di analisi. 1.5. Trasporti sostenibili e sviluppo regionale sostenibile Il tema della sostenibilità è entrato solo recentemente nell’agenda di ricerca degli economisti del trasporto e degli scienziati regionali10. Va detto inoltre che rispetto alle analisi riassunte nei paragrafi precedenti, il tema della sostenibilità emerge nella letteratura con un connotato ancora prevalentemente normativo o di pianificazione. La categoria concettuale tipicamente utilizzata dagli economisti per trattare i temi della degradazione ambientale è quello di esternalità. Tuttavia per la natura di lungo periodo e per i connotati sistemici il paradigma della sostenibilità racchiude una vastità di aspetti e di implicazioni estremamente più ampia di quella che può essere ricompresa nella categoria di esternalità. Rispetto all’esigenza di gestire lo sviluppo delle economie moderne in modo sostenibile gli economisti e gli studiosi dei trasporti stanno quindi cercando di individuare una cornice teorica nel cui ambito collocare i problemi specifici alla sostenibilità del trasporto. Quello del trasporto è un sottosistema aperto alle influenze e ai feedback originati dal sistema socio-economico-ecologico in cui si colloca. In generale l’analisi e le politiche finalizzate al conseguimento della sostenibilità di un sottosistema sono concettualmente infruttuose, in quanto quest’ultima dipende dalla sostenibilità e dall’evoluzione dell’intero sistema. Per questo Button e Verhoef (1995) suggeriscono di adottare il concetto di ”Environmental Utilization Space” definito da Siebert (1982) come criterio operativo utile per semplificare l’orizonte dell’analisi dei sottosistemi di trasporto e territorio. Tale concetto è definito come la restrizione sull’uso che una data generazione o comunità può fare delle risorse ambientali. Per questo Button e Verhoef propongono come condizione di sostenibilità di un sistema di trasporto quello che il suo funzionamento non sia incompatibile con la sostenibilità complessiva 10 Si veda a questo riguardo il recente contributo di Camagni (1995). 11 del sistema cocio-economico-territoriale in cui si inserisce espressa attraverso una opportuna restrizione dell’Environmental Utilization Space. I due studiosi rendono operativo questo concetto applicandolo ad un modello di Spatial Price Equilibrium a due regioni in cui si simula l’impatto economico di diverse politiche di tassazione ambientale. Questa linea di ricerca pare molto promettente11. 1.6. Analisi empiriche dell’impatto delle infrastrutture di trasporto sullo sviluppo economico A fronte della notevole complessità dell’argomento le traduzioni empiriche e quantitative dell’analisi del nesso fra infrastrutture di trasporto e sviluppo hanno dovuto necessariamente addivenire ad una semplificazione radicale degli assunti e delle implicazioni testabili. In questo paragrafo presentiamo i principali approcci che abbiamo riscontrato nella letteratura internazionale. Nella selezione degli argomenti abbiamo volutamente tralasciato l’analisi degli impatti che non possiedono un connotato territoriale di lungo periodo come possono essere ad esmpio gli effetti moltiplicativi dovuti alla spesa per la costruzione dell’infrastruttura. 1.6.1. Il “production function approach” Nel production function approach, si veda Mera (1973) e Biehl (1986), l’infrastruttura di trasporto gioca un ruolo del tutto affine a quello svolto da altri fattori produttivi tradizionali, come il lavoro e il capitale, nel concorrere alla formazione del prodotto regionale e nel causarne l’evoluzione. Il nesso causale che implicitamente si assume in questo approccio è quello che si stabilisce fra un input intermedio avente natura di bene pubblico, l’infrastruttura, e l’incremento di produttività nei fattori privati che esso concorre a determinare. Una formulazione generale di funzione di produzione per il settore i nella regione r, in presenza di diverse forme di infrastrutture è la seguente: Qir f ir ( Lir , Kir , INair ,..., INzir ) (1) dove: 11 Si vedano i lavori pubblicati nella edizione speciale curata da Bergh e Nijkamp (1994). 12 Qir è il valore aggiunto nel settore i nella regione r, Lir e Kir rispettivamente il lavoro e il capitale impiegati nel settore i della regione e r, (Inar, ..., Inzr) le infratrutture di tipo a, ..., z presenti nella regione r. Fra i tipi di infrastrutture introdotti vi sono oltre a quelle dei trasporti anche quelle dell’energia, dell’acqua, dell’educazione, della sanità. Nella misura in cui si considerano le infrastutture di trasporto non è scontato il modo in cui si possa tener conto della loro natura di reti. Tipicamente si distinguono i tipi di infrastrutture sulla base della loro portata territoriale: intraregionali, interregionali, internazionali. L’alternativa consiste nella definizione di indicatori di complessità della rete come ad esempio fanno de Rus, Roman e Trujillo (1995). Un problema connesso è quello rappresentato dal fatto che le infrastrutture tipicamente dispensano effetti esterni non strettamente localizzati. In questo senso, sebbene una regione non sia dotata di una specifica infrastruttura, ad esempio un aeroporto, ciò nonostante può godere degli effetti della vicinanza ad una regione che ne è invece provvista. In questi studi appare inoltre di estrema rilevanza il livello di dettaglio settoriale cui viene condotta l’analisi. Blum (1982) dimostra che l’incremento della produttività dovuto alle infrastrutture può essere molto diverso fra i settori economici. Ciò è inoltre confermato dallo studio di Biehl (1986) che ha messo in luce che l’indice di composizione settoriale regionale spiega molto di più la variazione regionale del reddito pro-capite di quanto non faccia il livello di infrastrutture disponibili. Le trattazioni più dettagliate delle infrastrutture sono state sviluppate negli studi di Blum (1982) e Andersson, Anderstig e Harsman (1989). Nel suo studio riferito alla Repubblica Federale Tedesca Blum (1982) distingue fra autostrade nazionali, altre strade, ferrovie e porti. Per entrambe i tipi di strade e per i porti Blum ottiene risultati significativi. Invece per le ferrovie l’impatto riscontrato è nullo o addirittura negativo. Andersson, Anderstig e Harsman distinguono i seguenti aspetti delle infrastrutture di trasporto nel loro studio sulla Svezia: strade principali, ferrovie, capacità degli aeroporti, tempi di viaggio fra le principali città e tempi di viaggio fra le regioni. Andersson, Anderstig e Harsman individuano effetti molto pronunciati delle ferrovie rispetto 13 alle strade sulla produzione regionale degli anni ‘70. Negli anni ‘80 la situazione si rovescia. La foma della funzione di produzione che viene scelta nella specificazione del modello statistico è, nella maggior parte dei casi, quella Cobb-Douglas. Ciò implica un considerevole grado di sostituibilità fra i fattori considerati, ad esempio fra infrastrutture e capitale privato. 1.6.2. Infrastrutture e mobilità dei fattori L’altro impatto di lungo periodo delle infrastrutture che viene tipicamente esaminato nella letteratura è quello sull’occupazione regionale. In particolare ciò viene fatto utilizzando come variabile esplicativa della variazione dell’impiego l’accessibilità della forza lavoro. Infatti il costo opportunità dei fattori produttivi in un sistema economico territoriale contiene anche una componente legata alla deterrenza spaziale. Quanto minore tale componente tanto minore il costo opportunità del fattore e quindi più elevato il tasso di utilizzo nei processi produttivi attivati a livello regionale. In generale il miglioramento delle infrastrutture di trasporto porta al miglioramento dell’accessibiltà dei mercati. Quest’ultima può essere misurata in generale come: ACCr ( L) Lr ' f (cr 'r ) (2) r' dove Lr’ è il pool di lavoro disponibile nella regione r’, cr’r è un indice del costo di trasporto fra le regioni r’ e r e f(.) è la funzione di deterrenza. Botham (1983), stima la seguente relazione fra impiego regionale e accessibilità: E r 1 EDr 2 wr 3 LAr 4 ACCr ( L) (3) dove Er, EDr, wr e LAr indicano rispettivamente la variazione dell’occupazione, la densità dell’occupazione, il salario reale e un indice di disponibilità di fattore lavoro nella regione r. L’equazione (3) è stata stimata sui dati riguardanti 28 regioni del Regno Unito per gli anni 1961-1966. La stima è stata successivamente utilizzata per prevedere l’effetto sull’occupazione regionale dovuto alla costruzione di un importante sistema autostradale. I risultati 14 generali mostrano che l’impatto della costruzione del sistema autostradale sulla distribuzione regionale dell’occupazione è molto limitato12. Un approccio leggermente diverso è stato adottato da Mills e Carlino (1989) per gli Stati Uniti. Essi misurano l’acessibilità sulla base di un indicatore della densità della rete autostradale interstatale. Nella loro stima trovano che esso esercita un evidente impatto positivo sulla crescita della occupazione nelle contee. 1.6.3. Infrastrutture, commercio interregionale e sviluppo Un aspetto certamente rilevante dell’impatto delle infrastrutture sui sentieri di sviluppo regionale è quello veicolato dalla modificazione dei vantaggi comaparati e dei flussi di scambio commerciale interregionali. Una analisi econometrica su dati regionali in serie storica non è stata mai sviluppata in questo senso nell’ambito dell’economia dei trasporti e delle scienze regionali essenzialmente a causa della ridotta disponibilità di dati utilizzabili a questo scopo. In questo ambito la direzione di analisi prescelta è stata quella delle analisi di simulazione con modelli di tipo input-output e di equilibrio economico computabili che sono esaminati nella voce Impatti economico-territoriali delle infrastrutture di trasporto. 1.7. L’analisi dell’impatto delle infrastrutture di trasporto sullo sviluppo economico nei contributi italiani Scopo di quest’ultimo paragrafo è quello di presentare i principali risultati empirici conseguiti in casi studi applicati nel nostro paese e di collocarne il contenuto e la rilevanza teorica nell’abito della letteratura internazionale presentata nella parte precedente dell’articolo. Va detto che le analisi condotte dagli studiosi italiani scontano rispetto a quelle sviluppate nella letteratura internazionale un evidente ritardo. Ciò che va soprattutto rilevato è la pressoché totale assenza di elaborazione teorica originale sull’argomento. Dal punto di vista delle applicazioni empiriche ci pare invece che un limite rilevante possa essere indicato nella scarsa disponibilità dei dati necessari. Ciò ha indubbiamente reso i contributi italiani necessariamente meno originali dei corrispettivi europei. 12 Risultati analoghi sono stati ottenuti da Dodgson (1974). 15 Gli studi più rilevanti sono certamente quelli di Bracalente, Di Palma e Mazziotta (1980), Bracalente e Di Palma (1982), Bracalente e Mazziotta (1986) e Bruzzo e Vergadoro (1988). Più recentemente sono da menzionare i lavori di Mazziotta e Cerbara (1994), Santi (1994), Gatto e Marino (1994), Barbieri e Causi (1995) e Cesarini (1995). Il lavoro di Bracalente e Di Palma (1982) rappresenta un punto di riferimento per tutti i contributi italiani in questa direzione. Nello studio viene esaminata, nell’approccio alla Biehl di funzioni di quasi-produzione, la relazione fra indicatori dello sviluppo e indicatori della dotazione infrastrutturale. L’analisi viene condotta su dati cross-section all’anno 1977 riferiti alle venti regioni italiane. Bracalente e Di Palma stimano un semplice modello di regressione del tipo: Y=aIbScAdCe (4) dove: Y = indicatore dello sviluppo regionale I = indicatore di infrastrutturazione S = indicatore della struttura settoriale A = indicatore di agglomerazione C = indicatore delle caratteristiche socio-demografiche La dotazione infrastrutturale viene attentamente misurata attraverso l’aggregazione di 9 categorie principali di infrastrutture (trasporti, comunicazioni, energia, idriche, educazione, salute, sport e turismo, sociali, culturali). Queste nove categorie sono a loro volta composte complessivamente di 18 categorie intermedie che a loro volta aggregano 37 indicatori elementari. L’indicatore della struttura settoriale è rappresentato dalla quota di occupazione nell’industria. L’agglomerazione viene invece misurata dalla densità della popolazione o dalla quota di popolazione residente nella più grande città della regione. Infine le caratteristiche socio-demografiche considerate sono la quota di popolazione in età compresa fra i 15 e i 65 anni e la quota di forza lavoro femminile. Lo sviluppo viene misurato dal prodotto interno lordo per abitante e per occupato, dal tasso di occupazione delle forze lavoro e dal tasso di partecipazione della popolazione alle forze di lavoro. 16 Le migliori stime ottenute dagli autori possiedono una notevole capacità esplicativa delle variabili dipendenti. Inoltre viene confermata la tesi della correlazione fra sviluppo e infrastrutturazione. Infatti il coefficiente associato all’indicatore delle infrastrutture è positivo ed abbondantemente significativo. Analogamente anche il grado di agglomerazione territoriale e la quota di occupazione nell’industria esercitano un effetto positivo e significativo. Un’interessante estensione dell’analisi di Bracalente e Di Palma è stata recentemente fornita da Santi (1994) con studio applicato allo sviluppo della regione Lazio. Il limite fondamentale dell’analisi di Bracalente e Di Palma è infatti quello di essere costruita su dati cross-section e quindi non propriamente adatta ad esaminare il nesso tra infrastrutture e sviluppo che tipicamente si manifesta in un contesto di lungo periodo. L’analisi cross-section risente in questo del disturbo della variabilità del ciclo economico che solo in una analisi di serie storica può essere superato. Santi (1994) supera a questo limite sviluppando un’analisi di funzione di quasi-produzione con dati in serie storica sull’arco temporale 1951-1991, riferiti alla regione Lazio. La struttura del modello è del tutto simile a quella di Bracalente e Di Palma e porta a risultati analoghi sia per ciò che concerne i segni che per la significatività dei parametri. In questo caso il limite fondamentale del modello statistico è quello di essere un modello esclusivamente di serie storica. In questo casi si ipotizza implicitamente che i parametri della funzione di quasi-produzione rimangano costanti nell’arco di quaranta anni. Non solo ma nella regressione non viene introdotta alcun indicatore temporale che possa riflettere lo shift dovuto alla evoluzione tecnologica. In sintesi anche questa analisi pare limitata dalla scarsa disponibilità dei dati. Lo studio di Barbieri e Causi (1995) contribuisce a superare anche i limiti dello studio precedente. Gli autori intendono valutare l'evoluzione delle politiche infrastrutturali dei trasporti a livello nazionale. In altri termini, il contributo mette in luce, prima di tutto, se e in che misura la crescita economica territoriale abbia influenzato l'adeguamento infrastrutturale attraverso la domanda di infrastrutture e, in secondo luogo, se e in che misura la relazione territoriale fra sviluppo economico locale e dotazione infrastrutturale sia modificata significativamente da interventi perequativi della spesa pubblica. 17 La prima parte dello studio si basa sul confronto fra tre variabili sintetiche ottenute a partire da un set di indicatori disponibili: 1. la domanda di infrastrutture, approssimata mediante indicatori di sviluppo economico territoriale. Le variabili utilizzate sono 18 successivamente raccolte in 7 indicatori sintetici il tra cui il reddito pro-capite, l’indice di industrializzazione, l’indice di terziarizzazione, l’indice di popolazione fluttuante, l’indice di densità produttiva, l’indice di offerta di credito, l’indice di tenore di vita. L'ipotesi sottostante è che - se le infrastrutture influenzano in modo rilevante il reddito potenziale - sussiste anche una relazione di tipo speculare: quanto più sono elevati i livelli di reddito, tanto più sono elevati i fabbisogni di infrastrutture; 2. L'offerta di infrastrutture viene approssimata mediante indicatori di capitale fisso sociale suddivisi sui seguenti settori: trasporti (a loro volta distinti in strade, ferrovie, porti, aeroporti) comunicazioni, energia, approvvigionamento idrico, istruzione, sanità servizi sociali. 3. la spesa per infrastrutture è misurata dai flussi cumulati di spesa per opere pubbliche rilevata dall’Istat. L'analisi, pur limitata ad un periodo temporale che va dal 1987 al 1992, permette di concludere che le politiche d'investimento pubblico in Italia non sono interpretabili né alla luce di un obiettivo perequativo né in vista di un obiettivo di efficienza. Ne seguono squilibri di natura territoriale che - pur dominati dal persistente dualismo fra Centro-Nord e Mezzogiorno - possono emergere sia nella forma di fenomeni di sovrainfrastrutturazione sia in quella di fenomeni di sottodotazione. In epoca recente la produzione scientifica italiana sull’argomento ha conosciuto una certa accelerazione, venendo stimolata dalla richiesta di analisi e di valutazioni per l’investimento infrastrutturale nell’Alta Velocità Ferroviaria (AV). Qui di seguito passiamo in rassegna i contributi più significativi. Guida (1995) analizza le interazioni tra l'introduzione delle linee ad alta velocità e il sistema economico. L'analisi condotta si articola su tre differenti (ma interconnessi) campi d'indagine: l’analisi della domanda di mobilità; l’impatto dell'AV sulla mobilità italiana; l’analisi degli effetti d'investimento nella fase di cantiere. 18 In relazione al primo aspetto la Guida offre una rassegna delle variabili che condizionano la domanda di mobilità, un quadro della situazione italiana, assieme ad alcune riflessioni sul modo in cui l'evoluzione delle singole variabili si riflette sulla mobilità generale ed analizza il modo in cui la crescita della domanda si indirizza verso ciascun modo di trasporto e quindi delle probabili conseguenze dell'entrata in servizio dei treni ad AV. L'analisi dell'impatto dell'AV sulla mobilità italiana, mostra che si possono avere effetti tanto sulla capacità di attrazione di nuova domanda quanto la maggiore disponibilità di tempo libero a parità di distanza percorsa. Per quantificare tali effetti occorre valutare i risparmi di tempo. A questo riguardo Guida misura i valori soglia dei tempi di percorrenza che permettano di suddividere l'utenza tra due modalità concorrenti. Esso è determinato solo dalle caratteristiche del trasporto, e non dalle preferenze individuali. In pratica vengono scelte alcune tratte relative alle due grandi direttrici dell'Alta Velocità, il valore del tempo viene calcolato per ciascuna di esse, sia prima che dopo l'introduzione dei treni AV; e così possibile vedere come si modifica il valore soglia a seguito di questo mutamento dal lato dell'offerta. Svolgendo un'analisi aggregata di tali valori soglia si ottengono conclusioni generalizzabili relativamente al maggiore o minore impatto dell'AV sulle diverse distanze percorse. Circa l'impatto sul sistema economico la Guida si sofferma sull’analisi della fase di realizzazione dell'investimento o di cantiere. L'impatto dell'investimento viene colto attraverso una analisi elementare di moltiplicatore tramite l’uso della tavola input-output per il 1988 a 44 branche, a prezzi "ex fabbrica". Nel lavoro di Gorla (1995) vengono analizzati in chiave teorica gli effetti attesi dell'alta velocità ferroviaria al fine di individuare le metodologie e le analisi empiriche sull'impatto economico territoriale dell'alta velocità con esclusivo riferimento alla scala nazionale. Per conseguire questo obiettivo vengono suggerite metodologie per la determinazione dei livelli di variazioni di accessibilità locale, sia sulla base delle diverse zonizzazioni effettuate dall'Ente FS sia su un criterio funzionale-territoriale: 1. regioni nodali direttamente servite; 2. regioni indirettamente servite (cioè, che possono avvalersi di un modo ferroviario AV localizzato in una regione contigua); 19 3. aree di attraversamento; 4. regioni tradizionalmente escluse o poco servite; 5. regioni di nuova esclusione. La seconda parte affronta il tema della specializzazione produttiva indotta dalla crescente integrazione dei mercati e dell'aumento dell'interdipendenza regionale. Ciò è possibile perché esiste un miglioramento dell'accessibilità delle varie aree direttamente ed indirettamente servite, dovuto non solo all'aumento della capacità del trasporto ferroviario ma anche ad una maggiore efficienza nel servizio che ha come effetto indiretto lo shift dalla strada alla ferrovia eliminando i costi di congestione. Ciò potrebbe provocare una diminuzione assoluta dei costi d'interazione promuovendo una specializzazione produttiva capace di influenzare l'organizzazione spaziale delle attività. La terza tratta infine del tema della delle competizione spaziale fra le regioni diverse e degli effetti redistributivi indotti da investimenti in infrastrutture. La relazione inoltre, muovendo dalle teorie dell'equilibrio spaziale, illustra gli effetti attesi di un miglioramento dei trasporti all'interno di un sistema regionale in assenza di mobilità dei fattori (cioè a mercati di beni che vengono prevalentemente acquistati da operatori, imprese e consumatori residenti nell'area di produzione) che nel caso in cui la mobilità dei fattori ci sia. Il lavoro di Lampugnani (1995) esamina le interazioni tra potenziale di sviluppo regionale e dotazioni infrastrutturali per un sistema di trasporto ad alta velocità. In particolare si esamina come il miglioramento delle infrastrutture di trasporto va a modificare la competitività della regione che ne è interessata. Nell’analisi empirica viene esaminata la variazione del grado di accessibilità associato alle differenti aree (regioni) individuato quale indicatore da cui discendono le più rilevanti cadute territoriali dell'Alta Velocità. In altri termini la valutazione dell'impatto territoriale legato all'investimento per l'Alta Velocità richiede innanzitutto la definizione di un'area di riferimento complessiva ed una sua ripartizione in zone funzionali su cui focalizzare l'attenzione. Circa il primo punto si può dire che l'area di riferimento è quella nazionale. Circa il secondo, invece, le zone funzionali devono essere il più possibili omogenee sia in termini di accessibilità che in termini dimensionali potendosi individuare in questa un indicatore significativo di capacità di generazione di 20 spostamenti. Il risultato complessivo di questo processo ha portato all'individuazione di 68 zone di influenza dell'investimento Alta Velocità. L'analisi si conclude con l'analisi dell'accessibilità per singoli modi di trasporto e con l'analisi dell'accessibilità con l'integrazione dei modi di trasporto (i tempi migliori). La conclusione a cui si arriva è che l'impatto legato all'AV è in stretta relazione con il grado di connessione che la linea AV ha con le ferrovie di carattere regionale. A questa caratteristica è infatti imputabile il fatto che l'introduzione dell'AV contribuisca a rendere più squilibrata la mappa dell'accessibilità ferroviaria, rafforzando le relazioni più forti e marginalizzando quelle meno rilevanti. L'analisi mostra, comunque che l'impatto dell'AV è modesto. Nello studio di NOMISMA (1993) viene esaminato, da un punto di vista esclusivamente teorico, l’impatto dell’Alta Velocità sulla mobilità per ragioni di lavoro. Nella prima parte vengono passati in rassegna alcuni contributi della letteratura economica e trasportistica. Nella seconda parte si prende in considerazione l'analisi della situazione attuale della mobilità per lavoro, in particolare la mobilità per affari e il pendolarismo, in Italia. Essa costituisce un presupposto indispensabile per comprendere le potenzialità di impatto di un nuovo servizio di trasporto come il Treno ad Alta Velocità. Lo studio di questa parte si basa sia su elementi acquisiti con una specifica indagine sul campo che su informazioni tratte da statistiche ufficiali ed alcune fonti secondarie. Infine, la terza ed ultima parte passa in rassegna le esperienze straniere di alta velocità ferroviaria (Giappone, Francia e Germania). I tre paesi si differenziano sull'alta velocità per la fase temporale del servizio. L'analisi mostra che a differenti realtà nazionali corrispondono differenti pratiche di mobilità e quindi anche le comparazioni devono essere fatte con cautela. Lo studio di TAV-Bocconi (1995) sviluppa una valutazione standard di moltiplicatore dell'impatto della spesa per la realizzazione della linea ferroviaria ad Alta Velocità Torino-Milano-Napoli sulla base della tavola input-output Istat del 1988 a 44 settori. L’analisi, estremamente dettagliata per ciò che concerne la disaggregazione settoriale, si limita peraltro agli effetti della spesa di cantiere. In particolare vengono analizzati: 1) l'ammontare degli investimenti e le tipologie d'investimento; 2) l'attivazione diretta che l'investimento provoca sugli altri settori (produzione lorda, valore aggiunto e lavoratori occupati); 3) gli effetti indotti dal circuito reddito-consumo 21 (attività commerciali, i pubblici esercizi, la locazione dei fabbricati); 4) il costo sociale dell'investimento e costo-opportunità; 5) la suddivisione territoriale dell'attivazione. 22 Bibliografia 1. Andersson, A.E., 1986, “Presidential address: The four logistical revolutions”, Papers of the Regional Science Association 59, pp. 1-12. 2. Andersson, A.E., C. Anderstig e B. Harsman, 1989, “Knowledge and communication infrastructure and regional economic change”, Working Paper della Università di Umea, Umea, Svezia. 3. Barbieri, G e M. 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TAV, 1995, “Stima degli effetti economici diretti e indiretti degli investimenti ferroviari ad alta velocità sulla tratta Torino-Milano-Napoli”, Università Bocconi, Milano. 25 PARTE I Capitolo 2. Impatti economico-territoriali delle infrastrutture di trasporto Daniele Fabbri, Dipartimento di Scienze Economiche, Università di Bologna 2.1. Introduzione L’accezione del termine "territorio" che qui vogliamo adottare è quella che lo scienziato sociale attribuisce sia alla componente fisica (il suolo, gli insediamenti, le infrastrutture) che alla componente relazionale (la società, l’economia, la cultura) di uno spazio localizzato. E’ rispetto a questo ambito che ci interessa esaminare in questo capitolo il ruolo che giocano le infrastrutture di trasporto nell’influire sullo sviluppo di un territorio. Vista la nostra vocazione disciplinare ci concentriamo qui solo sugli effetti rispetto ai quali la teoria economica può offrire significativi contributi di analisi e di comprensione. Lungi da noi considerare irrilevante l’impatto che il trasporto può avere sugli stili di vita delle persone, sulla percezione dello spazio o sui connotati socio-culturali di una comunità. Tuttavia queste analisi spettano ad altre discipline. L’approccio economico si colloca a metà strada fra quello seguito dai geografi e quello praticato dagli ingegneri. I geografi analizzano le infrastrutture di trasporto per spiegare l’intero novero delle attività umane che si sviluppano su una porzione di territorio. Gli ingegneri del traffico studiano i sistemi di trasporto per poterli pianificare, concentrandosi esclusivamente sulle relazioni direttamente rilevanti per l’analisi dell’uso delle infrastrutture. Gli economisti invece usano le infrastrutture di trasporto per spiegare meglio il funzionamento dei mercati in tutti quegli ambiti in cui il territorio e la distanza spaziale assumono rilevanza economica. Laddove l’approccio dei geografi è tendezialmente eclettico e induttivo, quello di ingegneri ed economisti è necessariamente parziale e tendenzialmente deduttivo, ovvero si rivolge ad un sottoinsieme delle relazioni in cui il trasporto si colloca opportunamente ristretto per evidenziare gli aspetti di interesse. I tentativi di creare una struttura concettuale più ampia, in cui cioè si integrino e si completino l’analisi dei mercati territorialmente rilevanti con quella dell’uso delle infrastrutture, rimangono assai limitati. 2.2. Effetti delle infrastrutture di trasporto sull'attività economica: il quadro teorico di riferimento In generale, il miglioramento delle infrastrutture di trasporto determina una riduzione dei costi d'interazione fra gli agenti economici localizzati in punti diversi dello spazio economico, ovvero agevola il superamento della barriera imposta dallo spazio al movimento di persone e cose e allo scambio di beni, servizi ed informazioni. Questi effetti diretti sugli agenti si ripercuotono peraltro sull’intero funzionamento dei mercati in cui ciascun agente scambia i beni e i servizi di cui è titolare. Di questi effetti ci interessa discutere nei prossimi paragrafi. L’ordine di presentazione degli effetti esaminati procede in senso crescente con le velocità di aggiustamento che essi impongono. Iniziamo quindi dagli impatti che hanno un tempo di aggiustamento più al veloce . 2.2.1. L’analisi di equilibrio parziale dello scambio nello spazio La figura 1 illustra il modello elementare del commercio interregionale. I due grafici illustrano nei punti E1 e E2 l’equilibrio del mercato di un certo bene che si raggiunge rispettivamente nella regione 1 e nella regione 2 quando le due regioni non commerciano fra loro o, in altri temini, sono in autarchia. La differenza nei prezzi interni fa sì che si sviluppi un vantaggio reciproco al commercio interregionale. Tuttavia tale scambio sarà possibile nella misura in cui il costo della sua effettuazione, rappresentato nella nostra analisi dal costo del trasporto, è inferiore alla differenza fra i prezzi p2-p1. Nel caso raffigurato il costo del trasporto, che è pari a c, permette alla regione 1 di esportare la quantità LM alla regione 2. Lo scambio che così si sviluppa beneficia entrambe le economie. l’analisi del surplus del consumatore e del produttore ci dicono che la regione 1 realizza un maggior surplus (che affluisce al produttore) pari all’area A e la regione 2 un maggior surplus (che affluisce al consumatore) pari all’area B. In generale il miglioramento delle infrastrutture di trasporto determina la riduzione dei costi di trasporto e quindi porta ad un incremento dei flussi di scambio fra le regioni. Il prezzo di equilibrio della regione 2 esportatrice aumenta, mentre quello della regione importatrice diminuisce. Pertanto il miglioramento dell’infrastruttura di trasporto fa stare meglio i produttori e peggio i consumatori nella regione esportatrice e viceversa nella regione importatrice. Figura 1: p p Regione 1 p2 M L B c A E1 O1 E2 p1 q O2 Regione 2 q D’altronde in un contesto multiregionale questo effetto di incremento degli scambi si accompagna in generale ad un processo di diversione dei flussi. Infatti se il costo di trasporto si riduce sensibilmente tra due regioni A e B allora può accadere che la regione B invece di importare da una terza regione C abbia convenienza ad importare da A. Per questo si dice che la costruzione e il miglioramento delle infrastrutture di trasporto produce oltre ad effetti di tipo “generativo” anche ingenti effetti di tipo “redistributivo”. 2.2.2. Il mercato del lavoro. La riduzione della deterrenza posta dallo spazio allarga evidentemente l’ampiezza territoriale dei mercati dei fattori produttivi cui le imprese e ogni attività economica attingono. Tra i fattori produttivi quello la cui analisi ci pare di maggior interesse in questa sede è certamente il lavoro. In un moderno mercato del lavoro gli aspetti rilevanti della relazione fra domanda e offerta spaziale di lavoro sono due: 1) il rapporto fra formazione dei "capitali umani" e loro distribuzione sul territorio, 2) il meccanismo di aggiustamento. 3 La produzione di “capitali umani” richiede due passaggi: la produzione di servizi formativi, educativi e didattici da parte di una struttura educativa (famiglia, scuola, università) e il loro impiego nel processo di creazione del capitale umano da parte degli studenti. In ogni processo produttivo, la difficoltà di reperimento degli input fa innalzare il costo di produzione. Ciò accade anche nella produzione di capitale umano. Poichè tutte le strutture formative sono tipicamente distribuite in modo discontinuo sul territorio la creazione di capitali umani impone costi di trasporto molto ben definibili. Questa osservazione porta con sè due conseguenze. A parità di altre condizioni, un'area locale spende meno nel dotarsi di un certo tipo di capitale umano quanto più è vicina ai centri che forniscono i servizi formativi necessari. Di conseguenza la distribuzione dei diversi capitali umani, dove la diversità deve leggersi soprattutto in termini qualitativi, segue una legge di tipo gravitazionale: i capitali umani presenti e disponibili in un'area saranno con maggior probabilità quelli "producibili" con i servizi formativi offerti nell'area medesima. L'analisi del funzionamento dei mercati del lavoro locali non ha ancora raggiunto un elevato grado di maturazione. Simpson (1992) ha recentemente sviluppato un utile modello descrittivo basato su due principi applicati tanto al lato della domanda che a quello dell'offerta: 1. il processo di "job search” è spazialmente sistematico a partire dal luogo di residenza di colui che lo effettua, ovvero l'opportunità di lavoro che viene esaminata per prima é quella che, coeteris paribus, impone i costi spaziali minori. Per costi spaziali si intendono due cose: i costi spaziali della ricerca e quelli del pendolarismo ed eventualmente di rilocalizzazione. 2. L’acquisizione di un capitale umano superiore amplia l’area di ricerca spaziale. Due lavoratori, in tutto simili ad eccezione del livello di abilità o di istruzione, che sono in cerca di occupazione avranno bacini di ricerca diversi: l'individuo più istruito effettuerà la sua ricerca su un'area più ampia. L'evidenza empirica suggerisce inoltre che quest'ultimo sarà maggiormente propenso ad utilizzare tecniche di ricerca più formali. Prendendo in esame il lato della domanda si possono sviluppare considerazioni analoghe. Posto che il salario competitivo non può assolvere completamente alla funzione di meccanismo allocativo, e visto che l'informazione é un bene scarso, le imprese devono 4 perseguire una strategia di reclutamento attiva. Inoltre vista l'eterogeneità dei lavoratori l'impresa deve saper selezionare i candidati aventi le capacità più appropriate al ruolo. Tipicamente le strategie di reclutamento seguono le medesime regole della job search prima tratteggiate. La ricerca avviene prima nelle aree territoriali limitrofe per estendersi solo successivamente ad ambiti più ampi; quanto più specifica é la capacità cercata tanto più ampio é il bacino di reclutamento sondato e maggiore é il ricorso a tecniche e canali di reclutamento formali. Ricomponendo domanda e offerta e distinguendo fra capacità generiche e capacità specifiche Simpson arriva a individuare alcune importanti relazioni fra distanza di reclutamento, distribuzione territoriale dei capitali umani e salario offerto. Un elevato rapporto fra domanda di lavoro e densità nella distribuzione territoriale delle capacità domadate fa allargare il bacino di reclutamento; la ricerca su area ampia può essere sostituita da una strategia di innalzamento dei salari offerti per le capacità più generiche. Infatti salari più alti riducono la distanza di reclutamento in quanto accrescono la probabilità di accettazione da parte del candidato. Questa possibilità di sostituzione non é più vera per il reclutamento di capacità specifiche. Infatti anche il candidato perseguirà strategie di job search meno incentrate sul salario e avrà un raggio di ricerca decisamente ampio. Il miglioramento delle infrastrutture di trasporto amplia evidentemente le distanze di reclutamento e quindi tende ad operare nel senso di neutralizzare il peso della distribuzione territoriale dei capitali umani. Ciò è vero in particolare per i capitali umani di tipo più scarso1. 2.2.3. Forme di mercato non concorrenziale e costi di trasporto. Le prescrizioni fornite dal modello elementare dello scambio interregionale sono tutte basate sull’assunto di perfetta concorrenzialità dei mercati. Tuttavia l’ipotesi di concorrenza perfetta non è in generale un’ipotesi debole. Occorre chiedersi quindi cosa accada quando l’abbassamento dei costi di trasporto interessi il funzionamento di un mercato che si allontana da quel modello ideale. Il monopolio spaziale. 1 Una interessante applicazione di tali considerazioni si può trovare in Marchetti (1993). 5 Iniziamo con il considerare il caso più estremo, quello in cui il mercato di un impresa è spazialmente separato da quello delle altre, ovvero ogni impresa operi come monopolista spaziale. Immaginiamo inoltre che il territorio sia rappresentabile come un segmento su cui sono distribuiti, in modo continuo, i consumatori. Al centro del segmento si posiziona il monopolista. Come è noto il monopolista fissa il prezzo (o la quantità prodotta) in modo da massimizzare il profitto. Nel caso del monopolio spaziale la domanda viene influenzata dalla distanza. Pertanto la fissazione del prezzo risente di tale aspetto. Tre sono le possibili strategie di tariffazione: 1. Mill pricing: si ha quando i consumatori raggiungono a proprie spese il luogo in cui il fornitore è localizzato e lì acquistano il bene ad un prezzo unitario costante ovvero che non varia al variare della localizzazione da cui provengono. Se t è il costo di trasporto per chilometro percorso e x indica la distanza del consumatore dal monopolista il mill price sarà quindi pM(x)=m+tx. 2. Uniform pricing: si ha quando l’impresa fornisce anche il servizio di trasporto al consumatore e questo paga sempre il medesimo prezzo, indipentemente dalla distanza. Quindi pU(x)=pU. 3. Discriminatory pricing: anche questa strategia di tariffazione si ha quando l’impresa fornisce anche il servizio di trasporto. Essa è tale per cui i prezzi praticati a ciascun consumatore, identificato in base alla sua distanza, vengono fissati in modo da massimizzare i profitti. Pertanto ad ogni distanza dal monopolista verrà praticato un prezzo diverso. La letteratura presenta molti risultati teorici interessanti riguardanti le proprietà economiche di queste strategie. Rimandiamo a tale riguardo ai testi di Beckmann e Thisse (1987) e Greenhut, Norman e Hung (1987). Qui ci preme riassumere solo i più significativi e generali. 1) Per un monopolista spaziale avente un’area di mercato prefissata mill e uniform pricing sono ugualmente profittevoli, mentre il discriminatory pricing è più profittevole. Rispetto all’efficienza sociale misurata dalla seguenti grandezze il mill pricing è migliore, il discriminatory intermedio, lo unifrom il peggiore: costo totale del trasporto, surplus del consumatore e surplus sociale, prezzo unitario del bene. 2) Nel caso di un monopolista spaziale che può scegliere la propria area di mercato si dimostra che l’area ottimale di mercato, l’output e il 6 profitto sono maggiori con una strategia discriminatory pricing rispetto alle corrispndenti grandezze nel caso di mill e uniform pricing. 3) L’impatto delle variazioni del costo unitario di trasporto sono molto importanti. Il risultato più robusto riguarda l’effetto sulla strategia di discriminatory pricing. Infatti al diminuire del costo unitario di trasporto il prezzo discriminatorio a ciascuna località si abbassa e corrispondentemente si innalza l’output prodotto, il surplus del consumatore e il profitto del monopolista. Nel caso delle strategie mill e uniform pricing l’effetto della riduzione del costo del trasporto sui prezzi praticati e sull’output offerto dipende dalla forma delle funzioni di domanda e dalla densità dei consumatori. Può anche accadere quindi che il prezzo aumenti al diminuire dei costi unitari di trasporto. Il duopolio spaziale Immaginiamo ora due imprese, che producono il medesimo bene, localizzate su due punti del mercato lineare prima descritto che competono per attrarre i consumatori distribuiti sul territorio. I consumatori valutano se acquistare il bene da uno o dall’altro dei produttori sulla base del costo netto che devono sostenere. Quindi le vendite di un produttore dipendono non solo dal prezzo che egli pratica ma anche da quello praticato dall’altro. Pertanto il mercato funzionerà come un gioco non cooperativo di fissazione del prezzo noto in letteratura come gioco di Hotelling. Anche in questo contesto i risultati teorici sono molto numerosi. d’Aspremont, Gabszewicz e Thisse (1979), ad esempio hanno dimostrato che affinchè si determini un equilibrio con mill pricing occorre che le imprese siano localizzate nel medesimo punto o siano molto distanti. Invece se esse sono localizzate vicine ma separate la competizione può portare ad una fluttuazione indefinita dei prezzi. Il duopolio spaziale in presenza di uniform pricing porta ad un esito di continua fluttuazione dei prezzi, analogo a quanto previsto dal modello classico di Bertrand. Nel caso di discriminatory pricing le imprese competono su ogni singolo mercato locale. In ogni punto del mercato ad eccezione del punto intermedio fra i due duopoloisti le imprese saranno in condizioni di costo asimmetriche. Infatti quella più vicina al consumatore avrà un vantaggio di costo rispetto all’altra. Per questo motivo l’impresa più lontana da una certa localizzazione x dovrà smettere di ridurre il prezzo di offerta su quel mercato (undercut) per sconfiggere il rivale quando esso supera il suo costo 7 marginale di un ammontare inferiore ai costi di trasporto del prodotto fino al punto x. Pertanto in equilibrio in ogni punto del mercato prevarrà un prezzo pari al costo marginale di produzione e di trasporto del duopolista più lontano. L’oligopolio spaziale. Qualora sul mercato spaziale operino una molteplicità di imprese la presenza di costi di trasporto fa sì che ciascuna di esse competa direttamente solo con le imprese nelle immediate vicinanze mentre competa con quelle più lontane solo indirettamente2. Per esaminare il funzionamento di questa forma di mercato Greenhut, Norman e Hung (1987) assumono che ciascuna impresa si comporti come un monopolista spaziale che formula una precisa ipotesi sull’impatto che le proprie azioni esercitano sulle reazioni del competitore più vicino. Due sono le ipotesi più ricorrenti. 1. congetture alla Losch: si hanno quando ciascun oligopolista ritiene che il proprio rivale reagirà in modo identico a ciascuna variazione di prezzo praticata. 2. congetture alla Hotelling: si hanno quando ciascun oligopolista ritiene che il proprio rivale non reagirà alla variazione di prezzo praticata. Nel caso di mill pricing si dimostra che con congetture alla Hotelling: 1) al tendere dei costi di trasporto a zero si realizza l’allocazione di concorrenza perfetta con il prezzo di ciascuna impresa che tende al costo marginale; 2) ogni aumento dei costi di trasporto si riflette in un aumento dei prezzi. Invece con congetture alla Losh: 1) al tendere dei costi di trasporto a zero si realizza un esito di monopolio; 2) l’aumento dei costi di trasporto fa calare i prezzi praticati. Nel caso di discriminatiry pricing occorre distinguere due situazioni: 1. tutte le imprese sono localizzate nel medesimo luogo, 2. n1 imprese sono localizzate in un luogo e n2 ad una distanza R da quello. Figura 2 2 Kaldor descriveva l’oligopolio come una catena di mercati interconnessi. 8 p A p B n 1<n 2 n 1=n 2 n 1>n 2 0 R r R 0 La Figura 2 rappresenta nella sezione A il profilo della tariffa discriminatoria, al netto dei costi di trasporto, nel caso 1, mentre nella parte B si indica come variano i profili al variare della numerosità delle imprese. 2.2.4. Infrastrutture di trasporto e scelte localizzative Finora abbiamo considerato l’impatto del miglioramento delle infrastrutture di trasporto su alcuni mercati considerando date le localizzazioni degli agenti economici. Tale ipotesi pare del tutto ragionevole nel breve periodo. Al contrario se si intende valutare l’impatto nei suoi effetti di lungo periodo occorre necessariamente abbandonarla ed esaminare i fattori che influenzano le scelte localizzative dei principali agenti economici: imprese e famiglie. La localizzazione industriale La teoria classica della localizzazione attribuisce alle infrastrutture di trasporto (e quindi ai relativi costi) un ruolo importante. Nel suo fondamentale contributo Weber3 assume che l’impresa sappia di dover soddisfare una domanda data e di produrre il bene con input i cui prezzi sono dati e la cui fornitura avviene in pochi punti del territorio. In queste circostanze scegliere l'ubicazione ottima significa risolvere un problema di ottimizzazione vincolata in cui il profitto massimo dipende dalla localizzazione dell'azienda ed, in definitiva, dalla minimizzazione dei costi di trasporto. La localizzazione ottima sarà un punto intermedio tra le fonti dei fattori di produzione e i mercati. Il grado di vicinanza all'uno o all'altro dipende dalle proporzioni in cui 3 Per una semplice trattazione si veda Lloyd e Dicken (1987). 9 vengono utilizzati i fattori di produzione, dai prezzi dei fattori e dal costo di trasporto. Il limite forse più rilevante dell’analisi di Weber è la mancata considerazione della competizione. Di fatto il modello weberiano è un modello di monopolio in cui ciascuna impresa considera la localizzazione dei concorrenti come un dato. Peraltro abbiamo visto discutendo delle strategie di prezzo che nello spazio le imprese sono portate, diremo naturalmente, ad interagire in modo strategico. Nella letteratura di teoria della localizzazione ciò ha portato a sviluppare approcci direttamente ispirati alle analisi di Hotelling e quindi alla considerazione delle interdipendenze localizzative. Il mercato dei suoli e la rendita urbana. Peraltro l’aspetto dell’interazione sul mercato del prodotto non è l’unico a rilevare nel processo di localizzazione. Infatti, soprattutto in ambito urbano, la scelta localizzativa avviene in condizioni di competizione per il consumo di uno spazio che è limitato4. Se immaginiamo la città come un agglomerato di beni pubblici locali collocati approssimativamente in un centro, allora in questo contesto lo spazio e la scelta localizzativa operano come un meccanismo di razionamento al consumo di quei beni. Infatti se esiste un centro che esercita attrazione in quanto sede del mercato del lavoro, delle occasioni di ricreazione e cultura, dei servizi, o più generalmente in quanto centro di interazione sociale, è chiaro che la domanda residenziale si indirizzerà verso quelle localizzazioni che consentono un più facile e rapido accesso a queste “esternalità”. La propensione verso localizzazioni centrali generarà quindi un eccesso di domanda per le aree centrali e quindi un incremento del valore della rendita di quelle aree, inteso come prezzo relativo delle aree centrali rispetto alle aree non centrali. In sostanza emerge un preciso trade-off per il singolo individuo fra prezzo del suolo e distanza, fra disutilità del costo crescente del terreno residenziale mano a mano che ci si avvicina al centro e il crescente vantaggio dell’accessibilità, misurato dalla riduzione del costo generalizzato di accesso al centro. La decisione del singolo individuo per massimizzare la propria utilità rispetto a questo trade-off si riflette su una variabile di aggiustamento che è data dalla 4 Si veda a questo riguardo il libro di Camagni (1992). 10 dimensione delle unità residenziali. Infatti dimensioni ridotte possono limitare il costo monetario delle alte rendite centrali. A parità di reddito speso nell’acquisto di servizi di trasporto e di servizi abitativi, la scelta della composizione della spesa si svilupperà in base alla forma della funzione di utilità del soggetto. Qualora l’accessibilità sia considerata un bene superiore5, poichè l’individuo più ricco privilegia quest’ultima, emergerà una struttura residenziale di equilibrio in cui i ricchi si collocano al centro pur consumando lotti residenziali piccoli e i poveri si localizzano nelle periferie. Invece nel caso in cui sia il consumo di servizi residenziali ad essere considerato di tipo superiore allora si svilupperà una allocazione di equilibrio in cui i ricchi “consumano” abitazioni molto grandi nelle aree periferiche e i poveri si localizzano nel centro. In questo contesto l’abbassamento dei costi di accesso al centro tende a ridurre il livello della rendita ad ogni localizzazione, ad allargare la dimensione dell’area abitata e ad accrescere l’utilità complessiva degli abitanti. D’altro canto se si considera l’impatto sul mercato dei suoli dovuto alla costruzione di una nuova infrastruttura di trasporto, poniamo ad esempio una nuova linea di metropolitana, sebbene determini nell’aggregato l’effetto appena descritto esso esercita effetti differenziati sul territorio urbano. Ovvero le aree nelle immediate vicinanze della nuova infrastruttura conosceranno un apprezzamento rispetto al valore iniziale che riflette l’effetto della domanda di accessibilità. 2.2.5. Analisi di equilibrio parziale e di equilibrio generale Le analisi che abbiamo finora proposto si riferiscono tutte ad effetti del miglioramento delle infrastrutture di trasporto aventi natura parziale, ovvero che interessano solo il funzionamento di uno specifico mercato, sia esso quello del prodotto, quello del suolo o quello del lavoro. Tuttavia gli effetti economici di un intervento infrastrutturale non si esauriscono tutti su di un solo mercato, ma si ripercuotono necessariamente in modo indiretto anche su altri mercati. Ciò può provocare effetti di ritorno o di feed-back molto significativi che non sono valutabili nell’ambito di una analisi parziale. 5 E’ bene ricordare che la teoria microeconomica ci assicura che qualora un consumatore possa consumare solo due beni allora tali beni non possono essere entrambi beni superiori. 11 Si immagini ad esempio che la riduzione dei costi di trasporto provochi una diversione dei flussi di scambio interregionali di un prodotto da una regione originariamente esportatrice (A) ad una seconda regione (B) che sviluppa a seguito dell’investimento in infrastrutture un vantaggio comparato nello scambio. Ciò può provocare effetti depressivi sul reddito della prima regione (A) e quindi ulteriori impatti dovuti alla riduzione della domanda proveniente da quella regione. Questi impatti possono ripercuotersi pesantemente sulle altre regioni soprattutto qualora la regione A sia molto grande e consumi una quota molto significativa dei beni esportati delle altre regioni. La valutazione degli effetti sugli altri mercati richiede quindi un approccio più generale che contempli simultaneamente l’analisi di tutti i mercati, della distribuzione del reddito e del processo di scelta dei consumatori. L’analisi deve cioè svilupparsi in quello che si chiama approccio di equilibrio economico generale. Nel caso delle analisi in contesto urbano non sembra possibile trascurare l’effetto sul mercato dei suoli e quindi l’analisi degli effetti sul processo di localizzazione residenziale. 2.3. I modelli per l’analisi economica dell’interazione trasportiterritorio In questa sezione presentiamo sinteticamente alcune fra le principali opzioni metodologiche sviluppate in letteratura per esaminare alcuni degli effetti economici delle infrastrutture di trasporto esaminati nel paragrafo precedente. La tipologia di problemi che esaminiamo è quella nota come problema distributivo. Come abbiamo visto la situzione tipicamente più esaminata nelle Scienze Regionali e nell’Economia dei Trasporti coinvolge un insieme di punti nel territorio, le località, ed un sistema di relazioni che si instaura fra di essi fatto di flussi di informazioni, di merci, di persone o di conoscenza6. Il problema distributivo consiste nell’individuare una matrice nonnegativa tij con i I=[1,2,...,I] e j J=[1,2,...,J], che soddisfi alcuni vincoli ed alcune condizioni. Immaginamo che le i siano zone di origine e le j zone di destinazione di un bacino territoriale di cui stiamo esaminando i flussi relativi ad un certo fenomeno. 6 Una ottima rassegna è quella curata da Batten e Boyce (1986). 12 Interpretiamo tij come il numero relativo di flussi fra la zona i di origine e la zona j di destinazione. I vincoli tipici che vengono imposti sono: t ij oi , i I ij di , j J j t i dove oi e dj cono costanti positive che rappresentano la quota di flussi che originano in i e quelli che terminano in j. In generale vi sarà un numero molto elevato di possibili matrici per ogni sistema di vincoli marginali, in quanto la matrice è costituita da IJ elementi mentre vi sono solo I+J vincoli. Pertanto la scelta fra le possibili matrici tij dovrà basarsi su qualche criterio aggiuntivo. La prassi è quella di calibrare un modello che spieghi nel modo migliore, sulla base dei valori noti di alcune variabili e sul principio aggiuntivo adottato, una matrice storica di flussi. Successivamente il modello della matrice viene sollecitato per valutare l’impatto che la modificazione di talune variabili esplicative esercita sui flussi futuri. 3.1. Il principio di gravitazione: i modelli di interazione spaziale. Questo principio, enunciato ed applicato nella sua forma più semplice alla situazione di nostro interesse recita che: l’interazione tra due aree i e j sarà direttamente proporzionale alle masse, opportunamente identificate, delle stesse e inversamente proporzionale ad una opportuna funzione della distanza fra le stesse7. Sulla scorta di questo principio la costruzione della matrice teorica di flussi tij viene fatta sfruttando le informazioni concernenti le “masse” e la deterrenza spaziale del fenomeno esaminato. Le masse sono di volta in volta identificate come i fattori socio-economici che spiegano la generazione o l’attrazione di una flusso rispettivamente dall’origine i o 7 L’esplicita derivazione teorica di tale principio inizialmente mutuato direttamente dalla legge di gravitazione di Newton ha costituito per molto tempo una fra le principali occupazioni degli scienziati regionali. Erlander e Stewart (1989) e Sen e Smith (1995) offrono le trattazioni più esaurienti della teoria dei modelli di interazione spaziale presentando tutte le possibili derivazioni da principi più generali come l’entropia, l’utilità individuale, il guadagno di informazione. 13 alla destinazione j e la deterrenza spaziale è tipicamente identificata con la distanza o qualche componente del costo di trasporto. L’applicazione di tale principio nelle scienze regionali è stata molto massiccia. Fotheringham e O’Kelley (1989) offrono un ampio saggio di queste applicazioni e delle notevoli potenzialità della modellistica di interazione spaziale. In particolare vengono presentate due categorie di applicazioni: applicazioni per l’analisi descrittiva e previsionale dei flussi (applicazioni ai flussi migratori cap. 5 e dei bacini di attrazione delle attività commerciali cap. 6 e 7) e applicazioni per la pianificazione e l’analisi normativa (modelli di localizzazione dei centri di erogazione di servizi cap. 8 e applicazioni per la definizione delle reti di trasporto complesse cap. 9). Nel primo caso l’obiettivo è quello di conoscere i fattori che generano il fenomeno di flusso e prevedere come la modificazione di tali variabili lo possa influenzare. Nel secondo caso il modello di interazione spaziale viene collocato nell’ambito di un modello di ottimizzazione la cui soluzione richiede la collocazione nello spazio o su una rete di centri attrattori e generatori di flussi la cui ripartizione sul territorio o sulla rete viene simulata appunto dal modello di interazione. 2.3.2. Il principio di equilibrio dei prezzi: i modelli SPE. Il principio dell’equilibrio spaziale dei prezzi o Spatial Price Equilibrium (SPE) è stato implicitamente già enunciato nel paragrafo 2.1. Con esso si stabilisce che i flussi di scambio di un certo bene fra un insieme di mercati locali si sviluppano per massimizzare il surplus complessivo dei produttori e dei consumatori al netto dei costi di trasporto sostenuti per effettuare i flussi. Nell’equilibrio finale che si realizza deve essere verificata la seguente condizione generale: il prezzo di domanda deve uguagliare il prezzo di offerta più i costi di trasporto per ogni coppia origine destinazione per la quale si manifesti un flusso di scambio positivo. Una chiara esposizione di questo approccio e di alcune sue applicazioni si può trovare in Takayama e Labys (1987). Le applicazioni di tale principio si concentrano tutte nell’ambito della modellazione dei flussi di merci fra regioni o, nei modelli più sofisticati, fra i nodi e sugli archi di una rete di trasporto. 14 2.3.3. Il principio di equilibrio multisettoriale multiregionale: i modelli I-O multiregionali. Il limite pricipale dei modelli di SPE è rappresentato essenzialmente dalla loro natura monoprodotto e dal fatto di non considerare la rilevanza delle relazioni di produzione e quindi tutto l’insieme di flussi di merci indotti dalla modificazione dei pattern di produzione e di scambio. Tale limite viene superato dall’analisi delle matrici delle interdipendenze settoriali multiregionali. Come è noto l’analisi delle interdipendenze settoriali, o analisi InputOutput, permette di studiare l’impatto che la variazione di una delle componenti della domanda finale, sia essa la domanda dei consumatori, la domanda di investimenti, la spesa pubblica o le esportazioni esercita sull’intero sistema economico, ovvero sui settori direttamente attivati e sui settori indirettamente attivati per fornire gli input necessari alla produzione dei primi. Tutte le analisi I-O sono basate sull’assunto di invarianza dei prezzi, ovvero si immagina che non sussistendo alcuna limitazione alla espansione delle produzioni e che quindi non si debba sviluppare alcun processo di razionamento della domanda nè di beni finali nè di input. Inoltre si assume che la descrizione degli scambi intersettorriali possa essere opportunamente fatta sulla scorta di una matrice di coefficienti di produzione costanti del tipo noto come alla Leontief che si ipotizzano costanti e invarianti sull’orizzonte di tempo considerato. Isard (1951) ha esteso l’analisi I-O tradizionale al contesto multiregionale immaginando che le matrici dei flussi di scambio intersettoriale potessero essere generalizzate distinguendo ciascun prodotto anche in base alla regione di appartenenza8. In particolare ogni coefficiente tecnico esprimerà la quantità di input i prodotto nella regione r che è necessario alla produzione dell’output j nella regione s. Evidentemente i modelli così costruiti possono permettere di fare simulazioni circa l’effetto di attivazione complessiva sulle produzioni e sugli scambi interregionali prodotti da variazioni esonìgene delle componenti domanda finale. Inoltre questi effetti possono essere incorporati in modelli di simulazione dei flussi su una rappresentazione di rete di trasporto. 8 Si veda anche il fondamentale contributo di Moses (1955). 15 2.3.4. Il principio di equilibrio economico generale: i modelli ICGE. Il limite fondamentale dell’analisi I-O, quello cioè di non essere sensibile alle variazioni di prezzo, rende questo tipo di approccio spesso poco utile per l’analisi dell’interazione fra sistema del trasporto e evoluzione dei flussi interregionali. Infatti la variazione dei costi di trasporto non può influenzare la distribuzione dei flussi e quindi il modello contempla un nesso causale univoco che va dal sistema economico a quello dei trasporti senza alcuna possibile retroazione. Al fine di esaminare l’impatto esercitato dagli investimenti nelle infrastrutture di trasporto occorre invece rendere il costo di trasporto endogeno al sistema ed estendere la sensibilità ai prezzi a tutti i settori economici esaminati nella matrice. Questa direzione di ricerca, che nasce dalla volontà di generalizzare i modelli I-O multiregionali9 porta naturalmente allo sviluppo di modelli di equilibrio economico generale calcolabili multiregionale (ICGE). Ricordiamo che questo approccio si sviluppa nell’ambito dell’analisi multiregionale sulla scorta di una precisa esigenza: migliorare le previsioni dei modelli di simulazione dei sistemi di trasporto delle merci. Infatti è stato osservato che con la modellistica tradizionale, anche quella più sofisticata, l’errore di previsione medio sui flussi si aggira intorno al 40%. L’approccio di equilibrio economico intende affrontare questo limite migliorando la descrizione del sistema economico che genera i flussi. I modelli di CGE si compongono di una descrizione dell’economia formulata sulla scorta di un modello di equilibrio economico generale multisettoriale10. Oltre ai settori produttivi nell’economia sono espressamente considerate anche le famiglie. Il comportamento di ciascun settore che compone l’economia viene descritto attraverso la finzione dell’agente rappresentativo. Ovvero si immagina che esso si comporti come un agente razionale che massimizza un preciso programma. Le famiglie vendono servizi lavorativi sul mercato del lavoro e spendono il reddito così percepito per l’acquisto di un paniere di beni 9 Si veda a questo preciso riguardo il modello sviluppato da Liew e Liew (1984). Inoltre si veda Buckley (1987). Roson (1993) offre una rassegna critica molto chiara sull’argomento. 10 Il contributo fondamentale in questa letteratura è quello di Leif Johansen (1960). 16 prodotti dai produttori. Questi ultimi competono sul mercato del lavoro e degli altri input per acquistare le risorse necessarie per produrre, al fine di realizzare un profitto, i beni richiesti dai consumatori. L’equilibrio sui mercati, dei beni finali e degli input viene raggiunto attraverso l’aggiustamento walrasiano dei prezzi, fino all’eliminazione di ogni eccesso netto di offerta su tutti i mercati. Naturalmente in un modello siffatto la domanda e l’offerta di prodotti finali sono interdipendenti a causa del circuito di distribuzione del reddito che determina il potere d’acquisto delle famiglie. L’aspetto dell’interazione spaziale può essere introdotto nei modelli CGE, così come si fa per i modelli I-O, attraverso la disaggregazione multiregionale e quindi nella esplicita considerazione delle importazioni e dell’esportazioni regionali di beni e servizio finali e intermedi. 2.4. I modelli di simulazione urbana. La modellistica di simulazione urbana si sviluppa negli Stati Uniti a partire dagli anni 50 e trova una rapida diffusione in Europa, Australia e in alcuni paesi dell’America Latina. Lo scopo principale di questi modelli è quello di fornire elementi informativi e previsionali utili alla pianificazione dei sistemi di trasporto. A tal fine questa modellistica sviluppa ed applica gran parte delle analisi teoriche e dei principi metodologici esaminati in questo articolo. In una efficace rassegna di tali modelli Alex Anas (1987) distingue gli approcci in quattro grandi famiglie: i modelli di simulazione della città monocentrica, i modelli non-economici, i modelli di programmazione matematica e i modelli econometrici. La prima categoria è di derivazione espressamente microeconomica. Essa infatti si fonda sui modelli di localizzazione urbana sviluppati nella tradizione di Alonso11. Le simulazioni numeriche vengono condotte in quell’ambito nei casi in cui il modello non permetta una soluzione esplicita. Il merito dei modelli monocentrici è rappresentato dal loro estremo rigore metodologico e teorico. Il principio ispiratore è quello dell’equilibrio economico generale applicato all’intero sistema economico della città. Le soluzioni si devono intendere quindi come autentiche soluzioni di equilibrio, ovvero come l’esito di un 11 Si veda a questo riguardo il libro di Camagni (1992). 17 comportamento ottimizzante di agenti razionali che interagiscono sui mercati dei suoli, quello dei trasporti e quello dei beni finali. L’aderenza alla realtà è peraltro molto contenuta e i risultati delle simulazioni mantengono un valore prettamente qualitativo ed indicativo. Il contenuto empirico delle altre famiglie di modelli è invece molto pronunciato. I modelli non-economici possiedono le seguenti caratteristiche: 1) sono sviluppati in modo autonomo rispetto alla teoria economica; 2) non solo ma anche i nessi con principi metodologici diversi da quelli tipicamente economici è assai tenue; 3) sono finalizzati all’implementazione a larga scala, ovvero con descrizioni estremamente dettagliate e complesse del funzionamento della città; 4) sono finalizzati alla pianificazione urbana. In questa tradizione Anas inserisce il modello di Urban Dynamics di Forrester, il modello Empiric di Hill, il modello di Lowry e la sua successiva rielaborazione sulla base del principio di interazione spaziale da parte di Wilson, nonchè tutte le derivazioni di questi approcci originari12. La famiglia dei modelli di programmazione matematica contiene le estensioni della modellistica di città monocentrica verso rappresentazioni complesse di problemi di ottimizzazione. Tra questi i più celebri sono quelli dell’equilibrio di rete come il modello di Beckmann, McGuire e Winsten o della allocazione ottimale della popolazione su un sistema di localizzazioni finito come il modello di Herbert e Stevens successivamante esteso da Mills. Peraltro la famiglia più ampia, quella che rappresenta l’ultima generazione dei modelli di simulazione urbana è certamente la famiglia dei modelli econometrici. Una rassegna assai dettegliata di questi modelli focalizzata sulle più recenti e vitali esperienze di costruzione ed utilizzo di questi modelli è fornita da Wegener (1994).13 Questi modelli sono fortemente orientati alla teoria economica. I mercati urbani, in particolare quello della casa e quello del trasporto, vengono simulati ed integrati in un modello di equilibrio 12 Una descrizione dettagliata di questi modelli, oltre che in Anas (1987), può essere trovata in Camagni (1992). 13 Tra le esperienze modellistiche più vitali occorre segnalare il diffuso utilizzo in Europa - in particolare in Italia, Inghilterra e Spagna - del modello MEPLAN sviluppato da Echenique, e negli Stati Uniti - in circa una quarantina di aree metropolitane - del modello ITLUP sviluppato da Putnam. 18 unitario basato su una teoria del funzionamento dei mercati microfondata ovvero sostenuta da una teoria del comportamento razionale degli operatori. Tipicamente tutte, o pressochè tutte, le relazioni economiche e comportamentali contenute in questi modelli vengono stimate sulla scorta di dati rilevati e secondo tecniche econometriche tradizionali. 2.5. Gli studi italiani sull'interazione tra trasporti e territorio I contributi degli studiosi italiani in questo ambito sono assai numerosi e di notevole qualità. Nel breve spazio di questa sezione non è quindi possibile sviluppare una rassegna di tutti questi contributi che abbia l’ambizione di essere esaustiva e completa. Ci pare utile comunque fornire una articolazione per grandi temi ed ambiti di ricerca limitando il contenuto della rassegna a poche indicazioni bibliografiche, quelle a nostro avviso più significative o più generali, riservandoci, in via esemplificativa, di descrivere dettagliatamente solo alcuni contributi. 2.5.1. L’analisi delle interazioni trasporto-territorio nell’approccio dei modelli di interazione spaziale. L’approccio di analisi delle interazioni trasporto-territorio basato sulla modellistica di interazione spaziale è quello più ricorrente negli studi italiani. Reggiani (1985) e Camiz e Stefani (1994) offrono una buona panoromica sulle applicazioni di tali approcci ai casi studio italiani Nel contributo di Lo Cascio, Trettel e Virdis (1994) viene proposta una metodologia d'analisi, basata sui modelli di interazione spaziale, per la valutazione dell'impatto di una infrastruttura di trasporto sulla rilocalizzazione dei servizi alle famiglie e alle imprese. Lo studio si propone di affiancare alla tradizionale analisi costi-benefici una valutazione d'impatto territoriale che comprenda gli usi alternativi del tempo risparmiato da parte degli utenti del servizio ferroviario, l'incremento dei flussi turistici per brevi vacanze e la riduzione dei costi di trasporto delle merci per le imprese; tra gli aspetti di tipo territoriale, le differenti scelte residenziali delle famiglie e le differenti scelte localizzative delle imprese. Questi elementi costituiscono la bvase su cui effettuare la valutazione di diverse ipotesi tecniche di ammodernamento della linea ferroviaria Torino-Milano-Venezia. Per ottenere una stima degli effetti di redistribuzione della attività economiche, indotti sul territorio dalla velocizzazione del sistema 19 ferroviario oggetto di studio, gli autori ricorrono all'applicazione successiva di due modelli d'interazione spaziale: (1) uno per la stima della distibuzione interzonale dei flussi di domanda di attività, nelle condizioni attuali; (2) l'altro per la stima delle modifiche della medesima distribuzione territoriale, indotte dalla variazione delle condizioni di accessibilità di ciascuna zona, in seguito al potenziamento della linea ferroviaria Torino-Venezia. L’analisi si concentra sulle tipologie di servizi rari o di alto profilo, non uniformemente presenti sul territorio, e che costituiscono il settore più suscettibile di subire effetti di rilocalizzazione a seguito di un miglioramento nelle condizioni di spostamento. Dallo studio emerge come i diversi progetti di miglioramento della rete ferroviaria abbia effetti di natura differente sulla localizzazione e la distribuzione territoriale di tali servizi. 2.5.2. I modelli di location-allocation. In questo ambito i contributi metodologici forniti da Giorgio Leonardi sono certamente di altissimo profilo. Si vedano quindi Leonardi e Johansson (1987) e Leonardi (1983). I modelli di location-allocation intendono risolvere un problema di ottima localizzazione di punti di fornitura di servizi visitati dagli utenti che ne fanno un conusmo coerente con un certo programma di ottimizzazione individuale delle risorse. Il contributo fondamentale di Leonardi (1983) è quello di impostare questi problemi dal contenuto prettamente ingegneristico in una logica di natura comportamentale. Il ricorso ai modelli di utilità casuale, discussi in altre parti di questo lavoro, permette di fare questo. In quel contesto l’analisi dell’accessibilità assume un significato economico preciso in quanto appunto saldamente fondato in una caratterizzazione razionale del comportamento dei soggetti. 2.5.3. L’analisi delle interazioni trasporto-territorio nell’approccio dei modelli I-O. L’analisi delle interazioni fra sistema economico e sistema dei trasporti nell’approccio input-output rappresenta un altro terreno di diffusa applicazione degli studiosi italiani. I riferimenti più rilevanti in questo ambito sono i lavori di Campisi e La Bella (1987), Costa (1987a), Costa e Roson (1988), e Campisi, Danielis, La Bella e Schacther (1991). 20 Campisi, Danielis, La Bella e Schachter (1991) elaborano un modello di valutazione degli interventi nelle infrastrutture di trasporto da parte di un pianificatore. L'originalità dell'approccio consiste nell'uso di una funzione obiettivo che permette la trattazione del problema della valutazione in termini di ottimizzazione matematica vincolata. La funzione obiettivo utilizzata è rappresentata da una combinazione di due obiettivi, la riduzione dei costi di trasporto e l’incremento del prodotto regionale. I vincoli sono dati dalla struttura dei costi interregionali di trasporto, dai vincoli di capacità industriale e dalle interdipendenze settoriali e interregionali rappresentate attraverso un modello I-O multiregionale. Il modello consente di predire sia il flusso di commercio ottimale interregionale sia l'allocazione e l'ammontare ottimale dell'investimento infrastrutturale. Il modello viene applicato all’analisi di un sistema economico a due regioni (Friuli-Venezia Giulia e Resto di Italia) e 13 settori. I risultati ottenuti sono in linea con quanto abbiamo descritto nel primo paragrafo a proposito delle aree di mercato e del mercato del lavoro. Infatti, un miglioramento delle infrastrutture di trasporto, provocando un aumento del commercio interregionale, esercita effetti positivi sia sul valore aggiunto della produzione sia sul mercato del lavoro. In particolare viene identificato il pattern di scambio nella soluzione ottimale e vengono definiti i vantaggi comparati ottimali di localizzazione industriale. Si dimostra che nel punto di ottimo il Friuli Venezia Giulia presenta un vantaggio rispetto al resto di Italia nei settori metallurgico, meccanico e del mobilio. Nel suo contributo, Costa (1987b) afferma che per cogliere appieno tutte le interrelazioni che legano l'attività di trasporto e resto dell'economia non ci si può accontentare di una applicazione standard di tale approccio, ma è necessario una modifica sia della struttura del modello sia della sua base statistica. Egli, infatti, individua alcune insufficienze nelle convenzioni contabili e nelle metodologie comunitarie di costruzione dei conti che portano a sottovalutare i fenomeni di autoproduzione, come la produzione di servizi di trasporto in conto proprio, e di autoconsumo, come ad esempio, l'acquisto e l'esercizio di autovetture private. In queste condizioni l'attività di trasporto colta dalle analisi I-O risulta sottostimata. Costa (1987b) propone alcune integrazioni da apportare al sistema contabile nazionale per renderlo capace di rappresentare 21 esaurientemente il trasporto sia come fenomeno produttivo sia come fonte di investimenti. In particolare: (a) considerazione delle attività di tasporto esercitate in conto proprio dai settori non di trasporto; (b) la difficoltà di misura e di imputazione dei costi di uso delle infrastrutture; (c) la considerazione dell'acquisto e dell'uso degli automezzi privati come pura attività di consumo; (d) una disaggregazione settoriale poco spinta; (e) il problema dell'attribuzione dei margini di trasporto alle varie branche dell'industria dei trasporti. Infine egli presenta la metodologia seguita nella costruzione di una tavola economica intersettoriale italiana per il 1978 trattata, rispetto alle tavole per lo stesso anno prodotte dall'ISTAT, in modo da ovviare ad alcune delle insufficienze segnalate. Ma questo risultato potrebbe essere utilizzato per rendere più manifesti gli effetti dei trasporti sull'attività di produzione ed in particolare evidenziare quali settori oggi sono più interessati dall'evoluzione del settore dei trasporti. Ciò, in altri termini, avrebbe lo scopo di studiare in maniera più corretta, in primo luogo, le interazioni tra trasporti ed ubicazione industriale ed, in secondo luogo, gli effetti che una diversa allocazione comporta sulla mobilità dei lavoratori, sulla rendita del suolo urbano, ecc. In definitiva, una più corretta comprensione delle interazioni tra settore dei trasporti e gli altri settori della realtà economica di un Paese può aiutare a capire meglio in che i modo i trasporti influenzano lo sviluppo territoriale di una determinata società. 2.5.4. L’analisi delle interazioni trasporto-territorio nell’approccio dei modelli ICGE. L’approccio dei modelli ICGE è stato sviluppato in alcuni interessanti contributi da Roson (1991), Costa e Roson (1992) e Roson e Vianelli (1993). Roson (1993) offre invece una utile rassegna critica di questa modellistica approfondendo sia da un punto di vista teorico che da un punto di vista empirico il problema dell'integrazione tra i modelli economici di competizione spaziale e i modelli di rete di trasporto merci. Da un punto di vista teorico, un modello integrato di trasportoterritorio dovrebbe combinare le ipotesi e le caratteristiche di differenti tipologie di modelli quali, da una parte, i modelli input-output multiregionali e i modelli di equilibrio generale spaziale, e i modelli di equilibrio spaziale dei prezzi e i modelli di equilibrio di rete, dall'altra. 22 L'applicabilità di un modello integrato richiede, comunque, la soluzione di un certo numero di problemi statistici e computazionali che non sono immediatamente evidenti quando invece si studia l'aspetto teorico del modello. Tra i primi vengono segnalati: (1) livelli di aggregazione, tra i quali la diversa scala temporale tra le tavole I-O e i flussi di traffico presenti nei modelli di rete; (2) la diversa scala geografica nel senso che i grafici che esprimono le reti di trasporto possono essere molto dettagliati a differenza delle tavole mltiregionali I-O che sono di solito meno aggregati; (3) la scala industriale, cioè mentre la tavola I-O italiana conta 92 industrie i dati sui flussi di traffico possono considerare tanto la singola azienda quanto, nel caso contrario, possono non effettuare alcuna distinzione nella composizione settoriale dei flussi. Tra i secondi, invece, vengono evidenziati: (1) la stima dei parametri, ovvero, la scelta della forma funzionale nei modelli spaziali di equilibrio generale. Ciò deriva dal fatto che non è possibile evidenziare precisamente, nei modelli applicati, tutte le tecnologie disponibili e le prfernze individuali. In questo caso, quindi, il comportamento individuale è descritto da funzioni di produzione e di utilità che richiedono un'attenta stima; (2) la soluzione degli algoritmi dei modelli di equilibrio generale computazionale (EGC). Il contrasto tra i fondamenti teorici di un modello di equilibrio integrato e le difficoltà legate alle sua applicabilità sul piano concreto suggeriscono di ricercare un punto d'incontro tra dati disponibili e teoria sebbene al prezzo di qualche inevitabile approssimazione. Conseguentemente, la definizione di una strategia ottimale per questo compito è diventato un obiettivo primario nei progetti di ricerca sviluppati di recente. La realizzazione di tali modelli integrati contribuirà ad una più dettagliata comprensione tra il sistema dei trasporti e i sistemi economici, non solo attraverso il miglioramento della attendibiltà dei modelli a rete, ma anche attraverso la contribuzione di utili intuizioni per serie politiche di sviluppo regionale. 23 2.5.5. L'interazione trasporti-territorio nei modelli dinamici di simulazione urbana. L’analisi dell’interazione tra trasporti e territorio nell’ambito dei modelli di simulazione urbana dinamica ha costituito oggetto di interesse da parte di molti studiosi italiani. Occorre certamente menzionare a questo proposito le rassegne teoriche di Rabino (1985, 1987), l’applicazione del modello di Lowry all’area metropolitana di Venezia fatta da Costa, Foot e Piasentin (1987), l’applicazione del modello di Harris e Wilson all’area metropolitana di Roma fatta da Lombardo e Rabino (1984) e Lombardo (1985). Inoltre i due volumi di Bertuglia, Leonardi, Occelli, Rabino, Tadei e Wilson (1987) e Bertuglia, Leonardi e Wilson (1990) presentano una ampia casistica di applicazioni, tra cui quella del modello applicato alla simulazione dell’area metropolitana di Torino. 24 Bibliografia 1. Batten, D. e D. Boyce, 1986, “Spatial interaction, transportation and interregional commodity flow models”, in P. Nijkamp, a cura di, Handobook of Regional and Urban Economics, Volume I, Nort-Holland, Amsterdam. 2. Beckmann, M. e J.J. Thisse, 1987, “The location of production activities”, in P. Nijkamp, a cura di, Handbook of Regional and Urban Economics, Volume I, North-Holland, Amsterdam. 3. Bertuglia, C., G. Leonardi e A.G. Wilson, 1990, a cura di, Urban Dynamics: Designing an Integrated Model, Routledge, Londra. 4. Bertuglia, C., G. Leonardi, S. Occelli, G. Rabino, R. Tadei e A.G. Wilson, 1987, a cura di, Urban Systems: Contemporary Approaches to Modelling, Croom Helm, Londra. 5. Buckley, P., 1987, “A transportation-oriented interregional computable general equilibrium model of the United States”, Annals of Regional Science 26. 6. Camagni, R., 1992, Economia Urbana, La Nuova Italia Scientifica, Roma. 7. Camiz, S. e S. Stefani, a cura di, 1994, Metodi di Analisi e Modelli di Localizzazione dei Servizi Urbani, Franco Angeli, Milano 8. Campisi, D. e A. La Bella, 1987, “An input-output based approach to the short term evaluation of transportation plans”, Applied Mathematical Modelling, 11, pp. 127-132. 9. Campisi, D., Danielis, R., La Bella, A., e Schachter, G., 1991, "An Empirical Study of Interregional Transportation Plans", in International Journal of Transport Economics, vol. XVIII, pp.31-46. 10. Costa, P. e R. Roson, 1988, “Transportation margins, transportation induztry and the multiregional economy: soime experiments with a model for Italy”, Ricerche Economiche 17, pp. 273-287. 11. Costa, P. e R. Roson, 1992, “Costi di trasporto e distribuzione multiregionale della produzione in Italia”, in P. Costa, a cura di, Settori e Regioni nell’Economia Italiana Verso il 2000, Franco Angeli, Milano. 12. Costa, P., 1987a, “Using Input-Output to forecast freight transport demand”, in Bianco, L. e A. La Bella, a cura di, Freight Transport Planning and Logistics, Springer e Verlag, Berlino. 13. Costa, P., 1987b, “Una tavola input-output per l’analisi del sistema dei trasporti italiani”, in Bianco, L. e La Bella A., a cura di, La Pianificazione dei Sistemi di Trasporto. Obiettivi, Modelli e Strumenti, Franco Angeli, Milano. 25 14. Costa, P., D.H. Foot e U. Piasentin, 1987, “La struttura urbana di Venezia e del suo entroterra: un’applicazione del modello GarinLowry”, in Ricerche Economiche, pp. 416-458. 15. d’Aspremont, C. J., J.J. Gabszewit e J.F. Thisse, 1979, “On Hotelling’s stability in competition”, Econometrica, pp. 1145-1150. 16. Erlander, S. e N.F. Stewart, 1990, The Gravity Model in Transportation Analysis, VSP, Utrecht. 17. Fotheringham A.S. e M.E. O’Kelley, 1989, Spatial Interaction Models: Formulations and Applications, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht. 18. Greenhut, M., G. Norman, C.S. Hung 1987, The economics of imperfect competition: a spatial approach, Cambridge University Press, Cambrige. 19. Isard, W., 1951, “Interregional and regional input-output analysis: a model of a space-economy”, Review of Economics and Statistics 33, pp. 318-328. 20. Johansen, L., 1960, A multisectoral Study of Economic Growth, NorthHolland, Amsterdam. 21. Leonardi, G. e B. Johansson, 1986, “Public facility location: a multiregional and multi-authority decision context“, in P. Nijkamp, a cura di, Handobook of Regional and Urban Economics, Volume I, NortHolland, Amsterdam. 22. Leonardi, G., 1983, “The use of random-utility theory in building location-allocation models”, in J. Thisse e H. Zoller, a cura di, Spatial Analysis of Public Facilities, North-Holland, Amsterdam. 23. Liew, C.K. e C.J. Liew, 1984, “Multi-modal, Multi-output, Multiregional Variable Input-Output Model”, Regional Science and Urban Economics 14, pp. 265-281. 24. Lloyd, P.E. e P. Dicken, 1987, Spazio e Localizzazione, Franco Angeli, Milano. 25. Lo Cascio, M., A. Trettel e R. Virdis, 1994, “Modelli di interazione spaziale: valutazione d’impatto sulla localizzazione dei servizi”, in Camiz, S. e S. Stefani, Metodi di Analisi e Modelli di Localizzazione dei Servizi Urbani, Franco Angeli, Milano 26. Lombardo, S, e G. Rabino, 1984, “Nonlinear dynamic models for spatial interaction: the results of some empirical experiments”, Papers of The Regional Science Association 55, pp. 83-101. 27. Lombardo, S., 1985, “Modelli dinamici del sistema integrato territorio e trasporti: i risultati di alcune sperimentazioni”, in A. Reggiani, a cura di, Territorio e Trasporti, Franco Angeli, Milano. 26 28. Marchetti, C., 1993, Introducing TGV Train in Europe. Elements of Systems Analysis, IIASA Working Paper WP-93-29, Laxenburg. 29. Moses, 1955, “The stability of interregional trading pattern and inputoutput analysis”, American Economic Review 45, pp. 803-832. 30. Rabino, G., 1985, “Modelli dinamici del sistema integrato territorio e trasporti: la modellistica ed i suoi fondamenti”, in A. Reggiani, a cura di, Territorio e Trasporti, Franco Angeli, Milano. 31. Rabino, G., A., 1987. "Modelli Integrati di Localizzazione e Trasporto" in Bianco, L. e La Bella A., a cura di, La Pianificazione dei Sistemi di Trasporto. Obiettivi, Modelli e Strumenti, Franco Angeli, Milano. 32. Reggiani, A., a cura di, 1985, Territorio e Trasporti, Franco Angeli, Milano. 33. Roson, R. e P. Vianelli, 1993, “Developing a multiregional network CGE model for freight transport analysis”, paper presentato al Workshop on transportation and Spatial CGE Models, Venezia, 18-20 maggio 1993. 34. Roson, R., 1991, “The adjustment of Interregional Input-Output coefficients under heterogeneus price sensitivity”, The Annals of Regional Science, 25, pp. 101-114. 35. Roson, R., 1993, "Computable Spatial Economic Equilibria and Freight Network Modelling", in International Journal of Transport Economics, vol. XVIII, pp. 51-66. 36. Sen, A. e T.E. Smith, 1995, Gravity Models of Spatial Interaction Behavior, Spinger, Berlino. 37. Simpson, W., 1992, Urban Structure and the Labour Market, Clarendon Press, Oxford. 38. Takayama, T. e W.C. Labys, 1986, “Spatial Equilibrium Analysis”, in P. Nijkamp, a cura di, Handbook of Regional and Urban Economics, Volume I, North-Holland, Amsterdam. 39. Tira, M., 1994, “Il progetto alta velocità ferroviaria nella Lombardia orientale: alcuni elementi per la valutazione dell’impatto territoriale della tratta Milano-Verona”, in Atti della XV Conferenza AISRe, Matera, 3-5 Ottobre. 40. Wegener, M., 1994, “Operational urban models: state of the art”, Journal of the American Planning Association 60, pp. 17-29. 27 CAPITOLO 3. I COSTI ESTERNI DEL TRASPORTO Sergio De Lazzari, Ferrovie dello Stato 3.1. Definizione e sistematizzazione teorica 3.1.1. Definizione e origine del concetto di economie esterne La trattazione dei costi ambientali e degli altri costi esterni (d'ora in avanti esternalità) deve necessariamente definire un confine, rispetto al quale alcuni costi sono, appunto, interni ed altri sono esterni. Questo confine è stato individuato dalla teoria economica come coincidente con i confini dell'impresa (nel caso della produzione) o dell'attività individuale (nel caso del consumo). In generale, quindi, possiamo definire le esternalità come l'influenza che l'attività economica di un soggetto esercita sulla produzione o il benessere di un'altra persona o di un'impresa in modo positivo (economie esterne) o negativo (diseconomie esterne). Tale definizione, tuttavia, comprende una classe di fenomeni molto vasta ed in effetti quasi tutte le attività a contenuto economico producono degli effetti sulla produzione o sul benessere di un altro soggetto. Se si introduce la specificazione che le influenze avvengano al di fuori delle transazioni di mercato, il concetto di esternalità comincia ad avere un connotato più chiaro, perché le connette con la possibilità di misurarle. Il problema non è infatti tanto nel fatto che ci siano esternalità, quanto nel fatto che esse non rientrino nel meccanismo di formazione dei prezzi delle transazioni tra i soggetti all’interno del mercato1. Essendo il mercato istituzione fondamentale dei sistemi economici, non devono sorprendere né le difficoltà concettuali a definire le esternalità, né tantomeno quelle di una loro misurazione quantitativa. L'assenza di transazioni di mercato che forniscano, attraverso lo scambio e la formazione di prezzi, una valutazione economica delle esternalità che sia condivisa dai soggetti economici, provoca una distribuzione inefficiente di questa classe di effetti esterni. In altre parole poiché, in genere, non esistono i mercati degli effetti esterni (p. es. la possibilità di scambiare diritti di inquinamento) nei costi di produzione dei soggetti economici non compaiono le economie o le diseconomie esterne generate da una determinata attività economica. Il livello di produzione (o di consumo) che deriva dalla struttura dei costi (se si tratta di attività di produzione) o delle utilità (se si tratta di consumi) è efficiente per i singoli soggetti ma inefficiente per la collettività. Ci si distanzia dalla situazione di efficienza paretiana 2 , o meglio, esiste una differenza tra benessere collettivo e benessere 1 Non è questa la sede per affrontare le ragioni di questa assenza. Basterà la constatazione che l’assenza di un soggetto “forte” , che sia portatore di un interesse alla valorizzazione di una determinata risorsa, è, probabilmente, sufficiente a far si che di questa si faccia un uso “libero” all’interno del meccanismo di produzione e di scambio. 2 L’efficienza paretiana si verifica quando una determinata allocazione delle risorse è tale da non rendere possibile un aumento dell’utilità di un individuo senza diminuire quella di qualcun’altro. Ciò avviene per un dato livello di risorse produttive (lavoro, capitale, risorse naturali), di tecnologia e di preferenza dei consumatori. individuale. In questo caso siamo in presenza di una situazione di fallimento del mercato, che è appunto una delle ragioni che sono all'origine dell'intervento dello stato nell'economia. In presenza di effetti esterni, infatti, la situazione produttiva o distributiva può essere inefficiente e possono, quindi, essere necessari interventi da parte dello stato per redistribuire costi e benefici esterni di determinate attività, attraverso interventi di indennizzo o di tassazione. L’evoluzione successiva della ricerca economica ha dimostrato (Coase, 1960 e 1988) che in presenza di esternalità l'intervento pubblico (tassazione o sussidio) non è obbligatorio, se è possibile definire precisamente, e quindi scambiare, i diritti di proprietà3. Il mercato può, sotto le normali condizioni da soddisfare per l'esistenza della concorrenza e in condizioni di scambiabilità dei diritti di proprietà, internalizzare gli effetti esterni. L'attribuzione di diritti di proprietà collegati al manifestarsi di esternalità consentirebbe la possibilità di scambiarli a determinati prezzi e di rientrare all'interno di una logica di mercato e di raggiungere, nuovamente, situazioni di allocazione ottimale delle risorse. Entro questa logica, l'attribuzione del diritto di proprietà di una foresta consentirebbe di contabilizzarne il valore in termini di uso del legname o, ad esempio, di "inquinabilità", considerando per quest'ultima una sorta di indennizzo al proprietario. Una simile operazione non è possibile per tutte le risorse e i beni oggetto di effetti esterni negativi e comunque comporta una qualche forma di limitazione nella disponibilità o nell’utilizzo da parte dell’intera collettività, rappresentata proprio dai diritti di proprietà assegnati a determinati soggetti. Inoltre, tale attribuzione può originare conflitti tra i detentori dei diritti così attribuiti e la restante parte della collettività. L’alternativa a questa soluzione rimane l’intervento pubblico, considerato come strumento di tutela degli interessi collettivi. Tuttavia, anche su questo fronte, la letteratura (e l’esperienza vastissima delle più svariate politiche pubbliche) segnala l’esistenza dei “fallimenti dello stato”, accanto a quelli del mercato. Ciò significa che l’intervento pubblico (incentivi economici, regolamentazione) deve essere valutato attentamente per evitare di provocare un utilizzo delle risorse altrettanto inefficiente. Dal punto di vista dello sviluppo teorico del concetto di economie esterne possiamo evidenziare i seguenti passi: Sidgwick è il primo a rendersi conto degli effetti esterni (1883); Marshall (1890) effettua una prima sistematizzazione, distinguendo tra economie interne ed economie esterne; C. A. Pigou (Economia del benessere) operando la distinzione tra prodotto netto marginale privato e sociale, apre la strada alla fondazione dell'intervento redistributivo pubblico, attraverso sussidi e tassazione; J. Viner (Curve di costo e curve di offerta, 1923) dove c'è una classificazione tra esternalità pecuniarie (variazioni dei prezzi dei beni e dei fattori derivanti Ad una allocazione ottima in senso paretiano corrisponde l’equilibrio di concorrenza perfetta. In altri termini, nei casi in cui il mercato si dimostra la “migliore” istituzione economica, la distribuzione delle risorse più efficiente si ottiene in condizioni di concorrenza perfetta. 3 Sul concetto di diritti di proprietà si vedano, ad esempio, Nuti, 1987 e Shotter, 1995. 1 dall'aggiustamento di mercati competitivi) ed esternalità tecnologiche. Le prime non necessitano di interventi statali per mantenere l'ottimo paretiano, le seconde si. Un'ulteriore classificazione (relevant/unrelevant) è offerta da Buchanan e Stubblewine (1969)4 Data l'estensibilità del concetto di esternalità (quasi ogni attività economica può avere degli effetti su altri operatori che il mercato non riesce a cogliere) la classificazione significativo/non significativo offre una via di uscita. Significative sono le esternalità (negative) in cui la somma algebrica dei costi aggregati eccede quella dei vantaggi aggregati. Un'altra classificazione ancora è offerta da Rothengatter (1993) con la distinzione prevedibili/non prevedibili. Alcune esternalità sono infatti conosciute dagli operatori economici (es. dentista vs vicini di studio, allevatore/contadino, ecc.), altre sono molto più aleatorie o complesse (es. produzione e consumo di clorofluorocarburi/effetto-serra, attività energivore/piogge acide, ecc.). Questa distinzione non è tanto rilevante ai fini dell'importanza in sé degli effetti esterni, quanto della possibilità dei soggetti di farne oggetto di valutazione economica. 3.1.2. Le esternalità dei trasporti Il settore dei trasporti, come tutti i settori che producono servizi, si trova al centro delle relazioni del sistema economico. I suoi “effetti esterni” rappresentano l’input di moltissime attività di produzione, oltre ad essere il mezzo con cui si soddisfa il bisogno di mobilità dei cittadini. Gli effetti esterni del settore dei trasporti sono dovuti sia alle infrastrutture che ai servizi di trasporto veri e propri. La distinzione è rilevante perché non ci troviamo in presenza di un’industria verticalmente integrata in cui la produzione del servizio incorpora automaticamente i costi di uso dell’infrastruttura, bensì in un sistema più articolato in cui le relazioni tra i soggetti cui fanno capo l'una e gli altri sono spesso guidate da logiche di comportamento diverse da quelle che presiedono alle transazioni di mercato5. Il primo passo per analizzare gli effetti esterni del trasporto consiste nell’analizzare il complesso di costi e benefici che riguardano queste attività. Nella tabella sottostante sono riassunti sinteticamente le voci che dovrebbero entrare in una valutazione di questo tipo. COSTI Costi operativi e amministrativi dei veicoli Costi del personale Costi generali di amministrazione di attività di trasporto Tasse e pedaggi Costo opportunità del tempo utilizzato in attività di trasporto Consumo delle risorse non rinnovabili BENEFICI Ricavi delle imprese di trasporto e servizi connessi Valore aggiunto dei servizi di trasporto Utilità (diretta e indiretta) del consumo di servizi di trasporto Cambiamento strutturale (positivo) del 4 Cit. in Rothengatter (1993). Una chiara tipologia degli effetti esterni suddivisi tra infrastruttura e servizi di trasporto si trova in Verhoef (1994). L’analisi si limita al trasporto stradale, ma è facilmente generalizzabile 5 2 (capitale umano e ambientale) sistema economico di un’area (accesso, Surplus di costo delle infrastrutture e altri produttività, ecc.) provocato dall’offerta costi di consumo delle risorse di infrastrutture Costi di interazione tra individui non Surplus da pedaggi per l’uso delle monetizzati infrastrutture Utilità delle famiglie non-utenti del trasporto derivanti dall’esistenza di attività di trasporto Incrementi dei redditi delle imprese non-utenti del trasporto derivanti dall’esistenza di attività di trasporto Fonte: Iww/Infras, 1994. La linea orizzontale che divide la tabella segna il confine tra gli effetti esterni che vengono considerati nelle transazioni di mercato (parte superiore) e quelli che non ne fanno parte (riquadro inferiore). Sulla base della definizione di esternalità data nel paragrafo precedente, questi ultimi possono essere considerate esternalità, cioè effetti esterni non considerati nelle transazioni di mercato. Oppure, sulla base della definizione di Viner, possiamo considerare gli effetti della parte superiore della tabella come esternalità pecuniarie e quelli nella parte inferiore come esternalità tecnologiche. Ad esternalità pecuniarie corrispondono compensazioni monetarie, il cui calcolo è generalmente affidato al mercato, tra le due definizioni non esiste quindi una differenza sostanziale. Le esternalità possono essere ricondotte a specifiche interazioni tra il settore dei trasporti e il resto del sistema economico. In particolare possiamo individuare tre tipi di interazioni rilevanti6: 1) Trasporti / Stock di risorse non rinnovabili (ambiente, capitale umano). 2) Trasporti / Altri settori dell’economia (produzione e consumo pubblici e privati). 3) Relazioni interne al settore dei trasporti. La prima interazione comporta esternalità attraverso il consumo di risorse non rinnovabili per la produzione di attività di trasporto, senza compensazioni economiche da parte degli utilizzatori. Si tratta di una transazione che non dà luogo ad alcuno scambio, non esistono prezzi di riferimento e sorge un conflitto tra diversi utilizzi delle risorse non rinnovabili, non solo tra gruppi di individui, ma anche tra l’attuale generazione, che utilizza le risorse e quelle future, che non potranno scegliere se usufruirne o “venderle” ad un determinato prezzo. La seconda interazione comporta esternalità (positive) se il settore pubblico offre infrastrutture e/o servizi pubblici, al di sotto del loro costo effettivo. In tal caso gli operatori privati o i cittadini godono di surplus. Altre esternalità (positive) originate dall’offerta di infrastrutture si fondano sull’incremento di accessibilità che tale offerta induce per determinate aree e sugli effetti che tale incremento ha sulla crescita economica. Casi di esternalità negative sorgono dai danni materiali che le attività di 6 Si vedano Bonnafous (1994) e Iww / Infras (1994), non identici ma largamente equivalenti. 3 trasporto possono provocare a risorse riproducibili (es. alle abitazioni attraverso l’inquinamento). Le esternalità interne al settore, e siamo al terzo tipo di interazione, sono originate dalle relazioni che intercorrono tra i soggetti nell’uso delle reti di trasporto. Le esternalità negative che si possono originare si ripercuotono, per definizione, solo all’interno dello specifico “club” di utenti di una determinata rete. La congestione, a parere di molti, è il caso tipico di questo tipo di esternalità, che sono particolari in quanto non vengono considerate dal mercato, ma si fermano al confine, nemmeno del settore ma di quel sottoinsieme costituito da quei soggetti direttamente interessati all’uso di una determinata infrastruttura. La distinzione, richiamata all’inizio del paragrafo, tra infrastruttura e servizi di trasporto, appare particolarmente interessante. L’offerta di infrastrutture nella generazione di esternalità ha, infatti, un ruolo molto importante. Si tratta di esternalità (se negative) connesse principalmente con il consumo di risorse non rinnovabili o (se positive) con l’offerta di un bene il cui prezzo non riflette pienamente (o per nulla, nel caso di uso gratuito) il costo. L’analisi delle interazioni tra il settore del trasporto e il resto del sistema economico evidenzia il fatto che è nell’ambito delle infrastrutture che si generano gran parte delle esternalità positive7. I servizi di trasporto, infatti, generano anch’essi esternalità, ma si tratta principalmente di situazioni che generalo effetti esterni negativi. Gli effetti esterni positivi dei servizi di trasporto sono numerosi, ma rientrano per la gran parte all’interno delle transazioni di mercato. Essi rappresentano esternalità pecuniarie a fronte delle quali i clienti / utenti pagano un determinato prezzo a meno di imperfezioni dei mercati, che non permetterebbero di riflettere pienamente il beneficio apportato agli utilizzatori. Si tratta, evidentemente, di un ipotesi molto rilevante. Altro caso è quello delle esternalità positive prodotte dalle infrastrutture. Si incontra in questo caso il concetto di beni pubblici 8 , la cui produzione è, generalmente, di pertinenza statale. Nei trasporti è questo il tipico caso delle infrastrutture o dell'erogazione di servizi da parte di soggetti non imprenditoriali (ad esempio lo stato) i cui comportamenti prescindono dalla massimizzazione dell'utile derivante dall'esercizio dell'attività economica in sé. In questo caso il portatore di un interesse collettivo decide di rinunciare alla redditività della propria attività economica (investimento o erogazione di un servizio) a favore dell'intera società9. In realtà non sembra incontrovertibile il fatto che l'infrastruttura in sé possa costituire un bene pubblico10, mentre è difficilmente contestabile il fatto che l’erogazione di servizi pubblici da parte dello stato (siano essi servizi di trasporto veri e propri, o semplicemente la messa a disposizione di infrastrutture) avviene a prezzi nulli o non remunerativi. Conseguentemente, il problema non sorge tanto dall’esistenza o meno di surplus economici per gli utenti finali o per le imprese di trasporto, ma sul modo di considerare alcune esternalità negative, ad esempio la congestione delle infrastrutture. 7 Per una discussione sugli effetti esterni delle infrastrutture di trasporto, si vedano, ad esempio, Berechman (1994) e Rietveld (1994). 8 Si parla di bene pubblico quando il consumo di un bene da parte di un soggetto non comporta esclusione del consumo da parte di un altro (non escludibilità) né competizione tra i soggetti (non rivalità). 9 E' questa una delle ragioni per cui, in materia di politiche della concorrenza, l'intervento pubblico nelle infrastrutture viene considerato non distorsivo per il funzionamento del mercato e quindi ammissibile. 10 su questo argomento e sulle caratteristiche dei beni pubblici, si vedano, rispettivamente, Ponti (1994) e Nuti (1987). 4 Appare evidente dalla discussione fin qui condotta che nella definizione di esternalità compaiono molti fattori e che, a seconda di quali fattori vengano considerati, si può ottenere una diversa definizione. Se all’approccio fin qui considerato (Iww / Infras, 1994), fondato sulla combinazione degli elementi: a) mercato (interno/esterno) e, b) distinzione infrastruttura / servizi, sostituiamo il concetto di comparto economico o di singola modalità di trasporto (strada, ferrovia, ecc.), ignorando la distinzione b), otteniamo una diversa definizione di esternalità. Una serie di studi fondati su un approccio settoriale che ha per oggetto il trasporto stradale, procedono infatti ad una specifica elencazione degli effetti esterni di questa modalità 11 , concludendo che tali effetti rappresentano le esternalità (positive) del comparto stradale nei confronti del resto del sistema. Un approccio di questo tipo si fonda essenzialmente sulla tecnologia di offerta del trasporto, prescindendo dalle caratteristiche della domanda di mobilità e su una diversa interpretazione della distinzione tra esternalità pecuniarie ed esternalità tecnologiche. Si sostiene, infatti, che il mercato del trasporto è un mercato imperfetto e che ciò trasforma (attraverso asimmetrie informative, regolamentazione dei prezzi e dell’accesso al mercato) gran parte delle esternalità pecuniarie in esternalità tecnologiche. Questa trasformazione fa si che gli effetti esterni positivi (che non vengono attribuiti all’infrastruttura o alle attività di trasporto, ma alla modalità ‘tout court’) non siano monetizzati negli scambi, ma diano luogo a ulteriori surplus per determinati soggetti economici o per la collettività intera. In conclusione si può osservare che c’è un sufficiente accordo nella definizione di esternalità negative, mentre ci sono differenti approcci nella valutazione di quelle positive. Tali differenze riflettono, almeno in parte, gli interessi in gioco da parte dei soggetti del mercato del trasporto, in una fase in cui il progresso tecnologico e lo sviluppo economico mettono questo settore di fronte ad una serie di profonde trasformazioni. E' evidente, infatti, che l'accresciuta sensibilità della collettività verso le esternalità negative delle attività di trasporto, comporta, da parte dei maggiori produttori di tali costi, un'attenzione particolare verso la ricerca e la riflessione sugli effetti positivi che possano controbilanciare tali esternalità. La fase di transizione che interessa i meccanismi di regolazione delle attività di trasporto, rimette in gioco il complesso equilibrio tra gli operatori all’interno dei singoli sistemi nazionali. Questo processo evidenzia, tra l’altro, la necessità di ridiscutere la valutazione dei costi e dei benefici delle attività di trasporto, sia alla luce dell’utilizzo delle risorse non rinnovabili, sia alla luce di un esame più approfondito del meccanismo di funzionamento degli scambi tra i soggetti economici. 11 Si veda, ad esempio, Aberle, Engel (IRU, 1993) e Willeke (CEMT, 1994). Tra gli effetti esterni sono considerati i contributi alla crescita economica e all’innovazione derivanti dagli autoveicoli, guadagni sociali di produttività, effetti sull’occupazione, effetti diretti e indiretti di diminuzione di costi e prezzi di produzione, contributo all’ampliamento delle dimensioni economiche e spaziali dei mercati, economie di scala. 5 3.2. Tassonomia e valutazione 3.2.1. Considerazioni generali Prima di affrontare specificamente la valutazione di costi esterni è utile fare due considerazioni di carattere più generale. Nel capitolo precedente è stato evidenziato come uno dei punti critici della valutazione delle esternalità riguardi il maggiore o minore bilanciamento tra economie e diseconomie esterne. La valutazione dei costi esterni non comporta dunque particolari difficoltà a livello concettuale. Il primo passo consiste nel costruire una tassonomia di questi costi, eventualmente distinta per tipologia, seguendo quindi le classificazioni utilizzate in precedenza12. Si deve poi sottolineare che l'applicazione di differenti metodologie di valutazione dei costi esterni è strettamente correlata con l'ambito dell'analisi. Un conto è, infatti, stimare l'impatto di una nuova infrastruttura o di un trasferimento di quote di traffico da una modalità all'altra, altra cosa è la stima generale dei costi esterni provocati dal sistema dei trasporti in un determinato ambito territoriale, in vista di misure di internalizzazione dei costi esterni13. In tema di esternalità negative, cioè di costi prodotti dal complesso delle attività di trasporto (costruzione di infrastrutture + servizi di trasporto), si possono elencare quattro grandi tipologie di fenomeni: effetti ambientali, incidenti, congestione e consumo di infrastrutture. Dal punto di vista della valutazione dei costi esterni, si possono enucleare una serie di metodologie14. In primo luogo, il cosiddetto “welfare approach”, che tiene conto delle risorse utilizzate e delle utilità dei soggetti economici, tentando di giungere ad una massimizzazione del benessere totale. Tale modello richiede una disponibilità di dati particolarmente importante, ma è molto utile come inquadramento concettuale. L’approccio basato sulla valutazione delle risorse, confronta risorse e costi di reintegrazione / ricostruzione, riconducendo tutte le risorse (incluse quelle non rinnovabili) a quantificazioni monetarie. Si tratta di una metodologia che, non è in grado di fornire una risposta completa sotto il profilo concettuale, ma che ha il vantaggio dell’applicabilità immediata. La metodologia fondata sull’utilità individuale implica una perfetta razionalità dei soggetti economici e l’esistenza di una informazione sufficiente a valutare tutti i cambiamenti del benessere individuale. I soggetti economici rispondono ai cambiamenti (nel nostro caso indotti dai costi esterni) attraverso una disponibilità a pagare (willingness to pay) per una determinata risorsa. E’ evidente che per le risorse ambientali si pone il problema dell’assegnazione dei diritti di proprietà da cui far discendere una valutazione dell’utilità (e quindi delle disponibilità a pagare) di 12 La letteratura offre ormai numerose indicazioni a questo proposito, anche attraverso apposite tavole sinottiche. Una elencazione dettagliata per singole tipologie di costo si trova in Iww / Infras (1994). Limitatamente ai costi sociali (escludendo cioè infrastruttura e congestione) o ambientali, si veno, rispettivamente, Rothengatter (1990) e Linster (1990), e Bresso (1994). 13 Per il primo caso si veda, ad esempio, Aberle, Engel (IRU, 1993), Nomisma (1994), Santel e Sartor (1995). Per il secondo Iww / Infras (1994). 14 Per una rassegna generale si vedano Rothengatter(1990), Button (1994 a) e Iww / Infras (1994). 6 determinate risorse. Inoltre, la disponibilità a pagare dipende dalla distribuzione del reddito e ciò introduce una ulteriore difficoltà nella stima del valore di determinate risorse15. L’approccio preventivo alla valutazione dei costi esterni, si fonda sui costi di prevenzione necessari ad evitare un determinato livello di effetti esterni negativi. Tali costi non sono approssimabili con i soli costi diretti delle risorse da proteggere, ma sono tendenzialmente superiori. Essi dipenderanno dal livello di prevenzione scelto e dalla tecnologia che si intende adottare. Un approccio che si muove su un terreno non distante comporta la valutazione del rischio associato alle attività di trasporto. Si tratta di una valutazione possibile in termini probabilistici, che può essere applicata al futuro e non per valutare le perdite di risorse subite nel passato. In questo senso possono applicarsi modelli di comportamento già sperimentati in altri campi come il concetto di diversificazione del rischio (sulla scorta dei modelli di gestione di portafoglio finanziario) o la usuale strumentazione dei contratti assicurativi, con le relative tecniche di stima delle probabilità di incidenti (in senso vasto). Nel complesso le metodologie di valutazione esposte si differenziano principalmente per il contesto entro cui si collocano. Gli approcci di tipo “welfare” (reintegro risorse, utilità individuale, ecc.) operano in un contesto “certo”, in cui le informazioni disponibili sono direttamente rappresentative della realtà dei fenomeni. Viceversa gli approcci associati al concetto di rischio associano a tali informazioni delle probabilità da cui poi dedurre incentivi economici o altre misure volte a raggiungere gli obiettivi prefissati. L’approccio in termini di prevenzione si colloca a metà tra i due contesti, potendo identificare i limiti di prevenzione sia in termini probabilistici che deterministici. 3.2.2. La valutazione I costi ambientali. Per quanto riguarda più specificamente gli effetti ambientali, ovvero le diseconomie esterne che riguardano il consumo o la distruzione di risorse ambientali, c'è da osservare che l'approccio economico tradizionale presenta una serie di limiti. L'approccio ortodosso (vale a dire quello riconducibile al filone neoclassico) è fondato sulla possibilità di attribuire un valore economico ai beni ambientali, non solo il valore immediato, ma anche quello derivante dalla possibilità di utilizzare i beni nel futuro. Questo valore economico si basa su una valutazione dei singoli individui o sulla loro somma, qualora si tratti di un bene pubblico. Si tratterà allora di preservare l'ambiente, fino al punto in cui il suo valore economico sarà superiore al costo derivante dall'azione di protezione. Qui si presentano due ordini di problemi. Accade infatti che, se dal lato dei costi le valutazioni sono, almeno in termini concettuali, sufficientemente adeguate, dal lato dei benefici non esistono valutazioni altrettanto efficaci, né, come si è visto, c’è accordo nel considerare “quanto” di questi benefici sia effettivamente oggetto di transazione economica. 15 Su questa metodologia si vedano anche Nomisma (1994, Appendice A) e Nuti (1987). 7 In secondo luogo vi sono difficoltà di definizione anche in materia di diritti di proprietà connessi a beni ambientali, che dovrebbero tenere conto di tutti i possibili usi dei beni. Nell'esempio della foresta, si può facilmente giungere alla definizione dei diritti di proprietà in termini di uso della foresta come fonte di legname, ma non si può fare altrettanto per quanto riguarda, ad esempio, il ruolo della foresta come riequilibratore delle emissioni di anidride carbonica o come fonte di biodiversità. Entra in gioco qui il concetto di informazione sugli impatti ambientali delle attività umane, su cui la comunità scientifica non ha ancora trovato risposte sufficientemente solide da fornire all'economia. In particolare il concetto di "soglia critica di inquinamento", vale a dire la quantità di inquinamento assorbibile senza danni da un determinato ecosistema e che non ne comprometta la conservazione e la rigenerazione, appare ancora ben lontano dall'essere adeguatamente definito. L'attuale impossibilità di definire economicamente i benefici dell'ambiente da associare ai costi derivanti dal suo consumo, spinge verso una definizione delle risorse ambientali in termini di globalità e finitezza: le risorse ambientali non possono essere prodotte, ma solo conservate e rigenerate. Si pone il problema della sostenibilità nel tempo e nei confronti delle generazioni future di un modello di sviluppo che consumi risorse ambientali ad un tasso più elevato di quello della loro rigenerazione. Il mercato non è in grado di segnalare le preferenze delle generazioni future in merito alla conservazione dell'ambiente, mentre è in grado di esprimere le preferenze di quelle attuali, che, finora, hanno ragionato in termini di disponibilità infinita (e di più o meno libera appropriabilità) di queste risorse16. Esiste anche la possibilità di andare oltre questo tipo di sostenibilità, che possiamo chiamare relativa, dello sviluppo, affrontando il problema dal punto di vista della disponibilità assoluta delle risorse naturali. Rifacendosi alla definizione di risorse non rinnovabili, la linea di ragionamento richiederebbe di fissare una sorta di “tasso di riproducibilità naturale” delle risorse, ottenuto sulla base della conoscenza scientifica dei fenomeni, da assumere come limite assoluto al loro impiego17. Il concetto generico di sostenibilità dello sviluppo non è presente solo nella elaborazione di studiosi ambientalisti o di teorici, ma ha anche impegnato istituzioni pubbliche nazionali e sovranazionali. Ad esempio, atti come la Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 o il Consiglio "Energia-Ambiente" della Comunità Europea del 1990, contengono precisi impegni dei partecipanti verso la riduzione dell'impatto ambientale delle attività economiche e verso l'integrazione della politica ambientale all'interno delle politiche comuni. Lo stesso Trattato di Maastricht contiene richiami precisi al tema del corretto utilizzo delle risorse ambientali. Nel campo dei trasporti a livello comunitario, il concetto di sostenibilità dello sviluppo ha preso piede a partire dal Libro Bianco sullo sviluppo futuro della politica comune dei trasporti e dal Libro Verde sull'impatto dei trasporti sull'ambiente, entrambi del 199218. In questi documenti si prende atto degli effetti negativi della crescita del sistema dei trasporti sull'ambiente e dell'impossibilità di ragionare in termini di disponibilità infinita delle risorse ambientali, evidenziando il fatto che la crescita spontanea del sistema dei 16 Per le interazioni tra crescita economica e ambiente si può vedere, ad esempio, Musu (1995). Per questa linea di pensiero si possono vedere Daly (1981) e Tiezzi (1984) 18 CEE, White Paper, "On the future development of a common transport policy", COM (92) 494 final, 2/12/92; CEE, Green Paper, "The impact of transport on the environment", COM 92 (46) final, 20/2/92 17 8 trasporti e della domanda di mobilità condurrebbero ad una dissipazione di risorse non compatibile con l'equilibrio ambientale del pianeta. Il moltiplicarsi delle analisi e delle prese di posizione ufficiali sul tema ambientale, segnala che le generazioni attuali stanno cominciando a modificare i propri modelli di preferenza di consumo, includendovi le risorse ambientali. Di questa trasformazione si trova traccia anche nello sviluppo delle procedure di valutazione degli effetti esterni, per le quali si può (schematicamente) osservare una tassonomia di questo tipo: a) analisi costi / benefici classica, che rappresenta la metodologia di base e più diffusa, principalmente legata alla valutazione degli investimenti in infrastrutture (più in generale, di opere pubbliche)19. b) analisi costi / benefici "di 2a generazione", che, attraverso una integrazione con procedure di valutazione di impatto ambientale, prende in considerazione in modo più ampio e approfondito gli effetti degli investimenti infrastrutturali sul territorio20. c) valutazione "generale" delle esternalità, mirata a valutare tutti gli effetti esterni di un'attività economica (nel nostro caso di un'attività o di una infrastruttura di trasporto), con l’obiettivo di fornire indicazioni sulle misure di internalizzazione degli effetti esterni.21. I costi dell'incidentalità. Il fenomeno dell’incidentalità legata all'attività di trasporto presenta problemi di valutazione non dissimili dai costi ambientali. Anche in questo caso, infatti, la distinzione tra risorse rinnovabili e non rinnovabili è fondamentale. Alcuni elementi di costo, come ad esempio i danni materiali diretti e indiretti, le spese amministrative generali (per giustizia e polizia), i costi generali delle assicurazioni, i costi sanitari, ecc., non pongono problemi concettuali di misurabilità. Essi potranno, quindi, essere valutati ed eventualmente commisurati a ciò che viene già pagato in termini di costi assicurativi dai soggetti che esercitano attività di trasporto, per ottenere una valutazione dell'effetto netto in termini di costi esterni trasferiti sul sistema. Per altri elementi di costo, legati ai danni provocati al capitale umano, si pongono invece problemi di misurabilità. Si tratta, ad esempio, di tutta la parte dei costi di reintegrazione / perdita del capitale umano o di quelli derivanti dalla mancata partecipazione alla produzione. Questo tipo di costi implicano tutti, a diversi livelli, una valutazione sul valore della vita umana, sia al livello generale della collettività sia a quello più specifico della produzione. Proprio a causa della difficoltà di misurare la perdita o il danneggiamento di una risorsa non rinnovabile come il capitale umano, la valutazione dei costi dell’incidentalità ha spesso rinunciato ad affrontare il problema, dichiarandolo al di fuori della missione degli studiosi di economia. Coerentemente con questa posizione, l'approccio del capitale umano si limita alla stima del potenziale produttivo di una determinata persona o meglio del valore attualizzato della sua produzione attesa. Un approccio di questo tipo opera, 19 Per questo tipo di analisi si vedano Ministero del Bilancio (1985) e Nuti (1987). Quest’ultimo mette bene in luce l’importanza dell’ipotesi di separabilità degli effetti dei progetti da valutare rispetto all’insieme dell’ambiente preso nel suo complesso. 20 Si veda, ad esempio, Lamure (1990), Lorenzini (1995) e Nomisma (1994). Per una sintetica discussione dei progressi nel campo della valutazione degli investimenti infrastrutturali, si veda Ponti (1995) 21 Si vedano, ad esempio, Iww / Infras (1994) e Nijkamp (1994). 9 sostanzialmente, una valutazione delle risorse perdute basandosi sui redditi da lavoro o sui consumi attesi, utilizzati come stime del contributo alla produzione di un individuo. Un altro approccio possibile è quello dell’utilità individuale che, attraverso stime dirette o indirette22 giungono alla stima di una disponibilità a pagare per evitare determinati rischi. Un approccio come questo soddisfa, evidentemente, il requisito di non scartare a priori gli elementi non immediatamente misurabili delle risorse non rinnovabili. Tuttavia la metodologia è affetta da altre difficoltà. Accanto al peso della distribuzione del reddito, infatti, la stima della disponibilità a pagare avviene in una realtà in cui si sommano mercati imperfetti, asimmetrie informative, comportamenti non razionali, con il risultato di dare luogo a delle stime molto variabili dello stesso oggetto23. Il fenomeno dell’incidentalità nel settore dei trasporti è dovuto in gran parte al trasporto stradale, anche se non possono essere trascurati gli "apporti" di altre modalità. Queste ultime tuttavia, per il fatto di essere tecnicamente caratterizzate da un accesso regolato all'infrastruttura o ai mezzi di trasporto, presentano delle peculiarità di gestione della circolazione e della sicurezza assai differenti. Un elemento che deve essere sottolineato riguarda l'adeguatezza dei dati a rappresentare il fenomeno. Si ritiene, infatti (Iww / Infras, 1994), che esista una notevole sottostima del fenomeno degli incidenti, tanto da indurre gli esperti ad introdurre fattori correttivi. L'evoluzione del fenomeno della sicurezza stradale in Italia (Alvaro, 1985; CENSIS, 1990, Dini, 1994) mette in luce una tendenza alla diminuzione degli incidenti e degli effetti correlati in termini di morti e feriti. I costi dell'infrastruttura. Le infrastrutture di trasporto (strade, linee ferroviarie, porti, aeroporti, ecc.) sono uno dei settori di attività economica in cui la presenza dello stato si è rivelata, ed è tuttora, preponderante. Infatti, a causa delle loro caratteristiche spesso molto complesse, dei costi elevati, dell’entità delle spese di manutenzione, accanto a cui si deve considerare la loro indispensabilità per l'offerta e lo sviluppo dei servizi di trasporto, le infrastrutture sono uno dei terreni principali in cui si esplica il ruolo dello stato nell'accumulazione del capitale di un paese. Questo capitale sociale incorporato nell’infrastruttura fornisce alla collettività in generale, e, direttamente agli utilizzatori, un beneficio. Gli investimenti in infrastrutture trovano copertura o nella fiscalità generale, o in specifiche imposte o attraverso l'imposizione di "pedaggi", che rappresentino in qualche modo i costi d'uso dell'infrastruttura, consentendone, ad esempio, il reintegro. Il dibattito visto in precedenza sul fatto se l’infrastruttura sia o meno un bene pubblico, comporta diverse opinioni su come valutarne i costi e, conseguentemente, su quali siano i livelli di sussidio pubblico agli utilizzatori diretti e alla collettività in generale. Se l’infrastruttura è un bene pubblico sarà sufficiente utilizzare la spesa pubblica come indicatore del costo dell’infrastruttura. Se, al contrario, si ritiene che l’infrastruttura sia 22 Per le stime dirette si ricorre ad indagini sul campo, mentre per quelle indirette si possono analizzare i premi assicurativi delle attività rischiose o le spese per prodotti che diminuiscono i rischi di incidente. 23 Sulle differenze di risultati in questo campo si vedano Verhoef (1994) e, inoltre, Iww / Infras (1994) e Nomisma (1994), dove si discutono anche alcune metodologie. Sulla valutazione del capitale e della vita umana si vedano Alvaro (1992, cap. 6), Recchia e Sabbadini (1982) e Nuti (1987). 10 un bene di club, cioè utilizzato da un determinato insieme di soggetti economici, la valutazione dei costi cambia. La considerazione che, nelle economie maggiormente industrializzate l’infrastruttura di trasporto è essenzialmente dedicata ad attività economiche private commerciali e produttive, comporta un ruolo decrescente (in termini quantitativi) dei bisogni sociali di mobilità come fattori originari della decisione di investimento. In tal modo non sembrerebbe giustificata una valutazione dei costi dell’infrastruttura come puro livello della spesa per investimento, ma andrebbe effettuata una analisi di redditività (considerando, ad esempio, gli impieghi alternativi del capitale), eventualmente corretta attribuendo una quota dell’investimento a finalità sociali. Evidentemente, in termini quantitativi le due ipotesi divergono a causa dei diversi tassi di redditività (sociale / commerciale) degli investimenti e diversi saranno, conseguentemente, i livelli assoluti di surplus trasferito nonché i destinatari finali24. Un altro problema metodologico assai rilevante è rappresentato dall'allocazione dei costi di infrastruttura sui diversi utilizzatori. Si tratta di un problema complesso che implica la possibilità di conoscere l'articolazione dei flussi di traffico per categoria di veicolo (o per tipologia di treno). Mentre per il traffico che si svolge su infrastrutture ad accesso regolato, la disponibilità dei dati è relativamente sufficiente, per quanto riguarda il traffico stradale è invece ad un livello assai più basso del necessario. Una attribuzione dei costi di infrastruttura può essere effettuata, quindi, pesando i diversi veicoli sulla base di una valutazione dell’ingombro e della velocità, ottenendo una serie di indici relativi. La valutazione dell'effetto netto delle esternalità infrastrutturali va fatta tenendo conto che i soggetti spesso pagano un prezzo per utilizzare l'infrastruttura, sia esso sotto forma di pedaggi o di altro. Tale prezzo, comparendo nel costo di produzione del servizio, contribuisce a diminuire l'effetto esterno positivo dovuto all'offerta di infrastrutture. Dal lato della copertura dei costi di infrastruttura il bilancio pubblico presenta una serie di entrate che, tuttavia, non sono equivalenti. Infatti, nell’ipotesi di piena copertura dei costi, mentre per i pedaggi e nel caso di imposte correlate all'uso dell'infrastruttura, si può ritenere che non vi siano esternalità, in quanto il soggetto ne recepisce il costo d'uso nei propri costi di produzione, nel caso in cui le infrastrutture vengano finanziate con risorse non specifiche, attingendo alla fiscalità generale, il caso è diverso. Anche se l'imposizione fiscale rappresenta un costo di produzione per gli utilizzatori, essa può non venire chiaramente collegata con l’uso dell'infrastruttura. Si vedrà più avanti che questo aspetto ha delle importanti conseguenze in termini di politica economica nel campo dei trasporti. D’altra parte non sempre è possibile distinguere quanta parte delle imposte è da considerarsi come destinata ad impieghi “generali” e quanta ad impieghi specifici. Dal lato delle entrate andranno quindi considerate, per il trasporto stradale, oltre ai pedaggi, anche l’insieme delle tasse sui veicoli e sul carburante, mentre nel caso del trasporto ferroviario dovranno essere conteggiati gli introiti dei biglietti e le compensazioni per gli obblighi di servizio pubblico imposti alle imprese ferroviarie. Le difficoltà di reperimento dati e le differenze metodologiche portano anche in questo caso ad una notevole variabilità di risultati. Sulla base di studi recenti, il grado di copertura dei costi di infrastruttura del trasporto stradale sarebbe molto elevato o addirittura superiore mentre per il trasporto ferroviario sarebbe di certo inferiore ai costi 24 Per un riassunto del dibattito si veda Iww / Infras (1994) 11 di infrastruttura25 . Un’altra considerazione rilevante per il trasporto stradale riguarda l’articolazione tra le categorie di veicoli, per cui risulterebbe una sproporzione evidente a favore dei veicoli pesanti che finirebbero per beneficiare dell’effetto positivo dell’offerta di infrastrutture26. I costi di congestione. I costi di congestione sono dovuti ai comportamenti degli utilizzatori di una determinata infrastruttura e sono tipicamente afferenti al trasporto stradale, vale a dire ad un tipo di trasporto non coordinato in modo centralizzato. Essi si verificano in presenza di un aumento dei tempi di percorrenza dovuto non all'aumento della distanza bensì alla presenza di più utilizzatori contemporanei dell'infrastruttura. Ciò può provocare degli effetti negativi che si ripercuotono su tutti gli utilizzatori. In realtà, anche per le infrastrutture a "linea guidata" (rete su rotaia) o puntuali (porti, aeroporti) c'è un effetto congestione derivante dal verificarsi di eventi imprevisti o di comportamenti inefficienti da parte degli utenti dell'infrastruttura. Gli effetti dell'intensificazione del traffico e le inefficienze che si generano in questo modo, si ripercuotono sulle altre imprese di trasporto e poi sui clienti finali dei servizi. Tuttavia, dal punto di vista quantitativo, la rilevanza del fenomeno della congestione è di gran lunga correlata con il trasporto stradale ed in questa sede ci si limiterà a trattare questo aspetto. E’ utile, a questo proposito ripartire dal dibattito sulle caratteristiche dell’infrastruttura. Per semplificare si può supporre che, fino a quando il fenomeno della congestione non si verifica, l'infrastruttura stradale presenti le caratteristiche di bene pubblico puro. Nel momento in cui il livello di congestione comincia ad essere percepito, la rivalità tra gli utenti dell'infrastruttura diviene rilevante e le caratteristiche di bene pubblico della strada vengono meno. Si è visto in precedenza che considerare l'infrastruttura bene pubblico o bene di club comporta notevoli conseguenze in termini di valutazione delle esternalità provocate dalla congestione. Infatti, nel primo caso gli effetti negativi del fenomeno si riversano sull'intera collettività, mentre nel secondo colpiscono solo i membri del club. Evidentemente, in questa ultima versione diventa fondamentale definire il confine del club, vale a dire definire chi siano gli appartenenti al gruppo che usufruiscono stabilmente e significativamente dell'infrastruttura e che, conseguentemente, sopporteranno gli eventuali costi di congestione da essi stessi provocati. Per quanto riguarda il trasporto stradale, il fenomeno della congestione si verifica in presenza di un aumento della domanda d'uso di una determinata infrastruttura, cui, nel medesimo tempo corrisponde un aumento del tempo di percorrenza e, quindi, un aumento del costo del viaggio. Tale aumento è subìto non solo dal veicolo marginale che si aggiunge a quelli fino a quel momento presenti, ma si ripercuote su tutti i veicoli che si trovano in quel momento in un determinato tratto di strada27. 25 Si vedano Iww / Infras (1994) con un valore di circa il 100% e OICA (1995) con un valore di oltre il 254%. per la strada e Iww / Infras (1994) con circa il 55% per la ferrovia. 26 La compensazione di questi effetti all’interno dei diversi operatori del trasporto stradale necessiterebbe la revisione della struttura della tassazione. Per ipotesi e risultati, limitatamente all’Italia si vedano Dello Schiavo e Baragona (1976) e Ricci (1985). 27 Si veda Del Viscovo (1990), cap. IV. 12 Si può determinare una funzione di costo di congestione, dipendente dal tempo di percorrenza, in cui il tempo sia, a sua volta funzione di una curva di deflusso espressa in termini di velocità di base, flusso di traffico, capacità oraria della strada, coefficienti che riflettano le caratteristiche geometriche della strada, lunghezza della tratta considerata28. 3.3. Le politiche di internalizzazione Le politiche di internalizzazione dei costi esterni possono essere situate entro le coordinate di due filosofie di approccio (intervento pubblico / mercato) e di due classi di strumenti (regolamentari / economici). Filosofie e strumentazione non sono equivalenti: l'utilizzo di divieti e imposizioni "passa" attraverso il conto economico del soggetto colpito e, d'altra parte, ad incentivi o meccanismi economici (si pensi ai diritti di inquinamento) corrispondono spesso limiti normativi al di là dei quali il mercato non può funzionare29. Tra le politiche di internalizzazione dei costi esterni, vanno distinte quelle che hanno per oggetto l’offerta di infrastrutture di trasporto e quelle che riguardano i comportamenti degli operatori di trasporto. Tale distinzione, si è visto, appare giustificata proprio a causa della differenza che intercorre tra il mercato dell’offerta di infrastrutture (essenzialmente pubblico) e quello dell’offerta dei servizi di trasporto30. Nel caso delle infrastrutture, predomina decisamente l’intervento pubblico, sia nel processo decisionale, sia nel sostegno finanziario, sia, sovente, anche nella realizzazione. Gli effetti esterni possono essere valutati a livello dei singoli progetti di investimento e, più in generale, nell’ambito della redazione di piani di sviluppo territoriali a diversi livelli. Questo tipo di pianificazione non esiste dappertutto: i paesi si differenziano anche per una maggiore o minore propensione per l’utilizzo di questo strumento, che rimanda anche ad opzioni di “filosofia” dell’intervento pubblico. L’utilizzo di forme più o meno raffinate di valutazione degli effetti esterni per i singoli investimenti infrastrutturali sono, invece, utilizzate a prescindere dall’impostazione più o meno favorevole all’interventismo statale. Per quanto riguarda il campo dei comportamenti degli operatori, l'azione di internalizzazione dei costi esterni prende le mosse dalla definizione stessa di esternalità, tentando di far rientrare "nel" mercato qualcosa che in quella sede non viene considerato. Le due grandi classi di strumenti, quelli economici (tasse, sussidi) e quelli regolamentari (divieti, imposizione di limiti, regolamentazioni, ecc.) possono essere impiegati in modo da sostituire completamente il mercato o in modo da simularlo nel modo migliore possibile. Per quanto riguarda gli strumenti economici, un'azione pubblica, volta a ripristinare l'equilibrio tra benessere privato e benessere sociale può agire in due modi distinti. Nel primo caso (first best) si cerca di ripristinare l'efficienza tassando le attività che generano diseconomie e sussidiando quelle che producono economie, così da modificare i redditi individuali senza generare effetti distorsivi sui prezzi dei beni (approccio Piguviano classico). Tale soluzione è valida solo nel caso di effetti esterni presenti a 28 Un'applicazione si trova in Santel e Sartor (1995). Un chiaro esempio di come filosofie e strumentazione non coincidano si può trovare in Baumol e Oates (1971) dove, partendo dall’impossibilità di applicazione dell'approccio Piguviano classico, si giunge alla proposizione di un mix di strumenti economici e regolamentari. 30 Per questa distinzione dell’ambito delle politiche di internalizzazione si veda Quinet (1994), per una discussione sugli strumenti, si vedano, OCDE (1989), Button (1994 a) e ancora Quinet (1994). 29 13 livello aggregato (es. se le economie esterne influenzano il benessere di uno o più cittadini, l'efficienza paretiana si raggiunge attraverso la tassazione (o il sussidio) di ogni soggetto pari alla somma algebrica degli effetti marginali prodotti sugli altri soggetti). Questa soluzione non è spesso possibile a causa della quantità (eccessiva) di informazioni necessarie o di forti resistenze dei cittadini o di gruppi di essi verso azioni redistributive. Quando non esistono le condizioni per la scelta ottimale, lo stato deve ripartire le risorse nel modo migliore, tenendo conto dei vincoli esistenti. La soluzione corrisponde ad una scelta di second best e non rappresenta una situazione di efficienza paretiana. Gli aspetti di difficoltà dell’utilizzo dello strumento fiscale nel campo dei trasporti, trascurando il problema generale del livello della pressione fiscale nei paesi occidentali, appaiono concentrarsi nel conflitto tra fiscalità generale e tasse di scopo, ovverosia nel prevalere delle motivazioni di finanziamento generale del bilancio dello stato sull’obiettivo di internalizzazione dei costi esterni31. Una tale situazione, che esiste in tutti i paesi europei, è dovuta essenzialmente alla grande facilità di tassazione dei carburanti. Accanto al classico conflitto di politica economica tra obiettivi e strumenti, la situazione della tassazione del trasporto mette anche in luce anche diversi altri problemi. In primo luogo una difficoltà nell’articolazione dei tributi per categorie di veicoli, evidenziando una non neutralità dello strumento fiscale tra diverse categorie di cittadini e di operatori di trasporto. A tale disequilibrio vanno, eventualmente, aggiunte le politiche di incentivazione di determinati settori o categorie di operatori di trasporto, fenomeno più o meno presente a seconda della propensione all’intervento pubblico delle autorità politiche nazionali. Altri problemi connessi con l’utilizzo di strumenti economici sono, infine, rappresentati dalla generale incertezza della quantificazione degli effetti esterni, che può indurre a notevoli errori nella decisione dell’intervento e nella asimmetria con cui gli individui bilanciano i costi e i benefici di tali interventi, con le conseguenti difficoltà di consenso che ne possono derivare. Nel campo degli strumenti regolamentari, le principali controindicazioni per l’utilizzo riguardano aspetti generali di efficienza (non si raggiungono soluzioni ottime, esistono costi di gestione generali e per i controlli non facilmente valutabili), elementi di asimmetria informativa o di pressione politica tra regolatore e regolato (con conseguente “cattura” del regolatore), effetti indesiderati in altri campi e, nel lungo periodo, crescita di complessità delle regolamentazioni e ruolo di freno nei confronti dei processi di cambiamento tecnologico e organizzativo. D’altra parte, non necessariamente la presenza di esternalità rende obbligatorio l'intervento pubblico. Si è visto che Coase ha dimostrato che - sotto determinate condizioni - se il profitto congiunto delle imprese colpite da effetti esterni è maggiore della somma dei profitti individuali, esse avranno l'interesse a fondersi o a regolamentare la loro produzione. La ripartizione dei beni che ne deriva è un ottimo paretiano e non è influenzata dal fatto che i diritti di proprietà (e quindi di indennizzo) vengano conferiti indifferentemente a colui che produce o a colui che subisce le 31 E’ questa una delle principali conclusioni, ad esempio, del CER (1995), nell’ambito di una indagine sulla struttura del sistema fiscale italiano dei trasporti. Nel medesimo rapporto si trova anche una rassegna sulla situazione in alcuni paesi europei, mentre, per l’esperienza svedese si può vedere la sintesi contenuta in CEE (1995). 14 esternalità. In altri termini, il mercato è in grado, secondo Coase, di riparare una serie di effetti esterni indesiderati senza introdurre le distorsioni indotte dall’intervento pubblico. La soluzione che passa attraverso questa "estensione" del mercato, ad esempio per il tramite della contrattualizzazione dei diritti sui beni pubblici o su determinate risorse ambientali non rinnovabili (laghi, foreste, ecc.), non è tuttavia esente da difficoltà. In primo luogo essa dà luogo ad una sorta di indifferenza etica tra chi subisce un danno e chi lo procura. Inoltre, ammesso che sia possibile definire i diritti di proprietà, i costi di transazione connessi a funzionamento del mercato di questi diritti risultano spesso elevati a causa della numerosità dei soggetti coinvolti32. Anche in questo caso, la soluzione di ottimo paretiano si allontana, dato che l'irrilevanza dei costi di transazione è proprio una delle condizioni necessarie al teorema di Coase. In altri termini, sia l'intervento pubblico che l'estensione del mercato non riescono a ricondurre ad una situazione ideale un meccanismo di scambio in cui alcuni soggetti provocano dei costi senza pagarne il prezzo. E' stato fatto correttamente notare che, in una tale situazione, la scelta tra diverse politiche o filosofie di intervento è una scelta tra due condizioni sub-ottimali: un mercato imperfetto e una regolamentazione imperfetta33. La propensione verso l'intervento pubblico o la libera azione del mercato è, oltreché un convincimento teorico, una caratterizzazione geografica. La preferenza per l'azione pubblica è, infatti, più radicata in Europa Occidentale che negli Stati Uniti, mentre la situazione appare invertita per quanto riguarda la propensione verso il mercato34. In conclusione, le politiche di internalizzazione dei costi esterni si trovano in una fase di ridefinizione. All’affinamento dell’analisi ed alla messa a punto degli strumenti non corrisponde, tuttavia, che una lenta messa in opera di politiche concrete. L’aspetto fondamentale che domina lo scenario in questa materia è rappresentato dal consenso che le misure da adottare, che si sommano in ogni paese (e a livello europeo) alla struttura di preesistenti politiche economiche, devono necessariamente registrare. Cosi, in accordo con le diverse sensibilità territoriali e geografiche al tema delle esternalità dei trasporti, esistono molteplici attitudini di intervento. Il livello europeo, che diviene sempre più il livello di intervento decisivo per le azioni sui comportamenti degli operatori (ma anche sul terreno infrastrutturale), segna il passo proprio per l’assenza di un consenso convinto, non tanto sulla direzione e sui principi di intervento, quanto sulla tempestività e sulla radicalità delle misure da adottare. La lettura del Libro Verde comunitario sulla tariffazione delle attività di trasporto 35 costituisce, da questo punto di vista un esempio illuminante di come politiche di 32 Considerando l’impresa e il mercato come due modi alternativi di organizzare gli scambi, i costi di transazione sono tutti quei costi necessari alla definizione contrattuale di uno scambio tra soggetti economici. In un tale approccio alla teoria dell’impresa, questi costi non sono affatto trascurabili a causa della razionalità limitata e dell’opportunismo che caratterizza in generale i comportamenti dei soggetti economici.. Per una definizione dei costi di transazione si veda Williamson (1991), per una esemplificazione nei trasporti, si veda Rothengatter (1994). 33 Bentivogli e Trento (1995) 34 Per questa distinzione territoriale / geografica delle politiche di internalizzazione si veda Button (1994 b). In Italia in particolare, l’orientamento verso un forte dispiegamento delle politiche pubbliche nel settore dei servizi (di cui i trasporti sono parte rilevante) si deve, anche, alla scarsa presenza dei consumatori come soggetto autonomo portatore di interessi, da cui deriva un ruolo assai vasto dello Stato quale garante dell'interesse collettivo. Per il ruolo dello Stato nei servizi di pubblica utilità, si veda Cassese (1992). 35 CEE, Livre Vert, Vers une tarification équitable et efficace dans les transports, COM 95 (691) final, 20/12/95. 15 internalizzazione ormai sufficientemente mature a livello di definizione teorica e di anche di prime sperimentazioni, stentino a trovare un’applicazione pratica. BIBLIOGRAFIA Aberle G., Engel M., Les avantages sociaux du transport routier de marchandises a longue distance, IRU - Universitè Justus-Liebig, Giessen, 1993. 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Williamson, L’organizzazione economica, Il Mulino, Bologna, 1991. 18 COMMENTO PARTE II Giorgio Beltrami, Ferrovie dello Stato Nel testo curato da Maurizio Caruso Frezza, viene proposto - in modo molto esaustivo - un panorama dello stato dell’arte dei modelli di trasporto. Il “modello” è una rappresentazione semplificata della realtà o di una sua parte, basata su alcuni elementi ritenuti rilevanti ai fini della rappresentazione stessa. E’ evidente che la scelta degli elementi ritenuti rilevanti condiziona la capacità del modello di rappresentare la realtà secondo particolari punti di vista. Ma questo è un problema che riguarda tutto il campo delle osservazioni scientifiche e non può quindi essere un motivo per svalutare il ruolo e l’utilizzazione dei modelli. Ruolo e utilizzazione che - a mio giudizio - sono tuttora assai limitati e in molti casi distorti. Un modello è uno strumento di aiuto alle decisioni; ma è assai raro che un apparato modellistico sia utilizzato in modo organico e non semplicemente di “corredo” ai processi decisionali o ai processi di formazione dei piani. Le cause sono molteplici, non sempre e non solo imputabili a scarsa propensione verso la razionalità dei processi di scelta. Da una parte ci sono problemi di risorse necessarie per costruire e mantenere un apparato modellistico di supporto a un processo decisionale. Dall’altra ci sono le “indisponibilità” dei “decisori” che spesso diffidano di strumenti o processi troppo analitici che, quindi, non controllano. Infine la molteplicità dei soggetti decisori e la complessità dei processi decisionali nei quali tende più a prevalere la capacità di “persuasione” che non il valore intrinseco della decisione. In questo contesto l’applicazione e l’uso dei modelli rischia di rimanere “esterno”, motivato quasi unicamente dal “non si può non essere all’altezza dello stato dell’arte. E’ chiaro che in questi termini si tratta solo di spreco di risorse. In effettiè assai importante che l’approccio modellistico sia accettato o fatto proprio nello stile delle decisioni. Questo implica evidentemente la necessità di “internalizzare” l’uso e quindi la “mentalità” modellistica (cioè analitica) nelle strutture (soprattutto di governo) che curano la formazione dei piani e delle strategie o comunque che collaborano alla formazione delle decisioni. L’approccio modellistico presenta almeno due vantaggi da questo punto di vista: offre una base di accettabile compromesso tra i sistemi di interessi e un minimo di obiettività (e di razionalità e di trasparenza) consente di migliorare progressivamente - attraverso l’interpretazione e la discussione dei risultati e il confronto con i comportamenti reali - la capacità di conoscenza dei sistemi e quindi la capacità di regolarne i comportamenti. Nella lettura delle nota di Caruso Frezza, queste considerazioni possono trovare conferma e specificazione. Un ultimo aspetto tuttavia ritengo sia necessario evidenziare. Lo strumento modellistico normalmente opera su dati “cross sectional” per cui il suo processo di validazione non può consistere semplicemente nell’osservare una buona corrispondenza tra dati stimati e dati osservati. Questo significa che gli impianti modellistici possono ritenersi assestati quando la corrispondenza tra previsioni da modello e osservazioni, avviene utilizzando dati non usati nei processi di costruzione del modello stesso. In altre parole il modello tende a fornire prestazioni sempre migliori quanto più il modello stesso viene utilizzato nel tempo, con diverse e successive basi dati. Quindi se lo strumento modellistico diventa un supporto permanente del processo decisionale, inserito cioè nel normale corredo degli apparati tecnici a disposizione dei “decision makers”. 2 PARTE II LA DOMANDA DI TRASPORTO CAPITOLO 1. MODELLI E DEFINIZIONI Maurizio Caruso Frezza, Ferrovie dello Stato La domanda di servizi di trasporto è costituita dai viaggiatori e dalle merci che si spostano da una determinata area-origine verso una altra determinata area-destinazione in un determinato arco temporale. Il fatto che lo spostamento è quasi mai una attività fine a se stessa (uno spostamento non viene effettuato quasi mai in quanto produttore di “utilità” in sé) ma è piuttosto un’attività che si associa a complemento di attività da svolgere in luoghi diversi da quello in cui una data persona o merce si trova fa sì che la domanda di trasporto sia considerata una domanda “derivata”, una domanda, cioè, che scaturisce dal bisogno di soddisfare altre esigenze. I viaggiatori si spostano. per esempio, perché devono recarsi al lavoro, nei luoghi di studio, per fare acquisti o per divertirsi mentre le merci vengono trasportate dai luoghi di produzione a quelli di consumo. Le condizioni di offerta di servizi di trasporto e l’assetto territoriale delle localizzazioni produttive, di consumo e residenziali contribuiscono, inoltre, a definire l’entità e le caratteristiche degli spostamenti che si realizzano in una data area e in un determinato periodo. Dietro la domanda di trasporto esistono, pertanto, una molteplicità di soggetti e di condizioni che impongono di volta in volta un processo di caratterizzazione secondo diversi parametri del fenomeno considerato al fine di pervenire ad una modellizzazione utile all’individuazione delle variabili esplicative della mobilità delle persone o delle merci. Nella definizione data sopra di domanda di trasporto si possono individuare tre elementi centrali che possono essere assunti come guida per una prima e generale delimitazione delle diverse situazioni di mobilità dei viaggiatori o delle merci (Cascetta, 1990 e 1993): a) il tipo di viaggiatore o di merce che si sposta o che viene trasportata; b) le caratteristiche spaziali dell’area-origine e dell’area-destinazione (O-D); c) l’arco temporale di riferimento. Per quanto riguarda il primo elemento è essenziale nella fase di formalizzazione della modellistica tenere separata la domanda di trasporto dei viaggiatori da quella relativa al trasporto delle merci. La distinzione è rilevante in quanto i due fenomeni di mobilità presentano caratteristiche peculiari che richiedono una trattazione separata. La maggiore eterogeneità delle situazioni da trattare e la maggiore complessità dei fattori determinanti nel caso del trasporto delle merci introducono, infatti, nell’analisi e, quindi, nella modellizzazione degli spostamenti delle merci elementi che non trovano spesso un corrispettivo nell’analisi della domanda di trasporto dei viaggiatori. Alcuni modelli che formalizzano il trasporto delle merci non hanno un corrispettivo per la domanda dei viaggiatori e, quando anche vengono applicati gli stessi schemi teorici di riferimento, si è obbligati, nel caso delle merci, a procedure di specificazione dei dati più articolate e segmentate. 1 A complicare ulteriormente l’analisi della domanda per il trasporto merci si aggiunge, alla specificazione dell’oggetto, una maggiore attenzione da porre alla pluralità dei soggetti che entrano nel processo di scelta (le catene logistiche door-to-door). Il secondo elemento riguarda lo spazio territoriale entro cui si realizza lo spostamento che viene delimitato dalla coppia Origine-Destinazione tra cui si muovono i flussi considerati . Per quanto riguarda il trasporto dei viaggiatori la più rilevante distinzione che viene effettuata è quella tra il trasporto dei viaggiatori su medie e lunghe distanze e quello a breve raggio che solitamente viene trattato come trasporto dei viaggiatori in contesti locali extraurbano o urbano. Per le merci l’equivalente scomposizione riguarderebbe il trasporto su medie-lunghe distanze ed il trasporto urbano delle merci a seconda che si faccia riferimento agli spostamenti connessi alle fasi di produzione del bene o alla sua distribuzione sul mercato finale. Per quanto riguarda il trasporto delle merci su medie e lunghe distanze un ulteriore distinzione che viene fatta , operando a livello nazionale, è quella tra trasporto interno e trasporto internazionale sussistendo in genere condizioni di mercato e di competitività tra i diversi modi di trasporto molto differenti. L’ultimo elemento che consente di delimitare il fenomeno in esame è legato all’arco temporale di riferimento dei flussi considerati. Questo aspetto è importante in quanto in generale la domanda di trasporto assume valori diversi a seconda del periodo temporale di riferimento ma , ai fini della modellistica, introduce solo il problema della comparabilità delle variabili esplicative del fenomeno e della generalizzazione a fini estrapolativi dei risultati acquisiti. Sulla base di quanto detto la presentazione della modellistica con la quale viene formalizzata l’analisi della domanda di trasporto verrà effettuata facendo riferimento separatamente alle due macro-tipologie sopra definite della domanda di trasporto di viaggiatori e della domanda di trasporto delle merci. E’ opportuno sottolineare, comunque, che luna buona parte della modellistica per il trasporto merci si sia sviluppata come adattamento di schemi analitici introdotti per la domanda di viaggiatori fermo restando gli aggiustamenti relativi alla messa a fuoco delle specificità descrittive che emergono nella fase di individuazione delle variabili esplicative e delle unità di osservazione. Diversi autori hanno proposto nei loro lavori schematizzazioni della modellistica sulla domanda di trasporto delle merci e dei viaggiatori nel tentativo di individuare delle aree comuni entro cui ricomporre i vari e molteplici aspetti della domanda di trasporto trattati nella letteratura scientifica e tecnica mondiale I risultati non sono molto dissimili nella sostanza, anche se, un uso non standardizzato della terminologia e il prevalere di chiavi di classificazione non completamente omogenee rende difficoltosa stabilire esatte ed univoche corrispondenze tra le diverse tipologie di modelli presentate. Rassegne ampie ed articolate si ritrovano in Naddeo (1980) Eastmann (1982), Winston (1986), Fusco e Gori (1990) per le merci e Del Viscovo-Naddeo (1976), Fischer (1992) e Biggerio (1994) per i viaggiatori. Particolarmente ampia e ricca di commenti è, inoltre, la rassegna di Ortuzar e Willumsen (1995). Ad esse faremo riferimento nel prosieguo per illustrare le categorie principali, all’interno delle quali vengono ricondotte le varie strumentazioni analitiche e concettuali approntate per l’analisi della domanda di trasporto. 2 CAPITOLO 2. LA DOMANDA DI TRASPORTO DEI VIAGGIATORI Maurizio Caruso Frezza, Ferrovie dello Stato Lo sviluppo e l’avanzamento degli studi riguardanti l’analisi della struttura e dei determinati della domanda di trasporto dei viaggiatori si è cpncretizzato in questi ultimi decenni nella produzione di modelli tendenti a fornire non solo le basi per esercizi di previsione o di simulazione ma anche per consentire a ricercatori e operatori del settore una concettualizzazione per quanto possibile precisa dei fattori e dei vincoli che condizionano le decisioni di mobilità che si manifestano sul territorio. Nonostante sia grande la varietà dei modelli di analisi proposti in letteratura, ciò non di meno, è possibile ricondurre i modelli di domanda di trasporto di viaggiatori nell’ambito di tre grandi impostazioni di ricerca : 1) l’impostazione tradizionale a quattro stadi che è caratterizzato da un uso di tipo aggregato e descrittivo dei dati di domanda; 2) l’impostazione di tipo microeconomico che concentra l’attenzione sul comportamento dei viaggiatori e sul suo processo di scelta che privilegia l’uso di dati di domanda a livello individuale; 3) l’impostazione di tipo activity-oriented che inserisce il comportamento di viaggio degli individui all’interno della sfera quotidiana di impegni ed attività che ciascun individuo compie e degli stili di vita individuali o familiari resi effettivi. Nel seguito la presentazione della modellistica sulla domanda di trasporto di viaggiatori seguirà questa articolazione in modo da facilitare la comprensione dei fondamenti teorici e dei punti di riferimento a concettuali su cui i singoli modelli si sviluppano. 2.1. I modelli di domanda a quattro stadi La metodologia dei modelli di domanda a quattro stadi, nota anche come Urban Transport Planning (UTP) in relazione alle applicazioni che di essa è stata fatta nei contesti urbani americani, è stata formulata negli anni ‘50 e ‘60 ed è andata a costituire nel corso degli anni il nucleo di base per l’analisi della domanda di trasporto nell’ambito dei processi di pianificazione dei sistemi di trasporto. Questa fornisce la struttura portante sulla quale si sono sviluppate e continuano ad esserlo ancora oggi numerose applicazioni pratiche prestandosi, per la modularità sequenziale che la caratterizza, a sviluppi teorici e ad adattamenti specifici alle realtà concrete. Con l’uso di questi modelli ci si propone di spiegare, operando a livello aggregato, la struttura spaziale e modale degli spostamenti effettuati tra differenti aree geografiche, considerate alternativamente come aree di generazione o di destinazione degli spostamenti. In questi modelli la mobilità nella sua dimensione assoluta viene presentato come prodotto di aree territoriali che interagiscono in funzione delle loro caratteristiche socio-economiche e spaziali (si parla di caratteristiche del land-use). Per questa categoria di modelli vengono utilizzati dati di domanda organizzati in modo da poter individuare i flussi di domanda che si svolgono nell’unità temporale di riferimento su ogni relazione Origine-Destinazione del territorio esaminato. L’analisi che viene, così, effettuata rientra tra le analisi aggregate (viaggiatori o gruppi di viaggiatori considerati nel loro complesso senza specificare ipotesi di comportamento a livello individuale). 3 Operando su questi flussi vengono costruiti quattro tipologie di modelli logicamente connessi in successione in modo da passare dalla distribuzione territoriale degli spostamenti sugli archi O-D alla ripartizione per modo di trasporto della domanda di trasporto complessiva all’assegnazione dei flussi sulla rete infrastrutturale che assicura il collegamento fisico delle origini con le destinazioni. Lo schema a quattro stadi si fonda su quattro tipologie di modelli di domanda, ciascuno dei quali tratta un particolare aspetto del fenomeno come viene descritto nei sottoparagrafi successivi. Questo tipo di approccio basato sui modelli a quattro stadi, noto anche come “approccio tradizionale” ha trovato ampio seguito per la sua versatilità ed adattabilità alle situazioni applicative più comuni. In Italia una particolare applicazione di questi modelli è stata effettuata per prevedere la domanda attratta dall’introduzione dei treni ad alta velocità (AV) su diverse linee ferroviarie. Gli studi di fattibilità delle linee ferroviarie AV Milano-Battipaglia (Ferrovie dello Stato, 1988 e Tech.A.V. .Tpl.A.V., 1993) e Torino-Venezia (Ferrovie dello Stato, 1993) fanno riferimento ad una matrice O-D zonale ed impiegano modelli di regressione lineare per la generazione, modelli gravitazionali per il modello di distribuzione e modelli di tipo logit miltinomiale per la scelta modale sui modi aereo,treno,auto e autobus con diversi livelli di approfondimento per quanto riguarda i motivi di viaggio ( lavoro/studio, affari professionali, turismo, svago ). 2.1.1. 1^ fase: I modelli di genarazione e attrazione (trip generation / attraction) Il primo sottomodello è rappresentato dal modello di generazione o di attrazione degli spostamenti (trip generation/attraction) nel quale viene posto in relazione il flusso di domanda con il “peso” dell’area da cui il flusso trae origine o trova destinazione. assumendo che questo sia tanto più elevato quanto maggiore è l’importanza dell’origine. o della destinazione. La fase di generazione/ attrazione degli spostamenti si propone, pertanto, di stimare il numero degli spostamenti generati da una data origine e attratti da una data destinazione comprese nell’area di studio . In questa fase si risponde alla domanda “Quanti spostamenti si originano in ciascuna zona? Quanti spostamenti sono attratti da ciascuna zona? Questo approccio è quello tradizionale a livello aggregato; Ma il problema può essere visto anche nei termini di un problema di scelte del numero di spostamenti da compiere : Quanti spostamenti sono effettuati da una certa categoria di persone in una settimana media? se posta in questi termini il problema può essere affrontato utilizzando i modelli comportamentali o di scelta discreta (discrete choice approach) ma per questo si rinvia al paragrafo successivo. In questi modelli la variabile dipendente considerata è rappresentata dai flussi di domanda in termini assoluti (n° di spostamenti di persone o veicoli, a secondo dell’interesse) che si originano in un certo periodo da una data area territoriale di riferimento - la zona ,per usare un termine tecnico, che è costituita da un raggruppamento di unità territoriali più piccole con caratteristiche socio-economico-spaziali omogenee -. La relazione tra flussi di domanda assoluti generati da una data origine viene generalmente effettuata attraverso l’analisi di regressione multipla o calcolando dei valori medi di generazione in corrispondenza di una analisi per categorie della domanda (per tipo delle famiglia, per esempio). 4 Questo primo sottomodello permette di esprimere i flussi generati o attratti di ogni zona in funzione delle sue caratteristiche ma non consente ancora di sapere quali siano le destinazioni dei flussi in uscita dalla zona . A questo tipo di modelli si suole attribuire l’individuazione delle componenti tendenziali del livello della domanda in quanto questa viene assunta in funzione dell’evoluzione del sistema di attività nelle origini degli spostamenti (Biggerio,95). Per la definizione di un modello di generazione si ritiene fondamentale differenziare la modellistica in relazione allo scopo del viaggio, all’ora del giorno, alla categoria del viaggiatore. Queste categorie assumono differente rilevanza a secondo che si considerano spostamenti interzonali o all’interno della zona considerata. Per quanto riguarda lo scopo dello spostamento si distinguono le seguenti finalità : - lavoro - studio - fare acquisti - vacanza o divertimento - impegni occasionali (ricevere delle cure mediche, sbrigare delle pratiche burocratiche, accompagnare un parente per esempio). A questa classificazione classica per scopo del viaggio si deve aggiungere quella di chi ritorna a casa il cui comportamento come evidenziato da Hall et al. (1987) presenta caratteristiche specifiche che conviene esaminare a parte. Per quanto riguarda la distinzione per fasce orarie nel corso della giornata è rilevante, invece, soprattutto per l’analisi della mobilità urbana, la distinzione tra ore di punta e ore di morbida mentre le categorie di viaggiatori più usualmente considerate sono quelle per livello di reddito, possesso dell’automobile, struttura ed ampiezza della famiglia. Tra i fattori che influiscono sulla generazione dei viaggi i più utilizzati risultano, invece :il reddito, il possesso dell’automobile, la struttura e l’ampiezza delle famiglia, le caratteristiche d’uso del territorio, la densità residenziale, l’accessibilità. I primi quattro sono stati utilizzati per studi di generazione di viaggi per famiglia, gli altri sono tipici per gli studi zonali. L’accessibilità , intesa nel senso di facilità o difficoltà nel fare un viaggio da o verso una determinata località, viene introdotta per collegare la generazione e/o l’attrazione dei flussi alle caratteristiche del sistema di trasporto. E’ una variabile che, se può non essere molto significativa per gli spostamenti obbligatori, può essere molto rilevante quando il motivo del viaggio è discrezionale, come quello legato agli acquisti di beni di consumo da parte delle famiglie. Per quanto riguarda, infine, la capacità di attrazione si possono considerare la disponibilità di servizi industriali o commerciali, i livelli di produzione o di occupazione della zona, oltre, chiaramente ad una misura di accessibilità (tempi di spostamento, distanze etc.). I modelli a fattore di crescita. I modelli a fattore di crescita si basano sulla seguente equazione : T1i= Fi T0i dove si sono indicati con T1i e T0i rispettivamente i viaggi generati dalla zona i nel periodo corrente e per il futuro e con Fi il fattore di crescita. Il problema è, in questo caso, quello di stimare il fattore di crescita Fi . 5 Il fattore di crescita è normalmente stimato calcolando la variazione tra il periodo corrente e quello di previsione di una funzione di variabili quali la popolazione della zona, il reddito e il possesso di automobili che si assumono influenzare gli spostamenti. Questo metodo è molto semplice ma sposta l’attenzione dal valore assoluto degli spostamenti ai determinanti del tasso di crescita. Può essere, quindi visto come un metodo per trattare variazioni invece che valori assoluti ( si vedano anche i modelli pivot illustrati successivamente) . I modelli di regressione multipla. Si distinguono due grosse categorie di modelli a secondo che si utilizzino matrici di flussi interzonali o dati distinti per famiglia . Con i dati interzonali si stabilisce una relazione lineare tra il numero degli spostamenti prodotti o attratti da una zona e le caratteristiche medie socio-economiche delle zone stesse. I modelli possono essere costruiti in termini assoluti o standardizzando rispetto alla dimensione della zona in modo da avere delle relazioni sotto forma di indici (questo è utile per tenere sotto controllo fenomeni di multicollinearità tra le variabili considerate in livello assoluto). La variabilità dei flussi si riduce se aumenta l’ampiezza delle zone e, quindi, se se ne riduce il numero. Analoghi modelli vengono costruiti per stimare i flussi di viaggi o viaggiatori attratti da ciascuna zona. Per i soli modelli di generazione è possibile, in alternativa ai dati zonali, utilizzare i dati sulle caratteristiche strutturali e comportamentali delle famiglie (household-based models). In questi modelli ciascuna famiglia è considerata come unità di osservazione : la variabile analizzata è il numero di viaggi generati in un certo periodo dalla famiglia mentre le variabili esplicative sono quelle relative, per esempio, all’ampiezza e alla struttura familiare, al reddito, al numero di autovetture possedute o ai modi di comportamento dei membri della famiglia. Questi modelli vengono utilizzati soprattutto per analizzare i flussi intrazonali con riferimento cioè alla mobilità sistematica e occasionale su scala urbana. Sulle tecniche di analisi impiegate per costruire modelli di trip generation si possono consultare FHWA (1967) e Douglas and Lewis ( 1970). I modelli di regressione che stimano i flussi attratti e generati da ciascuna zona non garantiscono che il totale dei flussi generati dalle n zone in cui è stato suddiviso il territorio (considerate come zone-origine) corrisponda al totale dei flussi attratti dalle medesime zone (considerate come zone-destinazione). Per assicurare questa uguaglianza, fondamentale per la formulazione dei modelli di trip distribution, si usa in genere assumere come valido il totale del modello stimato con più accuratezza (in genere il modello di generazione) e, quindi, adattare in proporzione i flussi stimati del modello complementare ( i flussi attratti). Il metodo cross-classification di analisi per categoria o di classificazione incrociata (category analysis or cross-classification). Questo metodo, che si è sviluppato alla fine degli anni ‘60 soprattutto nel Regno Unito, consiste nello stimare il numero dei viaggi generati per famiglia (tassi di generazione) 6 per un certo scopo e per ogni classe relativa alle caratteristiche strutturali e comportamentali della famiglia e, quindi, nell’espandere all’intera zona esaminata l’insieme dei tassi di generazione “specifici” così stimati. Esso si basa sull’assunzione che i tassi di generazione dei viaggi sono relativamente stabili nel tempo per determinate stratificazioni delle famiglie. Poiché questo metodo stima questi tassi di generazione per ciascuna classe di famiglie l’obiettivo principale che si pone è quello di costruire classi di famiglia con la varianza minima del tasso di generazione nella classe. La procedura di stima richiede, tuttavia, un gran numero di dati e l’applicazione delle procedure di ricerca della variabilità interna minima non sempre sono di facile e di pratica attuazione. Per quanto riguarda, invece, le previsioni il problema fondamentale è quello di riuscire a prevedere il numero delle famiglie per ciascuna classe. Per far questo in genere si costruisce una funzione di probabilità congiunta dipendente dal reddito, dalla struttura familiare e dal possesso di auto e la si applica al totale delle famiglie della zona. Si stima così il numero delle famiglie della zona i.ma che appartengono alla classe generica h.ma individuata per esempio sulla base del reddito familiare, della struttura della famiglia e dal tipo di autovetture possedute alla quale viene applicato il tasso di generazione corrispondente. Per un’applicazione di questa metodologia si può consultare il lavoro di Douglas e Lewis (1971). Rientrano in questa categoria di modelli di generazione i modelli di analisi per classificazione multipla (MCA models) dei quali si può trovare un esempio in Stopher e McDonald, (1983) . I modelli MCA stimano i tassi di generazione per incroci di variabili combinando, in base a determinate ipotesi di indipendenza o di interazione reciproca, i tassi di generazione marginali delle singole variabili di stratificazione. Una struttura analoga a quella dei modelli basati sulla stratificazione delle famiglie sono quelli basati sulle categorie di individui che presentano il vantaggio di essere più facilmente disponibili (Supernak et al. 1983). La relazione che si considera , in questo caso, è la seguente : Ti = Ni j aji tj avendo indicato con Ti il numero totale di viaggi fatti dagli abitanti della zona i-ma, con Ni il numero degli abitanti della zona i-ma, con aji la percentuale degli abitanti appartenenti alla categoria j-ma della zona i-ma e con tj il tasso di generazione dei viaggi, cioè il numero di viaggi fatti durante un certo periodo di tempo in media da una persona appartenente alla categoria j . 2.1.2. 2^ fase: i modelli di distribuzione (trip distribution) I modelli di generazione possono essere usati per stimare il numero totale di viaggi che si originano da una zona (generazioni) e quelli che sono attratti dalla zona medesima (attrazioni). L’informazione che viene fornita è, pertanto, quella, sugli spostamenti che una data zona nel complesso genera o attrae, senza alcuna specificazione dell’insieme delle destinazioni per quanto riguarda i flussi generati o dell’insieme delle origini per quanto riguarda, invece, i flussi attratti. 7 Per questa ulteriore finalità conoscitiva si ricorre, invece, ai cosiddetti modelli di distribuzione (trip distribution), che consentono, dopo che con i modelli di generazione si è individuato l’ammontare assoluto dei flussi generati da ogni origine, di attribuire i flussi ad ogni relazione O-D. Esempio di matrice O-D Zone dest inazione At t razioni Zone origine Tot ali Generazio ni 1 2 3 ... j n 1 T11 T12 T13 ... T1j T1n T1. 2 T21 T22 T23 ... T2j T2n T2. 3 T31 T32 T33 ... T3j T3n T3. Tij Tin Ti. Generazioni : i ... Ti1 Ti2 Ti3 : ... ... n Tn1 Tn2 Tn3 ... Tnj Tnn Tn. Tot ali At t razioni T.1 T.2 T.3 ... T.j T.n T I modelli di distribuzione si basano su tre elementi fondamentali : a) il numero degli spostamenti generati da una zona di origine; b) le caratteristiche che definiscono il grado di attrazione delle zone di destinazione; c) l’effetto negativo indotto sugli spostamenti dalla separazione spaziale della zona origine dalle zone destinazione (in termini di distanza, di tempi o di costo o da una combinazione di questi ultimi sotto forma di costo generalizzato ). Alla categoria dei modelli di tipo distributivo si ascrivono i modelli gravitazionali, i modelli di massimizzazione entropica, i modelli delle opportunità interposte (intervening-opportunities model). Il collegamento con la fase precedente può essere schematizzato riportando i dati stimati in una matrice O-D in cui viene ordinato l’insieme degli spostamenti che si verificano tra le n zone in cui è stato suddiviso il territorioin esame. Sulla diagonale principale sono riportati i flussi intrazonali mentre i totali di colonna forniscono il totale degli spostamenti attratti da ogni zona e quelli per riga il totale degli spostamenti originati dalla zona i-ma. Questi due ultimi dati vengono stimati dai modelli di generazione e/o attrazione visti nella fase precedente. I modelli gravitazionali. Sono i modelli più utilizzati, soprattutto a livello aggregato, non solo per i loro vantaggi teorici ma anche per l’ampia disponibilità di pacchetti software per la loro calibrazione ed utilizzazione. Questi modelli si richiamano alla teoria gravitazionale di Newton e postulano una relazione tra il numero degli spostamenti tra una zona i di origine ed una zona j di destinazione Tij , la capacità di generazione della zona i, la capacità di attrazione della zona j ed una misura che sintetizza l’effetto di disincentivo del viaggio indotto dalla “separazione” geografica tra la zona i e la zona j. La formulazione generale del modello può essere espressa dalla relazione : 8 Tij = a Pi Pj -----------f(cij) in cui Pi e Pj rappresentano rispettivamente la capacità di generazione della zona i e quella di atttrazione della zona j mentre f(cij) è una funzione delle variabili cij che costituiscono un deterrente per l’effettuazione del viaggio (il tempo od il costo del viaggio p.es.). Le funzioni più usate in letteratura risultano la funzione esponenziale e la funzione potenza , trattate singolarmente o in forma combinata. I modelli gravitazionali, stimando il set dei flussi Tij , richiede che siano rispettati i vincoli sui totali per zona dei flussi generati ed attratti. La relazione viene quindi ritrascritta in modo da inserire due fattori di bilanciamento Ai e Bj che viene stimata con procedura iterativa e con tecniche di biporzionamento matriciale (modelli gravitazionali vincolati). Esempi di procedure di bilanciamneto si ritrovano, tra gli altri, in Furness (1965) e Lamond and Stewart (1981). Per i problemmi connessi alla calibrazione dei modelli gravitazionali si possono consultare , tra gli altri, i lavori di Hyman ( 1969) e Williams (1976). I modelli di massimizzazione dell’entropia. Con questo termine si fa riferimento ai modelli che si ricavano applicando una tecnica matematica che stima le n componenti (le Tij nel nostro caso ) di un determinato insieme (il totale T degli spostamenti) essendo note K <n loro aggregazioni (le Ti. e le T.j viaggi generati e attratti da ciascuna zona) in modo da ottenere per ogni coppia (i,j) di zone il numero Tij che massimizza sotto ipotesi di equiprobabilità dei comportamenti individuali la probabilità associata all’insieme delle n x n Tij soggetta al vincolo dei totali generati e attratti di ogni zona. La funzione da massimizzare è data da : W = T! / ij Tij ! sottoposta ai vincoli j Tij = O i i Tij = D j Tij 0 Si dimostra (Wilson, 1970 e 1974) che se a questi vincoli si aggiunge il vincolo aggiuntivo dato da una funzione di deterrenza totale del sistema, la massimizzazione della funzione di entropia W conduce al classico modello gravitazionale bilanciato visto nella sezione precedente. L’approccio della massimizzazione dell’entropia si propone, pertanto, più che come un modello vero e proprio come una procedura di stima matematica dei modelli gravitazionali alternativa ai metodi tradizionali di bilanciamento bi o multiproporzionale. I modelli delle opportunità interposte. Alla base di questi modelli sta l’idea che la scelta di una destinazione è legata non tanto alla distanza quanto all’accessibilità relativa alle opportunità che ogni luogo offre per soddisfare lo scopo per cui si viaggia. 9 Una maggiore distanza, in questo caso, può essere compensata da un maggior livello di opportunità presente nella zona considerata rispetto a quanto esistente in zone più vicine. Questo tipo di approccio risale a Stouffer (1940) ma è stato sviluppato nell'impostazione attualmente più impiegata da Schneider(1959). In questi modelli i flussi Tij vengono stimati ripartendo il totale del flusso generato dalla zona i in proporzione ad un termine dato dalla differenza tra la probabilità che un generico individuo della zona i non sia soddisfatto dalle dotazioni esistenti nelle m-1 zone più vicine della zona j e la probabilità che lo stesso individuo non sia soddisfatto da nessuna delle altre opportunità presenti nelle n-m zone più distanti della zona j. Per illustrare meglio il criterio di ripartizione adottato si consideri la relazione (i,j) tra una zona i e la zona di destinazione j e si assuma che la distanza tra i e j sia superiore a quella esistente tra la stessa zona i ed le altre, per esempio, m-1 destinazioni. In questo caso il viaggiatore che volesse spostarsi dalla zona i per soddisfare una determinata esigenza avrebbe, pertanto, come alternativa alla zona j, m-1 zone più vicine e la decisione relativa al luogo di destinazione dello spostamento verrà presa valutando le opportunità che ciascuna destinazione offre. Così procedendo, incrociando la dotazione di opportunità delle zone più vicine a quella effettivamente scelta per effettuare lo spostamento con la dotazione di opportunità delle zone ad essa più lontane si determinano, sulla base di una matrice nota di flussi Tij e di un vettore delle opportunità presenti in ciascuna zona, le probabilità che un individuo della zona i scelga come destinazione la zona j. Benché interessanti questi modelli sono, tuttavia, poco utilizzarti sia perché la base teorica è più complessa sia perché il loro trattamento pratico è più difficoltoso. E’ stato dimostrato, inoltre, che è possibile derivare modelli di questo tipo adottando l’approccio di massimizzazione dell’entropia (Wilson,1970). 2.1.3. 3^ fase: i modelli di ripartizione modale (modal split ) Le prime due fasi del processo di modellizzazione della domanda di trasporto tra zone geografiche individuano per ogni relazione O-D il flusso di domanda senza distinguere, però, le modalità di trasporto impiegate per effettuare lo spostamento. A questa esigenza sopperiscono, nella terza fase del processo di modellizzazione, i modelli di ripartizione modale. I modelli di ripartizione modale rispecchiano la struttura logica dei modelli di scelta del consumatore, pur operando a livello aggregato. Due sono le classificazioni dei modelli di ripartizione modale più rilevanti : la prima distingue i modelli di ripartizione a secondo che siano sviluppati congiuntamente ai modelli di distribuzione (v. oltre i modelli diretti di domanda) o siano da essi tecnicamente distinguibili. Nel primo caso si stima il flusso degli spostamenti che si realizza per ciascun modo su ogni O-D in un’unica soluzione; nel secondo caso ciò che viene stimato è la ripartizione relativa fra modi del flusso totale senza individuarne l’entità assoluta. La seconda classificazione riguarda, invce, la natura delle variabili introdotte per spiegare le scelte modali. La distinzione, in questo caso, è tra modelli di ripartizione modale per modi di trasporto specifici e modelli di ripartizione modale “astratti”. Nei primi le variabili esplicative introdotte fanno riferimento alle caratteristiche tecniche e di servizio di ogni tipo di mezzo esistente, i secondi, ispirandosi alle teorie di 10 Lancaster (1966) , definiscono uno spazio delle caratteristiche che generalizza gli attributi dei modi di trasporto specifici connessi alle decisioni di mobilità. Il grande vantaggio dei modelli astratti sta nel fatto che si prestano ad essere applicati a nuove modalità di trasporto senza procedere ad ulteriori specificazioni, dal momento che questi possono essere definiti assegnando definiti valori alle caratteristiche comuni ai vari modi. Di seguito viene presentato un elenco dei fattori che maggiormente influenzano la scelta modale tratto da Ortuzar e Willumsen (1995). Si possono distinguere, in partiicolare, tre gruppi di fattori : 1o gruppo : caratteristiche connesse con il viaggiatore - disponibilità o possesso di un’autovettura, - possesso di patente di guida, - struttura della famiglia di appartenenza (coppia giovane, con figli, pensionati, singles etc.), - reddito, - caratteristiche del luogo di residenza. 2o gruppo : caratteristiche connesse con il viaggio - lo scopo del viaggio, - orario di effettuazione del viaggio. 3o gruppo : caratteristiche connesse al servizio di trasporto Fattori quantitativi - tempo di viaggio, - costo monetario, - disponibilità e costo del parcheggio. Fattori qualitativi - comfort ed accessibilità, - affidabilità e regolarità del servizio, - livello di sicurezza. I modelli di scelta che si basano su dati zonali riguardanti il complesso della popolazione si definiscono aggregati e sono noti come modelli di “modal split” mentre quelli che utilizzano dati individuali o per famiglia si definiscono disaggregati e sono noti come modelli di “modal choice” e vengono fatti rientrare più propriamente tra i modelli comportamentali che verranno esposti nella sezione successiva. I modelli di ripartizione modale si distinguono, inoltre, in modelli bimodali e in modelli multimodali in relazione al numero dei modi di trasporto alternativi considerati (due o più modi di trasporto). Per entrambi i modelli, tuttavia, la struttura logica generale è la stessa anche se i modelli disaggregati consentono di introdurre specificazioni nelle variabili di scelta più accurate e specifiche rispetto ai modelli che operano sul dato aggregato dei viaggiatori. In entrambi i casi, infatti, viene stimata la ripartizione modale dei viaggi : sotto forma di proporzione dei viaggi effettuati con ciascun modo dalla popolazione, nel caso dei modelli aggregati, o sotto forma di probabilità che un individuo scelga un dato modo di trasporto per compiere lo spostamento tra la zona i e la zona j, dato un vettore di attributi del viaggiatore e del sistema di trasporto, nel caso dei modelli disaggregati. La forma funzionale che maggiormente viene utilizzata nei modelli di ripartizione è quella del modello logit che , per i modelli aggregati assume la seguente espressione : P h ij = T h ij / Tij = exp(- Ch ij) ---------------11 k = 1, 2, ... m kexp(- Ckij) avendo indicato con Ph ij la frazione dei viaggi tra la zona i e la zona j effettuati con il modo h e con Chij una funzione composita delle caratteristiche connesse allo spostamento con il modo di trasporto h tra la zona i e la zona j . L’indice k si riferisce al generico modo di trasporto tra gli m modi alternativi considerati. Il modello logit presenta importanti proprietà tra le quali,in particolare, con riferimento al modello bimodale : - la generazione di una curva ad S all’ampliarsi della differenza tra C1 e C2 ovvero del divario competitivo di un modo rispetto all’altro come per le curve empiriche di diversione; - a parità di caratteristiche la ripartizione dei viaggi tra i due modi avviene in parti uguali (C1 =C2 ); - se le caratteristiche competitive del modo di trasporto 1 tendono ad essere nettamente inferiori a quelle del modo di trasporto 2 alternativo i viaggiatori tendono a spostarsi tutti su quest’ultimo nel qual caso P2ij tende ad 1. Per quanto riguarda invece i modelli di ripartizione multimodale esistono tre tipologie fondamentali di strutture : - la struttura ad N-uscite (N-way structure) è la più semplice ed è molto utilizzata nei modelli disaggregati ma assume che tutte le alternative hanno uguale peso e crea dei problemi quando alcune opzioni sono più simili di altre come riportato per esempio da Mayberry (1973); - la struttura “del modo aggiunto” che introduce scelte binarie successive (confronto successivo a due a due); - la struttura gerarchica o nested o concatenata nelle quali le opzioni che sono molto simili o correlate tra di loro sono trattate in una prima fase congiuntamente per poi essere separate in una seconda fase di scelta . Per una ampia e dettagliata illustrazione dei metodi di calibrazione di questi modelli si può consultare il lavoro di Ben Akiva e Lermann(1985). Per quanto riguarda i contributi italiani si possono consultare i lavori di (Reggiani e Romanelli,1988) e (Bielli e Reggiani, 1991). I modelli di domanda diretti. Un approccio alternativo a quello tradizionale fin qui esposto è quello che si basa sulla stima simultanea della generazione, della distribuzione dei viaggi e della scelta modale ricorrendo a modelli sostanzialmente uniequazionali. Questi modelli vengono definiti, proprio in quanto non si articolano per fasi successive, con il termine di modelli diretti di domanda. Esistono in pratica due tipologie di modelli diretti di domanda : i modelli diretti “puri” o di tipo econometrico, che utilizzano una sola equazione per mettere in relazione la domanda di trasporto con gli attributi del viaggio, del modo e del viaggiatore ed i modelli quasi-diretti, che introducono forme di separazione tra la stima dei totali e quella delle ripartizioni modali. Le prime formulazione dei modelli diretti di domanda hanno utilizzato degli schemi moltiplicativi come nel modello SARC di Kraft (1968) che stima la domanda per modo k tra una zona i ed una zona j Tijk sulla base di una funzione moltiplicativa di variabili socio-economiche e degli attributi del livello di servizio delle modalità di trasporto per coppie di zone . 12 Lo schema moltiplicativo consente di considerare i coefficienti delle variabili in termini di elasticità della domanda ai singoli fattori.Si veda a tal proposito Manheim (1979). Rientrano in questa categoria i modelli noti come modelli di Quandt e Baumol, McLynn (McLynn and Woronka, 1969) di Monsod (1969) e di Young (1969). Una presentazione critica di questi modelli si ritrova nella rassegna di Del Viscovo e Naddeo (1976). Si tratta di modelli congiunti di distribuzione e di ripartizione modale che considerano i due fenomeni della distribuzione dei flussi e della ripartizione modale strettamente connessi ai fattori di impedenza che caratterizzano ciascuna O-D in termini di difficoltà degli spostamenti da una determinata zona alle altre. Questa difficoltà di spostamento tra una zona e l’altra può essere rappresentata dalla distanza geografica tra le due zone o dai tempi di spostamento, considerati singolarmente o anche insieme a tutte quelle caratteristiche di servizio e di costo del sistema di trasporto che gravano sul viaggiatore che si sposta da una zona all’altra. In quest’ultimo caso si parla generalmente di “costo generalizzato” dello spostamento. Il modello di Quandt e Baumol è soprattutto noto in quanto impostato in modo da configurare un modello di domanda “astratto”. Quandt e Baumol applicano, infatti, la teoria del consumatore di Lancaster (1966) secondo la quale ogni bene viene richiesto in quanto dotato di un insieme di “caratteristiche”, in quantità e proporzioni diverse a secondo del bene considerato, che producono “utilità” ,così che ogni bene viene valutato sulla base delle sue attitudini a soddisfare i molteplici bisogni del consumatore. Essi definiscono un modello di domanda considerando tipologie di modalità astratte, ottenute combinando quantità differenti di “caratteristiche”. Seguendo questo approccio ogni mezzo di trasporto viene scomposto in termini di attributi generici che sono gli stessi per tutti i modi considerati ma che assumono valore diverso da modo a modo fornendo, così, utilità differenti . Il viaggiatore fa la sua scelta massimizzando questa utilità. Nel corso degli anni il modello iniziale di Quandt e Baumol è stato sottoposto a varie riformulazioni per risolvere problemi di coerenza e di attendibilità delle stime. Una versione aggiornata del modello di Quandt e Baumol che consente di superare una serie di problemi di coerenza del modello originario è stato proposto da Crow, Young e Cooley (1973). Questi stessi autori hanno sottoposto a verifica anche altri modelli congiunti di distribuzione e di ripartizione tra i quali i modelli di McLynn e di Young. La struttura moltiplicativa del modello di McLynn, in particolare, è scomponibile in una parte che fornisce la distribuzione dei flussi sugli archi e da una seconda parte che esprime la frazione di domanda assorbita dal modo di trasporto k sull’arco (i,j) proporzionalmente al costo generalizzato relativo espresso in funzione delle t caratteristiche di servizio del modo k.. 2.1.4. 4^ fase: I modelli di assegnazione (route choice) L’ultima fase del processo di modellizzazione dei flussi di domanda riguarda i modelli di assegnazione o di scelta del percorso (route choice). Questi ultimi modelli si propongono di attribuire i flussi stimati per ogni relazione O-D e per ogni modo ai possibili “percorsi” che consentono di andare dalla zona origine alla zona destinazione seguendo una logica di ottimizzazione in termini di tempi o di costi generalizzati 13 I modelli di assegnazione dei flussi alla rete si basano su due componenti : un processo ad albero per cercare l’ottimo percorso per ciascun spostamento interzonale ed una procedura per allocare il volume dei viaggi interzonali per modo tra i percorsi Si distingue il caso dei viaggiatori che usano la rete stradale da quelli che utilizzano la rete di trasporto pubblico. In questo ultimo caso, quando l’attenzione è posta sul viaggiatore, i modelli di assegnazione alla rete del trasporto pubblico affrontano il problema della scelta di quali linee di trasporto pubblico utilizzare per recarsi da un luogo ad un altro per minimizzare i tempi ed i costi dello spostamento. Gli obiettivi che i modelli di assegnazione si propongono di raggiungere possono essere sintetizzati in due categorie (Ortuzar e Willumsen op.cit.) : 1a obiettivi primari - ottenere misure aggregate dei flussi che circolano sulla rete; - stimare i costi ed i tempi di spostamento tra una zona ed un’atra per un dato livello della domanda; - ottenere una stima dei flussi per ogni collegamento infrastrutturale. 2 a obiettivi secondari - individuare le infrastrutture utilizzate per ciascuna O-D; - analizzare quali O-D utilizzano una data infrastruttura; - ottenere una stima dei flussi che transiteranno su un nuovo collegamento. Gli input necessari per impostare un modello di assegnazione sono : - una matrice di viaggi espressa in termini di numero di veicoli da mettere in relazione con le relazioni velocità-flussi e capacità, fondamentali per definire il livello di congestione e di servizio di una data infrastruttura; il riferimento temporale per questi modelli dovrebbe distinguere le ore di punta da quelle di minore affollamento, quando si è in presenza di fenomeni di congestionamento; - una descrizione accurata della rete infrastrutturale che metta in evidenza, in particolare, le curve flusso-velocità e flusso-capacità di ciascuna tratta ed i costi di percorrenza di ciascun tratto; - un set di principi o di regole di selezione del percorso. Si assume, inoltre, che il viaggiatore si comporta razionalmente cercando di minimizzare, anche con un percorso di apprendimento, il costo generalizzato dei suoi spostamenti. Una articolata rassegna dei modelli di assegnazione è contenuta in Ortuzar e Williamsen (1995). I modelli basati sul conteggio dei flussi di traffico. I modelli fin qui presentati presuppongono la disponibilità di una matrice O-D degli spostamenti. E’ possibile, però, che la disponibilità informativa parta dal conteggio del traffico sugli archi della rete per poi risalire ai flussi sulle relazioni O-D. In questo caso si tratterebbe di “assegnare” il traffico rilevato sulla rete ad una matrice di origini e destinazioni. Per poter utilizzare i dati di traffico nell’ambito della modellistica a quattro stadi presentata è necessario, tuttavia, introdurre metodi che consentano di ricostruire la matrice O-D che ha originato i flussi di traffico osservati. I modelli che affrontano questo problema si definiscono modelli di traffico (traffic counts-based). 14 Così mentre i modelli di assegnazione trasformano una matrice O-D in una matrice di flussi sugli archi della rete infrastrutturale, i modelli traffic counts- based cercano di stimare una matrice O-D partendo dall’osservazione dei flussi di traffico rilevati per ogni arco o cercano di inserire direttamente nei modelli di domanda funzioni basate sui flussi di traffico in modo da fornire una base alternativa per la calibrazione dei modelli di domanda. Il risultato al quale si perviene, come tra l’altro per i modelli di assegnazione, dipende dai criteri e dalle assunzioni introdotte per restringere il campo delle possibili soluzioni in quanto in generale una matrice di traffico non consente di individuare univocamente la matrice O-D da cui è derivata. Per una presentazione delle tecniche di stima di matrici O-D e di costruzione di modelli che combinano i dati di traffico con i modelli di domanda di tipo gravitazionale o di massima entropia o di opportunità si possono consultare i lavori di Robillard(1975), di Willumsen (1978) e (1981) e di Tamin e Willumsen (1989). 2.2. I modelli di domanda comportamentali o di utilità casuali. Quello che differenzia questa categoria di modelli dai modelli sequenziali o di domanda diretti è la diversa tipologia di dati che viene utilizzata per rappresentare la domanda di trasporto. I modelli comportamentali assumono come unità di osservazione e di analisi gli individui o le famiglie piuttosto che i flussi che si realizzano tra una zona ed un’altra. Cambiando il punto di vista da cui si affronta l’analisi della domanda di trasporto cambia, di conseguenza, il riferimento teorico Mentre nei modelli a quattro stadi si studiano i vari sottomodelli in un contesto di analisi cross-section, in cui sono le variazioni osservate tra O-D a finire sintetizzate nelle stime dei parametri assumendo implicitamente la trasferibilità dallo spazio al tempo della variabilità osservata (ipotesi questa che quasi mai trova, però, in letteratura, una adeguata verifica empirica), nei modelli comportamentali l’attenzione viene posta, invece, sul processo di scelta che ciascun individuo effettua nel tentativo di massimizzare i propri benefici netti. Questi modelli si propongono di applicare la teoria delle scelte discrete ai problemi di scelta delle destinazioni e/o delle modalità esplicitando il processo decisionale che sottende la scelta tra un set di alternative. Essi differiscono dai modelli aggregati presentati nel paragrafo precedente in quanto si basano su scelte osservate fatte da viaggiatori individuali. In generale, in questa categoria di modelli si assume che la probabilità che un individuo scelga una data opzione è una funzione delle sue caratteristiche socioeconomiche e dell’attrattività / desiderabilità relativa dell’opzione rispetto alle opzioni alternative. Per rappresentare l’attrattività di una opzione i modelli comportamentali introducono il concetto di “utilità”, ovvero in termini pratici ciò che un individuo tenta di massimizzare per soddisfare i suoi bisogni. In questi modelli l’utilità che deriva ad un individuo nello scegliere un’opzione k tra le n possibili viene espressa sotto forma di probabilità. I modelli disaggregati o comportamentali presentano rispetto ai modelli aggregati alcuni importanti vantaggi : 1) essendo basati sull’analisi del comportamento individuale si possono ritenere più stabili nel tempo e nello spazio; 15 2) possono essere costruiti utilizzando dati più facilmente reperibili dal momento che ogni osservazione corrisponde ad ogni scelta individuale mentre nei modelli aggregati ogni osservazione si basa su diverse osservazioni individuali. L’uso di dati individuali permette di sfruttare una maggiore variabilità nelle osservazioni rispetto a quanto si può avere dalla ripartizione zonale del territorio e consente, inoltre, di inserire una gamma più ampia di variabili esplicative (sociali, comportamentali, economiche etc.) nelle funzioni di scelta e di costruire segmentazioni più dettagliate dei viaggiatori. 3) i modelli disaggregati sono modelli probabilistici e questo consente di trasferire tutta l’architettura del calcolo probabilistico all’interno della procedura di stima; 4) i coefficienti delle variabili esplicative hanno una diretta interpretazione di utilità marginali dirette (riflettono l’importanza relativa di ciascun attributo) dal momento che la funzione di utilità consente di combinare in modo più agevole e completo i diversi attributi contrariamente a quanto avviene per le funzioni di costo generalizzato dei modelli aggregati. La base teorica di questi modelli è la teoria delle utilità casuali (Domencich e McFadden, 1975) che si fonda sui seguenti postulati : 1) ogni individuo agisce razionalmente, è perfettamente informato e persegue la massimizzazione della propria personale utilità soggetto a vincoli sociali, economici, legali e fisici; 2) ogni individuo si confronta con un set discreto di alternative di scelta alla quale sono associati un insieme di attributi; 3) ad ogni opzione viene associata un’utilita netta per l’individuo j-mo che si compone di una parte sistematica che è funzione degli attributi misurabili dell’opzione j-ma e di una parte casuale che riflette le particolarità individuali o quelle variabili non osservate o osservabili dal ricercatore o, in fase di formalizzazione, gli errori di valutazione commessi; 4) l’individuo dato il suo set di alternative alle quali associa un valore di utilità sceglie quell’opzione che presenta la massima utilità; 5) la massimizzazione di una funzione di utilità che non è deterministica ma casuale o stocastica implica che si costruisca una funzione di scelta sulle probabilità piuttosto che sulle determinazioni introducendo ipotesi distribuzionali sulla componente casuale dell’utilità. Se si assume che la componente casuale è distribuita come una funzione di tipo Gumbel si ottiene il più diffuso modello di scelta discreto noto come modello logit. Se si assume, invece, che la componente casuale segue una distribuzione normale si ottengono i modelli di scelta definiti come modelli probit. E’ proprio la specificazione probabilistica che differenzia i modelli comportamentali o di scelta discreta dai modelli visti in precedenza. Alla base di questa modellizzazione sta l’artificio logico-matematico di considerare le utilità associate a ciascuna alternativa non più deterministiche ma stocastiche , ossia con determinazioni variabili per ogni dato set di attributi, in ragione dell’esistenza di una componete casuale non prevedibile che ingloba in un tutt’uno errori di misurazioni, esclusioni di variabili poco influenti o non osservabili o approssimazioni di altre variabili che producono effetti non facilmente quantificabili. Le prime applicazioni dei modelli di utilità casuali o comportamentali sono stati applicati a problemi di scelta binaria, cioè a due sole alternative, delle modalità di trasporto con l’utilizzo di modelli logit o probit binari; successivamente sono stati sviluppati modelli di scelta modale con più di due alternative (logit multinomiale) o tali da trattare oltre alle scelte modali anche problemi connessi alla scelta della 16 destinazione o alla frequenza dei viaggi (modelli per scelte multidimensionali noti come modelli logit congiunto e modelli nested logit). Ampie e dettagliate illustrazioni di questi modelli si trovano nei lavori base di Ben-Akiva e Lermann (1985) e di Domencich e McFadden (1975). Di seguito viene illustrata la struttura del modello logit binario per dare un esempio di come sulla base della teoria delle utilità casuali si possa modellizzare una funzione di stima. Le utilità associate alle due sole alternative 1 e 2 sulla base di quanto detto al punto 3) possono essere espresse nel modo seguente : U1 = V1 + e1 U2 = V2 + e2 avendo indicato con V1 e V2 la componente deterministica e con e1 e e2 la componente casuale, rispettivamente per le alternative di scelta 1 e 2 . L’alternativa U1 sarà scelta ogni qualvolta risulta U1 U2 . Questa condizione nel caso di variabili casuali si traduce in una probabilità di scelta data da: P(1) = Probabilità (V1 + e1 V2 + e2) = Pr (e2 - e1 V1 - V2 ) da cui risulta che la probabilità di scelta dell’alternativa 1 non dipende dal valore assoluto delle componenti sistematiche ma dalle loro differenze e, quindi sono definibili a meno di una qualunque costante. Questo consente di trattare le utilità come utilità ordinali e di attribuire convenzionalmente un valore medio pari a zero alle componenti casuali. Per esplicitare questa funzione di probabilità è necessario introdurre una ipotesi distribuzionale sulla differenza tra componenti casuali. Se si assume per le componenti casuali una distribuzione normale il modello che si deriva prende nome di modello probit. Questo modello presenta, però, lo svantaggio di non essere facilmente trattabile dal punto di vista analitico, cosicché, in pratica, si preferisce introdurre, come approssimazione della normale, la distribuzione logistica ottenendo un modello logit analogo ai modelli modal split illustrati in precedenza, e in cui risulta : P(1) exp(V1) = ------------------------exp(V1) + exp(V2) Il maggior svantaggio di questa categoria di modelli è che possono essere applicati solo quando le alternative di scelta risultano sufficientemente distinte (incorrelate) in quanto le probabilità di scelta stimate risultano incoerenti quando tra le alternative considerate due di esse risultano presentare gli stessi attributi (indipendenza dalle alternative irrilevanti). Il problema viene risolto passando a considerare modelli come il nested logit che costruiscono una struttura di scelta gerarchica delle alternative. I modelli vengono stimati applicando tecniche delle preferenze rivelate (revealed preference) attraverso il quale è possibile risalire dall’ordinamento delle preferenze osservate alle funzioni di utilità che hanno sotteso la scelta o, in alternativa, tecniche 17 basate sulle preferenze dichiarate (stated preference), ovvero sugli ordinamenti o i punteggi assegnati dagli individui a combinazioni differenti di caratteristiche considerate rilevanti per la scelta. Per una presentazione dei vantaggi e degli svantaggi di ciascun metodo si possono consultare Pearmain et al. (1991) , Wardman (1988) e Ortuzar e Willumsen (1995). I modelli di utilità casuali consentono , una volta stimati i parametri associati agli attributi connessi a ciascuna alternativa, di formulare delle previsioni sul comportamento individuale. Se si vogliono ottenere, pertanto, delle stime a livello aggregato è necessario introdurre dei criteri di aggregazione delle stime individuali attraverso le quali ricostruire il comportamento di scelta dell’intera popolazione considerata. Per far questo, solitamente, si introducono ipotesi sulla distribuzione probabilistica degli attributi sulla popolazione in modo da poter estendere le probabilità di scelta stimate per gruppi omogenei di individui avente le stesse caratteristiche. 2.3. L’approccio di analisi activity-based I modelli aggregati e quelli disaggregati esposti nei paragrafi precedenti trattano la domanda come domanda derivata, in modo implicito, senza, però, approfondire il legame tra attività svolta e spostamento nello spazio e nel tempo. Anche se il trattamento di dati a livello di scelte individuali consente di trattare in modo più approfondito i fattori esplicativi della mobilità resta, però, comune il fatto di spiegare i flussi di traffico ponendo in relazione gli spostamenti degli individui o le loro quote con le caratteristiche socio-demografiche dei viaggiatori, gli attributi del sistema di trasporto e le caratteristiche di utilizzo del territorio. Così facendo viene semplificato il fenomeno della mobilità ma non vengono completamente esplicitate i nessi tra domanda di trasporto e domanda di altre attività. A partire dagli anni ‘80 si è sviluppato un nuovo filone di analisi della domanda di trasporto che si preoccupa , proprio, di recuperare il pieno significato di “domanda derivata” attribuito alla domanda di trasporto. Si tratta dell’approccio denominato human activity- based che , attualmente, più che nuove tecniche modellistiche è andato sviluppando un quadro teorico interpretativo del fenomeno della mobilità enfatizzando le interazioni individuo-famiglia e attività da svolgere - mobilità . La fondamentale particolarità dei modelli che si ispirano all’approccio “Human Activity” sta nell’attenzione che essi pongono al contesto di attività, nelle quali sono calati i comportamenti di mobilità degli individui , cercando di mettere in relazione le scelte di mobilità con i bisogni di chi li effettua e con il sistema relazionale in cui il singolo è inserito. E’ necessario, precisare, che su questo fronte si sta avviando la ricerca e la sperimentazione a livello accademico e che ancora limitati risultano le applicazioni pratiche, in considerazione, anche e soprattutto, del fatto che l’analisi del fenomeno mobilità viene resa più completa ma anche più complicata. L’approccio HAB se fornisce, infatti, da una parte il framework per sviluppare una analisi della mobilità più vicina alla realtà, dall’altra rende il fenomeno più complesso e, questo non facilita la costruzione di schemi formali di agevole applicabilità. D’altra parte, però, il fatto che l’approccio si è andato sviluppando in forma molto generale ha facilitato l’estensione teorica a molteplici contesti di analisi. 18 In particolare, sono stati sviluppati gli studi relativi al modo in cui gli individui ripartiscono il tempo a disposizione fra differenti attività: secondo questa impostazione i comportamenti di mobilità possono essere spiegati valutando il modo in cui gli individui soddisfano i loro bisogni scegliendo quali attività svolgere, dove, quando e come nell’ambito di un sistemi di vincoli predeterminati. Elementi caratteristici di questo approccio sono, come evidenziati da Fischer (1994): 1) il viaggio deve essere considerato nell’ambito della sequenza e dell’intreccio delle attività che gli individui svolgono durante un certo periodo di tempo in vari punti dello spazio; 2) le attività svolte sono finalizzate a soddisfare bisogni elementari (p.es. dormire, mangiare) doveri istituzionali (lavoro, scuola) obblighi familiari (cura dei bambini, shopping) e desideri personali (attività specifiche di svago); 3) c’è tutta una serie di vincoli e di legami che condizionano quando, dove, per quanto tempo, e con chi svolgere una determinata attività; 4) il processo decisionale assume rilievo a livello di famiglia dal momento che deve tener conto dei gradi di parentela e delle interazioni tra i membri della famiglia; 5) il viaggio viene esplicitamente trattato come domanda derivata; esso viene rappresentato come una sorta di meccanismo per spostarsi nello spazio attraverso il quale le persone si muovono per prendere parte ad una successione di altre attività in differenti punti dello spazio e del tempo : un determinato spostamento risulta, pertanto, il risultato della partecipazione ad una determinata attività o di un insieme di attività; 6) le attività giornalmente osservate e lo schema dei viaggi effettuati sono visti come il risultato di un processo , spesso di routine o di programmazione sistematica, in cui attività obbligatorie e discrezionali sono svolte in un determinato periodo di tempo, date le percezioni delle opportunità e un set di vincoli dovuti a fattori fisiologici, istituzionali, norme , regole della società e della famiglia. Il contributo metodologico che è scaturito da questo approccio per quanto riguarda la modellizzazione della domanda di trasporto ha seguito due direzioni: - la prima, più proficua, ha spinto verso un approfondimento ed una ridefinizione più accurata delle specificazioni dei modelli di scelta basati sulla funzione di utilità casuale; - la seconda, attualmente meno sviluppata, ha indirizzato verso la costruzione di modelli specificatamente activity-based, modelli che mirano a fornire una rappresentazione di come ciascun individuo pianifica e ripartisce nel corso di un determinato periodo di tempo le proprie attività. Per una presentazione dei contenuti dell’approccio activity-based e per una rassegna dei principali contributi scaturiti da questo filone di ricerca si può far riferimento a Damm (1983) , Jones(1990) Bovy e Stern (1990) e a Axhausen et al. (1991). 2.4. Strategie semplificate di modellizzazione della domanda di trasporto I modelli aggregati e quelli disaggregati richiedono una notevole mole di dati ed informazioni non sempre facilmente reperibili. Inoltre le varie ipotesi che sottendono la modernizzazione non sempre risultano di agevole interpretazione. Parallelamente alla corrente di ricerca che si è sviluppata per migliorare i metodi di raccolta dei dati per ridurre i costi , ed avere maggiore accuratezza e realismo nella rappresentazione del fenomeno si è andata sviluppando anche una linea di ricerca tendente a formulare modelli di domanda semplificati costruibili in minor tempo e con minori costi e, soprattutto, più agevolmente aggiornabili anche se, per loro natura, meno dettagliati e sofisticati. 19 In effetti più che di una vera e propria modellistica si è trattato di individuare strategie di analisi della domanda che consentissero di diminuire i costi ed i tempi di ricerca dei dati e di analisi attraverso una combinazione di ipotesi più generali ed estensive ed un uso più intenso dei dati disponibili. Vengono fatti rientrare in questa categoria i metodi di programmazione sketch (skecth planning methods) ed i modelli di domanda incrementali. I modelli di “sketch planning” sono stati introdotti come strumenti per previsioni di lungo periodo da OECD(1974) e Sosslau et al.(1978). Essi si propongono di estendere stime ottenute in altri contesti spaziali o temporali introducendo ipotesi di regolarità del comportamento umano o correggendo, all’interno dei singoli modelli, le stime sulla base di elementi strutturali correlati con i parametri noti. Le ipotesi di trasferibilità di parametri medi rende, tuttavia, questa tecnica di analisi adatta, più che ad ottenere stime definitive, ad effettuare valutazioni di prima approssimazione o ad individuare possibili set di alternative. Un esempio è dato dal modello UMOT (Unified Model Of Travel) di Zahavi (1979) che considera estensibili nello spazio e nel tempo le seguenti relazioni : - tempo medio di viaggio al giorno per viaggiatore; - la spesa media per viaggio al giorno in funzione di reddito e possesso di automobile; - il numero medio di viaggiatori per famiglia in funzione delle dimensioni della famiglia e del numero; di auto possedute; - il costo unitario per possedere ed utilizzare un’autovettura; - la relazione flusso-velocità per tipo di strada; - la distanza limite che giustifica il possesso di una macchina. Se si riescono a stabilire queste relazioni per un contesto spaziale e temporale è possibile combinare i parametri “standard” con la struttura dell’area studiata con riferimento alle seguenti variabili : - il numero delle famiglie e la loro dimensione; - la distribuzione delle famiglie per reddito; - il costo unitario di viaggio per modo; - la lunghezza della rete stradale. Dalla combinazione di questi due insiemi di informazioni si riescono ad ottenere : - il numero di auto possedute dalle famiglie per gruppo di reddito; - la scelta aggregata modale per l’intera zona; - i tempi e le velocità medie di viaggio; - la spesa totale per spostarsi. I modelli di domanda incrementali si propongono di costruire, invece, relazioni tra la variazione degli attributi e le variazione dei flussi o delle quote ad essi connessi. Appartengono a questa categoria i modelli “incremental elasticity” ed i modelli “pivot-point”. I modelli di elasticità si basano sul calcolo dell’elasticità della domanda rispetto a variabili che rappresentano il livello di servizio o altri particolari attributi del modo . L’applicazione dei valori di elasticità, stimati utilizzando vari metodi (analisi cross-section, di serie storiche, o di panel o confrontando una data situazione prima e dopo una variazione), richiede che si possa considerare costante nel tempo o nello spazio il valore di elasticità trovato e che le altre variabili non si modifichino. A tal proposito si possono consultare i lavori di Oum (1989) , Oum et al. (1992) e Goodwin (1992). 20 I modelli pivot-point sono stati sviluppati, invece, per stimare la domanda futura sulla base dei livelli noti e dei cambiamenti nelle variabili di livello di servizio per ciascuna alternativa considerata. Partendo dai valori noti si stimano le variazioni che si prevedono conoscendo solo le variazioni nelle variabili: i dati di riferimento sono stime delle variazioni delle variabili o dei loro valori assoluti, stime queste che sono più facili da ricavare. La struttura pivot-point può essere applicata sia ai modelli gravitazionali che a quelli di ripartizione modale. Un’applicazione di questo tipo di modello si può trovare in Abraham, H. et al. (1992). Capitolo 3. La domanda di trasporto delle merci Maurizio Caruso Frezza, Ferrovie dello Stato 3.1. Aspetti generali La maggiore complessità che sottende l’analisi della domanda di trasporto delle merci e che rende più difficile la corretta rappresentazione dei traffici che si realizzano all’interno di una determinata area è innanzitutto attribuibile alla pluralità dei soggetti che intervengono nelle diverse fasi del processo decisionale che porta a scegliere se effettuare lo spostamento, quando effettuarlo, con quale mezzo e su quale percorso. La definizione dei soggetti di scelta e delle relazioni che intercorrono tra di essi è fondamentale per mettere a fuoco il particolare punto di vista da cui si esplicita l’analisi del trasporto di una determinata merce e, di conseguenza, il particolare modello di analisi che viene di volta in volta proposto . A ciò concorrono, inoltre, tutte quelle trasformazioni del sistema produttivo (il just-in-time o l’outsourcing per esempio) che spingono verso la richiesta da parte delle imprese di servizi di logistica integrata piuttosto che semplicemente di servizi di trasporto, della gestione completa door-to-door dello spostamento della merce piuttosto che dei singoli servizi dei vettori. Nel trasporto delle merci, infatti, interagiscono tre tipologie di operatori: - le aziende di produzione che spediscono beni per immetterli sul mercato o li ricevono per utilizzarli nel processo produttivo; - le aziende di spedizione, intendendo con questo termine sia l’azienda specializzata (gli spedizionieri) che il reparto specifico di una azienda di produzione del bene: queste realizzano il collegamento spaziale tra luoghi di produzione e luoghi di consumo e organizzano le spedizioni e le scelte modali; - i vettori ai quali spetta l’effettuazione del trasporto vero e proprio del bene in risposta alla domanda di trasporto “diretta” che proviene dalle aziende di spedizione. Queste tre figure di operatori possono coincidere come essere distinte ma quello che interessa nella modellizzazione della domanda di trasporto merci è la definizione dei ruoli che ciascuna categoria di operatore svolge, delle loro interazione e degli ambiti di manovra di ciascuno di essi. Le maggiori difficoltà che si incontrano nella modellizzazione del trasporto merci è, inoltre, riconducibile anche alla molteplicità dei fattori che influiscono nella definizione dell’insieme di movimenti di merci che intervengono in una determinata area territoriale. Alla pluralità dei soggetti economici coinvolti nel processo di movimentazione delle merci si aggiungono, inoltre altri fattori che rendono più difficoltosa l’analisi del 21 trasporto merci rispetto a quello viaggiatori, e tra di essi in particolare, come evidenziato in Ortuzar e Willumsen (1995): - fattori localizzativi delle imprese: la localizzazione delle aziende che producono materie prime o semilavorati rispetto alla localizzazione delle aziende che utilizzano questi input nel processo produttivo; questo perché nel trasporto merci è molto forte la componente di domanda derivata connessa ai processi industriali di produzione; - fattori merceologici: l’elevato numero e varietà di beni utilizzati come input e di beni prodotti che porta a dover segmentare notevolmente l’analisi del trasporto merci; - fattori tecnici: la grande varietà di veicoli di trasporto che devono essere considerati per trasportare merci di dimensioni, caratteristiche e qualità differente (prodotti grezzi, fragili, deperibili p.es.); - fattori operativi delle imprese: la stretta connessione con le caratteristiche operative delle aziende (la sua dimensione, la politica distributiva, la dispersione territoriale per. es.) che influiscono sulle strategie di spedizione o di scelta modale; - fattori localizzativi della popolazione: la distribuzione territoriale e la densità demografica può influire sulle strategie di distribuzione dei prodotti finali; - fattori dinamici: variazioni stagionali della domanda e cambiamento nelle preferenze dei consumatori possono determinare cambiamenti nella struttura della movimentazione merci; - fattori di prezzo: i prezzi del trasporto merci sono meno visibili e definitivi di quelli per il trasporto viaggiatori in quanto spesso sono il risultato di negoziazioni e di accordi contrattuali flessibili in relazione al mutare delle circostanze in cui avviene o deve essere realizzato un dato trasporto (politica di sconti in relazione alla lunghezza del contratto, dei volumi spediti, accessibilità ai terminali etc.). L’uso di operazioni in conto proprio, inoltre, soprattutto per il trasporto su strada, rende difficile individuare il costo globale delle operazioni di trasporto effettuate da una azienda dal momento che non sempre le rilevazioni sui costi aziendali esplicitano i costi del trasporto in conto proprio. Tutti questi fattori devono essere presi in considerazione per esplicitare sia in chiave descrittiva che esplicativa il fenomeno della mobilità delle merci ed obbliga necessariamente ad una complessa procedura di disaggregazione della domanda e dell’offerta. Come per i modelli di domanda viaggiatori, in letteratura sono stati proposte vari criteri di classificazione. Nel prosieguo si farà riferimento alla distinzione tra modelli di domanda aggregati o descrittivi e modelli di domanda comportamentali o disaggregati o di scelta assunta come sintesi generale delle varie classificazioni proposte dai vari autori. I modelli aggregati riproducono la domanda di trasporto in funzione delle caratteristiche di utilizzazione e delle strutture economiche del territorio I modelli di scelta si propongono, invece, di riprodurre il processo di scelta di una azienda di spedizione o di più aziende omogenee in quanto a tecniche di produzione 3.2. I modelli di domanda di trasporto merci aggregati o descrittivi I modelli di domanda aggregati utilizzano grandezze che descrivono in forma macroeconomica i flussi di domanda di trasporto merci che si svolgono su un certo territorio, regionale o nazionale, considerato globalmente (modelli macro) o diviso in varie zone che individuano, come per i modelli trip-based dei viaggiatori, zone di origine o di destinazione delle merci (modelli spaziali). 22 La caratteristica saliente di questi modelli è che, pur basandosi in ultima analisi sul comportamento individuale delle aziende, non tentano di esplicitare in dettaglio il processo decisionale che sottende il trasporto delle merci analizzato. Vengono soprattutto utilizzati quando occorre effettuare analisi di previsione dei flussi merci su larga scala (modelli macro) da utilizzare, eventualmente, come vincolo di controllo di modelli spaziali stimati con altre tecniche. Per una rassegna sui modelli merci si possono vedere, per esempio, i lavori di Eastmann (1980) di Friesz et al. (1983) e di Wilson (1970). I modelli a quattro stadi. Rientrano in questa categoria i modelli che seguono l’approccio tradizionale a quattro stadi sviluppato originariamente per il trasporto di viaggiatori e sviluppato successivamente per analizzare anche il trasporto merci (Harker (1985). I modelli di attrazione e generazione considerano flussi di merci relativi sempre a matrici O-D. Per un’applicazione italiana delle tecniche di stima delle matrici dei flussi merci stradali si veda, a tal proposito, il lavoro CNR-PFT1-Ecoter (1984). Le tecniche utilizzate per questa categoria di modelli si basano su analisi di regressioni multiple in cui si inseriscono variabili esprimenti la capacità di attrazione o di generazione di una determinata zona o si applicano stime del fattore di crescita su matrici di flussi note per un dato riferimento temporale quando lo scopo dell’analisi è la previsione. Per i modelli di distribuzione le tecniche più utilizzate si rifanno ai modelli di tipo gravitazionale e alle tecniche di programmazione lineare. I primi, analogamente a quanto viene effettuato per i flussi di viaggiatori, mettono in relazione il flusso merci che si verifica tra un’origine i ed una destinazione j con la capacità di generazione dell’origine, la capacità di attrazione delle destinazioni (popolazione, popolazione attiva, addetti per tipo di attività, struttura produttiva per esempio) ed una funzione di impedenza rappresentata dalla distanza o dal costo di trasporto generalizzato per muovere le merci tra i e j calcolato come una funzione in particolare del costo monetario del trasporto, del tempo di percorrenza door-to-door, dei tempi intercorrenti tra la richiesta di effettuazione della spedizione e la sua effettuazione, la sicurezza del carico, la variabilità dei tempi di consegna. Per quanto riguarda le tecniche di programmazione lineare esse si prefiggono di individuare la distribuzione dei flussi che minimizza i costi secondo la relazione: i j Tij Cij = min ij C soggetto ai vincoli i Tij = Dj j Tij = Oi avendo indicato con Tij i flussi di merci tra le zone i e j , con Cij il costo unitario del trasporto sulla relazione (i - j) , con C il costo totale e con Oi e Dj il totale dei flussi che hanno destinazione nella zona j o che sono generati dalla zona i. Queste tecniche assumono rilievo se applicate a casi in cui: - il settore industriale considerato è fortemente concentrato così da considerare pochi centri decisionali; - i costi di trasporto incidono molto rispetto al valore del bene trasportato; - ci sono limitati punti in cui si concentra la domanda. 23 Tipico caso di applicazione di questa tecnica è legata al problema di una azienda che deve organizzare la produzione tenendo conto anche dei problemi distributivi. I modelli di ripartizione modale, invece, assumono come unità di osservazione una quota di una o più categorie merceologiche aggregate a livello nazionale o regionale con riferimento implicito alla decisioni di scelta del vettore effettuata dalle aziende di spedizione. I modelli più utilizzati si rifanno alla specificazione di tipo logit multinomiale basate sulla valutazione del costo generalizzato di ciascun modo (combinazione degli elementi che definiscono il livello di servizio offerto dal modo quali i tempi di viaggio door-to-door, i costi monetari, l’affidabilità del trasporto, la variabilità dei tempi di fornitura dei vari servizi etc.). Per quanto riguarda, invece, i modelli di assegnazione il punto di vista è quello del vettore che deve decidere quale percorso scegliere per trasportare una data merce tra una origine i ed una destinazione j. La scelta del percorso è influenzata dal tipo di merce da trasportare, dal tipo di mezzo impiegato, dai vincoli strutturali della rete, dalle regolamentazioni relative alla circolazione vigenti. Vengono utilizzati metodi di assegnazione stocastici. Altri modelli descrittivi: i modelli input/output multiregionali. Un tipico modello descrittivo è quello che si basa sull’utilizzazione di matrici input/output multiregionali . E’ possibile tramite le tavole input/output stabilire la quantità o il valore dei beni richiesti da una generica branca produttiva J localizzata in una data regione K a tutti gli altri settori industriali localizzati nella stessa regione K o nelle altre regioni per fornire la quantità di beni da essa prodotta. In questo modo è possibile ricostruire una mappa dei flussi di trasporto necessari per trasferire una data merce dal luogo di produzione al luogo di consumo. La struttura dei flussi intersettoriali ed interregionali che si desume da una tavola input/outputI multiregionale può essere trasformata in modelli di analisi del sistema economico che consentono di collegare la domanda finale per consumi, investimenti ed esportazioni di ciascuna branca ai livelli produttivi del resto dell’economia (modelli domanda finale -produzione) o la struttura dei costi di ciascuna branca con i livelli dei prezzi di tutti gli altri settori (modelli costi primari-prezzi). E’ evidente che se le branche considerate sono quelle che producono servizi di trasporto i modelli domanda-produzione e costi-prezzi consentono di valutare, da una parte, la domanda di servizi di trasporto ( per merci e per passeggeri) che si associa ad un dato livello e ad una data composizione settoriale e regionale della domanda finale degli altri settori e viceversa e, dall’altra, l’effetto di variazioni dei prezzi dei servizi di trasporto sui prezzi degli altri beni e viceversa. La costruzione di tavole input/output pone, tuttavia, notevoli problemi connessi soprattutto al fatto che la costruzione di una tavola intersettoriale ed interregionale richiede una ampia disponibilità di dati difficilmente reperibili in termini di tempi e di costi. Rispetto ai modelli di domanda descrittivi presentati nelle sezioni precedenti i modelli input/output si differenziano per il fatto che mentre i primi si propongono di esplicitare i fattori che determinano la generazione, la distribuzione spaziale e la ripartizione modale della domanda di trasporto i secondi collegano una data struttura di generazione, distribuzione e ripartizione modale della domanda di trasporto (quella che si osserva per 24 il periodo di costruzione della tavola input/output) al funzionamento del sistema economico. E’ per questo che i modelli input/output si configurano più che come modelli di analisi della domanda di trasporto come modelli per effettuare analisi di impatto e simulazioni di politiche tendenti a modificare i pattern intersettoriali e localizzativi delle attività di produzione e di consumo. Per questo stesso motivo, affinché si possa estrarre dai modelli input/output la massima capacità informativa, è necessario integrare lo schema descrittivo delle relazioni intersettoriali e interregionali fornito da una tavola input/output con modelli di analisi in grado di stimare dall’esterno il cambiamento della relazione settori di trasporto-resto dell’economia dal punto di vista tecnologico, economico e spaziale. Per un’illustrazione della modellistica input/output applicata all’analisi della domanda di trasporto si possono consultare Leontief e Costa (1996) e Costa (1987).. 3.3. I modelli disaggregati o comportamentali I modelli disaggregati o comportamentali si propongono di esplicitare i fattori che condizionano il processo decisionale delle aziende di trasporto in interazione con i vettori. Si tratta di modelli più accurati e più realistici ma necessitano di una gran mole di dati. Trovano impiego nei casi in cui si devono analizzare segmenti di analisi di trasporto specifici e si hanno campioni di dati limitati ma molto accurati. Rispetto ai modelli aggregati o descrittivi i modelli disaggregati o comportamentali presentano il vantaggio di basarsi su una teoria del comportamento che riflette il processo di scelta connesso al trasporto e di consentire una maggiore comprensione del grado di competizione tra i vari modi di trasporto per ciascuna categoria merceologica attraverso una maggiore e più approfondita analisi del processo decisionale dell’azienda di spedizione o dell’azienda di trasporto. Lo svantaggio di questi modelli è che perdono di vista la dimensione complessiva dei flussi di trasporto che si realizzano in una data area territoriale e, quindi, la complessità del fenomeno in un unico modello. In questa categoria vengono inclusi i modelli neoclassici di domanda , i modelli comportamentali ed i modelli di gestione di magazzino. I modelli neoclassici di domanda. Nei modelli neoclassici di domanda le attività di trasporto vengono fatte rientrare tra i fattori di produzione e trattati, quindi, all’interno di funzioni di costo che vengono minimizzate al variare delle quantità da acquistare e dei prezzi. Come per tutte le funzioni di costo si possono costruire a livello aggregato (per le aziende di una determinata area considerando i risultati come risultati in media) o per gruppi o per singola azienda di spedizione (in questo caso si ottengono funzioni di scelta più vicine alla realtà). Per rendere operativo questo approccio è necessario specificare formalmente una funzione di costo C = C ( Y, q, w, Pt) in cui C sono i costi totali dell’azienda, Y la produzione, q= il vettore delle caratteristiche dei prodotti da spedire, w il vettore dei prezzi dei fattori esclusi i prezzi 25 del trasporto e con Pt il vettore dei prezzi di trasporto relativi a tutte le modalità possibili. Una volta definita questa funzione la domanda di trasporto per il modo i si ottiene sulla base della derivata di C rispetto al vettore dei prezzi Pti relativo al modo i-mo. Se si utilizza come funzione di costo la funzione di tipo translog con lo stesso procedimento si riesce a stimare la quota di mercato del modo i-mo in funzione delle variabili di cui sopra. Si veda a tal proposito, fra gli altri, Friedlaender e Spady (1980). I modelli comportamentali. Oggetto di studio di questa categoria di modelli è la scelta di trasporto fatta dalla singola azienda che effettua o che riceve la spedizione. Come per i modelli di utilità casuali visti nel caso della domanda dei viaggiatori alla base dell’agire della azienda è posta la massimizzazione della sua utilità rispetto ai costi ed al livello di servizio tra modalità di trasporto alternative. Il modo i-mo viene scelto dall’azienda per trasportare una determinata merce se l’utilità che l’azienda riceve facendo questa scelta è maggiore dell’utilità che riceverebbe se scegliesse di effettuare la spedizione con un mezzo di trasporto alternativo. La funzione di utilità che viene costruita viene espressa in funzione delle caratteristiche dell’azienda, degli attributi di ciascun modo, e di un termine aleatorio che rappresenta la componente non deterministica dell’utilità che tiene conto delle caratteristiche non osservabili del modo i-mo e dell’azienda. Il modello di scelta viene costruito partendo dalle probabilità di scelta del modo i-mo, la quale viene resa operativa assumendo una distribuzione sulle caratteristiche non sistematiche di tipo probit, logit o translog in modo analogo a quanto effettuato per i modelli di scelta discreta applicati per l’analisi della domanda dei viaggiatori. In questa categoria rientrano anche i modelli che trattano la domanda di trasporto e la scelta del vettore delle aziende di spedizione nell’ambito della teoria microeconomica dell’impresa che si fonda sulla massimizzazione del profitto dell’azienda. Strutturati in questi termini sono i modelli di Allen ( 1977) e di Daughety (1979). I modelli di gestione del magazzino. I modelli di gestione del magazzino tentano di ricostruire il processo di domanda di trasporto applicando la logica della gestione del magazzino che fa l’azienda. Essi consentono di integrare il comportamento di scelta del trasporto con le esigenze del processo produttivo mettendo in rilievo l’importanza, in particolare, delle dimensioni della spedizione e della frequenza della stessa. In questi modelli si costruisce una funzione di ottimizzazione del profitto dell’azienda che spedisce e di quella che riceve tenendo conto della politica di magazzino che ciascuna azienda effettua. Per una trattazione teorica di questa tipologia di modelli si può consultare McFadden e Winston (1981). Bibliografia 26 Abraham, P.M., Shaw N. e Willumsen L. G. (1992) A micro-based incremental four stage transportation model for London. Proceedings 20th PTRC Summer Annual Meeting, University of manchester Institute of science and Technology, sept. 1992, England. Allen W. B. (1977) The demand for freight transportation: a micro approach Transportation research 11 9-14 Axhausen K. e Garling T. 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Dot-Rspa-Dpb-20-79-3, US Dept. of transp., Washington D.C. 29 COMMENTO PARTE III RICCARDO MERCURIO, UNIVERSITA’ DI NAPOLI Introduzione Come noto, nelle scienze sociali, di cui naturalmente l’economia è parte, la validità e la fertilità metodologica delle tradizioni di ricerca e/o di un filone di teorie rivolte alla comprensione di un “fenomeno”, viene messa continuamente in discussione non solo da nuovi e più precisi risultati che altre impostazioni o teorie sono in grado di perseguire, ma anche dall’evoluzione e dal modificarsi delle forme e delle modalità secondo cui il “fenomeno” si presenta al ricercatore nel tempo. La rassegna di Federtrasporto si concentra sulle tecniche e sui modelli impiegati nell’attività di analisi e studio dell’offerta del trasporto, e rileva, così, il cambiamento, in termini di prospettive e di metodologia, che la rilevante evoluzione nel settore ha imposto alla ricerca. Le riflessioni che scaturiscono da tale rassegna, pertanto, inducono a esplicitare, sia pure in modo sintetico, i caratteri quasi rivoluzionari di tale processo di evoluzione del settore, per l’insoddisfazione per alcuni i tradizionali paradigmi di ricerca e per ipotizzare una possibile integrazione dei percorsi di ricerca finora seguiti. Appare necessario, a chi scrive, adottare un ulteriore “punto di vista” per svolgere l’attività di ricerca sul “fenomeno - sistemi di offerta del servizio di trasporto”, introducendo anche principi e orientamenti di analisi economica tipicamente aziendali, necessari per pervenire ad una più adeguata e completa comprensione delle dinamiche di innovazione in atto. 1. I cambiamenti nel settore dei trasporti La realtà dei sistemi di trasporto nazionali ed internazionali è attualmente attraversata da profondi cambiamenti che influenzano sia le logiche alla base delle scelte di pianificazione e di investimento degli organi istituzionali, sia i principi manageriali che guidano i singoli operatori nella gestione strategica e operativa delle diverse aziende. Nella stessa Unione europea, nonostante il ruolo di omogeneizzazione svolto dagli organismi comunitari, sussistono ancora rilevanti differenze in tema di orientamenti politici, norme e tecnologie che rendono estremamente complesso il quadro di riferimento. Le scelte in tema di deregolamentazione e/o privatizzazione sono state compiute in modo eterogeneo nei singoli paesi, e determinano delle sensibili differenze in termini di orientamenti strategici ed organizzativi delle aziende, nonché una spesso consistente diversità in termini di tecniche e stili direzionali adottati da parte del management. Ciononostante, è possibile identificare alcune grandi direttrici di sviluppo, che caratterizzano il sistema di trasporto internazionale, che danno luogo a comuni esigenze di rinnovamento, e che è possibile distinguere a seconda che la loro “area di impatto” interessi il contesto in cui le aziende agiscono o, invece, sia interna a quelle. 1.1. Le direttrici del cambiamento nel contesto L’innovazione nelle tecnologie L’innovazione emergente dalle continue applicazioni nel settore di tecnologie elaborate nel campo dell’elettronica, dell’informatica e delle telecomunicazioni, non solo ha contribuito ad incrementare il ritmo di obsolescenza di quelle tradizionalmente caratterizzanti il trasporto, ma ha anche creato nuove opportunità di sviluppo per le stesse aziende del settore, modificando in modo spesso radicale la concezione del business e le logiche manageriali e tecniche che guidano le scelte degli operatori. L’innovazione nella segmentazione del mercato I sistemi di trasporto collettivo in Italia e nei principali paesi europei vanno sempre più decisamente caratterizzandosi nei due grandi segmenti del trasporto locale e di quello a media e lunga distanza. Per realizzare i prodotti servizi più adeguati, il mercato globale della mobilità urbana ed extraurbana di persone e merci andrà, dunque, studiato ed analizzato secondo nuove coordinate di segmentazione, e richiederà profondi mutamenti nella progettazione dei nuovi sistemi e negli stili di gestione delle aziende esercenti. Le innovazioni politico-normative La recente normativa dell’Unione Europea ha introdotto rilevanti innovazioni nelle politiche del trasporto pubblico, promuovendo modalità di regolazione dell’offerta impostate secondo criteri di concorrenzialità, sostenendo il ricorso a forme contrattuali per la gestione dei rapporti con le aziende di erogazione e favorendo l’immissione di nuovi capitali (di rischio) nel settore. In Italia l’integrazione e la concorrenzialità fra le diverse modalità di trasporto sono state il riferimento di numerosi disegni di legge che, pur non 2 avendo sempre completato il loro iter, rappresentano documenti meritevoli di approfondimento. La stessa legge 142 sulle aree metropolitane non ha avuto piena attuazione, e solo alcuni aspetti diventano oggi “elementi di indirizzo politico e gestionale”, in riferimento, ad esempio, alla trasformazione giuridica delle aziende municipalizzate o alla stessa definizione degli statuti aziendali. Sotto questo aspetto le nuove disposizioni legislative per il settore trasporti (L. 491/95; L. 449/95 e L. 550/95), hanno aperto per la prima volta un concreto spiraglio ad un cambiamento più radicale, con l’assegnazione di ruoli più chiari alle diverse istituzioni di governo e di regolamentazione. Naturalmente, queste iniziative, che partono dalla necessità di una revisione dell’impegno finanziario da parte dello Stato, devono ancora trovare regole e norme di attuazione e più precise procedure di realizzazione. L’innovazione nei ruoli istituzionali Al centro del processo proposto dall’ultima finanziaria si trova la Regione, che da soggetto distributore di fondi dello Stato ai diversi operatori del trasporto locale, diventa un soggetto programmatore, che deve disegnare un proprio percorso strategico nei vari settori di intervento e definire, in base a criteri chiari, la distribuzione delle sue risorse finanziarie, non più dipendenti dal FNT (Fondo Nazionale dei Trasporti) o dalle indicazioni dello Stato. L’innovazione nelle regole concorrenziali La crescente attenzione a problematiche di sviluppo e pianificazione territoriale nel pieno rispetto dei vincoli ambientali e di vivibilità urbana esercita una diretta influenza sulle scelte in tema di investimenti nelle diverse modalità rendendo sempre più forte l’esigenza di un incremento della concorrenzialità dei sistemi di trasporto collettivi e pubblici rispetto a quelli privati e privilegiando il soddisfacimento di un più ampio bisogno di mobilità e di comunicazione, anziché di semplice trasporto. L’innovazione nelle fonti di finanziamento E’ evidente che alle spalle di tale cambiamento di prospettiva vi sia, anche, la diffusa convinzione della impossibilità dello Stato di far fronte ai rilevanti investimenti per lo sviluppo del settore, e alla copertura dei costi di esercizio, pur nel rispetto del carattere pubblico che spesso contraddistingue il servizio offerto. Prevale, così, la necessità di attirare fondi e risorse “private” nella realizzazione di progetti di investimento e di sviluppare logiche e strumenti 3 in grado di valutare in modo preciso il loro costo e la loro redditività, nonché di adottare princìpi manageriali in grado di perseguire quegli obiettivi di economicità che costituiscono la base della competitività delle singole imprese e del settore nel suo complesso. 1.2. Le Direttrici di cambiamento all’interno delle aziende. L’innovazione nel comportamento delle aziende In coerenza con l’innovazione dei ruoli istituzionali, ispirata più ad una logica di risposta strategica alla domanda di mobilità che non di mera distribuzione delle risorse, si è messo in moto un profondo cambiamento anche nei comportamenti delle aziende esercenti il trasporto. I contratti di servizio tra aziende e amministrazioni pubbliche saranno caratterizzati, da un lato, alla definizione degli aspetti quantitativi e qualitativi del servizio da erogare e, dall’altro, dalla creazione delle condizioni per un più chiaro ed equilibrato rapporto tra costi sostenuti e copertura finanziaria richiesta. Diventa rilevante, pertanto, per gli operatori sviluppare al proprio interno una forte capacità competitiva fondata sull’adozione di logiche di mercato e di orientamento al cliente, sull’efficienza organizzativa e sulla flessibilità tecnica, sull’equilibrio finanziario e su un’attenta gestione del cash flow. L’innovazione nelle forme organizzative delle aziende La complessità degli obiettivi di trasformazione da perseguire e le crescenti esigenze dei diversi clienti rendono inevitabile il ricorso a forme di collaborazione interaziendale, al fine di sviluppare iniziative integrate di trasporto, di garantire una migliore qualità ed una più elevata innovatività del servizio offerto. Ne risulta una molteplicità di forme e soluzioni organizzative tra cui potere esercitare una valutazione in termini di convenienza economica, di flessibilità, di efficacia. L’innovazione nei criteri di gestione delle aziende La forte esigenza politica e sociale di realizzare un sistema di trasporti di qualità ma anche economicamente efficiente ha richiesto l’introduzione di metodi di gestione di carattere “aziendalistico” che si esplicitano in una crescente attenzione ai bisogni del mercato, in un prevalente orientamento al business, in una gestione economico finanziaria non più indissolubilmente legata ai contributi statali, ma più orientata alla gestione di processi di creazione di valore. 4 2. Il cambiamento nei modelli e nei paradigmi di ricerca La rassegna e lo studio condotto da Federtrasporto evidenzia, pertanto, un’esigenza rilevante in termini di percorsi di orientamento e di indirizzo per la ricerca futura. Si rileva, infatti, come sia stato necessario procedere ad un cambio di paradigma, passando da una visione statica, tipica del modello Struttura-Condotta-Performance, ad una dinamica che assegna, invece, una particolare connotazione e rilievo all’innovazione, e che, pertanto, trova nella tecnologia la sua variabile esplicativa principale. Tale lettura delle modifiche metodologiche in corso trova un suo forte riscontro nella sintetica rilevazione effettuata sulle dinamiche di cambiamento che attualmente attraversano il contesto “industriale” dell’offerta del trasporto. Infatti, la tradizionale connotazione di variabile esogena al sistema, assegnata alla tecnologia, collocava le aziende di trasporto in una posizione passiva rispetto all’innovazione. Le aziende costrette, se non protette da una forma concorrenziale di tipo monopolistico, in un sistema istituzionale rivolto a garantire la loro stessa sopravvivenza economico finanziaria, non erano per nulla interessate a mettere in atto processi di innovazione, a sviluppare nuove tecnologie ad entrare in nuovi segmenti di mercato. Il valore che, come rilevato dalla rassegna, la “ricerca” sui trasporti assegna all’innovazione, tecnologica e non tecnologica, è, invece, l’espressione più diretta di una nuova esigenza, maturata dal “crollo” di un sistema protettivo e dal risveglio di dinamiche di cambiamento del contesto, che impongono la comprensione delle condizioni (fonti e vincoli) per l’innovazione. La misura della performance di un sistema di trasporto, infatti, deve avvenire non più solo in base alla valutazione della sua capacità produttiva finalizzata ad assicurare un servizio sociale, ma anche in riferimento alla sua capacità di rinnovarsi, di evolvere, di farsi promotore di uno sviluppo qualitativo del sistema sociale in cui esso è inserito. Il passaggio da una logica statica ad una dinamica fondata sull’analisi dell’innovazione del ruolo della tecnologia è, pertanto, perfettamente in linea con una logica di cambiamento del contesto. In ciò, infatti, esprime l’avvenuto cambiamento di paradigma che, in senso diacronico e cumulativo, si caratterizza per l’ampliamento e l’integrazione di una metodologia di analisi già preesistente e consolidata. Infatti, gli strumenti e le tecniche di analisi economica che, come si rileva dalla rassegna, fino ad ora sono state utilizzate per lo studio e la valutazione del cambiamento nella struttura dell’offerta di trasporti si sono concentrati prevalentemente su di una dimensione di analisi “macro”, fondata sugli studi di settore e sulla costruzione di modelli di analisi della concorrenza e dell’efficienza economica di aggregati di imprese. E’ questa una logica fondamentale al “punto di vista” del soggetto Stato, tradizionalmente 5 principale, se non unico, decisore e regolatore di un sistema, nel quale dovevano prevalere decisamente logiche di pianificazione, di accentramento, di coordinamento centralizzato, di dipendenza finanziaria delle aziende dal bilancio pubblico. La presenza di un processo di cambiamento che, invece, sta intervenendo, o comunque è fortemente richiesto, anche sulle logiche e strutture interne alle aziende, impone però l’adozione di un ulteriore “punto di vista” da cui avviare un nuovo percorso di ricerca e di studio e che forse fino ad ora non ha trovato sufficiente ampiezza di ricerca. Tale secondo ampliamento concettuale è, infatti, l’espressione della necessità di procedere ad una integrazione del paradigma di ricerca prevalente nel settore dei trasporti, aggiungendo ad una visione “macro”, il “punto di vista” rappresentato dall’analisi del livello “micro”, cioè della singola azienda. In via di prima approssimazione è possibile identificare alcune parole chiave in grado di esprimere la connotazione che il sistema dell’offerta di trasporto sta assumendo e che la ricerca è attualmente chiamata ad indagare: orientamento al business e autonomia decisionale delle aziende; societarizzazione degli enti e concorrenza tra le diverse modalità e tra le imprese; equilibrio economico e finanziario come conditio sine qua non per lo sviluppo e l’innovazione. In termini di percorsi di ricerca il cambiamento in atto nei sistemi di trasporto, infatti, richiede l’integrazione di una visione collettiva con una visione che sappia cogliere anche l’elevata differenziazione esistente tra le diverse modalità di trasporto, tra i diversi mercati di riferimento, tra le diverse aziende. La stessa ricerca ha la necessità, in definitiva, di orientarsi verso quelle metodologie che possano indicare le cause e le motivazioni alla base di un così forte processo di frantumazione e di moltiplicazione, si potrebbe dire, delle strutture, delle condotte e delle performance, ma anche fornire agli stessi decisori aziendali modelli in grado di sostenerli nei loro processi decisionali e nelle loro scelte imprenditoriali attraverso valutazioni di convenienza economica fondate anche sull’analisi dei costi interni e non solo del settore, su di una segmentazione innovativa del mercato piuttosto che sull’analisi dei benefici sociali, sulla valutazione finanziaria degli investimenti e non su logiche occupazionali o di interesse sociale. Questa nuova frontiera implica lo spostamento dell’attenzione alle performance del sistema visto nel suo complesso, alle logiche e ai “frames” che guidano e condizionano i risultati delle singole aziende di trasporto, rese ormai differenziate non solo da quel movimento di innovazione tecnologiche rilevabile al livello “macro”, ma anche dalla loro stessa storia, cultura, e strategia fino a quel momento sviluppate. 6 In effetti, ciò che è reso evidente dalla rassegna esplicitata dallo studio di Federtrasporto è il limite di una prospettiva che valuta l’azienda di trasporto come una “funzione di produzione”, facilmente cumulabile alle altre e analizzabile in modo aggregato e indistinto senza considerare le singole realtà e le diverse capacità di competere in un sistema necessariamente integrato. I percorsi di ricerca finora intrapresi evidenziano la necessità di comprendere l’emergere e gli effetti dell’innovazione, ma vanno sostenuti dalla conoscenza dei processi decisionali e organizzativi che esprimono le singole scelte economiche delle aziende, intese questa volta come sistemi socioeconomici unici, diretta espressione del loro management, dei loro lavoratori, e dei mercati nei quali operano. Rispetto a tale ulteriore livello di analisi appare opportuno richiamare l’attenzione su alcuni studi che sia in campo nazionale sia internazionale appaiono indicativi di un nuovo orientamento nella ricerca e nell’analisi delle dinamiche del trasporto. Tali studi, in effetti, sono interessanti in quanto sono propositivi di nuove metodologie di indagine che cercano di andare oltre una visione solo apparentemente esaustiva di settore, per proporre analisi in grado di dar conto sia delle logiche muovono il comportamento delle singole aziende, sia del contesto determinato dall’interazione fra le azioni strategiche da esse messe in atto. I concetti che più di altri sembrano prestarsi ad essere applicati nella ricerca sui sistemi di trasporto in questa situazione di maggiore dinamicità sono quello di filiera, di costellazione del valore, di area del business, di Policy network. “The innovative impact of the High Speed Train on the Transport filiere” (Rivista Internazionale di Scienze Sociali n° 3) sulla filiera del trasporto può essere un esempio, anche se solo di primo stimolo, del concetto richiamato dalla rassegna Federtrasporto anche se poi, in realtà non più ritrovato in modo esaustivo nella bibliografia considerata. Applicare il concetto di filiera all’interno della ricerca sui trasporti consente di superare la tradizionale distinzione per “modalità”, quasi sempre utilizzata dagli studiosi, anche per le diverse origini ed i vari interessi di ricerca, per scegliere, invece, uno strumento concettuale in grado di evidenziare le interazioni e le interdipendenze tra i diversi attori aziendali, esercenti, aziende manifatturiere, altri operatori, coinvolti nell’offerta di un servizio di trasporto sul territorio. Così il recente lavoro di R. Normann e R. Ramirez sulle “Strategie interattive d’impresa” (Designing interactive strategy. From value chain to value constellation, 1994) focalizzandosi sulle dinamiche e condizioni manageriali nella gestione delle aziende di servizi, propone il nuovo concetto di costellazione del valore per l’analisi delle relazioni fra i partner nell’economia “neoindustriale”. Alla luce di tale innovazione metodologica l’applicazione del concetto di settore negli studi sui sistemi di offerta di 7 trasporto appare addirittura “obsoleto”, perché non più in grado di dare risposte convincenti per l’analisi dei rapporti competitivi e collaborativi tra gli attori aziendali in esso coinvolti. Inoltre, lo studio di D. Abell sulle strategie di sviluppo (Strategia duale, 1995) assume come elemento base nella definizione delle azioni strategiche non più la definizione tradizionale di aggregato settoriale ma quella più complessa di area di business in cui l’area di indagine è definita dall’interazione di tre dimensioni critiche: la tecnologia, i clienti e le funzioni d’uso. Una recente applicazione di tale prospettiva all’offerta industriale di sistemi ferroviari può ritrovarsi nello studio del Cesit su “Le sfide dell’industria ferrotranviaria italiana” del 1996, che evidenzia sia la struttura e le performance delle aziende manifatturiere a livello aggregato, sia le strategie, le innovazioni e gli accordi risultato delle scelte competitive del management delle diverse aziende italiane. Nell’analisi dei processi di erogazione di servizi pubblici, infine può rilevarsi come sia diffusa l’applicazione della logica del network nella ricerca sui sistemi di implementazione di diverse azioni di politica industriale e di servizi quali, ad esempio, i sistemi sanitari nazionali o i sistemi di telecomunicazione. Il filone di studi dei “Policy Networks” (B. Marin, R. Maynts eds., 1991) si evidenzia come la regolamentazione di un comparto economico non possa più efficacemente essere gestita tramite una azione di coordinamento mediante “un piano”, ma debba, invece, prevedere anche la possibilità di erogazione del servizio. Un’analisi della efficacia del modello di network per lo studio dei problemi di coordinamento nei sistemi di trasporto ferroviario, infatti, è stata “testata” da M. Martinez (“Il Network come soluzione di coordinamento nei sistemi di trasporto ferroviari: il caso delle British Railways” 1996) in merito alle dinamiche di cambiamento in atto nel sistema ferroviario britannico. In conclusione, appare che anche nell’ambito della ricerca sui sistemi di offerta del trasporto possano essere applicate metodologie e “paradigmi” che ridimensionano la rilevanza del punto di vista dello “Stato pianificatore” quale unico attore condizionante le scelte del settore. Le logiche di “filiera” di “costellazione” di “business” di “network” sviluppate e applicate in altre aree di analisi esercitano una forte attrazione sui filoni di studio che si rivolgono al trasporto in quanto, potenzialmente, appaiono caratterizzate da una maggiore capacità esplicativa e una maggiore adeguatezza ai cambiamenti in atto nel settore e inseriscono gli studi sul settore dei trasporti, tra quelli che assegnano alle scelte degli imprenditori e delle aziende un ruolo determinante nella dinamica di modificazione del settore. In definitiva, la “caduta” del paradigma “Struttura Condotta Performance” non ha portato con sé la legittimazione di un unico erede, ma ha parto un dibattito che la stessa analisi dell’offerta di trasporto non può ignorare. Di conseguenza, la rassegna presentata da Federtrasporto è sicuramente esaustiva all’interno di una visione tradizionale del settore ma “manca”, 8 forse proprio a causa della sua natura di rassegna completa e sistematica, di rilevare quella pluralità di metodi e logiche applicate nello studio del trasporto, che, è, invece, indicativa di uno stato “magmatico” del dibattito sulla metodologia di ricerca nei sistemi industriali. 9 1 PARTE III Capitolo 1. Gli ambiti dell’analisi Alessandra De Lellis La letteratura economica sui trasporti vanta un'importante peculiarità, quella di aver sviluppato numerosi concetti economici ancor prima che venissero formulati in maniera generale e incorporati nel mainstream; questo è il caso, come riporta Winston 1985, dei prezzi à la Ramsey (Dupuit, 1844) e delle economia di scopo o di produzione congiunta (Wellington, 1887). Purtroppo la ricchezza di fenomeni che ha ispirato le concettualizzazioni come quelle citate oggi non sembra produrre altrettanti arricchimenti di strumentazione analitica, sebbene almeno in Italia le recenti vicende di privatizzazione e di indagini Antitrust avrebbero potuto costituire un forte incentivo a studi di settore volti a tal fine. Gli studi presenti nella letteratura economica in materia di offerta di trasporto possono essere raggruppati, seppure in modo drastico, in due classi: nella prima sono inclusi quelli che hanno analizzato i trasporti facendo sì riferimento a schemi teorici noti, ma evidenziando peculiarità del settore ed elaborando strumenti analitici maggiormente sofisticati (caso piuttosto raro nella letteratura italiana degli ultimi anni), nella seconda vanno invece quei contributi che hanno descritto i fenomeni in base a metodologie standard di analisi industriale. Per quanto riguarda l'argomento del capitolo sembra utile chiarire che i concetti di offerta e di filiera del trasporto presentano dal punto di vista dell'analisi economica la comune caratteristica di non definire esattamente l'ambito di studio. L'offerta si compone di gestione dell'infrastruttura e gestione dei veicoli, che secondo le più recenti tendenze dell'analisi e della politica dei trasporti, non interferendo tecnicamente fra loro possono essere separate (si veda Quinet 1993). Ai fini di questo lavoro interessa precisare che, rispetto alle componenti di offerta saranno esaminati i contributi che hanno per oggetto la gestione dei veicoli, dal momento che le infrastrutture sono sempre più spesso argomento di lavori su valutazione e pianificazione degli investimenti e fissazione delle tariffe, in più stretta connessione con i temi di economia pubblica. Per ciò che riguarda la filiera, invece, occorre considerare che i suoi confini sono individuabili solo in funzione della tecnologia utilizzata per la fornitura del servizio di 1 2 trasporto; esso sarà una delle chiavi di lettura del capitolo e servirà a segnalare i lavori che hanno considerato la complementarità fra sistemi produttivi come fattore di costruzione dell'offerta (così come lo è della domanda) di trasporto. Rispetto all'impostazione della rassegna della letteratura economica in materia di offerta di trasporto, questa seguirà uno schema di analisi che considera prioritario il riferimento alla tecnologia di produzione e in ciò costituisce un superamento dell'approccio strutturacomportamento-performance (SCP) che tale aspetto considera solo come componente di costo e non come fattore influenzato dalla struttura industriale e sua volta influenzante quest'ultima, superando quindi quello che la letteratura americana chiama simultaneity bias (dovuto all'interrelazione di struttura, comportamento e performance) individuato come una delle debolezze dell'approccio. Rispetto all'approccio SCP, inoltre, lo schema seguito ha il pregio di poter includere nell'analisi l'impresa multiprodotto che, pur studiata nell'ambito della visione neoclassica alla quale si ispira la letteratura esaminata, come si vedrà in seguito costituisce il modello di impresa adottato per il settore dei trasporti. Il ruolo fondamentale attribuito alla tecnologia per la rappresentazione dei fatti economici riguardanti l'industria comporta, per la natura stessa dell'evoluzione legata alla tecnologia, la considerazione degli aspetti temporali del processo, elemento che, nonostante quanto detto, non trova spazio adeguato nelle analisi che solitamente vengono condotte e che, invece, ispira i contributi in materia di economia industriale e dell'innovazione più recenti. Lo schema che funge da trama alla rassegna prevede tre "contenitori" principali, aventi come tema la relazione fra la tecnologia e, rispettivamente, la struttura, la strategia e l'organizzazione industriali. All'interno di ciascun contenitore troveranno posto i contributi italiani ed esteri che risultano rilevanti ai fini della costruzione della strumentazione per l'analisi economica dei trasporti o per la comprensione dell'attuale stato dei lavori in tale materia, si tratta quindi di lavori, sia teorici che applicati. Minore rilievo sarà invece dato a quelle ricerche finalizzate a fornire un quadro conoscitivo dello stato del settore (e quindi tra le altre cose fortemente legati all'epoca di realizzazione), non passate attraverso una problematizzazione che, al di là della modellizzazione fornita, possa dirsi costruttiva secondo quanto detto sopra. Rispetto ai tre temi di cui si è parlato la rassegna non vuole e non può essere esaustiva di tutti gli aspetti con riferimento ai vari modi, si è pertanto scelto, di volta in volta, la 2 3 focalizzazione su una questione e sul modo di trasporto che da quest'ultima è più interessata. Infine uno degli scopi che ci si è prefissati in questo lavoro è quello di segnalare alcuni possibili sviluppi teorici dell'economia industriale e dell'innovazione che possano costituire delle chiavi di lettura dei fenomeni economici del trasporto, così come ulteriori spazi di ricerca derivanti dalla riflessione ed eventuale applicazione degli strumenti analitici elaborati dagli economisti che si interessano di telecomunicazioni, un settore che condivide con quello qui analizzato alcune importanti peculiarità (si veda Antonelli 1992). Capitolo 2. Strutture industriali e forme di mercato Alessandra De Lellis L'analisi di economia industriale è connotata dal riferimento alla "nozione di struttura industriale naturale che traduce l'idea che esista una sorta di punto di ancoraggio delle strutture industriali reali (osservabili), il quale rappresenta la loro posizione di equilibrio di lungo periodo e costituisce un vero polo di attrazione" (Gaffard 1990:11). Nell'analisi tradizionale la struttura industriale naturale è stata individuata nella concorrenza perfetta, uno stato caratterizzato dall'assenza di ogni forma di competizione e dall'atomismo delle imprese rispetto all'industria. Tale visione è rovesciata dagli approcci moderni di economia industriale che avanzano l'ipotesi di strutture industriali naturali di vario tipo, come monopolio e oligopolio naturale, concorrenza monopolistica perfetta. In questo ambito la nozione di concorrenza riacquista la sua valenza dinamica di fattore determinante il processo di entrata e uscita dal mercato. L'importante implicazione del passaggio descritto è quella di focalizzare l'attenzione degli economisti sulla tecnologia che costituisce i reali vincoli all'entrata ed all'uscita dall'industria. Nella determinazione delle strutture industriali naturali1 un ruolo essenziale è giocato dai costi di produzione, innanzitutto perchè la peculiarità di tali strutture, l'efficienza 1 L'analisi delle strutture industriali reali è condotta facendo riferimento alla nozione di struttura industriale naturale: questa "traduce l'idea che esista una sorta di punto di ancoraggio delle strutture industriali reali (osservabili), che rappresenta la loro posizione di equilibrio di lungo periodo e che costituisce un vero polo di attrazione" (Gaffard, 1990:11). 3 4 tecnologica, è assimilata alla minimizzazione dei costi dell'industria, in secondo luogo perchè sono le opportunità di decrescenza dei costi che aprono la prospettiva di una differenziazione dei prodotti (Gaffard, 1990). Nel caso del trasporto all'analisi tradizionale delle strutture industriali e delle forme di mercato è necessario fare le seguenti premesse sulle caratteristiche del mercato stesso. 2.1. Le peculiarità del mercato dei trasporti Il mercato del trasporto è ben lontano dal conformarsi alle caratteristiche che il mainstream attribuisce al mercato dei beni: in esso non è definibile un bene riproducibile e tantomeno un meccanismo di fissazione del prezzo che equilibri domanda e offerta; seguendo Quinet 1993 si tenterà di definire le peculiarità di tale mercato. E' la definizione stessa del bene vendibile "trasporto" che dà luogo ad "una profusione di mercati": essa, infatti, essendo "la vezione di un oggetto di certe caratteristiche, es. peso, dimensione, o di una persona, da A a B in un certo tempo, sotto certe condizioni di sicurezza, affidabilità e confort" (Quinet 1993:34), è suscettibile di specificazioni, connesse ad ognuna delle suddette caratteristiche che danno origine ad altrettanti definizioni di beni e dunque di mercati. Questi ultimi possono essere considerati come interrelati sia dal lato della domanda che dal lato dell'offerta: nel primo caso ci si riferisce principalmente alla concorrenza fra modi di trasporto, quindi alla sostituibilità fra questi, e di conseguenza all'interrelazione dei mercati corrispondenti. Per quanto riguarda l'interrelazione di mercati dal punto di vista dell'offerta essa è ad esempio riconducibile ai soggetti che forniscono il servizio, nel senso che possono essere presenti su più mercati, oppure al tipo di attrezzature e macchinari, quando questi possano implicare un facile spostamento da un mercato all'altro. Rispetto alla formazione ed alla pubblicità dei prezzi, l'ideale teorico è ben lontano dalla realtà del mercato del trasporto in cui si verificano situazioni "estreme"; la prima è quella del trasporto pubblico passaggeri, in cui i prezzi pur risultando da una struttura di tariffe rese pubbliche, e quindi vicini alla situazione ideale di pubblicizzazione, non sono realmente noti a causa dell'alto livello di elaborazione del sistema tariffario. Un esempio potrebbe essere costituito dal trasporto aereo passaggeri in cui i prezzi fluttuano con notevole frequenza per rispondere alle condizioni di domanda. 4 5 La seconda situazione "estrema" è quella del trasporto con mezzi privati, i cui reali costi non sono conosciuti dai proprietari dei veicoli, che, invece, sono ben consci del tempo e della sicurezza dello spostamento. Nel seguito si cercherà di concentrare l'attenzione sui fattori determinanti le forme di mercato così come stati messi in luce nella letteratura, anche quando la loro analisi non ha dato luogo a modellizzazioni già elaborate teoricamente nell'economia industriale (si veda oltre il paragrafo 1.4). 2.2. La natura dei costi La funzione di costo, la cui forma si deduce dalla funzione di produzione, rappresenta un importante veicolo di informazioni sulle tecniche usate e sul prezzo dei fattori poichè descrive i costi dell'impresa una volta che questa abbia risolto i problemi di ingegneria e di amministrazione che caratterizzano la ricerca delle combinazioni ottimali. Inoltre la conoscenza della funzione di costo permette di determinare la struttura industriale, nel senso del numero di imprese che possono essere presenti sul mercato giacchè, essendo l'efficienza tecnologica per definizione raggiunta dalle imprese e racchiusa nella funzione di costo, l'efficienza tecnologica dell'industria resta un problema economico, in particolare di ripartizione dei fattori di produzione e delle produzioni tra un certo numero di imprese. Nella ricerca economica sui trasporti i costi assumono un ruolo dominante dal momento che molta parte di essa è stata dedicata alla stima delle funzioni di costo delle imprese: tale parte è giustificata dalle applicazioni che, nello specifico, essa trova nella verifica dell'esistenza e dell'entità delle economie di scala, e quindi nello studio delle strutture industriali, nel confronto dei costi di diversi modi e, infine, nella valutazione della crescita della produttività e dell'efficienza nelle imprese di trasporto (si veda par. 2.2.1). Inoltre la stima delle funzioni di costo del trasporto costituisce un importante supporto informativo per i soggetti regolatori e i manager d'impresa. Negli studi più recenti l'attenzione alle funzioni di costo è legata alla verifica della proprietà di subadditività2 la cui importanza è da ricondursi al caso del monopolio naturale ed alla contendibilità dei mercati, una nozione quest'ultima che ha sostituito nell'economia industriale moderna quella classica di perfetta concorrenza, volendo tener anche conto del processo di selezione delle imprese3. 2 Per la definizione di subadditività si veda il par. 1.3.2. Si definisce contendibile un mercato per il quale non esistano barriere all'entrata, per cui gli entranti potenziali posono godere della stessa posizione delle imprese già presenti, sia in termini di domanda che di tecniche utilizzate, e nel quale l'ingresso di imprese non alteri la domanda se non nel senso che questa risponderà all'abbassamento di prezzo dovuto all'espansione del prodotto totale. La proprietà di contendibilità del mercato 3 5 6 L'evoluzione seguita dai contributi dedicati a tale argomento vede il passaggio dall'uso di funzioni ricavate sulla base di un'ipotesi della produzione di un unico bene a quello di funzioni relative ad output multi-prodotto, fino al tentativo di stima di funzioni dei costi edoniche, le cui variabili comprendono aspetti qualitativi dell'output4 (Spady e Friedlaender 1978). Nella letteratura economica italiana l'ampio spazio occupato dalla tematica relativa alle funzioni di costo non ha trovato un proporzionale riflesso; costituisce un'eccezione il capitolo dell'offerta di trasporto di Del Viscovo 1990 interamente dedicato alla trattazione sui costi. In tale contributo si ricostruisce il dibattito sui costi, ossia su quali siano le componenti dominanti e quali gli effetti normativi, e si illustrano le formulazioni di costo secondo i vari modi di trasporto, il tutto attraverso un excursus storico dell'analisi economica dei trasporti (citando inoltre studi di economisti italiani dell'inizio secolo che hanno contribuito in modo notevole alla definizione ed alla trattazione di alcuni strumenti analitici e di cui si è persa traccia nella letteratura economica contemporanea) che ha il pregio di riportare alla luce i fondamenti teorici delle politiche dei trasporti dell'ultimo secolo e del quadro normativo italiano. In questa sede si riporteranno di questo lavoro le principali considerazioni, rinviando al volume ed alla sua bibliografia per ogni approfondimento. Il primo dei principali passaggi messi in luce da Del Viscovo riguarda lo spostamento del dibattito dal costo costante a quello marginale: la preponderanza del costo costante (ossia indipendenti dal livello di output) su quello totale trovò nei primi decenni del secolo ampio consenso tra gli economisti che fecero di questa una peculiarità del trasporto ferroviario. "In un modo o nell'altro -afferma Del Viscovo (1990:141)- tutti coloro che a proposito dei trasporti hanno parlato di fallimento del mercato, ovvero dell'impossibilità di ottimizzare le condizioni "corripsonde ad un comportamento razionale ma sotto l'ipotesi che l'entrata sia reversibile, cioè che l'uscita possa effettuarsi senza costo" (Gaffard 1990:40). Per ulteriori cenni sui mercati contendibili relativamente ai trasporti si veda par. 1..3.2. Il legame fra la proprietà di subadditività della funzione di costo e quella di contendibilità del mercato attiene alla sostenibilità dell'equilibrio di un mercato perfettamente contendibile, per una sua discussione, per la quale è opportuna una formalizzazione del problema, si rimanda ad un manuale di economia industriale. 4 Una funzione di costo edonica tenta di quantificare la componente di costo imputabile alla qualità della produzione. La forma nella quale si presenta una funzione di costo di questo tipo prevede fra le variabili di costo quello che viene definito "output edonico", ossia una variabile "artificiale" costruita sintetizzando l'informazione dell'output fisico (misurato in passaggeri/Km o tonnellate/km) con quella relativa a ciò che può essere ritenuto un indicatore di qualità di tale output (nella maggior parte dei casi tale indicatore viene trovato nel tempo impiegato per la prestazione del servizio di trasporto. Per una rappresentazione generale delle funzioni di costo edoniche si veda Winston 1985; si può trovare, invece, in Quinet 1990 (cap.2, par.2.3) un tipo di fuzione di costo edonica in cui vengono incluse anche variabili qualitative relative alle condizione di confort e di sicurezza del trasporto. 6 7 dell'offerta attraverso il meccanismo della concorrenza, si sono rifatti a questo argomento, adducendo il carattere del tutto specifico dei costi fissi dell'impresa di trasporto, donde la conseguente convenienza di lavorare su grandi quantità, eventualmente anche sacrificando, in qualche misura, la libertà di scelta della modalità di trasporto da parte dei consumatori". Contro la considerazione di tale peculiarità come fondamento di una politica tariffaria che arrivava al paradossale caso di tariffe merci minori per destinazioni più lontane, Clark (1923) condusse uno studio teso a dimostrare che le ferrovie erano solo uno dei casi di produzione moderna e quindi caratterizzata dal ruolo di macchine e impianti, e che con questa condivideva l'importanza del costo totale quale aspetto della "capacità", anche se il suo peso relativo sui costi totali non era così grande come molti volevano asserire. Maggiori distinzioni nella precisazione dei concetti contabili ed economici di costo costante e costo variabile sono state introdotte nel corso nel tempo da numerosi altri studiosi citati dal Del Viscovo, come Kahn, Lewis, Schneider, ed proprio sulla base delle loro analisi, in particolare del primo di loro, che l'attenzione si sposta sulla rilevanza dei costi marginali nella politica dei prezzi di breve periodo sulla base dell'argomentazione della rilevanza dei costi fissi (ossia di un impulso all'aumento della produzione per favorire la ripartizione di questi) solo nella particolare situazione di un temporaneo allontanamento da un punto di equilibrio. L'effetto di maggiore suddivisione del costo totale derivante da un aumento della produzione "non ha senso -afferma Del Viscovo (1990:148) riportando le conclusioni di Kahn- come petizione per uno stato permanente necessario ad assicurare il raggiungimento di quell'equilibrio, perchè è evidente che esso, in tal caso, costituisce implicitamente una remora ad ammettere un'offerta concorrenziale che sia fatta a prezzi più bassi". Il passaggio all'esame dei costi marginali non diminuisce tuttavia i problemi definitori, anzi il confine fra costi fissi e costi variabili è spesso messo in discussione, come fa Schneider (1949) che lo rende funzione delle decisioni dell'imprenditore. A ciò si aggiunge la questione dell'indivisibilità del prodotto, ma anche questioni più sottili legate alla struttura per età di quanto viene valutato ai fini della determinazione dei costi (capitali strumentali, fattori produttivi, le decisioni di investimenti futuri). In particolare quest'ultimo punto è stato trattato, secondo quanto riporta da Del Viscovo, da Turvey (1964 e 1971) il cui contributo assume connotati pressochè unici nella letteratura sui trasporti (e non) grazie alla considerazione della rilevanza degli aspetti temporali nell'analisi economica. Nel calcolo dei costi effettivi di oggi influiscono decisioni di investimenti futuri, per cui "il costo marginale dovrebbe tener conto del valore attuale dei costi attesi per il futuro come effetto degli investimenti in corso di realizzazione" (Del Viscovo, 1990:162), dando luogo 7 8 al costo marginale scontato che appunto tiene conto degli eventi di un periodo futuro nel quale si prevede di continua ad utilizzare la capacità installata nel periodo di riferimento. Per la trattazione analitica del modello si rinvia alla rassegna Del Viscovo, ma ciò che preme qui sottolineare è che l'analisi di Turvey contiene un ulteriore aspetto di grande interesse nel campo dei trasporti, quello dell'eccesso di capacità produttiva5. Tale caratteristica dei trasporti (comune alle telecomunicazioni) rende quantomeno problematica la tradizionale ipotesi di comportamento ottimizzante secondo la quale le imprese "mescolano" i fattori produttivi in modo da minimizzare i costi, fissato l'output al livello massimo data la tecnica produttiva (si veda anche Keeler 1974). Un completamento della rassegna sul dibattito sui costi è offerto dal paragrafo 1.3.2, in cui si introducono alcuni concetti relativi alle economie derivanti dalla struttura dei costi per completare il quadro delle variabili influenti sulla struttura. 2.3. La struttura industriale determinata dalla tecnologia 2.3.1. La produzione congiunta. Uno dei passaggi fondamentali dal punto di vista dell'analisi economica dei trasporti è quello della funzione multiprodotto ossia la rappresentazione di diversi processi produttivi caratterizzati dal fatto che la loro messa in opera congiunta dia luogo ad economie; queste ultime sono composte da economie di scopo e da specifiche economie del prodotto. Nell'ambito della produzione congiunta i concetti di costo medio e di costo marginale non sono così facilmente definibili, ma nello stesso tempo altri concetti arricchiscono il quadro analitico, tra questi quelli relativi alle economie di scopo che come si vedrà giocano un ruolo importante nella definizione dei mercati. Del Viscovo 1990 riporta i numerosi esempi di applicazione all'impresa di trasporto: l'interpretazione del multiprodotto va "dalla produzione di più prodotti ottenuti congiuntamente, o da uno stesso processo produttivo, e riguardati come altrettanti prodotti differenti", alla considerazione del caso del viaggio di ritorno (il costo congiunto per eccellenza nel settore dei trasporti) (Del Viscovo 1990). Per l'analisi dei trasporti il caso interessante è quello in cui più servizi sono prodotti utilizzando uno o più fattori di produzione comuni. Esempi di produzioni congiunte sono forniti dalle classi di servizio 5 La problematica relativa all'eccesso di capacità produttiva, ossia all'esistenza di una capacità offerta superiore alla domanda soddisfatta, vede, nel caso del trasporto delle merci, la sua principale manifestazione nei viaggi di ritorno senza carico. 8 9 ferroviario considerati come prodotti diversi, o dal viaggio di ritorno dei veicoli di trasporto, particolarmente importante nel trasporto delle merci. Un antico contributo italiano alla definizione dei costi di produzione connessa (distinta come si vedrà da quella congiunta) è costituito dal ciclo di lezioni sull'economia dei trasporti che Barone tenne nel 1920 e che Del Viscovo (1990) segnala come particolarmente importante poichè ricco di intuizioni che furono sviluppate solo molti anni dopo. Barone distingue i costi connessi da quelli congiunti sulla base della possibilità che la produzione di uno dei beni possa avvenire senza l'aumento della produzione dell'altro o degli altri, che corrisponde al caso della produzione connessa, definendo produzione congiunta quella in cui l'aumento è necessario. Tale differenza si evidenzia, ovviamente, nelle condizioni di equilibrio e in quelle della dinamica poichè il segno della derivata parziale della produzione di un bene rispetto ad un altro nel caso di produzione connessa risulta negativo, contrariamente a quanto accade per la produzione congiunta. Il costo complessivo di produzione è quindi dato dalla somma di una parte costante e di tante componenti di costo quante sono le produzioni (equivalenti a costo unitario per volume di produzione); tale funzione è sottosta al vincolo che la somma dei volumi delle singole produzioni non superino il volume di produzione che si otterebbe producendo uno solo dei beni (ossia il vincolo della capacità produttiva nel caso di impianti in grado di fornire diversi tipi di output). A parte la distinzione terminologica il problema che Barone affronta è "la questione se nel caso dei prodotti connessi e dei relativi costi, esista un unico prezzo di equilibrio oppure possano essere ipotizzati prezzi differenziati secondo il valore della merce" (ossia secondo il suo costo di produzione) (Del Viscovo 1990:172). Ovviamente essa si pone solo nel caso di monopolio, in cui l'impresa è price maker, ma è interessante notare che la possibilità di prezzi diversi dai costi parziali era stata analizzata da Pigou anche nel caso di concorrenza perfetta La risoluzione di tale problema passa dapprima attraverso la definizione di una combinazione di produzioni che soddisfi l'ottimizzazione dell'utilità totale per poi affrontare la questione centrale dei prezzi uguali per produzioni connesse o prezzi in funzione dei costi parziali (quelli direttamente imputabili alle singole produzioni). Questa viene esaminata a partire dal vincolo della capacità produttiva e distinguendo il caso di 9 10 impianti saturati da quello di un minore livello della loro utilizzazione. Nel caso di due prodotti congiunti, A e B, i cui costi parziali (variabili) siano supposti uguali una domanda soddisfatta in condizioni di pre-saturazione (ossia non si fa sentire l'azione del vincolo cioè, la necessità di cercare l'ottimo nell'ambito della combinazione-tipo) dà luogo, in un mercato monopolistico, a prezzi differenziati, "poichè la vendita di tutte le quantità prodotte a prezzi uguali ai costi parziali (variabili) costituirebbe per le imprese la perdita del costo costante oltrechè del profitto, mentre sfruttando la condizione di monopolio ciascuna impresa può fissare qualche prezzo estremo che riesca a conferire una parte almeno del costo costante" (Del Viscovo, 1990:173). Quando però si registra un aumento della domanda di uno o entrambi i servizi tale da saturare la domanda allora la produzione di un bene può essere aumentata solo a costo della diminuzione dell'altra produzione producendo un allineamento dei prezzi verso quelli della combinazione-tipo. Il contributo di Barone ha particolare valore nella considerazione che "in tutti i casi in cui nella funzione di produzione prevale una connessione fra i prodotti, il rapporto fra la domanda da soddisfare e le capacità dell'impianto disponibile è particolarmente delicato"; le intuizioni legate a queste osservazioni sono state sviluppate dalla teoria della tariffazione ai costi marginali e dalla teoria del road pricing (Del Viscovo 1990:174). 2.3.2. Economie di scala e forme di mercato. Nella letteratura economica più recente due sono le questioni alla cui investigazione si dedicano più energie: la verifica di situazioni di monopolio naturale nella gestione dei servizi e la verifica della contendibilità dei mercati. La prima si collega immediatamente al problema della verifica della relazione fra costi e forma di mercato, mentre la seconda attiene all'analisi della concorrenzialità dei mercati alla luce della nozione di "entrata e uscita potenziale dal mercato". Su entrambe non sono stati rintracciati contributi italiani sebbene la verifica dei risultati proposti dalla teoria, come accade nei lavori che saranno illustrati, offrano notevoli spunti di riflessione sulle peculiarità dei mercati del trasporto e sui fattori esogeni che influiscono sulla loro forma. Per quanto riguarda il primo quesito occorre introdurre i concetti di sub-addività dei costi e di economie di densità come componente delle economie di scala. La sub-additività dei costi è la proprietà per la quale il costo totale di un dato livello di output Q è minore della somma dei costi relativi a due livelli di output q1 e q2 tali che q1+q2=Q; tale proprietà 10 11 della struttura dei costi implica che un dato output costerà meno se a produrlo sarà una sola impresa (monopolio naturale). Nel caso di produzione multi-prodotto la verifica della proprietà di sub-additività è funzione dell'esistenza sia di economie di scala che di scopo e queste, nel caso dei trasporti assumono una rilevanza e un significato particolare. Rispetto alle economie di scala va notato il ruolo della dimensione geografica del servizio di trasporto che risulta una peculiarità dell'ouput del settore; la sua traduzione nella determinazione della dimensione dell'attività di un'impresa consiste nell'ampiezza del network su cui si svolge l'attività e nell'intensità d'uso di questo. La distinzione fra economie di scala ed economie di intensità d'uso o densità di network è stata introdotta da Keeler (1974) e Harris (1977) ed adottata nei più importanti lavori econometrici di stima delle funzioni di costo. Le economie di scala , ossia le economie derivanti da incrementi di costo meno che proporzionali a quelli di output (fissi i prezzi dei fattori), possono avere due origini distinte: il volume di trasporto effettuato (in passeggeri o tonnellate/Km.; a parità di estensione della rete utilizzata dall'impresa) oppure l'uso del network. Le economie di densità si manifestano quando il costo medio di offerta del trasporto diminuisce all'aumentare del livello d'attività dell'impresa (volume di trasporto) atttraverso la frequenza del servizio sulla rete esistente o quando si aumenta la capacità di servizio del capitale esistente; le economie di scala, invece, vengono alla luce quando agli incrementi di intensità d'uso si accompagnano anche incrementi della dimensione del network (Fazioli; 1993), la loro dimensione è misurata da quanto, a parità di densità di traffico, l'aumento dell'estensione del network contribuisce all'abbassamento proporzionale dei costi all'aumentare del volume trasportato. Una situazione particolare, illustrata da Quinet 1993, è quella nella quale le economia di densità su una data strada si presentino variabili: può, infatti, accadere, fintanto che il traffico è regolare, che le economie di densità siano maggiori dell'unità (ossia segnali risparmi di costo) poichè all'aumentare della densità d'uso si possono utilizzare veicoli più economici, ma anche che tali vantaggi di costo cessino di esistere quando il volume di traffico corrisponda alla capacità del veicolo a maggiore portata. Inoltre Quinet 1993 osserva che "il valore delle economie di scala e di densità dipendono anche dalla misura in cui il sistema produttivo è dimensionato per rispondere alla domanda" (p.39). Sulla base delle nozioni precedenti, e sulle considerazioni che seguono, Quinet ha spiegato lo schema riassuntivo delle strutture di mercato per modo di trasporto che egli riporta nel lavoro del 1990 (p.156): 11 12 Ferrovia Trasporto merci su strada Trasporto passeggeri su strada - servizi regolare - servizi "charter" Trasporto fluviale - a rimorchio (convoi poussés) - a battello Trasporto aereo - linee continentali - linee intercontinentali Trasporto marittimo - linee regolari - traffico pesante (tramping) Monopolio X Oligopolio Concorrenza X X X X X X X X X X Le spiegazioni fornite da Quinet, per il cui dettaglio si rinvia ai due lavori dell'autore riportati in bilbiografia, nella costruzione della tavola sono di due ordini: il riferimento alle economie di scala e di densità e quello alle economie di scopo. Alcune delle argomentazioni presentate sono di tipo qualitativo data la difficoltà di determinare analiticamente la rilevanza delle economie dette. Ciò che qui interessa sottolineare è il risultato sorprendente, ma molto istruttivo sulla portata delle analisi di costo per la determinazione delle forme di mercato, che viene citato dal lavoro di Friedlaender e Spady: per le ferrovie essi stimano il costo marginale superiore a quello medio e il contrario per molte imprese di traasporto su strada; la prima situazione segnala rendimenti decrescenti e quindi un'ipotesi di concorrenza, la seconda rendimenti crescenti che forniscono una delle condizioni di monopolio naturale. I due fenomeni non sarebbero stati osservati, argomentano i due autori, se le ferrovie non avessero sofferto di un marcato sotto-investimento e se la regolamentazione statunitense (i dati usati per le stime sono relativi ai trasporti in USA) non favorisse viaggi di ritorno senza carico attraverso il meccanismo delle licenze legate a ristretti gruppi merceologici. Due le lezioni che ne derivano. la prima rispetto alle reali forme di mercato delle ferrovie (di monopolio naturale, almeno per le reti medio-piccole con rendimenti crescenti) e del trasporto su strada senza regolamentazione (di concorrenza con rendimenti costanti); la 12 13 seconda, di uguale importanza, sulla rilevanza delle condizioni "anomale" dell'industria considerata e dei fattori istituzionali (esogeni). Maggiori difficoltà si riscontrano per la determinazione delle economie di scopo, determinanti la condizione di sub-addivitità dei costi e quindi di ipotesi di monopolio naturale e importanti nella produzione congiunta; Quinet (1990) argomenta a favore della loro esistenza considerando la complementarità spaziale e quella temporale, ma ammette anche (1993:41) che "il confine tra le situazioni in cui esse esistono e quelle in cui non esistono non è molto chiaro". Ancora più intessante ai nostri fini risulta tuttavia la considerazione sulle determinanti della dimensione e la struttura ottime di un operatore del trasporto, sempre in Quinet: "esse non dipendono solo dalla funzione di costo, ma anche dalle esternalità di network- la dimensione del network influisce della domanda diventando una componente della qualità del servizio, espressa come frrequenza dei viaggi, numero di destinazioni e percorsi coperti (1993:41). Tali fattori producono, infatti, piccole economie di scala, ma ingenti economie di densità e di scopo, sebbene queste ultime siano difficili da determinare. La seconda questione cui questo paragrafo è dedicato è quella della contendibilità dei mercati del trasporto, ossia della verifica delle condizioni di ingresso e uscita dal mercato senza costi. La sua rilevanza è presto dimostrata quando si consideri che l'esempio classico di mercato contendibile è quello del trasporto aereo: ciascuna linea presenta, infatti, significative economie di scala e notevole facilità di ingresso e uscita (data dal fatto che una larga parte dei beni capitali, gli aerei, può essere trasferita senza costi da una linea all'altra). In tali caratteristiche la concorrenza potenziale dovrebbe impedire l'esistenza di profitti di monopolio e tariffe al di sopra del costo media. La contendibilità richiede tuttavia che le attrezzature (o i servizi) che implicano le spese irrecuperabili abbiano la caratteristica di input "pubblici" e tale caratteristica non è riscontrabile quando, al contrario, le compagnie aeree controllano l'uso delle attrezzature aeroportuali o mettono in atto sistemi particolari di prenotazione che di fatto bloccano l'entrata (Gaffard, 1990). In generale per la contendibilità di un mercato si richiede che siano soddisfatte, oltre all'assenza di barriere all'ingresso e all'uscita, le condizioni di mobilità degli utenti e la vischiosità delle tariffe; nel caso dei mercati di trasporto tutte e tre sono di difficile realizzazione (le argomentazioni seguenti sono tratte da Quinet 1990). Per quanto riguarda 13 14 le barriere di accesso al mercato si è già visto quanto accade ad esempio nel trasporto aereo; diversa appare, invece, la situazione relativa ai costi/barriere all'uscita poichè in alcuni casi la recuperabilità6 degli investimenti sembra realizzabile. Rispetto alla mobilità degli utenti va precisato che essa può risultare particolarmente difficile da ipotizzare nel caso del trasporto merci, in cui si verifica che le relazioni di lunga durata fra imprese e trasportatori possano fungere da fattori inerziali e, soprattutto, che il trasporto vero e proprio non sia che un anello delle attività di logistica dell'impresa produttrice di merce, così da risultare il trasportatore meno intercambiabile. Quanto alla vischiosità delle tariffe è da tenere presente che queste, tranne nel caso del trasporto aereo in cui le risposte ai concorrenti sembrano essere particolarmente rapide (almeno nel caso delle compagnie statunitensi), in tutti gli altri casi esse vengono stabilite in base ad accordi fra diversi soggetti che possono risultare di difficile e lunga costruzione. Le considerazioni precedenti ne richiamano altre ancor più generali rispetto ai settori considerati che portano a concludere per il riconoscimento di una validità unicamente normativa, e non interpretativa, della modellizzazione in termini di mercati contendibili. Nel caso specifico dei trasporti, caratterizzato dalla produzione congiunta, occorre notare la difficoltà di avere una configurazione naturale del numero di imprese su un mercato la cui delimitazione include un gruppo di prodotti; la discussione da qui in poi si sposterebbe su un problema già posto da Marshall sulla definizione di industria come un raggruppamento di prodotti ottenuti dalle imprese in condizioni di costo molto diverse purchè la produzione multipla generi importanti economie di scopo. E' evidente come tutta la serie di problemi e questioni sollevati possano costituire terreno fertile di ricerca applicata ai trasporti. 2.4. La struttura industriale determinata dalla domanda 2.4.1 Concorrenza monopolistica perfetta e oligopoli naturali Studi di economia industriale relativamente recenti hanno elaborato modelli in cui le preferenze dei consumatori finali o intermedi (ossia degli acquirenti di beni e servizi finali 6 Gli investimenti possono essere recuperati ad esempio spostando i macchinari e le attrezzature su un altro mercato; la misura in cui tale spostamento sia possibile è legata a quella che viene definita specificità degli investimenti che definisce il grado di interdipendenza di questi ultimi dall'attività per la quale erano stati fatti, quanto minore è la specificità di una risorsa tanto maggiore è la sua recuperabilità. 14 15 o intermedi) svolgono un ruolo nella determinazione della struttura industriale naturale. Quest'ultima quindi, anzichè corrispondere alle condizioni di efficienza tecnologica, traduce una situazione di differenziazione ottimale, come risultato dell'interazione fra le preferenze e tecnologia (Gaffard, 1990). La nozione di base dei modelli "basati sulla domanda" è quella di differenziazione con la quale si indicano le variazioni di caratteristiche di beni appartenenti ad un stesso gruppo; sono ad esempio sono considerati prodotti differenziati diversi modelli di una stessa automobile (differenziazione orizzontale) oppure due automobili diverse (differenziazione verticale). A tale nozione corrisponde, dal lato dell'offerta, quella di segmentazione del mercato (inteso come unico), un fenomeno che Quinet 1993 (si veda par. 1.2.2) analizza invece in termini di "profusione di mercati"; il riferimento all'uno o all'altro concetto è quindi funzionale agli obiettivi di studio che le analisi si propongono. Per l'analisi delle possibilità di differenziazione orizzontale Lancaster (1975) ha elaborato un modello nel quale la struttura industriale naturale viene a configurarsi di "concorrenza monopolistica perfetta", come lo stesso Lancaster la definisce, e in grado di considerare anche il caso di imprese multi-prodotto. Tale struttura si differenzia dalla concorrenza perfetta poichè considera prodotto e preferenze dei consumatori non omogenei ed economie di scala, ma anche dalla concorrenza imperfetta poichè l'entrata sul mercato è libera, non esiste collusione fra imprese, nè incompletezza o asimmetrie d'informazione. In equilibrio il modello risulta in un grado di differenziazione pari la numero di imprese, poichè ciascuna di esse produce un bene unico in condizioni di concorrenza monopolistica, ossia con una discrezionalità teorica nella fissazione dei prezzi che però in equilibrio non produce profitti a causa dell'entrata libera sul mercato. Il modello di Lancaster implica la possibilità che il numero di imprese possa crescere indefinitamente nel momento in cui i costi fissi per l'entrata diminuiscano e la dimensione dell'economia aumenti. Al contrario il secondo modello che viene considerato, quello di Shaked e Sutton (1987), dimostra che nel caso di differenziazione verticale esiste un limite massimo di imprese, definendo così la nozione di oligopolio naturale. L'esistenza del limite superiore al numero di imprese del modello dipende unicamente dalle preferenze e dalla distribuzione dei ricavi e deriva da un meccanismo di concorrenza fra prodotti; inoltre tale limite è particolarmente robusto rispetto a riduzioni dei costi fissi (e 15 16 quindi dei costi medi unitari che il prezzo deve almeno compensare) e ad estensioni del mercato. E' da notare in questo modello il ruolo attribuito ai costi fissi che, secondo gli autori del modello, appaiono determinanti una struttura di oligopolio, non per la loro rilevanza, ma perchè si sostituiscono a dei costi variabili più elevati. In uno degli esempi riportati da essi stessi si afferma che la produzione di aerei e di grandi computer è limitata a poche imprese non a causa di costi fissi di produzione di sviluppo dei prodotti troppo alti in relazione all'ampiezza del mercato, ma piuttosto perchè esiste la possibilità, affrontando inizialmente costi fissi addizionali, di spostare costantemente la frontiera tecnologica verso prodotti più sofisticati (Shaked, Sutton 1987) Nella letteratura esaminata non vi sono contributi che esaminino il settore dei trasporti verificando la capacità interpretativa di tali modelli, mentre invece è frequente la descrizione della segmentazione del mercato che rappresenta una parte della fenomenologia che i modelli vorrebbero interpretare. La rassegna che segue include alcuni dei contributi che alla segmentazione del mercato dedicano maggior spazio. 2.4.2 La segmentazione del mercato e fattori di competizione I due contributi considerati sono lo studio del 1988 condotto dal Dipartimento di scienze economiche dell'Università di Roma La Sapienza (sotto la responsabilità scientifica di Bruno) nell'ambito del Progetto Finalizzato Trasporti 1, e lo studio Cesit 1988 (curato da Mercurio), l'uno riguardante il trasporto merci su strada, l'altro il settore ferrotranviario con una evidente ottica di filiera. Trasporto su strada Il primo dei contributi, qui riportato per la metodologia di individuazione dei segmenti, analizza la segmentazione del mercato partendo dalla considerazione che gli ambiti di mercato separati, anche se comunicanti, sono caratterizzati da "condizioni specifiche di esecuzione e di organizzazione del processo produttivo, e nei quali le relazioni esistenti tra committenti e fornitori, da una parte, e, dall'altra, tra imprese di trasporto assumono conformazioni particolari" (Bruno 1987:257). Diverse sono le fonti della segmentazione: la prima distinzione presentata è quella fra trasporto a carico completo (con un unico punto di carico ed un unico di scarico) e quello 16 17 di collettame (piccole partite per più destinatari). Nel primo caso vi è pieno utilizzo della capacità del mezzo di trasporto. Una seconda fonte di segmentazione è data dalla specializzazione dei mezzi: accanto ai cassonati (veicoli con pianale di carico pieno) esistono i veicoli che possono trasportare solo un determinato gruppo di prodotti, come ad esempio le bisarche per le automobili e i mezzi refrigerati per i prodotti alimentari freschi. La tendenza riscontrata nello studio è quella di una spinta da parte delle imprese a specializzare il loro parco macchine e quindi ad operare solo su certi segmenti di mercato. La terza ed ultima forma di segmentazione presentata è relativa più al comportamento delle imprese che alle caratteristiche dei prodotti e per questo si presta anche a considerazioni su aspetti riguardanti l'organizzazione del trasporto. si tratta della bipartizione, basata sul tipo di rapporto esistente fra committente e fornitore, in settore "programmato" e settore "spot". Nel primo tra i due soggetti individuati prevalgono rapporti di collaborazione di lunga durata, a volte esclusivi, attraverso i quali l'impresa mantiene il controllo della funzione di trasporto esternalizzata, riproponendo così, anche se in forme diverse, alcuni problemi che l'esternalizzazione doveva risolvere, come l'ottimizzazione della capacità produttiva potenziale data ("la domanda di trasporto just-in-time non è domanda di trasporto, bensì domanda di 'disponibilità permanente potenziale' afferma Bruno 1987: 46). Tali argomenti offrono l'opportunità di sottolineare ulteriormente il ruolo giocato dalla domanda delle imprese nella conformazione dell'offerta di trasporto delle merci. Nel segmento spot le condizioni di esecuzione del servizio, le cui caratteristiche sono di tipo standard, vengono contrattate di volta in volta dando margine ad una concorrenza basata sul prezzo. Al contrario nel segmento caratterizzato da contratti di lunga durata, la cui convenienza rispetto all'internalizzazione ha origine nella specificità degli investimenti richiesti (per un riferimento teorico si veda Williamson 1986, per un riferimento applicato ai trasporti Varaldo 1981, Lopez 1988, Van Zijst 1993) e nelle esigenze dettate dall'organizzazione della produzione (decentramento produttivo e produzione just-in-time; si veda Leon 1986, Bruno 1987, Succi 1994, Bologna 1995, Simons 1995, Cooper 1995), si presenta una "forte dispersione dei prezzi per prodotti simili" (Bruno, 1988:259) e la concorrenza è basata sulla qualità del servizio comprendendo in essa il grado di customizzazione, l'ampliezza della gamma di servizi offerti, l'affidabilità e la disponibilità del trasportatore. 17 18 Rispetto alla dimensione delle imprese committenti la segmentazione del mercato non appare in Bruno 1987 essere fonte di distinzione fra piccole e grandi imprese: "non può essere adottata, cioè, una rappresentazione che veda da una parte le grandi imprese le quali generano flussi costanti e stabili di traffico e sviluppano rapporti di lunga durata con alcune imprese di trasporto, e le piccole che di volta in volta contattano un trasportatore diverso badando soprattutto alle condizioni di prezzo da questo offerte" (Bruno, 1987:260). Infine vanno riportate le osservazioni sul condizioni del gioco concorrenziale contenute in Bruno 1987 che mettono ben in rilievo l'interazione fra domanda e tecnologia di cui si è parlato sopra a proposito del ruolo di queste componenti nella determinazione della struttura. Nei ristretti segmenti di mercato in cui si effettuano trasporti specializzati, quelli che più spesso sono oggetto di contratti di lunga durata, si contano pochi operatori sia dal lato dell'offerta ( a causa delle barriere all'ingresso costituite dalla specificità, o idionsicraticità nel linguaggio di Williamson, degli investimenti e delle conoscenze necessarie) che della domanda. Tali condizione favoriscono "rapporti di collusione fra offerenti che tendono da una parte a regolare la concorrenza reciproca, dall'altra a ottenere il riconoscimento di un relativo potere di mercato garantito dal possesso di mezzi produttivi specifici e limitati" (Bruno 1987: 261). Settore ferrotranviario Il secondo contributo (Mercurio 1992), avente per oggetto il settore ferrotranviario, ossia "l'insieme delle aziende che soddisfano il bisogno di fornitura di materiale rotabile e impianti fissi degli esercenti nazionali, locali e regionali e che utilizzano tecnologie meccaniche, elettromeccaniche ed elettriche" (Mercurio 1992:5), presenta due caratteristiche rilevanti ai fini di questa rassegna: la prima concerne i tipi di segmentazione individuati, la seconda è che esso rappresenta uno dei rari esempi di analisi, condotte in Italia, di quella che si può considerare la filiera del trasporto (si veda anche l'indagine condotta dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato 1995). La segmentazione del mercato dei prodotti ferrotranviari che ne è risultata è di tipo geografico e trova la sua determinante nelle caratteristiche della domanda (si veda anche Cesit 1989), in particolare nella "forte incidenza del volume delle commesse gestite dagli esercenti le ferrovie nazionali, le barriere che impediscono l'entrata di concorrenti stranieri nei paesi in cui vi è la presenza di un'industria ferrotranviaria locale, la ripartizione delle commesse in base al principio delle quote storiche che hanno favorito la formazione di un mercato europeo costituito da un insieme di mercati nazionali captive separati l'uno 18 19 dall'altro, e ognuno dotato di una struttura industriale caratterizzata da un basso grado di concorrenza" (Mercurio 1992:29). Le imprese sono state indotte a produrre secondo le esigenze dell'esercente del proprio paese che è stato quindi il loro unico acquirente, acquistando così il ruolo di monopsonista sul mercato nazionale. A fronte della domanda così come è stata presentata l'offerta ha subito una segmentazione di tipo tecnologico (facendo dunque intravedere di nuovo come la struttura sia frutto dell'interazione domanda-tecnologia) che opera una partizione delle imprese in quelle del gruppo elettrico e quelle del gruppo meccanico. Nella prospettiva dell'apertura dei mercati, però, la segmentazione rilevante viene individuata in quella basata sulle "differenti esigenze di mobilità (mobilità su media e lunga distanza, mobilità su breve distanza) e al tipo di funzione (passeggeri e merci)" (Mercurio 1992:29). Capitolo 3. Comportamenti e perfomance delle imprese Alessandra De Lellis 3.1. L'efficienza delle imprese In questo paragrafo trovano spazio due questioni: la prima, notevolmente dibattuta sulla misurazione dell'efficienza delle imprese di trasporto in particolare quelle di trasporto pubblico locale, la seconda, cui è stato dedicato pochissimo spazio (e che anche in questa sede ne troverà molto meno di quanto non sarebbe necessario), riguarda, invece, gli aspetti economico-organizzativi che hanno a che fare con l'efficienza delle imprese. 3.1.1. Misurazione della performance L'analisi e la valutazione dell'efficienza tecnica delle imprese di trasporto ha riguardato soprattutto il trasporto pubblico locale, ossia il servizio urbano ed extraurbano fornito attraverso autobus, tram e ferrovie metropolitane, per motivi sostanzialmente connessi al ripianamento del deficit delle aziende erogatrici del servizio da parte delle amministrazioni pubbliche. La letteratura sull'argomento sia dal punto di vista metodologico che applicativo è molto ricca, ma anche densa di interrogativi sia sulla correttezza metodologica di alcuni indicatori sia sulla disponibilità di dati per il loro calcolo. 19 20 Tale ricchezza di studi deriverebbe dalla necessità che le imprese di trasporto sia pubbliche che private hanno di un set di indicatori di performance in grado di identificare con sufficiente dettaglio le fonti reali di perdita e di guadagno della produttività complessiva; "da un punto di vista ideale tali misure sarebbero più che dei monitor ex post: esse avrebbero la capacità di fornire una guida ex ante su cosa fare per migliorare la produttività" (Hensher, 1992:433). A tal fini si potrebbe anche ricondurre la spinta all'elaborazione di indicatori di produttività derivante dall'esigenza delle aziende pubbliche di monitorare le proprie attività attraverso misure di facile comprensione, oltre che quella delle autorità preposte al monitoraggio delle attività regolate (su quest'ultimo argomento si veda Putterill e Maani, 1992). Maggiore attenzione sembrerebbe, invece, essere stata riservata dagli analisti del trasporto al problema dell'elaborazione di una misura di produttività totale dei fattori (total factor productivity, TFP) che possa servire nel confronto tra imprese di trasporto e nel tempo. Tale indicatore esprime l'ouput per unità di input e sebbene sia concettualmente molto semplice il suo utilizzo nell'operare i confronti citati presenta alcuni rilevanti problemi. E' tuttavia da notare che tale misura rappresenta un passo in avanti rispetto alle misure di produttività parziali. Il principale problema concettuale del TFP deriva dall'ipotesi dell'unicità dell'output e dell'input: ogni impresa, infatti, produce molti tipi di beni o servizi impiegando vari tipi di input. La soluzione a tale problema è la costruzione di indici aggregati di input e output, ottenuti grazie a pesi attribuiti a questi ultimi sulla base della loro quota rispettivamente sui costi totali (o variabili) e sul ricavo totale. Correlato a quanto detto è il problema dell'aggregazione dei prodotti e degli input, problema comune a tutte le misurazioni della produttività e che, sebbene si dichiari superabile (Windle, Dresner 1992) comporta comunque un'alta costosità del calcolo del TFP. La misura alternativa di produttività complessiva più utilizzata è la spesa totale sul ricavo, una misura del costo unitario che ha i vantaggi della facilità del calcolo e della non considerazione di tutti gli input. A tali vantaggi si contrappongono tuttavia due difetti principali di tale misura: essa non riflette accuratamente il costo degli beni capitali impiegati e, inoltre, per il suo calcolo gli input sono considerati per il loro valore nominale, piuttosto che per quello reale. 20 21 Alternative al TFP sono pure le misure di produttività parziale, anch'esse non esenti da problemi; in particolare esse considerano solo un sottoinsieme degli input impiegati e un sottoinsieme di output ottenuti, oltre che trascurare i problemi derivanti dalla natura non omogenea dei beni e servizi considerati. Quanto detto finora si riferisce a quello che viene definito un "approccio non parametrico" alla definizione di numeri indici di produttività costruiti sulla base dei dati; alternativamente è possibile costruire misure parametriche sulla base della stima di funzioni di produzione o di costo, i cui "slittamenti" (rispettivamente verso l'alto o verso il basso) vengono attribuiti al progresso tecnico (considerato neutrale à la Hicks) e interpretati come variazioni di produttività (per un maggiore dettaglio su tale approccio e un confronto fra i due metodi, si veda Oum, Tretheway e Waters, 1992). La stima della funzione di costo, per la quale valgono tutte le osservazioni fatte nel precedente paragrafo, dai problemi di aggregazione all'inserimento fra le variabili di una misura della dimensione del network, procede a partire dalla specificazione del modello (scelta della categoria di costo a cui ci si riferisce e delle variabili che devono essere incluse) e dalla scelta della forma funzionale per poi giungere alla scelta della tecnica di stima. Particolamente interessante per gli studi sui trasporti è risultato essere l'approccio della frontiera tecnica, secondo il quale viene stimata una funzione deterministica o stocastica che viene a configurarsi come il confine "efficiente" delle imprese studiate e con il quale queste stesse si confrontano. L'approccio si presenta in netto contrasto con quello tradizionale di stima della funzione di costo tramite regressione (ricostruzione della funzione dei valori medi) dei dati osservati (si veda la figura sotto, da Oum, Tretheway e Waters, 1992:498); un'applicazione di tale metodo si trova in Montella (1994). figura Nell'ambito del dibattito sulla verifica dell'efficienza delle imprese di trasporto pubblico si inserisce il contributo di Fazioli 1993 in cui si propone un'applicazione del frontier approach, basato sulla stima della frontiera delle funzioni dei costi; l'efficienza dell'impresa viene ad essere una funzione della distanza del proprio costo da quello espresso dalla frontiera (per ogni livello di output). 21 22 Il lavoro di Fazioli (si veda anche in appendice 1) si propone di contribuire al dibattito sulla riforma della regolamentazione del trasporto pubblico su strada offrendo spunti di riflessione sulla struttura dei costi caratterizzanti l'offerta. Oggetto di valutazione è stata l'efficienza di 40 aziende operanti in Emilia-Romagna, di cui 10 pubbliche, basata su un panel-data composto dalle osservazioni per ciascuna azienda relative al periodo 1986-1990. Altra caratteristica interessante del lavoro è l'ipotesi di funzione translogaritmica per la rappresentazione dei costi, introdotta nello studio sui trasporti da Friedlaender e Spady in un articolo del 1981 (si veda anche in Del Viscovo 1990). Questa, seppure nell'ambito di una metodologia parametrica per l'individuazione della frontiera, ossia di specificazione a priori della forma funzionale di quest'ultima, permette di "effettuare due importanti operazioni: 1)definire la struttura efficiente dei costi standard a fini regolamentativi, e 2)stimare la consistenza dei probabili effetti di modifiche sulla configurazione dell'offerta stessa" (Fazioli, 1993:537). I risultati del lavoro riguardano principalmente l'irrilevanza della natura proprietaria sul livello di efficienza di costo delle imprese considerate e quindi non vi è conferma empirica della superiorità dell'offerta privata così come riportata dalla letteratura; altrettanto importante, ai fini normativi, è quanto risulta rispetto allo sfruttamento delle economie di scala del network e delle economie di densità (o di intensità d'uso) del network. La distinzione fra i due tipi di economie implica che il concetto di efficienza tecnica venga definito in riferimento sia all'ottimalità della scala d'attività generale che all'ottimalità dell'attività rispetto ad un dato network. I risultati di Fazioli mostrano come al diminuire della dimensione dell'azienda sia le economie di scala che quelle di densità aumentano7 e dunque "come la regolamentazione attualmente in vigore impedisca la selezione di configurazioni dell'offerta tecnicamente più efficienti, ovvero finisce per cristallizzare il settore in una configurazione eccessivamente frammentata" (Fazioli 1993:529-530); scala d'attività e intensità d'uso del network non sono, infatti, variabili decisionali delle aziende poichè dipendono dalle caratteristiche della domanda e della politiche attuate per il trasporto pubblico. 7 Solo apparentemente l'affermazione sembra contraddire "il comune senso delle economie di scala": occorre infatti ricordare che un indicatore di economie di scala misura (si veda par.1.3.2) quanto l'aumento della scala del network può contribuire ad una diminuzione di costi. Un aumento di economie di scala al diminuire della dimensione di impresa equivale a dire che quanto più l'impresa è piccola tanto maggiori sarebbero i guadagni potenziali (ovvero i risparmi di costo) se la sua dimensione aumenta. Lo stesso dicasi per le economie di densità. 22 23 Le indicazioni che derivano dall'analisi svolta vanno nella direzione di incentivi alla fusione ed alla creazione di consorzi che a loro volta aprono una riflessione in termini di regolamentazione; quest'ultima dovrebbe prevenire uno sbilanciamento della situazione dalla parte dell'efficienza tecnica a scapito di quella allocativa in cui la presenza di pochi soggetti forti possa tradursi in danno per l'utenza. In un ambito più tradizionale, almeno rispetto all'analisi dell'efficienza, si collocano altri due contributi italiani: lo studio (tuttora in corso) dell'Università di Napoli e diretto da Montella per il Piano finalizzato trasporti 2 del CNR e la ricerca del Formez del 1988. Il primo (nella sua relazione annuale del 1994) si compone di una dettagliata rassegna bibliografica avente per argomento gli indicatori di performance e di una seconda parte dedicata al calcolo di indicatori, previa verifica della disponibilità di dati. La rassegna, che qui sarà illustrata per sommi capi e limitatamente agli spunti più originali, inizia con il vasto lavoro di Tomazinis (1985) che elabora indicatori per aree di interesse del servizio distinguendolo in servizio primario, comprendente i servizi realizzati sulla rete, alle fermate , ai terminal ed ai servizi ad essi associati, e in servizio ausiliario, ossia le componenti del trasporto che comprendono la pianificazione, la costruzione e l'organizzazione delle operazioni, della direzione e della manutenzione. Diversamente elaborato il criterio di efficienza dello Stato di New York che si basa sull'analisi dell'affidabilità dei vari modi di tipi di trasporto e delle determinanti dei costi e dei ricavi; mentre l'indagine di Directa (1978) è volta ad elaborare indicatori che permettano il confronto tra settore pubblico e privato degli autotrasporti pubblici extraurbani. Sulla base della finalità d'uso si presentano raggruppati gli indicatori proposti dall'Ocse: 1)indicatori per la pianificazione del servizio, 2)indicatori necessari per la valutazione interna nel tempo, 3)indicatori da utilizzare per la comparazione tra le diverse unità di esercizio, 4)indicatori per la comparazione tra le diverse reti. Gli indicatori scelti per la valutazione della perfomance delle imprese di trasporto esaminate da Montella (1994) sono raggruppabili in tre gruppi: 1)gli indicatori di efficienza, 2)gli indicatori di efficacia, 3)gli indicatori di qualità. Per il loro calcolo è stata utilizzata la base di dati fornita dalla Cispel che attraverso questionario rileva dati su: stato patrimoniale, conto economico, ammortamenti e accantonamenti, personale e aspetti tecnici di produzione. 23 24 Il secondo lavoro esaminato è la ricerca del Formez sulla performance delle aziende del trasporto pubblico e dei suoi legami con la spesa pubblica; esso seppure, come si vedrà, non riporta nessuno degli aspetti problematici del calcolo della produttività, ha una premessa particolarmente interessante poichè costituisce uno dei pochi, se non l'unico, studio sui trasporti che si sviluppi a partire da considerazioni di teoria economica dell'organizzazione, riconoscendo che lo studio delle variabili finanziarie non sia sufficiente, benchè necessario, a ricostruire con efficacia il quadro conoscitivo sui comportamenti e le perfomance delle imprese. L'approccio seguito è quello comune alle recenti analisi delle organizzazioni, e si basa sulla teoria dell'agenzia, immaginando che "l'intero processo decisionale che dà luogo alla produzione di trasporto pubblico possa essere rappresentato da una catena di rapporti principale/agente" (Formez, 1988: 244). Il principale è colui che, per realizzare uno o più suoi obiettivi, pone in essere una relazione contrattuale con l'agente, il quale è caratterizzato da obiettivi differenti da quelli del principale (ognuno dei soggetti agisce al fine di rendere massima la propria utilità) e le cui azioni non sono controllabili. Al fine di ridurre al minimo sfruttamenti opportunistici di tali asimmetrie operati dagli agenti, la cui conseguenza sarebbero servizi di bassa qualità ed alto prezzo, il principale deve stabilire un sistema complesso di incentivi (premi e penalizzazioni) che renda conveniente all'agente agire in modo da realizzare gli obiettivi del principale. L'applicazione della teoria dell'agenzia al trasporto pubblico, in ogni caso, incontra difficoltà a causa della pluralità di principali: ad esempio "la domanda di trasporto pubblico (i cui soggetti sono i principali del primo anello della catena) non è determinata unicamente dalla preferenza dei cittadini, ma anche da quella dei produttori di mezzi di trasporto privato e da quella dei produttori dei beni di investimento del trasporto pubblico" (Formez, 1988: 245). Il contributo del Formez si sviluppa con un'analisi del ruolo del management nella gestione delle imprese condotta attraverso un'indagine campionaria su membri delle commissioni amministratrici e funzionari e dirigenti, volta a verificare alcune ipotesi di lavoro derivanti dal modello di comportamento assunto. Tale modello prevede, a parte alcuni casi particolari, due diversi comportamenti standard delle imprese a fronte di un aumento o di un taglio ai trasferimenti all'azienda: il primo caratterizzato da "assenza di reazioni", tipica dell'impresa privata neoclassica o dell'impresa a proprietà ristretta dominate dalle finalità di profitto; gli effetti delle variazioni in esame dovrebbero limitarsi al saldo (utile o perdita) del bilancio aziendale e non incidere sulle quantità o sui prezzi fissati per la massimizzazione del profitto in condizioni di concorrenza perfetta o di monopolio in cui 24 25 tali imprese operano. Eccezionalmente possono aversi aggiustamenti di quantità o prezzo nei casi in cui le variazioni di trasferimento incida su un vincolo dell'impresa, ad esempio l'accesso al mercato dei capitali. Il secondo tipo di comportamento, in parte collegato alle eccezioni appena citate, riguarda l'impresa pubblica, le cui scelte aziendali sono fatte sulla base degli obiettivi di soggetti non proprietari: "se lo sponsor (Stato, Regione o Comune) interviene soprattutto fissando vincoli all'azienda (ad esempio, per quanto riguarda il saldo di bilancio, e/o il ricorso all'indebitamento), è evidente che il prelievo o il trasferimento vengono a rafforzare o ad attenuare questo tipo di vincoli e per questa via possono provocare aggiustamenti delle scelte" (Formez, 1988:255). Per discriminare i due comportamenti dunque si è osservato, a fronte della simulazione di variazione dei trasferimenti proposta nell'indagine, la graduatoria delle preferenze degli intervistati rispetto alle variazioni da apportare nei piani aziendali: se queste ultime si riflettono nel solo saldo di bilancio si parlerà di comportamento da impresa massimizzatrice del profitto, altrimenti di "discrezionalità manageriale". I risultati affermano che nel caso di necessità di tagli la prevalenza delle risposte indica un trasferimento degli oneri all'esterno dell'impresa, con aumento delle tariffe e delle sovvenzioni, mentre i "sacrifici interni" consistono in una possibile riduzione del personale dei servizi generali. Nel caso di maggiori disponibilità di fondi si privilegiano gli investimenti, mettendo all'ultimo posto interventi a favore degli utenti (riduzione tariffarie); gli autori dello studio, notando che si tratta soprattutto di investimenti per ampliare la capacità produttiva, fanno rilevare come, a fronte di una domanda in calo come quella del periodo considerato (1982'86) in tutte le aziende del campione, tale dato non sia facilmente spiegabile con le finalità sociali e che, d'altra parte, confermerebbe l'ipotesti teorica della tendenza alla sovracapitalizzazione delle imprese dovuta al comportamento dei dirigenti. "Il ricorso all'investimento appare a livello aziendale appare come la migliore, e probabilemente l'unica, risposta per arrestare il declino della situazione economico-finanziaria delle imprese e più in generale del loro stesso ruolo" (Formez, 1988:303): tale situazione sarebbe il risultato del contesto in cui operano le imprese di trasporto pubblico, caratterizzato dalla concorrenza dei mezzi privati e contemporaneamente dall'assenza di una sufficiente autonomia decisionale. 25 26 L'indagine dimostra inoltre che i responsabili aziendali non utilizzano il margine discrezionale di cui dispongono neanche in quelle spese amministrative per le quali si parla di "bilancio discrezionale del manager". Parallelamente, però, non appaiono sviluppate le funzioni di marketing la cui attività potrebbe risultare particolarmente importante, soprattutto in corrispondenza della revisione delle tariffe, momento in cui lo sfruttamento di una disponibilità a pagare esistente e la conoscenza della domanda potenziale darebbero risposte nuove all'esigenza di adeguamento agli aumenti di costo. La perfomance delle imprese costituisce il secondo tema del lavoro esaminato e viene studiata per le imprese appartenenti al campione considerato, attraverso indicatori relativi alla produttività dei fattori e ai costi unitari. Per l'utilizzo di tali indicatori si fa riferimento ad una "letteratura empirica ormai consolidata" evitando la discussione sulla correttezza dell'approccio e sui limiti di tali indicatori stessi, discussione a cui, come si è visto, molti contributi sono stati dedicati recentemente. I risultati dell'indagine indicano innanzitutto un allargamento della forbice fra costi e ricavi unitari; di tale fenomeno, che non necessariamente è un segnale di inefficienza date le esternalità positive generate dal trasporto pubblico, si ritiene preoccupante l'entità. Inoltre esso è avvenuto in un periodo in cui la produttività subiva due spinte contrastanti: da un lato c'è stato un miglioramento della produttività del capitale, dall'altro, anche a causa della diminuzione delle ore lavorative, il fattore lavoro è maggiormente sfuggito a tentativi di gestione volta ad una maggiore produttività. Accanto a condizionamenti esterni di tipo istituzionale, come la contrattazione collettiva sull'orario di lavoro, la produttività ha risentito dell'effetto della congestione derivante dall'aumento del traffico privato. A ciò evidentemente si collega anche la diminuzione della domanda che, influendo negativamente e rapidamente sui ricavi, ha determinato una diminuzione della redditività delle aziende. L'effetto totale è quello di "una sorta di circolo vizioso costituito dalla riduzione della domanda, dal peggioramento della situazione delle aziende, dalla carenza di incentivi e da un'ulteriore caduta della domanda" (Formez, 1988: 307). 3.1.2 Aspetti economico-organizzativi Due sono i punti che si vogliono portare, sia pur con una breve esposizione, all'attenzione: il primo riguarda l'evoluzione dell'organizzazione del trasporto just-in-time, il secondo la struttura reticolare delle imprese di trasporto. 26 27 Trasporto e produzione just-in-time Rispetto al primo si seguirà il contributo di Pugno 1992, il quale mette in evidenza come la produzione just-in time abbia determinato una corrispondente trasformazione dell'organizzazione della logistica di distribuzione e quindi del servizio di trasporto che ha anche accresciuto l'efficienza del sistema nel suo complesso. Fino all'affermazione della produzione just-in-time la molteplicità di stabilimenti di produzione accompagnata ad un ampio mercato richiedeva l'organizzazione di una rete di filiali ciascuna con magazzino per la scorta dei prodotti finiti in tutta la loro gamma, e ciò a causa di due fattori: l'inefficienza della rete di trasporto e la difficoltà di trasmissione veloce e a basso costo delle informazioni sugli ordinativi (sul ruolo dell'informazione nella logistica si veda anche Bruno 1988) e sulla disponibilità della merce. La produzione just-in-time, minimizzando le scorte di magazzino, ha trasformato anche la logistica, in base allo stesso criterio, che è giunta ai sistemi di transit point (la "ribalta" per i corrieri). Questi ultimi sono luoghi in cui quotidianamente affluiscono le merci per i clienti del loro bacino di riferimento, e immediatamente ricaricate sui mezzi trasportanti collettame per la distribuzione finale. Tale organizzazione permette che la merce esca dall'impresa produttrice solo a fronte dell'ordinativo del cliente. Le condizioni affinchè l'intera organizzazione possa dimostrarsi efficiente consistono in un sistema informativo che consenta di conoscere in tempo reale la disponibilità di merce in risposta al cliente, e in flussi di merce le cui dimensioni consentano invii quotidiani ai transit point. La struttura reticolare delle imprese Il raggiungimento dell'efficienza nel caso di imprese la cui struttura possa definirsi reticolare, come accade per numerose imprese di trasporto, sembra non disgiungibile dall'attuazione di un coordinamento fra le imprese stesse, anzi Carlton e Klamer (1983) affermano l'esistenza di un trade-off fra efficienza e competizione nelle industrie a rete. L'argomento sembra particolarmente interessante nel caso dell'analisi delle imprese di trasporto, e ciò sembra dimostrato dal fatto che gli autori citati sopra hanno considerato la ferrovia come uno dei loro casi di studio; inoltre implicazioni interessanti appaiono derivare all'attività di organizzazione della logistica (del tipo accennato sopra). 27 28 Nel caso delle imprese di trasporto la struttura reticolare, intorno a più poli di carico, è dettata dalla necessità di evitare i ritorni vuoti e può essere gestita in prima persona dalle imprese di trasporto oppure attraverso Agenzie che collegano imprese produttrici di merci e imprese di trasporto, almeno per le imprese non marginali che non usufruiscono di tali reti (si veda Bruno, 1987). L'esigenza di coordinamento può essere letta nella realizzazione di numerosi accordi di collaborazione interessanti non solo clienti primari e fornitori, ma anche imprese di trasporto collocate in ambiti territoriali diversi. La rilevanza della struttura reticolare nel caso innovazioni tecnologiche e organizzative richiederebbe un approfondimento, impossibile in questa sede, che, considerando anche quanto elaborato in altri ambiti (es. telecomunicazioni) potrebbe rappresentare una ampia prospettiva di ricerca. 3.2. Innovazione tecnologica e imprese Per i primi due paragrafi si seguirà il contributo di Beltrami 1994 che, caso raro nel panorama della letteratura sull'economia dei trasporti, ha affrontato l'argomento dell'innovazione tecnologica a partire dall'analisi delle determinanti e sottolineando i rapporti tra fornitori e utenti come fonte di innovazione, arricchendone l'apporto con altri contributi italiani sul tema e alcune annotazioni riguardanti il contesto analitico da essi considerato. 3.2.1 Analisi dell'innovazione Richiamando Kline e Rosenberg il percorso dell'innovazione viene ad essere considerato da Beltrami 1994 come il "risultato di un insieme di connessioni e retroazioni tra mercato, conoscenze tecniche e scientifiche, capacità progettuali, ricerca e produzione e commercializzazione, in cui il fattore economico -riduzione dei costi, produttività ecc.- è rilevante, ma non sufficiente a spiegarne la traiettoria". Infatti, aggiunge lo studioso, "tra i fattori che meglio si prestano a spiegare il formarsi dell'innovazione tecnologica sono gli squilibri che caratterizzano le configurazioni dei prodotti tecnici nei diversi tempi della loro evoluzione, sia al loro interno, sia nelle loro interazioni con altri prodotti o con l'ambiente esterno. L'esigenza di superare questi squilibri costituisce non solo una spinta verso nuove soluzioni tecniche ma ne obbliga -in qualche modo- le sequenze". Lo squilibrio considerato come esempio è quello dell'alta velocità ferroviaria che ha dato 28 29 luogo a una serie di azioni innovative nelle tecnologie ferroviarie per stabilire un nuovo rapporto ruota/rotaia o veicolo/infrastruttura. Discontinuità tecniche inoltre possono essere indotte da fattori normativi (come la fissazione di standard inquinanti per i veicoli) e da vincoli nella disponibilità di risorse. Questi fattori, secondo Beltrami, "pur entrando nel gioco dell'evoluzione tecnologica, spiegano meno bene il concetto di tecnologia come processo cumulativo". Conviene a questo punto alcune precisazioni generali sull'analisi economica dell'innovazione tecnologica. Quest'ultima si caratterizza da un punto di vista analitico come un processo di costruzione di nuovi opzioni produttive le cui configurazioni finali nelle loro catteristiche tecniche ed economiche non possono essere conosciute a priori, a meno che non si limiti l'innovazione tecnologica a sviluppo di prodotti o alle sole innovazioni minori (dal punto di vista tecnologico). Questa riflessione conduce ad una conclusione particolarmente rilevante dal punto di vista dell'analisi economica: quest'ultima infatti non ha motivo e capacità di occuparsi degli aspetti tecnico-ingegneristici delle innovazioni, ma deve, invece, essere in grado di modellare il fenomeno innovativo, caratterizzato dalla sua dimensione dinamica, in quanto avvio del processo di costruzione di nuove tecnologie dal punto di vista economico. Ciò vuol dire che l'analisi economica dell'innovazione tecnologica non può che occuparsi della condizioni di fattibilità dell'avvio di tale processo, studiando i vincoli che l'impresa e l'intero sistema economico si trovano di fronte alla scelta di immettersi in un sentiero di creazione di nuova tecnologia (intesa nel suo significato di messa a punto del metodo e dei fattori di produzione). L'implicazione di maggior dissenso con l'analisi svolta da Beltrami 1994 consiste nel vedere il processo di innovazione non come un sentiero obbligato si sviluppo tecnico, ma al contrario come un allargamento delle possibilità tecnologiche. 3.2.2 Capacità innovativa delle imprese e competitività dell'industria L'analisi di Beltrami prosegue rilevando che le imprese italiane produttrici di mezzi di trasporto soffrono della carenza di capacità di progettazione, individuata, invece, come condizione più rilevante di innovazione, soprattutto nella fase iniziale di un prodotto in cui l'interesse degli acquirenti è puntato soprattutto al contenuto innovativo e non al prezzo. 29 30 La scarsa capacità di innovazione tecnologica delle imprese italiane, sia produttrici di mezzi di trasporto che erogatrici di servizi di trasporto, è inoltre conseguente alle dimensioni delle risorse che esse dedicano alla R&S. A tale proposito il contributo di Beltrami si avvale dei seguenti dati: * % spesa per R&S su PIL * % ricercatori tecnici sulla forza lavoro Italia 1,3% 3,1% Germania 2,9 5,6 Francia 2,4 4,8 Giapppone 3 8,7 USA 2,8 7,7 dati Ocse 1991 e Onida-Malerba 1990 Spesa per R&S su ricavi netti - settore autoveicoli (principali case produttrici) Fiat auto 2,5% Volvo 5 Volkswagen 3,5 Renault 2,6 Ford Motor 2,8 Saab 7,3 Toyota 4 Accanto ai dati precedenti è possibile accostare quelli di Confindustria 1994, i quali dimostrano, nell'ambito dell'intera industria italiana, caratterizzata da R&S poco sviluppata, che i due settori afferenti al trasporto sono tra quelli a maggiore incidenza di spesa per tale attività sul fatturato. Inoltre ramo di attività "autoveicoli e relativi motori" presenta inoltre il maggior numero di domande di brevetto presentate in Italia e nell'Unione europea (nel periodo 1988-1992 queste sono 2.294 su un totale di domande presentate pari a 8.537). Incidenza della spesa per R&S sul fatturato (in percentuale) 1991 1992 1993 autoveicoli e relativi motori 4,38 altri mezzi di trasporto 3,56 4,23 4,84 3,74 4,45 La spiegazione avanzata da Beltrami 1994 per tale dimensione della funzione di R&S delle imprese della filiera del trasporto vede nella difficoltà di ingresso di nuovi competitori 30 31 nella produzione di tecnologie di trasporto, dovuta alla forte specificità delle loro applicazioni, la possibilità di sopravvivenza di un settore in cui il livello di competizione è particolamente basso. Ciò costituirebbe anche la spiegazione dei lunghi cicli di vita dei sistemi di trasporto. Un lavoro analogo è stato svolto da Galimberti 1992 che ha messo a fuoco la debolezza del sistema ferroviario italiano anche sotto il profilo della capacità innovativa sulla base dei dati di spesa di R&S e degli addetti alla R&S ed alla progettazione, sottolineando "il sottodimensionamento delle strutture di ricerca e progettazione nell'industria italiana rispetto ai concorrenti esteri" (Galimberti 1992: 185). L'immediata conseguenza della scarsa capacità di innovazione delle imprese italiane è la loro debole competitività sui mercati esteri, dimostrata dai seguenti dati riportati da Beltrami: 1980-90 Quota di esportazione sulla produzione, materiale ferrotranviario Italia 5% Francia 48% Germania 50% 1980-90 Quota di esportazione sulla produzione, autovetture Italia 40% Francia 60% Germania 50% 1980-90 Quota di esportazione sulla produzione, veicoli industriali Italia 68% Francia 47% Germania 45% dati ANFIA 31 32 1993 Quote del mercato di esportazione autovetture Italia 9,7% Francia e Germania 28-30% Giappone 21-22% veicoli industriali 20% 20% nd dati ANFIA 1992 Bilancia commerciale mezzi di trasporto esportazioni importazioni 10% sul totale exp 24.300 mld 14% sul tot imp 34.400 mld Annuario statistico ISTAT 1993 3.2.3 Opzioni tecnologiche Senza alcuna pretesa di esaurire l'argomento si considerano due aspetti fortemente connotati dalla tecnologia: l'intermodalità e il rapporto tra trasporti e telecomunicazioni, dedicando a quest'ultimo più ampio spazio. Intermodalità Pur in presenza di importanti innovazioni tecniche (container, casse mobili,eccetera) l'affermarsi dell'intermodalità sta richiendo molto più tempo di quanto la dichiarata superiorità del sistema intermodale non facesse prevedere L'evoluzione dell'intermodalità che Beltrami 1994 prospetta, tenendo conto delle possibili innovazioni è quella dell'interoperabilità, di cui trova un esempio inquanto accade a Karlsruhe, dove lo stesso veicolo può operare sia sulle infrastruttura ferroviarie che su quelle della rete tranviaria urbana. L'interoperabilità dovrebbe potersi avvalere, nell'affermarsi, del consolidamento del concetto di separazione gestionale tra infrastruttura e servizio che rende meno rigido il vincolo di specializzazione tra via e veicolo. Trasporti e telecomunicazioni 32 33 All'argomento sono dedicati particolari attenzione e spazio per il fatto che costituisce un argomento nuovo e da approfondire nelle sue condizioni di fattibilità e nei suoi effetti in ambito economico; a ciò si aggiunge l'attenzione che esso sta ricevendo negli ultimi anni in sede comunitaria, attraverso l'attuazione di alcuni progetti dedicati tra cui DRIVE e PROMETHEUS. Dal punto di vista dell'analisi dell'offerta di trasporto ciò che qui interessa dell'interazione fra trasporti e telecomunicazioni sono sia l'aumento dell'efficienza e le nuove opzioni di organizzazione del trasporto dovute alle telecomunicazioni, che il dimensionamento dell'offerta basato sulle considerazioni di sostituibilità e complementarità fra i due settori. Ciascuno dei due contributi illustrati (Giannopoulos 1993 e Campisi et alii 1990) rappresenta uno degli aspetti di interesse. Per completezza va aggiunto che verrà trascurato un aspetto che potrebbe costituire un interessante oggetto di analisi sull'evoluzione dei sistemi logistici, si tratta della tendenza alla riduzione degli stock da parte delle imprese che, dopo la spinta ricevuta grazie ai metodi di produzione just in time (strettamente connessa l'attenzione ai sistemi di logistica), potrebbe subirne una ulteriore dall'aumentata disponibilità delle informazioni offerta ai gestori della logistica (Cooper, 1995) Il primo dei due lavori che verranno illustrati focalizza l'attenzione sul legame che qui interessa dopo aver rilevato che "le innovazioni tecniche nel campo dei trasporti possono essere legate a: 1. nuove tecnologie riguardanti i mezzi di trasporto (veicoli); 2. nuovi modi (pubblici o privati) di trasporto; 3. nuovi mezzi per migliorare la perfomance e il servizio dei modi esistenti; 4. nuove organizzazioni e forniture dei servizi di trasporto e/o di piani di traffico: 5. altri cambiamenti relativi ai sistemi di trasporto esistenti" (Giannopoulos 1993) e riguardano due aree, quella costituita da veicoli e infrastrutture ( i capitali fissi) e quella che racchiude funzionamento e gestione del sistema (il modo in cui i capitali fissi sono utilizzati). E' soprattutto quest'ultima che secondo Giannopoulos è influenzata dalle applicazioni telematiche, ossia da quelle relative all'interazione fra sistemi di computer e sistemi di telecomunicazioni, sebbene esse possano anche implicare sviluppi nella progettazione e nella costruzione di veicoli. Le innovazioni tecniche principali che trovano applicazione nell'area del funzionamento e della gestione del sistema e che offrono ulteriori spazi di miglioramento di questi sono: 33 34 - il radio data systems (RDS) e il traffic message channel (TMC) che sono alla base dei più moderni sistemi di pilotaggio automatico, in quanto permettono, grazie alla disponibilità di dati di aggiornamento sulle condizioni di traffico, di determinare le rotte migliori; - l'intelligence cruise control system che montato sui veicoli permette il mantenimento della distanza di sicurezza; - l'interactive route guidance system (IRG) grazie al quale il veicolo è collegato ad un centro di controllo; - l'automatic debiting system, basato su tecniche di riconoscimento dei veicoli, grazie al quale automobilisti e viaggiatori possono risparmiare tempo ed evitare le difficoltà legate al reperimento di mezzi di pagamento come monete o gettoni, la cui applicazione è divenuta oggi molto diffusa (un esempio italiano è il telepass autostradale); - l'electronic data exchange (EDI) grazie al quale lo scambio di dati avviene tramite computer in rete e software adeguati e la cui utilizzazione su larga scala è attesa dal momento in cui avverrà la completa standardizzazione e normalizzazione dei network EDI; - le comunicazioni di dati e di voce attraverso network elettrici; - i sistemi mobili di comunicazioni di voce e dati, che dalla rete cellulare sono passati al GSM aumentando le opportunità di operatività dei sistemi a livello internazionale; - i sistemi di identificazione del carico e di controllo del percorso che, grazie soprattutto a codici a barre ed etichette elettroniche, permettono di ricevere automaticamente messaggi dal carico che possono essere convogliati ad una centrale di controllo; - i sistemi di localizzazione dei veicoli che sfruttano le comunicazioni via satellite. Particolarmente interessanti sono le considerazioni che Giannopoulos svolge riguardo alla diffusione delle innovazioni tecnologiche nel trasporto: la sua velocità è particolarmente bassa a causa della grande divergenza e segmentazione del settore, così poco omogeneo a dispetto dell'apparenza e invece caratterizzato da una pluralità di modi, di mercati e di ampiezze geografiche di riferimento, ciascuno con una sua soluzione tecnica. Inoltre proprio le differenze dei sistemi operativi, dei software ed altro, rendono ciascun sistema incompatibile con un altro, diminuendo il grado di integrazione e di interconnessione fra soggetti e così facendo abbassando anche le probabilità di affermazione di uno standard, stadio necesssario perchè si abbiano i benefici dell'adozione di un'innovazione. Il contributo italiano di Campisi et alii (1990) offre la possibilità di arricchire lo studio delle relazioni fra trasporti e telecomunicazioni dal momento che, a differenza di quello esaminato in precedenza, evidenzia i rapporti di complementarità e di sostituzione esistenti fra trasporti e telecomunicazioni, occupandosi in particolare del trasporto passeggeri 34 35 business, giungendo alla formulazione in un sistema che veda integrati i due servizi, il teletrans network. Premessa la difficoltà di analizzare le relazioni fra trasporti e telecomunicazioni, dovuta all'influenza sulla mobilità di altri fattori, come il reddito, gli autori descrivono i risultati campionari ottenuti a partire dal 1977 al 1990 in Italia secondo i quali c'è un'evidente sostituzione fra trasmissione di informazioni e movimento di persone. Accanto a questa è rilevabile anche un alto grado di complementarità che, seguendo Salomon (1985), può farsi risalire a due fenomeni: a) un sistema accresce l'efficienza dell'altro (l'esempio considerato è quello delle colonnine SOS in autostrada che aumentano l'efficienza del sistema di trasporto stradale riducendo il suo costo sociale); b) un aumento dell'uso di un sistema aumenta l'uso del sistema complementare (ad esempio l'introduzione di un sistema che rende possibili la nascita e lo sviluppo di interazioni sociali o economiche tra individui e/o aziende di diverse località può accrescere i viaggi fra tali località). Attraverso il metodo Delphi e l'elaborazione delle risposte ottenute dagli esperti consultati gli autori sono giunti ad attribuire prevalenza all'effetto di complementarità (0,58) su quello di sostituzione (0,42) e a prefigurare una domanda crescente di mobilità e di congestione dovuta alla diffusione dell'uso di mezzi di telecomunicazione. 35 36 Appendice 1 I costi standard e il trasporto pubblico locale: due metodologie di analisi I costi standard costituiscono, almeno fino ad oggi, il parametro di riferimento per l'assegnazione dei contributi statali previsti che le aziende di trasporto locale che presentano bilancio in passivo, in base alla legge n.151/1981. Per illustrare il loro significato e la procedura di calcolo verrà riportata l'esposizione fatta in Del Viscovo 1990 che ha anche illustrato come una cattiva interpretazione del concetto abbia prodotto risultati opposti rispetto a quelli perseguiti dalla legge. La situazione creata è tale per cui ancora oggi la discussione intorno ai parametri sui quali debba basarsi il calcolo della sovvenzione pubblica al trasporto pubblico locale rimane aperta. In generale il calcolo di costi standard è strumentale al controllo dell'efficienza delle imprese; in questo caso il calcolo non è eseguito a consuntivo, ma "utilizza un processo scientifico di analisi dei fatti e dei processi produttivi, sulla base sia della passata esperienza sia di esperimenti controllati o di simulazioni" (Del Viscovo, 1990:184) affinchè i costi così determinati vengano a costituire "modelli di efficienza" di confronto. L'analisi dei costi standard è condotta attraverso l'identificazione dei "centri di costo", unità aziendali responsabili di costi in quanto incaricati di un'attività, il cui livello di riferimento sarà quello normale o standard: essi saranno dunque le più piccole unità funzionali dell'azienda a cui corrisponderanno dal punto di vista dell'organizzazione altrettanti responsabili. Il centro di costo nel trasporto locale è identificato con la "linea" e il suo output è misurato in termini di numero di corse o di chilometri percorsi. L'operatività di tali centri è misurata attraverso: a. frequenza delle corse; b. chilometri percorsi (numero delle corse); c. tipo di autobus impiegati; d. chilometri all'anno per autista ; e. velocità commerciale, pendenza del percorso, tipo di autobus (urbano, extaurbano, ecc.) f. condizioni atmosferiche, mutamenti obbligati del percorso, intensità del traffico urbano, ecc. L'elaborazione della metodologia per il calcolo dei costi standard del trasporto locale è contenuta in un contributo di Stampacchia del 1986, di cui Del Viscovo riporta i risultati, 36 37 compresa una tabella di equivalenza fra le condizioni operative industriali e quelle per un'autolinea di trasporto pubblico. CONDIZIONI OPERATIVE INDUSTRIALI 1. Qualità dei prodotti 2. Volume di produzione fisica 3. Qualità dei fattori produttivi 4. Grado di efficienza degli operatori 5. Modalità di svolgimento dei processi produttivi 6. Condizioni operative non controllabili CONDIZIONI OPERATIVE PER AUTOLINEA DI TRASPORTO PUBBLICO a. frequenza delle corse; b. chilometri percorsi (numero delle corse); c. tipo di autobus impiegati; d. chilometri all'anno per autista ; e. velocità commerciale, pendenza del percorso, tipo di autobus (urbano, extaurbano, ecc.) f. condizioni atmosferiche, mutamenti obbligati del percorso, intensità del traffico urbano, ecc. Fonte: Stampacchia 1986 La procedura di calcolo dei costi standard prevede innanzitutto la definizione di un livello di attività (ossia di volume di produzione) "normale" per ottenere l'entità di costi fissi e di spese generali da imputare alle unità di costo; la determinazione di tale livello di attività rappresenta una delle maggiori difficoltà di applicazione del concetto di costo standard e; come si vedrà; il maggiore spazio di arbitrarietà. La legge italiana, infatti, non prevede tale livello di attività standard e neppure i criteri di calcolo dei costi, lasciando così la possibilità, come effettivamente è avvenuto in pratica, di assumere - come riporta Del Viscovo- come "normali" i livelli di servizio corrispondenti alla somma delle situazioni aziendali preesistenti e in qualche caso aggregando i valori aziendali a livello regionale. La conseguenza di questa operazione è che "i costi standard sono stati applicati come se i servizi offerti, alle relative tariffe generatrici di deficit, fossero quelli ottimali e per di più indipendenti dai contributi disponibili per ciascuna Regione" (Del Viscovo 1990:187), diversamente dal metodo scientifico (basato sull'ottimizzazione) che si sarebbe dovuto applicare. Un passo avanti nella metodologia della determinazione dei costi standard è costituito dal contributo di Fazioli (1993) che si inserisce nell'attuale dibattito sull'efficienza delle imprese pubbliche ed è basato sull'applicazione del frontier approach all'analisi della 37 38 struttura dei costi; di tale lavoro si illustrano alcuni dei passaggi principali, rinviando all'articolo per ulteriori dettagli tecnici. La metodologia utilizzata prevede la valutazione dell'efficienza sulla base della distanza dell'osservazione (perfomance) dei costi relativi alla singola impresa dalla frontiera di efficienza di costo (o frontiera di costo minimo). Due sono la fasi per la costruzione di tale frontiera: dapprima viene stimata una funzione di produzione (rappresentazione duale del costo) per ogni impresa osservata e, in seguito traslata verso l'alto (cioè ad output crescenti) in modo che tutte le osservazioni siano dominate (ossia che gli output osservati possano essere collocati al di sotto della curva). La misura della traslazione necessaria per giungere a tale limite superiore (la frontiera) è determinata dal valore massimo positivo degli errori stimati nella prima fase. Questi ultimi, infatti, contengono in maniera implicita l'informazione sulle inefficienze specifiche dell'impresa cui si riferisce la funzione di produzione: su tali residui vengono elaborati gli indicatori di inefficienza che racchiudono informazioni sull'influenza di variabili esogene o istituzionali sull'efficienza produttiva (o di costo). Per l'inferenza della frontiera efficiente Fazioli ha applicato la metodologia parametrica che richiede la specificazione a priori (al contrario della non parametrica) della forma funzionale della frontiera stessa i cui parametri saranno stimati statisticamente. Tale approccio, a fronte dello svantaggio derivante dal condizionamento dei risultati da parte delle ipotesi espresse sulla forma funzionale, in parte compensato dall'uso di "forme funzionali flessibili" (come la translogaritmica utilizzata nel lavoro), offre la possibilità di: "1)definire la struttura efficiente dei costi standard a fini regolamentativi (Petretto, 1988) e 2)stimare la consistenza dei probabili effetti di modifiche nella struttura settoriale, ovvero delle diverse normative incidenti sulla configurazione dell'offerta stessa" (Fazioli, 1993:515). Oltre che per la metodologia di calcolo dei costi-efficienti il contributo di Fazioli si caratterizza per un concetto di costo standard diverso da quello visto sopra: la funzione di produzione si basa sulla considerazione che la dimensione dell'output di un'impresa che offre servizi attraverso un network distribuito nello spazio dipende non solo dalla scala dell'attività di servizio svolta ma anche dalla configurazione del network stesso e di conseguenza anche il costo sarà funzione (edonica) di tali variabili. Tali osservazioni aprono la strada ad un'analisi dell'efficienza legata a fattori istituzionali, quale la concessione di tratte o le autorizzazioni specifiche per categorie mercelogiche trasportate (come rilevato da Spady e Friedlaender nell'analisi dell'autotrasporto merci negli USA). 38 39 Appendice 2 Il trasporto e la tassonomia di Pavitt In questa appendice si cercherà di svolgere il seguente esercizio: collocare le imprese che forniscono servizi di trasporto e quelle appartenenti alla filiera del trasporto all'interno della tassonomia di Pavitt che, seppure presentando diversi punti di debolezza, è attualmente una delle classificazioni di attività più utilizzata a livello internazionale (ad esempio l'Ice in Italia che l'ha adottata pur con qualche modifica, per la presentazione dei dati sulle importazioni e le esportazioni). La tassonomia elaborata da Pavitt si basa sull'osservazione di dati relativi a quottromila innovazioni significative censite in Gran Bretagna fino alla fine degli anni '70: essi hanno permesso l'osservazione di regolarità settoriali sulla fonte e la direzione del progresso tecnico; queste ultime apparivano dipendenti dal settore principale di attività delle imprese innovatrici. La nozione che fa da base alla tassonomia è quella di traiettoria tecnologica (Dosi, 1982, 1988) ossia di un sentiero, definito per ciascuna impresa in funzione delle conoscenze accumulate al proprio interno, che stabilisce i confini dello sfruttamento, che avviene attraverso la ricerca, lo sviluppo e la realizzazione, di un certo potenziale tecnologico (paradigma tecnologico). In sostanza alla traiettoria vengono fatte corrispondere le innovazioni minori o indotte. Vale la pena notare che le definizioni date, seppure in breve, sono più strettamente legate a considerazioni di tipo tecnico-scientifico che di tipo economico e tale aspetto limita la rilevanza ai fini dell'analisi economica delle innovazioni e dei cambiamenti che la loro introduzione apporta al sistema delle imprese, in particolare al modo nel quale esse interagiscono. Le determinanti delle traiettorie riguardano le fonti della tecnologia, le esigenze dei clienti e il modo di appropriazione dei risultati dell'innovazione, mentre le loro caratteristiche sono funzione, oltre che della fonte della tecnologia di nuovo, del peso relativo delle innovazioni di processo e delle innovazioni di prodotto, delle dimensioni delle imprese innovatrici, dell'intensità e della direzione della diversificazione tecnologica. A tale proposito un'altra nota critica rispetto a tale approccio potrebbe essere formulata in base alla considerazione che le imprese e l'industria vengono rappresentate come soggetti economici, lungo una traiettoria che esprime una tensione tra variabili di ordine tecnico (le opportunità tecnologiche), le fonti dell'innovazione o le condizioni di appropriabilità, da una parte, e le variabili economiche (il volume e l'elasticità della domanda), che appaiono 39 40 guidati unicamente da una strategia di risposta alle condizioni di domanda (Gaffard, 1990). In sostanza viene preclusa all'impresa un ruolo attivo nella costruzione della sua offerta e nella ricerca di domanda. A partire da tali concetti la tassonomia presenta quattro gruppi di imprese: a) il gruppo delle imprese (o dei settori di attività principale di tali imprese) dominati dai fornitori (di beni strumentali e di macchine). Le innovazioni sono principalmente di processo, incorporate nelle attrezzature e nei beni intermedi, e hanno avuto avvio in imprese la cui attività principale è esterna al settore considerato. Il processo di innovazione consiste nella diffusione di beni strumentali con maggiore performance o di beni intermedi di nuova concezione e le possibilità di apportare innovazioni incrementali sono limitate (la piccola dimensione della spesa in R&S dimostra che le imprese sono consapevoli di tali limiti). L'appropriazione delle innovazioni avviene principalmente attraverso il marketing; le imprese non sono di grandi dimensioni (salvo nei casi in cui le economie di scala sono particolarmente rilevanti) mentre gli utilizzatori sono piuttosto sensibili al prezzo per cui la traiettoria è di tipo cost-cutting. b) il gruppo dei fornitori specializzati. Le innovazioni sono soprattutto innovazioni di prodotto che si diffondono poichè entrano in altri settori incorporati nel capitale fisso; ad esse hanno dato avvio le imprese utilizzatrici che appartengono ad altri settori. Numerose sono le opportunità di innovazione incrementale e vengono colte attraverso l'attività informale di miglioramento della concezione dei prodotti, mentre è debole l'attività di R&S. L'appropriazione delle innovazioni è garantita dal carattere cumulativo e specifico delle competenze su tali beni innovativi. Le imprese utilizzatrici, soprattutto imprese a produzione intensiva del settore dei beni di consumo durevoli, sono sensibili alla qualità ed alla performance dei prodotti, tesi a ridurre i difetti di fabbricazione dei loro stessi prodotti. Le imprese di questo gruppo sono relativamente piccole ed operano in stretta collaborazione con gli utilizzatori. La traiettoria può essere definita di concezione/riconcezione del prodotto (product design). c) il gruppo delle imprese di produzione di massa. Le innovazioni sono sia di processo che di prodotto ed hanno inizio all'interno delle imprese stesse e tramite l'interazione con i fornitori specializzati. L'appropriazione delle innovazioni avviene grazie all'esistenza di economie dinamiche di apprendimento e con i brevetti. Gli utilizzatori sono sensibili al prezzo. La diversificazione tecnologica è forte e si sviluppa verticalmente grazie alla collaborazione con i fornitori. Data l'importanza delle economie di scala (nella produzione, 40 41 nella R&S e nelle reti distributive) la dimensione delle imprese è grande. La traiettoria è di entrambi i tipi precedenti. d)il gruppo di imprese basate sulla scienza. Le innovazioni hanno origine dall'apparizione di nuove conoscenze scientifiche, costitutive di nuovi paradigmi tecnologici, e nascono dunque dalla R&S sulla quale si investe molto. Numerose sono le opportunità tecnologiche e le innovazioni sono soprattutto di prodotto. L'appropriazione avviene attraverso i brevetti, le economie di apprendimento, la ricerca accumulata e la produzione. La sensibilità degli utilizzatori al prezzo ed alla qualità dei prodotti fà sì che la traiettoria sia di tipo misto. Fra gli esempi settoriali tipici indicati da Pavitt figurano nel primo gruppo (imprese dominate dai fornitori) tutti i servizi privati quindi anche quelli di trasporto; sarebbe interessante tuttavia verificare tale affermazione per i vari tipi di trasporto. Innanzitutto i servizi per definizione non prevedono produzione e ciò comporta che le innovazioni tecnologiche impiegate provengano da altri settori, ma occorre tener presente che diversamente da quanto accade per le imprese del primo gruppo, quelle di trasporto, in particolare quelle di trasporto merci interagiscono con le case costruttrici per la realizzazione di veicoli speciali. Ciò è particolarmente vero quando la dimensione della domanda da parte degli operatori dei trasporti speciali non è tale da giustificare una produzione standardizzata, oppure quando il tipo di servizio richiede una "personalizzazione" del veicolo. Rispetto alle impresa della filiera del trasporto un loro collocamento all'interno dei gruppi individuati richiederebbe l'esame di vati tipi di imprese giacchè esse vanno dall'impresa di componentistica elettronica all'operatore di logistica. A margine di questo esercizio sembra utile richiamare una delle considerazioni fatte sopra: l'approccio teorico all'innovazione tecnologica sulla quale si basa la tassonomia e la tassonomia stessa, basandosi su aspetti tecnici non mette in luce il significato economico dell'innovazione. Maggiore portata interpretativa sembra possa attribuirsi alla seguente definizione di innovazione maggiore proposta da Amendola e Bruno (1990): è un'innovazione maggiore quella che produce uno spiazzamento delle imprese concorrenti, ossia quella che provoca una rottura fra l'impresa innovativa e il suo ambiente, costringendo ad una ristrutturazione delle relazioni fra imprese. Un esempio di innovazione maggiore nei trasporti potrebbe dirsi quello delle casse mobili che ha alterato i rapporti di concorrenza fra modi, le relazioni competitive fra imprese dal 41 42 momento che ha permesso ad alcune imprese di trasporto su strada di fare l'ingresso sul mercato del trasporto combinato e, infine, ha comportato la strutturazione di relazioni organizzative fra operatori del trasporto stradale e ferroviario diverse da quelle costruite per il trasporto con i container. Ma anche il limitatore di velocità che dovrà essere presto applicato sui veicoli per il trasporto su strada potrebbe considerarsi un'innovazione maggiore per il settore del trasporto, pur non essendo una innovazione radicale dal punto di vista tecnologico: la sua applicazione, infatti, cambierà la competitività (e le relazioni di collaborazione) dei modi e quella fra imprese ponendo fine alla concorrenza sleale praticata dagli autotrasportatori non rispettosi dei limiti di velocità (si può anche andare oltre immaginando che laddove esistano imprese che a tale slealtà devono la loro sopravvivenza il limitatore di velocità comporterà una ridefinizione della soglia di efficienza delle imprese sul mercato). 42 43 Bibliografia Amendola M., Bruno S., 1990; The behaviour of the innovative firm: Relations to the environment, Research Policy 19, n.5. Amendola M., Gaffard J.L., 1988; The Innovative Choice, Blackwell, Oxford Antonelli C. 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XXXIII, pp. 57-94 47 COMMENTO PARTE IV ENNIO CASCETTA, UNIVERSITA’ DI NAPOLI Il capitolo sulla politica dei trasporti tratta temi di notevole ampiezza e rilevanza che vanno dalla interpretazione dei fini e delle forme della pianificazione dei sistemi di trasporto alle possibilità del project financing; dalle forme ed i ruoli della regolazione del settore alle politiche di road e park pricing. In generale la trattazione è ampia ed in gran parte condivisibile. Ovviamente data l’ampiezza degli argomenti non è possibile esprimere commenti e riflessioni puntuali su tutti gli aspetti; e pertanto mi limiterò ad alcune osservazioni “al margine” delle pagine di questo capitolo. 1. A proposito della pianificazione dei trasporti non può non rilevarsi la scarsissima pratica che il metodo della programmazione, in qualunque delle sue forme, ha avuto nel nostro paese. Ci sono pochi piani e programmi, spesso sono scarsamente elaborati e, soprattutto, ancor più scarsamente utilizzati nella effettuazione delle scelte. Programmare significa, banalizzando al massimo, scegliere “cosa fare” tenendo conto degli effetti che da tali scelte derivano, dei costi necessari per gli investimenti e la gestione, della disponibilità di risorse, delle relative scale di priorità. Alla ovvietà di queste affermazioni purtroppo fanno riscontro prassi diverse e contraddittorie. Per quanto riguarda la programmazione degli interventi di breve periodo in ambito urbano si può intravedere una inversione di tendenza, in parte connessa all’obbligo di redigere i Piani Urbani del Traffico previsto dal Nuovo Codice della Strada ed in parte alla più diretta responsabilizzazione delle Amministrazioni Comunali indotta dalla Legge di riforma delle Autonomie Locali (142/90). C’è da augurarsi che i PUT non si esauriscano nella redazione di progetti più o meno raffinati, ma siano l’occasione per avviare un processo di monitoraggio e gestione continua di un sistema instabile e complesso come quello della mobilità urbana, in analogia a quanto avviene da anni in moltissime città europee. Ben diverso è il caso della programmazione degli investimenti di lungo periodo dove ancora oggi le Leggi di finanziamento sono relative a singolo tipologie di opere (parcheggi, ferrovie concesse, metropolitane e sistemi di trasporto rapido di massa) e non a piani e programmi di investimento complessivi. I finanziamenti sono accordati su richieste non coordinate di soggetti diversi, anche per la stessa area geografica. Spesso si tratta di progetti incompleti, che mancano di una seria valutazione dei benefici e dei costi ancor più di un quadro di pianificazione unitario. Il risultato è una molteplicità di richieste scollegate e talvolta contraddittorie per le quali è difficile, se non impossibile, individuare gli effettivi parametri di valutazione e quindi di efficacia della spesa. Ritengo che a questo proposito sia emblematica la vicenda del Piano Generale dei Trasporti ed il suo “aggiornamento”. Tutto ciò è ancora più preoccupante in un quadro di finanza pubblica che per i prossimi anni non lascia intravedere prospettive di sostanziali contributi statali agli investimenti. I segnali anche più recenti in questo ambito non sono confortanti, basti pensare ai recenti contributi assegnati per la L. 211 ai sistemi su ferro in ambito urbano; anzi alcuni elementi, fra i quali la non attivazione del Fondo Unico Trasporti esplicitamente previsto dalla L. 186/92 e la “correlata” soppressione del CIPET, sembrano indicare dei preoccupati arretramenti piuttosto che un progresso. 2. Il successo di un processo di pianificazione, ovvero di decisione consapevole e trasparente, dei trasporti dipende in modo cruciale dalla capacità della Amministrazione di “gestire” il Piano, ovvero il processo di formazione e di attuazione delle scelte. E’ fondamentale in altri termini che le Amministrazioni, di qualunque livello, abbiano la capacità e la possibilità di comprendere le diverse fasi del processo, di articolare proposte autonome e di verificare quelle di altri, di “monitorare” l’evoluzione del sistema di mobilità e degli interventi su di esso. 3. Il ruolo di monitoraggio nel processo di pianificazione è forse scarsamente evidenziato dal documento. Monitorare un sistema di trasporti consiste nel rilevare con regolarità una serie di variabili o indicatori dello stato complessivo del sistema (livello e composizione della domanda, offerta dei servizi, condizioni di congestione etc.) organizzare le informazioni in forma leggibile, elaborarle e confrontarle con i valori passati e con le previsioni fornite dalle elaborazioni di progetto. Questa funzione è a mio avviso di grande importanza in quanto fornisce il “feed-back” degli interventi che consente di acquisire esperienza e sensibilità alle risposte del sistema, modificare scelte e correggere indirizzi. In altri termini il monitoraggio consente di applicare alla pianificazione l’approccio “ciclico” proprio della ingegneria dei sistemi invece di quello “lineare”, giustamente criticato nel documento, proprio dall’ingegneria dei progetti infrastrutturali. 2 4. Connesso ai due punti precedenti è il discorso degli strumenti ovvero dei Sistemi di Supporto alle Decisioni (DSS), composti in generale da basi dati e modelli di simulazione. Sono ormai disponibili pacchetti software che consentono di organizzare le informazioni sulla domanda e l’offerta di trasporto, di rappresentare con sistemi di modelli matematici il funzionamento complessivo del sistema e quindi di simulare diverse categorie di impatti rilevanti. Evidentemente questi sistemi vanno costruiti e mantenuti nel tempo, pena la rapida decadenza degli stessi. Ormai molte amministrazioni alle diverse scale stanno dotandosi di DSS, emblematico è il caso del Ministero dei Trasporti che ha avvito da tre anni un notevole sforzo economico per costruire un “Sistema Informativo di Supporto alle decisioni di Politica dei Trasporti” alla scala nazionale che contiene una quantità di dati e di modelli matematici a dir poco imponente e che è già diventato elemento di riferimento per altri sistemi nazionali. E’ evidente che un sistema di tale ampiezza e complessità è anche molto “delicato” e, soprattutto, può essere affinato e migliorato solo attraverso l’uso. Il pericolo da evitare è che l’Amministrazione non sia nelle condizioni di utilizzarlo e renderlo fruibile ai moltissimi operatori del settore che da anni lamentano proprio la carenza di dati ed informazioni sul sistema di trasporto nazionale. 5. Il documento individua correttamente nell’analisi Costi-Benefici (C-B) e nell’analisi Multicriteria le tecniche di valutazione e confronto delle alternative. Appaiono condivisibili anche gran parte delle critiche mosse ad un uso spinto della analisi C-B come unico “contenitore” sintetico delle informazioni necessarie per la scelta. A mio avviso le fasi più importanti del percorso di valutazione e confronto delle alternative di intervento consistono nella individuazione degli effetti (impatti) rilevanti per il tipo di intervento in esame, nella previsione degli stessi, o meglio della previsione dei possibili ranghi di variazione conseguenti a diversi scenari di evoluzione delle variabili esogene, nella individuazione di variabili sintetiche che consento al(ai) decisore(i) di valutare il raggiungimento delle diverse finalità dell’intervento. Molti studiosi concordano nel ritenere che l’analisi C-B può continuare a svolgere un ruolo non marginale, proprio come indicatore sintetico di una classe di obiettivi connessi all’efficienza economica del sistema di trasporto. In questo senso si eliminerebbe la necessità di “internalizzare” in termini monetari, con procedure sempre complesse discutibili, numerosi effetti “esterni” al sistema di trasporto (sicurezza, inquinamento, etc.) ovvero effetti interni non monetari che andrebbero più compiutamente organizzati nel quadro di un’Analisi Multicriteria nella quale le principali categorie di 3 obiettivi (ed indicatori) possono essere suddivisi in efficienza (ambientale, economica e tecnica), efficacia, equità e qualità. 6. Per quanto attiene i metodi e le prospettive del Project Financing (PF) pur condividendo la critica severa della programmazione dei trasporti in Italia come penso si evinca dalle considerazioni precedenti, vorrei sottolineare come il PF non può essere considerato come una soluzione alternativa alla capacità di mozione e controllo della amministrazione. Anzi una tale capacità è condizione assolutamente necessaria affinché il PF sia uno strumento di reperimento delle risorse alternativo al debito pubblico e non una espropriazione da parte di privati di porzioni più o meno rilevanti del benessere collettivo. In altri termini la capacità di individuare i progetti e le condizioni “possibili”, di contrattare e controllare presuppongono una forte capacità tecnica e una notevole indipendenza della PPAA che, al momento, non mi sembrano molto diffuse nel nostro Paese. 7. Anche per quanto attiene agli strumenti di controllo e orientamento della domanda di mobilità, ed in particolare il road e il park pricing, sono condivisibili gran parte delle considerazioni e delle preoccupazioni espresse nel relativo capitolo. Vorrei solo sottolineare la necessità/opportunità di considerare le misure di pricing come elementi di un pacchetto più ampio di interventi sui sistemi di mobilità urbana. L’efficacia e la accettabilità di queste misure dipende in maniera critica dall’insieme di altri provvedimenti che le complementano (ne aumentano l’efficacia) e le supplementano (ne riducono gli impatti negativi). Questa tendenza è ampiamente condivisa dalla comunità tecnica internazionale, si vedano ad esempio il Package Program del Ministero dei Trasporti inglese che ammette a finanziamento pacchetti integrati di interventi piuttosto che singoli progetti nonché numerosi documenti e ricerche finanziati dalla Unione Europea. Fra questi in particolare il progetto AIUTO studia metodi e modelli per la progettazione e la verifica di pacchetti di interventi di regolazione della domanda e miglioramento dell’offerta in ambito urbano. L’insieme dei provvedimenti va inoltre progettato con attenzione allo scopo di dosare le politiche tariffarie, e più in generale di controllo e limitazione, con l’accessibilità garantita dalle altre modalità di trasporto se non si vuole correre il rischio di ridurre le attività localizzate nelle aree più congestionate, di solito i centri storici, favorendo, al contrario delocalizzazioni e aumenti della domanda di spostamenti su automobile. 4 PARTE IV Capitolo 1. La pianificazione dei sistemi di trasporto Flavia Di Castro, Centro Studi Federtrasporto 1.1. INTRODUZIONE In passato, la pianificazione dei sistemi di trasporto non è stata oggetto di particolare attenzione da parte dei soggetti decisori in quanto il trasporto veniva considerato esclusivamente come fattore di sviluppo e dunque non ci si poneva il problema di razionalizzare gli interventi in questo settore: ogni impegno di spesa, in presenza di una finanza pubblica sicuramente più ricca e generosa di oggi, veniva di fatto giustificato dall’impatto positivo - in termini occupazionali, sociali ed economici - che la realizzazione del nuovo progetto avrebbe generato. Successivamente, la consapevolezza degli effetti negativi che questa espansione incontrollata di interventi genera in termini di inquinamento, incidenti, ecc. nonché la necessità di una gestione più controllata delle risorse finanziarie pubbliche ha invece reso necessaria una maggiore attenzione da parte dei soggetti decisori alla programmazione degli interventi in questo settore e, dunque, un maggior interesse da parte degli studiosi all’attività di ricerca in questo campo. Secondo Blaas e Nijkamp (1994), la necessità di migliorare i metodi di valutazione del successo o del fallimento di una certa politica è aumentata negli ultimi anni per due motivi principali. Il primo è legato alla crisi della finanza pubblica; riprendendo le parole dei suddetti autori, “the slow (or sometimes declining) growth and drastic cut in public budgets” che si stanno verificando in numerose realtà geografiche hanno reso inevitabile il diffondersi di una maggiore attenzione all’uso delle risorse stesse. Il secondo motivo è legato alle nuove caratteristiche - per complessità, rapidità e diffusione - di processi di profonda ristrutturazione socio-economica e tecnologica rispetto ai quali i modelli analitici correnti risultano spesso inadeguati. In aggiunta alla leva finanziaria, la necessità di pianificazione viene comunque sottolineata da alcune peculiarità dei sistemi di trasporto che rendono l’attività pianificatoria di questo settore di fondamentale importanza per lo sviluppo economico e sociale del contesto in cui si inseriscono. Basti pensare a questo proposito al ruolo dei trasporti nel garantire, o meglio favorire, una corretta distribuzione geografica delle opportunità1 e, più in generale, alle esternalità - positive e negative generate da questo settore, tema ormai dominante nel dibattito sulle infrastrutture e sui servizi di trasporto2. Rimandando il lettore interessato all’ampia letteratura esistente sul ruolo e gli effetti socio-economici del trasporto, argomenti trattati fra l’altro nel XX capitolo di questa pubblicazione, ci limitiamo in questa parte introduttiva a ricordare alcune delle caratteristiche settoriali che hanno un peso predominante nell’attività programmatoria di questo settore: le interrelazioni con altri settori; particolarmente significative sono le interazioni con il territorio e quelle con lo sviluppo socio-economico che rendono la programmazione dei trasporti “dipendente” da quella in altri settori e viceversa; nel Libro verde della Commissione europea “La rete dei cittadini - Realizzare le potenzialità del trasporto pubblico di viaggiatori in Europa”, il paragrafo 22 recita “La pianificazione del trasporto di viaggiatori è tanto più efficace se realizzata in coordinamento 1 La consapevolezza che una carenza infrastrutturale di base come quella di trasporto impedisca o comunque rallenti lo sviluppo di una determinata zona ha da sempre spinto lo Stato ad assumersi l’onere di programmare e finanziare determinati interventi. 2 A questo proposito, l’interesse pubblicistico si è inoltre sviluppato a causa dell’incidenza che queste hanno in termini di impatto ambientale: il controllo dell’inquinamento acustico e atmosferico, la sicurezza, la tutela del paesaggio, ecc. - temi tanto cari all’opinione 2 con altri settori. In particolare, è importante introdurre un sistema adeguato per porre a carico dell’utente i costi di servizi e coordinare le politiche in materia di pianificazione territoriale e di tecnologie della comunicazione e dell’informazione”; la difficoltà, in relazione a quanto appena affermato, di definire/individuare gli effetti, sia positivi che negativi, di una determinata scelta programmatoria; a ciò, si aggiunge la difficoltà di valutazione dei suddetti effetti, spesso non quantificabili o monetizzabili, oltre all’incertezza che inevitabilmente è presente in analisi in cui il contesto di riferimento è di medio o lungo periodo (p.36 Nijkamp); la diversità dei soggetti e dei fattori che compongono questo settore imprese pubbliche, imprese private, clienti, utenti, infrastrutture, organizzazione e regolazione dei servizi sia dal lato della domanda che dell’offerta, ecc. - ed alle interdipendenze fra questi soggetti e fattori stessi; si tratta dunque di un sistema complesso che richiede l’uso di tecniche di decomposizione al fine di definire una gerarchia di sottoproblemi più “semplici” coordinati tra loro; la definizione degli obiettivi che il decisore pubblico, responsabile della politica dei trasporti e dunque delle scelte programmatorie, intende perseguire; così come per gli “effetti”, si aggiunge la difficoltà dovuta all’esistenza di obiettivi difficilmente misurabili o monetizzabili; la presenza di decisori pubblici a più livelli; la difficoltà di individuare, considerando la complessità del sistema dei trasporti, tutte le possibili opzioni di scelta significative; quanto appena detto viene unanimemente riconosciuto come uno dei principali problemi in materia di pianificazione dei trasporti ed, infatti, Blaas e Nijkamp (1994) ritengono che “The main challenge in (transportation) planning is pubblica, espressione di un interesse collettivo e sociale - hanno infatti reso inevitabile una forte presenza dell’intervento pubblico in questo settore. 3 to devise a set of representative choice options which serve as a first indicative frame of reference, so as to delineate a limited subset of relevant alternatives to be investigated more thoroughly in a next stage of the analysis.”. 1.2. L’EVOLUZIONE DELLA PROGRAMMAZIONE NAZIONALE IN MATERIA DI TRASPORTI 1.2.1. Da una programmazione rigida ad una programmazione flessibile, continua ed a più voci In passato, la pianificazione dei trasporti seguiva un approccio che possiamo definire “ingegneristico”. Così come risulta nello schema seguente (proposto da F.W.Memmot, 1986), l’analisi del contesto, degli obiettivi e dei fabbisogni di mobilità conducevano alla formulazioni di piani alternativi tra cui poteva scegliere il decisore/politico; effettuata la scelta, il piano, tradotto in termini legislativi ed amministrativi, veniva realizzato nei tempi e nei modi previsti. A conferma di questo approccio, è stato infatti scritto “In the past decade transportation planning all over the world has been strongly dominated by engineering views on network use and its expansion.” (Blaas, Nijkamp, 1994). I problemi che negli anni si sono manifestati in relazione a questo processo tradizionale di pianificazione dei trasporti sono diversi anche se tutti riconducibili ad un unica variabile, il tempo ed i mutamenti che questo comporta; e da un processo che possiamo definire statico si è passati ad un processo dinamico. Infatti, questo primo meccanismo, esemplare in termini di linearità e semplicità, impedisce però di tener nella giusta considerazione 4 il mutare negli anni delle condizioni e delle preferenze economiche, sociali e politiche. In un settore come quello dei trasporti, in cui gli interventi programmati esplicano effetti nel lungo periodo, è invece di fondamentale importanza poter considerare che il contesto socio-economico inizialmente immaginato evolve, che le caratteristiche della domanda cambiano, che gli stessi decisori possono avere nel tempo obiettivi diversi; inoltre, l’interesse che la collettività ha sviluppato per questo settore lo ha reso uno strumento di consenso di notevole valenza. Anzi, le interazioni fra decisori/politici e tecnici vengono considerate essenziali per una buona programmazione (M. Goldberg, 1978) così come risulta evidente nello schema n.2. 5 Schema 1 - Processo tradizionale di pianificazione dei trasporti Organizzazione preposta ai trasporti Informazioni Obiettivi Determinazione della domanda attuale e futura Formulazione di piani alternativi Simulazione dei piani Valutazione del funzionamento dei piani simulati Scelta del piano da adottare Realizzazione del piano scelto 6 Schema 2 - Nuovo processo di pianificazione Definizione del problema Definizione degli obiettivi e dei vincoli Processo politico (strutture di governo) Estrapolazione del problema (previsione) Ridefinizione degli obiettivi e dei vincoli Progetto di soluzioni alternative Verifica delle sol. attraverso modelli di simulazione Valutazione comparativa Scelta di una proposta privilegiata 7 L’individuazione di un processo di pianificazione meno rigido e strutturato è stata inoltre spinta dalla consapevolezza delle interazioni continue fra trasporti e territorio la cui pianificazione “... può essere utilizzata per rendere più facilmente raggiungibili determinate strutture e zone.”3 poiché è ovvio che la conoscenza delle scelte urbanistiche e di uso del territorio di una determinata zona permettono una migliore pianificazione delle esigenze di mobilità e dunque delle strutture e dei servizi necessari per soddisfarla. Oltre all’importanza attribuita all’evoluzione del contesto di riferimento, il nuovo processo di pianificazione si caratterizza con una maggiore consapevolezza del ruolo che scelte ed aspetti comportamentali, sociali, politici ed economici giocano nella definizione della programmazione di questo settore a scapito di un approccio che preveda soluzioni di tipo prevalentemente ingegneristico: “Thus policy implementation in the trasport sector is not in the first place a clean ‘technocratic’ apllication of instruments, but requires a fine tuning between goals, measures, interest groups and social acceptance.”(Blaas, Nijkamp, 1994). Negli ultimi anni, particolare rilievo è stato attribuito, nel processo di pianificazione, alle strategie partecipative ossia a “metodi di governo che contemplano formalmente che individui che non ricoprono cariche di rappresentanza istituzionale prendono parte ad un processo decisionale che ha luogo all’interno di una istituzione in merito ai piani e programmi inerenti la trasformazione dell’ambiente” (de Luca, Rallo, 1995). La necessità di introdurre una tale processualità nel settore dei trasporti è quanto mai evidente considerando l’impatto che questi hanno a livello produttivo, economico, sociale, ambientale, ecc. Anche se vi è stato in talune situazioni ricorso a questa strategia, non esiste una precisa 3 Libro verde della Commissione europea La rete dei cittadini - Realizzare le potenzialità del trasporto pubblico di viaggiatori in Europa 8 regolamentazione sulle forme di coinvolgimento possibili mentre esiste il rischio, allo stato attuale, che l’assenza di una normativa in merito generi una confusione di ruoli e competenze di soggetti la cui partecipazione è comunque prevista dalla legislazione vigente, rallentando inutilmente il processo decisionale. Per una migliore razionalizzazione e normazione di questo meccanismo, è stata proposta la seguente suddivisione delle diverse forme di partecipazioni: partecipazione delle istituzioni; sicuramente la più consolidata, prevede la partecipazione di altri enti pubblici in due precisi momenti del processo di pianificazione, ossia nella fase iniziale di definizione degli obiettivi e nella fase finale di approvazione del piano; la partecipazione popolare; pur non potendo essere vincolante rispetto alla volontà dell’Amministrazione competente, consente di monitorare il progetto attraverso coloro che ne vivranno gli effetti, di integrarlo e di modificarlo in base alle loro esigenze; il coinvolgimento popolare, che ha luogo tra la stesura tecnica del piano e la fase finale di approvazione, si esprime attraverso tutte quelle forme previste dagli statuti e dai regolamenti dell’ente territoriale in questione (consultazione, istanze, ecc.); la partecipazione sociale; si riferisce “... a quelle forme di coinvolgimento dei soggetti e delle categorie sociali interessate attraverso l’applicazione di metodologie di raccolta e trasmissione di informazioni tese ad inglobare il ‘sapere comune’, per una migliore comprensione delle specificità dei luoghi e delle situazioni” (de Luca, Rallo, 1995); premesso che comunque la definizione degli obiettivi e l’approvazione del piano sono esclusivamente di competenza dell’ente amministrativo, si tratta in pratica di avere a disposizione e di trattare nel modo più proficuo possibile il patrimonio informativo di tutti soggetti coinvolti. 9 L’approccio moderno risulta di conseguenza più flessibile ed aperto rispetto a quello tradizionale: maggiori sono sia lo scambio di informazioni fra le varie componenti del sistema sia la possibilità di adeguare le scelte ai cambiamenti che nel tempo modificano le condizioni di partenza. Per poter costantemente calibrare il processo di pianificazione al contesto di riferimento, è stato proposto un approccio di “opzioni-scelte” composto da quattro fasi (L. Bianco, 1987): valutazione di lungo periodo: in questa fase, definita dall’autore “essenzialmente conoscitiva”, vengono selezionate delle opzioni fra tutte quelle valutate ed indicati degli indirizzi generali da perseguire, valutazione di breve periodo: vengono analizzate in dettaglio le opzioni selezionate in precedenza e definite le decisioni che implicano queste scelte e le scadenze con cui queste stesse decisioni devono essere prese, valutazione di medio termine: prima di prendere una nuova decisione, il decisore, al fine di ottimizzare il processo decisionale, deve valutare sia le conseguenze della decisione precedente sia l’impatto che questa ha avuto sulla collettività, ripetizione delle fasi precedenti. In questo modo, i politici, i tecnici e la collettività interagiscono continuamente e, in ogni momento, è possibile valutare quale sia la soluzione migliore. Il decisore politico può così scegliere sequenzialmente la soluzione che in quel momento risulta la migliore possibile ossia quella soluzione che, dati i vincoli, massimizza gli obiettivi prefissati. Molto spesso, per esempio, i risultati emersi dal lavoro tecnico costringono il politico a rivedere le posizioni di partenza e di fatto una corretta pianificazione “...... presupposes a communication between experts and policy-makers, either as interactive decision procedures (based on a dialogue and information exchange about a given choice problem between all parties 10 envolved) or as cyclical decision procedures (based on adaptation, feedback or restructuring of the planning problem at hand as a result of a consultation of parties involved).” (Blaas, Nijkamp, 1994). 1.2.2. Gli obiettivi Sia nel processo tradizionale di pianificazione che in quello nuovo, una volta raccolte le informazioni e individuato il problema, è necessario definire gli obiettivi che gli interventi da programmare devono raggiungere. Non è possibile indicare in modo esaustivo l’insieme degli obiettivi che possono essere individuati: questi dipendono da una molteplicità di fattori fra cui di primaria importanza sono il contesto politico, l’ambito territoriale ed il livello temporale a cui si riferisce la programmazione. Possono essere inoltre di natura diversa: puramente indicativi oppure quantitativi oppure entrambe queste tipologie; non è raro poi il caso in cui risultino in contrasto fra di loro. In questo paragrafo, ci limitiamo di conseguenza ad indicare i casi, e le soluzioni proposte, che più frequentemente si presentano. Molto spesso, gli obiettivi prefissati sono quantificabili; definita la funzione obiettivo, il processo di pianificazione diventa un processo di ottimizzazione e dunque trattabile ricorrendo a strumenti e modelli matematici noti. Rientrano in questa categoria i casi in cui, con riferimento ad una infrastruttura dei trasporti, la funzione obiettivo da massimizzare è il livello complessivo di servizio, il profitto del produttore del servizio oppure il surplus dell’utente4. Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, una complessità della pianificazione in questo settore deriva però dalla presenza di obiettivi 4 Il surplus dell’utente è un concetto molto antico poichè già a metà dell’800, il Dupuit ne suggeriva l’uso nel settore dei trasporti. 11 difficilmente misurabili in termini quantitativi. Questo significa che spesso modelli matematici di ottimizzazione devono essere “interpretati” alla luce di tutti quegli obiettivi intangibili che il decision maker persegue. In questo caso, “sembra più opportuno pensare ad uno schema logico di preferenze in cui siano indicati obiettivi generali, obiettivi specifici e relative possibili modalità di conseguimento in relazione alla scala territoriale cui il piano si riferisce” (L. Bianco, 1987). In pratica, si tratta di scomporre l’obiettivo primo, espresso in termini qualitativi, in sub-obiettivi, aggregabili a diversi livelli, che possono essere trattati mediante l’analisi quantitativa. Quando obiettivi di carattere generali quali quelli redistributivi vengono inseriti nell’analisi costi-benefici (par.3), possono essere seguite due metodologie alternative per valutare correttamente gli effetti che il progetto genera. La prima consiste nel calcolare il beneficio netto ponderato del progetto attraverso l’individuazione di un sistema di pesi dei benefici netti percepiti dai singoli gruppi; nel caso della distribuzione del reddito, molti studiosi suggeriscono di far riferimento, per la determinazione dei pesi, all’elasticità dell’utilità marginale del reddito. La seconda consiste nell’analizzare gli effetti del progetto attraverso la variazione dell’indice che misura l’ineguaglianza che si cerca di ridurre. I metodi descrittivi più utilizzati sono la rappresentazione grafica della distribuzione della popolazione per livelli di reddito oppure la curva di Lorenz. Per costruire questa curva, sull’asse delle ascisse vengono riportate le quote percentili della popolazione e sull’asse delle ordinate la quota percentuale cumulata del reddito totale corrispondente ai vari percentili. Nel caso di uguaglianza, la curva sarebbe rappresentata dalla diagonale; quanto maggiore è la distanza da questa diagonale tanto maggiore è il livello di ineguaglianza. Il campo di applicazione di questo metodo è però limitato in quanto non fornisce indicazioni quantitative sul livello di ineguaglianza di 12 due distribuzione. Un metodo che invece fornisce una valutazione numerica di questo fenomeno è l’indice di concentrazione del Gini che misura l’area fra la diagonale e la curva suddette. Il valore minimo di questo indice è 0 che corrisponde a situazioni di uguaglianza perfetta; il valore massimo è 1 quanto tutto il reddito appartiene ad un unico soggetto. Infine, un altro metodo è l’indice di povertà ossia la quota della popolazione che percepisce un reddito inferiore ad una determinata soglia; questo metodo, anche se molto utilizzato, ha il difetto di non essere collegato ad una particolare funzione del benessere sociale (così come l’indice del Gini); la definizione della linea di povertà è da sempre oggetto di dibattito. Molto spesso si pone il problema di considerare congiuntamente più obiettivi e dunque di stabilire delle priorità fra gli obiettivi stessi che il decisore politico ha prefissato. Sono state proposte diverse soluzioni a questo problema. La prima consiste nell’individuare dei pesi da attribuire ai singoli obiettivi da considerare in un’unica funzione obiettivo da massimizzare. Un secondo metodo consiste invece nel decidere di massimizzare un unico obiettivo ponendo però dei vincoli sugli altri. Un’altra soluzione proposta è un mix delle due precedenti in cui alcuni obiettivi rimangono tali mentre altri rientrano nelle funzioni di vincolo. E’ stato dimostrato (Marglin, 1967) che ognuna di queste soluzioni, però, conduce a risultati corretti ed equivalenti solo nel caso di “... condizioni di certezza - ossia di perfetta conoscenza delle possibili tecniche, espresse dalla curva di trasformazione dell’investimento pubblico e delle preferenze sociali espresse da ‘isoquanti di desiderabilità’ tra i vari obiettivi”5, condizioni che nella realtà difficilmente si verificano. Altrettanto laboriosi risultano anche le soluzioni proposte in caso di incertezza tant’è vero che, spesso, secondo alcuni, conviene rinunciare alla definizione di un unico “obiettivo” e lavorare di converso su una matrice obiettivi-impatti. Questo approccio è 5 G. Muraro in Fondo, “Investimenti e occupazione” (bibl.). 13 alla base del metodo degli effetti, così come delle tecniche di MCDMMultiple Criteria Decision Making su cui ritorniamo nel prossimo paragrafo. 1.3. L’ANALISI COSTI-BENEFICI Premesso che la valutazione politica6 rimane dominante nel processo di scelta, sono state sviluppate diverse metodologie di valutazione degli interventi a supporto delle decisioni finali dei politici. Uno degli strumenti sicuramente più diffusi per l’analisi e la scelta fra più alternative è l’analisi costi-benefici7, su cui ci soffermiamo di seguito, anche se particolare rilievo negli ultimi anni viene attribuito alle tecniche multicriteriali. L’analisi costi-benefici si basa sul confronto dei costi e dei benefici, entrambi misurati in termini monetari, che deriverebbero dalla realizzazione del progetto oggetto di studio durante la durata di vita dell’intervento programmato con l’obiettivo di individuare l’alternativa che a parità di costi massimizza i benefici o viceversa. Per ogni alternativa, si deve dunque fare il confronto tra la realtà comprensiva del progetto e la situazione di non progetto. 6 Molto significativa a questo proposito è stata l’esperienza italiana del FIO-Fondo Investimenti ed Occupazione, che definì adeguate tecniche di valutazione finanziaria ed economica degli investimenti, poiché mise in luce le difficoltà pratiche del voler associare tecniche rigorose e scientifiche a processi decisionali in cui gli interessi politici ed economici sono fortemente presenti. Tutto ciò viene perfettamente sintetizzato da quanto riportato di seguito: “Quella esperienza portava, in modo tecnico ed unitario, all’individuazione delle priorità da rispettare, identificando il punto di arresto annuale in relazione alle risorse finanziarie disponibili e richiedendo taluni requisiti essenziali come il ritorno economico dell’investimento e la immediata cantierabilità dell’investimento stesso. Ma una esperienza di questo tipo, tecnicamente valida, diminuiva lo spazio riservato alla cosiddetta ‘mediazione’ politica che è stata e resta la causa fondamentale degli investimenti finanziati solo parzialmente oppure a pioggia, e fu fatta terminare in modo burrascoso.” Sante Bianchini, Introduzione di base al Seminario “Le risorse, gli investimenti e i finanziamenti”, Cnel, 6 aprile 1993, Roma. 7 L’analisi costi-benefici viene spesso utilizzata anche per valutazioni ex-post ossia per verificare quale sia stata, dopo un certo numero di anni, la redditività di un certo investimento. 14 In alcuni casi, prima di valutare la redditività di una determinata spesa in questo settore, è necessario verificare che non vi siano soluzioni meno onerose dal punto di vista economico i cui effetti possano essere paragonabili. Si tratta in pratica di analizzare a priori quali siano le potenzialità delle infrastrutture esistenti e verificare che non vi siano interventi, per esempio sulla regolazione dell’offerta e della domanda dei servizi resi possibili dalle stesse, in grado di sortire gli effetti desiderati. Generalmente, l’analisi C/B viene realizzata a completamento dello studio di fattibilità in cui vengono precedentemente analizzati tutti gli elementi necessari per la valutazione della redditività di un investimento, e dunque necessari per l’analisi costi-benefici stessa. Di seguito, riportiamo brevemente tutte le fasi che compongono uno studio di fattibilità riservando particolare attenzione all’analisi costi-benefici. Dopo aver individuato gli obiettivi che si intendono perseguire con il progetto oggetto di studio, il passo successivo è l’analisi del contesto in cui si inserisce l’opera: è infatti necessario conoscere l’insieme di norme legislative ed amministrative, statali e locali, i permessi, le licenze e tutti gli atti necessari e soprattutto i relativi tempi, la posizione dei vari gruppi di interesse, ecc. Successivamente, si passa all’analisi della domanda e delle condizioni di offerta del prodotto/servizio. Questa fase è particolarmente delicata poiché quasi tutte le decisioni finanziarie e tecnologiche dipendono dalle previsioni sulla domanda attuale e potenziale che potrà essere catturata. Per valutare la domanda, vi sono oggi, anche per il settore dei trasporti, una molteplicità di modelli che si basano su metodi statistici di variabili osservazionali. Senza entrare nel merito di questi diversi modelli già trattati in dettaglio nel II° capitolo, è sufficiente sottolineare in questa sede che questo strumento è stato molto affinato nel tempo e che oggi è possibile anche ricorrere a modelli trasporti-territorio che tengono conto 15 della reciproca influenza di questi due fenomeni. Questa opportunità è molto importante poiché una delle principali difficoltà nel valutare la domanda nel settore dei trasporti risiede proprio nel fatto che questa è una domanda derivata. Le interconnessioni ed interdipendenze del settore trasporti con lo sviluppo economico, sociale e territoriale rendono particolarmente importante la tecnica cosiddetta degli scenari8 nello studio di modelli previsionali elaborati per la stima della domanda di trasporto, metodologia con cui è stata affrontata fra l’altro la ricerca “Scenari di lungo periodo per la pianificazione dei trasporti” del Sottoprogetto I del Progetto Finalizzato Trasporti di cui riportiamo di seguito lo schema. In base alle previsioni sulla domanda e sulle relative caratteristiche, si passa allo studio delle tecniche esistenti per realizzare il progetto in questione e la scelta è di fondamentale importanza poiché da questa dipendono le valutazioni dei flussi monetari che verranno inseriti nell’analisi finanziaria. In base alle ipotesi sulla tecnologia e sul piano di produzione, si determinano infatti il piano di approvvigionamento, l’organizzazione e le risorse umane da reperire, oltre al profilo generale del costo dell’investimento. Dopo aver valutato le diverse opzioni sulla localizzazione e le relative conseguenze, si passa all’analisi finanziaria del progetto e successivamente a quella economica (ossia l’analisi C/B). Senza entrare nel merito dell’analisi finanziaria9, utilizzata per valutare i flussi di cassa relativi all’unità produttiva con l’obiettivo di individuare la 8 Si definiscono degli scenari legati ad aspetti politici, sociali ed economici (studio del “mondo”) attraverso l’evoluzione delle variabili strutturali che li definiscono in cui si cerca di capire l’impatto del “fenomeno oggetto di studio”; ciò è possibile ricorrendo a modelli econometrici o più semplicemente attraverso interviste, indagini di campo, dati, ecc. Si tratta di definire degli scenari in base a determinati aspetti politici, economici, sociali e culturali in cui si analizza l’inserimento del fenomeno oggetto di studio. 9 Opinione comune è quella di considerare l’analisi finanziaria complementare a quella economica: un progetto per essere approvato dovrebbe infatti rispettare sia la convenienza finanziaria sia quella economica. 16 soluzione che permette la massimizzazione del profitto e più che sperimentata nel settore privato, la ricerca in materia di valutazione di interventi pubblici, e dunque per il settore dei trasporti, ha dedicato particolare attenzione all’analisi economica alla luce della indiscussa valenza sociale di questa tipologia di interventi. Rispetto all’analisi finanziaria in cui i costi ed i ricavi sono voci sostanzialmente bene identificate in quanto si riferiscono ad un unico soggetto, l’unità produttiva, che persegue un 17 Schema 3 - Fasi della ricerca “Scenari di lungo periodo per la pianificazione dei trasporti” - Sottoprogetto I del PFT I° FASE Scelta delle variabili caratterizzanti lo scenario Demografia Economia Motorizzazione Assetto del territorio Energia Reti di trasporto Analisi storica scenario attuale II° FASE Ipotesi qualitativa di evoluzione dello scenario Sviluppo equilibrato Evoluzione tendenziale III° FASE Previsioni quantitative di evoluzione settoriale Analisi Delphi Stagnazione equilibrata Modelli matematici settoriali Costruzione di possibili scenari futuri Sviluppo equilibrato 18 Evoluzione tendenziale Stagnazione equilibrata preciso obiettivo, massimizzare i profitti, molto più complessa è la definizione di costi e ricavi nell’analisi economica in quanto di volta in volta è necessario individuare il contesto di riferimento, ossia i soggetti che sosterranno dei costi o che riceveranno dei benefici, definire le voci da considerare come costi e benefici nonché risolvere tutti i problemi connessi alla loro quantificazione al fine di procedere alla valutazione del raggiungimento degli obiettivi perseguiti (fra cui generalmente detto il benessere economico del sistema). La presenza di una molteplicità di fenomeni connessi complica sicuramente il compito di chi realizza questo tipo di analisi ed una delle principali difficoltà in questo settore è proprio la delimitazione del campo di osservazione; a ciò, si aggiunge l’ulteriore complessità dovuta alla presenza di numerosi effetti intangibili o comunque di difficile valutazione. E tutto ciò assume particolare rilevanza nel caso delle infrastrutture di trasporto poiché queste hanno un impatto rilevante sul territorio in cui vengono realizzate in termini produttivi, occupazionali, sociali, ambientali, ecc. Di fatto, non esiste una soluzione unica per determinare tutti questi aspetti ed è opinione corrente, nonché pratica diffusa, che questi vengano di volta in volta individuati congiuntamente dal soggetto politico e dal tecnico in relazione agli obiettivi perseguiti. Uno schema sintetico (Cascetta 1990) degli effetti che possono essere inseriti nella valutazione di un piano sono i seguenti10: Utenti (passeggeri e merci) variazione di utilità netta (surplus) percepito dagli utenti dell’intero sistema di trasporto suddivisi in segmenti di mercato, variazione di attributi non percepiti per segmenti di mercato 19 Operatori pubblici (per ciascun operatore coinvolto) variazione nelle quantità di risorse (mano d’opera, materiali, capitale) necessarie per la costruzione, manutenzione ed esercizio del sistema costi di riallocazione di persone e attività commerciali variazioni di ricavi della vendita del servizio variazione di tasse pagate dagli utenti del sistema di trasporto (carburanti, lubrificanti, ecc.) variazione di tasse dei non utenti (proprietà, ecc.) variazioni di trasferimenti fra le diverse amministrazioni pubbliche Non utenti Impatti economici variazioni di valori di terreni ed immobili variazioni di uso dei suoli riallocazione di persone ed attività economiche Impatti sociali variazione di accessibilità alle attività sociali (scuola, centri sociali e religiosi, attività ricreative, ecc.) modifiche nella struttura e nella coesione di comunità locali Impatti ambientali modifiche dell’eco-sistema, variazioni di inquinamento acustico, variazione di inquinamento atmosferico, intrusione visiva. Oltre alla diversità delle voci di costo e di beneficio da considerare nella valutazione finanziaria ed economica di un progetto, un’altra sostanziale differenza fra l’analisi finanziaria e quella economica è la scelta del livello dei prezzi da attribuire ad ogni variabile di spesa o di entrata che, nella 10 Un altro aspetto di rilevante interesse, soprattutto in un momento come questo in cui le risorse pubbliche risultano così ridotte, è la valutazione del costo/opportunità della spesa 20 prima, sono quelli di mercato, correnti e previsti. I motivi a sostegno di questa diversità di sistemi di prezzi sono dovuti in primo luogo al fatto che i prezzi di mercato sono molto spesso distorti - a causa della presenza non trascurabile di imposte, sussidi, trasferimenti, ecc. - ed in secondo luogo alla circostanza che, generalmente, non corrispondono agli obiettivi economici e sociali perseguiti dalla Stato (per esempio un incremento di consumo aggregato, una ridistribuzione del reddito, ecc.). Di conseguenza, i prezzi utilizzati nell’analisi economica, indicati in letteratura come prezzi ombra, vengono stimati in modo che “... riflettono più precisamente di quelli di mercato il fatto che le risorse a disposizione del Paese sono scarse e oggetto di competizione tanto per il perseguimento di obiettivi di consumo privato quanto obiettivi di benessere sociali. E’ importante sottolineare che non ci si propone di identificare prezzi di equilibrio concorrenziale perfetto poiché essi si riferiscono ad una situazione estrema in cui tutti i mercati funzionano perfettamente e senza distorsioni, e il sistema fiscale è socialmente ottimale. I prezzi ombra sono invece stimati tenendo conto del fatto che le distorsioni continueranno ad esistere, ma che il loro peso e la loro direzione varierà a seconda delle circostanze e delle politiche economiche perseguite dal paese....... I prezzi ombra o prezzi contabili sono, pertanto, dei prezzi di stima che riflettono meglio di quelli di mercato la valutazione che la società dà al costo-opportunità di beni e servizi.” (Pennisi, 1984). Nel corso degli anni, le tecniche di stima dei prezzi ombra sono state notevolmente affinate e particolarmente importante è stato il contributo di studi e ricerche svolte a questo proposito dalle principali organizzazione internazionali, fra le quali l’Ocse, l’Unido e la Banca mondiale (ai quali rimandiamo per un approfondimento dettagliato di questo problema). Limitandoci in questa sede ad una esposizione molto sintetica delle principali metodologie di stima del sistema di prezzi ombra, molto diffusa è pubblica e degli effetti fiscali eventualmente connessi. 21 la tecnica di valutazione basata sui prezzi internazionali che rappresentano, secondo chi sostiene questo approccio, una misura del costo opportunità dei beni/servizi che entrano nella valutazione del progetto migliore di quella offerta dai prezzi di mercato nazionali; un’altra tecnica utilizzata prevede invece il ricorso a modelli di programmazione matematica. Entrambe queste soluzioni non sono però esenti da forti limiti applicativi, in particolare il secondo che necessità di una mole di informazioni e dati statistici disaggregati molto elevata per poter fornire dei risultati significativi. Ma anche le tecniche che prevedono il ricorso ai prezzi internazionali non sono sempre praticabili. In alcuni casi, per esempio, questi differiscono da quelli interni proprio perché, a livello nazionale, si perseguono determinati obiettivi e, come abbiamo detto in precedenza, i prezzi ombra devono essere stimati tenendo conto di questi obiettivi; un’altra difficoltà è legata alla variabilità dei prezzi internazionali, oltre alla bontà delle fonti statistiche disponibili ed, infine, alcuni dei prezzi da stimare si riferiscono a beni che non vengono scambiati sul mercato internazionale, e, a volte, neanche su quello interno. Quest’ultima situazione è sicuramente diffusa nel settore dei trasporti: questo accade sia quando la nuova infrastruttura rende disponibile un servizio che prima non esisteva sia quando è necessario valutare beni per i quali non esiste di non esiste di fatto nessun mercato quali ad esempio, l’inquinamento dell’aria, quello acustico, l’impatto paesaggistico, il risparmio di tempo, la congestione, la vita umana, ecc. Quando il mercato non esiste oppure è notevolmente distorto (per esempio a causa di tariffe amministrate), per calcolare il beneficio totale derivante dall’offerta di un nuovo bene/servizio, si può ricorrere al calcolo del surplus del consumatore ossia della disponibilità del consumatore a pagare per un certo servizio. Molto chiaro è l’esempio che Stiglitz11 fa in relazione alla costruzione 11 Bibl. 22 di un ponte. Supponendo che la capacità minima dell’infrastruttura sia tale da risultare comunque superiore alla domanda, il pedaggio potrebbe essere nullo in quanto il costo marginale dell’uso dello stesso è nullo. Ciò nonostante, è ragionevole chiedersi quale sia il pedaggio che i potenziali clienti sarebbero disposti a pagare a fronte dei benefici che derivano dell’attraversamento del ponte. Attraverso la costruzione della curva di domanda compensata12 che “descrive la domanda di un bene al diminuire del prezzo quando, contemporaneamente, venga sottratto all’individuo un ammontare di reddito sufficiente affinché il suo benessere resti immutato, non vari, cioè, inversamente al variare del prezzo”, è possibile misurare il surplus del consumatore derivante dalla realizzazione dell’infrastruttura. Se la somma dei surplus di tutti i possibili soggetti interessati è superiore ai costi, sarà allora opportuno costruire il ponte13 (la disponibilità a pagare di ogni individuo è influenzata: dal livello di reddito personale e dalla presenza di soluzioni alternative). Molto complessa e dibattuta è la stima dei “prezzi” da associare ai beni per i quali non esiste mercato. Storicamente, gli aspetti che hanno suscitato particolare interesse sono stati la valutazione del tempo e quella della vita umana. Più recentemente, il dibattito si è esteso anche ad altri fattori, in particolare quelli connessi con le tematiche ambientali14. Diverse scuole di pensiero si confrontano sulla metodologia di stima degli effetti, in termini di costi e benefici; recentemente, contributi di notevole interesse sono stati forniti dalla Commissione europea che, nei primi mesi di questo anno, ha pubblicato il Libro verde sui costi sociali aggiungendosi così alla ampia letteratura tecnica sulle metodologie di calcole delle diverse voci di costo. 12 In questo caso, indica il prezzo che il consumatore è disposto a pagare per attraversare un numero crescente di volte il ponte. 13 Il beneficio totale sarà costituito dalla somma dei surplus di tutti gli utenti anche se, come vedremo più avanti, è di fondamentale importanza considerare anche i benefici di cui usufruiscono anche coloro che non utilizzano direttamente l’infrastruttura. 14 Si veda a questo proposito il paragrafo del I° capitolo dedicato ai costi ambientali. 23 In linea di massima, vengono utilizzati metodi deduttivi in base ai dati di mercato e/o comportamenti osservati oppure a stime indirette in base a beni scambiati sul mercato. Per quanto riguarda la valutazione dei benefici generati dalla costruzione di una determinata infrastruttura di trasporto in termini di risparmio di tempo, per esempio, è possibile stimare il valore medio attribuito a questa variabile attraverso l’analisi del comportamento di un campione di utenti in situazioni analoghe esistenti (per andare da un punto A ad un punto B, esistono due alternative: sostenere un costo C1 e metterci un tempo T1 oppure sostenere un costo inferiore a C1 e metterci un tempo superiore a T1). Molto diffuso è anche il criterio di utilizzare il salario orario degli utenti che rappresenta, secondo alcuni economisti, una corretta valutazione monetaria del tempo degli utenti. Questo approccio viene criticato da altri studiosi in quanto ritengono invece che le caratteristiche dei singoli lavori conducono a sovrastimare, in alcuni casi, il valore del tempo così determinato ed, in altri, a sottostimarlo. Molto complessa è la valutazione della sicurezza ossia della vita umana e nonostante vi siano a questo proposito diverse tecniche di stima, nessuna risulta esente, però, da notevoli problemi sia teorici che applicativi15; fra queste, il metodo costruttivo che consiste nel calcolare ciò che un individuo avrebbe guadagnato durante la sua vita (in base al confronto con esperienze simili). Tale tecnica, però, viene ritenuta da molti studiosi inadeguata per diversi motivi: per esempio, la stima del valore economico della vita umana andrebbe corretta sottraendo i costi che la collettività non dovrà più sostenere, valutazione che fra l’altro risulta particolarmente complessa e difficile. 15 Fra questi, ricordiamo il metodo costruttivo che consiste nel calcolare ciò che un individuo avrebbe guadagnato durante la sua vita (in base al confronto con esperienze simili) anche se ritenuto da molti studiosi inadeguato per diversi motivi fra cui quello che, a livello collettivo, la stima del valore economico della vita umana andrebbe corretta sottraendo i costi che la collettività non ha dovuto sostenere - valutazione che fra l’altro risulta particolarmente complessa e difficile. 24 Più in generale, una tecnica particolarmente diffusa in questi casi, alternativa o integrativa all’analisi costi-benefici, è l’analisi costo-efficacia che consiste nell’individuare il modo più efficace per raggiungere un obiettivo prefissato senza dover procedere a complesse e discutibili valutazioni economiche. Per esempio, se lo scopo è quello di ridurre l’incidentalità stradale ad un determinato livello, è possibile calcolare i costi generati da tutti quei progetti che consentono di raggiungere il livello di mortalità fissato inizialmente e scegliere quello che minimizza tali costi. Nel caso in cui non venga fissato a priori il livello di sicurezza, è possibile stimare la curva del costo marginale di una riduzione unitaria della mortalità e lasciare successivamente agli organi decisionali il compito di scegliere il livello di sicurezza. Un importante contributo al problema della valutazione delle “esternalità” dei trasporti (congestione, uso delle infrastrutture, inquinamento ambientale, ecc.) è stato fornito da uno studio presentato dall’UIC16, trattato nel capitolo X, così come lo studio commissionato dall’Ocse “Internalising the social costs of transport” (1993). Un altro punto molto dibattuto, che fra l’altro costituisce per alcuni studiosi un ineliminabile limite dell’analisi costi benefici, è la determinazione del tasso di attualizzazione, ossia di quel valore che ci permette di attualizzare i costi e le entrate previste durante la vita dell’opera; è opinione diffusa che il tasso di interesse del mercato non sia il valore da utilizzare in questo tipo di analisi in quanto incorpora valutazioni di breve periodo ed è soggetto a numerosi vincoli (il mercato dei crediti, l’esistenza di tassi particolari, ecc.). Riprendendo le parole del Pennisi (1984), il tasso sociale di sconto deve riflettere “il costo-opportunità delle risorse per l’operatore, per l’ente e/o per 16 External effects of transport, Project for the UIC Paris, Infras Zurigo, IWW Karlsruhe, Maggio 1994 25 l’impresa: il rendimento, cioè, a cui operatore, ente e/o impresa debbono rinunciare per utilizzare le risorse del progetto in esame.”. Questo indicatore rientra fra i parametri nazionali denominati tali in quanto corrispondono ai macro obiettivi che il decisore politico, a livello di politica economica nazionale, persegue e che, nell’ambito della valutazione di tutti i progetti, devono assumere lo stesso valore. La definizione degli stessi è dunque un problema di ordine politico. I principali parametri nazionali sono, oltre il tasso sociale di sconto, il prezzo ombra dell’investimento, il salario ombra, il prezzo ombra della valuta estera, più in generali, tutti i prezzi ombra che riflettono il perseguire dei suddetti obiettivi. Dopo aver stimato sia i costi che i benefici ed aver attualizzato i valori futuri attraverso il tasso sociale di sconto ricorrendo alla formula di capitalizzazione, si passa al calcolo del rendimento del progetto17. Nel tempo, sono stati elaborati numerosi criteri di valutazione economica di un progetto fra i quali i più diffusi sono descritti di seguito.: Il Valore Attuale Netto - VAN, che consiste nel calcolare la differenza fra i benefici generati dall’investimento nei vari anni di durata dello stesso ed i costi sostenuti negli stessi periodi. La formula è dunque: t=n t=n VAN = Bt ___1___ - Ct ___1___ t=0 (1+i)t t=0 dove: Bt = Benefici al tempo t i = tasso di attualizzazione (1+i)t Ct = Costi al tempo t n = numero di anni di vita del progetto 17 Le tecniche riportate di seguito possono essere utilizzate sia nell’analisi finanziaria che in quella economica (è a quest’ultima che si di seguito riferimento). 26 Nel caso di progetti sostitutivi alternativi, dovrebbe essere scelto quel progetto che massimizza il VAN (in questa situazione, la significatività del risultato è strettamente legata all’analisi ed alla valutazione sia di ciò che si verificherebbe nel caso di “non progetto” sia delle alternative del progetto); negli altri casi, questo metodo permette invece di selezionare i progetti validi (ossia quelli che presentano valori positivi) ma la scelta operativa viene determinata successivamente in base all’ammontare delle risorse disponibili ed alle preferenze dei decisori politici18. La formula proposta in alcuni manuali prevede che al valore del VAN così calcolato venga sottratta la differenza fra i benefici ed i costi relativi alla situazione di “non progetto” (nel caso di progetti sostitutivi, il diminuendo è ovviamente costante). Il Rapporto fra Benefici e Costi Attualizzati - RBCA (simile al criterio precedente dove invece della differenza viene calcolato il rapporto). E’ opinione diffusa che l’uso di questo indicatore nell’analisi della convenienza economica di un progetto debba essere aggiuntivo al VAN piuttosto che alternativo in quanto le due tecniche conducono, in alcuni casi, a risultati contraddittori. il Saggio di Rendimento Economico19 (SRE) , che consiste nel calcolare quel tasso i per il quale il VAN si annulla. Il ruolo svolto in questo processo decisionale dalla scelta del tasso di sconto è evidente, così come banale è sottolineare l’importanza della determinazione della durata del progetto. Questo ultimo parametro è fortemente problematico nel caso delle infrastrutture di trasporto, in cui vi sono tempi lunghi di realizzazione ed altrettanto lunghi di vita delle 18 Sono stati suggeriti alcuni criteri per la selezione ulteriore dei progetti nel caso di fondi limitati che possono essere ordinati in base al rapporto VAN/spesa per investimenti oppure VAN/fabbisogno di fondi. 19 Nell’analisi finanziaria, questo indicatore è chiamato Saggio di Rendimento Interno. 27 infrastrutture stesse che si riflettono sull’esistenza di ritorni dispersi nel tempo. Una volta calcolato il rendimento dell’intervento oggetto di studio è comunque opportuno valutarne il campo di oscillazione. Infatti, quasi tutti i parametri utilizzati, sia dal lato dei costi che dei benefici, sono oggetto di incertezza ed è necessario, per i soggetti decisionali, conoscere quali siano i rischi che una certa decisione comporta. Prima di affrontare aspetti probabilistici, un approccio per governare questo fenomeno, secondo alcuni, è il ricorso all’analisi di reattività che consiste nell’analizzare le variazioni degli indicatori di convenienza al variare di uno o più dei parametri utilizzati. Il pregio di questa analisi in tal caso è quello di mettere in evidenza se in effetti esiste il rischio che gli indicatori subiscano sensibili variazioni. Non esiste un criterio preciso per individuare i parametri chiave da utilizzare e questa scelta viene generalmente fatta in base alla sensibilità dell’analista in relazione alle caratteristiche del progetto. Il Pennisi (1984) suggerisce comunque la necessità di effettuare questo tipo di analisi in relazione all’utilizzazione della capacità produttiva, ai ritardi nell’esecuzione ed all’ottimizzazione temporale. Il principale limite applicativo di questa tecnica è che non tiene conto che, nella realtà, i parametri chiavi non sono indipendenti fra di loro. Ciò nonostante, nel caso in cui l’analisi di reattività metta in evidenza una situazione di forte incertezza, allora conviene procedere all’analisi del rischio. Il primo compito di chi deve eseguirla è quello di individuare le variabili che maggiormente rischiano di incidere sui valori degli indicatori di convenienza del progetto. La scelta è esclusivamente soggettiva e dipende dalla sensibilità dell’analista e/o del decisore così come la scelta della distribuzione di probabilità relativa ad ognuna delle suddette variabili. A questo punto, combinando in vario modo le diverse distribuzioni di probabilità, è possibile ottenere più valori degli indicatori da analizzare con 28 gli strumenti statistici disponibili. Le informazioni di sintesi sulla variabilità degli indicatori sono un ulteriore contributo al processo decisionale. Negli anni, l’analisi costi-benefici è stata oggetto di diverse critiche. Sotto il profilo applicativo, il limite di questa tecnica deriva dalla difficoltà, in primo luogo, di individuare correttamente il sistema dei prezzi ombra e, in secondo luogo, di considerare in modo esaustivo tutte le conseguenze derivanti dalla realizzazione del progetto. Determinare e valutare gli effetti che questo genera sia per i diretti interessati sia per i non utenti è compito particolarmente arduo, risolto, nella pratica, limitando notevolmente il campo di osservazione (il che non risulta ovviamente corretto). L’analisi costi-benefici si basa inoltre sul principio della marginalità del progetto oggetto di studio, ossia sulla non rilevanza dello stesso se considerato nell’ambito del sistema economico generale (non implica, per esempio, modifiche sulla struttura dei prezzi utilizzati nell’analisi stessa). Questa ipotesi, in particolare nel caso delle infrastrutture di trasporto, viene difficilmente rispettata in quanto questa non solo si ripercuote sul settore complessivo dei trasporti (può alterare, per esempio, la distribuzione modale del traffico) ma anche su altri settori, fra cui per esempio, quello dell’industria produttrice di beni di investimento. In alternativa, o secondo alcuni ad integrazione dell’analisi costi-benefici, sono state sviluppate negli ultimi anni diverse tecniche di valutazione degli interventi pubblici che ricadono sotto la denominazione di MCDM-Multiple Criteria Decision Making. L’analisi multi-obiettivo, che ha il pregio di non richiedere complicate e dubbie valutazioni monetarie (contrariamente all’analisi costi-benefici), “consente di generare l’insieme delle soluzioni 29 (progetti) non dominate20 e di aiutare il decisore a sceglierne una che realizzi un ‘compromesso accettabile’ fra i diversi obiettivi perseguiti” (Cascetta, 1990). L’uso di questa metodologia consente dunque di giungere ad una classificazione di possibili alternative che devono essere valutate secondo un ampio numero di criteri/obiettivi. Il punto di partenza di questi metodi è la costruzione di una matrice in cui viene riportato il valore risultante di ogni obiettivo, espresso nella propria unità di misura, per ogni alternativa possibile. Ricerche psicologiche sulle capacità umane di esaminare contemporaneamente più aspetti suggerisce di limitare a sette gli obiettivi da considerare (se necessario, ognuno di questi può essere suddiviso a sua volta in subobiettivi, ancora una volta, non più di sette). Successivamente, combinando questa matrice con il vettore dei pesi attribuiti ad ogni singolo obiettivo, è possibile fare una graduazione delle alternative esaminate. Senza entrare nel dettaglio di tutte le tipologie di analisi che sono state elaborate negli ultimi venti anni, queste possono essere così suddivise: modelli di scelta discreti, ossia che consentono l’individuazione di un numero finito di scelte possibili, e modelli di scelta continui che invece ne generano un numero infinito. Ognuna di queste tipologia può inoltre essere suddivisa in altre a seconda che vengano utilizzate informazioni qualitative, quantitativi oppure un mix delle due precedenti. Per chi desiderasse approfondire questo argomento, una rassegna delle tecniche di analisi multi-obiettivo è riportata nella pubblicazione di Blaas e Nijkamp indicata in bibliografia. 20 Un progetto non dominato si definisce tale se nessun altro progetto presenta un livello di maggior soddisfazione di un obiettivo senza peggiorarne un altro; per questo motivo si dice che un progetto non dominato è un progetto Pareto-ottimale. 30 BIBLIOGRAFIA ACT - Ambiente Città Territorio, Analisi della pianificazione dei trasporti alle diverse scale territoriali: aspetti giuridico-amministrativi e stato di attuazione, PROGETTO FINALIZZATO TRASPORTI 2 - Consiglio Nazionale delle Ricerche, Gennaio 1993 (Responsabile scientifico: Del Sole G.) Bayliss B., Transport policy and planning - An integrated Analytical Approach, The International Bank for Reconstruction and Development The World Bank, 1992 Bianco L. e La Bella A. (A cura di), La pianificazione dei sistemi di trasporto, Franco Angeli, 1987 Blaas E., Nijkamp P., Impact Assessment and evaluation in transportation planning, Kluwer Academic publishers - 1994 Cascetta E., Metodi quantitativi per la pianificazione dei sistemi di trasporto, Cedam, Padova, 1990 Cascetta E., L’ingegneria dei sistemi di trasporto, Sistemi di Trasporto Rivista trimestrale del Centro Studi sui Sistemi di Trasporto, GennaioMarzo 1993 CINSEDO - Centro Interregionale Studi e Documentazione, Fondo investimenti e occupazioni - Ruolo e prospettive nella programmazione regionale (Atti del seminario), Franco Angeli, Marzo 1988 CISUT - Consorzio per l’Istituto Superiore dei Trasporti, Studio di progetti di grandi infrastrutture e servizi di trasporto e analisi comparativa di metodi di elaborazioni progettuali, PROGETTO FINALIZZATO TRASPORTI 2 Consiglio Nazionale delle Ricerche, Luglio 1993 (Responsabile scientifico: Torrieri V.) Documenti CNEL, Politiche dei trasporti, Roma 1994 CSST - Centro Studi sui Sistemi di Trasporto, Dal piano urbano del traffico al piano della mobilità - Metodologia e sintesi di alcune esperienze del CSST, Numero Speciale, Novembre-Dicembre 1992 Del Viscovo M., Economia dei Trasporti, UTET, 1990 Federtrasporto - Centro Studi, Mercato unico e trasporti - Il sistema italiano nell’integrazione europea, SIPI, 1995 31 de Luca M., Rallo B., Processo di pianificazione dei trasporti e strategie partecipative, Sistemi di Trasporto - Rivista trimestrale del Centro Studi sui Sistemi di Trasporto, Aprile-Giugno 1995 Pennisi G. (A cura di), Tecniche di valutazione degli investimenti pubblici, Ministero del Bilancio e della programmazione economica, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1984 Quinet E., Analyse économique des transports, Presses Universitaires de France, Mars1990 Regione Lazio, Piano Generale dei trasporti del Lazio, Maggio 1992 Regione Veneto, Piano regionale dei trasporti, Marzo 1989 Stiglitz J.E., Economia del settore pubblico, Editore Ulrico Hoepli Milano, 1989 Tronconi O. (A cura di), Il sistema mobilità: verso una gestione manageriale, Etaslibri, 1994 Università di Napoli “Federico II”, Procedure per la pianificazione dei trasporti in Italia: Rapporto finale Anno 1992, PROGETTO FINALIZZATO TRASPORTI 2 - Consiglio Nazionale delle Ricerche (Responsabile scientifico: de Luca M.) 32 PARTE IV CAPITOLO 2. Il finanziamento delle infrastrutture Anna Gervasoni e Marco Ponti Libero Istituto Universitario di Castellanza 2.1. Alcuni richiami teorici Il finanziamento delle infrastrutture di trasporto, fino a pochi anni fa, si è sempre basato sull’ipotesi economica che si trattasse di beni pubblici (o di monopoli naturali), nel senso che se fossero stati i privati a realizzarli, questi avrebbero imposto poi tariffe elevate per l’uso (per recuperare i costi di investimento). Con tre conseguenze negative: la sostanziale sotto utilizzazione delle infrastrutture stesse (parte dell’utenza sarebbe scoraggiata dalle tariffe, e continuerebbe ad "intasare" le vecchie infrastrutture), la discriminazione d'uso a danno delle categorie meno abbienti, ed il possibile sfruttamento dell'utenza da parte dei gestori, che sarebbero stati comunque monopolisti; con l'insorgere di extra profitti, (cioè al di sopra dei costi di gestione e costruzione da recuperare), oppure extra costi, venendo meno lo stimolo all'efficienza in un cotesto non concorrenziale. Da qui l'assoluto predominio della spesa pubblica nel settore, con qualche "mascheratura" sotto forma di garanzie statali fornite ad obbligazioni emesse sul mercato privato, come nel caso della Alta Velocità italiana o delle Autostrade: per intenderci, per il contesto inglese le garanzie statali sono correttamente considerate come vero e proprio debito pubblico (il dissesto di molte imprese autostradali ha confermato che verosimilmente di debito pubblico si trattava, anche nel caso italiano). Questo set di giustificazioni teoriche (cui dovrebbero aggiungersi importanti componenti Keynesiane, e considerazioni sull'esistenza di benefici non ricuperabili per via tariffaria - es. sviluppo, ambiente, ecc.-, su cui qui però non possiamo dilungarci) è mutato radicalmente negli anni recenti. Le considerazioni di riferimento possono essere così riassunte: esiste un livello "ottimo" di spesa in infrastrutture, e tale livello si raggiunge quando una lira in più di investimento genera almeno una lira di benefici alla collettività (meno congestione, consumi, ecc.). Se genera meno di una lira, vi è eccesso di investimento. Ma questa situazione si realizza solo in presenza di livelli elevati di uso delle infrastrutture; così elevati che una tariffa d'uso per l'infrastruttura genera risorse sufficienti a costruirla, oltre che a gestirla (la teoria suona come "eguaglianza dei costi marginali di breve e di lungo periodo": se i due valori non coincidessero, sarebbe possibile un miglioramento paretiano incrementando o diminuendo prelievi ed investimenti). Questo schema teorico presuppone perfetta divisibilità degli investimenti, il che non è certamente vero a 1 livello singola infrastruttura, ma è ipotesi molto più accettabile a livello di reti infrastrutturali, anche a scala sub-nazionale. Da qui alcune interessanti proposte organizzative-gestionali-finanziarie per Agenzie regionali per la gestione dei pedaggi stradali e degli investimenti (cfr.Newbery) con forti contenuti di Project Financing. I problemi di non discriminazione dei gruppi meno favoriti, si sostiene, e a ragione, non devono essere risolti con i trasporti, che sono strumento inadatto; i problemi di comportamenti monopolistici si risolvono mettendo in gara l'insieme costruzione-esercizio, cioè proprio con il Project Financing. Il che non esclude parziali interventi pubblici a fondo perduto; è sparito tuttavia ogni assioma di necessità del finanziamento e della gestione pubblica. Inoltre il problema della tutela della concorrenza nel settore degli investimenti si presenta in Italia con particolare urgenza a motivo del suo intrecciarsi con processi di privatizzazione in corso in alcuni importanti comparti dei trasporti: autostrade ed aeroporti. La creazione dei soggetti gestori privati infatti, se fatti coincidere con i soggetti investitori, richiede una specifica attività di regolamentazione anche per gli investimenti: infatti è nota dalla letteratura la tendenza all’ “overinvestment” dei gestori di monopoli naturali, al fine di espandere la propria base di profitto, una volta che il saggio “equo” di tale profitto sia fissato dal regolatore. Anche qui non è possibile dilungarsi in dettagli: basterà citare alcuni documenti elaborati sul tema da M. Ponti e P.Ranci per il Ministeri dei Trasporti e dei LL.PP. Vale tuttavia la pena di accennare all’esperienza inglese più radicale, a titolo di esempio: quella degli aeroporti di Londra (B.A.A.) il soggetto gestore coincide con il soggetto investitore (e con la proprietà, in forma di “public company” con “golden share”): la regolazione mediante il metodo del “price-cap” coinvolge in un processo unico anche gli investimenti che sono in questo modo autofinanziati, ma con un sostanziale “tetto” posto alla remunerazione attesa. Comunque, qualsiasi forma di Project Financing posto in gara determina automaticamente una forma di “tetto” ai ritorni possibili, determinato dalla competizione stessa. 2.2. I problemi pratici del finanziamento pubblico Il primo, dominante problema concerne la scarsità crescente dei fondi pubblici in tutti i paesi industriali (la "crisi fiscale dello stato") e soprattutto in Italia. Appare sempre meno giustificabile la spesa a sostegno di infrastrutture di trasporto (ad esempio aeroporti e Alta Velocità) in presenza della necessità di ridurre alcuni consumi sociali che sembrano presentare un'oggettiva maggior "necessità", ed anche contenuti distributivi più rilevanti. Ed in effetti in tutti i paesi industriali si assiste ad un calo degli investimenti infrastrutturali nei trasporti, con rarissime eccezioni, mentre certamente non è in calo la domanda né le conseguenze negative della congestione (costi, danni ambientali). Un altro aspetto concerne l'efficienza della spesa: i costi tendono ad essere fuori controllo, così come i tempi di realizzazione (20 anni per realizzare la "Direttissima" ferroviaria Roma-Firenze, oltre 10 anni per il Passante ferroviario a Milano, ecc.). 2 Tale inefficienza ha un risvolto inquietante anche in termini di scarsa competizione e di corruzione: il settore delle infrastrutture di trasporto ha interessato fortemente le cronache giudiziarie recenti. In termini sintetici, si tratta di "cattura" dello Stato regolatore da parte delle grandi agenzie regolate (Autostrade, FS, ecc.) e dall'insieme dei fornitori di tali grandi agenzie. Infine, la stessa razionalità con la quale gli investimenti sono decisi dallo Stato appare sempre meno difendibile (il Piano dei Trasporti e il CIPET sono stati di fatto cancellati). Dunque, sembra esserci poco da perdere a cambiare il dispositivo complessivo di programmazione e finanziamento: si consideri in particolare il piano di investimenti ferroviari, che ammonta a più di 100.000 MD, e di cui il soggetto finanziatore (lo Stato) non ha effettuato alcuna analisi nè economica nè finanziaria, nè funzionale (si tratta di un coacervo di istanze localistiche ed elettorali e di “desiderata” di un soggetto non certo neutrale, cioè le FS Spa). Oppure le vicende degli investimenti autostradali (“variante di valico” ecc.), sempre promossi da interessi costituiti nel settore con scarsissime dimostrazioni di razionalità da parte da parte del decisore pubblico, che tra l’altro (Ministero dei LL.P.P.) non coincide con il soggetto che decide (o dovrebbe decidere) gli investimenti ferroviari (il Ministro dei Trasporti), e che di fatto si fa portatore di interessi settoriali e territoriali diversi. 2.3. I vantaggi del Project Financing Ricordiamo che per Project Financing nelle infrastrutture di trasporto si intende sostanzialmente la concessione in solido di costruzione e gestione di un'opera, ad un soggetto privato, che in questo modo ne assicura il finanziamento totale o parziale. I vantaggi possibili per la collettività sono molteplici: diminuiscono i costi per lo Stato a motivo della maggior efficienza garantita dai privati sia nella costruzione sia nella gestione dell'opera, garantendo anche la collettività sulla qualità della costruzione (un cattivo funzionamento dell'opera ricadrebbe sulla gestione); nella misura in cui la quota di finanziamento a fondo perduto deve essere valutata ex-ante lo Stato deve rendere espliciti e quantificare gli eventuali benefici sociali attesi dall'infrastruttura, sulla base di accurate analisi costi-benefici di progetti alternativi; a sua volta, questo processo riduce la possibilità di selezionare progetti di dubbia priorità in base a generiche valutazioni "sociali", migliorando complessivamente la qualità della spesa pubblica. Se non vi sono finanziamenti a fondo perduto gli investimenti saranno endogenamente indotti a dirigersi dove maggiore è la domanda, cioè dove sono più necessari. Precondizione indispensabile perché tali risultati siano conseguiti è che i progetti siano messi in gara, al fine di selezionare l'operatore privato che garantisce l'efficienza, cioè il minimo costo pubblico. 3 In assenza di processi competitivi (come è il caso di tutti i grandi investimenti in corso in Italia nel settore: ferrovie, autostrade, aeroporti) i vantaggi svaniscono totalmente: anzi, si creano monopoli privati spesso con il sostegno di garanzie pubbliche. Viene cioè meno la garanzia di efficienza, che agisce solo sotto la spinta della competizione. 2.4. Svantaggi e rischi del Project Financing Vi è un aspetto problematico nel P.F. che a rigore non è uno svantaggio, e tuttavia può costituire un serio ostacolo alla sua applicazione. In un progetto realizzato e gestito dallo Stato i rischi non sono monetizzati: se l'opera non si ripaga, o si ripaga meno di quanto previsto, ciò si disperde nella contabilità complessiva dello Stato o dell'agenzia pubblica che l'ha realizzata (autostrada, ferrovia, porto, ecc.). Se si affida in gara a privati l'opera e la sua gestione, tra i costi compare inevitabilmente il "premio di rischio", tanto più alto quanto maggiore è l'incertezza sulla domanda, la tecnologia impiegata, le tariffe, ecc. Ne discende che, in termini di costi per lo Stato, i vantaggi della maggior efficienza dei privati possono essere più che bilanciati dai costi (monetizzati) del rischio (e/o dei profitti attesi, che hanno la stessa natura logica del rischio). Per la collettività ciò è irrilevante (il costo del rischio è tale sia che sia monetizzato sia che rimanga implicito) ma se i fondi pubblici sono scarsi, il problema è concreto (cioè i fondi pubblici hanno un costo-opportunità reale e rilevante). Un secondo problema concerne la possibilità di "cattura" del regolatore nel corso della gestione. Una volta vinta la gara, il privato acquisisce una notevole forza contrattuale nei confronti dell’appellante pubblico: se fallisce è di difficilissima sostituzione, e l'opera ha nel frattempo creato forti attese politico-sociali. Da qui la possibilità di "rinegoziazioni" non trasparenti del contratto, al di fuori della pubblicità a cui il processo di gara costringe le parti in causa (è il caso delle ferrovie argentine; cfr. Gomez-Ihanez). Questo rischio è particolarmente elevato in caso di strutture contrattuali complesse, con meccanismi di pagamento o clausole di tariffazione articolate nel tempo. Si immagini per esempio un ponte, il cui pedaggio sia soggetto a revisione. Si forma un oggettivo interesse comune tra amministratori e soggetti privati a sottostimare il livello di pedaggio necessario a coprire i costi dell’opera, sia nei confronti dei cittadini-utenti, sia nei confronti del Tesoro (nel caso vi fossero finanziamenti a fondo perduto). Se poi nel corso della gestione emergessero problemi finanziari, nulla è più semplice che ritoccare all’insù i pedaggi, in un meccanismo che ovviamente perderebbe ogni caratteristica di trasparenza, e darebbe anche luogo a possibili extraprofitti (cfr.”The economist”, 28 Ottobre ‘95, Cooking the books). Un terzo problema concerne il conflitto che esiste tra politica europea delle infrastrutture e P.F.. La politica europea ha come caposaldo il libero accesso da una pluralità di operatori alle infrastrutture. Ciò è ovvio, e già realizzato, per autostrade e porti. Per gli aeroporti il problema è in fase negoziale, e per le ferrovie è l'obiettivo principale della riforma europea della gestione (Direttiva 440/91 sulla separazione tra 4 infrastrutture e servizi). Quindi per le ferrovie in particolare costruire linee nuove (che sono la maggioranza dei grandi progetti europei - Trans European Network, noti come TEN) con metodi di P.F. si presenta problematico: se il costruttore non può esercitare in prima persona i servizi ferroviari, ma deve limitarsi a "vendere" la capacità di trasporto, vede i propri rischi aumentare moltissimo (in termini tecnici, il progetto non è "ring-fenced"). L'aumento del rischio si traduce in costi più alti per essere disposti a sobbarcarlo. Cioè, è vero in parte anche per gli investimenti aeroportuali: da qui i problemi già esplosi negli Stati Uniti, di rapporti troppo stretti tra grandi compagnie e operatori - investitori aeroportuali: per meglio garantire gli investimenti, si tende a ricistruire a terra situazioni di monopolio che sono state abrogate (almeno negli USA) in aria, cioè nei servizi aerei. 2.5. Alcuni aspetti politici Molti degli elementi critici cui abbiamo accennato sono in realtà anche fattori di trasparenza: in fondo, che i rischi siano "occultati" nelle pieghe del bilancio pubblico non è un fatto positivo, e spiega in buona misura la scarsa oculatezza di molte scelte di investimento infrastrutturale del passato. Quindi i fattori positivi prevalgono di gran lunga su quelli negativi; certamente, il metodo presuppone una pubblica amministrazione capace ed onesta, il che non è condizione da poco, ma è comunque irrinunciabile. Esistono poi delle proposte tecniche molto innovative ed interessanti per "normalizzare" il comportamento dei soggetti pubblici nel Project Financing. Non possiamo qui entrare in dettagli: basterà ricordare lo schema proposto da ECIS (associazione di grandi costruttori europei) che prevede che i soggetti pubblici sottoscrivano un'assicurazione che copra i rischi "politici" del progetto. Ciò significa che se le pubbliche amministrazioni generano costi imprevisti - per esempio gestiscono male i rapporti con un ente locale o con un gruppo di ambientalisti, ritardando i lavori, o modificando a danno del progetto le condizioni esterne - tali costi sono coperti dall'assicurazione. Nella misura in cui è la pubblica amministrazione a pagare costi assicurativi crescenti nel tempo, sarà indotta dal meccanismo ad evitare l'insorgere di costi "politici". Come conclusione, il metodo P.F. ha il vantaggio di rendere trasparenti e responsabili le scelte di tutti i soggetti coinvolti, e di promuovere la competizione in un settore che l'ha sempre mantenuta limitatissima: è una strada certo non semplice, né di rapida realizzazione, ma sicuramente foriera di sviluppi positivi rispetto alla situazione attuale, se verranno mantenute le precondizioni essenziali per il conseguimento del suo potenziale positivo, cioè un contesto competitivo ed un’amministrazione preparata. 2.6. Aspetti tecnici Il project financing ben si adatta ad offrire copertura al fabbisogno finanziario che emerge da progetti di infrastrutture nel settore dei trasporti 5 Per analizzare più in dettaglio pregi e difetti di tale tecnica, al fine di valutarne le concrete possibilità di attuazione, è necessario un approfondimento che miri ad una conoscenza dei presupposti e della flessibilità dello strumento. Sotto il profilo finanziario, le analisi relative alla fattibilità degli investimenti ed alle modalità di copertura finanziaria sono incentrate sulla verifica di coerenza delle tre variabili fondamentali: - rendimento, - tempo, - rischio. Anche nel project financing non si può prescindere da ciò, segnatamente nella fase di pianificazione dell'operazione, in cui vanno correlate e riferite ai singoli attori coinvolti. E' utile quindi procedere dapprima chiarendo gli aspetti tecnici che definiscono un'operazione di copertura finanziaria un "project financing", per poi passare in rassegna i vari attori coinvolti ed i loro ruoli. Una volta ricostruito il quadro di riferimento si potranno così ricondurre le variabili sopra citate alle diverse fasi e opzioni. Definiamo innanzitutto cosa si intende in senso generale per project financing utilizzando la definizione data da Peter K. Nevitt, e cioè "una operazione di finanziamento di una particolare unità economica, nella quale un finanziatore è soddisfatto di considerare, sin dallo stadio iniziale, il flusso di cassa e gli utili dell'unità economica in oggetto come la fonte di fondi che consentirà il rimborso del prestito e le attività dell'unità economica come garanzia collaterale del prestito". I finanziamenti in questione sono quindi finalizzati alla realizzazione di opere dalle quali si attendono ritorni economici e finanziari tali da ripagare nel lungo periodo, con adeguata remunerazione che tenga conto dei rischi assunti, i diversi finanziatori. Le infrastrutture, ed in particolare quelle di trasporto, hanno ritorni di lungo periodo; inoltre, tra i ritorni finanziari sono perfettamente collocabili anche quote pubbliche a fondo perduto. Ciò rappresenta un primo elemento di identificazione dei progetti che possono essere realizzati con la tecnica in oggetto: se non ci sono previsioni di flussi di cassa consistenti e sufficienti a ripagare il debito ed a remunerare il capitale investito, non si può parlare di project financing. Inoltre il fabbisogno finanziario relativo all'opera deve essere "isolabile" rispetto ad altre voci di spesa. In altre parole, il progetto deve essere ben individuato e 6 distinguibile rispetto ad altre gestioni in capo ai promotori. Tant'è vero che verrà costituita un'unità economica "ad hoc", con personalità giuridica autonoma. All'operazione parteciperanno più soggetti con veste diversa, dividendo rischi, responsabilità e impegni secondo accordi prestabiliti. L'insieme degli accordi costituisce la struttura dell'operazione. La tecnica più utilizzata e che ben si adatta a progetti nel settore dei trasporti è la cosiddetta "B.O.T." (Build, operate, transfer). Secondo tale sistema il soggetto pubblico interessato alla realizzazione dell'opera rilascia ad una società privata o mista una concessione per realizzare (build), gestire (operate), trasferire (transfer) al termine del periodo l'opera. I proventi che nel corso del periodo di concessione sono realizzati dal concessionario devono quindi giustificare economicamente la realizzazione dell'opera. Lo schema tradizionale di B.O.T. ha subito via via modifiche per meglio adattarsi alle convenienze degli attori coinvolti. Particolare attenzione viene data alla compagine azionaria della "società di project financing", dove vengono coinvolti numerosi attori per consentire un forte frazionamento del rischio. E' la società di project financing, detta anche "special purpose vehicle" che viene posta al centro dell'operazione e che gestisce i contratti con il costruttore ed il gestore (figure che sono quasi sempre separate) e con l'ente concedente (fig. 1 e fig. 2). 7 FIGURA 1 : SCHEMA DI B.O.T. Ente appaltante/concedente Sponsor azionista Sponsor "puro" Sponsor/costruttore Sponsor/utenti Sponsor/gestore Società di Project Financing Prodotti/servizi o Prezzi/tariffe (dopo il rimborso dei finanziatori) Utenti Sponsor/fornitore Potenziali azionisti Finanziatori istituzionali Proventi dei prodotti/servizi (fino al rimborso del prestito) Fonte: C.E.S.P.E.P., Salvato-Tamburi, "Privatizzare con il project financing", Milano 1995. 8 Secondo questo schema l'Ente pubblico può sostenere in parte i costi di investimento e/o fornire garanzie parziali, le responsabilità di costruzione e gestione sono divise, la proprietà del bene dopo un certo numero di anni torna all'Ente concedente.Nel settore dei trasporti, le possibilità di autofinanziamento totale sono limitate. Il caso più vistoso è il Tunnel della Manica, ed anche qui, osservando in dettaglio le condizioni iniziali, vi è stata una "garanzia pubblica implicita", sotto forma di una quota di capacità "riservata" dalle ferrovie francesi ed inglesi. FIGURA 2: B.O.T. - STRUTTURA CONTRATTUALE Governo Contratto di Concessione Contratto di Convenzione Banche Società di progetto Finanziaria Contratto di Costruzione Costruttore 9 Gestione Gestore Esistono poi altre tecniche che possono essere utilizzate a seconda del tipo di iniziativa e delle finalità: B.O.O. (Build, Own, Operate), in cui al termine del periodo di concessione l'opera non viene necessariamente trasferita all'Ente pubblico, ma può essere prolungato il termine di concessione o rinegoziato l'accordo tra le parti; B.T.O. (Build, Transfer, Operate), in cui i promotori realizzano l'opera, che viene poi pagata e gestita dall'Ente pubblico o da una società mista; B.O.S.T. (Build, Operate, Subsidize, Transfer), in cui nella fase di costruzione e di gestione ci può essere un contributo di denaro pubblico, necessario se l'opera non riesce a generare autonomamente flussi di cassa sufficienti senza ricorrere ad appesantimenti eccessivi di tariffe. _ D.B.F.O. (Design, Build; Finance, Operate) in cui l'accento è posto nel coinvolgimento dei privati sia nella progettazione fin delle fasi iniziali, che nella messa a punto del dispositivo finanziario Esistono poi altri schemi, dato che è comunque rilevante adattare la tecnica di finanziamento alle specifiche del progetto (per un approfondimento si veda: Tamburi-Salvato; "Progettare col project financing"; CESPEP, Milano 1995). Alla luce di quanto finora esposto emerge che numerosi investimenti nell'ambito della viabilità e dei trasporti si possono pensare secondo tali schemi, come ad esempio parcheggi, metropolitane, aeroporti, ferrovie, opere marittime (porti, moli.....), autostrade, tunnel, ponti. Come già osservato tuttavia, più l'opera è "circoscrivibile" rispetto alla realtà esterna, più si presta a schemi di P.F.. I ponti, in particolare, ricadano in questa categoria (cfr. L'esperienza inglese). Le parti coinvolte nell'operazione possono essere: l'ente pubblico concedente/appaltante (a volte più di uno) i realizzatori dell'opera i progettisti (se non coincidenti con i realizzatori) i gestori i vari fornitori gli acquirenti (che possono rappresentare anche intere comunità) eventuali garanti 10 i consulenti (legali, fiscali, tecnici) i finanziatori (a vario titolo) i promotori (sponsor) dell'operazione (che possono essere coincidenti con una o più delle categorie sopra indicate). Discorso a parte merita la società di project financing (società veicolo, concessionaria, special purpose vehicle.....), soggetto centrale cui fanno capo le "fila" dell'operazione. Se la società di project financing è concessionaria e gestisce l'opera, vi confluiscono i flussi negativi e positivi di reddito. In caso contrario, esisterà una società di gestione separata che, secondo opportuni accordi, farà affluire i flussi di reddito positivi alla società di project financing. La struttura societaria della società di project financing è differente a seconda delle caratteristiche della compagine azionaria: può essere pubblica, mista o privata. Nel caso di società pubblica si tratta spesso di un consorzio di enti locali o di Aziende speciali; nel caso di società privata le formule più ricorrenti sono la società per azioni o il consorzio; nel caso di società mista nel rispetto di alcuni vincoli legislativi (Art. 22 L.142/90 e Art. 12 L. 498/92) si costituisce una società dove va stabilita con attenzione se è il pubblico o il privato a detenere la maggioranza 1. Non è il caso di osservare che maggiore è la presenza di soggetti pubblici, minori sono le possibilità di creare un contesto competitivo,svuotando così una delle precondizioni per l'efficenza del p.f.. Le fasi di una operazione di project financing sono: a. l'identificazione del progetto e l'analisi di fattibilità; b. la realizzazione del progetto; c. la gestione dell'opera. Mentre le fasi b) e c) vengono svolte da società all'uopo incaricate (come si è visto analizzando le tecniche), la fase a) può essere svolta da diversi attori. L'identificazione e il disegno dei confini del progetto, nonché l'analisi di fattibilità (tecnica, legale, economico-finanziaria, politica), sono particolarmente delicate e richiedono un approccio multi disciplinare. 1 L'Art. 22 L. 142/90 prevede le società miste a capitale prevalentemente pubblico per la gestione di servizi pubblici, mentre l'Art. 12 L. 498/92 prevede società miste senza il vincolo della proprietà prevalentemente pubblica per la realizzazione e gestione di opere e servizi. 11 Con riferimento all'analisi economico-finanziaria, è rilevante sintetizzare e quantificare tutti gli elementi - con le conseguenti incertezze e rischi - che derivano dalle analisi tecniche, legali e politiche. Ciò porta ad un approccio in grado di tener conto di più variabili e più scenari; in tal senso la sentivity analysis può fornire un buono strumento al fine di valutare l'attitudine del progetto a generare cash flow sufficienti. Fa parte dell'analisi di fattibilità la strutturazione finanziaria e la stesura della proposta agli interlocutori finanziari. Per far ciò, oltre ad aver definito con chiarezza l'entità del fabbisogno finanziario, bisogna ipotizzare le forme di copertura, a loro volta collegate all'analisi dei rischi e delle possibili garanzie. Volendo sintetizzare abbiamo: Fase A) Identificazione del progetto e analisi di fattibilità: a1) Il progetto è finanziabile con uno schema di project financing? - fattibilità politico - amministrativa - fattibilità tecnica - fattibilità economico-finanziaria a2) Esistono interlocutori disponibili a diventare attori di questo schema? - proposta ai potenziali finanziatori - proposta agli enti e società coinvolgibili a3) Come si possono contemperare le diverse esigenze? - proposta legale A questo punto: a4) Come si può implementare il progetto? - identificazione delle fonti di finanziamento (capitale di rischio/capitale di debito/contributi) - identificazione dei possibili finanziatori/investitori - analisi dei possibili strumenti finanziari a disposizione (emissioni di titoli, finanziamenti più o meno flessibili, finanziamenti agevolati...) 12 - definizione della struttura giuridica e societaria - stesura degli accordi, con particolare riferimento alla gestione dei rischi. Fase B) Realizzazione: b1) stabilizzazione del consenso b2) costituzione della società di project financing b3) definizione delle autorizzazioni e dei contratti di concessione/appalto/subappalto b4) definizione dei finanziamenti b5) definizione del progetto definitivo dell'opera b6) realizzazione materiale dell'opera. Fase C) Gestione dell'opera: c1) avvio dell'attività c2) gestione dell'attività a regime c3) gestione del "way out", cioè della chiusura dell'operazione (ad esempio quando finisce la concessione) Tornando all'analisi di fattibilità economico-finanziaria puntualizziamo alcuni elementi: 1. L'analisi del fabbisogno finanziario comprende la previsione dei costi di costituzione, delle spese generali e degli oneri finanziari. Le possibilità di errore sono ad evidenza notevoli non solo per quanto attiene l'entità, ma anche per quanto attiene il momento di manifestazione degli oneri. Di conseguenza le fonti di copertura finanziaria devono presentare un qualche livello di flessibilità sia dimensionale che temporale. Di ciò va tenuto conto quando si propone la struttura finanziaria, ed in particolare nello stabilire il grado di leverage (cioè il rapporto tra capitale di debito e capitale di rischio), ma anche quando si ipotizzano i diversi strumenti e canali finanziari, che per loro natura possono essere più o meno rigidi. L'importante è distinguere gli interlocutori finanziari che intervengono nel fornire diverse soluzioni di finanziamento, tenendo conto che la configurazione di rischio è ben differente e che si dovrà anche evitare situazioni di conflitto di interesse nel momento in cui le posizioni si confondono. 13 Tentando una sintesi sulle diverse opzioni finanziarie possiamo elencare le principali soluzioni: 14 "Attori" coinvolti - capitale di rischio Investitori istituzionali Appello al pubblico risparmio attraverso emissioni di titoli - capitale di debito Contratti bancari di vario genere, a breve e a medio termine 2 Credito agevolato "mezzanino" (strumenti finanziari con alcune caratteristiche tipiche del capitale di rischio ed alcune tipiche del capitale di debito, ad esempio finanziamenti a tasso contenuto che prevedono l'esercizio di opzioni su azioni) - - contributi a fondo perduto. 2. Rilevante è l'aspetto delle garanzie. Infatti i finanziamenti contratti in queste operazioni si distinguono abitualmente in "Senior" e "Junior", a seconda della esistenza o meno di garanzie a servizio del debito. E' proprio nel negoziare tali finanziamenti (a minori garanzie corrisponderanno maggiori remunerazioni, e quindi oneri per la società di project financing, richieste dal finanziatore) che si inizia a focalizzare il cosiddetto "security package" che contiene la proposta di gestione dei rischi. La premessa di un'operazione di project financing è che il rischio sia suddiviso su diversi soggetti. I rischi sono tantissimi e di varia natura; su questo punto si tornerà in seguito. 3. Altro momento chiave è la fase di avvio dell'opera, in cui emerge un fabbisogno finanziario che, nel caso in cui la società di gestione sia separata dalla società di costruzione, resta da coprire in capo agli azionisti della società di gestione. Se invece i due attori coincidono, nasce un problema di non commistione tra esigenze finanziarie di diversa natura (per l'investimento da un lato, per la gestione dall'altro) che richiedono coperture differenti. 2 Per una diffusa trattazione si veda P. Novello, "Il mercato del credito e il rapporto Impresa-Banca", in "Impresa e mercato finanziario" (a cura di A. Gervasoni) Edizioni Guerini e Associati, 1996. 15 4. Aspetto delicato è poi il monitoraggio: gran parte dei problemi finanziari possono emergere non solo a causa di errate previsioni, ma soprattutto nel caso di deviazioni rispetto al progetto iniziale, o ostacoli sopravvenuti. Una attenta attività di monitoraggio è in grado di cogliere i primi sintomi di distonia rispetto al piano, e di porvi tempestivo rimedio. Inoltre si può organizzare il consenso dei diversi attori, coinvolgendoli via via nelle diverse fasi attraverso la partecipazione a tale attività. Certo tale "riorganizzazione del consenso" in corso d' opera è forte, come abbiamo visto, di rilevanti rischi politici. 5. Da ultimo va ricordato che il project financing è una modalità complessa di finanziamento e richiede tempi lunghi. Ne consegue che diventa oneroso in termini di risorse umane, oltre che finanziarie, da dedicare al progetto: occorre dunque che gli aumenti di produttività rispetto ad approcci tradizionali siano certi e consistenti. A questo punto possiamo tornare alle nostre variabili fondamentali: rendimento, tempo, rischio. Si è detto che l'analisi dei rendimenti attesi è complessa e cruciale per valutare la fattibilità finanziaria dell'operazione. Inoltre, va sottolineato che i finanziatori si aspetteranno rendimenti tanto più elevati quanto più i rischi sono elevati: di fatto si partecipa al rischio imprenditoriale connesso alla realizzazione e gestione dell'opera, spostando così le garanzie richieste sui flussi di reddito futuri. Il tempo è un'altra variabile fondamentale, soprattutto se si pensa all'orizzonte temporale di queste operazioni, che spesso copre vari decenni. Le previsioni di redditività devono essere considerate nel lungo periodo, e quindi sono gravate da incertezze notevoli. Tutto ciò fa cadere l'attenzione sulla variabile che di fatto caratterizza l'operazione, e cioè il rischio. Di rischi ve ne è di ogni tipo, e proprio tale varietà rende interessante e possibile l'operazione: interessante perchè si possono coinvolgere operatori con caratteristiche diverse; possibile perchè è attraverso l'analisi dei rischi e la loro collocazione su più operatori che si riescono ad unire le parti necessarie per mandare a buon fine il progetto, svincolando dalla piena assunzione del rischio la Pubblica Amministrazione. Ma vediamo di analizzare in dettaglio le diverse categorie di rischio: 16 Rischi tecnici e di costruzione (aumento dei costi, ritardi nei lavori, non completamento dei lavori, problemi di fornitura, problemi tecnologici, problemi ambientali). Rischi politici (venir meno del consenso sull'opera, variazione nel contesto legislativo, cambiamento di politiche tariffarie, espropri, ritardi nelle concessioni, cambio degli interlocutori, sorgere di soggetti ostili non previsti,ecc). Rischi operativi e di mercato (dimensionamento dell'opera, aumento dei costi operativi, variazioni della domanda, situazioni non previste di concorrenza). Rischi finanziari (eccessiva esposizione debitoria, innalzamento dei tassi di interesse, variazione nei tassi di cambio). E' ovvio che ogni rischio può essere attenuato grazie ad accorte previsioni e analisi; resta la necessità di stendere un'insieme organico di contratti e accordi che attennuino i rischi, responsabilizzando gli operatori coinvolti (Enti pubblici, fornitori, appaltatori,ecc.). La struttura giuridica, del resto, dovrà tener conto del quadro legislativo vigente in Italia e in Europa (appalti, gare, concorrenza). Da questo quadro sul project financing dovrebbero essere emersi alcuni punti: siamo di fronte ad una modalità di finanziamento, che dà una chance a progetti altrimenti irrealizzabili per problemi di contenimento della spesa pubblica, o realizzabili in tempi lunghissimi, con rilevanti inefficenze legate a tali tempi (stop-and-go). la Pubblica Amministrazione partecipa attivamente in tutte le fasi, valorizzando il proprio ruolo di decisore responsabile, in una logica di rapporto contrattuale col privato che deve poter contare su un quadro stabile di regole del gioco (basti pensare alla fissazione delle tariffe ed alle specifiche delle concessioni e degli appalti); l'opera deve avere una sua "ragione di mercato", e avere una sua economicità. Ciò implica che il servizio offerto debba essere competitivo nel lungo periodo, che la gestione sia efficiente e che l'investimento iniziale sia contenuto al massimo e non vengano effettuati sprechi o ritardi. Si entra quindi in un'ottica totalmente imprenditoriale; i finanziatori, le banche innanzitutto, devono assumersi rischi e ragionare in un'ottica di lungo periodo in chiave economico-finanziaria e non più patrimoniale. Detto ciò, emerge che il project financing non si adatta a tutti i progetti. E' uno strumento da usare in modo selettivo e con le giuste cautele. Ben si adatta ad alcune 17 opere nel settore del trasporto e della viabilità, ma solo laddove sia possibile pensare a progetti con le caratteristiche sopra richiamate, tra cui sottolineiamo la "ragione di mercato". E anche in questi casi è inutile illudersi che non ci siano difficoltà di carattere politico-amministrativo da combattere, e che le risorse finanziarie arrivino copiose e senza problemi. Il project financing stenta a decollare in Italia perchè è uno strumento che sottintende trasparenza, concorrenza, efficienza, stabilità. Del resto, la situazione attuale della finanza pubblica impone il coinvolgimento di capitali privati e il ricorso al risparmio per la realizzazione di investimenti in infrastrutture. E allora una migliore conoscenza di questa tecnica, con luci e ombre che si spera di aver evidenziato, apre una porta su una possibilità interessante per dare alla collettività qualche opportunità in più. Bibliografia essenziale AA.VV., Il Project Financing e il finanziamento delle opere pubbliche, Bancaria Editraice, Roma, 1995. G. Imperatori, Il Projetc Financing. Una tecnica, una cultura, una politica, Il Sole 24 Ore libri, Milano, 1995. G. Tamburi, C. Salvato, Privatizzare con il Project Financing,, C.E.S.P.E.P., Milano, 1994. W. Ternau (a cura di), Project Financing. Aspetti economici, giuridici, finanziari, fiscali e contrattuali, Franco Angeli, Milano, 1996. 18 PARTE IV CAPITOLO 3. LA REGOLAZIONE DELL’OFFERTA GERARDO MARLETTO, CENTRO STUDI FEDERTRSAPORTO 3.1. Premessa: i connotati pubblici del trasporto Il trasporto non è un servizio pubblico in senso stretto. Facendo riferimento agli schemi classici di economia pubblica si ha un bene pubblico quando non è possibile escludere alcun soggetto dal beneficiarne ed il suo costo d’uso marginale è nullo. Allo stesso modo può essere definito un servizio pubblico. A fronte di beni o servizi pubblici la teoria economica ha agevolmente dimostrato che tutta la domanda deve essere servita a prezzo nullo, finanziando i costi sopportati attraverso la fiscalità generale.1 Tenendo presente la definizione appena fornita, il trasporto non può essere considerato in senso stretto un servizio pubblico. Gli utenti possono essere infatti esclusi dal consumo tramite prezzi, tariffe, pedaggi. Inoltre, l’escludibilità non solo è possibile, ma è anche desiderabile quando si realizzano fenomeni di congestione che rendono il costo marginale d’uso del servizio significativamente superiore a zero. Per questi motivi le forme di produzione dei servizi di trasporto hanno tradizionalmente lasciato ampio spazio alle imprese ed al mercato; diversamente da altri servizi pubblici in senso stretto come la giustizia, la pubblica sicurezza o la difesa militare, la cui produzione è rimasta di diretto appannaggio dell’amministrazione dello Stato. Allo stesso tempo deve essere tenuto presente che i servizi di trasporto, pur non avendo natura pubblica in senso stretto, restano un ambito tipico dell’intervento pubblico. Questa attribuzione è sinteticamente riconducibile a due distinti insiemi di cause: - i motivi economici2. Rientrano in questa categoria i casi in cui si registrano i cosiddetti fallimenti del mercato: l’esistenza di monopoli naturali, la produzione di consistenti esternalità, l’insostenibilità della forma di mercato più efficiente, la presenza di imperfezioni e asimmetrie 1 2 Questi concetti base sono desumibili da qualsiasi manuale di economia pubblica o di economia dei trasporti. Si veda in particolare Del Viscovo (1990), Li Donni (1991), Stiglitz (1989). Si veda a questo proposito Pera (1991; pp. 15-21) e, per una visione critica, Stigler (1994; pp. 301-314). nell’informazione; - i motivi sociali. In questo insieme possono essere ricomprese due esigenze: la redistribuzione del reddito e la garanzia del diritto fondamentale alla mobilità. Proprio la particolare combinazione tra la salvaguardia di esigenze pubbliche e la possibilità di valorizzare gli strumenti propri dell’azione imprenditoriale, ha portato alla diffusione di forme di impresa a comando pubblico. Ciò è accaduto perchè si è ritenuto che il controllo proprietario sulla produzione dei servizi fosse preferibile alla regolazione di imprese completamente indipendenti dall’amministrazione pubblica. Ma questo modello - in Italia e nel mondo - ha prodotto evidenti guasti in termini di perdite di efficienza e di qualità dei servizi pubblici di trasporto ed ha determinato elevati trasferimenti di oneri sulla finanza pubblica generale. 3 Questo risultato è stato determinato dal perseguimento di obiettivi esterni alla produzione dei servizi ed alla connessa tutela della collettività. Il modello del comando pubblico di entità aziendali ha infatti lasciato spazio non solo a finalità proprie di altri strumenti di intervento pubblico (la politica dei redditi, la politica del lavoro, la politica regionale, ecc.), ma anche ad interessi impropri legati al perseguimento del consenso (elettorale, aziendale, sindacale) e, in taluni casi, alla realizzazione di attività illegali. In questo modo un modello specificamente orientato al perseguimento del benessere collettivo ha determinato, direttamente o indirettamente, costi collettivi. A fronte della intensità e della pervasività di questi fenomeni si è andato affermando un movimento internazionale per la privatizzazione delle aziende a comando pubblico e per l’affermazione di nuovi modelli di intervento pubblico nel settore dei servizi. E’ in questo scenario che si deve collocare la crescente attenzione della teoria e della politica economica agli schemi di regolazione e deregolazione. 3.2. Gli schemi di regolazione 3.2.1. La regolazione paretiana 3 Sia sulle forme di impresa pubblica che sulle cause del fallimento di questo specifico modello di intervento pubblico nel settore dei servizi si veda, con riferimento al caso italiano, Cassese (1992). 2 La generale tendenza verso il ritorno al mercato ha dell’attenzione la teoria e gli strumenti applicativi L’orientamento dei comportamenti di imprese di soddisfacimento di prefissati interessi pubblici è infatti di questa specifica branca dell’economia pubblica. riportato al centro della regolazione. mercato verso il un problema tipico Per semplicità di esposizione si può affermare che gli schemi di regolazione nascono come eccezione all’assunto paretiano dell’economia del benessere, secondo il quale l’ottima allocazione delle risorse si ha quando il prezzo è uguale al costo marginale, condizione garantita allorché il mercato è perfettamente concorrenziale. Difatti, di frequente la produzione di servizi pubblici di trasporto si configura come monopolio naturale (come è il caso di tutte le reti): in questo caso per raggiungere l’efficienza allocativa (obiettivo di first best) si determina un deficit nel bilancio dell’azienda. La necessità di sostenere il monopolio - che si dimostra essere la forma di mercato più efficiente - porta a perseguire un obiettivo di second best: ridurre al minimo la distanza dal punto di ottimo (p=cm) tenuto conto del costo-opportunità delle risorse pubbliche necessarie per compensare il connesso deficit di bilancio del monopolista. Il monopolio naturale può essere considerato come caso emblematico di fallimento del mercato (cioè di tutti quei casi in cui il mercato presenta impedimenti al perseguimento spontaneo del punto di ottima allocazione delle risorse) e come causa prima della necessità di una regolazione pubblica dei comportamenti delle imprese produttrici di servizi. L’attività di regolazione trova applicazione secondo schemi operativi tra loro anche molto diversi4. Gli approcci più tradizionali alla regolazione hanno come scopo il riequilibrio tra prezzo e costo marginale (e, per questo, possono essere considerati schemi di regolazione del prezzo), a fronte del quale individuano il sussidio da erogare alle imprese che producono il servizio. Il finanziamento dei deficit gestionali generati dalla regolazione può essere diretto, oppure legato a meccanismi indiretti, come ad esempio la tassazione degli eccessi di profitto. Gli schemi di regolazione del prezzo possono essere variamente articolati e sviluppati per tenere conto di particolari esigenze o specificità della domanda e dell’offerta del servizio: la separazione tra costi fissi e costi variabili, la considerazione del costo-opportunità delle infrastrutture, la 4 Un quadro esauriente degli schemi di regolazione, e dei relativi riferimenti bibliografici, può essere ricostruito a partire da Fabbri (1995), Milana e Padoa Schioppa Kostoris (1995) e Rubino (?). 3 regolazione dei prezzi di imprese multiprodotto, l’articolazione temporale della domanda, ecc. La regolazione del profitto costituisce un’alternativa classica alla regolazione di prezzo. Secondo questo schema i regolati hanno libertà di fissare prezzo e quantità del servizio, tenuto però conto di un tetto massimo al tasso di rendimento del capitale investito. Gli schemi paretiani di regolazione hanno rivelato limiti individuati in sede sia teorica che pratica. In particolare: gli schemi di regolazione del prezzo inducono le imprese a non sostenere comportamenti efficienti (a fronte dei quali infatti gli extra-costi ed il deficit generato sono comunque coperti dai sussidi)5, gli schemi di regolazione del profitto determinano un eccesso di investimenti e la sovracapitalizzazione delle imprese (se il tasso di rendimento è garantito, al crescere del capitale aumenterà infatti il valore assoluto del reddito netto d’impresa). Più in generale si può evidenziare che gli schemi paretiani si reggono sull’ipotesi che lo stato, al quale è nota la funzione-obiettivo esterna (cioè il perseguimento del benessere collettivo), abbia come scopo l’orientamento di imprese che perseguono una funzione-obiettivo interna (cioè la massimizzazione del proprio profitto). Che le imprese siano soggetti che perseguono l’efficienza è dunque un elemento cruciale per l’efficacia di tali schemi di regolazione. E’ infatti proprio questa loro capacità che valorizzata dal regolatore con opportuni segnali di prezzo, quantità e profitto - consente di perseguire la massima utilità collettiva. E’ però sufficiente introdurre l’ipotesi che le imprese non abbiano - o non abbiano solo - l’obiettivo dell’efficienza interna perchè tali schemi perdano la loro efficacia e determinino condizioni di inefficienza sia allocativa che produttiva. 3.2.2. La regolazione incentivante Gli sviluppi della teoria delle organizzazione e l’avvento dell’economia neoistituzionale hanno evidenziato i limiti dell’approccio regolatorio che per comodità di esposizione qui abbiamo definito “paretiano”6. Secondo questi approcci infatti, il rapporto tra regolatore e imprese può essere ricondotto ad un più generale modello “mandante-agente” dove: 5 6 Sui meccanismi di generazione della cosiddetta x-inefficienza si veda Pera (1991; pp. 39-43). Lo Moro (1994) presenta una rassegna ragionata dei diversi contributi teorici allo sviluppo dell’economia neo-istituzionale e ne evidenzia la rilevanza ai fini della regolazione di servizi pubblici. 4 - non è detto che l’informazione rilevante per un’efficace regolazione delle imprese sia nelle mani dello Stato (è anzi più facile che accada il contrario); - non è detto che le imprese perseguano l’efficienza interna, anzi proprio l’operare in un contesto regolato può rappresentare uno stimolo a perseguire altri obiettivi. In un contesto in cui è rilevante l’esistenza di funzioni-obiettivo divergenti, sono diffuse le asimmetrie informative e prevalgono comportamenti opportunistici da parte dei soggetti coinvolti7, gli schemi propri della regolazione derivata dall’economia del benessere risultano inefficaci nel perseguimento del punto di ottimo. Si impongono invece schemi teorici e strumenti applicativi con i quali la regolazione della produzione dei servizi pubblici esplicitamente consideri - ed incentivi a raggiungere gli obiettivi desiderati - le forze ed i processi effettivamente in campo. Coerentemente muta anche il ruolo dello Stato nei confronti delle imprese: esso si trasforma infatti da guida paternalistica delle imprese a gestore di negoziati e conflitti. In questo quadro gli strumenti di regolazione assumono la forma di contratti incentivanti, definiti proprio al fine di orientare gli interessi in campo verso l’efficienza produttiva e la qualità del servizio.8 Gli schemi così costruiti pongono un problema di ordine sia teorico che applicativo relativo al giusto equilibrio tra estrazione della rendita dell’impresa e stimolo all’efficienza. Infatti se il contratto è costruito in modo da estinguere completamente la rendita del regolato, quest’ultimo non ha più stimolo a perseguire l’efficienza; al contrario, quando l’estrazione è nulla si arriva al risultato di non trasferire alla collettività (o di trasferire in minima parte) i benefici dell’efficienza interna del regolato. Per tenere conto di tali esigenze gli schemi incentivanti debbono reggersi sulla partecipazione dell’impresa regolata: essa - sulla base dell’informazione di cui dispone - deve infatti trovare conveniente aderire al contratto proposto dal regolatore e sottoscrivere i suoi contenuti, sia in termini di prezzo (o di sussidio) e di vincoli alla produzione (qualità, 7 8 Comportamenti opportunistici tipici delle imprese regolate sono il moral hazard (l’informazione nascosta prima della stesura del contratto di regolazione) e la adverse selection (l’azione nascosta durante l’operatività del contratto). La “bibbia” della teoria dei contratti incentivanti è sicuramente Laffont e Tirole (1993); si vedano in particolare le parti III e IV. Applicazioni ai trasporti si possono trovare in Caillaud e Quinet (1991) e in Fabbri (1995). 5 accessibilità e universalità del servizio). Corollario di questa constatazione è che il contratto non deve essere unico per tutte le imprese, ma deve essere adattato al livello di sforzo presumibilmente perseguibile da ciascuna impresa. Una esemplificazione dei contratti incentivanti - anche fin troppo schematica rispetto alle loro potenzialità applicative - è data dalla regolazione di prezzo basata sul metodo cosiddetto del price cap.9 Secondo questo criterio infatti la variazione dei prezzi garantita all’impresa regolata è data dalla differenza tra la variazione dei suoi costi (stimata con l’aumento previsto dell’indice dei prezzi al dettaglio) e la variazione della sua produttività (stimata attraverso un apposito fattore x). E’ evidente che tutto lo schema di regolazione si regge proprio sulla determinazione e sulla revisione del fattore x: infatti, in un contesto di informazione incompleta e di comportamenti opportunistici il regolatore dovrà acquisire il maggior numero di informazioni sul possibile innalzamento atteso di efficienza del regolato, questo a sua volta cercherà di nascondere tali informazioni per poter incamerare i guadagni connessi a variazioni di produttività non considerate. Risulta chiaro inoltre con questo esempio che una pressione eccessiva del regolatore (con quantificazione elevate di x) può spingere il regolato a non sottoscrivere il contratto; viceversa pressione insufficienti (con x sottostimati) determinano significativi allontanamenti dal punto di ottimo collettivo e di massima efficienza allocativa. Il meccanismo del price cap - come tutti gli strumenti regolatori basati su sistemi di incentivazione - può prevedere degli accorgimenti per consentire al regolatore di acquisire il maggior numero delle informazioni necessarie. Tra questi i più rilevanti sono: - la revisione intertemporale dei termini contrattuali. Il regolatore ed il regolato possono acquisire informazioni rilevanti sulla produzione del servizio regolato solo una volta che il contratto è operativo; per questo motivo possono essere previsti dei momenti di verifica durante l’applicazione dei contratti per eventualmente modificare i valori prefissati dei parametri; - la partecipazione di più imprese alla contrattazione ed all’affidamento della produzione del servizio sottoposto a regolazione. Il regolatore può acquisire informazioni sui parametri rilevanti confrontando i segnali che provengono da più imprese chiamate a gara per acquisire il contratto. Inoltre, nella logica precedente della revisione intertemporale, la revisione delle condizioni contrattuali di una data impresa possono venire 9 Un inquadramento dei riferimenti teorici e critici sul price cap si può trovare in Milana e Padoa Schioppa Kostoris (1995). 6 dai comportamenti osservati in un’altra impresa produttrice dello stesso servizio (ad esempio in un’altra area territoriale).10 A completare gli schemi di regolazione incentivanti possono essere introdotti vincoli e controlli sulla qualità effettiva del servizio. Difatti il regolato può internalizzare i vantaggi della regolazione non solo con l’eventuale incorporazione di extra-profitti, dovuti alla stima non corretta dei parametri di prezzo e di produttività, ma anche - a fronte di parametri di regolazione corretti - determinando il decadimento qualitativo dei servizi prodotti. Per sopperire a queste particolari forme di rendita del regolato gli schemi di regolazione incentivante possono prevedere che la variazione dei prezzi garantita al regolato sia funzione diretta della qualità dei servizi prodotti (sottoposta ovviamente a controlli diretti).11 Va detto infine, per completare la descrizione generale degli schemi incentivanti, che i contratti devono essere tarati sulle specifiche condizioni settoriali del servizio sottoposto a regolazione. I parametri considerati (la produttività x e la qualità q) variano infatti non solo tra grandi aggregati (il trasporto, le telecomunicazioni, ecc.), ma anche per singole aree di servizio (al punto che il trasporto urbano di passeggeri richiede contratti diversi a seconda che si tratti di linee di autobus o di tram). 3.2.3. La deregulation In linea generale si può affermare che il mercato si comporta come una moltitudine di contratti incentivanti: la concorrenza di prezzo e di prodotto, l’assenza di barriere all’ingresso ed all’uscita costituiscono infatti stimoli rilevanti all’efficienza interna delle imprese. E difatti l’esigenza della regolazione origina proprio dai casi di fallimento del mercato, quindi dalla necessità di ristabilire forzatamente i processi usualmente determinati autonomamente dal mercato. Nella realtà si è assistito ad una estensione degli ambiti di intervento della regolazione ben al di là dei casi tipici (monopolio naturale, esternalità, ecc.). Ciò è tra l’altro accaduto sulla base di generiche esigenze di tutela dell’interesse collettivo. Si deve aggiungere infine che gli schemi di regolazione sono stati pervasivamente caratterizzati da fenomeni di cattura e 10 Un sintetico inquadramento della cosiddetta yardstick regulation (la regolazione basata sul confronto fra le esperienze di più imprese regolate) si può trovare nel relativo paragrafo in Fazioli (1995; pp. 177-179). Per una sua modellizzazione si veda Riva (1994). 11 Le diverse opzioni per introdurre il “parametro q” nella formulazione del price cap sono illustrate in Rovizzi e Thompson (1992). 7 di collusione tra regolato e regolatore. Un contesto siffatto ha generato tariffe più elevate di quanto si sarebbe potuto registrare in assenza di regolazione, qualità più scadente dei servizi prodotti, extra-costi generati dal perseguimento di obiettivi impropri (ad esempio per la sovraoccupazione).12 Il tutto in un contesto di crescente sussidiazione pubblica delle imprese regolate. In questo modo, la regolazione, nata per tutelare il benessere collettivo, ha finito per scaricare direttamente ed indirettamente sull’utenza costi maggiori ai benefici generati. Si è dunque spesso assistito al fallimento della regolazione come strumento di politica economica: essa infatti non ha impedito (ed ha spesso consentito) significativi allontanamenti di interi settori economici dall’ottima allocazione delle risorse e dall’efficienza. Queste considerazioni hanno costituito le basi per un vero e proprio movimento politico per la deregulation che ha trovato le sue radici negli Stati Uniti (e nelle forti associazioni dei consumatori). A questo movimento ha dato voce e sistematicità teorica un filone di matrice liberista che, a partire dagli anni ‘60, ha prodotto analisi di evidenze empiriche e modelli di teoria economica orientati allo smantellamento dei sistemi di regolazione.13 Nel filone economico della deregulation occupa uno spazio significativo la teoria della contendibilità.14 Secondo tale teoria infatti neanche nei contesti caratterizzati da forme di monopolio naturale è necessaria una regolazione pubblica. E’ sufficiente invece che il mercato monopolistico sia anche solo potenzialmente accessibile a nuovi concorrenti (cioè che sia appunto “contendibile”), affinché si determinino condizioni efficienti di prezzo e di prezzo. La possibilità di entrare e di uscire dal mercato, l’assenza di investimenti irreversibili, l’impossibilità di sviluppare strategie predatorie di prezzo, sono gli elementi che determinano nei monopoli condizioni di ottimo vincolato all’equilibrio del produttore unico e che, in tutti gli altri casi, riproducono le condizioni proprie del mercato concorrenziale. Il movimento per la deregulation ha avuto una significativa ricaduta applicativa; esperienze concrete di deregolamentazione si sono avute in particolare nelle economie anglosassoni, con significative esperienze sviluppate proprio nel settore dei trasporti e, in particolare, nel comparto del 12 Prosperetti (1992) fornisce un’analisi esemplare della regulatory failure dei servizi pubblici italiani. 13 Un sintetico ma efficace excursus storico-critico dell’economia della deregulation applicata ai trasporti si può trovare in Button e Keeler (1993). 14 I riferimenti fondamentali per lo studio della teoria della contendibilità sono: Baumol (1982) e Baumol, Panzar e Willig (1982). Per una sintesi in italiano si veda Pera (1991; pp. 34-37). 8 trasporto aereo.15 3.2.4. L’opzione concorrenziale e la regolazione transitoria Un orientamento meno pregiudizialmente orientato a favore del mercato, ma comunque sensibile ai fallimenti della regolazione e consapevole della valenza dei meccanismi concorrenziali, ha prodotto la crescente attenzione verso la verifica delle condizioni che rendono necessaria la regolazione stessa e verso la disamina attenta tra i costi della regolazione ed i costi della non regolazione. Ciò ha reso evidente la necessità di verificare con continuità, monitorando l’evoluzione del ciclo economico e tecnologico del singolo servizio, il permanere di condizioni tali da giustificare la regolazione.16 Di conseguenza si è andato definendo un approccio orientato alla costante disamina tra servizi da sottoporre necessariamente a regolazione, servizi da restituire tendenzialmente al mercato anche grazie a schemi regolatori di accompagnamento, servizi da liberalizzare immediatamente.17 Nella logica della distinzione tra settori concorrenziali e settori regolamentati, è di particolare rilievo la separazione tra le infrastrutture di rete ed i servizi che grazie ad esse vengono distribuiti. Difatti, mentre la rete riveste un connotato di monopolio naturale e deve essere sottoposto a pubblica regolazione, i servizi possono essere liberalizzati e restituiti ad un contesto pienamente di mercato.18 In questo modo gli effetti non desiderati della regolazione sono limitati solo all’ambito infrastrutturale e non si diffondono nell’area dei servizi; gli utenti di questi ultimi possono infatti beneficiare degli stimoli all’efficienza, alla qualità ed all’innovazione determinati dal contesto concorrenziale. Va detto però che il mantenimento di un connotato pubblico per le reti pone 15 Molte sono le analisi delle politiche di deregulation applicate ai trasporti. Un quadro d’insieme si può ricavare dalla rassegne di Button e Pitfield (1991) e di Gomez-Ibanez e Meyer (1993) (quest’ultimo in realtà dedicato non tanto alla deregolamentazione, quanto alle privatizzazioni). Il migliore inquadramento teorico dei risultati delle esperienze di deregulation è probabilmente in Kahn (1992). Si veda anche Pera (1991; pp. 61-65 e la bibliografia citata). 16 L’orientamento transitorio e concorrenziale nei confronti della regolazione dei servizi pubblici si può rintracciare nella letteratura economica italiana solo in contributi molto recenti. Si veda in particolare Gobbo e Utili (1992), Macchiati (1995) e Pera (1995). 17 Per una schematica applicazione di questa tripartizione ai trasporti italiani si veda Marletto (1996). 18 Va sottolineato che, mentre i trasporti restano caratterizzati da monopoli naturali di rete (il caso emblematico è la ferrovia), in altri settori (nelle telecomunicazioni; in parte nell’energia elettrica) le dinamiche tecnologiche e commerciali rendono oramai possibili forme di concorrenza anche nel segmento infrastrutturale (e ciò a ulteriore conferma della rilevanza di un approccio transitorio alla regolazione). 9 comunque dei vincoli alla produzione concorrenziale dei servizi che su esse transitano. In relazione alla natura tecnica della rete si può porre difatti un problema di regolazione degli accessi (ed è questo di nuovo il caso della ferrovia). Resta comunque evidente che la netta differenza tra la normazione del mercato finale imprese-utenti, propria della tradizionale regolazione integrata di reti e servizi, e la normazione del mercato intermedio reteimprese, che invece caratterizza l’approccio separato ad i due ambiti. Spingendosi oltre nella logica della separazione tra ambiti regolati e ambiti concorrenziali possono essere utilizzati strumenti contrattuali che - pur in un mercato concorrenziale - riescono a garantire le necessità pubbliche.19 In questo caso infatti l’amministrazione pubblica acquista i servizi dall’impresa capace di garantire la migliore offerta economica ed in cambio paga un prezzo (o una sua parte, nel caso che gli utenti non fruiscano gratuitamente del servizio). Anche in questo caso non si determina un contesto di piena deregolamentazione (il contratto di servizio stato-impresa si configura comunque come alterazione delle condizioni di mercato); è però evidente il restringimento dell’ambito di regolazione dall’intero comparto (ad esempio il trasporto marittimo di passeggeri) al singolo servizio (ad esempio il traghettamento verso le isole). Nel quadro della regolazione concorrenziale rientra anche l’orientamento a introdurre elementi competitivi proprio all’interno di contesti regolati. Attraverso l’adozione di specifici strumenti di simulazione questi schemi concorrenziali intendono infatti stimolare indirettamente l’efficienza e la qualità dei servizi valorizzando i meccanismi propri del mercato. Senza pretesa di esaurire le possibili applicazioni di questo specifico approccio si possono ravvisare nella letteratura e nelle applicazioni concrete alcune soluzioni emblematiche: - la concorrenza per il mercato. Applicando i meccanismi di asta o di appalto alla concessione per la gestione di servizi pubblici si possono realizzare ex-ante - attraverso il confronto competitivo per l’accesso al mercato - alcuni degli effetti in termini di efficienza garantiti dalla concorrenza espressa usualmente nel mercato20. La concorrenza per il mercato è per sua natura (prevedendo la concessione esclusiva di diritti speciali) uno strumento particolarmente efficace per i servizi caratterizzati da economie di scala sfruttabili con monopoli regolati. L’applicabilità di questo strumento si basa sulla effettiva possibilità per più imprese di partecipare alle gare, sia nel momento della concessione originaria, sia in occasione del suo rinnovo. Proprio tenendo conto di 19 Lo strumento che meglio si attaglia a questa definizione è il contratto di servizio così come definito dalle normative comunitarie (Regolamenti n. 1191/1969 e n. 1893/1991). 20 Si veda più in dettaglio Fazioli (1995; pp. 191-207). 10 questo ultimo aspetto dovrebbe essere promosso il ricorso a contratti che non assegnino al concessionario la proprietà dei beni di produzione e la responsabilità delle politiche di investimento: così si eviterebbe di fatto la creazione di assets specifici che costituirebbero il disincentivo alla partecipazione di concorrenti al rinnovo delle concessioni;21 - la yardstick regulation. Questa forma di intervento pubblico nella produzione di servizi - di cui si è parlato in precedenza come tecnica per rendere disponibili più informazioni per il regolatore - costituisce di fatto anche uno strumento di simulazione della concorrenza in un contesto regolato. Il frazionamento su base territoriale che caratterizza la yardstick regulation stimola infatti le imprese alla reciproca e costante osservazione delle prestazioni realizzate: ogni allontanamento significativo dagli indicatori prevalenti di efficienza e di qualità verrebbe infatti interpretato in senso restrittivo dal regolatore (ad esempio in occasione della ricorrente revisione dei parametri per la definizione dei prezzi di vendita o del livello di sussidio); - i quasi-mercati. E’ un modello di regolazione concorrenziale in cui si fa ancora più spinta l’approssimazione al mercato; in questo caso infatti, contrariamente ai precedenti, al consumatore viene restituito il potere di selezionare l’impresa fornitrice del servizio. Per garantire questo potere, i quasi-mercati si basano sull’assegnazione a ciascun cittadino di un “buono-spesa” utilizzabile per l’acquisto di un dato insieme di servizi, che può essere speso presso una qualsiasi impresa che l’utente può scegliere tra quelle accreditate dal regolatore. In questo contesto la politica di regolazione si realizza nel monitoraggio pubblico delle caratteristiche dei produttori, sull’obbligo di fornitura dei servizi richiesti da parte delle imprese autorizzate, sull’articolazione del valore del “buono-spesa” in funzione degli obiettivi economici. sociali o territoriali propri dell’operatore pubblico.22 Fanno parte dell’approccio della regolazione transitoria e concorrenziale, portandolo alle estreme conseguenze, gli schemi orientati a rendere tendenzialmente non più necessaria (o non più preferibile) la regolazione stessa ed a favorire proprio l’affermazione delle condizioni economiche sufficienti per restituire al mercato i singoli servizi. Partendo sempre da un’attenta valutazione dei costi e dei benefici delle diverse alternative, questo schema si applica a quei servizi per i quali è preferibile un assetto di mercato ed in cui alla regolazione è assegnato il compito di guidare con gradualità il percorso verso la completa 21 22 E impedirebbero la contendibilità del servizio in concessione. Si veda sempre Fazioli (1995; pp. 207-213) ed anche Balassone (1994). 11 liberalizzazione. Molto spesso difatti i comparti di servizi liberalizzabili sono dominati da monopoli legali (o da altre forme di posizione dominante) determinati proprio dall’intervento pubblico. In questi contesto la deregulation (e la eventuale privatizzazione delle imprese pubbliche) non produrrebbe altro che la trasformazione di un monopolio regolato in un monopolio non regolato. La regolazione transitoria ha invece come obiettivo la creazione graduale delle condizioni di mercato tali da garantire che l’estinzione delle norme di regolazione determini un assetto effettivamente concorrenziale. La regolazione transitoria si pone dunque idealmente all’estremo opposto della regolazione paretiana: mentre quest’ultima interviene per sopperire ai fallimenti del mercato, la prima ha come obiettivo ultimo proprio il ripristino delle condizioni di mercato (in ultima analisi perchè i fallimenti della regolazione hanno un costo collettivo netto superiore a quelli del mercato). La regolazione transitoria si configura dunque come strumento di promozione della concorrenza in ambienti non concorrenziali. Essa ha lo stesso obiettivo delle politiche antitrust, che però garantiscono il permanere di condizioni concorrenziali in contesti già di mercato. Come già sottolineato il nodo cruciale della regolazione transitoria è lo smantellamento dei monopoli legali esistenti. Tale nodo viene affrontato dando la massima priorità alla creazione di condizioni competitive, sia utilizzando gli strumenti propri della regolazione concorrenziale (gare aperte, yardstick regulation, quasi-mercati) per alimentare un ambiente maggiormente competitivo, sia utilizzando le cosiddette forme di “regolazione asimmetrica” che hanno come fine la creazione di condizioni di vantaggio relativo per i nuovi entranti. La regolazione transitoria - promuovendo l’ingresso di nuovi concorrenti - è spesso inconciliabile con gli obiettivi propri della regolazione tradizionale (la tutela dell’utente, l’efficienza produttiva). Dando la priorità alla creazione di un mercato concorrenziale ed all’ingresso i nuovi concorrenti, gli altri obiettivi vengono posposti: il mercato diviene dunque l’obiettivo intermedio utile a garantire, ma solo in prospettiva, la garanzia degli interessi dell’utente. In questo senso vengono orientati gli strumenti della regolazione di prezzo (lasciando che si creino eventuali extra-profitti utili per attrarre nuovi entranti) e dell’accesso alle infrastrutture (sottraendo all’ex-monopolista la gestione della rete e, comunque, imponendo all’exmonopolista l’obbligo di connessione, specie per i collegamenti con gli utenti finali). Ma si può arrivare al punto di lasciare maggiori libertà ai newcomers, mettendo in atto vere e proprie limitazioni all’attività dell’exmonopolista (ad esempio impedendogli l’ingresso in nuove aree di affari, 12 oppure imponendo solo ad esso gli obblighi di servizio sociale).23 Oltre agli strumenti propri della regolazione l’approccio transitorio deve utilizzare anche quelli delle politiche antitrust, per evitare che proprio nel processo di creazione del mercato si realizzino le diverse possibili forme di restrizione della concorrenza. 3.3. Le istituzioni della regolazione L’assetto dell’architettura istituzionale della regolazione dei servizi di trasporto è direttamente connesso al modello di regolazione utilizzato come riferimento. E’ infatti possibile verificare che ai diversi schemi qui illustrati (paretiano, incentivante, concorrenziale e transitorio) corrispondono funzioni pubbliche e status amministrativi diversi. Nella cornice teorica propria dell’economia del benessere e della regolazione paretiana la funzione pubblica può essere esercitata direttamente da organismi integrati nell’architettura politico-amministrativa dello Stato. La presunta assenza o non rilevanza di interessi esterni al perseguimento dell’ottimo collettivo e la ipotesi di perfetta informazione che caratterizzano tale schema, rendono infatti preferibile la concentrazione della funzione regolatoria nello stesso organismo responsabile della politica generale del trasporto.24 Al contrario, la considerazione delle dinamiche proprie dei rapporti principal-agent, che caratterizza gli schemi di regolazione incentivante, porta a preferire un soggetto regolatore indipendente dal potere politicoamministrativo dei ministeri. La consapevolezza delle questioni informative e la necessita di tenere conto delle specificità settoriali fanno sì inoltre che le autorità indipendenti debbano essere dotate di competenze tecniche estremamente specializzate, necessarie per stilare con le aziende di trasporto i contratti di servizio.25 L’opzione per l’indipendenza delle autorità di regolazione è propria anche degli schemi di regolazione concorrenziale e transitoria. Questi però danno diverso ruolo e diversa rilevanza alle politiche ed alle istituzioni antitrust.26 La separazione tra servizi da liberalizzare e servizi da mantenere in regime 23 Su questi specifici punti, si veda in particolare Pera (1995; pp. 23-30) In questo senso deve essere interpretata la collocazione in Italia della funzione di vigilanza sulle ferrovie all’interno del Ministero dei trasporti. 25 Il dibattito sulle autorità indipendenti di regolazione si è ampiamente sviluppato in Italia, in particolare in relazione alla privatizzazione delle imprese statali produttrici di servizi pubblici. Tra gli altri si può fare riferimento a Prosperetti (1993). 26 Si vedano a questo proposito i testi citati nella nota 16. 24 13 di regolazione e, soprattutto, la eventuale gestione del processo di transizione dai monopoli legali ai mercati liberalizzati, richiedono infatti l’attivazione delle funzioni di sorveglianza e di repressione proprie delle autorità di garanzia della concorrenza e del mercato. Sono del resto coerenti con questo approccio le normative antitrust sia europee che italiane.27 Entrambe infatti prevedono deroghe alla concorrenza nei settori di pubblica utilità, ma mantengono comunque le imprese produttrici di servizi regolati nell’ambito di applicazione della normativa antitrust purché “(...) ciò non osti all’adempimento, in linea di fatto o di diritto, della specifica missione loro affidata (...)”. L’opzione concorrenziale e la preferenza per il mercato sono evidenti. A completare il quadro può essere infine citata la recente normativa di istituzione delle autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità. La legge dichiara esplicitamente di avere “(...) la finalità di garantire la promozione della concorrenza e dell’efficienza nel settore dei servizi di pubblica utilità, (...)” ed assegna alle istituende autorità, tra le altre funzioni, il compito di controllare che “(...) le condizioni e le modalità di accesso per i soggetti esercenti i servizi, comunque stabilite, siano attuate nel rispetto delle norme della concorrenza e della trasparenza, (...)”.28 Anche in questo testo di legge è evidente il peso di un riferimento - per quanto implicito - al contenuto pro-concorrenziale della regolazione. Sempre nel testo della succitata legge è rintracciabile lo stretto legame tra autorità di regolazione e autorità antitrust che caratterizza l’approccio concorrenziale alla regolazione; segnalazioni e pareri obbligatori stabiliscono infatti l’ambito concreto di interazione tra le due competenze.29 Resta da verificare se l’applicazione delle norme ed i comportamenti effettivi delle diverse amministrazioni coinvolte porteranno all’affermazione di un modello di regolazione non solo concorrenziale, ma anche tendenzialmente transitorio. Se cioè si realizzerà il quadro suggestivamente tratteggiato da Alberto Pera in suo recente articolo: “(...) in molti settori di servizio pubblico la regolamentazione ha un carattere tendenzialmente temporaneo: via via l’assetto del mercato evolve verso una struttura concorrenziale, le questioni che si pongono sono sempre meno di determinare autoritativamente i comportamenti dell’impresa dominante e sempre più di consentire il buon funzionamento della concorrenza, con gli strumenti tipici della normativa antitrust”.30 27 Trattato dell’Unione Europea, art. 90, comma 2 e Legge n. 287/1990, art. 8. Legge n. 481/1995. Le citazioni sono riprese nell’ordine dall’art. 1, comma 1 e dall’art. 2, comma 12, lett. a. 29 Legge n. 481/1995, art. 2, commi 33 e 34. 30 Pera (1995; p. 33). 28 14 3.4. GLI APPROFONDIMENTI MODALI Senza alcuna pretesa di esaustitività si vogliono qui presentare alcuni casi di regolazione dei servizi di trasporto. La rassegna, ristretta ai soli ambiti del trasporto pubblico locale, del trasporto ferroviario e del trasporto aereo, ha lo scopo principale di rintracciare nelle diverse modalità applicative gli schemi teorici di riferimento sin qui illustrati. 3.4.1. Il trasporto collettivo locale: la regolazione concorrenziale del servizio pubblico Affrontando il tema del trasporto collettivo locale bisogna prendere in considerazione una pluralità di aspetti e di esigenze. Innanzitutto occorre tenere conto delle consistenti esternalità positive prodotte da questa forma di trasporto (riduzione della congestione, riduzione dell’inquinamento dell’aria e del rumore) e della connessa tutela di beni dalla natura pubblica (salute pubblica, preservazione dei beni storicoculturali, ecc.). Vi è poi la necessità di rispettare alcune caratteristiche universali e sociali del servizio di trasporto collettivo: la disponibilità di mezzi nelle ore notturne e nelle aree periferiche, l’accessibilità per le persone con mobilità ridotta, ecc.. Vanno inoltre valutate le eventuali economie di rete e di integrazione esistenti, che assegnerebbe al servizio il connotato di monopolio naturale eventualmente anche non contendibile - da regolare pubblicamente. E’ presente infine l’esigenza generale di massimizzare l’efficienza produttiva, l’efficacia e la qualità dei servizi forniti alla collettività. Tutto ciò in un contesto altamente competitivo; dove però le alternative non sono date da altri sistemi imprenditoriali pubblici o privati, ma dall’autoproduzione realizzata con il trasporto automobilistico individuale. Dall’insieme di queste considerazioni si evince che il trasporto collettivo locale ha natura pubblica. Esso, del resto, è stato storicamente gestito secondo un modello pervasivo: sull’operatore pubblico sono ricadute tradizionalmente oltre alle competenze della pianificazione, del finanziamento e della regolazione, anche quelle della produzione diretta. Come altri servizi di trasporto esso ha però 15 attraversato negli ultimi decenni le diverse tappe del percorso teoricopolitico prima illustrate: il modello pubblicistico pervasivo è stato fortemente criticato per le sue inefficienze interne e per i costi crescenti scaricati sulle finanze pubbliche, per il decadimento della qualità dei servizi, per l’incapacità di fronteggiare la circolazione individuale e le sue conseguenze negative31. Di conseguenza si è dato il via ad un processo di riforma che ha avuto tempi e modi di attuazione anche molto diversi. Accanto ai modelli tradizionali dell’esercizio diretto del trasporto locale da parte delle amministrazioni centrali e periferiche e indiretto attraverso aziende controllate dalle amministrazioni, si sono infatti andati aggiungendo nuovi approcci centrati sulla piena separazione tra indirizzo e gestione dei servizi di trasporto. La caratterizzazione di tali approcci dipende dalla presenza od assenza di tre opzioni fondamentali.32 I contratti. L’introduzione di contratti ente-azienda costituisce il primo passo del processo di riforma dell’organizzazione del trasporto pubblico locale. Essa ha interessato sistemi di regolazione tra loro anche molto diversi: quello del Belgio (dove i contratti predeterminano il pagamento dei servizi richiesti alle aziende), a Londra (dove sulla base di gare vengono assegnate le tratte non fondamentali della rete), negli Stati Uniti (dove si è diffuso il contratto manageriale per l’affidamento della sola gestione di mezzi e personale). Pur nella differenziazione tra le forme contrattuali effettivamente applicate, è possibile distinguere due distinti modelli di riferimento: - i contratti paretiani. Questi si realizzano sulla base degli assunti della regolazione tradizionale: supponendo che le imprese perseguano di per sé l’efficienza, non viene introdotto alcuno elemento di rischio effettivo per il gestore del servizio. In particolare questi contratti si caratterizzano per il trasferimento degli introiti tariffari all’ente pubblico (impedendo così che l’impresa sopporti il rischio commerciale) e su meccanismi, formalizzati o di fatto, di ripianamento dei deficit con sussidi ex-post; - i contratti incentivanti. Hanno caratteristiche opposte a quelle precedenti. 31 Si può sostenere che tali tappe siano solo parte di un processo più lungo e sostanzialmente circolare. Il ciclo si avvia con la presenza di liberi operatori privati, passa per fasi di concentrazione e creazione di monopoli segmentati, seguita dalla regolazione e dalla acquisizione pubblica delle imprese, dalla loro sussidiazione. E’ a questo punto che crescita dei costi ed inefficienze portano a cercare nuovamente forme di privatizzazione, regolazione, liberalizzazione. V. Meyer e Gomez-Ibanez (1993). 32 Una rassegna recente sulle principali caratteristiche dei modelli di regolazione e gestione del trasporto pubblico locale è in allegato a Commissione europea (1995). 16 Con formule tariffarie ad hoc (price cap, o simili), con il trasferimento all’azienda degli introiti tariffari, con la definizione ex-ante dei livelli di sussidio, si realizza l’obiettivo di stimolare direttamente l’impresa di trasporto a comportamenti efficienti. Il passaggio dall’una all’altra forma contrattuale ha caratterizzato la riforma applicata a Londra: sino al 1993 i contratti prevedevano solo delle penalizzazioni per il mancato perseguimento degli obiettivi predeterminati e la remunerazione delle imprese sulla base dei costi totali, dopo il 1993 la gestione delle entrate è passata alle aziende e il sussidio è determinato sulla differenza attesa tra costi e ricavi. E’ bene sottolineare che la formula contrattuale che sostanzia il rapporto tra pianificatore e gestore non necessariamente richiede la privatizzazione di quest’ultimo. E’ sufficiente infatti che esso assuma la forma giuridica necessaria a sancire responsabilità ed autonomia proprie dell’impresa. La concorrenza. Seguendo le indicazioni dell’opzione concorrenziale, gli schemi di regolazione del trasporto pubblico locale possono prevedere l’introduzione di elementi competitivi. Il modello di regolazione francese (con l’eccezione di Parigi) è il caso emblematico di concorrenza per tutto un dato mercato locale. Difatti è previsto che gli enti pubblici procedano alla messa a gara della concessione per la produzione dell’intera gamma di servizi di un’area urbana o locale. L’affidamento ad un unico gestore consente che possano continuare a realizzarsi - all’interno del concessionario - forme di sussidiazione incrociata tra segmenti commerciali e segmenti sociali. Sono stati realizzati anche sistemi di segmentazione delle concessioni uniche, affidando a più imprese i contratti distinti per tratte, per aree o per tipologie di servizio. Questo schema - emblematicamente rappresentato dall’esperienza londinese - si basa su condizioni più impegnative del caso precedente. Difatti: - richiede una maggiore ricchezza di risorse imprenditoriali. Queste possono derivare da segmenti di trasporto affini (noleggio di pullman, linee turistiche, rete a medio-lunga percorrenza, ecc.) o essere il prodotto di procedure di privatizzazione e segmentazione del precedente concessionario unico; - obbliga l’ente locale alla specificazione di una pluralità di contratti con obiettivi e livelli di sussidio differenziati ed a rinunciare alla leva della cross subsidisation. 17 La segmentazione delle concessioni ben si sposa del resto con l’obiettivo della fertilizzazione delle risorse imprenditoriali. Difatti, le aste per l’affidamento di contratti di servizio per specifici servizi sociali o per aree marginali della rete locale costituiscono la modalità preferibile per l’accesso al mercato delle piccole imprese. Essa inoltre permette - ed è questo uno dei risultati dell’esperienza londinese - che nell’ambito della stessa rete aumenti il livello di innovazione e di differenziazione dei servizi (introduzione dei minibus, taxi collettivi, linee veloci, linee di lusso, linee a chiamata, ecc.) che il gestore unico non ha usualmente la convenienza ad introdurre. Il meccanismo della regolazione attraverso concessioni segmentate può o meno prevedere la presenza dell’operatore pubblico accanto a quello privato. Sempre l’esperienza londinese ha dimostrato che l’azienda pubblica è stimolata a migliorare le proprie prestazioni quando è esposta al rischio che le sue linee vengano col tempo sottratte al monopolio e messe a gara. Anche se, da parte dei concessionari privati, è sempre stato espresso il dubbio che l’azienda pubblica beneficiasse di particolari privilegi. L’attivazione di appalti per la concessioni di intere reti urbane o di segmenti di queste innesca meccanismi di selezione imprenditoriale che dal contesto locale si estendono a quello nazionale (e che, in futuro, potrebbero estendersi anche a quello europeo). Emblematici sono i casi francese, dove tre grandi aziende (Via, Transcet e Cgea) coprono oltre l’80% del mercato del trasporto pubblico locale, e svedese, dove alcune grandi aziende private hanno costituito un oligopolio nazionale, anche grazie all’acquisizione delle piccole compagnie municipali33. La liberalizzazione. L’opzione estrema della deregolamentazione totale è stata applicata anche al trasporto pubblico locale. In Gran Bretagna (Londra esclusa) ed in altre aree asiatiche e dell’America meridionale sono state privatizzate le aziende pubbliche e sono state eliminate tutte le norme che imponevano limiti all’accesso delle aziende e determinavano vincoli alla libera fissazione delle tariffe. L’esperienza britannica è quella di maggiore interesse perchè applicata in contesti economici e sociali assimilabili a quelli italiani. Essa ha previsto l’eliminazione di ogni forma di sussidio alle aziende (prevedendo solo delle sovvenzioni: per la riduzione delle tariffe degli anziani e di altre categorie sociali) ed ha eliminato anche ogni forma di pianificazione della rete. In 33 Goller (1995). 18 sostanza si sono create le condizioni perchè si dispiegasse una piena concorrenza, anche sulla singola tratta di collegamento. Il decennio di applicazione delle esperienze britanniche consente oramai di trarre un bilancio e di effettuare la comparazione tra lo schema di regolazione concorrenziale (il modello londinese) e la liberalizzazione (il modello applicato nel resto del paese). Il confronto può essere realizzato considerando alcuni aspetti principali: - l’efficienza aziendale. La riduzione dei costi ha caratterizzato tutto il sistema britannico post-riforma (la contrazione è stata - in entrambe i casi - pari a circa il 15%). La riduzione del costo del lavoro è stato lo strumento fondamentale utilizzato a tal fine, in particolare grazie alla introduzione di formule contrattuali meno onerose (nuovi assunti, autisti di minibus, ecc.). Più in generale è stata perseguita una generale riduzione delle inefficienze interne, in particolare con la razionalizzazione dei costi di management e la riorganizzazione ed esternalizzazione della manutenzione, - la qualità dei servizi. Anche l’introduzione di nuovi servizi ha caratterizzato tutto il sistema britannico, in particolare con la diffusione dei minibus fuori nei segmenti di rete a non elevata concentrazione di flussi. Sotto questo profilo è l’esperienza londinese ad aver realizzato i migliori risultati: sia perché negli ambiti liberalizzati ha dispiegato i suoi effetti negativi l’assenza della pianificazione della rete (instabilità dei servizi, carenza di informazioni, congestione di mezzi pubblici, degrado dei mezzi), sia perchè proprio nell’ambito regolato è stata più forte la differenziazione ed innovazione dei servizi (taxi collettivi, linee a chiamata, linee veloci, ecc.); - la forma del mercato. Il contesto regolato si è mostrato più contendibile di quello liberalizzato; in quest’ultimo infatti la concorrenza si è basata sulla frequenza del servizio nelle tratte principali e nelle fasce orarie di punta (mentre le tariffe si sono rivelate uno strumento non significativo e sono state infatti aumentate significativamente in termini reali)34 e ciò ha determinato - dopo una prima fase di moltiplicazione degli operatori una significativa concentrazione del mercato tra gli operatori capaci di sostenere flotte di mezzi adeguate all’alta frequenza di passaggi. Nell’esperienza londinese la segmentazione delle concessioni è stata 34 Si è cioè verificato che per l’utente del mezzo pubblico il tempo di attesa è la variabile discriminante, egli dunque prenderà il primo autobus che passa indipendentemente dal livello della tariffa. Va inoltre ricordato che i confronti tariffari andrebbero effettuati a parità di servizio; tenuto conto che nei contesti liberalizzati la qualità e la disponibilità del servizio sono peggiorate, si può concludere che la crescita reale delle tariffe è sottostimata. 19 l’opportunità per consentire l’accesso non solo degli operatori più strutturati (che anche qui si sono riservati i servizi organizzativamente più onerosi, ma anche più redditizi), ma anche di operatori minori specializzati che hanno iniziato a maturare esperienza proprio a partire dall’esercizio di servizi secondari o di natura prevalentemente sociale. Una valutazione finale tra le due esperienze non è agevole, ciò nonostante alcune conclusioni possono essere tratte a favore dell’esperienza londinese.35 Si può infatti affermare che elementi postivi di fondo sono stati conseguiti in entrambi i casi; in particolare le inefficienze gestionali ed i sussidi pubblici sono stati significativamente ridotti. La regolazione sulla base di una pluralità di concessioni ha però riportato ulteriori effetti positivi che la liberalizzazione non ha evidenziato: nel medio periodo il mercato regolato è risultato più contendibile e, in parte come conseguenza di tale dato, la qualità e la diffusione dei servizi sono state maggiori e l’incremento della circolazione è stato inferiore. Infine non va trascurato che la collettività ha potuto beneficiare dei benefici della pianificazione. In sostanza si può affermare che nel trasporto pubblico locale sono presenti economie di integrazione e di scala; in assenza di regolazione pubblica queste generano una forma di mercato sostanzialmente monopolistica (sulla singola tratta36 od anche su tutta l’area locale). Tutto considerato il beneficio totale netto si rivela inferiore a quello garantito dal contesto regolato. 35 Una valutazione costi-benefici basata su un’analisi esauriente e non pregiudiziale delle due esperienze si trova in Mackie et al. (1995). 36 Nell’arco dei dieci anni dell’esperienza britannica si stima che in non più del 10% delle tratte vi sia stata durevole competizione. 20 3.4.2. Il trasporto ferroviario: oltre il modello unico Il trasporto ferroviario è una di quelle attività produttive in cui l’economia pubblica ha tradizionalmente rintracciato gli elementi tipici del “fallimento del mercato”. In particolare, il trasporto ferroviario è stato considerato un monopolio naturale e per tale motivo è stato storicamente ricondotto nell’alveo pubblico. Ciò è accaduto sia nella forma estrema della gestione statale, sia in quella indiretta della regolazione di sistemi aziendali distinti dalla pubblica amministrazione. La natura di monopolio naturale del trasporto ferroviario può essere fatta risalire a due distinte ragioni: - l’esistenza di economie di scala. Queste sono presenti sia nella rete, sia nella produzione del servizio vero e proprio. Mentre nel primo caso si tratta di economie di scala in senso stretto, nel secondo è più corretto fare riferimento ad economie di densità; in entrambe i casi è bene tenere presente che esiste probabilmente un livello ottimo di dimensione, sia per l’estensione della rete37 che per la densità del servizio, oltre il quale tornano a presentarsi delle diseconomie. Esisterebbero infine anche economie di scopo nella produzione dei servizi: mentre ciò è indubitabile per la condivisione di costi comuni di servizi differenziati all’interno delle aree passeggeri e merci, è perlomeno da prendere con cautela l’economicità della presenza congiunta delle due aree di servizi nella stessa rete ferroviaria;38 - la presenza di costi irrecuperabili. L’elevato livello di investimenti in capitale fisso, in sistemi di segnalamento e di sicurezza, in materiale rotabile, costituiscono una barriera fortissima all’ingresso di nuovi concorrenti. La non contendibilità del trasporto ferroviario è incrementata anche dalla non recuperabilità degli investimenti immobilizzati nella rete (dato che questa non è fisicamente ricollocabile altrove). In sintesi si può dunque affermare che la rete è sicuramente un monopolio naturale a causa dei costi irrecuperabili e che le economie di scala sono presenti sia nella rete che nell’esercizio. Mancano invece prove incontestabili di economie di scopo e di densità aldilà di una soglia 37 Una riflessione sulla taglia ideale della rete ferroviaria è riportata in Cemt (1993; pp. 98-103). Con riferimento all’Europa viene qui concluso che le grandi reti (Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia) sono troppo grandi e le piccole (Danimarca, Olanda, Irlanda) troppo piccole. La taglia ottimale sarebbe quella delle reti medie, estese per circa 6000 km (come è il caso della Finlandia e dell’Austria). 38 In particolare per le inefficienze scaricate sul trasporto merci dalla “priorità passeggeri” vigente in quasi tutte le reti ferroviarie del mondo (per le eccezioni si veda più avanti nel testo). 21 minimale. Dalla connotazione di monopolio naturale della rete deriva l’approccio regolatorio che prevede la separazione tra rete e servizio. La separazione tra rete e servizio serve infatti ad impedire che il monopolio naturale della rete (e ciò che comporta in termini di intervento pubblico) si propaghi anche alla produzione dei servizi di trasporto, garantendo così in questo ambito più elevati livelli di contendibilità e di effettiva concorrenza. L’orientamento comunitario in materia di trasporto ferroviario si ispira direttamente a tali considerazioni. Esso infatti prevede: che la rete mantenga natura pubblica e sia sussidiata, che la gestione della rete sia separata (perlomeno contabilmente) da quella dei servizi, che i sussidi ai gestori della rete non vengano trasferiti ai gestori dei servizi.39 Il tema della separazione tra rete e servizi ha riportato al centro dell’attenzione la comparazione tra i costi di coordinamento propri di un’azienda ferroviaria verticalmente integrata ed i costi di transazione, tipici di un assetto produttivo dove i gestori della rete e dei servizi sono distinti. L’orientamento verso la separazione si basa infatti implicitamente sulla valutazione che i suoi costi siano complessivamente inferiori a quelli propri dell’integrazione tra rete e servizio; in particolare che la somma tra costi di inefficienza propri del monopolista integrato e costi di coordinamento sia inferiore ai costi di transazione caratteristici di assetti separati e contendibili. Non si possono però celare alcune osservazioni critiche alla validità di questo orientamento.40 Innanzitutto vanno tenute presenti le specificità del settore ferroviario; mentre in altri comparti è proprio il gestore neutrale della rete ad avere rapporti con gli utenti finali, in quello ferroviario la separazione reteservizio allontanerebbe il gestore della rete dal contatto diretto con i consumatori finali. Il gestore della rete sarebbe dunque poco stimolato a rispondere rapidamente e con flessibilità al mutare delle condizioni della domanda. Per converso i gestori dei servizi non avrebbero la possibilità di definire piani di investimento coerenti su rete e materiale rotabile, in grado 39 Sul concetto di separazione tra rete e servizio si basa la direttiva comunitaria n.440 del 1991 che stabilisce i principi di riferimento per la regolazione del trasporto ferroviario europeo. Per una valutazione di dettaglio del quadro normativo europeo in materia ferroviaria si veda Fazioli e Amelotti Eichler (1995), Sciarrone (1995) e Spirito (1995). 40 Una rassegna sistematica della teoria e della prassi della separazione rete-servizio si trova in Brooks e Button (1995). 22 di assecondare le condizioni di domanda.41 E’ dunque evidente che la comparazione tra costi di transazione e di coordinamento può essere mutata da considerazioni dinamiche. In contesti non integrati può infatti salire il costo delle transazioni delle informazioni relative a mantenere stabile il sistema, sotto il profilo commerciale e tecnologico. Tenuto conto che i costi di transazione possono essere eccessivamente elevati e che però il settore ha bisogno di meccanismi concorrenziali che riducano la x-inefficienza del monopolista integrato, sono state anche proposte e realizzate forme di yardstick regulation fondate sulla segmentazione su base territoriale di imprese verticalmente integrate. L’orientamento alla separazione tra rete e servizio resta comunque quello prevalente. E pone, tra l’altro, un problema di regolazione dell’accesso alla rete.42 Al centro della separazione anche solo contabile tra rete e servizio la definizione dei canoni di accesso occupa una posizione cruciale. Essa infatti interferisce direttamente con la regolazione stessa dei servizi: - sia nell’ipotesi di servizi gestiti in monopolio, dove il meccanismo di definizione dei canoni condiziona il livello effettivo di contendibilità e limita il trasferimento improprio al comparto dei servizi dei sussidi pubblici destinati alla rete; - sia nell’ipotesi di concorrenza nei servizi, dove il costo e le modalità di accesso alla rete costituirebbero i fattori principali di condizionamento dei livelli di effettiva competizione tra operatori. La regolazione del trasporto ferroviario si è occupata in particolare delle modalità di definizione dei canoni. Schematicamente si possono ricostruire tre grandi tipologie:43 41 Nel settore ferroviario i tempi di ritorno dell’investimento sulla rete sono decisamente più lunghi di quelli sul materiale rotabile; ciò è di nuovo il contrario di quanto accade nel settore elettrico, dove è il produttore a detenere la leva dell’investimento a maggior vita economica. Su questi temi si veda in particolare Kay (1994). 42 Alcuni principi di riferimento in materia di licenze ferroviarie e di canoni di accesso alla rete sono stati fissati dalle direttive comunitarie n. 18 e n. 19 del 1995. Si vedano a questo proposito sempre Sciarrone (1995) e Spirito (1995). 43 Sulla regolazione dell’accesso alla rete ferroviaria si veda in particolare Fazioli e Amelotti Eichler (1995; pp. 27-32). 23 - quella del canone nullo, secondo la quale la rete è implicitamente considerata un bene pubblico puro. In questo caso tutti i servizi ferroviari sono pubblicamente sussidiati, anche quelli delle compagnie estere, anche quelli senza alcun carattere sociale come il trasporto merci; - quella del canone al costo marginale, che tengono cioè conto solo del costo aggiuntivo attribuibile al singolo accesso alla rete. E’ una formula che consente di sostenere tutto il traffico economicamente efficiente (in grado di ripagare cioè almeno il costo direttamente generato), ma non permette di coprire il costo totale di infrastruttura. Restano dunque necessarie delle forme di sussidio alla gestione della rete; - quella del canone al costo totale medio. Esso consente al gestore dell’infrastruttura di recuperare tutti i costi determinati dall’esercizio di servizi ferroviari, ma ha il difetto sotto il profilo del benessere collettivo di escludere tutto il traffico corrispondente allo spazio di prezzo tra il costo medio ed il costo marginale. Nella realtà l’applicazione di canoni per l’accesso alla rete è ben lungi dall’aver trovato una sistemazione stabile e continuano a convivere, accanto ai pochi casi di definizione rigorosa, formule forfetarie e puramente contabili.44 Un ulteriore portato teorico ed applicativo della separazione tra rete e servizio è rappresentato dalle modalità di esplicazione della eventuale concorrenza nella gestione dei servizi ferroviari. Innanzitutto è bene ribadire che la separazione può essere anche solo contabile, il che implica non solo l’assenza di concorrenza nei servizi, ma anche il mantenimento di un gestore unico verticalmente integrato. Inoltre va evidenziato che la separazione può essere gestita secondo una forma di monopolio bilaterale dei servizi di rete dove si fronteggiano un solo fornitore ed un solo acquirente e dove quest’ultimo detiene l’esclusiva della vendita agli utenti finali (famiglie e imprese) dei servizi di trasporto. Ciò assodato si può passare a considerare le due tradizionali forme di realizzazione della concorrenza dei servizi di trasporto ferroviario: - la concorrenza per il mercato (franchising). Come già accennato la definizione di formule di franchising competitivo per l‘accesso alla 44 Una rassegna dello stato dell’arte dell’applicazione dei canoni di accesso alla rete ferroviaria è proposta in Hylen (1995). Si veda comunque anche oltre la rassegna delle riforme ferroviarie. 24 produzione in esclusiva di servizi ferroviari presenta non pochi problemi in relazione alla effettiva contendibilità nel tempo della concessione45. Difatti la vita economica degli investimenti sostenuti dai concessionari e normalmente superiore alla durata delle concessioni; ciò può produrre alternativamente una tendenza al sottoinvestimento in materiale rotabile oppure la riduzione della contendibilità a seguito dei costi irreversibili creati dal concessionario incumbent. Problemi dalla natura non dissimile sono determinati dalla formazione di risorse umane ad elevata qualificazione tecnica. Ad i problemi di gestione delle risorse irreversibili e dei relativi tentano di dare una risposta gli schemi di regolazione che prevedono il leasing del materiale rotabile (come nel caso inglese), mentre non risulta che si applichino contratti manageriali per l’affidamento della sola gestione di mezzi e personale sulla falsariga di quelli in vigore negli Usa per il trasporto pubblico locale; - la concorrenza nel mercato (open access). L’open access è la forma estrema di liberalizzazione del mercato dei servizi ferroviari, secondo la quale qualsiasi operatore abilitato può comprare tracce orarie e gestirle in conto proprio oppure vendere servizi ferroviari agli utenti finali. L’open access puro non è applicato attualmente in nessun sistema ferroviario, esso è previsto in prospettiva, mentre oggi mantiene un carattere marginale, essendo riservato alla gestione di alcune specifiche forme di servizio merci e passeggeri. La scarsa applicazione dell’open access deriva direttamente dai problemi che esso pone in prospettiva: vi è infatti da un lato il rischio che le esigenze di coordinamento tra compagnie ferroviarie, che sussistono anche in un contesto di open access, determinino fenomeni di cartellizzazione e, quindi, di estinzione della effettiva concorrenza; d’altro canto l’open access nella sua piena applicazione potrebbe determinare un peggioramento complessivo della competizione tra la ferrovia e gli altri modi di trasporto.46 Anche solo da una rapida rassegna dei problemi aperti, risulta evidente che il trasporto ferroviario resta un settore dove la combinazione tra le diverse opzioni possibili può dare luogo a schemi di regolazione tra loro strutturalmente diversi. Ad aumentare la varietà delle opzioni attivate ed attivabili contribuisce anche la pluralità di obiettivi che spingono in questi anni in tutto il mondo ad una profonda riforma del comparto ferroviario. Difatti il tipo di schema di regolazione prescelto sarà diverso se prevale la necessità di rilanciare la 45 O delle concessioni, nel caso di schemi regolatori basati sulla concorrenza emulativa tra più operatori ferroviari che operano monopolisticamente in un mercato segmentato territorialmente. 46 E ciò paradossalmente potrebbe accadere proprio laddove il potenziale di competizione intermodale della ferrovia è maggiore; ad esempio nei contesti metropolitani. 25 ferrovia nella concorrenza intermodale oppure quella di risparmiare le risorse pubbliche, se è necessario reperire finanziamenti per investimenti consistenti oppure se si vuole favorire l’espansione all’estero della ferrovia nazionale. Il tipo di riforma può dipendere inoltre anche dalla configurazione territoriale: difatti aree chiuse o insulari (come il Giappone o l’Inghilterra) possono preferire la segmentazione territoriale delle concessioni, aree aperte o continentali (come l’Europa e, in particolare, la Germania) possono preferire il libero accesso. Possono pesare infine sulle scelte di regolazione anche la dimensione e la struttura dei flussi (intensità, concentrazione temporale e spaziale); da queste infatti dipende la stessa economicità della ferrovia e la sua competitività intermodale. Un ulteriore elemento pesa sulle modalità di applicazione della regolazione ferroviaria: la regionalizzazione dei servizi locali. Infatti buona parte dei servizi ferroviari che rivestono natura sociale sono relativi al trasporto su scala locale, su questi convergono inoltre sia le esigenze di governo delle esternalità (riduzione dell’inquinamento e della congestione), sia una larga parte dei sussidi pubblici alle gestioni in perdita. L’assegnazione agli enti locali delle responsabilità programmatiche e finanziarie del trasporto ferroviario locale può dunque costituire un’opzione aggiuntiva delle riforme ferroviarie, tesa a meglio separare le aree commerciale e sociale del trasporto ferroviario ed a gestire distintamente i rispettivi schemi di regolazione. Alla luce di queste considerazioni possono essere valutate le principali esperienze di riforma ferroviaria realizzate o in corso di realizzazione in tutto il mondo.47 Integrazione e azienda pubblica (il modello francese). L’assetto delle ferrovie francesi incarna in modo emblematico il modello di gestione del monopolio pubblico verticalmente integrato. All’azienda di stato sono infatti riservati la gestione della rete e del servizio, nonché l’attuazione della politica statale degli investimenti.48 L’efficienza e la trasparenza sono perseguite all’interno di questo modello attraverso forme di riorganizzazione interna (costituzione di una holding, partecipazioni a società specializzate, ..) e l’applicazione dei principi della separazione 47 Per la documentazione sulle riforme ferroviarie si veda la sezione specifica della bibliografia. Rassegne si possono trovare in: Aspe-Europe (1995), Cemt (1993), Fazioli e Amelotti Eichler (1995), Japan Railway and Transport Review (1994). 48 Nei primi mesi del 1996 - anche a seguito dei risultati negativi di bilancio della Sncf -il dibattito interno ha registrato diverse posizioni autorevoli a favore di una riassegnazione diretta al Governo della definizione e della attuazione della politica degli investimenti ferroviari. 26 contabile sia tra rete e servizi, sia tra le diverse aree del trasporto (merci, passeggeri grandi linee, Ile de France, regionale). All’interno di questo assetto la politica di regolazione si regge di fatto sul contratto di programma che lega le risorse garantite dallo Stato a gli obiettivi posti all’azienda. In particolare il contratto di programma fissa una tariffa chilometrica fissata sulla base del costo medio, individua un percorso di riduzione del costo per unità di trasporto e attribuisce esplicitamente l’attuazione degli investimenti. Il contratto di programma è sottoposto a critica sia perchè è elevato il rischio di cattura del regolatore nel caso di contrattazione con una sola azienda integrata, sia perchè tale rischio è ulteriormente aumentato dall’assenza di sanzioni nei confronti dei due contraenti che rendano effettivi i meccanismi incentivanti esplicitamente ed implicitamente presenti. Al contrario è stato evidenziato la possibilità che la SNCF sia di fatto disincentivata ad avere comportamenti efficienti, a fronte della possibilità che lo Stato riveda lo schema contrattuale per estrarre le quote di rendita eventualmente generate all’interno dell’azienda.49 In sintesi si può affermare che il modello francese è quello tradizionale della gestione pubblica integrata di un settore considerato dall’elevata valenza economica e sociale e oggetto di un consistente piano di investimenti ad elevata tecnologia. Sono inoltre completamente assenti forme effettive o simulate di concorrenza e di orientamento al rischio commerciale e non viene applicata alcuna forma di regionalizzazione dei servizi ferroviari locali. Il buon esito dello schema di regolazione si fonda in ultima analisi sull’aspettativa che i soggetti coinvolti esprimano solo gli obiettivi attesi: che cioè lo Stato indirizzi il settore secondo l’interesse collettivo e che l’azienda persegua con strumenti manageriali l’efficienza e la qualità. L’esistenza di interessi non considerati e spesso divergenti rispetto a quelli attesi, il manifestarsi di alcuni segnali di crisi finanziaria dell’azienda, il diffondersi di critiche nei confronti di un modello di investimenti votato solo all’integrazione nazionale ed all’alta tecnologia, sono tra i fattori che stanno esponendo a critiche crescenti uno schema di regolazione apparentemente stabile. Separazione e azienda pubblica (il modello svedese). La Svezia è la nazione europea che si è mossa nella direzione di una riforma 49 Caillaud e Quinet (1991). 27 profonda del sistema ferroviario nazionale con l’obiettivo primario di rilanciare la ferrovia nella competizione nei confronti del trasporto stradale. La realizzazione di un imponente piano di investimenti ferroviari non è stato considerato però sufficiente a rafforzare un settore considerato rilevante specialmente per la sua valenza ambientale. Si è voluto anche rivedere lo schema di gestione e di regolazione al fine di ridurre le inefficienze e comprimere i sussidi pubblici. La nuova architettura del sistema svedese si basa su alcuni elementi fondamentali: - la separazione della ferrovia nazionale in due soggetti distinti: la BV (struttura pubblica che gestisce la rete nazionale ed attua la politica pubblica degli investimenti) e la SJ (azienda pubblica che gestisce i servizi beneficiando di un sussidio pubblico forfetario ed essendo quindi esposta al rischio commerciale); - l’affidamento alle comunità locali delle reti e dei servizi, tranne quelli di dimensione nazionale, che li possono sia gestire in proprio sia affidare in concessione sulla base di aste competitive; - la graduale abolizione delle posizioni di monopolio (della SJ a livello nazionale e delle autorità regionali a livello locale) e la definizione di un sistema basato sull’open access; - la definizione di misure occupazionali e finanziari che hanno reso possibile l’attuazione della riforma: azzeramento del debito pregresso della SJ, sostituzione del management SJ con personale di provenienza imprenditoriale, attivazione di un piano per la gestione della riduzione di occupazione (prepensionamenti, programmi di riqualificazione, mobilità nel comparto ferroviario, ecc.), impegno formale del Parlamento ad investire nel settore ferroviario. La separazione tra rete e servizio e la preparazione di un assetto di libero accesso all’infrastruttura hanno portato a sviluppare anche i primi elementi per la regolazione dei meccanismi di ripartizione della capacità e la definizione dei canoni di accesso. La scelta per l’attribuzione della delicata funzione di ripartizione della capacità appare singolare; infatti essa sarà esercitata dall’impresa dominante sulla singola tratta (SJ o altri), con la possibilità di effettuare ricorsi ad un’autorità di supervisione collocata all’interno di BV (seppure in posizione di totale autonomia). Proprio questa autorità potrebbe tendenzialmente, al procedere della riforma, assumere un ruolo istituzionale completamente 28 autonomo dai soggetti ferroviari. I canoni di accesso sono stati definiti sulla base di una formula in due parti: la prima copre i costi d’uso marginali (sia interni che esterni) e la seconda rimborsa parte dei costi fissi. Il livello dei canoni è tale da non coprire più del 20% del costo totale dell’infrastruttura. Il complesso sistema di regolazione così articolato si caratterizza per la sostanziale indifferenza alla questione proprietaria, per la priorità assegnata alla separazione rete-servizio50, per la operatività di meccanismi di incentivazione e di orientamento al rischio e la graduale apertura a forme di concorrenza per il mercato e, tendenzialmente, nel mercato. Esso ha rivelato anche alcuni punti critici che in futuro costituiranno verosimilmente l’oggetto di un crescente contenzioso: da un lato infatti la separazione tra rete e servizio ha posto in luce comportamenti non cooperativi tra i due gestori che operano con obiettivi diversi (infatti BV deve fronteggiare il vincolo finanziario delle risorse pubbliche, mentre SJ si confronta con il vincolo del rischio di mercato), dall’altro lato l’apertura a tutti i concorrenti delle concessione per la gestione di tratte ferroviarie hanno evidenziato l’esistenza di un vantaggio competitivo di fatto della SJ nei confronti degli altri potenziali gestori. Nel complesso la riforma svedese è orientata da un grande senso di equilibrio51 e non è condizionata da scelte esercitate pregiudizialmente al di fuori di una attenta valutazione costi-benefici. Proprio questo orientamento cauto ha consentito di evidenziare due questioni critiche fondamentali, utili per una riflessione anche al di fuori dei confini nazionali. La riforma svedese infatti testimonia che: - la separazione rete-servizio non produce solo benefici in termini di maggiore contendibilità del mercato del trasporto ferroviario, ma anche costi in termini di maggiore instabilità complessiva del sistema e di onerosità del coordinamento tra strategie commerciali e strategie di investimento. Essa dunque dovrebbe essere perseguita quando esiste un potenziale effettivo di maggiore contendibilità o concorrenzialità dei servizi (ad esempio grazie all’integrazione di più reti nazionali); - l’apertura alla concorrenza del mercato dei servizi in presenza di un incumbent pone problemi di effettiva competizione e contendibilità che dovrebbero essere risolti con opportuni strumenti di regolazione; anche 50 La riforma svedese ha di fatto costituito il modello di riferimento per la direttiva comunitaria n. 440 del 1991. 51 Prova ne sia la grande varietà di formule proprietarie e gestionali sperimentate a livello locale. Si veda a questo proposito Cemt (1993; pp. 76-79). 29 orientati, così come è accaduto per altre public utilities, a limitare asimmetricamente l’operato dell’incumbent a vantaggio dei new entrants. Separazione e libero accesso (il modello tedesco). La riforma ferroviaria tedesca nasce contestualmente alla presa d’atto dello stato di degrado delle ferrovie della Germania orientali ed alla conseguente consapevolezza della necessità di un piano di investimenti. E’ infatti il fabbisogno di un volume imponente di risorse a spingere verso la ricerca di modelli gestionali che riducano al minimo gli sprechi e massimizzino in prospettiva il ritorno economico e sociale delle risorse impiegate. La riforma delle ferrovie della Germania unificata è stata articolata su quattro livelli: - finanziario: gestione del debito pregresso, realizzazione di nuovi investimenti, individuazione di sussidi per la transizione; - contabile-organizzativo: separazione tra gestione della rete, del trasporto passeggeri e del trasporto merci; - tariffario: definizione dei canoni per l’accesso alla rete; - concorrenziale: promozione della contendibilità, del libero accesso, estinzione delle discriminazioni basate su sussidi o su differenze negli standard tecnici. La realizzazione effettiva della riforma è stata realizzata attivando una procedura per fasi (ancora non completata) di riarticolazione istituzionale e societaria del sistema ferroviario del Paese. - la prima fase ha realizzato la separazione tra l’area commerciale del sistema (la rete, il trasporto di merci, il trasporto di passeggeri oltre i 50 km) e l’area pubblica (funzione del coordinamento, gestione del personale, gestione del debito pregresso); - la seconda fase si è articolata in una “riforma esterna” (costituzione nel 1994 della società di diritto privato DBAG che unifica la DB e la DR e si articola in tre aree commerciali interne) ed in una “riforma interna” (l’area pubblica è divisa in tre aree: sulla prima ricadono gli oneri del personale in eccedenza, del debito pregresso, del trattamento pubblicistico del personale ferroviario commerciale; alla seconda compete la sovrintendenza generale sul settore ferroviario, l’emissione 30 delle licenze, la preparazione dei piani di investimento52; alla terza (i Lander) sono assegnati i trasporti regionali (ed i relativi sussidi) da gestire sia direttamente che mediante meccanismi di concessione e di leasing; - la terza fase prevede la trasformazione delle tre aree commerciali in tre società (rete, passeggeri e merci) e la trasformazione della DBAG in una holding (scadenza di questa fase: 1997); - la quarta fase prefigura lo scioglimento della holding (scadenza: 2002), la possibile privatizzazione delle società di trasporto, e la cessione di quote di proprietà della rete (dovrà infatti essere mantenuta una partecipazione pubblica). Dal 1 luglio 1994 la rete tedesca è formalmente aperta ad operatori diversi dalla DBAG.53 Le richieste di accesso alla rete devono essere fatte all’autorità ferroviaria pubblica (anche se la funzione tecnica di allocazione della capacità è collocata all’interno della DBAG); la ripartizione degli accessi è elaborata dando priorità agli acquirenti con domanda maggiore ed a più lungo termine e, nel caso permanessero conflitti di capacità, sulla base di gare pubbliche. Anche in previsione della apertura della rete sono stati definiti i criteri per la quantificazione dei canoni di accesso. Questi si basano sul costo marginale d’uso e tengono conto del servizio di rete offerto (velocità possibile sulla tratta, capacità potenziale della tratta).54 Al cuore della riforma tedesca si trova il principio della creazione di un mercato contendibile dei servizi di trasporto ferroviario.55 Tale principio e l’adesione ai criteri della normativa ferroviaria vanno però probabilmente letti non tanto nel senso dell’apertura della rete nazionale a nuovi operatori interni ed esteri, quanto in quello della penetrazione della DBAG nel vasto mercato dell’Europa centrale, settentrionale ed orientale.56 Più in generale è evidente che il modello proposto dalle normative 52 L’articolo 87 della costituzione tedesca attribuisce allo Stato la responsabilità di fornire il trasporto ferroviario (Japan Railway and Transport Review; 1994, p. 22). 53 Va tenuto presente che la Germania, pur in un contesto strettamente pubblico, ha già un’esperienza di accesso alla rete di altri soggetti oltre alla compagnia statale (operatori industriali, società ferroviarie a base locale, ecc.). 54 Un’analisi di dettaglio del sistema dei prezzi per l’accesso alla rete ferroviaria tedesca è proposto in Seidenfus e Giordano (1995; pp. 10-12). 55 “Per quanto riguarda le imprese straniere, questo vale soltanto se la loro rete nazionale di binari è ugualmente aperta a terzi (Unione Europea), oppure se esistono accordi internazionali riguardo a tali usi (paese non Ue)”. Seidenfus e Giordano (1995; p. 8). 56 Fazioli e Amelotti Eichler (1995; p.55). 31 comunitarie risponde bene agli interessi propri della riforma ferroviaria tedesca: transizione da un sistema verticalmente integrato ad un mercato accessibile, con il mantenimento di fini sociali. Integrazione e segmentazione territoriale (il modello giapponese). A partire dal 1987 il Giappone ha avviato una riforma centrata sulla creazione di una pluralità di società ferroviarie verticalmente integrate e territorialmente distinte e sulla loro successiva privatizzazione. La segmentazione della compagnia ferroviaria nazionale (JNR) è stata avviata per adeguare meglio la quantità e la qualità dell’offerta alle esigenze differenziate della domanda. A tal fine si è preferito puntare alla creazione di strutture autonome per superare alcuni gravi difetti delle precedenti gestioni: la standardizzazione delle formule manageriali, l’allentamento dei rapporti tra decisione ed esecuzione, l’assenza di valutazioni economiche trasparenti delle diverse aree settoriali e territoriali di business (principalmente dovuta alla pervasività delle sussidiazioni incrociate). Anche per la privatizzazione sono stati esplicitati degli specifici obiettivi: eliminare le interferenze sulla gestione del principal pubblico, esplicitare le responsabilità del management, normalizzare le relazioni industriali, espandere le attività a valenza commerciale. La riforma giapponese è stata realizzata mettendo in moto un complesso meccanismo di revisione istituzionale ed aziendale di cui possono essere citati gli elementi fondamentali:57 - sono state create sei compagnie regionali di trasporto passeggeri (rete e servizio) ed una nazionale di trasporto di merci (solo servizio); - la JNR ha ceduto parte dei beni, del personale e del debito pregresso alle sette nuove compagnie, il resto è stato trasferito alla JNSRC, struttura pubblica che ha assunto la proprietà delle società ferroviarie; - per le 3 compagnie passeggeri ritenute a bassa propensione commerciale è stato previsto un fondo di stabilizzazione della gestione i cui proventi andranno a ripagarne i deficit. Queste tre compagnie non assumeranno alcuna quota del debito di lungo termine della JNR (questo meccanismo è ritenuto più incentivante all’efficienza del sussidio o della copertura expost dei deficit di gestione). 57 Per una descrizione dettagliata degli strumenti e degli obiettivi della riforma giapponese si veda East Japan Railway Company (1995). 32 Al cuore della riforma giapponese si trova il processo di privatizzazione delle compagnie ferroviarie. Questo doveva realizzarsi secondo un approccio graduale alla quotazione in Borsa ed alla dismissione dei pacchetti azionari. In realtà delle sette compagnie, solo una - la JR East - è stata sino ad oggi privatizzata.58 La potenziale privatizzazione si basa su un profilo di gestione orientato all’efficienza e centrato sul mantenimento e sullo sviluppo della quota consistente di mobilità catturata in Giappone dalla ferrovia. In effetti già nei primi anni dopo la riforma le compagnie hanno prodotto profitti superiori alle attese. Il sistema di regolazione - reso meno cruciale dalla tendenziale privatizzazione delle compagnie ferroviarie - si basa sulla fissazione pubblica delle tariffe finali e sulla definizione di un canone di accesso alla rete per la compagnia ferroviaria di trasporto di merci. Completamene libero è invece l’esercizio di attività non ferroviarie. Resta sullo sfondo il problema del finanziamento di nuovi investimenti (miglioramento della rete suburbana di Tokyo, estensione dell’alta velocità). Separazione e segmentazione territoriale (il modello inglese). Al contrario di quella svedese, la riforma britannica è nata in assenza di una politica del trasporto che assegnasse un ruolo specifico alla ferrovia. Obiettivo prioritario è stato - come in altri settori delle public utilities - la riduzione della presenza pubblica nel sistema economico e la conseguente riduzione degli oneri a carico del bilancio dello Stato. La riforma britannica si basa sull’estinzione della società ferroviaria pubblica e sulla separazione funzionale e territoriale del monopolio ferroviario. In particolare essa prevede un complesso meccanismo di riarticolazione funzionale e societaria con la creazione di: - 1 proprietario delle infrastrutture e responsabile dell’orario (Railtrack) che, tranne casi specifici, deve finanziarsi con i canoni e restituire un rendimento sul capitale allo stato: ne è in corso la privatizzazione; - 25 compagnie ferroviarie passeggeri (di cui solo alcune potranno continuare a beneficiare di sussidi pubblici), 3 compagnie merci ed 1 58 A causa dei danni provocati dal grave terremoto del 1995, è stata rinviata la quotazione delle due compagnie a maggior propensione commerciale. Le tre restanti compagnie non hanno ancora soddisfatto i requisiti minimi per la ammissione al listino della borsa. Secondo le ultime informazioni di stampa, nell’autunno del 1996 dovrebbe essere collocato in Borsa il 75% del capitale della JR West. 33 operatore di containers: opereranno grazie all’ottenimento su base competitiva delle relative concessioni; - 3 proprietari del materiale rotabile che lo cedono in leasing alle compagnie ferroviarie: saranno privatizzati; - 1 Autorità di regolazione della concorrenza (Rail regulator) che esercita le seguenti funzioni: concede le licenze, approva i contratti di accesso alla rete e le formule tariffarie connesse, assicura la parità di accesso e di allocazione delle tracce orarie, favorisce la concorrenza (anche sanzionando le eventuali distorsioni), decide sulla sospensione delle concessioni (su proposta del Franchisor); - 1 Autorità concessionaria (Office of Passenger Rail FranchisingOPRAF) che, avendo noleggiato da Railtrack le tracce orarie dei servizi di rete, li offre agli operatori sulla base di gare concorrenziali. Essa inoltre fa transitare gli eventuali sussidi ai concessionari che si sono aggiudicati la gara: è di fatto il soggetto che nella fase di avvio della riforma si assume il rischio commerciale della rete. Il sistema di regolazione ed esercizio del sistema prevede un complesso meccanismo di transazioni. Lo Stato garantisce un finanziamento alle imprese solo come sussidio di servizi sociali (che è comunque integrato nella base d’asta della concessione); le imprese versano a Railtrack un canone per l’accesso che deve coprire tutti i costi di rete; Railtrack a sua volta deve versare allo Stato un rendimento sul capitale (tendenzialmente l’8%). Anche la riforma britannica prevede che in prospettiva possa valere un meccanismo di open access che consenta anche ad altri operatori di concorrere sulle tratte gestire dai concessionari. Non è però ancora chiaro come sarà gestita la loro domanda di capacità: probabilmente le tracce orarie verranno offerte direttamente da Railtrack a terzi diversi dai concessionari, i quali dovranno pagare dei canoni basati sul solo costo marginale. Verosimilmente l’open access verrà inizialmente sperimentato sui segmenti di rete dove coesistono più concessionari e per il traffico merci; solo successivamente verrà completamente aperto. Per il momento, in un contesto di esclusiva concorrenza per il mercato, i canoni sono definiti sulla base di una formula in tre parti: - una parte che copre i costi comuni non attribuibili al singolo servizio e che varia in relazione alle caratteristiche della rete e dei servizi su di essa esercitata (anche al fine di evitare meccanismi di compensazione incrociata); 34 - una parte che copre i costi fissi attribuibili (i cosiddetti costi evitabili di lungo termine); - una parte che copre i costi variabili, basata sull’uso dell’infrastruttura e sul consumo di energia (e, in prospettiva, anche sul livello di congestione). In questo contesto non secondario è il problema della definizione del livello assoluto di partenza dei canoni, non essendoci infatti precedenti in materia. Anche nella riforma britannica non è esplicitata la responsabilità della realizzazione di nuovi investimenti, neanche per il mero ammodernamento dell’esistente.59 La priorità alle merci (il modello argentino). La riforma delle ferrovie argentine muoveva dall’esigenza di recuperare la redditività del sistema ferroviario nazionale e di invertire la tendenza al suo collasso finanziario e strutturale. Contrariamente ad altre esperienze qui è stata scelta la strada di favorire il trasporto delle merci, eliminando tra l’altro la “priorità passeggeri” che caratterizza buona parte delle reti ferroviarie del mondo.60 Ciò è stato conseguito sulla base di una segmentazione territoriale della rete nazionale e sull’affidamento in concessione a privati della gestione integrata della rete, del materiale rotabile e del servizio. Sotto il profilo finanziario la riforma prevede l’eliminazione dei sussidi al trasporto merci ed ai servizi passeggeri potenzialmente profittevoli e la loro destinazione alle linee intercity ritenute necessarie ed al trasporto metropolitano. In particolare la riforma prevede: - la messa in concessione trentennale esclusiva di sei tratte merci e del solo servizio passeggeri ritenuto commerciale (in grado cioè di versare ai concessionari merci un canone basato sul costo marginale di accesso alla rete). I concessionari operano in un contesto di tariffe libere; 59 La recente aggiudicazione della concessione di costruzione e gestione della tratta ad alta velocità tra la Manica e Londra lascia però intravedere uno specifico modello di regolazione nel caso di nuove realizzazioni. 60 In realtà in molti sistemi ferroviari americani (Canada, Stati Uniti, Uruguay, Cile) la ferrovia ha una spiccata vocazione al trasporto delle merci. Sul sistema ferroviario degli Stati Uniti si veda Manuelli et al. (1993). 35 - l’individuazione dei servizi passeggeri non commerciali da mantenere comunque in funzione tramite sussidio pubblico; - la chiusura di tutte le altre linee, a meno che le province non se ne accollino la gestione, diretta o tramite concessione a privati; - la gestione separata del trasporto metropolitano della capitale tramite la messa a gara di sette concessioni di servizio, assegnate sulla base del livello minimo di sussidio richiesto e sottoposte a regolazione pubblica; Il sistema delle concessioni si basa esplicitamente sull’attivazione di un piano di investimenti per il riammodernamento della rete. Il livello di investimenti garantito dagli operatori per la durata della concessione costituiva infatti il parametro prioritario per l’aggiudicazione della gara.61 Il complesso della riforma sembra essere stato particolarmente efficace; infatti sono andate a buon fine cinque delle sei concessioni nazionali (mentre solo la sesta è stata acquisita da una società statale creata ad hoc) e le sette concessioni di trasporto metropolitano per l’area di Buenos Aires. Infine il piano di revisione del sistema passeggeri ha determinato la chiusura del 70% dei servizi precedentemente attivi. 61 Lo schema di selezione delle proposte dei partecipanti alle gare si basavano sui seguenti elementi (tra parentesi i punti assegnati a ciascuna voce): - livello proposto di investimenti di base (30) - piano di organizzazione del servizio (25) - personale assorbito dalle ferrovie statali (15) - livello del canone per l’uso della rete (12) - piano di manutenzione (8) - investimenti aggiuntivi (5) - livello delle tariffe per gli utenti (5). 36 Tav. 1 - Schema riassuntivo delle riforme ferroviarie Argentina Franci Germania Gran Italia Giappone Svezia a Bretagna Separazione rete no no si si no no si servizio (*) (**) (*) Segmentazione si no no si no si si territoriale Privatizzazione no no no si no si no della rete (**) Privatizzazione si no si si no si si dei servizi (**) (**) (**) (***) Libero accesso no no si si no no si alla rete (**) (**) (**) Regionalizzazion no no si no si no si e (*) separazione solo contabile (**) in prospettiva (***) concessioni competitive aperte anche all’operatore dominante pubblico 3.4.3. Il trasporto aereo di passeggeri: dalla regolazione all’antitrust Il trasporto aereo è stato un settore tradizionalmente sottoposto a regolazione pubblica dell’accesso al mercato, della definizione dei livelli di capacità produttiva e dei prezzi applicati all’utenza finale. Al contrario del trasporto ferroviario, il trasporto aereo non si caratterizza per la presenza di consistenti costi irrecuperabili: infatti i beni capitali (gli aerei), pur essendo estremamente costosi, sono sia trasferibili da una rotta all’altra, sia noleggiabili o vendibili a terzi. Al contrario del trasporto pubblico locale, il trasporto aereo non ha connotazione sociale, né produce consistenti esternalità positive: esso infatti - fatte salve i pochi casi di collegamento con le aree isolate - ha natura strettamente economica, sia che si tratti di spostamenti per affari che di viaggi turistici. L’intervento pubblico nel trasporto aereo origina invece dalla necessità di regolare un settore ritenuto a forti economie di scala e, per tale motivo, potenzialmente monopolistico. Il settore è stato dunque governato con gli strumenti e con gli obiettivi propri della regolazione pubblica di monopoli privati: garantire alla collettività l’efficienza produttiva determinata dalle economie di scala (da cui il controllo dell’accesso), evitare alla collettività le inefficienze allocative del monopolio (da cui il controllo della capacità e dei prezzi). 37 Questo schema di regolazione del trasporto aereo è stato sottoposto a forti critiche ed è stato oggetto di profonda riforma (con l’esperienza statunitense come riferimento esemplare). La critica alla regolazione del trasporto aereo si è articolata seguendo gran parte degli assunti propri dell’approccio della deregulation: - da una parte, facendo riferimento alla teoria della contendibilità, si è sostenuto che l’assenza di sunk cost garantirebbe di per sé che non si creino extra-profitti ed altri abusi di posizione monopolistica od oligopolistica; - dall’altra, si è evidenziato che proprio la regolazione pubblica aveva finito per proteggere comportamenti inefficienti e rendite all’interno delle aziende, determinando così prezzi generalmente più elevati di quelli che si sarebbero determinati in un libero mercato contendibile. Proprio la rilevante esperienza di deregolamentazione maturata negli Stati Uniti ha però restituito centralità all’analisi ed alla modellizzazione dei nessi evidenti tra caratteristiche produttive e struttura di mercato di questo settore; in parte evidenziando gli eccessi di semplificazione propri dell’approccio della deregulation. Innanzitutto la conferma dell’esistenza di economie di scala e di densità è stata stemperata dall’evidenziazione di punti di massimo oltre i quali si manifestano le diseconomie.62 Da questa constatazione è derivato direttamente un nesso tra volumi di traffico su ciascuna rotta e forma di mercato ivi sostenibile: a seconda del numero di voli che la caratterizza, la tratta si configura come monopolio naturale, come duopolio naturale o come oligopolio naturale.63 Ma il risultato più rilevante della esperienza della deregulation è la manifestazione di rilevantissime economie di integrazione64. La riorganizzazione della rete delle grandi compagnie secondo il modello hub 62 Keeler (1991). E’ particolarmente interessante sotto questo profilo il tentativo di Pryke (1991; p. 234) di prevedere l’assetto del mercato europeo liberalizzato. Le sue stime, basate sull’analisi dell’esperienza degli Stati Uniti, hanno dato il seguente risultato (tra parentesi le quote del mercato Usa all’epoca): - rotte monopolistiche: 48% (38%); - rotte duopolistiche: 25% (25%); - rotte con tre operatori: 16% (17%); - rotte con più di tre operatori: 11% (20%). 64 Si potrebbe anche parlare di economie di scopo, considerando ciascuna rotta come un servizio diverso prodotto dalla una compagnia aerea dotata di rete propria. 63 38 and spoke è stato infatti l’effetto più rilevante della riforma nordamericana. Solo il presidio di grandi reti e di grandi volumi di traffico a partire da almeno un grande aeroporto ha assicurato ad alcune grandi compagnie di conseguire benefici rilevanti in termini di riduzione di costi e di innalzamento dell’efficienza complessiva.65 Un’ulteriore valutazione emersa dalla esperienza della deregulation riguarda il manifestarsi sotto forme inattese degli abusi connessi a posizioni dominanti di natura monopolistica od oligopolistica. L’esperienza iniziale della riforma Usa aveva confermato sia la sostanziale accessibilità del mercato del trasporto aereo a nuovi entranti, sia la conseguente crescita del gradiente competitivo (riduzione delle tariffe, riarticolazione profonda delle formule tariffarie, offerta di nuovi collegamenti, ecc.). Ma l’abbassamento del livello di concentrazione che ne è derivato si è rivelato transitorio: proprio la riorganizzazione delle grandi compagnie ha col tempo riproposto un assetto nazionale più concentrato di quello precedente alla deregolamentazione e dominato da un numero ridotto di grandi compagnie, ognuna dotata di una propria rete hub and spokes.66 La riaffermazione di un assetto oligopolistico del mercato ha riaperto la riflessione sulla esistenza di barriere all’accesso: sia dovute alla presenza di sunk cost precedentemente non presi in considerazione, sia generate direttamente da comportamenti monopolistici ed oligopolistici non tradizionali. In effetto proprio nel nuovo assetto oligopolistico è risultato che alcuni costi sono sostenibili solo da operatori con grandi volumi di traffico e che tali costi hanno evidenti caratteristiche di irrecuperabilità. Tra questi vi sono in particolare quelli per la creazione della reputazione, per la comunicazione alla clientela, per il controllo dei sistemi di prenotazione e per la vigilanza dei comportamenti degli agenti. Si tratta dunque di barriere di costo connesse non più all’attività produttiva interna, ma all’attività commerciale direttamente o indirettamente rivolta alla clientela.67 65 Il modello hub (mozzo di ruota) and spokes (raggi) si basa sul convogliamento del traffico delle rotte minori in un aeroporto centrale da cui si dipartono i successivi collegamenti. Per le compagnie il vantaggio economico evidente e principale di questo modello sta nell’incremento del coefficiente medio di riempimento degli aerei, realizzato anche con una più razionale articolazione dimensionale delle flotte. 66 E’ bene sottolineare che il livello di concentrazione dell’intero mercato è una misura che distorce il livello di concorrenza effettiva; una migliore misura è data dal numero medio di operatori presenti su ciascuna rotta. Anche dopo la riorganizzazione delle grandi compagnie e la scomparsa di molti dei new entrants questo ultimo indicatore ha mantenuto livelli comunque superiori a quelli dell’era della regolamentazione. Si veda a questo proposito Kahn (1992). 67 Doganis (1991). 39 Nel nuovo oligopolio aereo è stato inoltre possibile rintracciare una tendenza alla riproduzione del controllo sul mercato. Questa si è manifestata non solo con la già citata riorganizzazione delle rotte che ha consentito alle compagnie di beneficiare contemporaneamente delle economie di densità e di integrazione68, ma anche con il controllo di sistemi di teleprenotazione proprietari e con il potenziamento delle formule di fidelizzazione della clientela (ad esempio con i programmi-premio per i frequent flyer). Pur ritenendo che il gradiente competitivo del mercato del trasporto aereo sia più elevato in un sistema deregolamentato che in uno regolamentato, si è dovuto prendere atto che esso tende a configurarsi secondo un assetto oligopolistico non completamente contendibile69, dove cioè possono diffondersi comportamenti discriminatori ed opportunistici e generarsi rendite a discapito dell’interesse della collettività e, in particolare, dei diretti utilizzatori del servizio. Ciò ha portato al centro dell’attenzione la necessità di vigorosi controlli antitrust su un mercato deregolamentato per aumentarne la contendibilità. In particolare - oltre alla repressione dei tradizionali comportamenti predatori di prezzo - la letteratura ha assegnato particolare rilevanza70: - al divieto alle fusioni quando queste diminuiscono od estinguono il livello di contendibilità di una rotta o di un sistema di rotte. Proprio l’esperienza statunitense ha dimostrato che la fiducia nella naturale concorrenzialità e contendibilità del mercato è stata eccessiva: alcune operazioni di M&A limitative del mercato non avrebbero dovuto essere tollerate. Questa consapevolezza ispira quasi unanimemente le valutazioni sul ruolo pubblico nel mercato europeo prossimo alla liberalizzazione;71 68 La fortuna del modello hub and spokes deriva anche dal vincolo implicitamente imposto al passeggero che fa scalo su un dato hub. Egli infatti tenderà a non scegliere un’altra compagnia per il proseguimento del viaggio, per non sopportare eventuali costi in termini di peggiori coincidenze, complicazione delle procedure di prenotazione ed imbarco, maggior rischio di perdere il bagaglio, ecc. 69 Come spesso accade la contendibilità è massima là dove strutturalmente la concorrenza è meno sostenibile (operazioni su singole rotte a traffico non elevato) e viceversa è minima là dove la concorrenza potrebbe maggiormente svilupparsi (rotte a traffico elevato e reti integrate). 70 Va detto che oltre alle azioni antitrust di seguito illustrate, vi è chi comincia ad interrogarsi sulla necessità di controllare gli assetti hub and spokes in quanto tali, considerandoli direttamente un’espressione di abuso di posizione dominante ed una strategia allocativamente inefficiente (ad esempio in quanto generatrice di congestione). Si veda in particolare Pelkmans (1991). 71 Si vedano tra gli altri Keeler (1991) e Sorensen (1991). 40 - alla repressione dei comportamenti discriminatori. Vi è crescente consenso anche sulla necessità di limitare le azioni che ostacolano la concorrenza, ponendo in atto obblighi alla condivisione delle risorse proprietarie che costituiscono barriere all’accesso per i nuovi entranti e vengono talvolta gestite in modo anticoncorrenziale: i sistemi di teleprenotazione72, i diritti aeroportuali73, i programmi per i frequent flyer. Oltre alla concorrenza all’interno del mercato aereo, è con sempre maggiore attenzione considerata anche la valenza della concorrenza determinata dalle modalità alternative. In questo modo verrebbero ridefiniti i confini del mercato rilevante e rimesse in discussione le sue connotazioni (livelli di concentrazione e di contendibilità, assetti monopolistici ed oligopolistici, posizioni dominanti e comportamenti anticoncorrenziali, ecc.). Ma soprattutto, sempre nella logica di un’azione antitrust, dovrebbe essere promossa la concorrenza effettivamente esercitata dalle altre modalità, specialmente quando questa fosse limitata proprio da sistemi di protezione e regolazione pubblica.74 Più in generale è evidente la connessione potenziale tra limitazione della concorrenza/contendibilità e saturazione di alcune risorse cruciali (spazi aeroportuali, aerovie, sistemi di controllo).75 Se in taluni casi alla congestione può essere posto rimedio con l’utilizzo di tecnologie più sofisticate o con investimenti per il potenziamento della capacità infrastrutturale, in molti altri casi essa deve essere affrontate con adeguati strumenti economici per la regolazione efficiente della domanda.76 72 Questo problema è meno sentito in Europa, dove coesistono due sistemi aperti posseduti da una molteplicità di compagnie, rispetto agli Usa dove ogni grande compagnia ha un proprio sistema chiuso. 73 In questo campo il tipico comportamento anticoncorrenziale prevede che l’incumbent non rinunci agli slot inutilizzati proprio per impedire l’accesso dei new entrants. Si veda a questo proposito anche il provvedimento antitrust contro il comportamento di Alitalia a Linate (Autorità garante della concorrenza e del mercato; 1995, pp. 78-79). 74 Tipica del mercato europeo è ad esempio il mancato sviluppo - dovuto proprio al sistema normativo - dei trasporti stradali di passeggeri sulle lunghe percorrenze, che caratterizzano invece il mercato nordamericano. 75 Pandolfelli (1991). 76 In particolare applicando tariffe aeroportuali variabili proprio in funzione dei livelli di congestione. Inoltre, essendo la congestione un costo esterno per il singolo operatore aeroportuale, ma interno al sistema del trasporto aereo, i proventi delle tariffe di razionamento potrebbero (o dovrebbero) essere destinate proprio agli investimenti per l’aumento di capacità aeroportuale. 41 BIBLIOGRAFIA - generale Autorità garante della concorrenza e del mercato, “Concorrenza e regolamentazione nei servizi di pubblica utilità”, Relazione al Presidente del Consiglio dei Ministri, Attività di segnalazione, n. 3, 1994. Balassone F., “Finanziamento e produzione di servizi pubblici: il sistema dei ‘quasi-mercati’”, Economia Pubblica, n. 6, 1994. Baumol W.J., “Contestable Markets: An Uprising in the Theory of Market Structure”, American Economic Review, n. 67, 1977. Baumol W.J., Panzar J.C. e Willig R.D., Contestable Markets and the Theory of Market Structure, Harcourt Brace and Jovanovich, 1982. Banister D. e Button K. (a cura di), Transport in a Free Market Economy, MacMillan, 1991. 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La regolazione della domanda nasce infatti dalla necessità di ridurre il livello di produzione e di consumo di un servizio (la mobilità) che riversa sulla collettività costi non contabilizzati dal sistema dei prezzi. Così definita la regolazione della domanda si inserisce nell’assestato quadro teorico dell’economia del benessere e dell’economia dei beni pubblici.1 E’ bene precisare che la riduzione dei livelli di mobilità può essere realizzata sia con strumenti economici (prezzi, tariffe, tasse), sia con strumenti amministrativi (divieti, limitazioni), sia con strumenti concertativi2 (piani, accordi). Ma è solo nel primo caso che si realizza un’azione economicamente efficiente: aumentando in modo visibile e diretto il costo della mobilità rinunceranno allo spostamento i soggetti il cui viaggio ha via-via un minor valore economico; al contrario, nel caso di vincoli alla circolazione o di strumenti generali di pianificazione, il razionamento sarà indiscriminato ed il costo collettivo netto sarà complessivamente maggiore. Le azioni per la regolazione della domanda hanno costituito l’oggetto di un dibattito pervasivo e prolungato. La discussione su temi intellettualmente affascinanti e politicamente stimolanti quali il road pricing, il park pricing, il transport demand management, non è certo mancata. Questi temi sono stati infatti sviscerati sotto il profilo economico, dell’ingegneria del traffico, dell’impatto sociale.3 Al contrario scarsa è stata la effettiva applicazione delle misure previste dalla regolazione della domanda. In particolare le poche esperienze estere4 non hanno avuto alcun seguito in Italia. Anche i pedaggi applicati su quasi 1 2 3 4 Si vedano ad esempio Li Donni (1991) e Nash (1982). Le azioni concertative tendono ad orientare i comportamenti dei diversi soggetti sociali (istituzioni, associazioni datoriali e sindacali, gruppi di cittadini) attraverso l’attivazione di schemi articolati di incentivazione. Queste iniziative si sono sviluppate in particolare negli Stati Uniti, dando corpo alla letteratura sul Transport demand management; in Italia l’unico tentativo significativo resta quello avviato a Modena. Si veda in particolare Fabbri e Battilani (1994), Ferguson (1990), Fondazione Censis (1994). Si vedano tra gli altri gli interventi a convegni di Borgnolo (1992), Cascetta (1992), Fiat (1989), Giordano (1992), Ponti (1992), Podestà (1994). Per la analisi di alcune esperienze europee di road pricing si veda Cemt (1994). tutto il nostro sistema autostradale non si configurano come strumento di regolazione della domanda, ma costituiscono eminentemente una forma di remunerazione dell’investimento e della gestione. Lo scarso esito pratico del dibattito che si è sviluppato anche in Italia sul tema della regolazione economica della domanda non è casuale; difatti gli interventi di questa natura sono mal sopportati dai cittadini e rischiano di avere ricadute elettorali negative per gli amministratori che le realizzano. Ciò è particolarmente vero in Italia dove il livello di pressione fiscale esercitato sugli automobilisti - anche se non a fini di regolazione della domanda - è già particolarmente elevato.5 4.2. La mobilità e l’ottimo collettivo Come già accennato la ricerca ha dedicato una specifica attenzione alla regolazione del traffico, sviluppandone gli aspetti non di pianificazione e gestione ingegneristica dei flussi, ma di valutazione ed ottimizzazione dei costi e benefici connessi. In questo quadro essa ha evidenziato lo squilibrio tra i costi generati ed i prezzi sopportati dai consumatori dei servizi di trasporto. In particolare si è concentrata sul sistema degli spostamenti automobilistici individuali, dove ha rilevato: da un lato, la crescita dei costi esterni determinati dalla saturazione delle infrastrutture e, dall’altro, l’assenza generalizzata di un sistema di prezzi di congestione e di razionamento della domanda individuale di accesso al sistema stradale (in particolare nelle grandi città e nelle loro principali direttrici di accesso). Sono stati così sottolineati l’allontanamento dal punto di ottima allocazione delle risorse ed il sovraconsumo di mobilità, dovuto appunto alla esistenza di costi non sopportati direttamente dai singoli utenti. A partire da queste considerazioni la regolazione della domanda si è configurata nella applicazione di una tariffa che carichi sugli utenti i costi di congestione e riporti l’equilibrio ad un livello inferiore di mobilità. Come già evidenziato, la quota di domanda “tagliata” dall’aumento del prezzo è ovviamente quella del tratto finale della curva di domanda, cioè quella con la minor disponibilità a pagare. 5 La tassazione generalizzata del consumo di carburanti non può essere considerata una forma efficiente di regolazione economica della domanda. Il numero di chilometri percorsi è infatti solo uno dei fattori che determinano i costi esterni della mobilità. In realtà l’imposta sui carburanti potrebbe coprire i costi medi della circolazione, mentre ai pedaggi autostradali ed urbani dovrebbe essere assegnato il compito di coprire le punte di costo connesse alla congestione (Cemt; 1994, pp. 15-21). 2 E’ evidente dunque che la regolazione della domanda non è tanto un sistema per ridurre la congestione, ma per attribuirne i costi a chi li ha generati;6 il che è tanto più vero quanto più è rigida la domanda di mobilità e quanto meno è elevata l’elasticità incrociata tra trasporto individuale e trasporto pubblico. Tutto ciò non toglie che le risorse generate possano essere destinate proprio a finanziare gli interventi per il decongestionamento delle reti e dei servizi di trasporto. Dalla destinazione dei proventi del road pricing a finalità attinenti al sistema della mobilità deriverebbero inoltre due vantaggi: potrebbero essere finanziate le misure complementari utili alla riuscita dell’intervento (e, innanzitutto, la gestione dei sistemi di esazione delle tariffe) e si garantirebbe che la tariffazione dei costi di congestione vada a compensare proprio chi quei costi sopporta (riducendo così anche l’opposizione alla realizzazione di questo tipo di misure).7 L’introduzione di forme di road pricing - così come ogni altro intervento diretto nel sistema dei prezzi - determina inoltre un effetto redistributivo, anch’esso preso in esame dalle analisi sulla materia. E’ infatti evidente che anche il reddito - oltre al valore intrinseco dello spostamento - incide sulla disponibilità a pagare per la mobilità: di conseguenza la regolazione della domanda penalizzerebbe le fasce meno avvantaggiate della popolazione. Allo stesso tempo è presente nella larga parte degli studi sull’argomento la possibilità di attenuare gli effetti di redistribuzione perversa attraverso accorgimenti operativi. Ad esempio: - destinando le risorse generate dal pricing della mobilità proprio al finanziamento di infrastrutture e di servizi a favore delle fasce sociali più deboli; - impostando la gestione del pricing in modo che sia articolata la possibilità di scegliere tra prezzo e disagio.8 6 7 8 La riduzione della congestione potrebbe infatti realizzarsi anche con forme di intervento diverse dalla tariffazione della mobilità: la creazione di nuova capacità infrastrutturale, l’indirizzamento in tempo reale del traffico con adeguate strumentazioni tecnologiche, la pianificazione coerente delle funzioni urbane e dell’uso del territorio. Si vedano a questo proposito le conclusioni in Cemt (1994). Si può sostenere che buona parte dei costi di congestione sono esterni al singolo automobilista, ma interni alla “comunità” degli automobilisti (con l’esclusione degli incrementi di inquinamento dovuti proprio alla congestione). Su questo punto insiste in particolar modo Ponti (1994a). Ad esempio differenziando il road pricing in funzione delle fasce orarie e della scorrevolezza delle strade, oppure differenziando il park pricing in funzione della distanza del parcheggio dal centro. 3 Sempre restando nell’ambito delle questioni distributive va tenuto presente che non vi è necessariamente coincidenza tra l’autorità di esazione della tariffa (usualmente il comune dell’area urbana interessata) e l’insieme dei pagatori della tariffa (che comprende infatti i pendolari provenienti da altre aree). Ciò pone un evidente problema di gestione amministrativa e di consenso sociale nel caso di “restituzione” alla collettività dei proventi del road pricing.9 Per completare il quadro teorico sulla regolazione della domanda va evidenziato il suo legame con la regolazione dell’offerta di trasporto. Talvolta l’intervento pubblico nel mercato del trasporto è teso a incentivare l’offerta di servizi con minori esternalità negative attraverso l’attribuzione di sussidi alle aziende che li producono. Nella comparazione tra modalità è evidente che la valutazione economica non muta, ad esempio, se è il prezzo della mobilità stradale ad aumentare in virtù del road pricing, ovvero se è quello della mobilità ferroviaria a diminuire in virtù degli aiuti pubblici. Ciò non toglie che restino alcuni effetti negativi nella sussidiazione delle modalità che producono meno esternalità negative, che rendono preferibile la tariffazione di quelle che ne producono di più. Innanzitutto la combinazione tra sussidio delle modalità “positive” e underpricing di quelle “negative” si traduce in una riduzione generalizzata del costo del trasporto che, a sua volta, determina una cattiva allocazione delle risorse e produce di conseguenza modelli insediativi - residenziali e produttivi - in cui il contenuto di trasporto è maggiore del livello di ottimo collettivo. In questo senso la internalizzazione dei costi esterni consente inoltre di programmare gli investimenti infrastrutturali sulla base della valutazione delle tendenze non distorte della domanda. In secondo luogo, proprio le teorie della deregulation e della regolazione concorrenziale, hanno evidenziato che gli interventi di sussidiazione hanno effetti perversi sull’efficienza dei regolati e sulla qualità dei servizi da essi prodotti. La regolazione della domanda sarebbe dunque da preferire perchè consentirebbe di ridurre i livelli di inefficienza sia allocativa che produttiva.10 4.3. L’operatività: verso il park pricing ? 9 Il problema della “comunità tariffaria” da prendere a riferimento è sollevato in particolare in Agens (1993). 10 Il tema è analiticamente trattato in Ponti (1994b) 4 Come già sottolineato il road pricing è lo strumento di regolazione della domanda che meglio di altri consente di ridurre la congestione internalizzandone i costi e riducendo così la domanda del bene scarso “infrastrutture scorrevoli”. Le tecnologie disponibili rendono infatti oramai possibile tenere conto delle caratteristiche dello spostamento rilevanti ai fini del suo impatto economico complessivo: lunghezza del viaggio, fascia oraria dello spostamento, tempo di percorrenza, aree attraversate, percorso seguito, veicolo utilizzato.11 Esse inoltre consentono di rendere automatica l’applicazione della tariffa e di far percepire in tempo reale al singolo automobilista l’ammontare del costo sopportato.12 Per produrre completamente i suoi effetti positivi il road pricing dovrebbe però essere applicato a tutto il sistema stradale (a partire dalle tratte a prezzo nullo). Al contrario, le poche esperienze operative sviluppate nel mondo hanno previsto la tariffazione di aree urbane limitate e di alcune tratte del sistema viario di accesso. Ciò ha di conseguenza ridotto le potenzialità di regolazione efficace della domanda ed ha dato luogo ad alcuni effetti di “travaso”, negativi sotto il profilo sia economico che della pianificazione della mobilità. L’applicazione limitata del road pricing può infatti provocare la congestione al confine delle aree e delle fasce orarie coperte dal sistema di tariffazione e può implicitamente incentivare il ricorso a percorsi alternativi più lunghi. Diversi sono dunque i fattori che condizionano la completa attuazione del road pricing: la definizione della sua stessa architettura di funzionamento (livello delle tariffe, loro modulazione oraria, delimitazione ad area o a cordone), le caratteristiche del sistema di mobilità (rete viaria, trasporti alternativi a quello stradale, politiche della sosta), caratteristiche strutturali della domanda (determinanti dello spostamento, profili O-D, caratteristiche socioeconomiche dei singoli). Non ultimo, il costo di costruzione e di gestione del sistema di esazione è anch’esso un fattore che ne ostacola la applicazione. Inoltre l’accettabilità sociale del road pricing si verificherebbe solo a fronte di livelli elevati di congestione ed inquinamento e contestualmente al suo inserimento in un piano articolato di interventi per la mobilità, centrato in particolare sul potenziamento dei parcheggi e delle forme di trasporto collettivo. 11 Una matrice che incrocia le caratteristiche dello spostamento ed i suoi costi marginali esterni e ricostruita in Verhoef et al. (1993). 12 La scelta tra le modalità di esazione della tariffa in relazione alle diverse finalità del road pricing è sintetizzata con efficacia in Cemt (1993; pp. 83-84). Lo stesso testo verifica che nel caso di regolazione della congestione, la tariffazione preferibile è quella in tempo reale con segnalazione all’interno dell’autovettura del costo sopportato. 5 Dubbi vi sono infine anche sul livello tariffario necessario per determinare effetti significativi sulla domanda individuale; la soglia da raggiungere sarebbe infatti tale da rendere ingestibile l’intero sistema in termini di consenso. L’insieme dei fattori che incidono negativamente sulla realizzabilità tecnologica, economica e sociale del road pricing hanno spinto studiosi ed amministratori ha ricercare forme di tariffazione della congestione meno efficienti, ma più applicabili.13 In particolare l’attenzione si è concentrata sui meccanismi di park pricing. Esso offre infatti il vantaggio di essere più facilmente gestibile, sia sotto il profilo tecnico che sociale; al contempo però, come già sottolineato, esso è meno efficiente proprio come strumento di regolazione economica della domanda.14 Il park pricing infatti riduce il totale degli spostamenti e non li raziona sulla base del loro valore. In particolare, in esso è implicita una cross subsidisation a vantaggio degli spostamenti a maggior impatto (più lunghi, con veicoli più inquinanti, di solo attraversamento, ecc.) ed a discapito di quelli a minor impatto.15 Più in generale - e senza dover entrare nel dettaglio dei suoi effetti distorsivi- il limite generale del park pricing deriva dal suo essere un regolatore efficiente dell’uso del bene scarso “parcheggio” e non del bene scarso “strada”. Un approccio pragmatico alla regolazione della domanda può però consentire di attuare forme di park pricing che ne sfruttino al massimo le potenzialità. In particolare l’efficacia dello strumento incrementa se la tariffa è articolata in funzione della collocazione del parcheggio e, soprattutto, della sua distanza dai centri di gravitazione del traffico. L’efficacia aumenta ulteriormente se il prezzo è differenziato per fasce orarie e se sono previsti spazi e tariffe ad hoc per categorie di automobilisti con curve di domanda profondamente diverse da quelle dei pendolari. Con queste specificazioni l’impatto del park pricing sui costi esterni della mobilità - e in particolare sui costi della congestione - è molto prossimo a quello dei sistemi di road pricing. 13 Tutte queste considerazioni non tolgono che in Italia sarebbe auspicabile - come evidenzia Ponti (1994b) - che i pedaggi autostradali venissero trasformati in tariffe di efficienza attraverso la loro rimodulazione territoriale ed oraria. 14 Un inquadramento teorico formalizzato del park pricing può essere trovato in Verhoef et al. (1993). 15 Il park pricing ha inoltre effetti negativi proprio sulla congestione del traffico, incentivando comportamenti elusivi quali la mobilità di accompagnamento e la “sosta mobile”; Fabbri e Battilani (1994). 6 Infine il park pricing può essere gestito come passaggio propedeutico - più tollerabile anche perchè tariffazioni della sosta esistono già ovunque - per un’accettazione sociale più agevole di forme successive e più rigorose di road pricing vero e proprio. 7 Bibliografia Agens, La regolazione dei trasporti nelle aree urbane e metropolitane, mimeo, Roma, 1993 Borgnolo C., Problemi di applicazione dei prezzi di efficienza al trasporto stradale, Mobilità anni novanta. Informazione, Comunicazione, Comportamenti, atti della 48-ma Conferenze del traffico e della circolazione, Stresa, ottobre 1992 Cascetta E., L’analisi della domanda per la progettazione dei sistemi di road pricing, in: Sistemi innovativi per il trasporto nella città di Como, atti del convegno, supplemento a TP-Trasporti Pubblici, novembre 1994 Cemt, Les Péages routiers urbains, Table Ronde, n. 97, 1994 Fabbri D. e Battilani P., Il governo nel settore trasporti a livello regionale, Progetto “Nuovo Regionalismo”, mimeo, Bologna, 1994 Ferguson E., Transportation Demand Management. Planning, Development and Implementation, Journal of American Planning Association, 1990 Fiat, Documento di lavoro per il convegno “Mobilità ed aree urbane”, Torino, giugno 1989 Fiat, Mobilità urbana. 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Informazione, Comunicazione, Comportamenti, atti della 48-ma Conferenze del traffico e della circolazione, Stresa, ottobre 1992 8 Ponti M., Le politiche possibili: una rassegna, in: AA.VV., Dodici interventi per i trasporti italiani e un saggio sulla sicurezza stradale, Edizioni Acinnova, Milano, 1994a Ponti M., Aspetti economici e finanziari nella gestione del traffico, in: AA.VV., Il sistema mobilità: verso una gestione manageriale, Etaslibri, Milano, 1994b Verhoef E., Nijkamp P. e Rietveld P., The Economics of Regulatory Parking Policies, Discussion Paper, n. 254, Tinbergen Institute, 1993 9