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CENTRO STUDI FEDERTRASPORTO - RAPPORTO 1996
RICERCA ECONOMICA E TRASPORTI
PREFAZIONE
Claudio Podestà
PARTE I
GLI IMPATTI DEL TRASPORTO
CAPITOLO 1.
INFRASTRUTTURE DI TRASPORTO, SVILUPPO ECONOMICO E
DIVARI REGIONALI
Daniele Fabbri
1.1.
1.2.
1.3.
1.4.
Introduzione
Il concetto di sviluppo economico
Teorie economiche della crescita e dello sviluppo regionale
Il ruolo delle infrastrutture di trasporto nello sviluppo
economico regionale.
1.5. Trasporti sostenibili e sviluppo regionale sostenibile
1.6. Analisi empiriche dell’impatto delle infrastrutture di trasporto
sullo sviluppo economico
1.7. L’analisi dell’impatto delle infrastrutture di trasporto sullo
sviluppo economico nei contributi italiani
Bibliografia
CAPITOLO 2.
IMPATTI
ECONOMICO-TERRITORIALI
INFRASTRUTTURE DI TRASPORTO
Daniele Fabbri
2.1.
2.2.
DELLE
Introduzione
Effetti delle infrastrutture di trasporto sull'attività economica: il
quadro teorico di riferimento
2.3. I modelli per l’analisi economica dell’interazione trasportiterritorio
2.4. I modelli di simulazione urbana
2.5. Gli studi italiani sull'interazione tra trasporti e territorio
Bibliografia
CAPITOLO 3.
I COSTI ESTERNI DEL TRASPORTO
Sergio De Lazzari
3.1.
Definizione e sistemazione teorica
3.2. Tassonomia e valutazione
3.3. Le politiche di internalizzazione
Bibliografia
COMMENTO
Marco Ponti
PARTE II
LA DOMANDA DI TRASPORTO
CAPITOLO 1.
MODELLI E DEFINIZIONI
Maurizio Caruso Frezza
CAPITOLO 2.
LA DOMANDA DI TRASPORTO DEI VIAGGIATORI
Maurizio Caruso Frezza
2.1.
2.2.
2.3.
2.4.
I modelli di domanda a quattro stadi
I modelli di domanda comportamentali o di utilità
casuali
L’approccio di analisi activity-based
Strategie semplificate di modellizzazione della
domanda di trasporto
3. LA DOMANDA DI TRASPORTO DELLE MERCI
Maurizio Caruso Frezza
3.1. Aspetti generali
3.2. I modelli di domanda di trasporto merci aggregati o
descrittivi
3.3. I modelli disaggregati o comportamentali
Bibiliografia
COMMENTO
Giorgio Beltrami
PARTE III
L’ OFFERTA DI TRASPORTO
CAPITOLO 1.
GLI AMBITI DELL’ANALISI
Alessandra De Lellis
2
CAPITOLO 2.
STRUTTURE INDUSTRIALI E FORME DI MERCATO
Alessandra De Lellis
2.1. Le peculiarità del mercato dei trasporti
2.2. La natura dei costi
2.3. La struttura industriala determinata dalla tecnologia
2.4. La struttura industriale determinata dalla domanda
CAPITOLO 3.
COMPORTAMENTI E PERFORMANCE DELLE IMPRESE
Alessandra De Lellis
3.1. Efficienza delle imprese
3.2. Innovazione tecnologica e imprese
Appendice 1
I costi standard e il trasporto pubblico locale: due metodologie di
analisi
Appendice 2
Il trasporto e la tassonomia di Pavitt
Bibliografia
COMMENTO
Riccardo Mercurio
PARTE IV
LA POLITICA DEL TRASPORTO
CAPITOLO 1.
LA PIANIFICAZIONE DEI SISTEMI DI TRASPORTO
Flavia Di Castro
1.1.
1.2.
Introduzione
L’evoluzione della programmazione nazionale in materia di
trasporti
1.3. L’analisi costi-benefici
Bibliografia
CAPITOLO 2.
IL FINANZIAMENTO DELLE INFRASTRUTTURE
Anna Gervasoni e Marco Ponti
2.1.
2.2.
2.3.
Alcuni richiami teorici
I problemi pratici del finanziamento pubblico
I vantaggi del project financing
3
2.4. Svantaggi e rischi del project financing
2.5. Alcuni aspetti politici
2.6. Aspetti tecnici
Bibliografia
CAPITOLO 3.
LA REGOLAZIONE DELL’OFFERTA
Gerardo Marletto
3.1. Premessa: i connotati pubblici del trasporto
3.2. Gli schemi di regolazione
3.3. Le istituzioni della regolazione
3.4. Gli approfondimenti modali
Bibliografia
CAPITOLO 4.
LA REGOLAZIONE DELLA DOMANDA
Gerardo Marletto
4.1. Premessa: uno strumento poco applicato
4.2. La mobilità e l’ottimo collettivo
4.3. L’operatività: verso il park pricing?
Bibliografia
COMMENTO
Ennio Cascetta
4
PREFAZIONE
Claudio Podestà, Politecnico di Milano
1. Il Rapporto 1996 del Centro studi della Federtrasporto va accolto con
vivo interesse ed apprezzato per l’impegno e l’accuratezza profusi
nell’affrontare tematiche di grande attualità. Lo sforzo di illustrare lo “stato
dell’arte” della ricerca nel campo dell’economia dei trasporti è infatti
opportunamente basato più sull’esame e sull’aggiornamento degli aspetti
teorici della complessa materia, che non sul tentativo di proporre delle linee
di soluzione ai numerosissimi problemi affrontati.
Questo di Federtrasporto vuole essere dunque un intervento sostanzialmente
culturale, con respiro peraltro non circoscritto ai soliti noti addetti ai lavori
ma teso, almeno nelle intenzioni, alla diffusione anche presso ambienti di
operatori per conseguire un aumento del livello delle conoscenze (e della
coscienza) da parte di chi "vive" i trasporti, che non può che migliorarne i
comportamenti nelle varie articolazioni di attività.
Attività che, come soprattutto l'esperienza recente ci insegna, è marcata
sempre più dalla necessità di interpretare ed assecondare le complessità
sempre più accentuate della domanda e del mercato: una migliore
comprensione dei fenomeni dovrebbe quindi aiutare tutti a trovare, mediante
opportune mediazioni fra stati di fatto generali cogenti ed interessi
circoscritti, l'uscita dalle difficili situazioni in cui ci troviamo.
Basti pensare per esempio a tutta la emergente problematica delle
"esternalità" nel campo dei trasporti urbani ed alle difficoltà diffuse di
traduzione in pratica delle politiche che ne derivano, per rendersi conto della
necessità che certi approcci teorici innovativi non restino più confinati ad
ambienti ristretti di intellettuali, ma debbano viceversa essere resi
comprensibili e diffusi, così da formare e consolidare la consapevolezza
degli operatori (inclusi i legislatori) e degli utenti in generale. Ci sembra che
questo Rapporto voglia muoversi in questo senso e noi vorremmo
sottolineare maggiormente tali aspetti, anche se certamente in modo parziale
e frammentario.
Innanzitutto va sottolineato come a fare da sfondo a tutto il discorso sia
solidamente affermata una concezione "plurimodale" ovverosia di piena
integrazione fra modalità di trasporto.
Da questo punto di vista ci pare che la ricerca ricordi al mondo della nostra
politica che non si può più continuare a conservare il settore dei trasporti
nazionali come una serie di compartimenti autogestiti e tendenzialmente
separati nelle strategie, nelle strutture operative, nella spesa. Ancora (ma si
potrebbero derivare numerosissimi richiami dalla lettura di questi saggi), ci
viene da sottolineare come dai diversi contributi affiori una valorizzazione
del ruolo dell'impresa, quella vera capace di misurarsi effettivamente col
mercato, anche in un settore che ci ha un po’ fatto dimenticare molti concetti
che viceversa negli altri ci sentiamo in obbligo di considerare.
Potremmo continuare, ma vogliamo invece concludere queste prime
notazioni generali domandandoci come mai per esempio la sfera politica in
Italia sia tanto riluttante a dialogare con il mondo della ricerca scientifica al
fine di perseguire quelle soluzioni che, oltre a raggiungere risultati concreti e
di soddisfazione generale, magari anche dal punto di vista del consenso
popolare, rispondano anche a quei requisiti di modernità (non diciamo di
innovazione) culturale, che dovrebbero essere attributo orgoglioso dei
policy-makers di oggi. Forse ciò è dovuto al timore di perdere la forza di una
discrezionalità finora spesso malamente sperimentata. Forse intervengono
anche spinte contrastanti, fra le quali finiscono poi col dominare interessi
che puntano a frenare gli spunti innovativi provenienti dalla ricerca e ne
impediscono l'affermazione. Oppure gli studiosi e la sfera accademica in
particolare si bloccano dietro una concezione di distaccata autonomia,
chiusa e in definitiva poco comunicativa delle proprie attività, o magari
troppo accomodante. Per cui finiscono col non rendere trasferibili i risultati
delle proprie elaborazioni e dunque col non esercitare alcuna influenza sul
piano politico. Dimenticando spesso che tutto quanto attiene al mondo del
trasporto costituisce elemento economico decisivo per i conti delle imprese
ed in buona sostanza delle famiglie, della gente comune.
2. L'operazione di illustrare ai lettori di questo testo i caratteri e gli
intendimenti che gli Autori ed i Commentatori chiamati da Federtrasporto
hanno voluto perseguire, è compito stimolante anche se non semplice.
Seppure in senso generale l'organizzazione adottata per la stesura, in forma
antologica per parti redatte da vari Autori e relativi commenti, proponga una
ripartizione della materia lineare ed equilibrata, in buona misura classica
nella scelta e nella sequenza degli argomenti illustrati (gli impatti, la
domanda, l'offerta, la politica, il finanziamento delle infrastrutture, la
regolazione della domanda e dell'offerta). Tuttavia questo stesso criterio
tende a proporre, nell'ambito di ciascuna delle parti, una trattazione
monografica che offre talvolta qualche difficoltà di raccordo fra le parti e di
omogeneità dell'esposizione, come spesso accade peraltro in questo tipo di
composizioni a più mani. Il compito del prefatore è reso poi più arduo (o più
semplice, se si vuole) dal fatto che i commenti a ciascuna parte offrono già
di per se spunto esplicativo e ne accentuano in parte tale carattere
monografico.
Nonostante le difficoltà riscontrate in una lettura e valutazione d’insieme del
Rapporto, l'analisi dello stato dell'arte nell'ambito della ricerca sui trasporti,
offerto da questa raccolta di saggi ci sembra conseguente ed esaustiva. Il
bagaglio di ricerche illustrato dai vari autori - e reso accessibile attraverso le
bibliografie, oltre che dai commenti sviluppati per ciascun nucleo di
argomenti - fornisce in effetti uno stimolante invito all'approfondimento.
3. La questione degli "impatti" del trasporto, sviluppata nella prima parte da
Fabbri e De Lazzari, con commento generale di M. Ponti, viene trattata
partendo dai presupposti teorici più attuali e cioè quelli che si basano
essenzialmente sui limiti imposti alla crescita economica dall'habitat
naturale e quindi dalla considerazione di questioni come l'inquinamento,
l'esaurimento di risorse naturali non rinnovabili e l'eccesso di sfruttamento
di risorse rinnovabili. Cui si dovrebbe forse aggiungere, seppure in senso
"macro", l'accelerazione del danno "entropico" causato dai processi
produttivi, incluso quello legato alle attività di trasporto (v. ad esempio
conseguenze dell'intensificarsi dell'aerotrasporto massivo). Il principio
ormai acquisito, che si debba procedere seguendo uno sviluppo "che soddisfi
i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle future
generazioni di soddisfare i propri", viene esaminato nella ricerca teorica
corrente secondo due punti di vista antagonisti, da cui derivano
evidentemente modi differenti di svolgere il tema, funzionali a tali visioni,
in particolare per quanto concerne gli interventi infrastrutturali.
L'assunzione di un modello di sviluppo "equilibrato", sostiene la tendenza
verso una distribuzione delle attività sul territorio armonica rispetto ad
eccessi di concentrazioni produttive e include altresì l'ipotesi di un mercato
perfettamente concorrenziale: più il sistema dei trasporti è caratterizzato da
elevata copertura delle relazioni spaziali e da buona efficienza funzionale,
maggiormente esso, secondo questa teoria, dovrebbe contribuire ad
eliminare gli elementi di frizione e dunque a neutralizzare il connotato
spaziale che ostacola il raggiungimento dell'equilibrio regionale perseguito.
Ogni miglioramento al sistema introdotto in modo coerente seguendo tale
visione, dovrebbe dunque operare in senso favorevole al conseguimento
dell'obiettivo. In pratica però risulta che tutto è condizionato dalle tipologie
dell'offerta di trasporto preesistente e dal reciproco condizionamento fra
dette tipologie e la dinamica di evoluzione dei processi produttivi. Per cui
nel concreto si instaurano forme di adattamento fra sistema produttivo e
sistema di trasporto che configurano ibride e certo non ottimali situazioni,
con forti diversificazioni spaziali. Pensando all'Italia non si può al riguardo
dimenticare che la tendenza è storicamente verso una consolidata
monomodalità (automobilistica) di trasporto, che certo condiziona
ulteriormente il modello di sviluppo territoriale ed ispira conseguentemente
la considerazione che il divario fra questa teoria e la prassi corrente,
misurato negli effetti rimane molto ampio. Ammesso e non concesso difatti
che l'obiettivo di una eventuale politica dei trasporti in Italia fosse stato
quello di "distribuire" meglio lo sviluppo fra regioni, mediante
miglioramenti sui trasporti interregionali (quindi sulle
distanze
medio-lunghe), la risposta sarebbe chiaramente che tale obiettivo non è stato
almeno per ora conseguito.
4. Partendo viceversa da un approccio di analisi radicalmente diverso (teoria
dello sviluppo ineguale e dei rendimenti di scala), si può argomentare che
finora di fatto si è marciato piuttosto verso un modello di sviluppo
territoriale di questo tipo, cioè di non-equilibrio, basato su "rendimenti di
scala" come indicano gli autori, che affermano sulla base delle teorie
correnti che "l'industrializzazione ha proceduto verso concentrazioni
territoriali produttive sempre più spinte provocate dallo sviluppo di
tecnologie con elevati rendimenti di scala.
Per cui sviluppo tecnologico e spazio hanno operato in questo senso come
forze conflittuali".
Adottando questa chiave di lettura dei fenomeni si giunge pertanto alla
conclusione che i miglioramenti introdotti nel sistema dei trasporti non solo
non favoriscono uno sviluppo equilibrato, ma addirittura rendono più
marcati i divari "favorendo ulteriormente i processi di concentrazione
produttiva e di specializzazione regionale".
Una riflessione su queste due interpretazioni circa il ruolo giocato dai
sistemi di trasporto nel processo di sviluppo regionale, permette di osservare
comunque, assieme agli autori, come l'interazione fra trasporti e sviluppo è
fenomeno di non facile decifrabilità. E come quindi, anche agli effetti di una
pianificazione degli interventi infrastrutturali, le scale di analisi ed i contesti
locali d'area debbano assumere rilievo decisivo nella formazione delle
decisioni.
5. Si potrebbe aggiungere, a titolo peraltro di rilievo marginale, che gli
approcci di ricerca considerati in questa parte del Rapporto ai fini di
approfondire la conoscenza di tali interazioni, tendono forse a sottovalutare
la mobilità delle persone. La grande concentrazione di mobilità umana che
di fatto si va sviluppando ovunque, probabilmente per le stesse ragioni per
cui si formano le concentrazioni territoriali produttive di cui si è accennato,
pongono ci sembra questioni interpretative (e pratiche) egualmente pesanti.
Con la conseguenza che, associato ad un grande ed indecifrabile problema di
trasporto merci, è presente un altrettanto cospicuo e rilevante problema di
traffico di persone connotato per di più da elementi contrastanti di
sistematicità ed erraticità, che ne rendono assai complessa la teorizzazione e
soprattutto ostacolano il concepimento di soluzioni armonicamente
coniugabili con il resto. Ci piace qui ricordare in merito che negli ultimi
decenni la crescita della domanda passeggeri in ambito metropolitano ed
urbano, quella che potremmo chiamare "l'urbanizzazione del traffico",
prodotta dalle trasformazioni in atto del territorio e delle funzioni
insediative, è stata in pratica il fenomeno più rilevante e davvero prioritario
da fronteggiare. Mediante una piccola analisi numerica possiamo rilevare
infatti dalle tabelle dell'ultimo CNT che il totale dei Pkm sulle distanze
brevi (meno di 50 km) ha superato fra il '92 e il '93 quello dei Pkm sulle
distanze medio-lunghe.
Mentre infatti questi ultimi apparentemente si sono sviluppati nel tempo
secondo un andamento lineare, i Pkm sulle brevi distanze crescono secondo
un andamento non lineare e con gradiente apparentemente più deciso. Se poi
teniamo conto della circostanza che tale crescita è avvenuta di fatto a spese
di una sola componente del sistema di trasporto e cioè quella stradale,
causando inconvenienti ormai ben noti, in termini di congestione, di impatto
ambientale e, si deve sottolineare con forza, di incidentalità stradale, con
particolare riferimento proprio all'ambito urbano, in cui questo particolare
fenomeno si va manifestando ed accentuando in modo forse più rapido e
preoccupante, come accenna anche De Lazzari, ci rendiamo conto della
necessità da parte del mondo della ricerca di dedicare maggiore attenzione a
questo aspetto.
Il commento di Ponti in merito è molto puntuale, quando afferma la
crucialità dei costi di trasporto-persone nel contesto produttivo inteso però
come fattore "allargato". Non considerato cioè come semplicemente legato
al mercato tradizionale del lavoro, anche se riferito a profili d'impiego
sempre più qualificati (terziario, hi-tech, ecc.) e dunque più rari, ma in
generale come fattore indicativo della "qualità della vita" nell'area
considerata. Avendo menzionato questo commento non si può anche fare a
meno di segnalare come rimarchevoli le osservazioni che Ponti propone a
proposito delle "esternalità".
6. Altro rilievo forse non del tutto marginale su questa parte dedicata agli
impatti, riguarda la influenza delle tecnologie innovative (in particolare
TLC) ed i cambiamenti in atto a livello sociale, individuale e di
organizzazione aziendale, che portano ormai ad assumere una visione
globale della "comunicazione". Intendendo con tale termine qualsiasi forma
di interazione, sia che questa comporti spostamenti di persone e/o merci, sia
che comporti trasmissione di informazioni.
L'idea di una vantaggiosa fungibilità fra i trasporti e le telecomunicazioni
scaturisce fra l'altro da diverse considerazioni ed analogie presenti nei due
sistemi. Innanzitutto, si ha sempre "trasporto" (di persone e cose o di
informazioni); le infrastrutture relative ("autostrade delle informazioni" e
"teleporti") seguono spesso lo sviluppo delle reti di trasporto esistenti;
alcuni spostamenti fisici vengono effettuati per acquisire o comunicare
informazioni; ecc.
In entrambi i sistemi si hanno "reti": in ciascun tipo di rete gli archi possono
avere differenti capacità, diverse velocità di trasporto ed essere progettati per
differenti tipologie di traffico.
Trattando di "reti", si possono poi applicare le stesse tecniche analitiche sia
alle telecomunicazioni che ai trasporti (teoria delle reti, tecniche di controllo
ottimo, ricerca operativa, ecc.)
La possibilità di considerare i trasporti e le telecomunicazioni come un
unico sistema in rete (teletrans network), all'interno del quale il processo di
scelta tra l'effettuazione di uno spostamento fisico e l'utilizzazione di
strumenti telematici può avvenire in modo equilibrato, produce importanti
conseguenze.
Spostarsi istantaneamente da un luogo all'altro annullando virtualmente le
distanze diviene oggi un'alternativa reale e le teleattività (telelavoro,
teleshopping, teleservizi, ecc.) sono già attualmente praticabili per lo
svolgimento di funzioni od attività. L'accesso alle informazioni è poi
divenuto immediato e ciò spesso senza bisogno di sapere dove esse si
trovino ed indipendentemente dal luogo in cui ci si trovi.
Nel campo della mobilità si presenta in conseguenza una nuova alternativa,
che potremmo definire opzione di non-spostamento "produttivo", di cui si
deve tenere conto.
L'effetto totale delle telecomunicazioni sui trasporti non è ancora ben
definito, ma esso si manifesterà probabilmente con una modificazione dei
modelli di viaggio, piuttosto che con una riduzione della domanda di
spostamenti; ulteriori spostamenti potranno, al contrario, essere generati
proprio per effetto dell'innovazione, con la disponibilità di tempo libero
utilizzabile per altri viaggi, dovuto alla sostituzione della mobilità fisica con
le telecomunicazioni.
A lungo termine, le ripercussioni sull'uso del suolo di queste innovazioni
potrebbero portare a localizzazioni residenziali ed industriali più disperse
con viaggi più lunghi o con più spostamenti complessivi, forse proprio nel
senso promosso dalla teoria dello sviluppo equilibrato.
Se accettiamo dunque il fatto che le potenziali interazioni tra gli spostamenti
fisici e gli spostamenti immateriali possono determinare notevoli impatti a
livello individuale, familiare, di organizzazione aziendale, della società
intesa in senso lato, ecc. sia a breve che a lungo termine, il compito del
mondo della ricerca di valutare nel suo complesso il nuovo sistema
trasporti-telecomunicazioni, appare decisivo.
Come già accennato, purtroppo la conoscenza attuale delle interazioni tra
telecomunicazioni e trasporti, dei reciproci impatti su domanda ed offerta e
dei fattori che li determinano, è molto limitata. L'ipotesi di sostituzione si
indirizza verso una singola e forse ottimistica dimensione del cambiamento
e l'affermazione di Miller (1980) che la sostituzione "è più citata che
esaminata", risulta ancora valida.
7. La parte dedicata alla domanda (M. Caruso Frezza, con commento di G.
Beltrami) si sviluppa secondo il classico assunto per i trasporti della
"domanda derivata", cioè di un'attività che si associa in modo
complementare ad altre da svolgere in luoghi diversi e di conseguenza
argomenta che dietro la domanda di trasporto "esistono una molteplicità di
soggetti e di condizioni che impongono di volta in volta un processo di
caratterizzazione secondo diversi parametri, al fine di pervenire ad una
modellizzazione utile all'individuazione delle variabili esplicative della
mobilità delle persone o delle merci". Viene quindi proposta una vasta ed
esauriente rassegna delle ricerche nell'ambito della domanda,
sostanzialmente basata sulla modellistica disponibile in letteratura. L'autore
del saggio infatti ritiene che partendo dall'analisi delle numerose famiglie di
modelli che si sono sviluppate nel tempo come frutto delle attività delle
varie scuole di ricerca, si pervenga oltre che al risultato di poter effettuare
delle simulazioni di funzionamento di reti utili ai fini della valutazione degli
interventi da compiere, anche ad "una concettualizzazione per quanto
possibile precisa dei fattori e dei vincoli che condizionano le decisioni di
mobilità sul territorio".
E' evidente che il momento della "concettualizzazione" cui si fa riferimento
è proprio quello iniziale della messa a fuoco e della selezione dei criteri da
assumere come significativi nella descrizione dei comportamenti.
Esso rappresenta quindi la base di partenza per le elaborazioni modellistiche
successive, in quanto, come osserva anche Beltrami nel suo commento, "la
scelta degli elementi ritenuti rilevanti condiziona la capacità del modello di
rappresentare la realtà secondo particolari punti di vista". Condivisibile
anche l'altra osservazione di Beltrami, riferita chiaramente alla situazione
italiana, che l'apparato modellistico funge più spesso da orpello (Beltrami
dice "da corredo") che non da organico e sentito integratore dei processi
decisionali.
Anche se vale la pena rilevare che il carattere necessariamente
approssimativo delle risultanze provenienti dalle applicazioni modellistiche,
deve sempre ricevere secondo noi rigorosi ed "onesti" temperamenti nella
fase di traduzione nella pratica.
8. Alla panoramica sullo stato della ricerca nel campo della domanda di
trasporto, fa seguito la terza parte sull'offerta, curata da Alessandra De Lellis
con commento di R. Mercurio. La materia viene inquadrata rilevando
anzitutto il cambiamento che si è prodotto nei riguardi della ricerca in
termini di prospettiva e di metodologie, per effetto dell'evoluzione più
recente del settore. Ed indicando poi che gli studi in letteratura
sull'argomento si possono raggruppare sostanzialmente in due filoni, quelli
che analizzano i trasporti secondo schemi teorici noti, ma facendo uso di
strumenti di analisi sofisticati e quelli che seguono metodologie standard di
analisi industriale. Viene inoltre precisato che ai fini della rassegna vengono
considerati i concetti di offerta, limitatamente alla gestione della
componente veicolare, cioè in generale al materiale mobile (poiché si ritiene
che l'analisi dei contributi di ricerca sull'offerta di infrastrutture appartenga
alla sfera dei lavori sulla valutazione e pianificazione degli investimenti) e
della cosiddetta filiera dei trasporti, approccio innovativo di analisi secondo
il quale diviene prioritario il riferimento alla tecnologia di produzione,
superando per ciò l'approccio SCP (struttura-comportamento-performance)
secondo il quale tale aspetto interviene solo come componente di costo.
A proposito di questi concetti viene tuttavia preliminarmente affermato
come ambedue siano caratterizzati dal fatto che dal punto di vista dell'analisi
economica "non definiscono esattamente l'ambito di studio".
Nonostante tale posizione apparentemente riduttiva, in particolare per
quanto riguarda la filiera, si può osservare che le due chiavi di lettura si
evidenziano egualmente in modo abbastanza definito attraverso l'esame dei
contributi considerati.
Aiuta poi ci sembra alla migliore comprensione di questa tematica, la serie
molto puntuale di commenti sviluppata da R. Mercurio, che si manifesta
decisamente a favore dell'assunzione di punti di vista innovativi nell'attività
di analisi e di studio dell'offerta di trasporto.
Punti di vista che tengano conto dei molti e sostanziali cambiamenti che
sono ultimamente sopravvenuti, sia sotto l'aspetto della tecnologia e dunque
dell'organizzazione industriale, sia sotto l'aspetto della gestione delle
imprese esercenti il trasporto, le quali da un'impostazione pubblicistica e
fondamentalmente monopolistica, devono per forza di cose assumere la
capacità di muoversi secondo logiche di mercato e di orientamento al
cliente. Tutto ciò impone, e ci sembra che la doviziosa rassegna della
letteratura lo confermi, la necessità, come sostiene anche Mercurio, di un
"cambio di paradigma, passando da una visione statica, tipica del modello
SCP ad una dinamica, che assegna invece un particolare rilievo
all'innovazione e che pertanto trova nella tecnologia la sua variabile
esplicativa principale". I nuovi percorsi di ricerca ispirati all'assunzione di
tale punto di vista in cui la tecnologia assume un ruolo centrale e innovativo,
certamente si presentano suscettibili di interessanti sviluppi. Ciò tuttavia non
deve far dimenticare l'aspetto menzionato della gestione delle imprese
esercenti su cui la ricerca almeno in Italia non si è forse abbastanza
misurata, probabilmente per lo stato deplorevole del settore che vale la pena
qui ricordare assieme alla circostanza del ritardo inspiegabile con cui si
procede alle riforme. I dati sui costi italiani per questo segmento di attività
pubblica ed in particolare sul costo del lavoro, a confronto con altre realtà
nazionali e straniere, sono infatti ben noti ma restano comunque
sconcertanti. Secondo un'indagine proprio di Federtrasporto ad esempio,
riportata da A. Boitani, posto 100 la retribuzione contrattuale nell'industria,
risulta 108,8 quella nelle ferrovie concesse; 114,49 quella nelle
municipalizzate; 136 quella nelle FS. Nel corso degli ultimi vent'anni il
costo del lavoro nel settore è aumentato di un indice 1014, mentre
l'inflazione è aumentata di 816.
Non è certo questa l'occasione per entrare nel merito di un argomento così
complesso e delicato che fra l'altro viene ampiamente ripreso da G. Marletto
successivamente nel corso di questa raccolta di saggi, a proposito della
regolazione dell'offerta.
Ci sembra comunque da segnalare che nell'ambito di così qualificati
contributi di ricerca teorica, non sia mai perso di vista il lato pratico dei
problemi dell'offerta e che venga mantenuta piena consapevolezza di tutti gli
aspetti della questione, anche nell'ispirare le linee di ricerca.
9. La quarta parte affronta in generale il tema della politica del trasporto con
commenti di E. Cascetta. Il primo paragrafo sviluppato da Flavia Di Castro
tratta della pianificazione da un punto di vista sostanzialmente descrittivo
delle metodologie applicate ed in particolare dell'analisi Costi-Benefici e
dell'analisi Multicriteriale (MCDM), per la valutazione ed il confronto delle
alternative d'intervento sugli elementi del sistema di trasporto.
Questo aggiornamento su di una tematica che conserva diffuso interesse,
nonostante i mutamenti d'indirizzo in atto in materia di scelte nell'ambito dei
trasporti, si associa opportunamente al contenuto del paragrafo successivo
(Gervasoni-Ponti), dedicato al finanziamento delle infrastrutture ed in
particolare all'ampia ed attuale problematica del cosiddetto
"project-financing" PF. Su questo tema, partendo da una lucida premessa
descrittiva di efficace carattere teorico-esemplificativo, gli autori del saggio
giungono ad esempio a formulare amare seppur realistiche constatazioni su
alcune significative esperienze italiane come autostrade ed alta-velocità
ferroviaria, troppo spesso forzatamente giustificate in base a necessità di
sviluppo in presenza di limitanti carenze di contesto. Dalle quali
constatazioni si ricava che proprio le grandi infrastrutture di trasporto sono
state e tuttora sono in Italia oggetto di fenomeni di "cattura" del soggetto
pubblico da parte di gestori di monopoli naturali (magari soggetti privati
mascherati da pubblici), che tendono ad occultare nelle pieghe del bilancio
pubblico, magari sotto forma di "garanzie" (cioè indebitamenti surrettizi),
operazioni speculative e comunque ogni componente di rischio, assieme ad
operazioni di "overinvestment". Laddove viceversa l'esperienza di altri paesi
avanzati, anch'essi alle prese con problemi di scarsità di risorse finanziarie
pubbliche, dimostra che non è attraverso l'investimento nei trasporti che si
risolvono i problemi dello sviluppo, come anche altri saggi della raccolta
tendono a sottolineare. Si sta difatti osservando che nei paesi industrializzati
è in atto un calo di investimenti in questo settore, mentre non è affatto in via
di riduzione la domanda di servizi di trasporto. Il PF, inteso non come ricetta
univoca, ma come linea di approccio in cui ad un soggetto di natura
privatistica viene affidata mediante gara la concessione di costruzione e
gestione di un'infrastruttura, sembra offrire il vantaggio del superamento di
parecchi degli svantaggi connessi al modus-operandi finora seguito nella
programmazione ed attuazione di tali opere.
C'è peraltro da osservare che il contesto politico-normativo italiano non è
molto incentivante verso forme di rischio imprenditoriale applicato ad opere
d'uso pubblico: il caso ad esempio dei parcheggi urbani che ovunque in
Europa sono privati e funzionano, è abbastanza indicativo.
La descrizione comunque dei tecnicismi nei quali oggi si possono articolare
le varie forme applicative di PF, offre agli autori lo spunto per ulteriori
interessanti osservazioni che si concludono peraltro con l'implicita
conclusione che su questi procedimenti l'elaborazione teorica italiana è
ancora agli inizi.
10. Gli ultimi due saggi della raccolta, relativi alla Regolazione dell'Offerta
(e della Domanda), sono sviluppati da G. Marletto, che rileva anzitutto
come, per una serie di cause storiche ormai ben individuate e dalle quali
sono derivati guasti cospicui al sistema in termini di cadute di efficienza e di
qualità dei servizi (oltre ad insostenibili oneri per la finanza pubblica), si
vadano ormai affermando nuovi modelli di intervento pubblico nel settore,
che si discostano dall'applicazione delle teorie paretiane classiche. In questo
mutamento di quadro concettuale si manifesta una crescente attenzione
teorica, ma anche politica, verso schemi di "regolazione incentivante" per le
imprese, come ad esempio quella basata sul metodo cosiddetto del
"price-cap".
Molta parte della letteratura descrittiva ed interpretativa di tali schemi (e
Marletto ne offre un'ampia panoramica), è ispirata in particolare alle vicende
non solo italiane del trasporto collettivo locale. Ampio interesse è dedicato
per esempio in questo saggio alle significative sperimentazioni effettuate
negli ultimi dieci/quindici anni in Gran Bretagna, ovvero in un contesto
operativo (non certo normativo) assimilabile a quello italiano.
Sperimentazioni ormai giunte a maturazione con estensiva applicazione
della cosiddetta "deregulation", nella cui logica viene eliminata ogni forma
di sussidio alle aziende ed ogni tipo di pianificazione della rete da servire,
tentando di creare le condizioni per il manifestarsi di una piena concorrenza
fra i vari soggetti imprenditoriali coinvolti. I banchi di prova di queste
sperimentazioni come noto sono stati Londra (regolazione concorrenziale)
ed il resto del paese (liberalizzazione), da cui si è ricavato che l'efficienza
delle aziende è migliorata (riduzione dei costi del 15%).
Per quanto attiene inoltre la qualità dei servizi, i migliori risultati sono quelli
londinesi (per esempio in termini di innovazione tecnologica e di
integrazione modale), anche se buone performance hanno dato i sistemi di
trasporto periferici. La forma del mercato ha anch'essa fornito interessanti
spunti di miglioramento ad esempio per l'affermarsi di una significativa
selezione di imprese più capaci, oggi ben consolidate nell'attività.
Il saggio si addentra poi nell'ampio e variegato settore delle ferrovie, per le
quali a livello mondiale si offrono numerosi esempi di innovazione
gestionale, ispirati evidentemente dalla circostanza che l'attività del trasporto
ferroviario ha praticamente ovunque offerto un esempio senza appello di
"fallimento del mercato", come sostiene lo stesso autore. Nell'acquisizione
teorica più recente appare evidente che mentre la rete di infrastrutture,
fisicamente non riallocabile, costituisce sicuramente un monopolio naturale,
l'esercizio invece rappresenta un'attività "contendibile", nella quale cioè si
può espletare la concorrenza. Da ciò l'approccio regolatorio più recente, che
prevede la separazione fra rete e produzione del servizio, approccio che
costituisce fra l'altro la base dell'orientamento comunitario espresso nella
famosa Direttiva 440/91. La questione naturalmente presenta ancora sul
piano concettuale ed applicativo molte difficoltà, per cui anche al livello
nazionale, dei diversi paesi che si sono e/o si stanno cimentando con le
soluzioni a queste complesse problematiche, si offrono soluzioni diverse
sulle quali con lucidità e chiarezza il saggio fa buona luce, descrivendo
molti dei modelli applicati.
COMMENTO PARTE I
Marco Ponti, Università di Castellanza
1.
Una prima osservazione metodologica concerne la stessa formulazione del
problema: l’impatto della infrastrutture di trasporto. Tale impatto, a parte gli
effetti “di cantiere” sui quali torneremo, è di per sè nullo: ciò che impatta sul
contesto economico sono le variazioni dei costi di trasporto da esse indotte.
E tali variazioni di costo necessitano di analisi del tutto specifiche, e
scarsamente connesse con le caratteristiche fisiche delle infrastrutture stesse.
Infrastrutture di trasporto in contesti non congestionati, che quindi
modifichino in modo marginale i costi di trasporto nei paesi sviluppati (dove
la congestione è il costo dominante), non hanno impatti apprezzabili.
2.
Per il trasporto merci inoltre vi sono forti indizi che fanno ritenere ancora
più rilevanti i dubbi sull’impatto economico anche delle infrastrutture
“utili”, cioè tali da abbassare i costi di trasporto: tali costi hanno un ruolo
decrescente per le imprese, e ciò è senz’altro vero che il passato recente, ma
sarà vero anche nel prossimo futuro. Sono sufficienti due osservazioni
empiriche: il mix merceologico dei paesi sviluppati tende a spostarsi su beni
ad alta “densità di valore” (valore per tonnellata): dal carbone o dal grano ai
prodotti elettronici o all’abbigliamento “firmato”. L’incidenza del costo di
trasporto decresce rapidamente, in favore del tempo di viaggio e
dell’affidabilità delle consegne.
Si potrebbe obiettare: la congestione peggiora proprio i tempi e certezze di
consegna. Il fenomeno va tuttavia visto nelle sue dimensioni: le perdite di
tempo e di affidabilità “da congestione”, anche grave, sono irrilevanti per le
consegne: il trasportatore (stradale, poiché questo è il modo dominante e
congestionato) programma qualche ora di tempo perduto ed è tutto. Le
imprese non se ne accorgono neppure (si immagini un viaggio medio di 300
km, che invece di essere percorso in 5 ore a 60 km/h, sia percorso in 7 ore a
45 km/h, con due ore perse in rallentamenti).
Una seconda osservazione empirica è la crescita irresistibile dei modi di
trasporto più costosi, ma affidabili e veloci, rispetto a quelli più economici,
cioè il prevalere di autotrasporto e aerei su ferrovie e vie d’acqua interne.
Ciò è perfettamente coerente con il crescere del valore delle merci.
Le riprove scientifiche delle considerazioni precedenti sono ormai
numerosissime: da Quinet a Fogel (premio Nobel), ma più recentemente, per
negativo, a Porter (cita i trasporti due volte in tutto tra gli elementi da
considerare per lo sviluppo di aree industriali “vincenti”, mentre cita la
formazione, l’istruzione ecc. credo centocinquanta volte), o a recenti studi
europei (DGXV, A.T. Kearney) e italiani (Economia Pubblica). Non si
confondano tuttavia i costi di trasporto con i costi logistici.
Questi in realtà crescono, e tendono a divenire cruciali in una logica
“Just-in-time”: ma la componente di puro trasporto di tali costi rimane assai
bassa (cfr. ancora A.T. Kearney) ed anzi, la sostituzione riprova dello scarso
peso di quest’ultimo fattore, a fronte di fattori gestionali, di informazione,
ecc..
3.
Ma un’altra componente dei costi di trasporto tende a divenire cruciale per
le imprese ed a rivestire di conseguenza un ruolo importante nello sviluppo
economico di regioni o paesi. Tuttavia mancano ancora ricerche adeguate su
questo tema (cfr. Borgnolo). Si tratta dei costi del trasporto persone, non
inteso, si badi, come il tradizionale costo della pendolarità degli addetti, e
quindi del mercato locale del lavoro. Si tratta delle condizioni di mobilità
dell’area in cui l’impresa è insediata, come elemento di “qualità della vita”
capace di attrarre la mano d’opera più qualificata, divenuto fattore critico e
scarso per i settori industriali più dinamici, che sono quelli terziari o
comunque dediti a produzioni “immateriali”.
Le caratteristiche tipiche di questo “trasporto” sono i collegamenti aerei o di
treni veloci, e la ridotta congestione stradale: ma sono anche fortemente
connessi con le caratteristiche urbane complessive, le “amenities”
disponibili, la qualità ambientale ecc.. Si tratta di un campo di ricerca su cui
varrebbe la pena di concentrare l’attenzione, mettendo a punto appositi
strumenti di analisi.
4.
Della scarsa incidenza complessiva dei costi di trasporto sullo sviluppo
territoriale vi sono ulteriori riscontri empirici: le eccellenti performance di
aree congestionate, cioè con costi di trasporto relativamente elevati. si pensi
al Giappone (certo dotato di treni veloci, ma con tariffe elevatissime, una
congestione stradale estrema, e alti costi di trasporto merci a causa delle
distanze dalle aree di approvvigionamento e sbocco), ma anche alla
Tailandia, o a Taiwan, o a Hong Kong. Ma in contesti più vicini a noi, Los
Angeles è da sempre l’area più congestionata degli Stati Uniti, come molte
altre aree metropolitane americane.
La Lombardia e il Veneto sono le aree più congestionate d’Italia, da molti
anni, e sono quelle con la crescita più dinamica: in termini semplificati, una
circolazione rallentata non costituisce vincolo alla crescita, e, viceversa, una
dotazione infrastrutturale sovrabbondante non sembra indurre sviluppo.
Molte ragioni del Mezzogiorno hanno infrastrutture amplificate
sottoutilizzate, senza che ciò abbia costituito un fattore di attrazione
rilevante per le imprese.
Un altro aspetto critico per gli effetti territoriali sono i collegamenti tra aree
a diverso livello di sviluppo: anche qui emergono forti dubbi sull’opinione
dominante, che annette grande importanza a questi collegamenti. Tali dubbi
sono stati recentemente e clamorosamente confermati in sede teorica da
Krugman, ed in sede modellistica da una ricerca della Commissione
Europea: vi è convergenza tra teorie e modelli sul fatto che l’abbassamento
2
dei costi di trasporto favorisce le aree forti in relazioni a quelle deboli
(“concentra” lo sviluppo là dove è già avviato.
Ciò contrasta clamorosamente e frontalmente con le politiche tendenti a
favorire i collegamenti tra aree forti ed aree deboli con l’obiettivo di favorire
queste ultime.
5.
E qui vale la pena di riprendere gli impatti “di cantiere” delle infrastrutture,
che sono spesso portati come argomentazioni ad ulteriore supporto di quelle
“di sviluppo”.
Si tratta di un approccio keynesiano sempre meno difendibile: modelli
monetaristi o anche solo neo-keynesiani mostrano benefici di sviluppo
modesti, anche se nel caso italiano si commissionano solo ricerche
strettamente keynesiane, ed agiografiche, per rinforzare le richieste di denari
pubblici per infrastrutture. Vi sarebbe poi da osservare che gli effetti “di
cantiere” sono comunque relativamente non favorevoli sia dal punto di vista
occupazionale, trattandosi di un settore capital-intensive e con forti
fenomeni di punta e di discontinuità temporale, sia dal punto di vista di
politica industriale, trattandosi di tecnologie mature, sia dal punto di vista
ambientale. Non si deduca da queste considerazioni che infrastrutture nuove
non debbano essere costruite; non possiamo qui dilungarci, ma vanno
essenzialmente costruite quelle che si autofinanziano in tutto o in buona
parte, rinunciando a spendere gli (scarsissimi) fondi pubblici per sempre più
opinabili obiettivi di sviluppo. Schemi di “project financing” tra l’altro
avrebbero il risultato di far fare un balzo in avanti al settore sul piano
tecnologico, gestionale, e della concorrenza, che è stata finora assente nelle
infrastrutture.
6.
Costi reali e crescenti per la collettività, sono certamente quelli ambientali.
Anche qui il dibattito appare fortemente ideologicizzato, con incredibili
demonizzazioni dell’automobile (cfr. Guido Viale “tutti in taxi”). Sembra
opportuno separare nettamente il campo in tre: l’inquinamento atmosferico
(e acustico), gli incidenti, e la congestione, spesso mescolati in modo
irrazionale.
L’inquinamento è una vera esternalità, nel senso che colpisce soggetti
diversi da quelli che viaggiano (e anche generazioni future, con l’effetto
serra). Il problema è che non si sa con sufficiente esattezza, nonostante molti
eroici tentativi, l’ammontare dei costi che genera, e quindi fino a che punto è
razionale affrontare costi certi per abbatterlo.
Gli incidenti sono un’esternalità parziale: per la gran parte sono “interni” a
chi viaggia, e per la gran parte ancora sono già “internalizzati” dagli oneri
assicurativi. Comunque si tratta di costi molto elevati, per i quali sono
possibili approcci legati alla “miopia del consumatore” (merit-wants).
3
Infine, la congestione è una “esternalità” solo nel senso che alcuni utenti
della strada generano costi “eccessivi” a tutti gli altri, cioè superiori ai
benefici che traggono nel viaggiare.
Solo i costi degli incidenti e della congestione sono ragionevolmente certi.
Ora, per situazioni di elevata incertezza, come i costi da inquinamento, una
regola aurea di azione è quella del “no regrets” (senza rimpianti), cioè di
provvedimenti che producono benefici netti certi e, come effetto laterale
generino anche benefici ambientali. Tali provvedimenti sono di due tipi, ed
attengono ai due problemi nominati che presentano costi certi: incidenti e
congestione.
Ponendo “tariffe di efficienza” per ridurre la congestione (road princing),
che è la politica su cui si concentra l’attenzione di tutti i paesi
industrializzati,
si
avrebbero
benefici
economici
certi,
e
contemporaneamente si ridurrebbe in modo sensibile l’inquinamento nelle
aree più densamente popolate, cioè là dove tale fenomeno presenta costi più
elevati. Per quanto concerne gli incidenti, mentre sulle cause il quadro
rimane oscuro (l’errore umano prevale, e non è facilmente evitabile), sulle
conseguenze non ci sono dubbi: la velocità amplifica i costi di ogni
incidente, di un fattore quadratico (cioè con l’energia cinetica dei veicolo),
quale che sia la causa dell’incidente.
Una seria limitazione delle velocità, sia urbane che extraurbane, ridurrebbe
in proporzione i danni degli incidenti (non il numero, probabilmente). Ma
ciò avrebbe un effetto ambientale indotto molto importante: essendo meno
utilizzabili in pratica elevate potenze nelle automobili, si renderebbero
accettabili veicoli a bassissima emissione, già oggi perfettamente realizzabili
ma di difficile commercializzazione date le modeste prestazioni di velocità
ed accelerazione. Certo che la resistenza dei produttori automobilistici a
questo tipo di evoluzione del parco veicolare sembrano ancora forti. Un
altro provvedimento ascrivibile a quelli “no regrets” infine è lo spostamento
del carico fiscale (molto elevato) che grava sull’automobile, sui costi
variabili, cioè sul carburante. Ciò a parità di prelievo, in prima istanza.
Attualmente l’IVA sul veicolo, il bollo, la tassa di circolazione ecc.
costituiscono costi fissi che incentivano l’uso dell’auto a fini di
ammortamento.
7.
Occorre ricordare tuttavia, a proposito di “tariffe di efficienza” per la
congestione, che trattandosi di un’esternalità impropria, poiché concerne
solo gli utenti della strada, i ricavi generati da tali tariffe per la sola
componente congestione (cioè escludendo altri obiettivi) debbano essere
restituiti agli utenti, pena un’inaccettabile iniquità distributiva. E sembra
tecnicamente difficile e/o scarsamente efficiente che tale restituzione
avvenga in forma monetaria diretta: l’unico modo praticabile è quello di
produrre nuova viabilità, ciò però genera ulteriori problemi ambientali, da
trattare con strumenti adeguati (es. tutela paesaggistica, ecc.).
4
8.
E’ infine da osservare che, anche per ciò che concerne l’ambiente, la ricerca
si trova in una fase critica: la troppo scarsa conoscenza di costi reali di
inquinamento generati dai veicoli stradali è il principale fattore di
confusione ed incertezza per le politiche da adottare, e apre lo spazio ad una
vasta gamma di atteggiamenti demagogici ed opportunistici, non ultimo la
recente alleanza “di fatto” tra alcuni gruppi ambientalistici e i costruttori di
infrastrutture, che hanno giustamente osservato che un’opera
“ambientalmente protetta” (es. In galleria invece che a raso, ecc.) tende a
costare molto di più di una non protetta, aumentando in proporzione il
fatturato delle imprese, a spese dell’erario.
Anche su questi aspetti è da auspicare un’integrazione disciplinare tra analisi
economico-finanziarie ed ambientali, integrazione ancora molto incerta ed
arretrata, anche per note gelosie accademiche tra le discipline coinvolte.
5
PARTE I
GLI IMPATTI DEL TRASPORTO
Capitolo 1.
Infrastrutture di trasporto, sviluppo economico e divari regionali
Daniele Fabbri, Dipartimento di Scienze Economiche, Università
di Bologna
1.1. Introduzione
In generale siamo portati a credere che le infrastrutture siano un fattore
dello sviluppo, ovvero che il livello e il saggio dello sviluppo sono
correlati positivamente alla dotazione e all’efficienza di infrastrutture.
Ne consegue che un miglioramento nella dotazione e nell’efficienza di
infrastrutture può concorrere a promuovere lo sviluppo di una
economia. Questo nesso fra infrastrutture e sviluppo non è stato
ignorato nè dagli studiosi di teoria economica nè da quelli di storia
dello sviluppo economico. Autori come Kuznets, Rostow, Hirschman,
Tinbergen hanno testimoniato nelle loro opere la rilevanza di tale
nesso.
Scopo di questo capitolo è quello di presentare gli argomenti principali
del dibattito sul ruolo delle infrastrutture come fattore di crescita e
sviluppo di una economia regionale. L’attenzione dedicata alle
economie regionali non è limitativa. Al contrario, se si riconosce che
tutte le economie territoriali possono intendersi come “regionali”
rispetto ad aggregazioni territoriali superiori, si comprende il senso di
una posizione, del resto autorevolmente testimoniata da economisti di
primo piano come Paul Krugman: occorre studiare le economie
regionali come “palestra privilegiata” per testare il contenuto empirico
di teorie economiche più generali che trattano del funzionamento
complessivo delle economie moderne.
Questo capitolo è suddiviso idealmente in due parti. La prima è
prevalentemente teorica e si articola in tre sezioni. Nel primo
paragrafo ci soffermiamo sul concetto di sviluppo economico
delineandone l’evoluzione a partire dai concetti tradizionali fino alle
recenti problematiche sulla sostenibilità ambientale. Nel secondo
traduciamo la lezione teorica in considerazioni applicate agli specifici
1
problemi posti dallo sviluppo regionale. Nel terzo paragrafo
proponiamo una lettura organica rispetto alle interpretazioni teoriche
presentate dell’impatto che le infrastrutture di trasporto possono
ragionevolmente esercitare sullo sviluppo e sui divari regionali. Nella
seconda parte del capitolo presentiamo i principali risultati empirici
ottenuti in letteratura riguardanti appunto il nesso fra sviluppo
regionale e infrastrutture di trasporto.
1.2. Il concetto di sviluppo economico
Il concetto di sviluppo economico è controverso ed in parte ambiguo.
Gli economisti classici attribuivano al concetto di sviluppo
economico, il senso di crecente prosperità non solo economica ma
anche sociale, culturale, istituzionale di una collettività. Nelle più
recenti accezioni alcuni lo identificano con la crescita economica,
ossia incremento nel tempo del livello del prodotto interno lordo, PIL,
procapite. Per altri tale definizione è minata da un grave errore di
prospettiva. Infatti, poiché la crescita economica si riferisce solo al
PIL procapite essa non tiene conto dei seguenti problemi:
 la distribuzione del PIL procapite tra la popolazione.
 il problema delle esternalità e della non negoziabilità di alcuni
beni e servizi.
 la valutazione dei beni nel PIL riflette le distorsioni insite in tale
meccanismo.
In definitiva il concetto di PIL, e quindi di crescita, rimane inadeguato
nello spiegare il concetto di sviluppo perché in esso convergono
elementi che non sono solo economici ma anche sociali, istituzionali,
politici e culturali.
1.2.1. I limiti fisici alla crescita
E’ stato detto più volte che è poco opportuno associare il concetto di
sviluppo a quello di crescita. Questa affermazione risulta manifesta
quando consideriamo le interazioni tra sistemi economici e ambiente
naturale. Il paradigma centrale della teoria economica neoclassica
considera il mercato come meccanismo allocativo capace di attivare,
ovunque venga messo in grado di funzionare, le risorse necessarie ai
prezzi più convenienti. In altri termini, il sistema economico è un
sistema isolato. Il discorso cambia quando si considera che il sistema
economico è integrato in un habitat naturale che, sebbene sia di
2
dimensioni grandi o grandissime, ha pur sempre dimensioni finite.
Esistono in questo caso limiti fisici alla crescita, di carrying capacity,
quali l’inquinamento, l’esaurimento delle risorse naturali non
rinnovabili e l’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali rinnovabili.
La preoccupazione per il progressivo impoverimento dell’habitat
naturale determinato dallo sviluppo dei moderni sistemi economici ha
stimolato la ricerca di soluzioni efficaci per la ridefinizione del
rapporto fra economia e problemi ambientali. Le soluzioni indicate si
collocano essenzialmente su tre versanti:
1. la prima, meno radicale, propone la riduzione della produzione ad
un livello ottimale, cioè l’ipotesi di “crescita zero”.
2. la seconda propone l’introduzione di sistemi contabilità nazionale
allargate alla valutazione dei sottosistemi ecologici.
3. la
terza,
ispirata
dal
paradigma
bioeconomico
di
Georgescu-Roegen, propone di impostare i sistemi economici sulla
valutazione dell’energia solare incorporata nelle produzioni umane.
1.2.2. I limiti sociali allo sviluppo
La tesi contro la crescita è stata poi sostenuta da analisi economiche
che hanno cercato di metterne in luce i costi sociali e, in particolare, i
costi ambientali. Il “paradosso” di Esterlin, cioè a dire, i dati che
indicano che la ricchezza materiale e la felicità umana non sono
strettamente correlate e l’analisi di Scitovsky della ”economia senza
felicità” la cosiddetta joiless economy, con la quale si pone l’enfasi sul
bisogno da parte dell’uomo di qualcosa che va oltre la mera ricchezza
materiale, sono un esempio di ciò che potremmo definire i limiti
sociali allo sviluppo. Ad ogni modo, come enfatizzato dalla letteratura
di riferimento, non è possibile parlare di una società in sviluppo se non
esiste già una società in crescita, ovvero, lo sviluppo si manifesta dopo
la crescita materiale di ua determinata collettività. Un esempio tipico è
quello presentato in letteratura come distinzione tra beni primari e beni
posizionali: una società, infatti, cercherà di avere i primi se essa versa
in condizioni di povertà e cercherà, soprattutto, la seconda se ha già
soddisfatto i primi (situazione dei Paesi avanzati).
1.2.3. Lo sviluppo sostenibile
Proprio per tener presente sia il problema dei limiti fisici alla crescita
sia i limiti sociali allo sviluppo si è resa necessaria l’elaborazione di
un nuovo paradigma interpretativo dell’interazione tra sistema
3
socio-economico e sistemi naturali. Il tentativo di costruire una teoria
d’intervento ha da alcuni anni un nome molto spesso evocato:
sviluppo sostenibile. La definizione più nota di tale concetto è quella
data dalla World Commission on Environment and Development
(WCDE) ove per sviluppo sostenibile s’intende “uno sviluppo che
soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle
future generazioni di soddisfare i propri”. In altri termini, lo sviluppo
sostenibile è un processo di cambiamento nel quale lo sfruttamento
delle risorse, l’andamento degli investimenti, l’orientamento dello
sviluppo tecnologico e i mutamenti istituzionali sono in reciproca
armonia ed incrementano le possibilità di soddisfare i bisogni della
presente e delle future generazioni.
1.3. Teorie economiche della crescita e dello sviluppo regionale
Il territorio e quindi il trasporto svolgono un ruolo importante
nell’influire sullo sviluppo di una economia. Un aspetto assai evidente
che emerge quando si studia lo sviluppo di una economia spazialmente
connotata è quello rappresentato dalla difformità del modo in cui lo
sviluppo investe ed interessa le aree e le regioni che quella economia
costituiscono. Immaginiamo che il territorio T sia suddiviso in due
regioni, A e B. Studiare lo sviluppo economico del territorio T dal
punto di vista territoriale significa inevitabilmente discutere dei divari
e dei differenziali di sviluppo fra le regioni A e B.
Gli economisti regionali hanno fornito numerose spiegazioni teoriche
di questo fenomeno. Per presentare sinteticamente queste teorie
distinguiamo fra analisi di sviluppo equilibrato e analisi di sviluppo
squilibrato1.
1.3.1. Lo sviluppo regionale equilibrato
Nell’analisi dello sviluppo equilibrato si assume che il mercato
funzioni da allocatore ottimale ed efficiente delle risorse sia a livello
sociale che a livello territoriale. In questo senso i divari fra le regioni
sono letti come perturbazioni temporanee, provocate da shock esogeni
sul lato della domanda o su quello dell’offerta, rispetto ad un
equilibrio di lungo periodo in cui i tassi di crescita fra le regioni sono
1
Per una trattazione di questi temi si vedano Ciciotti (1993), cap. 4, e Garofoli
(1992).
4
del tutto omogenei. I meccanismi che garantiscono il rientro di
ciascuna regione sul sentiero di convergenza verso lo sviluppo
equilibrato sono rappresentati dall’aggiustamento dei prezzi e dalla
perfetta mobilità settoriale e territoriale dei fattori produttivi. I prezzi
riflettono gli eccessi netti di domanda dei beni e dei fattori e i flussi di
scambio dei beni e dei fattori si aggiustano fintantochè esistano
benefici dallo “scambio” regionale e settoriale ovvero finchè le
remunerazioni dei fattori non si eguaglino sull’intera economia2.
Dal punto di vista della distribuzione territoriale delle produzioni, la
lettura dello sviluppo regionale equilibrato fa riferimento ad un
modello di specializzazione basato sui vantaggi comparati, alla
Ricardo, o sulle intensità fattoriali delle dotazioni, secondo la teoria di
Hecksher-Ohlin. Queste teorie, è noto, spiegano esclusivamente il
commercio intersettoriale, ovvero lo scambio fra paesi specializzati
nelle produzioni di beni merceologicamente distinti. Inoltre per la
natura delle loro formulazioni la teoria ricardiana e quella di
Hecksher-Ohlin sono sostanzialmente agnostiche rispetto allo scambio
intraregionale, elemento di una certa rilevanza per le finalità della
nostra analisi.
Evidentemente l’analisi dello sviluppo equilibrato si fonda sull’ipotesi
di mercato perfettamente concorrenziale. L’adeguamento dei prezzi
secondo le funzioni di eccesso di domanda e di offerta e la perfetta
mobilità dei fattori sono infatti i requisiti essenziali del modello. Vi
sono peraltro validi motivi per ritenere che laddove si consideri
espressamente lo spazio la forma di mercato debba contenere
significativi elementi di oligopolio.
1.3.2. Sviluppo ineguale e rendimenti di scala
Un’analisi territoriale non può ignorare il ruolo della concentrazione
spaziale delle produzioni, ovvero i fenomeni di agglomerazione e dei
distretti produttivi indicati da Alfred Marshall come la principale
causa delle economie di scala esterne3. In queste circostanze, come le
più recenti teorie del commercio internazionale hanno suggerito, una
regione che acquisti un piccolo vantaggio comparato iniziale nella
2
Si veda la efficacie trattazione fornita da McCombie (1988).
3
Per una trattazione delle economie di distretto, di agglomerazione e di
licalizzazione si vedano Camagni (1992) e Ciciotti (1993).
5
produzione di un certo bene, può accrescerlo nel tempo per effetto
delle economie di scala esterne.
Da un’altro versante la teoria della crescita endogena ha indicato
proprio negli effetti esterni dovuti ad economie di localizzazione e di
urbanizzazione i principali motori dei processi di innovazione di
distretto e di riflesso della crescita di lungo periodo. La crescita
regionale sostenuta nel lungo periodo, si sostiene, è possibile laddove
esiste un ambiente favorevole ai processi di innovazione dei singoli
operatori e la diffusione ed imitazione delle innovazioni è molto
agevole4. In questo senso la teoria della crescita endogena ha fornito
una rigorosa sistematizzazione delle teorie shumpeteriane del
progresso tecnico.
Il fenomeno delle agglomerazioni territoriali non è tuttavia
interpretabile solo alla luce delle economie di scala esterne. Nella
realtà l’industrializzazione ha proceduto inesorabilmente verso
concentrazioni produttive territoriali sempre più spinte provocate dallo
sviluppo di tecnologie con elevati rendimenti di scala. Sviluppo
tecnologico e spazio hanno operato in questo senso come forze
conflittuali. Lo spazio infatti è un innato elemento di diversificazione
del prodotto. Il consumatore non è indifferente fra un fornitore vicino
ed uno lontano dalla propria abitazione. La differenziazione territoriale
del prodotto porta quindi a disegnare un mercato in cui la concorrenza
si esplica fra “vicini” 5 in modo diretto, mentre si esprime solo in
forma indiretta fra competitori distanti. La possibilità di ciascun
produttore di espandere la produzione, come faceva rilevare Piero
4
La teoria della crescita endogena si è sviluppata intorno al contributo di Paul
Romer (1986). Questa teoria cerca di motivare la crescita superando la spiegazione
tradizionale basata sull’idea di progresso tecnico esogeno, “che piove come manna
dal cielo”. Nei modelli di crescita endogena si introduce espressamente la
produzione di innovazioni come “ulteriore settore” dell’economia che assorbe
risorse e rispetto al quale si sviluppa un programma di ottimizzazione. Inoltre si
assume che l’innovazione, una volta conseguita, possieda dei caratteri di bene
pubblico, secondo un effetto del tipo economie di distretto, e quindi possa essere
appropriata anche da soggetti diversi da quelli che l’hanno effettivamente sviluppata.
Questi elementi si dimostrano sufficienti a spiegare un tasso di crescita sostenuto di
lungo periodo.
5
La recente teoria dell’Organizzazione Industriale ha approfondito il tema della
competizione in un mercato spaziale come metafora della differenziazione del
prodotto. Si veda ad esempio Grillo e Silva (1990).
6
Sraffa, è quindi limitata più dalla difficoltà di attrarre la domanda che
da quella di ridurre i costi. Ciò impone di esaminare il problema dei
divari regionali nell’ambito quantomeno di un modello di concorrenza
monopolistica.
Krugman (1991) ha recentemente riesaminato queste teorie
sintetizzandole efficacemente in un semplice modello economico di
concorrenza monopolistica. In quel contesto appare chiaro che lo
sviluppo di una regione può essere innescato dal manifestarsi di una
esternalità pecuniaria rappresentata dall’allargamento dei bacini di
domanda. Questo effetto permette l’adozione di tecnologie più
efficienti e quindi di allargare la base produttiva di un area attraverso
gli effetti di causazione e di attivazione (backward linkages) sui settori
fornitori di input. Poichè la domanda complessiva è limitata, il
processo di concentrazione e di causazione circolare cumulativa
finisce per premiare una regione a discapito dell’altra. Questi elementi
possono produrre quindi differenze strutturali che si accumulano nel
tempo e nello spazio portando alla divaricazione dei sentieri di
sviluppo delle regioni di un sistema economico territoriale.
Queste considerazioni hanno trovato varie espressioni nell’analisi
economica regionale. La teoria della causazione circolare cumulativa
di Myrdal e Hirshmann, le teorie della diffusione gerarchica dello
sviluppo come quella del filtering down di Berry e del polo di sviluppo
di Perroux fanno implicitamente riferimento ad un modello economico
fondato sugli elementi appena descritti.
1.4. Il ruolo delle infrastrutture di trasporto nello sviluppo
economico regionale.
Le due interpretazioni appena esposte offrono chiavi lettura
radicalmente differenti del ruolo giocato dalle infrastrutture del
trasporto nel processo di sviluppo regionale. Ci sembra in particolare
di un certo interesse collocare tale ruolo rispetto al tipo di sistema di
trasporto di cui il territorio è dotato.
1.4.1. Infrastrutture di trasporto e sviluppo equilibrato
Nella lettura dello sviluppo equilibrato i miglioramenti del sistema di
trasporto agevolano il processo di aggiustamento settoriale e regionale
verso l’allocazione ottimale delle risorse e quindi lo sviluppo
equilibrato delle regioni secondo i modelli di specializzazione ottimale
7
delle produzioni. Infatti rispetto al modello di concorrenza perfetta il
territorio, a causa dei costi di rilocalizzazione, di mobilità e di
informazione, opera come elemento frizionale dei processi di
aggiustamento. Ogni miglioramento del sistema di trasporto,
contribuendo a vanificare gli elementi di frizione spaziale e a
neutralizzare il connotato territoriale dell’economia, fa avvicinare il
reale funzionamento dell’economia a quello rappresentato dal
modello.
Dugonjic (1989) mette in luce tuttavia che lo sviluppo regionale, nella
logica della specializzazione ottimale, non è neutrale rispetto al tipo di
sistema di trasporto che lo supporta. Infatti la logica della esatta
specializzazione delle produzioni regionali trova il suo corrispettivo in
una organizzazione del sistema dei trasporti prettamente orientata ad
una sola modalità, quella impiegata dall’industria regionale, e rivolta
allo sbocco sui mercati esterni, ovvero di portata interregionale.
Ciò è rilevante quale che sia la direzione del nesso di causazione
trasporti-sviluppo che si considera. Infatti se consideriamo il nesso che
dalla struttura economico-industriale di una regione porta alla
domanda di infrastrutture di trasporto si può rilevare che tale domanda
sarà inevitabilmente influenzata dalla specifiche esigenze del sentiero
di sviluppo perseguito. In particolare, come dicevamo, nella modalità
preferita e nel grado di apertura all’esterno. Viceversa, qualora si
consideri il nesso opposto, il sistema di trasporto opera come uno
degli elementi del vantaggio comparato. Pertanto, ad esempio, la
scarsità dell’offerta regionale di una certa modalità di trasporto porterà
la regione a svilupparsi specializzandosi in settori che richiedono l’uso
meno intensivo di quel tipo di trasporto.
1.4.2. Infrastrutture di trasporto e rendimenti di scala
L’effetto delle infrastrutture di trasporto nell’ambito della seconda
lettura muove invece nella direzione opposta. In quel contesto è
agevole infatti argomentare che i miglioramenti delle infrastrutture di
trasporto interregionali non favoriscono la diffusione dello sviluppo.
Piuttosto, al contrario, essi rendono ancora più marcati i divari di
sviluppo regionali favorendo ulteriormente i processi di
concentrazione produttiva e di specializzazione regionale. Questa
analisi può essere chiarita parafrasando un argomento utilizzato da
Krugman in riferimento al processo di unificazione monetaria europea.
8
La figura 1 rappresenta un’industria che può operare in due località,
ciascuna delle quali è contraddistinta da una domanda locale del
prodotto. La domanda è totalmente inelastica così che la produzione
dell’industria è data dall’output OO*, con la vendita di OQ nella
regione 1 e di QO* nella regione 2. L’industria è perfettamente
concorrenziale. Tuttavia è soggetta ad economia esterne di scala
specifiche a ciascuna regione. Perciò la curva di offerta CC della
regione 1 e C*C* della regione 2 sono declinanti6.
Figura 1
costo1
C*
C
costo2
c*
C
c
C*
O
Q
O*
Consideriamo ora la situazione in cui ciascuna regione è
autosufficiente. In questo caso la regione 1 produrrà la quantità OQ al
costo unitario c, mentre la regione 2 produrrà la quantità QO* al costo
unitario c*>c. Questa situazione non porta necessariamente alla
concentrazione industriale. Infatti se i costi di transazione fra le due
regioni sono superiori a c*-c la dispersione geografica di questa
industria rappresenta un equilibrio stabile. Al contrario qualora i costi
di transazione si riducano, ad esempio per effetto di un miglioramento
delle infrastrutture di trasporto interregionale, l’esito può essere quello
di un processo cumulativo in cui il vantaggio di costo iniziale della
regione 1 porta ad una progressiva espansione dell’industria di questa
regione e alla contrazione di quella localizzata nella regione 2 con un
6
Poichè la curva di offerta di un settore perfettamente concorrenziale coincide con
quella del costo medio e questo, è decrescente al crescere della produzione, per
effetto delle economie esterne di scala.
9
progressivo allargamento del vantaggio di costo della prima rispetto
alla seconda. L’evoluzione appena descritta porta inevitabilmente alla
divaricazione dei sentieri regionali di sviluppo7.
Questo argomento si riferisce alla medesima tipologia di intervento
infrastrutturale considerata nell’ambito della teoria dello sviluppo
equilibrato, cioè quella del trasporto interregionale monomodale.
Queste considerazioni vanno opportunamente adattate se si ragiona
dell’effetto di interventi sul sistema di trasporto intraregionale e ad
impatto multimodale. In questo caso infatti occorre collocare il settore
del trasporto come fa Faini (1984) in un modello di crescita a due
regioni e a due settori, in cui il trasporto possiede il carattere del bene
non-traded. Faini dimostra che qualora si sviluppino rendimenti di
scala crescenti nel settore degli inputs intermedi non commerciati ciò è
sufficiente a dar luogo ad una divergenza cumulativa dei tassi di
crescita regionale. La questione a questo punto diventa quella di
dimostrare teoricamente ed empiricamente che la produzione di servizi
di trasporto intraregionale è contraddistinta da rendimenti di scala
crescenti. Ciò appare assodato in Economia dei Trasporti. Tipicamente
infatti il raddoppio delle capacità di carico più che raddoppia i flussi
sostenuti dalla infrastruttura8. Inoltre appare altrettanto plausibile che
la multimodalità sia contraddistinta dalla presenza di rilevanti
economie di scopo9.
L’uso della politica delle infrastrutture per le finalità dello sviluppo
economico regionale possiede quindi due strumenti fondamentali. Da
un lato gli interventi sulla rete interregionale portano ad una più netta
definizione dei pattern di specializzazione e all’emergere di fenomeni
di concentrazione e di possibile divaricazione dei tassi di crescita
regionali. Dall’altro, la strategia di intervento mirata sui sistemi
intraregionali può far emergere quegli effetti di economia di
localizzazione che la teoria della crescita endogena ci indica come uno
7
Un argomento del tutto analogo viene sviluppato, sebbene in un contesto teorico
differente, da Rietveld (1989) in relazione all’effetto di polarizzazione sul mercato
del lavoro indotto dai miglioramenti del sistema di trasporto.
8
Si veda a questo proposito il capitolo 12 di Mohring (1976).
9
Andersson (1986) costruisce intorno al ruolo dell’innovazione, delle economie di
scala e di scopo nel settore dei trasporti una vera e propria storia delle rivoluzioni
economiche dall’epoca di Roma Imperiale fino alla recente rivoluzione
post-industriale.
10
dei principali fattori della crescita sostenuta di lungo periodo. In
generale ci pare comunque da rilevare che il nesso tra trasporti e
sviluppo è di tutt’altro che agevole decifrabilità, soprattutto viste le
differenti interpretazioni che di esso si possono dare al variare della
scala territoriale di analisi.
1.5. Trasporti sostenibili e sviluppo regionale sostenibile
Il tema della sostenibilità è entrato solo recentemente nell’agenda di
ricerca degli economisti del trasporto e degli scienziati regionali10. Va
detto inoltre che rispetto alle analisi riassunte nei paragrafi precedenti,
il tema della sostenibilità emerge nella letteratura con un connotato
ancora prevalentemente normativo o di pianificazione.
La categoria concettuale tipicamente utilizzata dagli economisti per
trattare i temi della degradazione ambientale è quello di esternalità.
Tuttavia per la natura di lungo periodo e per i connotati sistemici il
paradigma della sostenibilità racchiude una vastità di aspetti e di
implicazioni estremamente più ampia di quella che può essere
ricompresa nella categoria di esternalità. Rispetto all’esigenza di
gestire lo sviluppo delle economie moderne in modo sostenibile gli
economisti e gli studiosi dei trasporti stanno quindi cercando di
individuare una cornice teorica nel cui ambito collocare i problemi
specifici alla sostenibilità del trasporto.
Quello del trasporto è un sottosistema aperto alle influenze e ai
feedback originati dal sistema socio-economico-ecologico in cui si
colloca. In generale l’analisi e le politiche finalizzate al
conseguimento della sostenibilità di un sottosistema sono
concettualmente infruttuose, in quanto quest’ultima dipende dalla
sostenibilità e dall’evoluzione dell’intero sistema. Per questo Button e
Verhoef (1995) suggeriscono di adottare il concetto di ”Environmental
Utilization Space” definito da Siebert (1982) come criterio operativo
utile per semplificare l’orizonte dell’analisi dei sottosistemi di
trasporto e territorio. Tale concetto è definito come la restrizione
sull’uso che una data generazione o comunità può fare delle risorse
ambientali. Per questo Button e Verhoef propongono come condizione
di sostenibilità di un sistema di trasporto quello che il suo
funzionamento non sia incompatibile con la sostenibilità complessiva
10
Si veda a questo riguardo il recente contributo di Camagni (1995).
11
del sistema cocio-economico-territoriale in cui si inserisce espressa
attraverso una opportuna restrizione dell’Environmental Utilization
Space. I due studiosi rendono operativo questo concetto applicandolo
ad un modello di Spatial Price Equilibrium a due regioni in cui si
simula l’impatto economico di diverse politiche di tassazione
ambientale. Questa linea di ricerca pare molto promettente11.
1.6. Analisi empiriche dell’impatto delle infrastrutture di trasporto
sullo sviluppo economico
A fronte della notevole complessità dell’argomento le traduzioni
empiriche e quantitative dell’analisi del nesso fra infrastrutture di
trasporto e sviluppo hanno dovuto necessariamente addivenire ad una
semplificazione radicale degli assunti e delle implicazioni testabili. In
questo paragrafo presentiamo i principali approcci che abbiamo
riscontrato nella letteratura internazionale. Nella selezione degli
argomenti abbiamo volutamente tralasciato l’analisi degli impatti che
non possiedono un connotato territoriale di lungo periodo come
possono essere ad esmpio gli effetti moltiplicativi dovuti alla spesa per
la costruzione dell’infrastruttura.
1.6.1. Il “production function approach”
Nel production function approach, si veda Mera (1973) e Biehl
(1986), l’infrastruttura di trasporto gioca un ruolo del tutto affine a
quello svolto da altri fattori produttivi tradizionali, come il lavoro e il
capitale, nel concorrere alla formazione del prodotto regionale e nel
causarne l’evoluzione. Il nesso causale che implicitamente si assume
in questo approccio è quello che si stabilisce fra un input intermedio
avente natura di bene pubblico, l’infrastruttura, e l’incremento di
produttività nei fattori privati che esso concorre a determinare. Una
formulazione generale di funzione di produzione per il settore i nella
regione r, in presenza di diverse forme di infrastrutture è la seguente:
Qir  f ir ( Lir , Kir , INair ,..., INzir )
(1)
dove:
11
Si vedano i lavori pubblicati nella edizione speciale curata da Bergh e Nijkamp
(1994).
12
Qir è il valore aggiunto nel settore i nella regione r, Lir e Kir
rispettivamente il lavoro e il capitale impiegati nel settore i della
regione e r, (Inar, ..., Inzr) le infratrutture di tipo a, ..., z presenti nella
regione r. Fra i tipi di infrastrutture introdotti vi sono oltre a quelle dei
trasporti anche quelle dell’energia, dell’acqua, dell’educazione, della
sanità. Nella misura in cui si considerano le infrastutture di trasporto
non è scontato il modo in cui si possa tener conto della loro natura di
reti. Tipicamente si distinguono i tipi di infrastrutture sulla base della
loro portata territoriale: intraregionali, interregionali, internazionali.
L’alternativa consiste nella definizione di indicatori di complessità
della rete come ad esempio fanno de Rus, Roman e Trujillo (1995).
Un problema connesso è quello rappresentato dal fatto che le
infrastrutture tipicamente dispensano effetti esterni non strettamente
localizzati. In questo senso, sebbene una regione non sia dotata di una
specifica infrastruttura, ad esempio un aeroporto, ciò nonostante può
godere degli effetti della vicinanza ad una regione che ne è invece
provvista.
In questi studi appare inoltre di estrema rilevanza il livello di dettaglio
settoriale cui viene condotta l’analisi. Blum (1982) dimostra che
l’incremento della produttività dovuto alle infrastrutture può essere
molto diverso fra i settori economici. Ciò è inoltre confermato dallo
studio di Biehl (1986) che ha messo in luce che l’indice di
composizione settoriale regionale spiega molto di più la variazione
regionale del reddito pro-capite di quanto non faccia il livello di
infrastrutture disponibili.
Le trattazioni più dettagliate delle infrastrutture sono state sviluppate
negli studi di Blum (1982) e Andersson, Anderstig e Harsman (1989).
Nel suo studio riferito alla Repubblica Federale Tedesca Blum (1982)
distingue fra autostrade nazionali, altre strade, ferrovie e porti. Per
entrambe i tipi di strade e per i porti Blum ottiene risultati
significativi. Invece per le ferrovie l’impatto riscontrato è nullo o
addirittura negativo.
Andersson, Anderstig e Harsman distinguono i seguenti aspetti delle
infrastrutture di trasporto nel loro studio sulla Svezia: strade
principali, ferrovie, capacità degli aeroporti, tempi di viaggio fra le
principali città e tempi di viaggio fra le regioni. Andersson, Anderstig
e Harsman individuano effetti molto pronunciati delle ferrovie rispetto
13
alle strade sulla produzione regionale degli anni ‘70. Negli anni ‘80 la
situazione si rovescia.
La foma della funzione di produzione che viene scelta nella
specificazione del modello statistico è, nella maggior parte dei casi,
quella Cobb-Douglas. Ciò implica un considerevole grado di
sostituibilità fra i fattori considerati, ad esempio fra infrastrutture e
capitale privato.
1.6.2. Infrastrutture e mobilità dei fattori
L’altro impatto di lungo periodo delle infrastrutture che viene
tipicamente esaminato nella letteratura è quello sull’occupazione
regionale. In particolare ciò viene fatto utilizzando come variabile
esplicativa della variazione dell’impiego l’accessibilità della forza
lavoro. Infatti il costo opportunità dei fattori produttivi in un sistema
economico territoriale contiene anche una componente legata alla
deterrenza spaziale. Quanto minore tale componente tanto minore il
costo opportunità del fattore e quindi più elevato il tasso di utilizzo nei
processi produttivi attivati a livello regionale. In generale il
miglioramento delle infrastrutture di trasporto porta al miglioramento
dell’accessibiltà dei mercati. Quest’ultima può essere misurata in
generale come:
ACCr ( L)   Lr ' f (cr 'r )
(2)
r'
dove Lr’ è il pool di lavoro disponibile nella regione r’, cr’r è un indice
del costo di trasporto fra le regioni r’ e r e f(.) è la funzione di
deterrenza.
Botham (1983), stima la seguente relazione fra impiego regionale e
accessibilità:
E r   1 EDr   2 wr   3 LAr   4 ACCr ( L)
(3)
dove Er, EDr, wr e LAr indicano rispettivamente la variazione
dell’occupazione, la densità dell’occupazione, il salario reale e un
indice di disponibilità di fattore lavoro nella regione r.
L’equazione (3) è stata stimata sui dati riguardanti 28 regioni del
Regno Unito per gli anni 1961-1966. La stima è stata successivamente
utilizzata per prevedere l’effetto sull’occupazione regionale dovuto
alla costruzione di un importante sistema autostradale. I risultati
14
generali mostrano che l’impatto della costruzione del sistema
autostradale sulla distribuzione regionale dell’occupazione è molto
limitato12.
Un approccio leggermente diverso è stato adottato da Mills e Carlino
(1989) per gli Stati Uniti. Essi misurano l’acessibilità sulla base di un
indicatore della densità della rete autostradale interstatale. Nella loro
stima trovano che esso esercita un evidente impatto positivo sulla
crescita della occupazione nelle contee.
1.6.3. Infrastrutture, commercio interregionale e sviluppo
Un aspetto certamente rilevante dell’impatto delle infrastrutture sui
sentieri di sviluppo regionale è quello veicolato dalla modificazione
dei vantaggi comaparati e dei flussi di scambio commerciale
interregionali. Una analisi econometrica su dati regionali in serie
storica non è stata mai sviluppata in questo senso nell’ambito
dell’economia dei trasporti e delle scienze regionali essenzialmente a
causa della ridotta disponibilità di dati utilizzabili a questo scopo. In
questo ambito la direzione di analisi prescelta è stata quella delle
analisi di simulazione con modelli di tipo input-output e di equilibrio
economico computabili che sono esaminati nella voce Impatti
economico-territoriali delle infrastrutture di trasporto.
1.7. L’analisi dell’impatto delle infrastrutture di trasporto sullo
sviluppo economico nei contributi italiani
Scopo di quest’ultimo paragrafo è quello di presentare i principali
risultati empirici conseguiti in casi studi applicati nel nostro paese e di
collocarne il contenuto e la rilevanza teorica nell’abito della letteratura
internazionale presentata nella parte precedente dell’articolo.
Va detto che le analisi condotte dagli studiosi italiani scontano rispetto
a quelle sviluppate nella letteratura internazionale un evidente ritardo.
Ciò che va soprattutto rilevato è la pressoché totale assenza di
elaborazione teorica originale sull’argomento. Dal punto di vista delle
applicazioni empiriche ci pare invece che un limite rilevante possa
essere indicato nella scarsa disponibilità dei dati necessari. Ciò ha
indubbiamente reso i contributi italiani necessariamente meno
originali dei corrispettivi europei.
12
Risultati analoghi sono stati ottenuti da Dodgson (1974).
15
Gli studi più rilevanti sono certamente quelli di Bracalente, Di Palma e
Mazziotta (1980), Bracalente e Di Palma (1982), Bracalente e
Mazziotta (1986) e Bruzzo e Vergadoro (1988). Più recentemente
sono da menzionare i lavori di Mazziotta e Cerbara (1994), Santi
(1994), Gatto e Marino (1994), Barbieri e Causi (1995) e Cesarini
(1995).
Il lavoro di Bracalente e Di Palma (1982) rappresenta un punto di
riferimento per tutti i contributi italiani in questa direzione. Nello
studio viene esaminata, nell’approccio alla Biehl di funzioni di
quasi-produzione, la relazione fra indicatori dello sviluppo e indicatori
della dotazione infrastrutturale. L’analisi viene condotta su dati
cross-section all’anno 1977 riferiti alle venti regioni italiane.
Bracalente e Di Palma stimano un semplice modello di regressione del
tipo:
Y=aIbScAdCe
(4)
dove:
Y = indicatore dello sviluppo regionale
I = indicatore di infrastrutturazione
S = indicatore della struttura settoriale
A = indicatore di agglomerazione
C = indicatore delle caratteristiche socio-demografiche
La dotazione infrastrutturale viene attentamente misurata attraverso
l’aggregazione di 9 categorie principali di infrastrutture (trasporti,
comunicazioni, energia, idriche, educazione, salute, sport e turismo,
sociali, culturali). Queste nove categorie sono a loro volta composte
complessivamente di 18 categorie intermedie che a loro volta
aggregano 37 indicatori elementari.
L’indicatore della struttura settoriale è rappresentato dalla quota di
occupazione nell’industria. L’agglomerazione viene invece misurata
dalla densità della popolazione o dalla quota di popolazione residente
nella più grande città della regione. Infine le caratteristiche
socio-demografiche considerate sono la quota di popolazione in età
compresa fra i 15 e i 65 anni e la quota di forza lavoro femminile.
Lo sviluppo viene misurato dal prodotto interno lordo per abitante e
per occupato, dal tasso di occupazione delle forze lavoro e dal tasso di
partecipazione della popolazione alle forze di lavoro.
16
Le migliori stime ottenute dagli autori possiedono una notevole
capacità esplicativa delle variabili dipendenti. Inoltre viene confermata
la tesi della correlazione fra sviluppo e infrastrutturazione. Infatti il
coefficiente associato all’indicatore delle infrastrutture è positivo ed
abbondantemente significativo. Analogamente anche il grado di
agglomerazione territoriale e la quota di occupazione nell’industria
esercitano un effetto positivo e significativo.
Un’interessante estensione dell’analisi di Bracalente e Di Palma è stata
recentemente fornita da Santi (1994) con studio applicato allo
sviluppo della regione Lazio. Il limite fondamentale dell’analisi di
Bracalente e Di Palma è infatti quello di essere costruita su dati
cross-section e quindi non propriamente adatta ad esaminare il nesso
tra infrastrutture e sviluppo che tipicamente si manifesta in un contesto
di lungo periodo. L’analisi cross-section risente in questo del disturbo
della variabilità del ciclo economico che solo in una analisi di serie
storica può essere superato. Santi (1994) supera a questo limite
sviluppando un’analisi di funzione di quasi-produzione con dati in
serie storica sull’arco temporale 1951-1991, riferiti alla regione Lazio.
La struttura del modello è del tutto simile a quella di Bracalente e Di
Palma e porta a risultati analoghi sia per ciò che concerne i segni che
per la significatività dei parametri. In questo caso il limite
fondamentale del modello statistico è quello di essere un modello
esclusivamente di serie storica. In questo casi si ipotizza
implicitamente che i parametri della funzione di quasi-produzione
rimangano costanti nell’arco di quaranta anni. Non solo ma nella
regressione non viene introdotta alcun indicatore temporale che possa
riflettere lo shift dovuto alla evoluzione tecnologica. In sintesi anche
questa analisi pare limitata dalla scarsa disponibilità dei dati.
Lo studio di Barbieri e Causi (1995) contribuisce a superare anche i
limiti dello studio precedente. Gli autori intendono valutare
l'evoluzione delle politiche infrastrutturali dei trasporti a livello
nazionale. In altri termini, il contributo mette in luce, prima di tutto, se
e in che misura la crescita economica territoriale abbia influenzato
l'adeguamento infrastrutturale attraverso la domanda di infrastrutture
e, in secondo luogo, se e in che misura la relazione territoriale fra
sviluppo economico locale e dotazione infrastrutturale sia modificata
significativamente da interventi perequativi della spesa pubblica.
17
La prima parte dello studio si basa sul confronto fra tre variabili
sintetiche ottenute a partire da un set di indicatori disponibili:
1. la domanda di infrastrutture, approssimata mediante indicatori di
sviluppo economico territoriale. Le variabili utilizzate sono 18
successivamente raccolte in 7 indicatori sintetici il tra cui il reddito
pro-capite, l’indice di industrializzazione, l’indice di
terziarizzazione, l’indice di popolazione fluttuante, l’indice di
densità produttiva, l’indice di offerta di credito, l’indice di tenore di
vita. L'ipotesi sottostante è che - se le infrastrutture influenzano in
modo rilevante il reddito potenziale - sussiste anche una relazione
di tipo speculare: quanto più sono elevati i livelli di reddito, tanto
più sono elevati i fabbisogni di infrastrutture;
2. L'offerta di infrastrutture viene approssimata mediante indicatori di
capitale fisso sociale suddivisi sui seguenti settori: trasporti (a loro
volta distinti in strade, ferrovie, porti, aeroporti) comunicazioni,
energia, approvvigionamento idrico, istruzione, sanità servizi
sociali.
3. la spesa per infrastrutture è misurata dai flussi cumulati di spesa per
opere pubbliche rilevata dall’Istat.
L'analisi, pur limitata ad un periodo temporale che va dal 1987 al
1992, permette di concludere che le politiche d'investimento pubblico
in Italia non sono interpretabili né alla luce di un obiettivo perequativo
né in vista di un obiettivo di efficienza. Ne seguono squilibri di natura
territoriale che - pur dominati dal persistente dualismo fra
Centro-Nord e Mezzogiorno - possono emergere sia nella forma di
fenomeni di sovrainfrastrutturazione sia in quella di fenomeni di
sottodotazione.
In epoca recente la produzione scientifica italiana sull’argomento ha
conosciuto una certa accelerazione, venendo stimolata dalla richiesta
di analisi e di valutazioni per l’investimento infrastrutturale nell’Alta
Velocità Ferroviaria (AV). Qui di seguito passiamo in rassegna i
contributi più significativi.
Guida (1995) analizza le interazioni tra l'introduzione delle linee ad
alta velocità e il sistema economico. L'analisi condotta si articola su
tre differenti (ma interconnessi) campi d'indagine: l’analisi della
domanda di mobilità; l’impatto dell'AV sulla mobilità italiana;
l’analisi degli effetti d'investimento nella fase di cantiere.
18
In relazione al primo aspetto la Guida offre una rassegna delle
variabili che condizionano la domanda di mobilità, un quadro della
situazione italiana, assieme ad alcune riflessioni sul modo in cui
l'evoluzione delle singole variabili si riflette sulla mobilità generale ed
analizza il modo in cui la crescita della domanda si indirizza verso
ciascun modo di trasporto e quindi delle probabili conseguenze
dell'entrata in servizio dei treni ad AV.
L'analisi dell'impatto dell'AV sulla mobilità italiana, mostra che si
possono avere effetti tanto sulla capacità di attrazione di nuova
domanda quanto la maggiore disponibilità di tempo libero a parità di
distanza percorsa. Per quantificare tali effetti occorre valutare i
risparmi di tempo. A questo riguardo Guida misura i valori soglia dei
tempi di percorrenza che permettano di suddividere l'utenza tra due
modalità concorrenti. Esso è determinato solo dalle caratteristiche del
trasporto, e non dalle preferenze individuali. In pratica vengono scelte
alcune tratte relative alle due grandi direttrici dell'Alta Velocità, il
valore del tempo viene calcolato per ciascuna di esse, sia prima che
dopo l'introduzione dei treni AV; e così possibile vedere come si
modifica il valore soglia a seguito di questo mutamento dal lato
dell'offerta. Svolgendo un'analisi aggregata di tali valori soglia si
ottengono conclusioni generalizzabili relativamente al maggiore o
minore impatto dell'AV sulle diverse distanze percorse. Circa l'impatto
sul sistema economico la Guida si sofferma sull’analisi della fase di
realizzazione
dell'investimento
o
di
cantiere.
L'impatto
dell'investimento viene colto attraverso una analisi elementare di
moltiplicatore tramite l’uso della tavola input-output per il 1988 a 44
branche, a prezzi "ex fabbrica".
Nel lavoro di Gorla (1995) vengono analizzati in chiave teorica gli
effetti attesi dell'alta velocità ferroviaria al fine di individuare le
metodologie e le analisi empiriche sull'impatto economico territoriale
dell'alta velocità con esclusivo riferimento alla scala nazionale. Per
conseguire questo obiettivo vengono suggerite metodologie per la
determinazione dei livelli di variazioni di accessibilità locale, sia sulla
base delle diverse zonizzazioni effettuate dall'Ente FS sia su un
criterio funzionale-territoriale:
1. regioni nodali direttamente servite;
2. regioni indirettamente servite (cioè, che possono avvalersi di un
modo ferroviario AV localizzato in una regione contigua);
19
3. aree di attraversamento;
4. regioni tradizionalmente escluse o poco servite;
5. regioni di nuova esclusione.
La seconda parte affronta il tema della specializzazione produttiva
indotta dalla crescente integrazione dei mercati e dell'aumento
dell'interdipendenza regionale. Ciò è possibile perché esiste un
miglioramento dell'accessibilità delle varie aree direttamente ed
indirettamente servite, dovuto non solo all'aumento della capacità del
trasporto ferroviario ma anche ad una maggiore efficienza nel servizio
che ha come effetto indiretto lo shift dalla strada alla ferrovia
eliminando i costi di congestione. Ciò potrebbe provocare una
diminuzione assoluta dei costi d'interazione promuovendo una
specializzazione produttiva capace di influenzare l'organizzazione
spaziale delle attività.
La terza tratta infine del tema della delle competizione spaziale fra le
regioni diverse e degli effetti redistributivi indotti da investimenti in
infrastrutture. La relazione inoltre, muovendo dalle teorie
dell'equilibrio spaziale, illustra gli effetti attesi di un miglioramento
dei trasporti all'interno di un sistema regionale in assenza di mobilità
dei fattori (cioè a mercati di beni che vengono prevalentemente
acquistati da operatori, imprese e consumatori residenti nell'area di
produzione) che nel caso in cui la mobilità dei fattori ci sia.
Il lavoro di Lampugnani (1995) esamina le interazioni tra potenziale di
sviluppo regionale e dotazioni infrastrutturali per un sistema di
trasporto ad alta velocità. In particolare si esamina come il
miglioramento delle infrastrutture di trasporto va a modificare la
competitività della regione che ne è interessata. Nell’analisi empirica
viene esaminata la variazione del grado di accessibilità associato alle
differenti aree (regioni) individuato quale indicatore da cui discendono
le più rilevanti cadute territoriali dell'Alta Velocità. In altri termini la
valutazione dell'impatto territoriale legato all'investimento per l'Alta
Velocità richiede innanzitutto la definizione di un'area di riferimento
complessiva ed una sua ripartizione in zone funzionali su cui
focalizzare l'attenzione. Circa il primo punto si può dire che l'area di
riferimento è quella nazionale. Circa il secondo, invece, le zone
funzionali devono essere il più possibili omogenee sia in termini di
accessibilità che in termini dimensionali potendosi individuare in
questa un indicatore significativo di capacità di generazione di
20
spostamenti. Il risultato complessivo di questo processo ha portato
all'individuazione di 68 zone di influenza dell'investimento Alta
Velocità. L'analisi si conclude con l'analisi dell'accessibilità per singoli
modi di trasporto e con l'analisi dell'accessibilità con l'integrazione dei
modi di trasporto (i tempi migliori). La conclusione a cui si arriva è
che l'impatto legato all'AV è in stretta relazione con il grado di
connessione che la linea AV ha con le ferrovie di carattere regionale.
A questa caratteristica è infatti imputabile il fatto che l'introduzione
dell'AV contribuisca a rendere più squilibrata la mappa
dell'accessibilità ferroviaria, rafforzando le relazioni più forti e
marginalizzando quelle meno rilevanti. L'analisi mostra, comunque
che l'impatto dell'AV è modesto.
Nello studio di NOMISMA (1993) viene esaminato, da un punto di
vista esclusivamente teorico, l’impatto dell’Alta Velocità sulla
mobilità per ragioni di lavoro. Nella prima parte vengono passati in
rassegna alcuni contributi della letteratura economica e trasportistica.
Nella seconda parte si prende in considerazione l'analisi della
situazione attuale della mobilità per lavoro, in particolare la mobilità
per affari e il pendolarismo, in Italia. Essa costituisce un presupposto
indispensabile per comprendere le potenzialità di impatto di un nuovo
servizio di trasporto come il Treno ad Alta Velocità. Lo studio di
questa parte si basa sia su elementi acquisiti con una specifica
indagine sul campo che su informazioni tratte da statistiche ufficiali ed
alcune fonti secondarie. Infine, la terza ed ultima parte passa in
rassegna le esperienze straniere di alta velocità ferroviaria (Giappone,
Francia e Germania). I tre paesi si differenziano sull'alta velocità per la
fase temporale del servizio. L'analisi mostra che a differenti realtà
nazionali corrispondono differenti pratiche di mobilità e quindi anche
le comparazioni devono essere fatte con cautela.
Lo studio di TAV-Bocconi (1995) sviluppa una valutazione standard
di moltiplicatore dell'impatto della spesa per la realizzazione della
linea ferroviaria ad Alta Velocità Torino-Milano-Napoli sulla base
della tavola input-output Istat del 1988 a 44 settori. L’analisi,
estremamente dettagliata per ciò che concerne la disaggregazione
settoriale, si limita peraltro agli effetti della spesa di cantiere. In
particolare vengono analizzati: 1) l'ammontare degli investimenti e le
tipologie d'investimento; 2) l'attivazione diretta che l'investimento
provoca sugli altri settori (produzione lorda, valore aggiunto e
lavoratori occupati); 3) gli effetti indotti dal circuito reddito-consumo
21
(attività commerciali, i pubblici esercizi, la locazione dei fabbricati);
4) il costo sociale dell'investimento e costo-opportunità; 5) la
suddivisione territoriale dell'attivazione.
22
Bibliografia
1. Andersson, A.E., 1986, “Presidential address: The four logistical
revolutions”, Papers of the Regional Science Association 59, pp. 1-12.
2. Andersson, A.E., C. Anderstig e B. Harsman, 1989, “Knowledge and
communication infrastructure and regional economic change”, Working
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25
PARTE I
Capitolo 2.
Impatti economico-territoriali delle infrastrutture di
trasporto
Daniele Fabbri, Dipartimento di Scienze Economiche, Università di
Bologna
2.1. Introduzione
L’accezione del termine "territorio" che qui vogliamo adottare è quella
che lo scienziato sociale attribuisce sia alla componente fisica (il
suolo, gli insediamenti, le infrastrutture) che alla componente
relazionale (la società, l’economia, la cultura) di uno spazio
localizzato. E’ rispetto a questo ambito che ci interessa esaminare in
questo capitolo il ruolo che giocano le infrastrutture di trasporto
nell’influire sullo sviluppo di un territorio. Vista la nostra vocazione
disciplinare ci concentriamo qui solo sugli effetti rispetto ai quali la
teoria economica può offrire significativi contributi di analisi e di
comprensione. Lungi da noi considerare irrilevante l’impatto che il
trasporto può avere sugli stili di vita delle persone, sulla percezione
dello spazio o sui connotati socio-culturali di una comunità. Tuttavia
queste analisi spettano ad altre discipline.
L’approccio economico si colloca a metà strada fra quello seguito dai
geografi e quello praticato dagli ingegneri. I geografi analizzano le
infrastrutture di trasporto per spiegare l’intero novero delle attività
umane che si sviluppano su una porzione di territorio. Gli ingegneri
del traffico studiano i sistemi di trasporto per poterli pianificare,
concentrandosi esclusivamente sulle relazioni direttamente rilevanti
per l’analisi dell’uso delle infrastrutture. Gli economisti invece usano
le infrastrutture di trasporto per spiegare meglio il funzionamento dei
mercati in tutti quegli ambiti in cui il territorio e la distanza spaziale
assumono rilevanza economica. Laddove l’approccio dei geografi è
tendezialmente eclettico e induttivo, quello di ingegneri ed economisti
è necessariamente parziale e tendenzialmente deduttivo, ovvero si
rivolge ad un sottoinsieme delle relazioni in cui il trasporto si colloca
opportunamente ristretto per evidenziare gli aspetti di interesse. I
tentativi di creare una struttura concettuale più ampia, in cui cioè si
integrino e si completino l’analisi dei mercati territorialmente rilevanti
con quella dell’uso delle infrastrutture, rimangono assai limitati.
2.2. Effetti delle infrastrutture di trasporto sull'attività economica: il
quadro teorico di riferimento
In generale, il miglioramento delle infrastrutture di trasporto determina
una riduzione dei costi d'interazione fra gli agenti economici
localizzati in punti diversi dello spazio economico, ovvero agevola il
superamento della barriera imposta dallo spazio al movimento di
persone e cose e allo scambio di beni, servizi ed informazioni. Questi
effetti diretti sugli agenti si ripercuotono peraltro sull’intero
funzionamento dei mercati in cui ciascun agente scambia i beni e i
servizi di cui è titolare. Di questi effetti ci interessa discutere nei
prossimi paragrafi. L’ordine di presentazione degli effetti esaminati
procede in senso crescente con le velocità di aggiustamento che essi
impongono. Iniziamo quindi dagli impatti che hanno un tempo di
aggiustamento più al veloce .
2.2.1. L’analisi di equilibrio parziale dello scambio nello spazio
La figura 1 illustra il modello elementare del commercio
interregionale. I due grafici illustrano nei punti E1 e E2 l’equilibrio del
mercato di un certo bene che si raggiunge rispettivamente nella
regione 1 e nella regione 2 quando le due regioni non commerciano fra
loro o, in altri temini, sono in autarchia. La differenza nei prezzi
interni fa sì che si sviluppi un vantaggio reciproco al commercio
interregionale. Tuttavia tale scambio sarà possibile nella misura in cui
il costo della sua effettuazione, rappresentato nella nostra analisi dal
costo del trasporto, è inferiore alla differenza fra i prezzi p2-p1.
Nel caso raffigurato il costo del trasporto, che è pari a c, permette alla
regione 1 di esportare la quantità LM alla regione 2. Lo scambio che
così si sviluppa beneficia entrambe le economie. l’analisi del surplus
del consumatore e del produttore ci dicono che la regione 1 realizza un
maggior surplus (che affluisce al produttore) pari all’area A e la
regione 2 un maggior surplus (che affluisce al consumatore) pari
all’area B.
In generale il miglioramento delle infrastrutture di trasporto determina
la riduzione dei costi di trasporto e quindi porta ad un incremento dei
flussi di scambio fra le regioni. Il prezzo di equilibrio della regione
2
esportatrice aumenta, mentre quello della regione importatrice
diminuisce. Pertanto il miglioramento dell’infrastruttura di trasporto fa
stare meglio i produttori e peggio i consumatori nella regione
esportatrice e viceversa nella regione importatrice.
Figura 1:
p
p
Regione 1
p2
M
L
B
c
A
E1
O1
E2
p1
q
O2
Regione 2
q
D’altronde in un contesto multiregionale questo effetto di incremento
degli scambi si accompagna in generale ad un processo di diversione
dei flussi. Infatti se il costo di trasporto si riduce sensibilmente tra due
regioni A e B allora può accadere che la regione B invece di importare
da una terza regione C abbia convenienza ad importare da A. Per
questo si dice che la costruzione e il miglioramento delle infrastrutture
di trasporto produce oltre ad effetti di tipo “generativo” anche ingenti
effetti di tipo “redistributivo”.
2.2.2. Il mercato del lavoro.
La riduzione della deterrenza posta dallo spazio allarga evidentemente
l’ampiezza territoriale dei mercati dei fattori produttivi cui le imprese
e ogni attività economica attingono. Tra i fattori produttivi quello la
cui analisi ci pare di maggior interesse in questa sede è certamente il
lavoro. In un moderno mercato del lavoro gli aspetti rilevanti della
relazione fra domanda e offerta spaziale di lavoro sono due: 1) il
rapporto fra formazione dei "capitali umani" e loro distribuzione sul
territorio, 2) il meccanismo di aggiustamento.
3
La produzione di “capitali umani” richiede due passaggi: la
produzione di servizi formativi, educativi e didattici da parte di una
struttura educativa (famiglia, scuola, università) e il loro impiego nel
processo di creazione del capitale umano da parte degli studenti. In
ogni processo produttivo, la difficoltà di reperimento degli input fa
innalzare il costo di produzione. Ciò accade anche nella produzione di
capitale umano. Poichè tutte le strutture formative sono tipicamente
distribuite in modo discontinuo sul territorio la creazione di capitali
umani impone costi di trasporto molto ben definibili.
Questa osservazione porta con sè due conseguenze. A parità di altre
condizioni, un'area locale spende meno nel dotarsi di un certo tipo di
capitale umano quanto più è vicina ai centri che forniscono i servizi
formativi necessari. Di conseguenza la distribuzione dei diversi
capitali umani, dove la diversità deve leggersi soprattutto in termini
qualitativi, segue una legge di tipo gravitazionale: i capitali umani
presenti e disponibili in un'area saranno con maggior probabilità quelli
"producibili" con i servizi formativi offerti nell'area medesima.
L'analisi del funzionamento dei mercati del lavoro locali non ha
ancora raggiunto un elevato grado di maturazione. Simpson (1992) ha
recentemente sviluppato un utile modello descrittivo basato su due
principi applicati tanto al lato della domanda che a quello dell'offerta:
1. il processo di "job search” è spazialmente sistematico a partire dal
luogo di residenza di colui che lo effettua, ovvero l'opportunità di
lavoro che viene esaminata per prima é quella che, coeteris paribus,
impone i costi spaziali minori. Per costi spaziali si intendono due
cose: i costi spaziali della ricerca e quelli del pendolarismo ed
eventualmente di rilocalizzazione.
2. L’acquisizione di un capitale umano superiore amplia l’area di
ricerca spaziale. Due lavoratori, in tutto simili ad eccezione del
livello di abilità o di istruzione, che sono in cerca di occupazione
avranno bacini di ricerca diversi: l'individuo più istruito effettuerà
la sua ricerca su un'area più ampia. L'evidenza empirica suggerisce
inoltre che quest'ultimo sarà maggiormente propenso ad utilizzare
tecniche di ricerca più formali.
Prendendo in esame il lato della domanda si possono sviluppare
considerazioni analoghe. Posto che il salario competitivo non può
assolvere completamente alla funzione di meccanismo allocativo, e
visto che l'informazione é un bene scarso, le imprese devono
4
perseguire una strategia di reclutamento attiva. Inoltre vista
l'eterogeneità dei lavoratori l'impresa deve saper selezionare i
candidati aventi le capacità più appropriate al ruolo. Tipicamente le
strategie di reclutamento seguono le medesime regole della job search
prima tratteggiate. La ricerca avviene prima nelle aree territoriali
limitrofe per estendersi solo successivamente ad ambiti più ampi;
quanto più specifica é la capacità cercata tanto più ampio é il bacino di
reclutamento sondato e maggiore é il ricorso a tecniche e canali di
reclutamento formali.
Ricomponendo domanda e offerta e distinguendo fra capacità
generiche e capacità specifiche Simpson arriva a individuare alcune
importanti relazioni fra distanza di reclutamento, distribuzione
territoriale dei capitali umani e salario offerto. Un elevato rapporto fra
domanda di lavoro e densità nella distribuzione territoriale delle
capacità domadate fa allargare il bacino di reclutamento; la ricerca su
area ampia può essere sostituita da una strategia di innalzamento dei
salari offerti per le capacità più generiche. Infatti salari più alti
riducono la distanza di reclutamento in quanto accrescono la
probabilità di accettazione da parte del candidato. Questa possibilità di
sostituzione non é più vera per il reclutamento di capacità specifiche.
Infatti anche il candidato perseguirà strategie di job search meno
incentrate sul salario e avrà un raggio di ricerca decisamente ampio.
Il miglioramento delle infrastrutture di trasporto amplia evidentemente
le distanze di reclutamento e quindi tende ad operare nel senso di
neutralizzare il peso della distribuzione territoriale dei capitali umani.
Ciò è vero in particolare per i capitali umani di tipo più scarso1.
2.2.3. Forme di mercato non concorrenziale e costi di trasporto.
Le prescrizioni fornite dal modello elementare dello scambio
interregionale sono tutte basate sull’assunto di perfetta
concorrenzialità dei mercati. Tuttavia l’ipotesi di concorrenza perfetta
non è in generale un’ipotesi debole. Occorre chiedersi quindi cosa
accada quando l’abbassamento dei costi di trasporto interessi il
funzionamento di un mercato che si allontana da quel modello ideale.
Il monopolio spaziale.
1
Una interessante applicazione di tali considerazioni si può trovare in Marchetti
(1993).
5
Iniziamo con il considerare il caso più estremo, quello in cui il
mercato di un impresa è spazialmente separato da quello delle altre,
ovvero ogni impresa operi come monopolista spaziale. Immaginiamo
inoltre che il territorio sia rappresentabile come un segmento su cui
sono distribuiti, in modo continuo, i consumatori. Al centro del
segmento si posiziona il monopolista. Come è noto il monopolista
fissa il prezzo (o la quantità prodotta) in modo da massimizzare il
profitto. Nel caso del monopolio spaziale la domanda viene
influenzata dalla distanza. Pertanto la fissazione del prezzo risente di
tale aspetto. Tre sono le possibili strategie di tariffazione:
1. Mill pricing: si ha quando i consumatori raggiungono a proprie
spese il luogo in cui il fornitore è localizzato e lì acquistano il bene
ad un prezzo unitario costante ovvero che non varia al variare della
localizzazione da cui provengono. Se t è il costo di trasporto per
chilometro percorso e x indica la distanza del consumatore dal
monopolista il mill price sarà quindi pM(x)=m+tx.
2. Uniform pricing: si ha quando l’impresa fornisce anche il servizio
di trasporto al consumatore e questo paga sempre il medesimo
prezzo, indipentemente dalla distanza. Quindi pU(x)=pU.
3. Discriminatory pricing: anche questa strategia di tariffazione si ha
quando l’impresa fornisce anche il servizio di trasporto. Essa è tale
per cui i prezzi praticati a ciascun consumatore, identificato in base
alla sua distanza, vengono fissati in modo da massimizzare i
profitti. Pertanto ad ogni distanza dal monopolista verrà praticato
un prezzo diverso.
La letteratura presenta molti risultati teorici interessanti riguardanti le
proprietà economiche di queste strategie. Rimandiamo a tale riguardo
ai testi di Beckmann e Thisse (1987) e Greenhut, Norman e Hung
(1987). Qui ci preme riassumere solo i più significativi e generali.
1) Per un monopolista spaziale avente un’area di mercato prefissata
mill e uniform pricing sono ugualmente profittevoli, mentre il
discriminatory pricing è più profittevole. Rispetto all’efficienza
sociale misurata dalla seguenti grandezze il mill pricing è migliore, il
discriminatory intermedio, lo unifrom il peggiore: costo totale del
trasporto, surplus del consumatore e surplus sociale, prezzo unitario
del bene.
2) Nel caso di un monopolista spaziale che può scegliere la propria
area di mercato si dimostra che l’area ottimale di mercato, l’output e il
6
profitto sono maggiori con una strategia discriminatory pricing
rispetto alle corrispndenti grandezze nel caso di mill e uniform pricing.
3) L’impatto delle variazioni del costo unitario di trasporto sono molto
importanti. Il risultato più robusto riguarda l’effetto sulla strategia di
discriminatory pricing. Infatti al diminuire del costo unitario di
trasporto il prezzo discriminatorio a ciascuna località si abbassa e
corrispondentemente si innalza l’output prodotto, il surplus del
consumatore e il profitto del monopolista. Nel caso delle strategie mill
e uniform pricing l’effetto della riduzione del costo del trasporto sui
prezzi praticati e sull’output offerto dipende dalla forma delle funzioni
di domanda e dalla densità dei consumatori. Può anche accadere
quindi che il prezzo aumenti al diminuire dei costi unitari di trasporto.
Il duopolio spaziale
Immaginiamo ora due imprese, che producono il medesimo bene,
localizzate su due punti del mercato lineare prima descritto che
competono per attrarre i consumatori distribuiti sul territorio. I
consumatori valutano se acquistare il bene da uno o dall’altro dei
produttori sulla base del costo netto che devono sostenere. Quindi le
vendite di un produttore dipendono non solo dal prezzo che egli
pratica ma anche da quello praticato dall’altro. Pertanto il mercato
funzionerà come un gioco non cooperativo di fissazione del prezzo
noto in letteratura come gioco di Hotelling.
Anche in questo contesto i risultati teorici sono molto numerosi.
d’Aspremont, Gabszewicz e Thisse (1979), ad esempio hanno
dimostrato che affinchè si determini un equilibrio con mill pricing
occorre che le imprese siano localizzate nel medesimo punto o siano
molto distanti. Invece se esse sono localizzate vicine ma separate la
competizione può portare ad una fluttuazione indefinita dei prezzi. Il
duopolio spaziale in presenza di uniform pricing porta ad un esito di
continua fluttuazione dei prezzi, analogo a quanto previsto dal
modello classico di Bertrand. Nel caso di discriminatory pricing le
imprese competono su ogni singolo mercato locale. In ogni punto del
mercato ad eccezione del punto intermedio fra i due duopoloisti le
imprese saranno in condizioni di costo asimmetriche. Infatti quella più
vicina al consumatore avrà un vantaggio di costo rispetto all’altra. Per
questo motivo l’impresa più lontana da una certa localizzazione x
dovrà smettere di ridurre il prezzo di offerta su quel mercato
(undercut) per sconfiggere il rivale quando esso supera il suo costo
7
marginale di un ammontare inferiore ai costi di trasporto del prodotto
fino al punto x. Pertanto in equilibrio in ogni punto del mercato
prevarrà un prezzo pari al costo marginale di produzione e di trasporto
del duopolista più lontano.
L’oligopolio spaziale.
Qualora sul mercato spaziale operino una molteplicità di imprese la
presenza di costi di trasporto fa sì che ciascuna di esse competa
direttamente solo con le imprese nelle immediate vicinanze mentre
competa con quelle più lontane solo indirettamente2. Per esaminare il
funzionamento di questa forma di mercato Greenhut, Norman e Hung
(1987) assumono che ciascuna impresa si comporti come un
monopolista spaziale che formula una precisa ipotesi sull’impatto che
le proprie azioni esercitano sulle reazioni del competitore più vicino.
Due sono le ipotesi più ricorrenti.
1. congetture alla Losch: si hanno quando ciascun oligopolista ritiene
che il proprio rivale reagirà in modo identico a ciascuna variazione
di prezzo praticata.
2. congetture alla Hotelling: si hanno quando ciascun oligopolista
ritiene che il proprio rivale non reagirà alla variazione di prezzo
praticata.
Nel caso di mill pricing si dimostra che con congetture alla Hotelling:
1) al tendere dei costi di trasporto a zero si realizza l’allocazione di
concorrenza perfetta con il prezzo di ciascuna impresa che tende al
costo marginale; 2) ogni aumento dei costi di trasporto si riflette in un
aumento dei prezzi. Invece con congetture alla Losh: 1) al tendere dei
costi di trasporto a zero si realizza un esito di monopolio; 2) l’aumento
dei costi di trasporto fa calare i prezzi praticati.
Nel caso di discriminatiry pricing occorre distinguere due situazioni:
1. tutte le imprese sono localizzate nel medesimo luogo,
2. n1 imprese sono localizzate in un luogo e n2 ad una distanza R da
quello.
Figura 2
2
Kaldor descriveva l’oligopolio come una catena di mercati interconnessi.
8
p
A
p
B
n 1<n 2
n 1=n 2
n 1>n 2
0
R
r
R
0
La Figura 2 rappresenta nella sezione A il profilo della tariffa
discriminatoria, al netto dei costi di trasporto, nel caso 1, mentre nella
parte B si indica come variano i profili al variare della numerosità
delle imprese.
2.2.4. Infrastrutture di trasporto e scelte localizzative
Finora abbiamo considerato l’impatto del miglioramento delle
infrastrutture di trasporto su alcuni mercati considerando date le
localizzazioni degli agenti economici. Tale ipotesi pare del tutto
ragionevole nel breve periodo. Al contrario se si intende valutare
l’impatto nei suoi effetti di lungo periodo occorre necessariamente
abbandonarla ed esaminare i fattori che influenzano le scelte
localizzative dei principali agenti economici: imprese e famiglie.
La localizzazione industriale
La teoria classica della localizzazione attribuisce alle infrastrutture di
trasporto (e quindi ai relativi costi) un ruolo importante. Nel suo
fondamentale contributo Weber3 assume che l’impresa sappia di dover
soddisfare una domanda data e di produrre il bene con input i cui
prezzi sono dati e la cui fornitura avviene in pochi punti del territorio.
In queste circostanze scegliere l'ubicazione ottima significa risolvere
un problema di ottimizzazione vincolata in cui il profitto massimo
dipende dalla localizzazione dell'azienda ed, in definitiva, dalla
minimizzazione dei costi di trasporto. La localizzazione ottima sarà un
punto intermedio tra le fonti dei fattori di produzione e i mercati. Il
grado di vicinanza all'uno o all'altro dipende dalle proporzioni in cui
3
Per una semplice trattazione si veda Lloyd e Dicken (1987).
9
vengono utilizzati i fattori di produzione, dai prezzi dei fattori e dal
costo di trasporto.
Il limite forse più rilevante dell’analisi di Weber è la mancata
considerazione della competizione. Di fatto il modello weberiano è un
modello di monopolio in cui ciascuna impresa considera la
localizzazione dei concorrenti come un dato. Peraltro abbiamo visto
discutendo delle strategie di prezzo che nello spazio le imprese sono
portate, diremo naturalmente, ad interagire in modo strategico. Nella
letteratura di teoria della localizzazione ciò ha portato a sviluppare
approcci direttamente ispirati alle analisi di Hotelling e quindi alla
considerazione delle interdipendenze localizzative.
Il mercato dei suoli e la rendita urbana.
Peraltro l’aspetto dell’interazione sul mercato del prodotto non è
l’unico a rilevare nel processo di localizzazione. Infatti, soprattutto in
ambito urbano, la scelta localizzativa avviene in condizioni di
competizione per il consumo di uno spazio che è limitato4.
Se immaginiamo la città come un agglomerato di beni pubblici locali
collocati approssimativamente in un centro, allora in questo contesto
lo spazio e la scelta localizzativa operano come un meccanismo di
razionamento al consumo di quei beni. Infatti se esiste un centro che
esercita attrazione in quanto sede del mercato del lavoro, delle
occasioni di ricreazione e cultura, dei servizi, o più generalmente in
quanto centro di interazione sociale, è chiaro che la domanda
residenziale si indirizzerà verso quelle localizzazioni che consentono
un più facile e rapido accesso a queste “esternalità”. La propensione
verso localizzazioni centrali generarà quindi un eccesso di domanda
per le aree centrali e quindi un incremento del valore della rendita di
quelle aree, inteso come prezzo relativo delle aree centrali rispetto alle
aree non centrali.
In sostanza emerge un preciso trade-off per il singolo individuo fra
prezzo del suolo e distanza, fra disutilità del costo crescente del
terreno residenziale mano a mano che ci si avvicina al centro e il
crescente vantaggio dell’accessibilità, misurato dalla riduzione del
costo generalizzato di accesso al centro. La decisione del singolo
individuo per massimizzare la propria utilità rispetto a questo trade-off
si riflette su una variabile di aggiustamento che è data dalla
4
Si veda a questo riguardo il libro di Camagni (1992).
10
dimensione delle unità residenziali. Infatti dimensioni ridotte possono
limitare il costo monetario delle alte rendite centrali.
A parità di reddito speso nell’acquisto di servizi di trasporto e di
servizi abitativi, la scelta della composizione della spesa si svilupperà
in base alla forma della funzione di utilità del soggetto. Qualora
l’accessibilità sia considerata un bene superiore5, poichè l’individuo
più ricco privilegia quest’ultima, emergerà una struttura residenziale di
equilibrio in cui i ricchi si collocano al centro pur consumando lotti
residenziali piccoli e i poveri si localizzano nelle periferie. Invece nel
caso in cui sia il consumo di servizi residenziali ad essere considerato
di tipo superiore allora si svilupperà una allocazione di equilibrio in
cui i ricchi “consumano” abitazioni molto grandi nelle aree periferiche
e i poveri si localizzano nel centro.
In questo contesto l’abbassamento dei costi di accesso al centro tende
a ridurre il livello della rendita ad ogni localizzazione, ad allargare la
dimensione dell’area abitata e ad accrescere l’utilità complessiva degli
abitanti. D’altro canto se si considera l’impatto sul mercato dei suoli
dovuto alla costruzione di una nuova infrastruttura di trasporto,
poniamo ad esempio una nuova linea di metropolitana, sebbene
determini nell’aggregato l’effetto appena descritto esso esercita effetti
differenziati sul territorio urbano. Ovvero le aree nelle immediate
vicinanze della nuova infrastruttura conosceranno un apprezzamento
rispetto al valore iniziale che riflette l’effetto della domanda di
accessibilità.
2.2.5. Analisi di equilibrio parziale e di equilibrio generale
Le analisi che abbiamo finora proposto si riferiscono tutte ad effetti
del miglioramento delle infrastrutture di trasporto aventi natura
parziale, ovvero che interessano solo il funzionamento di uno
specifico mercato, sia esso quello del prodotto, quello del suolo o
quello del lavoro. Tuttavia gli effetti economici di un intervento
infrastrutturale non si esauriscono tutti su di un solo mercato, ma si
ripercuotono necessariamente in modo indiretto anche su altri mercati.
Ciò può provocare effetti di ritorno o di feed-back molto significativi
che non sono valutabili nell’ambito di una analisi parziale.
5
E’ bene ricordare che la teoria microeconomica ci assicura che qualora un
consumatore possa consumare solo due beni allora tali beni non possono essere
entrambi beni superiori.
11
Si immagini ad esempio che la riduzione dei costi di trasporto
provochi una diversione dei flussi di scambio interregionali di un
prodotto da una regione originariamente esportatrice (A) ad una
seconda regione (B) che sviluppa a seguito dell’investimento in
infrastrutture un vantaggio comparato nello scambio. Ciò può
provocare effetti depressivi sul reddito della prima regione (A) e
quindi ulteriori impatti dovuti alla riduzione della domanda
proveniente da quella regione. Questi impatti possono ripercuotersi
pesantemente sulle altre regioni soprattutto qualora la regione A sia
molto grande e consumi una quota molto significativa dei beni
esportati delle altre regioni. La valutazione degli effetti sugli altri
mercati richiede quindi un approccio più generale che contempli
simultaneamente l’analisi di tutti i mercati, della distribuzione del
reddito e del processo di scelta dei consumatori. L’analisi deve cioè
svilupparsi in quello che si chiama approccio di equilibrio economico
generale. Nel caso delle analisi in contesto urbano non sembra
possibile trascurare l’effetto sul mercato dei suoli e quindi l’analisi
degli effetti sul processo di localizzazione residenziale.
2.3. I modelli per l’analisi economica dell’interazione trasportiterritorio
In questa sezione presentiamo sinteticamente alcune fra le principali
opzioni metodologiche sviluppate in letteratura per esaminare alcuni
degli effetti economici delle infrastrutture di trasporto esaminati nel
paragrafo precedente. La tipologia di problemi che esaminiamo è
quella nota come problema distributivo. Come abbiamo visto la
situzione tipicamente più esaminata nelle Scienze Regionali e
nell’Economia dei Trasporti coinvolge un insieme di punti nel
territorio, le località, ed un sistema di relazioni che si instaura fra di
essi fatto di flussi di informazioni, di merci, di persone o di
conoscenza6.
Il problema distributivo consiste nell’individuare una matrice nonnegativa tij con i  I=[1,2,...,I] e j  J=[1,2,...,J], che soddisfi alcuni
vincoli ed alcune condizioni. Immaginamo che le i siano zone di
origine e le j zone di destinazione di un bacino territoriale di cui
stiamo esaminando i flussi relativi ad un certo fenomeno.
6
Una ottima rassegna è quella curata da Batten e Boyce (1986).
12
Interpretiamo tij come il numero relativo di flussi fra la zona i di
origine e la zona j di destinazione. I vincoli tipici che vengono imposti
sono:
t
ij
 oi , i  I
ij
 di , j  J
j
t
i
dove oi e dj cono costanti positive che rappresentano la quota di flussi
che originano in i e quelli che terminano in j.
In generale vi sarà un numero molto elevato di possibili matrici per
ogni sistema di vincoli marginali, in quanto la matrice è costituita da
IJ elementi mentre vi sono solo I+J vincoli. Pertanto la scelta fra le
possibili matrici tij dovrà basarsi su qualche criterio aggiuntivo. La
prassi è quella di calibrare un modello che spieghi nel modo migliore,
sulla base dei valori noti di alcune variabili e sul principio aggiuntivo
adottato, una matrice storica di flussi. Successivamente il modello
della matrice viene sollecitato per valutare l’impatto che la
modificazione di talune variabili esplicative esercita sui flussi futuri.
3.1. Il principio di gravitazione: i modelli di interazione spaziale.
Questo principio, enunciato ed applicato nella sua forma più semplice
alla situazione di nostro interesse recita che: l’interazione tra due aree
i e j sarà direttamente proporzionale alle masse, opportunamente
identificate, delle stesse e inversamente proporzionale ad una
opportuna funzione della distanza fra le stesse7.
Sulla scorta di questo principio la costruzione della matrice teorica di
flussi tij viene fatta sfruttando le informazioni concernenti le “masse” e
la deterrenza spaziale del fenomeno esaminato. Le masse sono di volta
in volta identificate come i fattori socio-economici che spiegano la
generazione o l’attrazione di una flusso rispettivamente dall’origine i o
7
L’esplicita derivazione teorica di tale principio inizialmente mutuato direttamente
dalla legge di gravitazione di Newton ha costituito per molto tempo una fra le
principali occupazioni degli scienziati regionali. Erlander e Stewart (1989) e Sen e
Smith (1995) offrono le trattazioni più esaurienti della teoria dei modelli di
interazione spaziale presentando tutte le possibili derivazioni da principi più generali
come l’entropia, l’utilità individuale, il guadagno di informazione.
13
alla destinazione j e la deterrenza spaziale è tipicamente identificata
con la distanza o qualche componente del costo di trasporto.
L’applicazione di tale principio nelle scienze regionali è stata molto
massiccia. Fotheringham e O’Kelley (1989) offrono un ampio saggio
di queste applicazioni e delle notevoli potenzialità della modellistica
di interazione spaziale. In particolare vengono presentate due categorie
di applicazioni: applicazioni per l’analisi descrittiva e previsionale dei
flussi (applicazioni ai flussi migratori cap. 5 e dei bacini di attrazione
delle attività commerciali cap. 6 e 7) e applicazioni per la
pianificazione e l’analisi normativa (modelli di localizzazione dei
centri di erogazione di servizi cap. 8 e applicazioni per la definizione
delle reti di trasporto complesse cap. 9). Nel primo caso l’obiettivo è
quello di conoscere i fattori che generano il fenomeno di flusso e
prevedere come la modificazione di tali variabili lo possa influenzare.
Nel secondo caso il modello di interazione spaziale viene collocato
nell’ambito di un modello di ottimizzazione la cui soluzione richiede
la collocazione nello spazio o su una rete di centri attrattori e
generatori di flussi la cui ripartizione sul territorio o sulla rete viene
simulata appunto dal modello di interazione.
2.3.2. Il principio di equilibrio dei prezzi: i modelli SPE.
Il principio dell’equilibrio spaziale dei prezzi o Spatial Price
Equilibrium (SPE) è stato implicitamente già enunciato nel paragrafo
2.1. Con esso si stabilisce che i flussi di scambio di un certo bene fra
un insieme di mercati locali si sviluppano per massimizzare il surplus
complessivo dei produttori e dei consumatori al netto dei costi di
trasporto sostenuti per effettuare i flussi. Nell’equilibrio finale che si
realizza deve essere verificata la seguente condizione generale: il
prezzo di domanda deve uguagliare il prezzo di offerta più i costi di
trasporto per ogni coppia origine destinazione per la quale si
manifesti un flusso di scambio positivo.
Una chiara esposizione di questo approccio e di alcune sue
applicazioni si può trovare in Takayama e Labys (1987). Le
applicazioni di tale principio si concentrano tutte nell’ambito della
modellazione dei flussi di merci fra regioni o, nei modelli più
sofisticati, fra i nodi e sugli archi di una rete di trasporto.
14
2.3.3. Il principio di equilibrio multisettoriale multiregionale: i
modelli I-O multiregionali.
Il limite pricipale dei modelli di SPE è rappresentato essenzialmente
dalla loro natura monoprodotto e dal fatto di non considerare la
rilevanza delle relazioni di produzione e quindi tutto l’insieme di
flussi di merci indotti dalla modificazione dei pattern di produzione e
di scambio. Tale limite viene superato dall’analisi delle matrici delle
interdipendenze settoriali multiregionali.
Come è noto l’analisi delle interdipendenze settoriali, o analisi InputOutput, permette di studiare l’impatto che la variazione di una delle
componenti della domanda finale, sia essa la domanda dei
consumatori, la domanda di investimenti, la spesa pubblica o le
esportazioni esercita sull’intero sistema economico, ovvero sui settori
direttamente attivati e sui settori indirettamente attivati per fornire gli
input necessari alla produzione dei primi. Tutte le analisi I-O sono
basate sull’assunto di invarianza dei prezzi, ovvero si immagina che
non sussistendo alcuna limitazione alla espansione delle produzioni e
che quindi non si debba sviluppare alcun processo di razionamento
della domanda nè di beni finali nè di input. Inoltre si assume che la
descrizione degli scambi intersettorriali possa essere opportunamente
fatta sulla scorta di una matrice di coefficienti di produzione costanti
del tipo noto come alla Leontief che si ipotizzano costanti e invarianti
sull’orizzonte di tempo considerato.
Isard (1951) ha esteso l’analisi I-O tradizionale al contesto
multiregionale immaginando che le matrici dei flussi di scambio
intersettoriale potessero essere generalizzate distinguendo ciascun
prodotto anche in base alla regione di appartenenza8. In particolare
ogni coefficiente tecnico esprimerà la quantità di input i prodotto nella
regione r che è necessario alla produzione dell’output j nella regione s.
Evidentemente i modelli così costruiti possono permettere di fare
simulazioni circa l’effetto di attivazione complessiva sulle produzioni
e sugli scambi interregionali prodotti da variazioni esonìgene delle
componenti domanda finale. Inoltre questi effetti possono essere
incorporati in modelli di simulazione dei flussi su una
rappresentazione di rete di trasporto.
8
Si veda anche il fondamentale contributo di Moses (1955).
15
2.3.4. Il principio di equilibrio economico generale: i modelli ICGE.
Il limite fondamentale dell’analisi I-O, quello cioè di non essere
sensibile alle variazioni di prezzo, rende questo tipo di approccio
spesso poco utile per l’analisi dell’interazione fra sistema del trasporto
e evoluzione dei flussi interregionali. Infatti la variazione dei costi di
trasporto non può influenzare la distribuzione dei flussi e quindi il
modello contempla un nesso causale univoco che va dal sistema
economico a quello dei trasporti senza alcuna possibile retroazione. Al
fine di esaminare l’impatto esercitato dagli investimenti nelle
infrastrutture di trasporto occorre invece rendere il costo di trasporto
endogeno al sistema ed estendere la sensibilità ai prezzi a tutti i settori
economici esaminati nella matrice. Questa direzione di ricerca, che
nasce dalla volontà di generalizzare i modelli I-O multiregionali9 porta
naturalmente allo sviluppo di modelli di equilibrio economico
generale calcolabili multiregionale (ICGE).
Ricordiamo che questo approccio si sviluppa nell’ambito dell’analisi
multiregionale sulla scorta di una precisa esigenza: migliorare le
previsioni dei modelli di simulazione dei sistemi di trasporto delle
merci. Infatti è stato osservato che con la modellistica tradizionale,
anche quella più sofisticata, l’errore di previsione medio sui flussi si
aggira intorno al 40%. L’approccio di equilibrio economico intende
affrontare questo limite migliorando la descrizione del sistema
economico che genera i flussi.
I modelli di CGE si compongono di una descrizione dell’economia
formulata sulla scorta di un modello di equilibrio economico generale
multisettoriale10. Oltre ai settori produttivi nell’economia sono
espressamente considerate anche le famiglie. Il comportamento di
ciascun settore che compone l’economia viene descritto attraverso la
finzione dell’agente rappresentativo. Ovvero si immagina che esso si
comporti come un agente razionale che massimizza un preciso
programma.
Le famiglie vendono servizi lavorativi sul mercato del lavoro e
spendono il reddito così percepito per l’acquisto di un paniere di beni
9
Si veda a questo preciso riguardo il modello sviluppato da Liew e Liew (1984).
Inoltre si veda Buckley (1987). Roson (1993) offre una rassegna critica molto chiara
sull’argomento.
10
Il contributo fondamentale in questa letteratura è quello di Leif Johansen (1960).
16
prodotti dai produttori. Questi ultimi competono sul mercato del
lavoro e degli altri input per acquistare le risorse necessarie per
produrre, al fine di realizzare un profitto, i beni richiesti dai
consumatori. L’equilibrio sui mercati, dei beni finali e degli input
viene raggiunto attraverso l’aggiustamento walrasiano dei prezzi, fino
all’eliminazione di ogni eccesso netto di offerta su tutti i mercati.
Naturalmente in un modello siffatto la domanda e l’offerta di prodotti
finali sono interdipendenti a causa del circuito di distribuzione del
reddito che determina il potere d’acquisto delle famiglie. L’aspetto
dell’interazione spaziale può essere introdotto nei modelli CGE, così
come si fa per i modelli I-O, attraverso la disaggregazione
multiregionale e quindi nella esplicita considerazione delle
importazioni e dell’esportazioni regionali di beni e servizio finali e
intermedi.
2.4. I modelli di simulazione urbana.
La modellistica di simulazione urbana si sviluppa negli Stati Uniti a
partire dagli anni 50 e trova una rapida diffusione in Europa, Australia
e in alcuni paesi dell’America Latina. Lo scopo principale di questi
modelli è quello di fornire elementi informativi e previsionali utili alla
pianificazione dei sistemi di trasporto. A tal fine questa modellistica
sviluppa ed applica gran parte delle analisi teoriche e dei principi
metodologici esaminati in questo articolo. In una efficace rassegna di
tali modelli Alex Anas (1987) distingue gli approcci in quattro grandi
famiglie: i modelli di simulazione della città monocentrica, i modelli
non-economici, i modelli di programmazione matematica e i modelli
econometrici.
La prima categoria è di derivazione espressamente microeconomica.
Essa infatti si fonda sui modelli di localizzazione urbana sviluppati
nella tradizione di Alonso11. Le simulazioni numeriche vengono
condotte in quell’ambito nei casi in cui il modello non permetta una
soluzione esplicita. Il merito dei modelli monocentrici è rappresentato
dal loro estremo rigore metodologico e teorico. Il principio ispiratore è
quello dell’equilibrio economico generale applicato all’intero sistema
economico della città. Le soluzioni si devono intendere quindi come
autentiche soluzioni di equilibrio, ovvero come l’esito di un
11
Si veda a questo riguardo il libro di Camagni (1992).
17
comportamento ottimizzante di agenti razionali che interagiscono sui
mercati dei suoli, quello dei trasporti e quello dei beni finali.
L’aderenza alla realtà è peraltro molto contenuta e i risultati delle
simulazioni mantengono un valore prettamente qualitativo ed
indicativo.
Il contenuto empirico delle altre famiglie di modelli è invece molto
pronunciato. I modelli non-economici possiedono le seguenti
caratteristiche: 1) sono sviluppati in modo autonomo rispetto alla
teoria economica; 2) non solo ma anche i nessi con principi
metodologici diversi da quelli tipicamente economici è assai tenue; 3)
sono finalizzati all’implementazione a larga scala, ovvero con
descrizioni estremamente dettagliate e complesse del funzionamento
della città; 4) sono finalizzati alla pianificazione urbana. In questa
tradizione Anas inserisce il modello di Urban Dynamics di Forrester, il
modello Empiric di Hill, il modello di Lowry e la sua successiva
rielaborazione sulla base del principio di interazione spaziale da parte
di Wilson, nonchè tutte le derivazioni di questi approcci originari12.
La famiglia dei modelli di programmazione matematica contiene le
estensioni della modellistica di città monocentrica verso
rappresentazioni complesse di problemi di ottimizzazione. Tra questi i
più celebri sono quelli dell’equilibrio di rete come il modello di
Beckmann, McGuire e Winsten o della allocazione ottimale della
popolazione su un sistema di localizzazioni finito come il modello di
Herbert e Stevens successivamante esteso da Mills.
Peraltro la famiglia più ampia, quella che rappresenta l’ultima
generazione dei modelli di simulazione urbana è certamente la
famiglia dei modelli econometrici. Una rassegna assai dettegliata di
questi modelli focalizzata sulle più recenti e vitali esperienze di
costruzione ed utilizzo di questi modelli è fornita da Wegener
(1994).13 Questi modelli sono fortemente orientati alla teoria
economica. I mercati urbani, in particolare quello della casa e quello
del trasporto, vengono simulati ed integrati in un modello di equilibrio
12
Una descrizione dettagliata di questi modelli, oltre che in Anas (1987), può essere
trovata in Camagni (1992).
13
Tra le esperienze modellistiche più vitali occorre segnalare il diffuso utilizzo in
Europa - in particolare in Italia, Inghilterra e Spagna - del modello MEPLAN
sviluppato da Echenique, e negli Stati Uniti - in circa una quarantina di aree
metropolitane - del modello ITLUP sviluppato da Putnam.
18
unitario basato su una teoria del funzionamento dei mercati
microfondata ovvero sostenuta da una teoria del comportamento
razionale degli operatori. Tipicamente tutte, o pressochè tutte, le
relazioni economiche e comportamentali contenute in questi modelli
vengono stimate sulla scorta di dati rilevati e secondo tecniche
econometriche tradizionali.
2.5. Gli studi italiani sull'interazione tra trasporti e territorio
I contributi degli studiosi italiani in questo ambito sono assai numerosi
e di notevole qualità. Nel breve spazio di questa sezione non è quindi
possibile sviluppare una rassegna di tutti questi contributi che abbia
l’ambizione di essere esaustiva e completa. Ci pare utile comunque
fornire una articolazione per grandi temi ed ambiti di ricerca limitando
il contenuto della rassegna a poche indicazioni bibliografiche, quelle a
nostro avviso più significative o più generali, riservandoci, in via
esemplificativa, di descrivere dettagliatamente solo alcuni contributi.
2.5.1. L’analisi delle interazioni trasporto-territorio nell’approccio
dei modelli di interazione spaziale.
L’approccio di analisi delle interazioni trasporto-territorio basato sulla
modellistica di interazione spaziale è quello più ricorrente negli studi
italiani. Reggiani (1985) e Camiz e Stefani (1994) offrono una buona
panoromica sulle applicazioni di tali approcci ai casi studio italiani
Nel contributo di Lo Cascio, Trettel e Virdis (1994) viene proposta
una metodologia d'analisi, basata sui modelli di interazione spaziale,
per la valutazione dell'impatto di una infrastruttura di trasporto sulla
rilocalizzazione dei servizi alle famiglie e alle imprese. Lo studio si
propone di affiancare alla tradizionale analisi costi-benefici una
valutazione d'impatto territoriale che comprenda gli usi alternativi del
tempo risparmiato da parte degli utenti del servizio ferroviario,
l'incremento dei flussi turistici per brevi vacanze e la riduzione dei
costi di trasporto delle merci per le imprese; tra gli aspetti di tipo
territoriale, le differenti scelte residenziali delle famiglie e le differenti
scelte localizzative delle imprese. Questi elementi costituiscono la
bvase su cui effettuare la valutazione di diverse ipotesi tecniche di
ammodernamento della linea ferroviaria Torino-Milano-Venezia.
Per ottenere una stima degli effetti di redistribuzione della attività
economiche, indotti sul territorio dalla velocizzazione del sistema
19
ferroviario oggetto di studio, gli autori ricorrono all'applicazione
successiva di due modelli d'interazione spaziale: (1) uno per la stima
della distibuzione interzonale dei flussi di domanda di attività, nelle
condizioni attuali; (2) l'altro per la stima delle modifiche della
medesima distribuzione territoriale, indotte dalla variazione delle
condizioni di accessibilità di ciascuna zona, in seguito al
potenziamento della linea ferroviaria Torino-Venezia.
L’analisi si concentra sulle tipologie di servizi rari o di alto profilo,
non uniformemente presenti sul territorio, e che costituiscono il settore
più suscettibile di subire effetti di rilocalizzazione a seguito di un
miglioramento nelle condizioni di spostamento. Dallo studio emerge
come i diversi progetti di miglioramento della rete ferroviaria abbia
effetti di natura differente sulla localizzazione e la distribuzione
territoriale di tali servizi.
2.5.2. I modelli di location-allocation.
In questo ambito i contributi metodologici forniti da Giorgio Leonardi
sono certamente di altissimo profilo. Si vedano quindi Leonardi e
Johansson (1987) e Leonardi (1983).
I modelli di location-allocation intendono risolvere un problema di
ottima localizzazione di punti di fornitura di servizi visitati dagli utenti
che ne fanno un conusmo coerente con un certo programma di
ottimizzazione individuale delle risorse. Il contributo fondamentale di
Leonardi (1983) è quello di impostare questi problemi dal contenuto
prettamente ingegneristico in una logica di natura comportamentale. Il
ricorso ai modelli di utilità casuale, discussi in altre parti di questo
lavoro, permette di fare questo. In quel contesto l’analisi
dell’accessibilità assume un significato economico preciso in quanto
appunto saldamente fondato in una caratterizzazione razionale del
comportamento dei soggetti.
2.5.3. L’analisi delle interazioni trasporto-territorio nell’approccio
dei modelli I-O.
L’analisi delle interazioni fra sistema economico e sistema dei
trasporti nell’approccio input-output rappresenta un altro terreno di
diffusa applicazione degli studiosi italiani. I riferimenti più rilevanti in
questo ambito sono i lavori di Campisi e La Bella (1987), Costa
(1987a), Costa e Roson (1988), e Campisi, Danielis, La Bella e
Schacther (1991).
20
Campisi, Danielis, La Bella e Schachter (1991) elaborano un modello
di valutazione degli interventi nelle infrastrutture di trasporto da parte
di un pianificatore. L'originalità dell'approccio consiste nell'uso di una
funzione obiettivo che permette la trattazione del problema della
valutazione in termini di ottimizzazione matematica vincolata. La
funzione obiettivo utilizzata è rappresentata da una combinazione di
due obiettivi, la riduzione dei costi di trasporto e l’incremento del
prodotto regionale. I vincoli sono dati dalla struttura dei costi
interregionali di trasporto, dai vincoli di capacità industriale e dalle
interdipendenze settoriali e interregionali rappresentate attraverso un
modello I-O multiregionale. Il modello consente di predire sia il flusso
di commercio ottimale interregionale sia l'allocazione e l'ammontare
ottimale dell'investimento infrastrutturale.
Il modello viene applicato all’analisi di un sistema economico a due
regioni (Friuli-Venezia Giulia e Resto di Italia) e 13 settori. I risultati
ottenuti sono in linea con quanto abbiamo descritto nel primo
paragrafo a proposito delle aree di mercato e del mercato del lavoro.
Infatti, un miglioramento delle infrastrutture di trasporto, provocando
un aumento del commercio interregionale, esercita effetti positivi sia
sul valore aggiunto della produzione sia sul mercato del lavoro. In
particolare viene identificato il pattern di scambio nella soluzione
ottimale e vengono definiti i vantaggi comparati ottimali di
localizzazione industriale. Si dimostra che nel punto di ottimo il Friuli
Venezia Giulia presenta un vantaggio rispetto al resto di Italia nei
settori metallurgico, meccanico e del mobilio.
Nel suo contributo, Costa (1987b) afferma che per cogliere appieno
tutte le interrelazioni che legano l'attività di trasporto e resto
dell'economia non ci si può accontentare di una applicazione standard
di tale approccio, ma è necessario una modifica sia della struttura del
modello sia della sua base statistica. Egli, infatti, individua alcune
insufficienze nelle convenzioni contabili e nelle metodologie
comunitarie di costruzione dei conti che portano a sottovalutare i
fenomeni di autoproduzione, come la produzione di servizi di
trasporto in conto proprio, e di autoconsumo, come ad esempio,
l'acquisto e l'esercizio di autovetture private. In queste condizioni
l'attività di trasporto colta dalle analisi I-O risulta sottostimata.
Costa (1987b) propone alcune integrazioni da apportare al sistema
contabile nazionale per renderlo capace di rappresentare
21
esaurientemente il trasporto sia come fenomeno produttivo sia come
fonte di investimenti. In particolare: (a) considerazione delle attività di
tasporto esercitate in conto proprio dai settori non di trasporto; (b) la
difficoltà di misura e di imputazione dei costi di uso delle
infrastrutture; (c) la considerazione dell'acquisto e dell'uso degli
automezzi privati come pura attività di consumo; (d) una
disaggregazione settoriale poco spinta; (e) il problema
dell'attribuzione dei margini di trasporto alle varie branche
dell'industria dei trasporti.
Infine egli presenta la metodologia seguita nella costruzione di una
tavola economica intersettoriale italiana per il 1978 trattata, rispetto
alle tavole per lo stesso anno prodotte dall'ISTAT, in modo da ovviare
ad alcune delle insufficienze segnalate. Ma questo risultato potrebbe
essere utilizzato per rendere più manifesti gli effetti dei trasporti
sull'attività di produzione ed in particolare evidenziare quali settori
oggi sono più interessati dall'evoluzione del settore dei trasporti. Ciò,
in altri termini, avrebbe lo scopo di studiare in maniera più corretta, in
primo luogo, le interazioni tra trasporti ed ubicazione industriale ed, in
secondo luogo, gli effetti che una diversa allocazione comporta sulla
mobilità dei lavoratori, sulla rendita del suolo urbano, ecc. In
definitiva, una più corretta comprensione delle interazioni tra settore
dei trasporti e gli altri settori della realtà economica di un Paese può
aiutare a capire meglio in che i modo i trasporti influenzano lo
sviluppo territoriale di una determinata società.
2.5.4. L’analisi delle interazioni trasporto-territorio nell’approccio
dei modelli ICGE.
L’approccio dei modelli ICGE è stato sviluppato in alcuni interessanti
contributi da Roson (1991), Costa e Roson (1992) e Roson e Vianelli
(1993).
Roson (1993) offre invece una utile rassegna critica di questa
modellistica approfondendo sia da un punto di vista teorico che da un
punto di vista empirico il problema dell'integrazione tra i modelli
economici di competizione spaziale e i modelli di rete di trasporto
merci. Da un punto di vista teorico, un modello integrato di trasportoterritorio dovrebbe combinare le ipotesi e le caratteristiche di differenti
tipologie di modelli quali, da una parte, i modelli input-output
multiregionali e i modelli di equilibrio generale spaziale, e i modelli di
equilibrio spaziale dei prezzi e i modelli di equilibrio di rete, dall'altra.
22
L'applicabilità di un modello integrato richiede, comunque, la
soluzione di un certo numero di problemi statistici e computazionali
che non sono immediatamente evidenti quando invece si studia
l'aspetto teorico del modello.
Tra i primi vengono segnalati: (1) livelli di aggregazione, tra i quali la
diversa scala temporale tra le tavole I-O e i flussi di traffico presenti
nei modelli di rete; (2) la diversa scala geografica nel senso che i
grafici che esprimono le reti di trasporto possono essere molto
dettagliati a differenza delle tavole mltiregionali I-O che sono di solito
meno aggregati; (3) la scala industriale, cioè mentre la tavola I-O
italiana conta 92 industrie i dati sui flussi di traffico possono
considerare tanto la singola azienda quanto, nel caso contrario,
possono non effettuare alcuna distinzione nella composizione
settoriale dei flussi.
Tra i secondi, invece, vengono evidenziati: (1) la stima dei parametri,
ovvero, la scelta della forma funzionale nei modelli spaziali di
equilibrio generale. Ciò deriva dal fatto che non è possibile
evidenziare precisamente, nei modelli applicati, tutte le tecnologie
disponibili e le prfernze individuali. In questo caso, quindi, il
comportamento individuale è descritto da funzioni di produzione e di
utilità che richiedono un'attenta stima; (2) la soluzione degli algoritmi
dei modelli di equilibrio generale computazionale (EGC).
Il contrasto tra i fondamenti teorici di un modello di equilibrio
integrato e le difficoltà legate alle sua applicabilità sul piano concreto
suggeriscono di ricercare un punto d'incontro tra dati disponibili e
teoria sebbene al prezzo di qualche inevitabile approssimazione.
Conseguentemente, la definizione di una strategia ottimale per questo
compito è diventato un obiettivo primario nei progetti di ricerca
sviluppati di recente. La realizzazione di tali modelli integrati
contribuirà ad una più dettagliata comprensione tra il sistema dei
trasporti e i sistemi economici, non solo attraverso il miglioramento
della attendibiltà dei modelli a rete, ma anche attraverso la
contribuzione di utili intuizioni per serie politiche di sviluppo
regionale.
23
2.5.5. L'interazione trasporti-territorio nei modelli dinamici di
simulazione urbana.
L’analisi dell’interazione tra trasporti e territorio nell’ambito dei
modelli di simulazione urbana dinamica ha costituito oggetto di
interesse da parte di molti studiosi italiani. Occorre certamente
menzionare a questo proposito le rassegne teoriche di Rabino (1985,
1987), l’applicazione del modello di Lowry all’area metropolitana di
Venezia fatta da Costa, Foot e Piasentin (1987), l’applicazione del
modello di Harris e Wilson all’area metropolitana di Roma fatta da
Lombardo e Rabino (1984) e Lombardo (1985). Inoltre i due volumi di
Bertuglia, Leonardi, Occelli, Rabino, Tadei e Wilson (1987) e
Bertuglia, Leonardi e Wilson (1990) presentano una ampia casistica di
applicazioni, tra cui quella del modello applicato alla simulazione
dell’area metropolitana di Torino.
24
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25
14. Costa, P., D.H. Foot e U. Piasentin, 1987, “La struttura urbana di
Venezia e del suo entroterra: un’applicazione del modello GarinLowry”, in Ricerche Economiche, pp. 416-458.
15. d’Aspremont, C. J., J.J. Gabszewit e J.F. Thisse, 1979, “On Hotelling’s
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16. Erlander, S. e N.F. Stewart, 1990, The Gravity Model in Transportation
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17. Fotheringham A.S. e M.E. O’Kelley, 1989, Spatial Interaction Models:
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18. Greenhut, M., G. Norman, C.S. Hung 1987, The economics of imperfect
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19. Isard, W., 1951, “Interregional and regional input-output analysis: a
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20. Johansen, L., 1960, A multisectoral Study of Economic Growth, NorthHolland, Amsterdam.
21. Leonardi, G. e B. Johansson, 1986, “Public facility location: a
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22. Leonardi, G., 1983, “The use of random-utility theory in building
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23. Liew, C.K. e C.J. Liew, 1984, “Multi-modal, Multi-output,
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24. Lloyd, P.E. e P. Dicken, 1987, Spazio e Localizzazione, Franco Angeli,
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25. Lo Cascio, M., A. Trettel e R. Virdis, 1994, “Modelli di interazione
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Camiz, S. e S. Stefani, Metodi di Analisi e Modelli di Localizzazione dei
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26. Lombardo, S, e G. Rabino, 1984, “Nonlinear dynamic models for spatial
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27. Lombardo, S., 1985, “Modelli dinamici del sistema integrato territorio e
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26
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29. Moses, 1955, “The stability of interregional trading pattern and inputoutput analysis”, American Economic Review 45, pp. 803-832.
30. Rabino, G., 1985, “Modelli dinamici del sistema integrato territorio e
trasporti: la modellistica ed i suoi fondamenti”, in A. Reggiani, a cura di,
Territorio e Trasporti, Franco Angeli, Milano.
31. Rabino, G., A., 1987. "Modelli Integrati di Localizzazione e Trasporto"
in Bianco, L. e La Bella A., a cura di, La Pianificazione dei Sistemi di
Trasporto. Obiettivi, Modelli e Strumenti, Franco Angeli, Milano.
32. Reggiani, A., a cura di, 1985, Territorio e Trasporti, Franco Angeli,
Milano.
33. Roson, R. e P. Vianelli, 1993, “Developing a multiregional network
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1993.
34. Roson, R., 1991, “The adjustment of Interregional Input-Output
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Regional Science, 25, pp. 101-114.
35. Roson, R., 1993, "Computable Spatial Economic Equilibria and Freight
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vol. XVIII, pp. 51-66.
36. Sen, A. e T.E. Smith, 1995, Gravity Models of Spatial Interaction
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37. Simpson, W., 1992, Urban Structure and the Labour Market, Clarendon
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38. Takayama, T. e W.C. Labys, 1986, “Spatial Equilibrium Analysis”, in P.
Nijkamp, a cura di, Handbook of Regional and Urban Economics,
Volume I, North-Holland, Amsterdam.
39. Tira, M., 1994, “Il progetto alta velocità ferroviaria nella Lombardia
orientale: alcuni elementi per la valutazione dell’impatto territoriale
della tratta Milano-Verona”, in Atti della XV Conferenza AISRe, Matera,
3-5 Ottobre.
40. Wegener, M., 1994, “Operational urban models: state of the art”,
Journal of the American Planning Association 60, pp. 17-29.
27
CAPITOLO 3.
I COSTI ESTERNI DEL TRASPORTO
Sergio De Lazzari, Ferrovie dello Stato
3.1. Definizione e sistematizzazione teorica
3.1.1. Definizione e origine del concetto di economie esterne
La trattazione dei costi ambientali e degli altri costi esterni (d'ora in avanti esternalità)
deve necessariamente definire un confine, rispetto al quale alcuni costi sono, appunto,
interni ed altri sono esterni. Questo confine è stato individuato dalla teoria economica
come coincidente con i confini dell'impresa (nel caso della produzione) o dell'attività
individuale (nel caso del consumo).
In generale, quindi, possiamo definire le esternalità come l'influenza che l'attività
economica di un soggetto esercita sulla produzione o il benessere di un'altra persona o di
un'impresa in modo positivo (economie esterne) o negativo (diseconomie esterne).
Tale definizione, tuttavia, comprende una classe di fenomeni molto vasta ed in effetti
quasi tutte le attività a contenuto economico producono degli effetti sulla produzione o
sul benessere di un altro soggetto.
Se si introduce la specificazione che le influenze avvengano al di fuori delle transazioni
di mercato, il concetto di esternalità comincia ad avere un connotato più chiaro, perché
le connette con la possibilità di misurarle. Il problema non è infatti tanto nel fatto che ci
siano esternalità, quanto nel fatto che esse non rientrino nel meccanismo di formazione
dei prezzi delle transazioni tra i soggetti all’interno del mercato1. Essendo il mercato
istituzione fondamentale dei sistemi economici, non devono sorprendere né le difficoltà
concettuali a definire le esternalità, né tantomeno quelle di una loro misurazione
quantitativa.
L'assenza di transazioni di mercato che forniscano, attraverso lo scambio e la
formazione di prezzi, una valutazione economica delle esternalità che sia condivisa dai
soggetti economici, provoca una distribuzione inefficiente di questa classe di effetti
esterni.
In altre parole poiché, in genere, non esistono i mercati degli effetti esterni (p. es. la
possibilità di scambiare diritti di inquinamento) nei costi di produzione dei soggetti
economici non compaiono le economie o le diseconomie esterne generate da una
determinata attività economica.
Il livello di produzione (o di consumo) che deriva dalla struttura dei costi (se si tratta di
attività di produzione) o delle utilità (se si tratta di consumi) è efficiente per i singoli
soggetti ma inefficiente per la collettività. Ci si distanzia dalla situazione di efficienza
paretiana 2 , o meglio, esiste una differenza tra benessere collettivo e benessere
1
Non è questa la sede per affrontare le ragioni di questa assenza. Basterà la constatazione che
l’assenza di un soggetto “forte” , che sia portatore di un interesse alla valorizzazione di una determinata
risorsa, è, probabilmente, sufficiente a far si che di questa si faccia un uso “libero” all’interno del
meccanismo di produzione e di scambio.
2
L’efficienza paretiana si verifica quando una determinata allocazione delle risorse è tale da non rendere
possibile un aumento dell’utilità di un individuo senza diminuire quella di qualcun’altro. Ciò avviene per un
dato livello di risorse produttive (lavoro, capitale, risorse naturali), di tecnologia e di preferenza dei
consumatori.
individuale. In questo caso siamo in presenza di una situazione di fallimento del
mercato, che è appunto una delle ragioni che sono all'origine dell'intervento dello stato
nell'economia.
In presenza di effetti esterni, infatti, la situazione produttiva o distributiva può essere
inefficiente e possono, quindi, essere necessari interventi da parte dello stato per
redistribuire costi e benefici esterni di determinate attività, attraverso interventi di
indennizzo o di tassazione.
L’evoluzione successiva della ricerca economica ha dimostrato (Coase, 1960 e 1988)
che in presenza di esternalità l'intervento pubblico (tassazione o sussidio) non è
obbligatorio, se è possibile definire precisamente, e quindi scambiare, i diritti di
proprietà3. Il mercato può, sotto le normali condizioni da soddisfare per l'esistenza della
concorrenza e in condizioni di scambiabilità dei diritti di proprietà, internalizzare gli
effetti esterni. L'attribuzione di diritti di proprietà collegati al manifestarsi di esternalità
consentirebbe la possibilità di scambiarli a determinati prezzi e di rientrare all'interno di
una logica di mercato e di raggiungere, nuovamente, situazioni di allocazione ottimale
delle risorse.
Entro questa logica, l'attribuzione del diritto di proprietà di una foresta consentirebbe di
contabilizzarne il valore in termini di uso del legname o, ad esempio, di
"inquinabilità", considerando per quest'ultima una sorta di indennizzo al proprietario.
Una simile operazione non è possibile per tutte le risorse e i beni oggetto di effetti
esterni negativi e comunque comporta una qualche forma di limitazione nella
disponibilità o nell’utilizzo da parte dell’intera collettività, rappresentata proprio dai
diritti di proprietà assegnati a determinati soggetti. Inoltre, tale attribuzione può
originare conflitti tra i detentori dei diritti così attribuiti e la restante parte della
collettività.
L’alternativa a questa soluzione rimane l’intervento pubblico, considerato come
strumento di tutela degli interessi collettivi. Tuttavia, anche su questo fronte, la
letteratura (e l’esperienza vastissima delle più svariate politiche pubbliche) segnala
l’esistenza dei “fallimenti dello stato”, accanto a quelli del mercato. Ciò significa che
l’intervento pubblico (incentivi economici, regolamentazione) deve essere valutato
attentamente per evitare di provocare un utilizzo delle risorse altrettanto inefficiente.
Dal punto di vista dello sviluppo teorico del concetto di economie esterne possiamo
evidenziare i seguenti passi:
 Sidgwick è il primo a rendersi conto degli effetti esterni (1883);
 Marshall (1890) effettua una prima sistematizzazione, distinguendo tra economie
interne ed economie esterne;
 C. A. Pigou (Economia del benessere) operando la distinzione tra prodotto netto
marginale privato e sociale, apre la strada alla fondazione dell'intervento
redistributivo pubblico, attraverso sussidi e tassazione;
 J. Viner (Curve di costo e curve di offerta, 1923) dove c'è una classificazione tra
esternalità pecuniarie (variazioni dei prezzi dei beni e dei fattori derivanti
Ad una allocazione ottima in senso paretiano corrisponde l’equilibrio di concorrenza perfetta. In altri
termini, nei casi in cui il mercato si dimostra la “migliore” istituzione economica, la distribuzione delle
risorse più efficiente si ottiene in condizioni di concorrenza perfetta.
3
Sul concetto di diritti di proprietà si vedano, ad esempio, Nuti, 1987 e Shotter, 1995.
1
dall'aggiustamento di mercati competitivi) ed esternalità tecnologiche. Le prime non
necessitano di interventi statali per mantenere l'ottimo paretiano, le seconde si.
 Un'ulteriore classificazione (relevant/unrelevant) è offerta da Buchanan e
Stubblewine (1969)4 Data l'estensibilità del concetto di esternalità (quasi ogni attività
economica può avere degli effetti su altri operatori che il mercato non riesce a
cogliere) la classificazione significativo/non significativo offre una via di uscita.
Significative sono le esternalità (negative) in cui la somma algebrica dei costi
aggregati eccede quella dei vantaggi aggregati.
 Un'altra classificazione ancora è offerta da Rothengatter (1993) con la distinzione
prevedibili/non prevedibili. Alcune esternalità sono infatti conosciute dagli operatori
economici (es. dentista vs vicini di studio, allevatore/contadino, ecc.), altre sono
molto più aleatorie o complesse (es. produzione e consumo di
clorofluorocarburi/effetto-serra, attività energivore/piogge acide, ecc.). Questa
distinzione non è tanto rilevante ai fini dell'importanza in sé degli effetti esterni,
quanto della possibilità dei soggetti di farne oggetto di valutazione economica.
3.1.2. Le esternalità dei trasporti
Il settore dei trasporti, come tutti i settori che producono servizi, si trova al centro delle
relazioni del sistema economico. I suoi “effetti esterni” rappresentano l’input di
moltissime attività di produzione, oltre ad essere il mezzo con cui si soddisfa il bisogno
di mobilità dei cittadini.
Gli effetti esterni del settore dei trasporti sono dovuti sia alle infrastrutture che ai servizi
di trasporto veri e propri. La distinzione è rilevante perché non ci troviamo in presenza
di un’industria verticalmente integrata in cui la produzione del servizio incorpora
automaticamente i costi di uso dell’infrastruttura, bensì in un sistema più articolato in
cui le relazioni tra i soggetti cui fanno capo l'una e gli altri sono spesso guidate da
logiche di comportamento diverse da quelle che presiedono alle transazioni di mercato5.
Il primo passo per analizzare gli effetti esterni del trasporto consiste nell’analizzare il
complesso di costi e benefici che riguardano queste attività. Nella tabella sottostante
sono riassunti sinteticamente le voci che dovrebbero entrare in una valutazione di questo
tipo.
COSTI
Costi operativi e amministrativi dei veicoli
Costi del personale
Costi generali di amministrazione di
attività di trasporto
Tasse e pedaggi
Costo opportunità del tempo utilizzato in
attività di trasporto
Consumo delle risorse non rinnovabili
BENEFICI
Ricavi delle imprese di trasporto e servizi
connessi
Valore aggiunto dei servizi di trasporto
Utilità (diretta e indiretta) del consumo di
servizi di trasporto
Cambiamento strutturale (positivo) del
4
Cit. in Rothengatter (1993).
Una chiara tipologia degli effetti esterni suddivisi tra infrastruttura e servizi di trasporto si trova in Verhoef
(1994). L’analisi si limita al trasporto stradale, ma è facilmente generalizzabile
5
2
(capitale umano e ambientale)
sistema economico di un’area (accesso,
Surplus di costo delle infrastrutture e altri produttività, ecc.) provocato dall’offerta
costi di consumo delle risorse
di infrastrutture
Costi di interazione tra individui non Surplus da pedaggi per l’uso delle
monetizzati
infrastrutture
Utilità delle famiglie non-utenti del
trasporto derivanti dall’esistenza di
attività di trasporto
Incrementi dei redditi delle imprese
non-utenti del trasporto derivanti
dall’esistenza di attività di trasporto
Fonte: Iww/Infras, 1994.
La linea orizzontale che divide la tabella segna il confine tra gli effetti esterni che
vengono considerati nelle transazioni di mercato (parte superiore) e quelli che non ne
fanno parte (riquadro inferiore).
Sulla base della definizione di esternalità data nel paragrafo precedente, questi ultimi
possono essere considerate esternalità, cioè effetti esterni non considerati nelle
transazioni di mercato. Oppure, sulla base della definizione di Viner, possiamo
considerare gli effetti della parte superiore della tabella come esternalità pecuniarie e
quelli nella parte inferiore come esternalità tecnologiche.
Ad esternalità pecuniarie corrispondono compensazioni monetarie, il cui calcolo è
generalmente affidato al mercato, tra le due definizioni non esiste quindi una differenza
sostanziale.
Le esternalità possono essere ricondotte a specifiche interazioni tra il settore dei
trasporti e il resto del sistema economico. In particolare possiamo individuare tre tipi di
interazioni rilevanti6:
1) Trasporti / Stock di risorse non rinnovabili (ambiente, capitale umano).
2) Trasporti / Altri settori dell’economia (produzione e consumo pubblici e privati).
3) Relazioni interne al settore dei trasporti.
La prima interazione comporta esternalità attraverso il consumo di risorse non
rinnovabili per la produzione di attività di trasporto, senza compensazioni economiche
da parte degli utilizzatori. Si tratta di una transazione che non dà luogo ad alcuno
scambio, non esistono prezzi di riferimento e sorge un conflitto tra diversi utilizzi delle
risorse non rinnovabili, non solo tra gruppi di individui, ma anche tra l’attuale
generazione, che utilizza le risorse e quelle future, che non potranno scegliere se
usufruirne o “venderle” ad un determinato prezzo.
La seconda interazione comporta esternalità (positive) se il settore pubblico offre
infrastrutture e/o servizi pubblici, al di sotto del loro costo effettivo. In tal caso gli
operatori privati o i cittadini godono di surplus. Altre esternalità (positive) originate
dall’offerta di infrastrutture si fondano sull’incremento di accessibilità che tale offerta
induce per determinate aree e sugli effetti che tale incremento ha sulla crescita
economica. Casi di esternalità negative sorgono dai danni materiali che le attività di
6
Si vedano Bonnafous (1994) e Iww / Infras (1994), non identici ma largamente equivalenti.
3
trasporto possono provocare a risorse riproducibili (es. alle abitazioni attraverso
l’inquinamento).
Le esternalità interne al settore, e siamo al terzo tipo di interazione, sono originate dalle
relazioni che intercorrono tra i soggetti nell’uso delle reti di trasporto. Le esternalità
negative che si possono originare si ripercuotono, per definizione, solo all’interno
dello specifico “club” di utenti di una determinata rete. La congestione, a parere di
molti, è il caso tipico di questo tipo di esternalità, che sono particolari in quanto non
vengono considerate dal mercato, ma si fermano al confine, nemmeno del settore ma di
quel sottoinsieme costituito da quei soggetti direttamente interessati all’uso di una
determinata infrastruttura.
La distinzione, richiamata all’inizio del paragrafo, tra infrastruttura e servizi di
trasporto, appare particolarmente interessante. L’offerta di infrastrutture nella
generazione di esternalità ha, infatti, un ruolo molto importante. Si tratta di esternalità
(se negative) connesse principalmente con il consumo di risorse non rinnovabili o (se
positive) con l’offerta di un bene il cui prezzo non riflette pienamente (o per nulla, nel
caso di uso gratuito) il costo.
L’analisi delle interazioni tra il settore del trasporto e il resto del sistema economico
evidenzia il fatto che è nell’ambito delle infrastrutture che si generano gran parte delle
esternalità positive7. I servizi di trasporto, infatti, generano anch’essi esternalità, ma si
tratta principalmente di situazioni che generalo effetti esterni negativi. Gli effetti esterni
positivi dei servizi di trasporto sono numerosi, ma rientrano per la gran parte all’interno
delle transazioni di mercato. Essi rappresentano esternalità pecuniarie a fronte delle
quali i clienti / utenti pagano un determinato prezzo a meno di imperfezioni dei mercati,
che non permetterebbero di riflettere pienamente il beneficio apportato agli utilizzatori.
Si tratta, evidentemente, di un ipotesi molto rilevante.
Altro caso è quello delle esternalità positive prodotte dalle infrastrutture. Si incontra in
questo caso il concetto di beni pubblici 8 , la cui produzione è, generalmente, di
pertinenza statale. Nei trasporti è questo il tipico caso delle infrastrutture o
dell'erogazione di servizi da parte di soggetti non imprenditoriali (ad esempio lo stato) i
cui comportamenti prescindono dalla massimizzazione dell'utile derivante dall'esercizio
dell'attività economica in sé. In questo caso il portatore di un interesse collettivo decide
di rinunciare alla redditività della propria attività economica (investimento o erogazione
di un servizio) a favore dell'intera società9.
In realtà non sembra incontrovertibile il fatto che l'infrastruttura in sé possa costituire un
bene pubblico10, mentre è difficilmente contestabile il fatto che l’erogazione di servizi
pubblici da parte dello stato (siano essi servizi di trasporto veri e propri, o
semplicemente la messa a disposizione di infrastrutture) avviene a prezzi nulli o non
remunerativi. Conseguentemente, il problema non sorge tanto dall’esistenza o meno di
surplus economici per gli utenti finali o per le imprese di trasporto, ma sul modo di
considerare alcune esternalità negative, ad esempio la congestione delle infrastrutture.
7
Per una discussione sugli effetti esterni delle infrastrutture di trasporto, si vedano, ad esempio,
Berechman (1994) e Rietveld (1994).
8
Si parla di bene pubblico quando il consumo di un bene da parte di un soggetto non comporta esclusione
del consumo da parte di un altro (non escludibilità) né competizione tra i soggetti (non rivalità).
9
E' questa una delle ragioni per cui, in materia di politiche della concorrenza, l'intervento pubblico nelle
infrastrutture viene considerato non distorsivo per il funzionamento del mercato e quindi ammissibile.
10
su questo argomento e sulle caratteristiche dei beni pubblici, si vedano, rispettivamente, Ponti (1994) e
Nuti (1987).
4
Appare evidente dalla discussione fin qui condotta che nella definizione di esternalità
compaiono molti fattori e che, a seconda di quali fattori vengano considerati, si può
ottenere una diversa definizione.
Se all’approccio fin qui considerato (Iww / Infras, 1994), fondato sulla combinazione
degli elementi: a) mercato (interno/esterno) e, b) distinzione infrastruttura / servizi,
sostituiamo il concetto di comparto economico o di singola modalità di trasporto (strada,
ferrovia, ecc.), ignorando la distinzione b), otteniamo una diversa definizione di
esternalità.
Una serie di studi fondati su un approccio settoriale che ha per oggetto il trasporto
stradale, procedono infatti ad una specifica elencazione degli effetti esterni di questa
modalità 11 , concludendo che tali effetti rappresentano le esternalità (positive) del
comparto stradale nei confronti del resto del sistema.
Un approccio di questo tipo si fonda essenzialmente sulla tecnologia di offerta del
trasporto, prescindendo dalle caratteristiche della domanda di mobilità e su una diversa
interpretazione della distinzione tra esternalità pecuniarie ed esternalità tecnologiche. Si
sostiene, infatti, che il mercato del trasporto è un mercato imperfetto e che ciò trasforma
(attraverso asimmetrie informative, regolamentazione dei prezzi e dell’accesso al
mercato) gran parte delle esternalità pecuniarie in esternalità tecnologiche. Questa
trasformazione fa si che gli effetti esterni positivi (che non vengono attribuiti
all’infrastruttura o alle attività di trasporto, ma alla modalità ‘tout court’) non siano
monetizzati negli scambi, ma diano luogo a ulteriori surplus per determinati soggetti
economici o per la collettività intera.
In conclusione si può osservare che c’è un sufficiente accordo nella definizione di
esternalità negative, mentre ci sono differenti approcci nella valutazione di quelle
positive. Tali differenze riflettono, almeno in parte, gli interessi in gioco da parte dei
soggetti del mercato del trasporto, in una fase in cui il progresso tecnologico e lo
sviluppo economico mettono questo settore di fronte ad una serie di profonde
trasformazioni. E' evidente, infatti, che l'accresciuta sensibilità della collettività verso le
esternalità negative delle attività di trasporto, comporta, da parte dei maggiori produttori
di tali costi, un'attenzione particolare verso la ricerca e la riflessione sugli effetti positivi
che possano controbilanciare tali esternalità.
La fase di transizione che interessa i meccanismi di regolazione delle attività di
trasporto, rimette in gioco il complesso equilibrio tra gli operatori all’interno dei singoli
sistemi nazionali. Questo processo evidenzia, tra l’altro, la necessità di ridiscutere la
valutazione dei costi e dei benefici delle attività di trasporto, sia alla luce dell’utilizzo
delle risorse non rinnovabili, sia alla luce di un esame più approfondito del meccanismo
di funzionamento degli scambi tra i soggetti economici.
11
Si veda, ad esempio, Aberle, Engel (IRU, 1993) e Willeke (CEMT, 1994). Tra gli effetti esterni sono
considerati i contributi alla crescita economica e all’innovazione derivanti dagli autoveicoli, guadagni
sociali di produttività, effetti sull’occupazione, effetti diretti e indiretti di diminuzione di costi e prezzi di
produzione, contributo all’ampliamento delle dimensioni economiche e spaziali dei mercati, economie di
scala.
5
3.2. Tassonomia e valutazione
3.2.1. Considerazioni generali
Prima di affrontare specificamente la valutazione di costi esterni è utile fare due
considerazioni di carattere più generale.
Nel capitolo precedente è stato evidenziato come uno dei punti critici della valutazione
delle esternalità riguardi il maggiore o minore bilanciamento tra economie e
diseconomie esterne. La valutazione dei costi esterni non comporta dunque particolari
difficoltà a livello concettuale. Il primo passo consiste nel costruire una tassonomia di
questi costi, eventualmente distinta per tipologia, seguendo quindi le classificazioni
utilizzate in precedenza12.
Si deve poi sottolineare che l'applicazione di differenti metodologie di valutazione dei
costi esterni è strettamente correlata con l'ambito dell'analisi. Un conto è, infatti, stimare
l'impatto di una nuova infrastruttura o di un trasferimento di quote di traffico da una
modalità all'altra, altra cosa è la stima generale dei costi esterni provocati dal sistema dei
trasporti in un determinato ambito territoriale, in vista di misure di internalizzazione dei
costi esterni13.
In tema di esternalità negative, cioè di costi prodotti dal complesso delle attività di
trasporto (costruzione di infrastrutture + servizi di trasporto), si possono elencare
quattro grandi tipologie di fenomeni: effetti ambientali, incidenti, congestione e
consumo di infrastrutture.
Dal punto di vista della valutazione dei costi esterni, si possono enucleare una serie di
metodologie14.
In primo luogo, il cosiddetto “welfare approach”, che tiene conto delle risorse utilizzate
e delle utilità dei soggetti economici, tentando di giungere ad una massimizzazione del
benessere totale. Tale modello richiede una disponibilità di dati particolarmente
importante, ma è molto utile come inquadramento concettuale.
L’approccio basato sulla valutazione delle risorse, confronta risorse e costi di
reintegrazione / ricostruzione, riconducendo tutte le risorse (incluse quelle non
rinnovabili) a quantificazioni monetarie. Si tratta di una metodologia che, non è in grado
di fornire una risposta completa sotto il profilo concettuale, ma che ha il vantaggio
dell’applicabilità immediata.
La metodologia fondata sull’utilità individuale implica una perfetta razionalità dei
soggetti economici e l’esistenza di una informazione sufficiente a valutare tutti i
cambiamenti del benessere individuale. I soggetti economici rispondono ai cambiamenti
(nel nostro caso indotti dai costi esterni) attraverso una disponibilità a pagare
(willingness to pay) per una determinata risorsa. E’ evidente che per le risorse
ambientali si pone il problema dell’assegnazione dei diritti di proprietà da cui far
discendere una valutazione dell’utilità (e quindi delle disponibilità a pagare) di
12
La letteratura offre ormai numerose indicazioni a questo proposito, anche attraverso apposite tavole
sinottiche. Una elencazione dettagliata per singole tipologie di costo si trova in Iww / Infras (1994).
Limitatamente ai costi sociali (escludendo cioè infrastruttura e congestione) o ambientali, si veno,
rispettivamente, Rothengatter (1990) e Linster (1990), e Bresso (1994).
13
Per il primo caso si veda, ad esempio, Aberle, Engel (IRU, 1993), Nomisma (1994), Santel e Sartor
(1995). Per il secondo Iww / Infras (1994).
14
Per una rassegna generale si vedano Rothengatter(1990), Button (1994 a) e Iww / Infras (1994).
6
determinate risorse. Inoltre, la disponibilità a pagare dipende dalla distribuzione del
reddito e ciò introduce una ulteriore difficoltà nella stima del valore di determinate
risorse15.
L’approccio preventivo alla valutazione dei costi esterni, si fonda sui costi di
prevenzione necessari ad evitare un determinato livello di effetti esterni negativi. Tali
costi non sono approssimabili con i soli costi diretti delle risorse da proteggere, ma sono
tendenzialmente superiori. Essi dipenderanno dal livello di prevenzione scelto e dalla
tecnologia che si intende adottare.
Un approccio che si muove su un terreno non distante comporta la valutazione del
rischio associato alle attività di trasporto. Si tratta di una valutazione possibile in termini
probabilistici, che può essere applicata al futuro e non per valutare le perdite di risorse
subite nel passato. In questo senso possono applicarsi modelli di comportamento già
sperimentati in altri campi come il concetto di diversificazione del rischio (sulla scorta
dei modelli di gestione di portafoglio finanziario) o la usuale strumentazione dei
contratti assicurativi, con le relative tecniche di stima delle probabilità di incidenti (in
senso vasto).
Nel complesso le metodologie di valutazione esposte si differenziano principalmente
per il contesto entro cui si collocano. Gli approcci di tipo “welfare” (reintegro risorse,
utilità individuale, ecc.) operano in un contesto “certo”, in cui le informazioni
disponibili sono direttamente rappresentative della realtà dei fenomeni. Viceversa gli
approcci associati al concetto di rischio associano a tali informazioni delle probabilità
da cui poi dedurre incentivi economici o altre misure volte a raggiungere gli obiettivi
prefissati. L’approccio in termini di prevenzione si colloca a metà tra i due contesti,
potendo identificare i limiti di prevenzione sia in termini probabilistici che
deterministici.
3.2.2. La valutazione
I costi ambientali.
Per quanto riguarda più specificamente gli effetti ambientali, ovvero le diseconomie
esterne che riguardano il consumo o la distruzione di risorse ambientali, c'è da osservare
che l'approccio economico tradizionale presenta una serie di limiti.
L'approccio ortodosso (vale a dire quello riconducibile al filone neoclassico) è fondato
sulla possibilità di attribuire un valore economico ai beni ambientali, non solo il valore
immediato, ma anche quello derivante dalla possibilità di utilizzare i beni nel futuro.
Questo valore economico si basa su una valutazione dei singoli individui o sulla loro
somma, qualora si tratti di un bene pubblico. Si tratterà allora di preservare l'ambiente,
fino al punto in cui il suo valore economico sarà superiore al costo derivante dall'azione
di protezione.
Qui si presentano due ordini di problemi. Accade infatti che, se dal lato dei costi le
valutazioni sono, almeno in termini concettuali, sufficientemente adeguate, dal lato dei
benefici non esistono valutazioni altrettanto efficaci, né, come si è visto, c’è accordo nel
considerare “quanto” di questi benefici sia effettivamente oggetto di transazione
economica.
15
Su questa metodologia si vedano anche Nomisma (1994, Appendice A) e Nuti (1987).
7
In secondo luogo vi sono difficoltà di definizione anche in materia di diritti di proprietà
connessi a beni ambientali, che dovrebbero tenere conto di tutti i possibili usi dei beni.
Nell'esempio della foresta, si può facilmente giungere alla definizione dei diritti di
proprietà in termini di uso della foresta come fonte di legname, ma non si può fare
altrettanto per quanto riguarda, ad esempio, il ruolo della foresta come riequilibratore
delle emissioni di anidride carbonica o come fonte di biodiversità.
Entra in gioco qui il concetto di informazione sugli impatti ambientali delle attività
umane, su cui la comunità scientifica non ha ancora trovato risposte sufficientemente
solide da fornire all'economia. In particolare il concetto di "soglia critica di
inquinamento", vale a dire la quantità di inquinamento assorbibile senza danni da un
determinato ecosistema e che non ne comprometta la conservazione e la rigenerazione,
appare ancora ben lontano dall'essere adeguatamente definito.
L'attuale impossibilità di definire economicamente i benefici dell'ambiente da associare
ai costi derivanti dal suo consumo, spinge verso una definizione delle risorse ambientali
in termini di globalità e finitezza: le risorse ambientali non possono essere prodotte, ma
solo conservate e rigenerate.
Si pone il problema della sostenibilità nel tempo e nei confronti delle generazioni future
di un modello di sviluppo che consumi risorse ambientali ad un tasso più elevato di
quello della loro rigenerazione. Il mercato non è in grado di segnalare le preferenze delle
generazioni future in merito alla conservazione dell'ambiente, mentre è in grado di
esprimere le preferenze di quelle attuali, che, finora, hanno ragionato in termini di
disponibilità infinita (e di più o meno libera appropriabilità) di queste risorse16.
Esiste anche la possibilità di andare oltre questo tipo di sostenibilità, che possiamo
chiamare relativa, dello sviluppo, affrontando il problema dal punto di vista della
disponibilità assoluta delle risorse naturali. Rifacendosi alla definizione di risorse non
rinnovabili, la linea di ragionamento richiederebbe di fissare una sorta di “tasso di
riproducibilità naturale” delle risorse, ottenuto sulla base della conoscenza scientifica
dei fenomeni, da assumere come limite assoluto al loro impiego17.
Il concetto generico di sostenibilità dello sviluppo non è presente solo nella elaborazione
di studiosi ambientalisti o di teorici, ma ha anche impegnato istituzioni pubbliche
nazionali e sovranazionali. Ad esempio, atti come la Conferenza di Rio de Janeiro del
1992 o il Consiglio "Energia-Ambiente" della Comunità Europea del 1990, contengono
precisi impegni dei partecipanti verso la riduzione dell'impatto ambientale delle attività
economiche e verso l'integrazione della politica ambientale all'interno delle politiche
comuni. Lo stesso Trattato di Maastricht contiene richiami precisi al tema del corretto
utilizzo delle risorse ambientali.
Nel campo dei trasporti a livello comunitario, il concetto di sostenibilità dello sviluppo
ha preso piede a partire dal Libro Bianco sullo sviluppo futuro della politica comune dei
trasporti e dal Libro Verde sull'impatto dei trasporti sull'ambiente, entrambi del 199218.
In questi documenti si prende atto degli effetti negativi della crescita del sistema dei
trasporti sull'ambiente e dell'impossibilità di ragionare in termini di disponibilità infinita
delle risorse ambientali, evidenziando il fatto che la crescita spontanea del sistema dei
16
Per le interazioni tra crescita economica e ambiente si può vedere, ad esempio, Musu (1995).
Per questa linea di pensiero si possono vedere Daly (1981) e Tiezzi (1984)
18
CEE, White Paper, "On the future development of a common transport policy", COM (92) 494 final,
2/12/92; CEE, Green Paper, "The impact of transport on the environment", COM 92 (46) final, 20/2/92
17
8
trasporti e della domanda di mobilità condurrebbero ad una dissipazione di risorse non
compatibile con l'equilibrio ambientale del pianeta.
Il moltiplicarsi delle analisi e delle prese di posizione ufficiali sul tema ambientale,
segnala che le generazioni attuali stanno cominciando a modificare i propri modelli di
preferenza di consumo, includendovi le risorse ambientali. Di questa trasformazione si
trova traccia anche nello sviluppo delle procedure di valutazione degli effetti esterni, per
le quali si può (schematicamente) osservare una tassonomia di questo tipo:
a) analisi costi / benefici classica, che rappresenta la metodologia di base e più diffusa,
principalmente legata alla valutazione degli investimenti in infrastrutture (più in
generale, di opere pubbliche)19.
b) analisi costi / benefici "di 2a generazione", che, attraverso una integrazione con
procedure di valutazione di impatto ambientale, prende in considerazione in modo più
ampio e approfondito gli effetti degli investimenti infrastrutturali sul territorio20.
c) valutazione "generale" delle esternalità, mirata a valutare tutti gli effetti esterni di
un'attività economica (nel nostro caso di un'attività o di una infrastruttura di trasporto),
con l’obiettivo di fornire indicazioni sulle misure di internalizzazione degli effetti
esterni.21.
I costi dell'incidentalità.
Il fenomeno dell’incidentalità legata all'attività di trasporto presenta problemi di
valutazione non dissimili dai costi ambientali. Anche in questo caso, infatti, la
distinzione tra risorse rinnovabili e non rinnovabili è fondamentale.
Alcuni elementi di costo, come ad esempio i danni materiali diretti e indiretti, le spese
amministrative generali (per giustizia e polizia), i costi generali delle assicurazioni, i
costi sanitari, ecc., non pongono problemi concettuali di misurabilità. Essi potranno,
quindi, essere valutati ed eventualmente commisurati a ciò che viene già pagato in
termini di costi assicurativi dai soggetti che esercitano attività di trasporto, per ottenere
una valutazione dell'effetto netto in termini di costi esterni trasferiti sul sistema.
Per altri elementi di costo, legati ai danni provocati al capitale umano, si pongono
invece problemi di misurabilità. Si tratta, ad esempio, di tutta la parte dei costi di
reintegrazione / perdita del capitale umano o di quelli derivanti dalla mancata
partecipazione alla produzione. Questo tipo di costi implicano tutti, a diversi livelli, una
valutazione sul valore della vita umana, sia al livello generale della collettività sia a
quello più specifico della produzione.
Proprio a causa della difficoltà di misurare la perdita o il danneggiamento di una risorsa
non rinnovabile come il capitale umano, la valutazione dei costi dell’incidentalità ha
spesso rinunciato ad affrontare il problema, dichiarandolo al di fuori della missione
degli studiosi di economia. Coerentemente con questa posizione, l'approccio del capitale
umano si limita alla stima del potenziale produttivo di una determinata persona o meglio
del valore attualizzato della sua produzione attesa. Un approccio di questo tipo opera,
19
Per questo tipo di analisi si vedano Ministero del Bilancio (1985) e Nuti (1987). Quest’ultimo mette
bene in luce l’importanza dell’ipotesi di separabilità degli effetti dei progetti da valutare rispetto all’insieme
dell’ambiente preso nel suo complesso.
20
Si veda, ad esempio, Lamure (1990), Lorenzini (1995) e Nomisma (1994). Per una sintetica
discussione dei progressi nel campo della valutazione degli investimenti infrastrutturali, si veda Ponti
(1995)
21
Si vedano, ad esempio, Iww / Infras (1994) e Nijkamp (1994).
9
sostanzialmente, una valutazione delle risorse perdute basandosi sui redditi da lavoro o
sui consumi attesi, utilizzati come stime del contributo alla produzione di un individuo.
Un altro approccio possibile è quello dell’utilità individuale che, attraverso stime dirette
o indirette22 giungono alla stima di una disponibilità a pagare per evitare determinati
rischi. Un approccio come questo soddisfa, evidentemente, il requisito di non scartare a
priori gli elementi non immediatamente misurabili delle risorse non rinnovabili.
Tuttavia la metodologia è affetta da altre difficoltà. Accanto al peso della distribuzione
del reddito, infatti, la stima della disponibilità a pagare avviene in una realtà in cui si
sommano mercati imperfetti, asimmetrie informative, comportamenti non razionali, con
il risultato di dare luogo a delle stime molto variabili dello stesso oggetto23.
Il fenomeno dell’incidentalità nel settore dei trasporti è dovuto in gran parte al trasporto
stradale, anche se non possono essere trascurati gli "apporti" di altre modalità. Queste
ultime tuttavia, per il fatto di essere tecnicamente caratterizzate da un accesso regolato
all'infrastruttura o ai mezzi di trasporto, presentano delle peculiarità di gestione della
circolazione e della sicurezza assai differenti.
Un elemento che deve essere sottolineato riguarda l'adeguatezza dei dati a rappresentare
il fenomeno. Si ritiene, infatti (Iww / Infras, 1994), che esista una notevole sottostima
del fenomeno degli incidenti, tanto da indurre gli esperti ad introdurre fattori correttivi.
L'evoluzione del fenomeno della sicurezza stradale in Italia (Alvaro, 1985; CENSIS,
1990, Dini, 1994) mette in luce una tendenza alla diminuzione degli incidenti e degli
effetti correlati in termini di morti e feriti.
I costi dell'infrastruttura.
Le infrastrutture di trasporto (strade, linee ferroviarie, porti, aeroporti, ecc.) sono uno dei
settori di attività economica in cui la presenza dello stato si è rivelata, ed è tuttora,
preponderante. Infatti, a causa delle loro caratteristiche spesso molto complesse, dei
costi elevati, dell’entità delle spese di manutenzione, accanto a cui si deve considerare la
loro indispensabilità per l'offerta e lo sviluppo dei servizi di trasporto, le infrastrutture
sono uno dei terreni principali in cui si esplica il ruolo dello stato nell'accumulazione del
capitale di un paese.
Questo capitale sociale incorporato nell’infrastruttura fornisce alla collettività in
generale, e, direttamente agli utilizzatori, un beneficio. Gli investimenti in infrastrutture
trovano copertura o nella fiscalità generale, o in specifiche imposte o attraverso
l'imposizione di "pedaggi", che rappresentino in qualche modo i costi d'uso
dell'infrastruttura, consentendone, ad esempio, il reintegro.
Il dibattito visto in precedenza sul fatto se l’infrastruttura sia o meno un bene pubblico,
comporta diverse opinioni su come valutarne i costi e, conseguentemente, su quali siano
i livelli di sussidio pubblico agli utilizzatori diretti e alla collettività in generale.
Se l’infrastruttura è un bene pubblico sarà sufficiente utilizzare la spesa pubblica come
indicatore del costo dell’infrastruttura. Se, al contrario, si ritiene che l’infrastruttura sia
22
Per le stime dirette si ricorre ad indagini sul campo, mentre per quelle indirette si possono analizzare i
premi assicurativi delle attività rischiose o le spese per prodotti che diminuiscono i rischi di incidente.
23
Sulle differenze di risultati in questo campo si vedano Verhoef (1994) e, inoltre, Iww / Infras (1994) e
Nomisma (1994), dove si discutono anche alcune metodologie. Sulla valutazione del capitale e della vita
umana si vedano Alvaro (1992, cap. 6), Recchia e Sabbadini (1982) e Nuti (1987).
10
un bene di club, cioè utilizzato da un determinato insieme di soggetti economici, la
valutazione dei costi cambia. La considerazione che, nelle economie maggiormente
industrializzate l’infrastruttura di trasporto è essenzialmente dedicata ad attività
economiche private commerciali e produttive, comporta un ruolo decrescente (in termini
quantitativi) dei bisogni sociali di mobilità come fattori originari della decisione di
investimento. In tal modo non sembrerebbe giustificata una valutazione dei costi
dell’infrastruttura come puro livello della spesa per investimento, ma andrebbe
effettuata una analisi di redditività (considerando, ad esempio, gli impieghi alternativi
del capitale), eventualmente corretta attribuendo una quota dell’investimento a finalità
sociali. Evidentemente, in termini quantitativi le due ipotesi divergono a causa dei
diversi tassi di redditività (sociale / commerciale) degli investimenti e diversi saranno,
conseguentemente, i livelli assoluti di surplus trasferito nonché i destinatari finali24.
Un altro problema metodologico assai rilevante è rappresentato dall'allocazione dei costi
di infrastruttura sui diversi utilizzatori. Si tratta di un problema complesso che implica
la possibilità di conoscere l'articolazione dei flussi di traffico per categoria di veicolo (o
per tipologia di treno). Mentre per il traffico che si svolge su infrastrutture ad accesso
regolato, la disponibilità dei dati è relativamente sufficiente, per quanto riguarda il
traffico stradale è invece ad un livello assai più basso del necessario. Una attribuzione
dei costi di infrastruttura può essere effettuata, quindi, pesando i diversi veicoli sulla
base di una valutazione dell’ingombro e della velocità, ottenendo una serie di indici
relativi.
La valutazione dell'effetto netto delle esternalità infrastrutturali va fatta tenendo conto
che i soggetti spesso pagano un prezzo per utilizzare l'infrastruttura, sia esso sotto forma
di pedaggi o di altro. Tale prezzo, comparendo nel costo di produzione del servizio,
contribuisce a diminuire l'effetto esterno positivo dovuto all'offerta di infrastrutture.
Dal lato della copertura dei costi di infrastruttura il bilancio pubblico presenta una serie
di entrate che, tuttavia, non sono equivalenti. Infatti, nell’ipotesi di piena copertura dei
costi, mentre per i pedaggi e nel caso di imposte correlate all'uso dell'infrastruttura, si
può ritenere che non vi siano esternalità, in quanto il soggetto ne recepisce il costo d'uso
nei propri costi di produzione, nel caso in cui le infrastrutture vengano finanziate con
risorse non specifiche, attingendo alla fiscalità generale, il caso è diverso. Anche se
l'imposizione fiscale rappresenta un costo di produzione per gli utilizzatori, essa può
non venire chiaramente collegata con l’uso dell'infrastruttura. Si vedrà più avanti che
questo aspetto ha delle importanti conseguenze in termini di politica economica nel
campo dei trasporti.
D’altra parte non sempre è possibile distinguere quanta parte delle imposte è da
considerarsi come destinata ad impieghi “generali” e quanta ad impieghi specifici. Dal
lato delle entrate andranno quindi considerate, per il trasporto stradale, oltre ai pedaggi,
anche l’insieme delle tasse sui veicoli e sul carburante, mentre nel caso del trasporto
ferroviario dovranno essere conteggiati gli introiti dei biglietti e le compensazioni per
gli obblighi di servizio pubblico imposti alle imprese ferroviarie.
Le difficoltà di reperimento dati e le differenze metodologiche portano anche in questo
caso ad una notevole variabilità di risultati. Sulla base di studi recenti, il grado di
copertura dei costi di infrastruttura del trasporto stradale sarebbe molto elevato o
addirittura superiore mentre per il trasporto ferroviario sarebbe di certo inferiore ai costi
24
Per un riassunto del dibattito si veda Iww / Infras (1994)
11
di infrastruttura25 . Un’altra considerazione rilevante per il trasporto stradale riguarda
l’articolazione tra le categorie di veicoli, per cui risulterebbe una sproporzione evidente
a favore dei veicoli pesanti che finirebbero per beneficiare dell’effetto positivo
dell’offerta di infrastrutture26.
I costi di congestione.
I costi di congestione sono dovuti ai comportamenti degli utilizzatori di una determinata
infrastruttura e sono tipicamente afferenti al trasporto stradale, vale a dire ad un tipo di
trasporto non coordinato in modo centralizzato. Essi si verificano in presenza di un
aumento dei tempi di percorrenza dovuto non all'aumento della distanza bensì alla
presenza di più utilizzatori contemporanei dell'infrastruttura. Ciò può provocare degli
effetti negativi che si ripercuotono su tutti gli utilizzatori.
In realtà, anche per le infrastrutture a "linea guidata" (rete su rotaia) o puntuali (porti,
aeroporti) c'è un effetto congestione derivante dal verificarsi di eventi imprevisti o di
comportamenti inefficienti da parte degli utenti dell'infrastruttura. Gli effetti
dell'intensificazione del traffico e le inefficienze che si generano in questo modo, si
ripercuotono sulle altre imprese di trasporto e poi sui clienti finali dei servizi. Tuttavia,
dal punto di vista quantitativo, la rilevanza del fenomeno della congestione è di gran
lunga correlata con il trasporto stradale ed in questa sede ci si limiterà a trattare questo
aspetto.
E’ utile, a questo proposito ripartire dal dibattito sulle caratteristiche dell’infrastruttura.
Per semplificare si può supporre che, fino a quando il fenomeno della congestione non
si verifica, l'infrastruttura stradale presenti le caratteristiche di bene pubblico puro. Nel
momento in cui il livello di congestione comincia ad essere percepito, la rivalità tra gli
utenti dell'infrastruttura diviene rilevante e le caratteristiche di bene pubblico della
strada vengono meno.
Si è visto in precedenza che considerare l'infrastruttura bene pubblico o bene di club
comporta notevoli conseguenze in termini di valutazione delle esternalità provocate
dalla congestione. Infatti, nel primo caso gli effetti negativi del fenomeno si riversano
sull'intera collettività, mentre nel secondo colpiscono solo i membri del club.
Evidentemente, in questa ultima versione diventa fondamentale definire il confine del
club, vale a dire definire chi siano gli appartenenti al gruppo che usufruiscono
stabilmente e significativamente dell'infrastruttura e che, conseguentemente,
sopporteranno gli eventuali costi di congestione da essi stessi provocati.
Per quanto riguarda il trasporto stradale, il fenomeno della congestione si verifica in
presenza di un aumento della domanda d'uso di una determinata infrastruttura, cui, nel
medesimo tempo corrisponde un aumento del tempo di percorrenza e, quindi, un
aumento del costo del viaggio. Tale aumento è subìto non solo dal veicolo marginale
che si aggiunge a quelli fino a quel momento presenti, ma si ripercuote su tutti i veicoli
che si trovano in quel momento in un determinato tratto di strada27.
25
Si vedano Iww / Infras (1994) con un valore di circa il 100% e OICA (1995) con un valore di oltre il
254%. per la strada e Iww / Infras (1994) con circa il 55% per la ferrovia.
26
La compensazione di questi effetti
all’interno dei diversi operatori del
trasporto stradale
necessiterebbe la revisione della struttura della tassazione. Per ipotesi e risultati, limitatamente all’Italia si
vedano Dello Schiavo e Baragona (1976) e Ricci (1985).
27
Si veda Del Viscovo (1990), cap. IV.
12
Si può determinare una funzione di costo di congestione, dipendente dal tempo di
percorrenza, in cui il tempo sia, a sua volta funzione di una curva di deflusso espressa in
termini di velocità di base, flusso di traffico, capacità oraria della strada, coefficienti che
riflettano le caratteristiche geometriche della strada, lunghezza della tratta considerata28.
3.3. Le politiche di internalizzazione
Le politiche di internalizzazione dei costi esterni possono essere situate entro le
coordinate di due filosofie di approccio (intervento pubblico / mercato) e di due classi di
strumenti (regolamentari / economici). Filosofie e strumentazione non sono equivalenti:
l'utilizzo di divieti e imposizioni "passa" attraverso il conto economico del soggetto
colpito e, d'altra parte, ad incentivi o meccanismi economici (si pensi ai diritti di
inquinamento) corrispondono spesso limiti normativi al di là dei quali il mercato non
può funzionare29.
Tra le politiche di internalizzazione dei costi esterni, vanno distinte quelle che hanno per
oggetto l’offerta di infrastrutture di trasporto e quelle che riguardano i comportamenti
degli operatori di trasporto. Tale distinzione, si è visto, appare giustificata proprio a
causa della differenza che intercorre tra il mercato dell’offerta di infrastrutture
(essenzialmente pubblico) e quello dell’offerta dei servizi di trasporto30.
Nel caso delle infrastrutture, predomina decisamente l’intervento pubblico, sia nel
processo decisionale, sia nel sostegno finanziario, sia, sovente, anche nella
realizzazione. Gli effetti esterni possono essere valutati a livello dei singoli progetti di
investimento e, più in generale, nell’ambito della redazione di piani di sviluppo
territoriali a diversi livelli. Questo tipo di pianificazione non esiste dappertutto: i paesi si
differenziano anche per una maggiore o minore propensione per l’utilizzo di questo
strumento, che rimanda anche ad opzioni di “filosofia” dell’intervento pubblico.
L’utilizzo di forme più o meno raffinate di valutazione degli effetti esterni per i singoli
investimenti infrastrutturali sono, invece, utilizzate a prescindere dall’impostazione più
o meno favorevole all’interventismo statale.
Per quanto riguarda il campo dei comportamenti degli operatori, l'azione di
internalizzazione dei costi esterni prende le mosse dalla definizione stessa di esternalità,
tentando di far rientrare "nel" mercato qualcosa che in quella sede non viene
considerato. Le due grandi classi di strumenti, quelli economici (tasse, sussidi) e quelli
regolamentari (divieti, imposizione di limiti, regolamentazioni, ecc.) possono essere
impiegati in modo da sostituire completamente il mercato o in modo da simularlo nel
modo migliore possibile.
Per quanto riguarda gli strumenti economici, un'azione pubblica, volta a ripristinare
l'equilibrio tra benessere privato e benessere sociale può agire in due modi distinti. Nel
primo caso (first best) si cerca di ripristinare l'efficienza tassando le attività che
generano diseconomie e sussidiando quelle che producono economie, così da modificare
i redditi individuali senza generare effetti distorsivi sui prezzi dei beni (approccio
Piguviano classico). Tale soluzione è valida solo nel caso di effetti esterni presenti a
28
Un'applicazione si trova in Santel e Sartor (1995).
Un chiaro esempio di come filosofie e strumentazione non coincidano si può trovare in Baumol e Oates
(1971) dove, partendo dall’impossibilità di applicazione dell'approccio Piguviano classico, si giunge alla
proposizione di un mix di strumenti economici e regolamentari.
30
Per questa distinzione dell’ambito delle politiche di internalizzazione si veda Quinet (1994), per una
discussione sugli strumenti, si vedano, OCDE (1989), Button (1994 a) e ancora Quinet (1994).
29
13
livello aggregato (es. se le economie esterne influenzano il benessere di uno o più
cittadini, l'efficienza paretiana si raggiunge attraverso la tassazione (o il sussidio) di
ogni soggetto pari alla somma algebrica degli effetti marginali prodotti sugli altri
soggetti). Questa soluzione non è spesso possibile a causa della quantità (eccessiva) di
informazioni necessarie o di forti resistenze dei cittadini o di gruppi di essi verso azioni
redistributive.
Quando non esistono le condizioni per la scelta ottimale, lo stato deve ripartire le risorse
nel modo migliore, tenendo conto dei vincoli esistenti. La soluzione corrisponde ad una
scelta di second best e non rappresenta una situazione di efficienza paretiana.
Gli aspetti di difficoltà dell’utilizzo dello strumento fiscale nel campo dei trasporti,
trascurando il problema generale del livello della pressione fiscale nei paesi occidentali,
appaiono concentrarsi nel conflitto tra fiscalità generale e tasse di scopo, ovverosia nel
prevalere delle motivazioni di finanziamento generale del bilancio dello stato
sull’obiettivo di internalizzazione dei costi esterni31. Una tale situazione, che esiste in
tutti i paesi europei, è dovuta essenzialmente alla grande facilità di tassazione dei
carburanti.
Accanto al classico conflitto di politica economica tra obiettivi e strumenti, la situazione
della tassazione del trasporto mette anche in luce anche diversi altri problemi. In primo
luogo una difficoltà nell’articolazione dei tributi per categorie di veicoli, evidenziando
una non neutralità dello strumento fiscale tra diverse categorie di cittadini e di operatori
di trasporto. A tale disequilibrio vanno, eventualmente, aggiunte le politiche di
incentivazione di determinati settori o categorie di operatori di trasporto, fenomeno più
o meno presente a seconda della propensione all’intervento pubblico delle autorità
politiche nazionali.
Altri problemi connessi con l’utilizzo di strumenti economici sono, infine, rappresentati
dalla generale incertezza della quantificazione degli effetti esterni, che può indurre a
notevoli errori nella decisione dell’intervento e nella asimmetria con cui gli individui
bilanciano i costi e i benefici di tali interventi, con le conseguenti difficoltà di consenso
che ne possono derivare.
Nel campo degli strumenti regolamentari, le principali controindicazioni per l’utilizzo
riguardano aspetti generali di efficienza (non si raggiungono soluzioni ottime, esistono
costi di gestione generali e per i controlli non facilmente valutabili), elementi di
asimmetria informativa o di pressione politica tra regolatore e regolato (con conseguente
“cattura” del regolatore), effetti indesiderati in altri campi e, nel lungo periodo, crescita
di complessità delle regolamentazioni e ruolo di freno nei confronti dei processi di
cambiamento tecnologico e organizzativo.
D’altra parte, non necessariamente la presenza di esternalità rende obbligatorio
l'intervento pubblico. Si è visto che Coase ha dimostrato che - sotto determinate
condizioni - se il profitto congiunto delle imprese colpite da effetti esterni è maggiore
della somma dei profitti individuali, esse avranno l'interesse a fondersi o a
regolamentare la loro produzione. La ripartizione dei beni che ne deriva è un ottimo
paretiano e non è influenzata dal fatto che i diritti di proprietà (e quindi di indennizzo)
vengano conferiti indifferentemente a colui che produce o a colui che subisce le
31
E’ questa una delle principali conclusioni, ad esempio, del CER (1995), nell’ambito di una indagine
sulla struttura del sistema fiscale italiano dei trasporti. Nel medesimo rapporto si trova anche una
rassegna sulla situazione in alcuni paesi europei, mentre, per l’esperienza svedese si può vedere la
sintesi contenuta in CEE (1995).
14
esternalità. In altri termini, il mercato è in grado, secondo Coase, di riparare una serie di
effetti esterni indesiderati senza introdurre le distorsioni indotte dall’intervento
pubblico.
La soluzione che passa attraverso questa "estensione" del mercato, ad esempio per il
tramite della contrattualizzazione dei diritti sui beni pubblici o su determinate risorse
ambientali non rinnovabili (laghi, foreste, ecc.), non è tuttavia esente da difficoltà. In
primo luogo essa dà luogo ad una sorta di indifferenza etica tra chi subisce un danno e
chi lo procura. Inoltre, ammesso che sia possibile definire i diritti di proprietà, i costi di
transazione connessi a funzionamento del mercato di questi diritti risultano spesso
elevati a causa della numerosità dei soggetti coinvolti32.
Anche in questo caso, la soluzione di ottimo paretiano si allontana, dato che l'irrilevanza
dei costi di transazione è proprio una delle condizioni necessarie al teorema di Coase. In
altri termini, sia l'intervento pubblico che l'estensione del mercato non riescono a
ricondurre ad una situazione ideale un meccanismo di scambio in cui alcuni soggetti
provocano dei costi senza pagarne il prezzo. E' stato fatto correttamente notare che, in
una tale situazione, la scelta tra diverse politiche o filosofie di intervento è una scelta tra
due condizioni sub-ottimali: un mercato imperfetto e una regolamentazione imperfetta33.
La propensione verso l'intervento pubblico o la libera azione del mercato è, oltreché un
convincimento teorico, una caratterizzazione geografica. La preferenza per l'azione
pubblica è, infatti, più radicata in Europa Occidentale che negli Stati Uniti, mentre la
situazione appare invertita per quanto riguarda la propensione verso il mercato34.
In conclusione, le politiche di internalizzazione dei costi esterni si trovano in una fase di
ridefinizione. All’affinamento dell’analisi ed alla messa a punto degli strumenti non
corrisponde, tuttavia, che una lenta messa in opera di politiche concrete.
L’aspetto fondamentale che domina lo scenario in questa materia è rappresentato dal
consenso che le misure da adottare, che si sommano in ogni paese (e a livello europeo)
alla struttura di preesistenti politiche economiche, devono necessariamente registrare.
Cosi, in accordo con le diverse sensibilità territoriali e geografiche al tema delle
esternalità dei trasporti, esistono molteplici attitudini di intervento.
Il livello europeo, che diviene sempre più il livello di intervento decisivo per le azioni
sui comportamenti degli operatori (ma anche sul terreno infrastrutturale), segna il passo
proprio per l’assenza di un consenso convinto, non tanto sulla direzione e sui principi di
intervento, quanto sulla tempestività e sulla radicalità delle misure da adottare. La
lettura del Libro Verde comunitario sulla tariffazione delle attività di trasporto 35
costituisce, da questo punto di vista un esempio illuminante di come politiche di
32
Considerando l’impresa e il mercato come due modi alternativi di organizzare gli scambi, i costi di
transazione sono tutti quei costi necessari alla definizione contrattuale di uno scambio tra soggetti
economici. In un tale approccio alla teoria dell’impresa, questi costi non sono affatto trascurabili a causa
della razionalità limitata e dell’opportunismo che caratterizza in generale i comportamenti dei soggetti
economici.. Per una definizione dei costi di transazione si veda Williamson (1991), per una
esemplificazione nei trasporti, si veda Rothengatter (1994).
33
Bentivogli e Trento (1995)
34
Per questa distinzione territoriale / geografica delle politiche di internalizzazione si veda Button (1994
b). In Italia in particolare, l’orientamento verso un forte dispiegamento delle politiche pubbliche nel settore
dei servizi (di cui i trasporti sono parte rilevante) si deve, anche, alla scarsa presenza dei consumatori
come soggetto autonomo portatore di interessi, da cui deriva un ruolo assai vasto dello Stato quale
garante dell'interesse collettivo. Per il ruolo dello Stato nei servizi di pubblica utilità, si veda Cassese
(1992).
35
CEE, Livre Vert, Vers une tarification équitable et efficace dans les transports, COM 95 (691) final,
20/12/95.
15
internalizzazione ormai sufficientemente mature a livello di definizione teorica e di
anche di prime sperimentazioni, stentino a trovare un’applicazione pratica.
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18
COMMENTO PARTE II
Giorgio Beltrami, Ferrovie dello Stato
Nel testo curato da Maurizio Caruso Frezza, viene proposto - in modo molto
esaustivo - un panorama dello stato dell’arte dei modelli di trasporto.
Il “modello” è una rappresentazione semplificata della realtà o di una sua
parte, basata su alcuni elementi ritenuti rilevanti ai fini della
rappresentazione stessa.
E’ evidente che la scelta degli elementi ritenuti rilevanti condiziona la
capacità del modello di rappresentare la realtà secondo particolari punti di
vista.
Ma questo è un problema che riguarda tutto il campo delle osservazioni
scientifiche e non può quindi essere un motivo per svalutare il ruolo e
l’utilizzazione dei modelli.
Ruolo e utilizzazione che - a mio giudizio - sono tuttora assai limitati e in
molti casi distorti. Un modello è uno strumento di aiuto alle decisioni; ma è
assai raro che un apparato modellistico sia utilizzato in modo organico e non
semplicemente di “corredo” ai processi decisionali o ai processi di
formazione dei piani.
Le cause sono molteplici, non sempre e non solo imputabili a scarsa
propensione verso la razionalità dei processi di scelta.
Da una parte ci sono problemi di risorse necessarie per costruire e mantenere
un apparato modellistico di supporto a un processo decisionale.
Dall’altra ci sono le “indisponibilità” dei “decisori” che spesso diffidano di
strumenti o processi troppo analitici che, quindi, non controllano.
Infine la molteplicità dei soggetti decisori e la complessità dei processi
decisionali nei quali tende più a prevalere la capacità di “persuasione” che
non il valore intrinseco della decisione.
In questo contesto l’applicazione e l’uso dei modelli rischia di rimanere
“esterno”, motivato quasi unicamente dal “non si può non essere all’altezza
dello stato dell’arte. E’ chiaro che in questi termini si tratta solo di spreco di
risorse.
In effettiè assai importante che l’approccio modellistico sia accettato o fatto
proprio nello stile delle decisioni. Questo implica evidentemente la necessità
di “internalizzare” l’uso e quindi la “mentalità” modellistica (cioè analitica)
nelle strutture (soprattutto di governo) che curano la formazione dei piani e
delle strategie o comunque che collaborano alla formazione delle decisioni.
L’approccio modellistico presenta almeno due vantaggi da questo punto di
vista:
 offre una base di accettabile compromesso tra i sistemi di interessi e un
minimo di obiettività (e di razionalità e di trasparenza)
 consente di migliorare progressivamente - attraverso l’interpretazione e la
discussione dei risultati e il confronto con i comportamenti reali - la
capacità di conoscenza dei sistemi e quindi la capacità di regolarne i
comportamenti.
Nella lettura delle nota di Caruso Frezza, queste considerazioni possono
trovare conferma e specificazione. Un ultimo aspetto tuttavia ritengo sia
necessario evidenziare.
Lo strumento modellistico normalmente opera su dati “cross sectional” per
cui il suo processo di validazione non può consistere semplicemente
nell’osservare una buona corrispondenza tra dati stimati e dati osservati.
Questo significa che gli impianti modellistici possono ritenersi assestati
quando la corrispondenza tra previsioni da modello e osservazioni, avviene
utilizzando dati non usati nei processi di costruzione del modello stesso.
In altre parole il modello tende a fornire prestazioni sempre migliori quanto
più il modello stesso viene utilizzato nel tempo, con diverse e successive
basi dati.
Quindi se lo strumento modellistico diventa un supporto permanente del
processo decisionale, inserito cioè nel normale corredo degli apparati tecnici
a disposizione dei “decision makers”.
2
PARTE II
LA DOMANDA DI TRASPORTO
CAPITOLO 1.
MODELLI E DEFINIZIONI
Maurizio Caruso Frezza, Ferrovie dello Stato
La domanda di servizi di trasporto è costituita dai viaggiatori e dalle merci che si
spostano da una determinata area-origine
verso una
altra determinata
area-destinazione in un determinato arco temporale.
Il fatto che lo spostamento è quasi mai una attività fine a se stessa (uno spostamento
non viene effettuato quasi mai in quanto produttore di “utilità” in sé) ma è piuttosto
un’attività che si associa a complemento di attività da svolgere in luoghi diversi da
quello in cui una data persona o merce si trova fa sì che la domanda di trasporto sia
considerata una domanda “derivata”, una domanda, cioè, che scaturisce dal bisogno di
soddisfare altre esigenze.
I viaggiatori si spostano. per esempio, perché devono recarsi al lavoro, nei luoghi di
studio, per fare acquisti o per divertirsi mentre le merci vengono trasportate dai luoghi
di produzione a quelli di consumo.
Le condizioni di offerta di servizi di trasporto e l’assetto territoriale delle
localizzazioni produttive, di consumo e residenziali contribuiscono, inoltre, a definire
l’entità e le caratteristiche degli spostamenti che si realizzano in una data area e in un
determinato periodo.
Dietro la domanda di trasporto esistono, pertanto, una molteplicità di soggetti e di
condizioni che impongono di volta in volta un processo di caratterizzazione secondo
diversi parametri
del
fenomeno considerato al fine di pervenire ad una
modellizzazione utile all’individuazione delle variabili esplicative della mobilità delle
persone o delle merci.
Nella definizione data sopra di domanda di trasporto si possono individuare tre elementi
centrali che possono essere assunti come guida per una prima e generale delimitazione
delle diverse situazioni di mobilità dei viaggiatori o delle merci (Cascetta, 1990 e
1993):
a) il tipo di viaggiatore o di merce che si sposta o che viene trasportata;
b) le caratteristiche spaziali dell’area-origine e dell’area-destinazione (O-D);
c) l’arco temporale di riferimento.
Per quanto riguarda il primo elemento è essenziale nella fase di formalizzazione della
modellistica tenere separata la domanda di trasporto dei viaggiatori da quella relativa al
trasporto delle merci.
La distinzione è rilevante in quanto i due fenomeni di mobilità presentano caratteristiche
peculiari che richiedono una trattazione separata.
La maggiore eterogeneità delle situazioni da trattare e la maggiore complessità dei
fattori determinanti nel caso del trasporto delle merci introducono, infatti, nell’analisi e,
quindi, nella modellizzazione degli spostamenti delle merci elementi che non trovano
spesso un corrispettivo nell’analisi della domanda di trasporto dei viaggiatori.
Alcuni modelli che formalizzano il trasporto delle merci non hanno un corrispettivo per
la domanda dei viaggiatori e, quando anche vengono applicati gli stessi schemi teorici di
riferimento, si è obbligati, nel caso delle merci, a procedure di specificazione dei dati
più articolate e segmentate.
1
A complicare ulteriormente l’analisi della domanda per il trasporto merci si aggiunge,
alla specificazione dell’oggetto, una maggiore attenzione da porre alla pluralità dei
soggetti che entrano nel processo di scelta (le catene logistiche door-to-door).
Il secondo elemento riguarda lo spazio territoriale entro cui si realizza lo spostamento
che viene delimitato dalla coppia Origine-Destinazione tra cui si muovono i flussi
considerati .
Per quanto riguarda il trasporto dei viaggiatori la più rilevante distinzione che viene
effettuata è quella tra il trasporto dei viaggiatori su medie e lunghe distanze e quello a
breve raggio che solitamente viene trattato come trasporto dei viaggiatori in contesti
locali extraurbano o urbano.
Per le merci l’equivalente scomposizione riguarderebbe il trasporto su medie-lunghe
distanze ed il trasporto urbano delle merci a seconda che si faccia riferimento agli
spostamenti connessi alle fasi di produzione del bene o alla sua distribuzione sul
mercato finale.
Per quanto riguarda il trasporto delle merci su medie e lunghe distanze un ulteriore
distinzione che viene fatta , operando a livello nazionale, è quella tra trasporto interno
e trasporto internazionale sussistendo in genere condizioni di mercato e di competitività
tra i diversi modi di trasporto molto differenti.
L’ultimo elemento che consente di delimitare il fenomeno in esame è legato all’arco
temporale di riferimento dei flussi considerati.
Questo aspetto è importante in quanto in generale la domanda di trasporto assume
valori diversi a seconda del periodo temporale di riferimento ma , ai fini della
modellistica, introduce solo il problema della comparabilità delle variabili esplicative
del fenomeno e della generalizzazione a fini estrapolativi dei risultati acquisiti.
Sulla base di quanto detto la presentazione della modellistica con la quale viene
formalizzata l’analisi della domanda di trasporto verrà effettuata facendo riferimento
separatamente alle due macro-tipologie sopra definite della domanda di trasporto di
viaggiatori e della domanda di trasporto delle merci.
E’ opportuno sottolineare, comunque, che luna buona parte della modellistica per il
trasporto merci si sia sviluppata come adattamento di schemi analitici introdotti per la
domanda di viaggiatori fermo restando gli aggiustamenti relativi alla messa a fuoco
delle specificità descrittive che emergono nella fase di individuazione delle variabili
esplicative e delle unità di osservazione.
Diversi autori hanno proposto nei loro lavori schematizzazioni della modellistica sulla
domanda di trasporto delle merci e dei viaggiatori nel tentativo di individuare delle aree
comuni entro cui ricomporre i vari e molteplici aspetti della domanda di trasporto trattati
nella letteratura scientifica e tecnica mondiale
I risultati non sono molto dissimili nella sostanza, anche se, un uso non standardizzato
della terminologia e il prevalere di chiavi di classificazione non completamente
omogenee rende difficoltosa stabilire esatte ed univoche corrispondenze tra le diverse
tipologie di modelli presentate.
Rassegne ampie ed articolate si ritrovano in Naddeo (1980) Eastmann (1982), Winston
(1986), Fusco e Gori (1990) per le merci e Del Viscovo-Naddeo (1976), Fischer (1992)
e Biggerio (1994) per i viaggiatori.
Particolarmente ampia e ricca di commenti è, inoltre, la rassegna di Ortuzar e
Willumsen (1995).
Ad esse faremo riferimento nel prosieguo per illustrare le categorie principali,
all’interno delle quali vengono ricondotte le varie strumentazioni analitiche e
concettuali approntate per l’analisi della domanda di trasporto.
2
CAPITOLO 2.
LA DOMANDA DI TRASPORTO DEI VIAGGIATORI
Maurizio Caruso Frezza, Ferrovie dello Stato
Lo sviluppo e l’avanzamento degli studi riguardanti l’analisi della struttura e dei
determinati della domanda di trasporto dei viaggiatori si è cpncretizzato in questi
ultimi decenni nella produzione di modelli tendenti a fornire non solo le basi per
esercizi di previsione o di simulazione ma anche per consentire a ricercatori e operatori
del settore una concettualizzazione per quanto possibile precisa dei fattori e dei vincoli
che condizionano le decisioni di mobilità che si manifestano sul territorio.
Nonostante sia grande la varietà dei modelli di analisi proposti in letteratura, ciò non di
meno, è possibile ricondurre i modelli di domanda di trasporto di viaggiatori nell’ambito
di tre grandi impostazioni di ricerca :
1) l’impostazione tradizionale a quattro stadi che è caratterizzato da un uso di tipo
aggregato e descrittivo dei dati di domanda;
2)
l’impostazione di tipo microeconomico che concentra l’attenzione sul
comportamento dei viaggiatori e sul suo processo di scelta che privilegia l’uso di
dati di domanda a livello individuale;
3) l’impostazione di tipo activity-oriented che inserisce il comportamento di viaggio
degli individui all’interno della sfera quotidiana di impegni ed attività che ciascun
individuo compie e degli stili di vita individuali o familiari resi effettivi.
Nel seguito la presentazione della modellistica sulla domanda di trasporto di
viaggiatori seguirà questa articolazione in modo da facilitare la comprensione dei
fondamenti teorici e dei punti di riferimento a concettuali su cui i singoli modelli si
sviluppano.
2.1. I modelli di domanda a quattro stadi
La metodologia dei modelli di domanda a quattro stadi, nota anche come Urban
Transport Planning (UTP) in relazione alle applicazioni che di essa è stata fatta nei
contesti urbani americani, è stata formulata negli anni ‘50 e ‘60 ed è andata a costituire
nel corso degli anni il nucleo di base per l’analisi della domanda di trasporto nell’ambito
dei processi di pianificazione dei sistemi di trasporto.
Questa fornisce la struttura portante sulla quale si sono sviluppate e continuano ad
esserlo ancora oggi numerose applicazioni pratiche prestandosi, per la modularità
sequenziale che la caratterizza, a sviluppi teorici e ad adattamenti specifici alle realtà
concrete.
Con l’uso di questi modelli ci si propone di spiegare, operando a livello aggregato, la
struttura spaziale e modale degli spostamenti effettuati tra differenti aree geografiche,
considerate alternativamente come aree di generazione o di destinazione degli
spostamenti.
In questi modelli la mobilità nella sua dimensione assoluta viene presentato come
prodotto di aree territoriali che interagiscono in funzione delle loro caratteristiche
socio-economiche e spaziali (si parla di caratteristiche del land-use).
Per questa categoria di modelli vengono utilizzati dati di domanda organizzati in modo
da poter individuare i flussi di domanda che si svolgono nell’unità temporale di
riferimento su ogni relazione Origine-Destinazione del territorio esaminato.
L’analisi che viene, così, effettuata rientra tra le analisi aggregate (viaggiatori o gruppi
di viaggiatori considerati nel loro complesso senza specificare ipotesi di comportamento
a livello individuale).
3
Operando su questi flussi vengono costruiti quattro tipologie di modelli logicamente
connessi in successione in modo da passare dalla distribuzione territoriale degli
spostamenti sugli archi O-D alla ripartizione per modo di trasporto della domanda di
trasporto complessiva all’assegnazione dei flussi sulla rete infrastrutturale che assicura il
collegamento fisico delle origini con le destinazioni.
Lo schema a quattro stadi si fonda su quattro tipologie di modelli di domanda,
ciascuno dei quali tratta un particolare aspetto del fenomeno come viene descritto nei
sottoparagrafi successivi.
Questo tipo di approccio basato sui modelli a quattro stadi, noto anche come
“approccio tradizionale” ha trovato ampio seguito per la sua versatilità ed adattabilità
alle situazioni applicative più comuni.
In Italia una particolare applicazione di questi modelli è stata effettuata per prevedere
la domanda attratta dall’introduzione dei treni ad alta velocità (AV) su diverse linee
ferroviarie.
Gli studi di fattibilità delle linee ferroviarie AV Milano-Battipaglia (Ferrovie dello
Stato, 1988 e Tech.A.V. .Tpl.A.V., 1993) e Torino-Venezia (Ferrovie dello Stato,
1993) fanno riferimento ad una matrice O-D zonale ed impiegano modelli di
regressione lineare per la generazione, modelli gravitazionali per il modello di
distribuzione e modelli di tipo logit miltinomiale per la scelta modale sui modi
aereo,treno,auto e autobus con diversi livelli di approfondimento per quanto riguarda i
motivi di viaggio ( lavoro/studio, affari professionali, turismo, svago ).
2.1.1. 1^ fase: I modelli di genarazione e attrazione (trip generation / attraction)
Il primo sottomodello è rappresentato dal modello di generazione o di attrazione degli
spostamenti (trip generation/attraction) nel quale viene posto in relazione il flusso di
domanda con il “peso” dell’area da cui il flusso trae origine o trova destinazione.
assumendo che questo sia tanto più elevato quanto maggiore è l’importanza dell’origine.
o della destinazione.
La fase di generazione/ attrazione degli spostamenti si propone, pertanto, di stimare il
numero degli spostamenti generati da una data origine e attratti da una data destinazione
comprese nell’area di studio .
In questa fase si risponde alla domanda “Quanti spostamenti si originano in ciascuna
zona? Quanti spostamenti sono attratti da ciascuna zona? Questo approccio è quello
tradizionale a livello aggregato;
Ma il problema può essere visto anche nei termini di un problema di scelte del numero
di spostamenti da compiere : Quanti spostamenti sono effettuati da una certa categoria
di persone in una settimana media? se posta in questi termini il problema può essere
affrontato utilizzando i modelli comportamentali o di scelta discreta (discrete choice
approach) ma per questo si rinvia al paragrafo successivo.
In questi modelli la variabile dipendente considerata è rappresentata dai flussi di
domanda in termini assoluti (n° di spostamenti di persone o veicoli, a secondo
dell’interesse) che si originano in un certo periodo da una data area territoriale di
riferimento - la zona ,per usare un termine tecnico, che è costituita da un
raggruppamento di
unità territoriali più piccole
con caratteristiche
socio-economico-spaziali omogenee -.
La relazione tra flussi di domanda assoluti generati da una data origine viene
generalmente effettuata attraverso l’analisi di regressione multipla o calcolando dei
valori medi di generazione in corrispondenza di una analisi per categorie della domanda
(per tipo delle famiglia, per esempio).
4
Questo primo sottomodello permette di esprimere i flussi generati o attratti di ogni zona
in funzione delle sue caratteristiche ma non consente ancora di sapere quali siano le
destinazioni dei flussi in uscita dalla zona .
A questo tipo di modelli si suole attribuire l’individuazione delle componenti
tendenziali del livello della domanda in quanto questa viene assunta in funzione
dell’evoluzione del sistema di attività nelle origini degli spostamenti (Biggerio,95).
Per la definizione di un modello di generazione si ritiene fondamentale differenziare la
modellistica in relazione allo scopo del viaggio, all’ora del giorno, alla categoria del
viaggiatore.
Queste categorie assumono differente rilevanza a secondo che si considerano
spostamenti interzonali o all’interno della zona considerata.
Per quanto riguarda lo scopo dello spostamento si distinguono le seguenti finalità :
- lavoro
- studio
- fare acquisti
- vacanza o divertimento
- impegni occasionali
(ricevere delle cure mediche, sbrigare delle pratiche
burocratiche, accompagnare un parente per esempio).
A questa classificazione classica per scopo del viaggio si deve aggiungere quella di
chi ritorna a casa il cui comportamento come evidenziato da Hall et al. (1987)
presenta caratteristiche specifiche che conviene esaminare a parte.
Per quanto riguarda la distinzione per fasce orarie nel corso della giornata è rilevante,
invece, soprattutto per l’analisi della mobilità urbana, la distinzione tra ore di punta e
ore di morbida mentre le categorie di viaggiatori più usualmente considerate sono quelle
per livello di reddito, possesso dell’automobile, struttura ed ampiezza della famiglia.
Tra i fattori che influiscono sulla generazione dei viaggi i più utilizzati risultano, invece
:il reddito, il possesso dell’automobile, la struttura e l’ampiezza delle famiglia, le
caratteristiche d’uso del territorio, la densità residenziale, l’accessibilità.
I primi quattro sono stati utilizzati per studi di generazione di viaggi per famiglia, gli
altri sono tipici per gli studi zonali.
L’accessibilità , intesa nel senso di facilità o difficoltà nel fare un viaggio da o verso una
determinata località, viene introdotta per collegare la generazione e/o l’attrazione dei
flussi alle caratteristiche del sistema di trasporto.
E’ una variabile che, se può non essere molto significativa per gli spostamenti
obbligatori, può essere molto rilevante quando il motivo del viaggio è discrezionale,
come quello legato agli acquisti di beni di consumo da parte delle famiglie.
Per quanto riguarda, infine, la capacità di attrazione si possono considerare la
disponibilità di servizi industriali o commerciali, i livelli di produzione o di occupazione
della zona, oltre, chiaramente ad una misura di accessibilità (tempi di spostamento,
distanze etc.).
I modelli a fattore di crescita.
I modelli a fattore di crescita si basano sulla seguente equazione :
T1i= Fi T0i
dove si sono indicati con T1i e T0i rispettivamente i viaggi generati dalla zona i
nel periodo corrente e per il futuro e con Fi il fattore di crescita.
Il problema è, in questo caso, quello di stimare il fattore di crescita Fi .
5
Il fattore di crescita è normalmente stimato calcolando la variazione tra il periodo
corrente e quello di previsione di una funzione di variabili quali la popolazione della
zona, il reddito e il possesso di automobili che si assumono influenzare gli
spostamenti.
Questo metodo è molto semplice ma sposta l’attenzione dal valore assoluto degli
spostamenti ai determinanti del tasso di crescita. Può essere, quindi visto come un
metodo per trattare variazioni invece che valori assoluti ( si vedano anche i modelli
pivot illustrati successivamente) .
I modelli di regressione multipla.
Si distinguono due grosse categorie di modelli a secondo che si utilizzino matrici di
flussi interzonali o dati distinti per famiglia .
Con i dati interzonali si stabilisce una relazione lineare tra il numero degli
spostamenti prodotti o attratti da una zona e le caratteristiche medie socio-economiche
delle zone stesse.
I modelli possono essere costruiti in termini assoluti o standardizzando rispetto alla
dimensione della zona in modo da avere delle relazioni sotto forma di indici (questo è
utile per tenere sotto controllo fenomeni di multicollinearità tra le variabili considerate
in livello assoluto).
La variabilità dei flussi si riduce se aumenta l’ampiezza delle zone e, quindi, se se ne
riduce il numero.
Analoghi modelli vengono costruiti per stimare i flussi di viaggi o viaggiatori attratti
da ciascuna zona.
Per i soli modelli di generazione è possibile, in alternativa ai dati zonali, utilizzare i dati
sulle caratteristiche strutturali e comportamentali delle famiglie (household-based
models).
In questi modelli ciascuna famiglia è considerata come unità di osservazione : la
variabile analizzata è il numero di viaggi generati in un certo periodo dalla famiglia
mentre le variabili esplicative sono quelle relative, per esempio, all’ampiezza e alla
struttura familiare, al reddito, al numero di autovetture possedute o ai modi di
comportamento dei membri della famiglia.
Questi modelli vengono utilizzati soprattutto per analizzare i flussi intrazonali con
riferimento cioè alla mobilità sistematica e occasionale su scala urbana.
Sulle tecniche di analisi impiegate per costruire modelli di trip generation si possono
consultare FHWA (1967) e Douglas and Lewis ( 1970).
I modelli di regressione che stimano i flussi attratti e generati da ciascuna zona non
garantiscono che il totale dei flussi generati dalle n zone in cui è stato suddiviso il
territorio (considerate come zone-origine) corrisponda al totale dei flussi attratti dalle
medesime zone (considerate come zone-destinazione).
Per assicurare questa uguaglianza, fondamentale per la formulazione dei modelli di trip
distribution, si usa in genere assumere come valido il totale del modello stimato con più
accuratezza (in genere il modello di generazione) e, quindi, adattare in proporzione i
flussi stimati del modello complementare ( i flussi attratti).
Il metodo cross-classification di analisi per categoria o di classificazione incrociata
(category analysis or cross-classification).
Questo metodo, che si è sviluppato alla fine degli anni ‘60 soprattutto nel Regno Unito,
consiste nello stimare il numero dei viaggi generati per famiglia (tassi di generazione)
6
per un certo scopo e per ogni classe relativa alle caratteristiche strutturali e
comportamentali della famiglia e, quindi, nell’espandere all’intera zona esaminata
l’insieme dei tassi di generazione “specifici” così stimati.
Esso si basa sull’assunzione che i tassi di generazione dei viaggi sono relativamente
stabili nel tempo per determinate stratificazioni delle famiglie.
Poiché questo metodo stima questi tassi di generazione per ciascuna classe di famiglie
l’obiettivo principale che si pone è quello di costruire classi di famiglia con la varianza
minima del tasso di generazione nella classe.
La procedura di stima richiede, tuttavia, un gran numero di dati e l’applicazione delle
procedure di ricerca della variabilità interna minima non sempre sono di facile e di
pratica attuazione.
Per quanto riguarda, invece, le previsioni il problema fondamentale è quello di riuscire
a prevedere il numero delle famiglie per ciascuna classe.
Per far questo in genere si costruisce una funzione di probabilità congiunta dipendente
dal reddito, dalla struttura familiare e dal possesso di auto e la si applica al totale delle
famiglie della zona.
Si stima così il numero delle famiglie della zona i.ma che appartengono alla classe
generica h.ma individuata per esempio sulla base del reddito familiare, della struttura
della famiglia e dal tipo di autovetture possedute alla quale viene applicato il tasso di
generazione corrispondente.
Per un’applicazione di questa metodologia si può consultare il lavoro di Douglas e
Lewis (1971).
Rientrano in questa categoria di modelli di generazione i modelli di analisi per
classificazione multipla (MCA models) dei quali si può trovare un esempio in Stopher
e McDonald, (1983) .
I modelli MCA stimano i tassi di generazione per incroci di variabili combinando, in
base a determinate ipotesi di indipendenza o di interazione reciproca, i tassi di
generazione marginali delle singole variabili di stratificazione.
Una struttura analoga a quella dei modelli basati sulla stratificazione delle famiglie sono
quelli basati sulle categorie di individui che presentano il vantaggio di essere più
facilmente disponibili (Supernak et al. 1983).
La relazione che si considera , in questo caso, è la seguente :
Ti = Ni j aji tj
avendo indicato con Ti il numero totale di viaggi fatti dagli abitanti della zona
i-ma, con Ni
il numero degli abitanti della zona i-ma, con aji la percentuale
degli abitanti appartenenti alla categoria j-ma della zona i-ma e con tj
il tasso di
generazione dei viaggi, cioè il numero di viaggi fatti durante un certo periodo di tempo
in media da una persona appartenente alla categoria j .
2.1.2. 2^ fase: i modelli di distribuzione (trip distribution)
I modelli di generazione possono essere usati per stimare il numero totale di viaggi che
si originano da una zona (generazioni) e quelli che sono attratti dalla zona medesima
(attrazioni).
L’informazione che viene fornita è, pertanto, quella, sugli spostamenti che una data
zona nel complesso genera o attrae, senza alcuna specificazione dell’insieme delle
destinazioni per quanto riguarda i flussi generati o dell’insieme delle origini per quanto
riguarda, invece, i flussi attratti.
7
Per questa ulteriore finalità conoscitiva si ricorre, invece, ai cosiddetti modelli di
distribuzione (trip distribution), che consentono, dopo che con i modelli di
generazione si è individuato l’ammontare assoluto dei flussi generati da ogni origine,
di attribuire i flussi ad ogni relazione O-D.
Esempio di matrice O-D
Zone dest inazione
At t razioni
Zone origine
Tot ali
Generazio
ni
1
2
3
...
j
n
1
T11
T12
T13
...
T1j
T1n
T1.
2
T21
T22
T23
...
T2j
T2n
T2.
3
T31
T32
T33
...
T3j
T3n
T3.
Tij
Tin
Ti.
Generazioni
:
i
...
Ti1
Ti2
Ti3
:
...
...
n
Tn1
Tn2
Tn3
...
Tnj
Tnn
Tn.
Tot ali
At t razioni
T.1
T.2
T.3
...
T.j
T.n
T
I modelli di distribuzione si basano su tre elementi fondamentali :
a) il numero degli spostamenti generati da una zona di origine;
b) le caratteristiche che definiscono il grado di attrazione delle zone di destinazione;
c) l’effetto negativo indotto sugli spostamenti dalla separazione spaziale della zona
origine dalle zone destinazione (in termini di distanza, di tempi o di costo o da una
combinazione di questi ultimi sotto forma di costo generalizzato ).
Alla categoria dei modelli di tipo distributivo si ascrivono i modelli gravitazionali, i
modelli di massimizzazione entropica,
i modelli delle opportunità interposte
(intervening-opportunities model).
Il collegamento con la fase precedente può essere schematizzato riportando i dati stimati
in una matrice O-D in cui viene ordinato l’insieme degli spostamenti che si verificano
tra le n zone in cui è stato suddiviso il territorioin esame.
Sulla diagonale principale sono riportati i flussi intrazonali mentre i totali di colonna
forniscono il totale degli spostamenti attratti da ogni zona e quelli per riga il totale
degli spostamenti originati dalla zona i-ma. Questi due ultimi dati vengono stimati dai
modelli di generazione e/o attrazione visti nella fase precedente.
I modelli gravitazionali.
Sono i modelli più utilizzati, soprattutto a livello aggregato, non solo per i loro vantaggi
teorici ma anche per l’ampia disponibilità di pacchetti software per la loro calibrazione
ed utilizzazione.
Questi modelli si richiamano alla teoria gravitazionale di Newton e postulano una
relazione tra il numero degli spostamenti tra una zona i di origine ed una zona j di
destinazione Tij , la capacità di generazione della zona i, la capacità di attrazione
della zona j ed una misura che sintetizza l’effetto di disincentivo del viaggio indotto
dalla “separazione” geografica tra la zona i e la zona j.
La formulazione generale del modello può essere espressa dalla relazione :
8
Tij =
a Pi Pj
-----------f(cij)
in cui Pi e Pj rappresentano rispettivamente la capacità di generazione della zona i e
quella di atttrazione della zona j mentre f(cij) è una funzione delle variabili cij che
costituiscono un deterrente per l’effettuazione del viaggio (il tempo od il costo del
viaggio p.es.).
Le funzioni più usate in letteratura risultano la funzione esponenziale e la funzione
potenza , trattate singolarmente o in forma combinata.
I modelli gravitazionali, stimando il set dei flussi Tij , richiede che siano rispettati i
vincoli sui totali per zona dei flussi generati ed attratti.
La relazione viene quindi ritrascritta in modo da inserire due fattori di bilanciamento Ai
e Bj che viene stimata con procedura iterativa e con tecniche di biporzionamento
matriciale (modelli gravitazionali vincolati).
Esempi di procedure di bilanciamneto si ritrovano, tra gli altri, in Furness (1965) e
Lamond and Stewart (1981).
Per i problemmi connessi alla calibrazione dei modelli gravitazionali si possono
consultare , tra gli altri, i lavori di Hyman ( 1969) e Williams (1976).
I modelli di massimizzazione dell’entropia.
Con questo termine si fa riferimento ai modelli che si ricavano applicando una
tecnica matematica che stima le n componenti (le Tij nel nostro caso ) di un
determinato insieme (il totale T degli spostamenti) essendo note K <n loro aggregazioni
(le Ti. e le T.j viaggi generati e attratti da ciascuna zona) in modo da ottenere per ogni
coppia (i,j) di zone il numero Tij che massimizza sotto ipotesi di equiprobabilità dei
comportamenti individuali la probabilità associata all’insieme delle n x n Tij
soggetta al vincolo dei totali generati e attratti di ogni zona.
La funzione da massimizzare è data da :
W = T! / ij Tij !
sottoposta ai vincoli
 j Tij = O i
 i Tij = D j
Tij
 0
Si dimostra (Wilson, 1970 e 1974) che se a questi vincoli si aggiunge il vincolo
aggiuntivo dato da una funzione di deterrenza totale del sistema, la massimizzazione
della funzione di entropia W conduce al classico modello gravitazionale bilanciato
visto nella sezione precedente.
L’approccio della massimizzazione dell’entropia si propone, pertanto, più che come un
modello vero e proprio come una procedura di stima matematica dei modelli
gravitazionali alternativa ai metodi tradizionali di bilanciamento bi o
multiproporzionale.
I modelli delle opportunità interposte.
Alla base di questi modelli sta l’idea che la scelta di una destinazione è legata non
tanto alla distanza quanto all’accessibilità relativa alle opportunità che ogni luogo offre
per soddisfare lo scopo per cui si viaggia.
9
Una maggiore distanza, in questo caso, può essere compensata da un maggior livello di
opportunità presente nella zona considerata rispetto a quanto esistente in zone più
vicine.
Questo tipo di approccio risale a Stouffer (1940) ma è stato sviluppato nell'impostazione
attualmente più impiegata da Schneider(1959).
In questi modelli i flussi Tij vengono stimati ripartendo il totale del flusso generato dalla
zona i in proporzione ad un termine dato dalla differenza tra la probabilità che un
generico individuo della zona i non sia soddisfatto dalle dotazioni esistenti nelle m-1
zone più vicine della zona j e la probabilità che lo stesso individuo non sia soddisfatto
da nessuna delle altre opportunità presenti nelle n-m zone più distanti della zona j.
Per illustrare meglio il criterio di ripartizione adottato si consideri la relazione (i,j) tra
una zona i e la zona di destinazione j e si assuma che la distanza tra i e j sia superiore a
quella esistente tra la stessa zona i ed le altre, per esempio, m-1 destinazioni.
In questo caso il viaggiatore che volesse spostarsi dalla zona i per soddisfare una
determinata esigenza avrebbe, pertanto, come alternativa alla zona j, m-1 zone più
vicine e la decisione relativa al luogo di destinazione dello spostamento verrà presa
valutando le opportunità che ciascuna destinazione offre.
Così procedendo, incrociando la dotazione di opportunità delle zone più vicine a quella
effettivamente scelta per effettuare lo spostamento con la dotazione di opportunità delle
zone ad essa più lontane si determinano, sulla base di una matrice nota di flussi Tij e
di un vettore delle opportunità presenti in ciascuna zona, le probabilità che un
individuo della zona i scelga come destinazione la zona j.
Benché interessanti questi modelli sono, tuttavia, poco utilizzarti sia perché la base
teorica è più complessa sia perché il loro trattamento pratico è più difficoltoso.
E’ stato dimostrato, inoltre, che è possibile derivare modelli di questo tipo adottando
l’approccio di massimizzazione dell’entropia (Wilson,1970).
2.1.3. 3^ fase: i modelli di ripartizione modale (modal split )
Le prime due fasi del processo di modellizzazione della domanda di trasporto tra zone
geografiche individuano per ogni relazione O-D il flusso di domanda senza
distinguere, però, le modalità di trasporto impiegate per effettuare lo spostamento.
A questa esigenza sopperiscono, nella terza fase del processo di modellizzazione, i
modelli di ripartizione modale.
I modelli di ripartizione modale rispecchiano la struttura logica dei modelli di scelta del
consumatore, pur operando a livello aggregato.
Due sono le classificazioni dei modelli di ripartizione modale più rilevanti : la prima
distingue i modelli di ripartizione a secondo che siano sviluppati congiuntamente ai
modelli di distribuzione (v. oltre i modelli diretti di domanda) o siano da essi
tecnicamente distinguibili.
Nel primo caso si stima il flusso degli spostamenti che si realizza per ciascun modo su
ogni O-D in un’unica soluzione; nel secondo caso ciò che viene stimato è la
ripartizione relativa fra modi del flusso totale senza individuarne l’entità assoluta.
La seconda classificazione riguarda, invce, la natura delle variabili introdotte per
spiegare le scelte modali.
La distinzione, in questo caso, è tra modelli di ripartizione modale per modi di trasporto
specifici e modelli di ripartizione modale “astratti”.
Nei primi le variabili esplicative introdotte fanno riferimento alle caratteristiche tecniche
e di servizio di ogni tipo di mezzo esistente, i secondi, ispirandosi alle teorie di
10
Lancaster (1966) , definiscono uno spazio delle caratteristiche che generalizza gli
attributi dei modi di trasporto specifici connessi alle decisioni di mobilità.
Il grande vantaggio dei modelli astratti sta nel fatto che si prestano ad essere applicati a
nuove modalità di trasporto senza procedere ad ulteriori specificazioni, dal momento
che questi possono essere definiti assegnando definiti valori alle caratteristiche comuni
ai vari modi.
Di seguito viene presentato un elenco dei fattori che maggiormente influenzano la scelta
modale tratto da Ortuzar e Willumsen (1995).
Si possono distinguere, in partiicolare, tre gruppi di fattori :
1o gruppo : caratteristiche connesse con il viaggiatore
- disponibilità o possesso di un’autovettura,
- possesso di patente di guida,
- struttura della famiglia di appartenenza (coppia giovane, con figli, pensionati, singles
etc.),
- reddito,
- caratteristiche del luogo di residenza.
2o gruppo : caratteristiche connesse con il viaggio
- lo scopo del viaggio,
- orario di effettuazione del viaggio.
3o gruppo : caratteristiche connesse al servizio di trasporto
Fattori quantitativi
- tempo di viaggio,
- costo monetario,
- disponibilità e costo del parcheggio.
Fattori qualitativi
- comfort ed accessibilità,
- affidabilità e regolarità del servizio,
- livello di sicurezza.
I modelli di scelta che si basano su dati zonali riguardanti il complesso della
popolazione si definiscono aggregati e sono noti come modelli di “modal split”
mentre quelli che utilizzano dati individuali o per famiglia si definiscono disaggregati e
sono noti come modelli di “modal choice” e vengono fatti rientrare più propriamente tra
i modelli comportamentali che verranno esposti nella sezione successiva.
I modelli di ripartizione modale si distinguono, inoltre, in modelli bimodali e in
modelli multimodali in relazione al numero dei modi di trasporto alternativi
considerati (due o più modi di trasporto).
Per entrambi i modelli, tuttavia, la struttura logica generale è la stessa anche se i
modelli disaggregati consentono di introdurre specificazioni nelle variabili di scelta più
accurate e specifiche rispetto ai modelli che operano sul dato aggregato dei viaggiatori.
In entrambi i casi, infatti, viene stimata la ripartizione modale dei viaggi : sotto forma
di proporzione dei viaggi effettuati con ciascun modo dalla popolazione, nel caso dei
modelli aggregati, o sotto forma di probabilità che un individuo scelga un dato modo
di trasporto per compiere lo spostamento tra la zona i e la zona j, dato un vettore di
attributi del viaggiatore e del sistema di trasporto, nel caso dei modelli disaggregati.
La forma funzionale che maggiormente viene utilizzata nei modelli di ripartizione è
quella del modello logit che , per i modelli aggregati assume la seguente espressione
:
P
h
ij
= T
h
ij
/ Tij
=
exp(- Ch ij)
---------------11
k = 1, 2, ... m
kexp(- Ckij)
avendo indicato con Ph ij la frazione dei viaggi tra la zona i e la zona j effettuati
con il modo h e con Chij una funzione composita delle caratteristiche connesse allo
spostamento con il modo di trasporto h tra la zona i e la zona j . L’indice k si riferisce
al generico modo di trasporto tra gli m modi alternativi considerati.
Il modello logit presenta importanti proprietà tra le quali,in particolare, con
riferimento al modello bimodale :
- la generazione di una curva ad S all’ampliarsi della differenza tra C1 e C2
ovvero del divario competitivo di un modo rispetto all’altro come per le curve empiriche
di diversione;
- a parità di caratteristiche la ripartizione dei viaggi tra i due modi avviene in parti
uguali (C1 =C2 );
- se le caratteristiche competitive del modo di trasporto 1 tendono ad essere nettamente
inferiori a quelle del modo di trasporto 2 alternativo i viaggiatori tendono a spostarsi
tutti su quest’ultimo nel qual caso P2ij tende ad 1.
Per quanto riguarda invece i modelli di ripartizione multimodale esistono tre tipologie
fondamentali di strutture :
- la struttura ad N-uscite (N-way structure) è la più semplice ed è molto utilizzata nei
modelli disaggregati ma assume che tutte le alternative hanno uguale peso e crea dei
problemi quando alcune opzioni sono più simili di altre come riportato per esempio da
Mayberry (1973);
- la struttura “del modo aggiunto” che introduce scelte binarie successive (confronto
successivo a due a due);
- la struttura gerarchica o nested o concatenata nelle quali le opzioni che sono molto
simili o correlate tra di loro sono trattate in una prima fase congiuntamente per poi
essere separate in una seconda fase di scelta .
Per una ampia e dettagliata illustrazione dei metodi di calibrazione di questi modelli si
può consultare il lavoro di Ben Akiva e Lermann(1985).
Per quanto riguarda i contributi italiani si possono consultare i lavori di (Reggiani e
Romanelli,1988) e (Bielli e Reggiani, 1991).
I modelli di domanda diretti.
Un approccio alternativo a quello tradizionale fin qui esposto è quello che si basa sulla
stima simultanea della generazione, della distribuzione dei viaggi e della scelta modale
ricorrendo a modelli sostanzialmente uniequazionali.
Questi modelli vengono definiti, proprio in quanto non si articolano per fasi
successive, con il termine di modelli diretti di domanda.
Esistono in pratica due tipologie di modelli diretti di domanda : i modelli diretti “puri” o
di tipo econometrico, che utilizzano una sola equazione per mettere in relazione la
domanda di trasporto con gli attributi del viaggio, del modo e del viaggiatore ed i
modelli quasi-diretti, che introducono forme di separazione tra la stima dei totali e
quella delle ripartizioni modali.
Le prime formulazione dei modelli diretti di domanda hanno utilizzato degli schemi
moltiplicativi come nel modello SARC di Kraft (1968) che stima la domanda per
modo k tra una zona i ed una zona j Tijk sulla base di una funzione moltiplicativa di
variabili socio-economiche e degli attributi del livello di servizio delle modalità di
trasporto per coppie di zone .
12
Lo schema moltiplicativo consente di considerare i coefficienti delle variabili in termini
di elasticità della domanda ai singoli fattori.Si veda a tal proposito Manheim (1979).
Rientrano in questa categoria i modelli noti come modelli di Quandt e Baumol,
McLynn (McLynn and Woronka, 1969) di Monsod (1969) e di Young (1969).
Una presentazione critica di questi modelli si ritrova nella rassegna di Del Viscovo e
Naddeo (1976).
Si tratta di modelli congiunti di distribuzione e di ripartizione modale che considerano i
due fenomeni della distribuzione dei flussi e della ripartizione modale strettamente
connessi ai fattori di impedenza che caratterizzano ciascuna O-D in termini di difficoltà
degli spostamenti da una determinata zona alle altre.
Questa difficoltà di spostamento tra una zona e l’altra può essere rappresentata dalla
distanza geografica tra le due zone o dai tempi di spostamento, considerati
singolarmente o anche insieme a tutte quelle caratteristiche di servizio e di costo del
sistema di trasporto che gravano sul viaggiatore che si sposta da una zona all’altra. In
quest’ultimo caso si parla generalmente di “costo generalizzato” dello spostamento.
Il modello di Quandt e Baumol è soprattutto noto in quanto impostato in modo da
configurare un modello di domanda “astratto”.
Quandt e Baumol applicano, infatti, la teoria del consumatore di Lancaster (1966)
secondo la quale ogni bene viene richiesto in quanto dotato di un insieme di
“caratteristiche”, in quantità e proporzioni diverse a secondo del bene considerato, che
producono “utilità” ,così che ogni bene viene valutato sulla base delle sue attitudini a
soddisfare i molteplici bisogni del consumatore.
Essi definiscono un modello di domanda considerando tipologie di modalità astratte,
ottenute combinando quantità differenti di “caratteristiche”.
Seguendo questo approccio ogni mezzo di trasporto viene scomposto in termini di
attributi generici che sono gli stessi per tutti i modi considerati ma che assumono valore
diverso da modo a modo fornendo, così, utilità differenti .
Il viaggiatore fa la sua scelta massimizzando questa utilità.
Nel corso degli anni il modello iniziale di Quandt e Baumol è stato sottoposto a varie
riformulazioni per risolvere problemi di coerenza e di attendibilità delle stime.
Una versione aggiornata del modello di Quandt e Baumol che consente di superare una
serie di problemi di coerenza del modello originario è stato proposto da Crow, Young e
Cooley (1973).
Questi stessi autori hanno sottoposto a verifica anche altri modelli congiunti di
distribuzione e di ripartizione tra i quali i modelli di McLynn e di Young.
La struttura moltiplicativa del modello di McLynn, in particolare, è scomponibile in una
parte che fornisce la distribuzione dei flussi sugli archi e da una seconda parte che
esprime la frazione di domanda assorbita dal modo di trasporto k sull’arco (i,j)
proporzionalmente al costo generalizzato relativo espresso in funzione delle t
caratteristiche di servizio del modo k..
2.1.4. 4^ fase: I modelli di assegnazione (route choice)
L’ultima fase del processo di modellizzazione dei flussi di domanda riguarda i modelli
di assegnazione o di scelta del percorso (route choice).
Questi ultimi modelli si propongono di attribuire i flussi stimati per ogni relazione
O-D e per ogni modo ai possibili “percorsi” che consentono di andare dalla zona
origine alla zona destinazione seguendo una logica di ottimizzazione in termini di tempi
o di costi generalizzati
13
I modelli di assegnazione dei flussi alla rete si basano su due componenti : un
processo ad albero per cercare l’ottimo percorso per ciascun spostamento interzonale ed
una procedura per allocare il volume dei viaggi interzonali per modo tra i percorsi
Si distingue il caso dei viaggiatori che usano la rete stradale da quelli che utilizzano
la rete di trasporto pubblico.
In questo ultimo caso, quando l’attenzione è posta sul viaggiatore, i modelli di
assegnazione alla rete del trasporto pubblico affrontano il problema della scelta di
quali linee di trasporto pubblico utilizzare per recarsi da un luogo ad un altro per
minimizzare i tempi ed i costi dello spostamento.
Gli obiettivi che i modelli di assegnazione si propongono di raggiungere possono essere
sintetizzati in due categorie (Ortuzar e Willumsen op.cit.) :
1a obiettivi primari
- ottenere misure aggregate dei flussi che circolano sulla rete;
- stimare i costi ed i tempi di spostamento tra una zona ed un’atra per un dato livello
della domanda;
- ottenere una stima dei flussi per ogni collegamento infrastrutturale.
2 a obiettivi secondari
- individuare le infrastrutture utilizzate per ciascuna O-D;
- analizzare quali O-D utilizzano una data infrastruttura;
- ottenere una stima dei flussi che transiteranno su un nuovo collegamento.
Gli input necessari per impostare un modello di assegnazione sono :
- una matrice di viaggi espressa in termini di numero di veicoli da mettere in
relazione con le relazioni velocità-flussi e capacità, fondamentali per definire il livello
di congestione e di servizio di una data infrastruttura; il riferimento temporale per questi
modelli dovrebbe distinguere le ore di punta da quelle di minore affollamento, quando si
è in presenza di fenomeni di congestionamento;
- una descrizione accurata della rete infrastrutturale che metta in evidenza, in
particolare, le curve flusso-velocità e flusso-capacità di ciascuna tratta ed i costi di
percorrenza di ciascun tratto;
- un set di principi o di regole di selezione del percorso.
Si assume, inoltre, che il viaggiatore si comporta razionalmente cercando di
minimizzare, anche con un percorso di apprendimento, il costo generalizzato dei suoi
spostamenti.
Una articolata rassegna dei modelli di assegnazione è contenuta in Ortuzar e
Williamsen (1995).
I modelli basati sul conteggio dei flussi di traffico.
I modelli fin qui presentati presuppongono la disponibilità di una matrice O-D degli
spostamenti.
E’ possibile, però, che la disponibilità informativa parta dal conteggio del traffico sugli
archi della rete per poi risalire ai flussi sulle relazioni O-D.
In questo caso si tratterebbe di “assegnare” il traffico rilevato sulla rete ad una matrice
di origini e destinazioni.
Per poter utilizzare i dati di traffico nell’ambito della modellistica a quattro stadi
presentata è necessario, tuttavia, introdurre metodi che consentano di ricostruire la
matrice O-D che ha originato i flussi di traffico osservati.
I modelli che affrontano questo problema si definiscono modelli di traffico (traffic
counts-based).
14
Così mentre i modelli di assegnazione trasformano una matrice O-D in una matrice di
flussi sugli archi della rete infrastrutturale, i modelli traffic counts- based cercano di
stimare una matrice O-D partendo dall’osservazione dei flussi di traffico rilevati per
ogni arco o cercano di inserire direttamente nei modelli di domanda funzioni basate
sui flussi di traffico in modo da fornire una base alternativa per la calibrazione dei
modelli di domanda.
Il risultato al quale si perviene, come tra l’altro per i modelli di assegnazione, dipende
dai criteri e dalle assunzioni introdotte per restringere il campo delle possibili
soluzioni in quanto in generale una matrice di traffico non consente di individuare
univocamente la matrice O-D da cui è derivata.
Per una presentazione delle tecniche di stima di matrici O-D e di costruzione di
modelli che combinano i dati di traffico con i modelli di domanda di tipo
gravitazionale o di massima entropia o di opportunità si possono consultare i lavori di
Robillard(1975), di Willumsen (1978) e (1981) e di Tamin e Willumsen (1989).
2.2.
I modelli di domanda comportamentali o di utilità casuali.
Quello che differenzia questa categoria di modelli dai modelli sequenziali o di
domanda diretti è la diversa tipologia di dati che viene utilizzata per rappresentare la
domanda di trasporto.
I modelli comportamentali assumono come unità di osservazione e di analisi gli
individui o le famiglie piuttosto che i flussi che si realizzano tra una zona ed un’altra.
Cambiando il punto di vista da cui si affronta l’analisi della domanda di trasporto
cambia, di conseguenza, il riferimento teorico
Mentre nei modelli a quattro stadi si studiano i vari sottomodelli in un contesto di
analisi cross-section, in cui sono le variazioni osservate tra O-D a finire sintetizzate
nelle stime dei parametri assumendo implicitamente la trasferibilità dallo spazio al
tempo della variabilità osservata (ipotesi questa che quasi mai trova, però, in letteratura,
una adeguata verifica empirica), nei modelli comportamentali l’attenzione viene posta,
invece, sul processo di scelta che ciascun individuo effettua nel tentativo di
massimizzare i propri benefici netti.
Questi modelli si propongono di applicare la teoria delle scelte discrete ai problemi di
scelta delle destinazioni e/o delle modalità esplicitando il processo decisionale che
sottende la scelta tra un set di alternative.
Essi differiscono dai modelli aggregati presentati nel paragrafo precedente in quanto si
basano su scelte osservate fatte da viaggiatori individuali.
In generale, in questa categoria di modelli si assume che la probabilità che un
individuo scelga una data opzione è una funzione delle sue caratteristiche
socioeconomiche e dell’attrattività / desiderabilità relativa dell’opzione rispetto alle
opzioni alternative.
Per rappresentare l’attrattività di una opzione i modelli comportamentali introducono il
concetto di “utilità”, ovvero in termini pratici ciò che un individuo tenta di
massimizzare per soddisfare i suoi bisogni.
In questi modelli l’utilità che deriva ad un individuo nello scegliere un’opzione k tra le n
possibili viene espressa sotto forma di probabilità.
I modelli disaggregati o comportamentali presentano rispetto ai modelli aggregati alcuni
importanti vantaggi :
1) essendo basati sull’analisi del comportamento individuale si possono ritenere più
stabili nel tempo e nello spazio;
15
2) possono essere costruiti utilizzando dati più facilmente reperibili dal momento che
ogni osservazione corrisponde ad ogni scelta individuale mentre nei modelli aggregati
ogni osservazione si basa su diverse osservazioni individuali.
L’uso di dati individuali permette di sfruttare una maggiore variabilità nelle
osservazioni rispetto a quanto si può avere dalla ripartizione zonale del territorio e
consente, inoltre, di inserire una gamma più ampia di variabili esplicative (sociali,
comportamentali, economiche etc.) nelle funzioni di scelta e di costruire segmentazioni
più dettagliate dei viaggiatori.
3) i modelli disaggregati sono modelli probabilistici e questo consente di trasferire
tutta l’architettura del calcolo probabilistico all’interno della procedura di stima;
4) i coefficienti delle variabili esplicative hanno una diretta interpretazione di utilità
marginali dirette (riflettono l’importanza relativa di ciascun attributo) dal momento che
la funzione di utilità consente di combinare in modo più agevole e completo i diversi
attributi contrariamente a quanto avviene per le funzioni di costo generalizzato dei
modelli aggregati.
La base teorica di questi modelli è la teoria delle utilità casuali (Domencich e
McFadden, 1975) che si fonda sui seguenti postulati :
1) ogni individuo agisce razionalmente, è perfettamente informato e persegue la
massimizzazione della propria personale utilità soggetto a vincoli sociali, economici,
legali e fisici;
2) ogni individuo si confronta con un set discreto di alternative di scelta alla quale
sono associati un insieme di attributi;
3) ad ogni opzione viene associata un’utilita netta per l’individuo j-mo che si compone
di una parte sistematica che è funzione degli attributi misurabili dell’opzione j-ma e di
una parte casuale che riflette le particolarità individuali o quelle variabili non osservate
o osservabili dal ricercatore o, in fase di formalizzazione, gli errori di valutazione
commessi;
4) l’individuo dato il suo set di alternative alle quali associa un valore di utilità sceglie
quell’opzione che presenta la massima utilità;
5) la massimizzazione di una funzione di utilità che non è deterministica ma casuale o
stocastica implica che si costruisca una funzione di scelta sulle probabilità piuttosto
che sulle determinazioni introducendo ipotesi distribuzionali sulla componente casuale
dell’utilità.
Se si assume che la componente casuale è distribuita come una funzione di tipo Gumbel
si ottiene il più diffuso modello di scelta discreto noto come modello logit.
Se si assume, invece, che la componente casuale segue una distribuzione normale si
ottengono i modelli di scelta definiti come modelli probit.
E’ proprio la specificazione probabilistica che differenzia i modelli comportamentali o
di scelta discreta dai modelli visti in precedenza.
Alla base di questa modellizzazione sta l’artificio logico-matematico di considerare le
utilità associate a ciascuna alternativa non più deterministiche ma stocastiche , ossia
con determinazioni variabili per ogni dato set di attributi, in ragione dell’esistenza di
una componete casuale non prevedibile che ingloba in un tutt’uno errori di misurazioni,
esclusioni di variabili poco influenti o non osservabili o approssimazioni di altre
variabili che producono effetti non facilmente quantificabili.
Le prime applicazioni dei modelli di utilità casuali o comportamentali sono stati
applicati a problemi di scelta binaria, cioè a due sole alternative, delle modalità di
trasporto con l’utilizzo di modelli logit o probit binari; successivamente sono stati
sviluppati modelli di scelta modale con più di due alternative (logit multinomiale) o
tali da trattare oltre alle scelte modali anche problemi connessi alla scelta della
16
destinazione o alla frequenza dei viaggi (modelli per scelte multidimensionali noti come
modelli logit congiunto e modelli nested logit).
Ampie e dettagliate illustrazioni di questi modelli si trovano nei lavori base di
Ben-Akiva e Lermann (1985) e di Domencich e McFadden (1975).
Di seguito viene illustrata la struttura del modello logit binario per dare un esempio di
come sulla base della teoria delle utilità casuali si possa modellizzare una funzione di
stima.
Le utilità associate alle due sole alternative 1 e 2 sulla base di quanto detto al punto
3) possono essere espresse nel modo seguente :
U1 = V1 + e1
U2 = V2 + e2
avendo indicato con V1 e V2 la componente deterministica e con e1 e e2 la componente
casuale, rispettivamente per le alternative di scelta 1 e 2 .
L’alternativa U1 sarà scelta ogni qualvolta risulta
U1  U2 .
Questa condizione nel caso di variabili casuali si traduce in una probabilità di scelta data
da:
P(1)
= Probabilità (V1 + e1 
V2 + e2)
=
Pr (e2 - e1  V1 - V2
)
da cui risulta che la probabilità di scelta dell’alternativa 1 non dipende dal valore
assoluto delle componenti sistematiche ma dalle loro differenze e, quindi sono definibili
a meno di una qualunque costante.
Questo consente di trattare le utilità come utilità ordinali e di attribuire
convenzionalmente un valore medio pari a zero alle componenti casuali.
Per esplicitare questa funzione di probabilità è necessario introdurre una ipotesi
distribuzionale sulla differenza tra componenti casuali.
Se si assume per le componenti casuali una distribuzione normale il modello che si
deriva prende nome di modello probit.
Questo modello presenta, però, lo svantaggio di non essere facilmente trattabile dal
punto di vista analitico, cosicché, in pratica, si preferisce introdurre, come
approssimazione della normale, la distribuzione logistica ottenendo un modello logit
analogo ai modelli modal split illustrati in precedenza, e in cui risulta :
P(1)
exp(V1)
= ------------------------exp(V1) + exp(V2)
Il maggior svantaggio di questa categoria di modelli è che possono essere applicati solo
quando le alternative di scelta risultano sufficientemente distinte (incorrelate) in
quanto le probabilità di scelta stimate risultano incoerenti quando tra le alternative
considerate due di esse risultano presentare gli stessi attributi (indipendenza dalle
alternative irrilevanti).
Il problema viene risolto passando a considerare modelli come il nested logit che
costruiscono una struttura di scelta gerarchica delle alternative.
I modelli vengono stimati applicando tecniche delle preferenze rivelate (revealed
preference) attraverso il quale è possibile risalire dall’ordinamento delle preferenze
osservate alle funzioni di utilità che hanno sotteso la scelta o, in alternativa, tecniche
17
basate sulle preferenze dichiarate (stated preference), ovvero sugli ordinamenti o i
punteggi assegnati dagli individui a combinazioni differenti di caratteristiche
considerate rilevanti per la scelta.
Per una presentazione dei vantaggi e degli svantaggi di ciascun metodo si possono
consultare Pearmain et al. (1991) , Wardman (1988) e Ortuzar e Willumsen
(1995).
I modelli di utilità casuali consentono , una volta stimati i parametri associati agli
attributi connessi a ciascuna alternativa, di formulare delle previsioni sul
comportamento individuale.
Se si vogliono ottenere, pertanto, delle stime a livello aggregato è necessario introdurre
dei criteri di aggregazione delle stime individuali attraverso le quali ricostruire il
comportamento di scelta dell’intera popolazione considerata.
Per far questo, solitamente, si introducono ipotesi sulla distribuzione probabilistica
degli attributi sulla popolazione in modo da poter estendere le probabilità di scelta
stimate per gruppi omogenei di individui avente le stesse caratteristiche.
2.3.
L’approccio di analisi activity-based
I modelli aggregati e quelli disaggregati esposti nei paragrafi precedenti trattano la
domanda come domanda derivata, in modo implicito, senza, però, approfondire il
legame tra attività svolta e spostamento nello spazio e nel tempo.
Anche se il trattamento di dati a livello di scelte individuali consente di trattare in modo
più approfondito i fattori esplicativi della mobilità resta, però, comune il fatto di
spiegare i flussi di traffico ponendo in relazione gli spostamenti degli individui o le loro
quote con le caratteristiche socio-demografiche dei viaggiatori, gli attributi del sistema
di trasporto e le caratteristiche di utilizzo del territorio.
Così facendo viene semplificato il fenomeno della mobilità ma non vengono
completamente esplicitate i nessi tra domanda di trasporto e domanda di altre attività.
A partire dagli anni ‘80 si è sviluppato un nuovo filone di analisi della domanda di
trasporto che si preoccupa , proprio, di recuperare il pieno significato di “domanda
derivata” attribuito alla domanda di trasporto.
Si tratta dell’approccio denominato human activity- based che , attualmente, più che
nuove tecniche modellistiche è andato sviluppando un quadro teorico interpretativo del
fenomeno della mobilità enfatizzando le interazioni individuo-famiglia e attività da
svolgere - mobilità .
La fondamentale particolarità dei modelli che si ispirano all’approccio “Human
Activity” sta nell’attenzione che essi pongono al contesto di attività, nelle quali sono
calati i comportamenti di mobilità degli individui , cercando di mettere in relazione le
scelte di mobilità con i bisogni di chi li effettua e con il sistema relazionale in cui il
singolo è inserito.
E’ necessario, precisare, che su questo fronte si sta avviando la ricerca e la
sperimentazione a livello accademico e che ancora limitati risultano le applicazioni
pratiche, in considerazione, anche e soprattutto, del fatto che l’analisi del fenomeno
mobilità viene resa più completa ma anche più complicata.
L’approccio HAB se fornisce, infatti, da una parte il framework per sviluppare una
analisi della mobilità più vicina alla realtà, dall’altra rende il fenomeno più complesso
e, questo non facilita la costruzione di schemi formali di agevole applicabilità.
D’altra parte, però, il fatto che l’approccio si è andato sviluppando in forma molto
generale ha facilitato l’estensione teorica a molteplici contesti di analisi.
18
In particolare, sono stati sviluppati gli studi relativi al modo in cui gli individui
ripartiscono il tempo a disposizione fra differenti attività: secondo questa impostazione i
comportamenti di mobilità possono essere spiegati valutando il modo in cui gli
individui soddisfano i loro bisogni scegliendo quali attività svolgere, dove, quando e
come nell’ambito di un sistemi di vincoli predeterminati.
Elementi caratteristici di questo approccio sono, come evidenziati da Fischer (1994):
1) il viaggio deve essere considerato nell’ambito della sequenza e dell’intreccio delle
attività che gli individui svolgono durante un certo periodo di tempo in vari punti dello
spazio;
2) le attività svolte sono finalizzate a soddisfare bisogni elementari (p.es. dormire,
mangiare) doveri istituzionali (lavoro, scuola) obblighi familiari (cura dei bambini,
shopping) e desideri personali (attività specifiche di svago);
3) c’è tutta una serie di vincoli e di legami che condizionano quando, dove, per quanto
tempo, e con chi svolgere una determinata attività;
4) il processo decisionale assume rilievo a livello di famiglia dal momento che deve
tener conto dei gradi di parentela e delle interazioni tra i membri della famiglia;
5) il viaggio viene esplicitamente trattato come domanda derivata; esso viene
rappresentato come una sorta di meccanismo per spostarsi nello spazio attraverso il
quale le persone si muovono per prendere parte ad una successione di altre attività in
differenti punti dello spazio e del tempo : un determinato spostamento risulta, pertanto,
il risultato della partecipazione ad una determinata attività o di un insieme di attività;
6) le attività giornalmente osservate e lo schema dei viaggi effettuati sono visti come il
risultato di un processo , spesso di routine o di programmazione sistematica, in cui
attività obbligatorie e discrezionali sono svolte in un determinato periodo di tempo, date
le percezioni delle opportunità
e un set di vincoli dovuti a fattori fisiologici,
istituzionali, norme , regole della società e della famiglia.
Il contributo metodologico che è scaturito da questo approccio per quanto riguarda la
modellizzazione della domanda di trasporto ha seguito due direzioni:
- la prima, più proficua, ha spinto verso un approfondimento ed una ridefinizione più
accurata delle specificazioni dei modelli di scelta basati sulla funzione di utilità casuale;
- la seconda, attualmente meno sviluppata, ha indirizzato verso la costruzione di modelli
specificatamente activity-based, modelli che mirano a fornire una rappresentazione di
come ciascun individuo pianifica e ripartisce nel corso di un determinato periodo di
tempo le proprie attività.
Per una presentazione dei contenuti dell’approccio activity-based e per una rassegna
dei principali contributi scaturiti da questo filone di ricerca si può far riferimento a
Damm (1983) , Jones(1990) Bovy e Stern (1990) e a Axhausen et al. (1991).
2.4. Strategie semplificate di modellizzazione della domanda di trasporto
I modelli aggregati e quelli disaggregati richiedono una notevole mole di dati ed
informazioni non sempre facilmente reperibili. Inoltre le varie ipotesi che sottendono la
modernizzazione non sempre risultano di agevole interpretazione.
Parallelamente alla corrente di ricerca che si è sviluppata per migliorare i metodi di
raccolta dei dati per ridurre i costi , ed avere maggiore accuratezza e realismo nella
rappresentazione del fenomeno si è andata sviluppando anche una linea di ricerca
tendente a formulare modelli di domanda semplificati costruibili in minor tempo e con
minori costi e, soprattutto, più agevolmente aggiornabili anche se, per loro natura, meno
dettagliati e sofisticati.
19
In effetti più che di una vera e propria modellistica si è trattato di individuare strategie di
analisi della domanda che consentissero di diminuire i costi ed i tempi di ricerca dei dati
e di analisi attraverso una combinazione di ipotesi più generali ed estensive ed un uso
più intenso dei dati disponibili.
Vengono fatti rientrare in questa categoria i metodi di programmazione sketch (skecth
planning methods) ed i modelli di domanda incrementali.
I modelli di “sketch planning” sono stati introdotti come strumenti per previsioni di
lungo periodo da OECD(1974) e Sosslau et al.(1978).
Essi si propongono di estendere stime ottenute in altri contesti spaziali o temporali
introducendo ipotesi di regolarità del comportamento umano o correggendo, all’interno
dei singoli modelli, le stime sulla base di elementi strutturali correlati con i parametri
noti.
Le ipotesi di trasferibilità di parametri medi rende, tuttavia, questa tecnica di analisi
adatta, più che ad ottenere stime definitive, ad effettuare valutazioni di prima
approssimazione o ad individuare possibili set di alternative.
Un esempio è dato dal modello UMOT (Unified Model Of Travel) di Zahavi (1979)
che considera estensibili nello spazio e nel tempo le seguenti relazioni :
- tempo medio di viaggio al giorno per viaggiatore;
- la spesa media per viaggio al giorno in funzione di reddito e possesso di automobile;
- il numero medio di viaggiatori per famiglia in funzione delle dimensioni della famiglia
e del numero;
di auto possedute;
- il costo unitario per possedere ed utilizzare un’autovettura;
- la relazione flusso-velocità per tipo di strada;
- la distanza limite che giustifica il possesso di una macchina.
Se si riescono a stabilire queste relazioni per un contesto spaziale e temporale è
possibile combinare i parametri “standard” con la struttura dell’area studiata con
riferimento alle seguenti variabili :
- il numero delle famiglie e la loro dimensione;
- la distribuzione delle famiglie per reddito;
- il costo unitario di viaggio per modo;
- la lunghezza della rete stradale.
Dalla combinazione di questi due insiemi di informazioni si riescono ad ottenere :
- il numero di auto possedute dalle famiglie per gruppo di reddito;
- la scelta aggregata modale per l’intera zona;
- i tempi e le velocità medie di viaggio;
- la spesa totale per spostarsi.
I modelli di domanda incrementali si propongono di costruire, invece, relazioni tra la
variazione degli attributi e le variazione dei flussi o delle quote ad essi connessi.
Appartengono a questa categoria i modelli “incremental elasticity” ed i modelli
“pivot-point”.
I modelli di elasticità si basano sul calcolo dell’elasticità della domanda rispetto a
variabili che rappresentano il livello di servizio o altri particolari attributi del modo .
L’applicazione dei valori di elasticità, stimati utilizzando vari metodi (analisi
cross-section, di serie storiche, o di panel o confrontando una data situazione
prima e dopo una variazione), richiede che si possa considerare costante nel tempo o
nello spazio il valore di elasticità trovato e che le altre variabili non si modifichino.
A tal proposito si possono consultare i lavori di Oum (1989) , Oum et al. (1992) e
Goodwin (1992).
20
I modelli pivot-point sono stati sviluppati, invece, per stimare la domanda futura sulla
base dei livelli noti e dei cambiamenti nelle variabili di livello di servizio per ciascuna
alternativa considerata.
Partendo dai valori noti si stimano le variazioni che si prevedono conoscendo solo le
variazioni nelle variabili: i dati di riferimento sono stime delle variazioni delle variabili
o dei loro valori assoluti, stime queste che sono più facili da ricavare.
La struttura pivot-point può essere applicata sia ai modelli gravitazionali che a quelli di
ripartizione modale. Un’applicazione di questo tipo di modello si può trovare in
Abraham, H. et al. (1992).
Capitolo 3.
La domanda di trasporto delle merci
Maurizio Caruso Frezza, Ferrovie dello Stato
3.1. Aspetti generali
La maggiore complessità che sottende l’analisi della domanda di trasporto delle merci e
che rende più difficile la corretta rappresentazione dei traffici che si realizzano
all’interno di una determinata area è innanzitutto attribuibile alla pluralità dei soggetti
che intervengono nelle diverse fasi del processo decisionale che porta a scegliere se
effettuare lo spostamento, quando effettuarlo, con quale mezzo e su quale percorso.
La definizione dei soggetti di scelta e delle relazioni che intercorrono tra di essi è
fondamentale per mettere a fuoco il particolare punto di vista da cui si esplicita l’analisi
del trasporto di una determinata merce e, di conseguenza, il particolare modello di
analisi che viene di volta in volta proposto .
A ciò concorrono, inoltre, tutte quelle trasformazioni del sistema produttivo (il
just-in-time o l’outsourcing per esempio) che spingono verso la richiesta da parte delle
imprese di servizi di logistica integrata piuttosto che semplicemente di servizi di
trasporto, della gestione completa door-to-door dello spostamento della merce piuttosto
che dei singoli servizi dei vettori.
Nel trasporto delle merci, infatti, interagiscono tre tipologie di operatori:
- le aziende di produzione che spediscono beni per immetterli sul mercato o li ricevono
per utilizzarli nel processo produttivo;
- le aziende di spedizione, intendendo con questo termine sia l’azienda specializzata (gli
spedizionieri) che il reparto specifico di una azienda di produzione del bene: queste
realizzano il collegamento spaziale tra luoghi di produzione e luoghi di consumo e
organizzano le spedizioni e le scelte modali;
- i vettori ai quali spetta l’effettuazione del trasporto vero e proprio del bene in risposta
alla domanda di trasporto “diretta” che proviene dalle aziende di spedizione.
Queste tre figure di operatori possono coincidere come essere distinte ma quello che
interessa nella modellizzazione della domanda di trasporto merci è la definizione dei
ruoli che ciascuna categoria di operatore svolge, delle loro interazione e degli ambiti di
manovra di ciascuno di essi.
Le maggiori difficoltà che si incontrano nella modellizzazione del trasporto merci è,
inoltre, riconducibile anche alla molteplicità dei fattori che influiscono nella definizione
dell’insieme di movimenti di merci che intervengono in una determinata area
territoriale.
Alla pluralità dei soggetti economici coinvolti nel processo di movimentazione delle
merci si aggiungono, inoltre altri fattori che rendono più difficoltosa l’analisi del
21
trasporto merci rispetto a quello viaggiatori, e tra di essi in particolare, come evidenziato
in Ortuzar e Willumsen (1995):
- fattori localizzativi delle imprese: la localizzazione delle aziende che producono
materie prime o semilavorati rispetto alla localizzazione delle aziende che utilizzano
questi input nel processo produttivo; questo perché nel trasporto merci è molto forte la
componente di domanda derivata connessa ai processi industriali di produzione;
- fattori merceologici: l’elevato numero e varietà di beni utilizzati come input e di beni
prodotti che porta a dover segmentare notevolmente l’analisi del trasporto merci;
- fattori tecnici: la grande varietà di veicoli di trasporto che devono essere considerati
per trasportare merci di dimensioni, caratteristiche e qualità differente (prodotti grezzi,
fragili, deperibili p.es.);
- fattori operativi delle imprese: la stretta connessione con le caratteristiche operative
delle aziende (la sua dimensione, la politica distributiva, la dispersione territoriale per.
es.) che influiscono sulle strategie di spedizione o di scelta modale;
- fattori localizzativi della popolazione: la distribuzione territoriale e la densità
demografica può influire sulle strategie di distribuzione dei prodotti finali;
- fattori dinamici: variazioni stagionali della domanda e cambiamento nelle preferenze
dei consumatori possono determinare cambiamenti nella struttura della movimentazione
merci;
- fattori di prezzo: i prezzi del trasporto merci sono meno visibili e definitivi di quelli
per il trasporto viaggiatori in quanto spesso sono il risultato di negoziazioni e di
accordi contrattuali flessibili in relazione al mutare delle circostanze in cui avviene o
deve essere realizzato un dato trasporto (politica di sconti in relazione alla lunghezza del
contratto, dei volumi spediti, accessibilità ai terminali etc.).
L’uso di operazioni in conto proprio, inoltre, soprattutto per il trasporto su strada,
rende difficile individuare il costo globale delle operazioni di trasporto effettuate da una
azienda dal momento che non sempre le rilevazioni sui costi aziendali esplicitano i
costi del trasporto in conto proprio.
Tutti questi fattori devono essere presi in considerazione per esplicitare sia in chiave
descrittiva che esplicativa il fenomeno della mobilità delle merci ed obbliga
necessariamente ad una complessa procedura di disaggregazione della domanda e
dell’offerta.
Come per i modelli di domanda viaggiatori, in letteratura sono stati proposte vari
criteri di classificazione.
Nel prosieguo si farà riferimento alla distinzione tra modelli di domanda aggregati o
descrittivi e modelli di domanda comportamentali o disaggregati o di scelta assunta
come sintesi generale delle varie classificazioni proposte dai vari autori.
I modelli aggregati riproducono la domanda di trasporto in funzione delle
caratteristiche di utilizzazione e delle strutture economiche del territorio
I modelli di scelta si propongono, invece, di riprodurre il processo di scelta di una
azienda di spedizione o di più aziende omogenee in quanto a tecniche di produzione
3.2.
I modelli di domanda di trasporto merci aggregati o descrittivi
I modelli di domanda aggregati utilizzano grandezze che descrivono in forma
macroeconomica i flussi di domanda di trasporto merci che si svolgono su un certo
territorio, regionale o nazionale, considerato globalmente (modelli macro) o diviso in
varie zone che individuano, come per i modelli trip-based dei viaggiatori, zone di
origine o di destinazione delle merci (modelli spaziali).
22
La caratteristica saliente di questi modelli è che, pur basandosi in ultima analisi sul
comportamento individuale delle aziende, non tentano di esplicitare in dettaglio il
processo decisionale che sottende il trasporto delle merci analizzato.
Vengono soprattutto utilizzati quando occorre effettuare analisi di previsione dei flussi
merci su larga scala (modelli macro) da utilizzare, eventualmente, come vincolo di
controllo di modelli spaziali stimati con altre tecniche.
Per una rassegna sui modelli merci si possono vedere, per esempio, i lavori di
Eastmann (1980) di Friesz et al. (1983) e di Wilson (1970).
I modelli a quattro stadi.
Rientrano in questa categoria i modelli che seguono l’approccio tradizionale a quattro
stadi sviluppato originariamente per il trasporto di viaggiatori e sviluppato
successivamente per analizzare anche il trasporto merci (Harker (1985).
I modelli di attrazione e generazione considerano flussi di merci relativi sempre a
matrici O-D.
Per un’applicazione italiana delle tecniche di stima delle matrici dei flussi merci
stradali si veda, a tal proposito, il lavoro CNR-PFT1-Ecoter (1984).
Le tecniche utilizzate per questa categoria di modelli si basano su analisi di regressioni
multiple in cui si inseriscono variabili esprimenti la capacità di attrazione o di
generazione di una determinata zona o si applicano stime del fattore di crescita su
matrici di flussi note per un dato riferimento temporale quando lo scopo dell’analisi è la
previsione.
Per i modelli di distribuzione le tecniche più utilizzate si rifanno ai modelli di tipo
gravitazionale e alle tecniche di programmazione lineare.
I primi, analogamente a quanto viene effettuato per i flussi di viaggiatori, mettono in
relazione il flusso merci che si verifica tra un’origine i ed una destinazione j con la
capacità di generazione dell’origine, la capacità di attrazione delle destinazioni
(popolazione, popolazione attiva, addetti per tipo di attività, struttura produttiva per
esempio) ed una funzione di impedenza rappresentata dalla distanza o dal costo di
trasporto generalizzato per muovere le merci tra i e j calcolato come una funzione in
particolare del costo monetario del trasporto, del tempo di percorrenza door-to-door, dei
tempi intercorrenti tra la richiesta di effettuazione della spedizione e la sua
effettuazione, la sicurezza del carico, la variabilità dei tempi di consegna.
Per quanto riguarda le tecniche di programmazione lineare esse si prefiggono di
individuare la distribuzione dei flussi che minimizza i costi secondo la relazione:
i j Tij Cij = min ij C
soggetto ai vincoli
i Tij = Dj
j Tij = Oi
avendo indicato con Tij i flussi di merci tra le zone i e j , con Cij il costo unitario del
trasporto sulla relazione (i - j) , con C il costo totale e con Oi e Dj il totale dei flussi che
hanno destinazione nella zona j o che sono generati dalla zona i.
Queste tecniche assumono rilievo se applicate a casi in cui:
- il settore industriale considerato è fortemente concentrato così da considerare pochi
centri decisionali;
- i costi di trasporto incidono molto rispetto al valore del bene trasportato;
- ci sono limitati punti in cui si concentra la domanda.
23
Tipico caso di applicazione di questa tecnica è legata al problema di una azienda che
deve organizzare la produzione tenendo conto anche dei problemi distributivi.
I modelli di ripartizione modale, invece, assumono come unità di osservazione una
quota di una o più categorie merceologiche aggregate a livello nazionale o regionale con
riferimento implicito alla decisioni di scelta del vettore effettuata dalle aziende di
spedizione.
I modelli più utilizzati si rifanno alla specificazione di tipo logit multinomiale basate
sulla valutazione del costo generalizzato di ciascun modo (combinazione degli elementi
che definiscono il livello di servizio offerto dal modo quali i tempi di viaggio
door-to-door, i costi monetari, l’affidabilità del trasporto, la variabilità dei tempi di
fornitura dei vari servizi etc.).
Per quanto riguarda, invece, i modelli di assegnazione il punto di vista è quello del
vettore che deve decidere quale percorso scegliere per trasportare una data merce tra una
origine i ed una destinazione j.
La scelta del percorso è influenzata dal tipo di merce da trasportare, dal tipo di mezzo
impiegato, dai vincoli strutturali della rete, dalle regolamentazioni relative alla
circolazione vigenti. Vengono utilizzati metodi di assegnazione stocastici.
Altri modelli descrittivi: i modelli input/output multiregionali.
Un tipico modello descrittivo è quello che si basa sull’utilizzazione di matrici
input/output multiregionali .
E’ possibile tramite le tavole input/output stabilire la quantità o il valore dei beni
richiesti da una generica branca produttiva J localizzata in una data regione K a tutti
gli altri settori industriali localizzati nella stessa regione K o nelle altre regioni per
fornire la quantità di beni da essa prodotta.
In questo modo è possibile ricostruire una mappa dei flussi di trasporto necessari per
trasferire una data merce dal luogo di produzione al luogo di consumo.
La struttura dei flussi intersettoriali ed interregionali che si desume da una tavola
input/outputI multiregionale può essere trasformata in modelli di analisi del sistema
economico che consentono di collegare la domanda finale per consumi, investimenti
ed esportazioni di ciascuna branca ai livelli produttivi del resto dell’economia
(modelli domanda finale -produzione) o la struttura dei costi di ciascuna branca con i
livelli dei prezzi di tutti gli altri settori (modelli costi primari-prezzi).
E’ evidente che se le branche considerate sono quelle che producono servizi di trasporto
i modelli domanda-produzione e costi-prezzi consentono di valutare, da una parte,
la domanda di servizi di trasporto ( per merci e per passeggeri) che si associa ad un
dato livello e ad una data composizione settoriale e regionale della domanda finale
degli altri settori e viceversa e, dall’altra, l’effetto di variazioni dei prezzi dei servizi
di trasporto sui prezzi degli altri beni e viceversa.
La costruzione di tavole input/output pone, tuttavia, notevoli problemi connessi
soprattutto al fatto che la costruzione di una tavola intersettoriale ed interregionale
richiede una ampia disponibilità di dati difficilmente reperibili in termini di tempi e di
costi.
Rispetto ai modelli di domanda descrittivi presentati nelle sezioni precedenti i modelli
input/output si differenziano per il fatto che mentre i primi si propongono di esplicitare i
fattori che determinano la generazione, la distribuzione spaziale e la ripartizione modale
della domanda di trasporto i secondi collegano una data struttura di generazione,
distribuzione e ripartizione modale della domanda di trasporto (quella che si osserva per
24
il periodo di costruzione della tavola input/output) al funzionamento del sistema
economico.
E’ per questo che i modelli input/output si configurano più che come modelli di analisi
della domanda di trasporto come modelli per effettuare analisi di impatto e simulazioni
di politiche tendenti a modificare i pattern intersettoriali e localizzativi delle attività
di produzione e di consumo.
Per questo stesso motivo, affinché si possa estrarre dai modelli input/output la
massima capacità informativa, è necessario integrare lo schema descrittivo delle
relazioni intersettoriali e interregionali fornito da una tavola input/output con modelli
di analisi in grado di stimare dall’esterno il cambiamento della relazione settori di
trasporto-resto dell’economia dal punto di vista tecnologico, economico e spaziale.
Per un’illustrazione della modellistica input/output applicata all’analisi della
domanda di trasporto si possono consultare Leontief e Costa (1996) e Costa
(1987)..
3.3. I modelli disaggregati o comportamentali
I modelli disaggregati o comportamentali si propongono di esplicitare i fattori che
condizionano il processo decisionale delle aziende di trasporto in interazione con i
vettori. Si tratta di modelli più accurati e più realistici ma necessitano di una gran mole
di dati. Trovano impiego nei casi in cui si devono analizzare segmenti di analisi di
trasporto specifici e si hanno campioni di dati limitati ma molto accurati.
Rispetto ai modelli aggregati o descrittivi i modelli disaggregati o comportamentali
presentano il vantaggio di basarsi su una teoria del comportamento che riflette il
processo di scelta connesso al trasporto e di consentire una maggiore comprensione del
grado di competizione tra i vari modi di trasporto per ciascuna categoria merceologica
attraverso una maggiore e più approfondita analisi del processo decisionale dell’azienda
di spedizione o dell’azienda di trasporto.
Lo svantaggio di questi modelli è che perdono di vista la dimensione complessiva dei
flussi di trasporto che si realizzano in una data area territoriale e, quindi, la complessità
del fenomeno in un unico modello.
In questa categoria vengono inclusi i modelli neoclassici di domanda , i modelli
comportamentali ed i modelli di gestione di magazzino.
I modelli neoclassici di domanda.
Nei modelli neoclassici di domanda le attività di trasporto vengono fatte rientrare tra i
fattori di produzione e trattati, quindi, all’interno di funzioni di costo che vengono
minimizzate al variare delle quantità da acquistare e dei prezzi.
Come per tutte le funzioni di costo si possono costruire a livello aggregato (per le
aziende di una determinata area considerando i risultati come risultati in media) o per
gruppi o per singola azienda di spedizione (in questo caso si ottengono funzioni di scelta
più vicine alla realtà).
Per rendere operativo questo approccio è necessario specificare formalmente una
funzione di costo
C = C ( Y, q, w, Pt)
in cui C sono i costi totali dell’azienda, Y la produzione, q= il vettore delle
caratteristiche dei prodotti da spedire, w il vettore dei prezzi dei fattori esclusi i prezzi
25
del trasporto e con Pt il vettore dei prezzi di trasporto relativi a tutte le modalità
possibili.
Una volta definita questa funzione la domanda di trasporto per il modo i si ottiene sulla
base della derivata di C rispetto al vettore dei prezzi Pti relativo al modo i-mo.
Se si utilizza come funzione di costo la funzione di tipo translog con lo stesso
procedimento si riesce a stimare la quota di mercato del modo i-mo in funzione delle
variabili di cui sopra.
Si veda a tal proposito, fra gli altri, Friedlaender e Spady (1980).
I modelli comportamentali.
Oggetto di studio di questa categoria di modelli è la scelta di trasporto fatta dalla
singola azienda che effettua o che riceve la spedizione.
Come per i modelli di utilità casuali visti nel caso della domanda dei viaggiatori alla
base dell’agire della azienda è posta la massimizzazione della sua utilità rispetto ai
costi ed al livello di servizio tra modalità di trasporto alternative.
Il modo i-mo viene scelto dall’azienda per trasportare una determinata merce se
l’utilità che l’azienda riceve facendo questa scelta è maggiore dell’utilità che
riceverebbe se scegliesse di effettuare la spedizione con un mezzo di trasporto
alternativo.
La funzione di utilità che viene costruita viene espressa in funzione delle caratteristiche
dell’azienda, degli attributi di ciascun modo, e di un termine aleatorio che rappresenta la
componente non deterministica dell’utilità che tiene conto delle caratteristiche non
osservabili del modo i-mo e dell’azienda.
Il modello di scelta viene costruito partendo dalle probabilità di scelta del modo i-mo,
la quale viene resa operativa assumendo una distribuzione sulle caratteristiche non
sistematiche di tipo probit, logit o translog in modo analogo a quanto effettuato per i
modelli di scelta discreta applicati per l’analisi della domanda dei viaggiatori.
In questa categoria rientrano anche i modelli che trattano la domanda di trasporto e la
scelta del vettore delle aziende di spedizione nell’ambito della teoria microeconomica
dell’impresa che si fonda sulla massimizzazione del profitto dell’azienda. Strutturati in
questi termini sono i modelli di Allen ( 1977) e di Daughety (1979).
I modelli di gestione del magazzino.
I modelli di gestione del magazzino tentano di ricostruire il processo di domanda di
trasporto applicando la logica della gestione del magazzino che fa l’azienda.
Essi consentono di integrare il comportamento di scelta del trasporto con le esigenze del
processo produttivo mettendo in rilievo l’importanza, in particolare, delle dimensioni
della spedizione e della frequenza della stessa.
In questi modelli si costruisce una funzione di ottimizzazione del profitto dell’azienda
che spedisce e di quella che riceve tenendo conto della politica di magazzino che
ciascuna azienda effettua.
Per una trattazione teorica di questa tipologia di modelli si può consultare McFadden e
Winston (1981).
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29
COMMENTO PARTE III
RICCARDO MERCURIO, UNIVERSITA’ DI NAPOLI
Introduzione
Come noto, nelle scienze sociali, di cui naturalmente l’economia è parte, la
validità e la fertilità metodologica delle tradizioni di ricerca e/o di un filone
di teorie rivolte alla comprensione di un “fenomeno”, viene messa
continuamente in discussione non solo da nuovi e più precisi risultati che
altre impostazioni o teorie sono in grado di perseguire, ma anche
dall’evoluzione e dal modificarsi delle forme e delle modalità secondo cui il
“fenomeno” si presenta al ricercatore nel tempo.
La rassegna di Federtrasporto si concentra sulle tecniche e sui modelli
impiegati nell’attività di analisi e studio dell’offerta del trasporto, e rileva,
così, il cambiamento, in termini di prospettive e di metodologia, che la
rilevante evoluzione nel settore ha imposto alla ricerca. Le riflessioni che
scaturiscono da tale rassegna, pertanto, inducono a esplicitare, sia pure in
modo sintetico, i caratteri quasi rivoluzionari di tale processo di evoluzione
del settore, per l’insoddisfazione per alcuni i tradizionali paradigmi di
ricerca e per ipotizzare una possibile integrazione dei percorsi di ricerca
finora seguiti.
Appare necessario, a chi scrive, adottare un ulteriore “punto di vista” per
svolgere l’attività di ricerca sul “fenomeno - sistemi di offerta del servizio di
trasporto”, introducendo anche principi e orientamenti di analisi economica
tipicamente aziendali, necessari per pervenire ad una più adeguata e
completa comprensione delle dinamiche di innovazione in atto.
1. I cambiamenti nel settore dei trasporti
La realtà dei sistemi di trasporto nazionali ed internazionali è attualmente
attraversata da profondi cambiamenti che influenzano sia le logiche alla base
delle scelte di pianificazione e di investimento degli organi istituzionali, sia i
principi manageriali che guidano i singoli operatori nella gestione strategica
e operativa delle diverse aziende.
Nella stessa Unione europea, nonostante il ruolo di omogeneizzazione
svolto dagli organismi comunitari, sussistono ancora rilevanti differenze in
tema di orientamenti politici, norme e tecnologie che rendono estremamente
complesso il quadro di riferimento.
Le scelte in tema di deregolamentazione e/o privatizzazione sono state
compiute in modo eterogeneo nei singoli paesi, e determinano delle sensibili
differenze in termini di orientamenti strategici ed organizzativi delle
aziende, nonché una spesso consistente diversità in termini di tecniche e stili
direzionali adottati da parte del management.
Ciononostante, è possibile identificare alcune grandi direttrici di sviluppo,
che caratterizzano il sistema di trasporto internazionale, che danno luogo a
comuni esigenze di rinnovamento, e che è possibile distinguere a seconda
che la loro “area di impatto” interessi il contesto in cui le aziende agiscono
o, invece, sia interna a quelle.
1.1. Le direttrici del cambiamento nel contesto
 L’innovazione nelle tecnologie
L’innovazione emergente dalle continue applicazioni nel settore di
tecnologie elaborate nel campo dell’elettronica, dell’informatica e delle
telecomunicazioni, non solo ha contribuito ad incrementare il ritmo di
obsolescenza di quelle tradizionalmente caratterizzanti il trasporto, ma ha
anche creato nuove opportunità di sviluppo per le stesse aziende del settore,
modificando in modo spesso radicale la concezione del business e le logiche
manageriali e tecniche che guidano le scelte degli operatori.
 L’innovazione nella segmentazione del mercato
I sistemi di trasporto collettivo in Italia e nei principali paesi europei vanno
sempre più decisamente caratterizzandosi nei due grandi segmenti del
trasporto locale e di quello a media e lunga distanza. Per realizzare i
prodotti servizi più adeguati, il mercato globale della mobilità urbana ed
extraurbana di persone e merci andrà, dunque, studiato ed analizzato
secondo nuove coordinate di segmentazione, e richiederà profondi
mutamenti nella progettazione dei nuovi sistemi e negli stili di gestione
delle aziende esercenti.
 Le innovazioni politico-normative
La recente normativa dell’Unione Europea ha
introdotto rilevanti
innovazioni nelle politiche del trasporto pubblico, promuovendo modalità di
regolazione dell’offerta impostate secondo criteri di concorrenzialità,
sostenendo il ricorso a forme contrattuali per la gestione dei rapporti con le
aziende di erogazione e favorendo l’immissione di nuovi capitali (di rischio)
nel settore.
In Italia l’integrazione e la concorrenzialità fra le diverse modalità di
trasporto sono state il riferimento di numerosi disegni di legge che, pur non
2
avendo sempre completato il loro iter, rappresentano documenti meritevoli
di approfondimento.
La stessa legge 142 sulle aree metropolitane non ha avuto piena attuazione,
e solo alcuni aspetti diventano oggi “elementi di indirizzo politico e
gestionale”, in riferimento, ad esempio, alla trasformazione giuridica delle
aziende municipalizzate o alla stessa definizione degli statuti aziendali.
Sotto questo aspetto le nuove disposizioni legislative per il settore trasporti
(L. 491/95; L. 449/95 e L. 550/95), hanno aperto per la prima volta un
concreto spiraglio ad un cambiamento più radicale, con l’assegnazione di
ruoli più chiari alle diverse istituzioni di governo e di regolamentazione.
Naturalmente, queste iniziative, che partono dalla necessità di una revisione
dell’impegno finanziario da parte dello Stato, devono ancora trovare regole
e norme di attuazione e più precise procedure di realizzazione.
 L’innovazione nei ruoli istituzionali
Al centro del processo proposto dall’ultima finanziaria si trova la Regione,
che da soggetto distributore di fondi dello Stato ai diversi operatori del
trasporto locale, diventa un soggetto programmatore, che deve disegnare un
proprio percorso strategico nei vari settori di intervento e definire, in base a
criteri chiari, la distribuzione delle sue risorse finanziarie, non più
dipendenti dal FNT (Fondo Nazionale dei Trasporti) o dalle indicazioni
dello Stato.
 L’innovazione nelle regole concorrenziali
La crescente attenzione a problematiche di sviluppo e pianificazione
territoriale nel pieno rispetto dei vincoli ambientali e di vivibilità urbana
esercita una diretta influenza sulle scelte in tema di investimenti nelle
diverse modalità rendendo sempre più forte l’esigenza di un incremento
della concorrenzialità dei sistemi di trasporto collettivi e pubblici rispetto a
quelli privati e privilegiando il soddisfacimento di un più ampio bisogno di
mobilità e di comunicazione, anziché di semplice trasporto.
 L’innovazione nelle fonti di finanziamento
E’ evidente che alle spalle di tale cambiamento di prospettiva vi sia, anche,
la diffusa convinzione della impossibilità dello Stato di far fronte ai rilevanti
investimenti per lo sviluppo del settore, e alla copertura dei costi di
esercizio, pur nel rispetto del carattere pubblico che spesso contraddistingue
il servizio offerto.
Prevale, così, la necessità di attirare fondi e risorse “private” nella
realizzazione di progetti di investimento e di sviluppare logiche e strumenti
3
in grado di valutare in modo preciso il loro costo e la loro redditività,
nonché di adottare princìpi manageriali in grado di perseguire quegli
obiettivi di economicità che costituiscono la base della competitività delle
singole imprese e del settore nel suo complesso.
1.2. Le Direttrici di cambiamento all’interno delle aziende.
 L’innovazione nel comportamento delle aziende
In coerenza con l’innovazione dei ruoli istituzionali, ispirata più ad una
logica di risposta strategica alla domanda di mobilità che non di mera
distribuzione delle risorse, si è messo in moto un profondo cambiamento
anche nei comportamenti delle aziende esercenti il trasporto.
I contratti di servizio tra aziende e amministrazioni pubbliche saranno
caratterizzati, da un lato, alla definizione degli aspetti quantitativi e
qualitativi del servizio da erogare e, dall’altro, dalla creazione delle
condizioni per un più chiaro ed equilibrato rapporto tra costi sostenuti e
copertura finanziaria richiesta.
Diventa rilevante, pertanto, per gli operatori sviluppare al proprio interno
una forte capacità competitiva fondata sull’adozione di logiche di mercato e
di orientamento al cliente, sull’efficienza organizzativa e sulla flessibilità
tecnica, sull’equilibrio finanziario e su un’attenta gestione del cash flow.
 L’innovazione nelle forme organizzative delle aziende
La complessità degli obiettivi di trasformazione da perseguire e le crescenti
esigenze dei diversi clienti rendono inevitabile il ricorso a forme di
collaborazione interaziendale, al fine di sviluppare iniziative integrate di
trasporto, di garantire una migliore qualità ed una più elevata innovatività
del servizio offerto. Ne risulta una molteplicità di forme e soluzioni
organizzative tra cui potere esercitare una valutazione in termini di
convenienza economica, di flessibilità, di efficacia.
 L’innovazione nei criteri di gestione delle aziende
La forte esigenza politica e sociale di realizzare un sistema di trasporti di
qualità ma anche economicamente efficiente ha richiesto l’introduzione di
metodi di gestione di carattere “aziendalistico” che si esplicitano in una
crescente attenzione ai bisogni del mercato, in un prevalente orientamento al
business, in una gestione economico finanziaria non più indissolubilmente
legata ai contributi statali, ma più orientata alla gestione di processi di
creazione di valore.
4
2. Il cambiamento nei modelli e nei paradigmi di ricerca
La rassegna e lo studio condotto da Federtrasporto evidenzia, pertanto,
un’esigenza rilevante in termini di percorsi di orientamento e di indirizzo
per la ricerca futura. Si rileva, infatti, come sia stato necessario procedere ad
un cambio di paradigma, passando da una visione statica, tipica del modello
Struttura-Condotta-Performance, ad una dinamica che assegna, invece, una
particolare connotazione e rilievo all’innovazione, e che, pertanto, trova
nella tecnologia la sua variabile esplicativa principale.
Tale lettura delle modifiche metodologiche in corso trova un suo forte
riscontro nella sintetica rilevazione effettuata sulle dinamiche di
cambiamento che attualmente attraversano il contesto “industriale”
dell’offerta del trasporto.
Infatti, la tradizionale connotazione di variabile esogena al sistema,
assegnata alla tecnologia, collocava le aziende di trasporto in una posizione
passiva rispetto all’innovazione. Le aziende costrette, se non protette da una
forma concorrenziale di tipo monopolistico, in un sistema istituzionale
rivolto a garantire la loro stessa sopravvivenza economico finanziaria, non
erano per nulla interessate a mettere in atto processi di innovazione, a
sviluppare nuove tecnologie ad entrare in nuovi segmenti di mercato.
Il valore che, come rilevato dalla rassegna, la “ricerca” sui trasporti assegna
all’innovazione, tecnologica e non tecnologica, è, invece, l’espressione più
diretta di una nuova esigenza, maturata dal “crollo” di un sistema protettivo
e dal risveglio di dinamiche di cambiamento del contesto, che impongono la
comprensione delle condizioni (fonti e vincoli) per l’innovazione.
La misura della performance di un sistema di trasporto, infatti, deve
avvenire non più solo in base alla valutazione della sua capacità produttiva
finalizzata ad assicurare un servizio sociale, ma anche in riferimento alla sua
capacità di rinnovarsi, di evolvere, di farsi promotore di uno sviluppo
qualitativo del sistema sociale in cui esso è inserito.
Il passaggio da una logica statica ad una dinamica fondata sull’analisi
dell’innovazione del ruolo della tecnologia è, pertanto, perfettamente in
linea con una logica di cambiamento del contesto. In ciò, infatti, esprime
l’avvenuto cambiamento di paradigma che, in senso diacronico e
cumulativo, si caratterizza per l’ampliamento e l’integrazione di una
metodologia di analisi già preesistente e consolidata.
Infatti, gli strumenti e le tecniche di analisi economica che, come si rileva
dalla rassegna, fino ad ora sono state utilizzate per lo studio e la valutazione
del cambiamento nella struttura dell’offerta di trasporti si sono concentrati
prevalentemente su di una dimensione di analisi “macro”, fondata sugli
studi di settore e sulla costruzione di modelli di analisi della concorrenza e
dell’efficienza economica di aggregati di imprese. E’ questa una logica
fondamentale al “punto di vista” del soggetto Stato, tradizionalmente
5
principale, se non unico, decisore e regolatore di un sistema, nel quale
dovevano prevalere decisamente logiche di pianificazione, di
accentramento, di coordinamento centralizzato, di dipendenza finanziaria
delle aziende dal bilancio pubblico.
La presenza di un processo di cambiamento che, invece, sta intervenendo, o
comunque è fortemente richiesto, anche sulle logiche e strutture interne alle
aziende, impone però l’adozione di un ulteriore “punto di vista” da cui
avviare un nuovo percorso di ricerca e di studio e che forse fino ad ora non
ha trovato sufficiente ampiezza di ricerca.
Tale secondo ampliamento concettuale è, infatti, l’espressione della
necessità di procedere ad una integrazione del paradigma di ricerca
prevalente nel settore dei trasporti, aggiungendo ad una visione “macro”, il
“punto di vista” rappresentato dall’analisi del livello “micro”, cioè della
singola azienda.
In via di prima approssimazione è possibile identificare alcune parole chiave
in grado di esprimere la connotazione che il sistema dell’offerta di trasporto
sta assumendo e che la ricerca è attualmente chiamata ad indagare:
orientamento al business e autonomia decisionale delle aziende;
societarizzazione degli enti e concorrenza tra le diverse modalità e tra le
imprese; equilibrio economico e finanziario come conditio sine qua non per
lo sviluppo e l’innovazione.
In termini di percorsi di ricerca il cambiamento in atto nei sistemi di
trasporto, infatti, richiede l’integrazione di una visione collettiva con una
visione che sappia cogliere anche l’elevata differenziazione esistente tra le
diverse modalità di trasporto, tra i diversi mercati di riferimento, tra le
diverse aziende.
La stessa ricerca ha la necessità, in definitiva, di orientarsi verso quelle
metodologie che possano indicare le cause e le motivazioni alla base di un
così forte processo di frantumazione e di moltiplicazione, si potrebbe dire,
delle strutture, delle condotte e delle performance, ma anche fornire agli
stessi decisori aziendali modelli in grado di sostenerli nei loro processi
decisionali e nelle loro scelte imprenditoriali attraverso valutazioni di
convenienza economica fondate anche sull’analisi dei costi interni e non
solo del settore, su di una segmentazione innovativa del mercato piuttosto
che sull’analisi dei benefici sociali, sulla valutazione finanziaria degli
investimenti e non su logiche occupazionali o di interesse sociale.
Questa nuova frontiera implica lo spostamento dell’attenzione alle
performance del sistema visto nel suo complesso, alle logiche e ai “frames”
che guidano e condizionano i risultati delle singole aziende di trasporto, rese
ormai differenziate non solo da quel movimento di innovazione
tecnologiche rilevabile al livello “macro”, ma anche dalla loro stessa storia,
cultura, e strategia fino a quel momento sviluppate.
6
In effetti, ciò che è reso evidente dalla rassegna esplicitata dallo studio di
Federtrasporto è il limite di una prospettiva che valuta l’azienda di
trasporto come una “funzione di produzione”, facilmente cumulabile alle
altre e analizzabile in modo aggregato e indistinto senza considerare le
singole realtà e le diverse capacità di competere in un sistema
necessariamente integrato.
I percorsi di ricerca finora intrapresi evidenziano la necessità di
comprendere l’emergere e gli effetti dell’innovazione, ma vanno sostenuti
dalla conoscenza dei processi decisionali e organizzativi che esprimono le
singole scelte economiche delle aziende, intese questa volta come sistemi
socioeconomici unici, diretta espressione del loro management, dei loro
lavoratori, e dei mercati nei quali operano.
Rispetto a tale ulteriore livello di analisi appare opportuno richiamare
l’attenzione su alcuni studi che sia in campo nazionale sia internazionale
appaiono indicativi di un nuovo orientamento nella ricerca e nell’analisi
delle dinamiche del trasporto.
Tali studi, in effetti, sono interessanti in quanto sono propositivi di nuove
metodologie di indagine che cercano di andare oltre una visione solo
apparentemente esaustiva di settore, per proporre analisi in grado di dar
conto sia delle logiche muovono il comportamento delle singole aziende, sia
del contesto determinato dall’interazione fra le azioni strategiche da esse
messe in atto. I concetti che più di altri sembrano prestarsi ad essere
applicati nella ricerca sui sistemi di trasporto in questa situazione di
maggiore dinamicità sono quello di filiera, di costellazione del valore, di
area del business, di Policy network.
“The innovative impact of the High Speed Train on the Transport filiere”
(Rivista Internazionale di Scienze Sociali n° 3) sulla filiera del trasporto
può essere un esempio, anche se solo di primo stimolo, del concetto
richiamato dalla rassegna Federtrasporto anche se poi, in realtà non più
ritrovato in modo esaustivo nella bibliografia considerata. Applicare il
concetto di filiera all’interno della ricerca sui trasporti consente di superare
la tradizionale distinzione per “modalità”, quasi sempre utilizzata dagli
studiosi, anche per le diverse origini ed i vari interessi di ricerca, per
scegliere, invece, uno strumento concettuale in grado di evidenziare le
interazioni e le interdipendenze tra i diversi attori aziendali, esercenti,
aziende manifatturiere, altri operatori, coinvolti nell’offerta di un servizio di
trasporto sul territorio.
Così il recente lavoro di R. Normann e R. Ramirez sulle “Strategie
interattive d’impresa” (Designing interactive strategy. From value chain to
value constellation, 1994) focalizzandosi sulle dinamiche e condizioni
manageriali nella gestione delle aziende di servizi, propone il nuovo
concetto di costellazione del valore per l’analisi delle relazioni fra i partner
nell’economia “neoindustriale”. Alla luce di tale innovazione metodologica
l’applicazione del concetto di settore negli studi sui sistemi di offerta di
7
trasporto appare addirittura “obsoleto”, perché non più in grado di dare
risposte convincenti per l’analisi dei rapporti competitivi e collaborativi tra
gli attori aziendali in esso coinvolti.
Inoltre, lo studio di D. Abell sulle strategie di sviluppo (Strategia duale,
1995) assume come elemento base nella definizione delle azioni strategiche
non più la definizione tradizionale di aggregato settoriale ma quella più
complessa di area di business in cui l’area di indagine è definita
dall’interazione di tre dimensioni critiche: la tecnologia, i clienti e le
funzioni d’uso. Una recente applicazione di tale prospettiva all’offerta
industriale di sistemi ferroviari può ritrovarsi nello studio del Cesit su “Le
sfide dell’industria ferrotranviaria italiana” del 1996, che evidenzia sia la
struttura e le performance delle aziende manifatturiere a livello aggregato,
sia le strategie, le innovazioni e gli accordi risultato delle scelte competitive
del management delle diverse aziende italiane.
Nell’analisi dei processi di erogazione di servizi pubblici, infine può
rilevarsi come sia diffusa l’applicazione della logica del network nella
ricerca sui sistemi di implementazione di diverse azioni di politica
industriale e di servizi quali, ad esempio, i sistemi sanitari nazionali o i
sistemi di telecomunicazione. Il filone di studi dei “Policy Networks” (B.
Marin, R. Maynts eds., 1991) si evidenzia come la regolamentazione di un
comparto economico non possa più efficacemente essere gestita tramite una
azione di coordinamento mediante “un piano”, ma debba, invece, prevedere
anche la possibilità di erogazione del servizio. Un’analisi della efficacia del
modello di network per lo studio dei problemi di coordinamento nei sistemi
di trasporto ferroviario, infatti, è stata “testata” da M. Martinez (“Il Network
come soluzione di coordinamento nei sistemi di trasporto ferroviari: il caso
delle British Railways” 1996) in merito alle dinamiche di cambiamento in
atto nel sistema ferroviario britannico.
In conclusione, appare che anche nell’ambito della ricerca sui sistemi di
offerta del trasporto possano essere applicate metodologie e “paradigmi” che
ridimensionano la rilevanza del punto di vista dello “Stato pianificatore”
quale unico attore condizionante le scelte del settore. Le logiche di “filiera”
di “costellazione” di “business” di “network” sviluppate e applicate in altre
aree di analisi esercitano una forte attrazione sui filoni di studio che si
rivolgono al trasporto in quanto, potenzialmente, appaiono caratterizzate da
una maggiore capacità esplicativa e una maggiore adeguatezza ai
cambiamenti in atto nel settore e inseriscono gli studi sul settore dei
trasporti, tra quelli che assegnano alle scelte degli imprenditori e delle
aziende un ruolo determinante nella dinamica di modificazione del settore.
In definitiva, la “caduta” del paradigma “Struttura Condotta Performance”
non ha portato con sé la legittimazione di un unico erede, ma ha parto un
dibattito che la stessa analisi dell’offerta di trasporto non può ignorare. Di
conseguenza, la rassegna presentata da Federtrasporto è sicuramente
esaustiva all’interno di una visione tradizionale del settore ma “manca”,
8
forse proprio a causa della sua natura di rassegna completa e sistematica, di
rilevare quella pluralità di metodi e logiche applicate nello studio del
trasporto, che, è, invece, indicativa di uno stato “magmatico” del dibattito
sulla metodologia di ricerca nei sistemi industriali.
9
1
PARTE III
Capitolo 1.
Gli ambiti dell’analisi
Alessandra De Lellis
La letteratura economica sui trasporti vanta un'importante peculiarità, quella di aver
sviluppato numerosi concetti economici ancor prima che venissero formulati in maniera
generale e incorporati nel mainstream; questo è il caso, come riporta Winston 1985, dei
prezzi à la Ramsey (Dupuit, 1844) e delle economia di scopo o di produzione congiunta
(Wellington, 1887). Purtroppo la ricchezza di fenomeni che ha ispirato le
concettualizzazioni come quelle citate oggi non sembra produrre altrettanti arricchimenti di
strumentazione analitica, sebbene almeno in Italia le recenti vicende di privatizzazione e di
indagini Antitrust avrebbero potuto costituire un forte incentivo a studi di settore volti a tal
fine.
Gli studi presenti nella letteratura economica in materia di offerta di trasporto possono
essere raggruppati, seppure in modo drastico, in due classi: nella prima sono inclusi quelli
che hanno analizzato i trasporti facendo sì riferimento a schemi teorici noti, ma
evidenziando peculiarità del settore ed elaborando strumenti analitici maggiormente
sofisticati (caso piuttosto raro nella letteratura italiana degli ultimi anni), nella seconda
vanno invece quei contributi che hanno descritto i fenomeni in base a metodologie standard
di analisi industriale.
Per quanto riguarda l'argomento del capitolo sembra utile chiarire che i concetti di offerta e
di filiera del trasporto presentano dal punto di vista dell'analisi economica la comune
caratteristica di non definire esattamente l'ambito di studio. L'offerta si compone di
gestione dell'infrastruttura e gestione dei veicoli, che secondo le più recenti tendenze
dell'analisi e della politica dei trasporti, non interferendo tecnicamente fra loro possono
essere separate (si veda Quinet 1993). Ai fini di questo lavoro interessa precisare che,
rispetto alle componenti di offerta saranno esaminati i contributi che hanno per oggetto la
gestione dei veicoli, dal momento che le infrastrutture sono sempre più spesso argomento
di lavori su valutazione e pianificazione degli investimenti e fissazione delle tariffe, in più
stretta connessione con i temi di economia pubblica.
Per ciò che riguarda la filiera, invece, occorre considerare che i suoi confini sono
individuabili solo in funzione della tecnologia utilizzata per la fornitura del servizio di
1
2
trasporto; esso sarà una delle chiavi di lettura del capitolo e servirà a segnalare i lavori che
hanno considerato la complementarità fra sistemi produttivi come fattore di costruzione
dell'offerta (così come lo è della domanda) di trasporto.
Rispetto all'impostazione della rassegna della letteratura economica in materia di offerta di
trasporto, questa seguirà uno schema di analisi che considera prioritario il riferimento alla
tecnologia di produzione e in ciò costituisce un superamento dell'approccio strutturacomportamento-performance (SCP) che tale aspetto considera solo come componente di
costo e non come fattore influenzato dalla struttura industriale e sua volta influenzante
quest'ultima, superando quindi quello che la letteratura americana chiama simultaneity bias
(dovuto all'interrelazione di struttura, comportamento e performance) individuato come una
delle debolezze dell'approccio.
Rispetto all'approccio SCP, inoltre, lo schema seguito ha il pregio di poter includere
nell'analisi l'impresa multiprodotto che, pur studiata nell'ambito della visione neoclassica
alla quale si ispira la letteratura esaminata, come si vedrà in seguito costituisce il modello
di impresa adottato per il settore dei trasporti.
Il ruolo fondamentale attribuito alla tecnologia per la rappresentazione dei fatti economici
riguardanti l'industria comporta, per la natura stessa dell'evoluzione legata alla tecnologia,
la considerazione degli aspetti temporali del processo, elemento che, nonostante quanto
detto, non trova spazio adeguato nelle analisi che solitamente vengono condotte e che,
invece, ispira i contributi in materia di economia industriale e dell'innovazione più recenti.
Lo schema che funge da trama alla rassegna prevede tre "contenitori" principali, aventi
come tema la relazione fra la tecnologia e, rispettivamente, la struttura, la strategia e
l'organizzazione industriali. All'interno di ciascun contenitore troveranno posto i contributi
italiani ed esteri che risultano rilevanti ai fini della costruzione della strumentazione per
l'analisi economica dei trasporti o per la comprensione dell'attuale stato dei lavori in tale
materia, si tratta quindi di lavori, sia teorici che applicati. Minore rilievo sarà invece dato a
quelle ricerche finalizzate a fornire un quadro conoscitivo dello stato del settore (e quindi
tra le altre cose fortemente legati all'epoca di realizzazione), non passate attraverso una
problematizzazione che, al di là della modellizzazione fornita, possa dirsi costruttiva
secondo quanto detto sopra.
Rispetto ai tre temi di cui si è parlato la rassegna non vuole e non può essere esaustiva di
tutti gli aspetti con riferimento ai vari modi, si è pertanto scelto, di volta in volta, la
2
3
focalizzazione su una questione e sul modo di trasporto che da quest'ultima è più
interessata.
Infine uno degli scopi che ci si è prefissati in questo lavoro è quello di segnalare alcuni
possibili sviluppi teorici dell'economia industriale e dell'innovazione che possano costituire
delle chiavi di lettura dei fenomeni economici del trasporto, così come ulteriori spazi di
ricerca derivanti dalla riflessione ed eventuale applicazione degli strumenti analitici
elaborati dagli economisti che si interessano di telecomunicazioni, un settore che condivide
con quello qui analizzato alcune importanti peculiarità (si veda Antonelli 1992).
Capitolo 2.
Strutture industriali e forme di mercato
Alessandra De Lellis
L'analisi di economia industriale è connotata dal riferimento alla "nozione di struttura
industriale naturale che traduce l'idea che esista una sorta di punto di ancoraggio delle
strutture industriali reali (osservabili), il quale rappresenta la loro posizione di equilibrio di
lungo periodo e costituisce un vero polo di attrazione" (Gaffard 1990:11). Nell'analisi
tradizionale la struttura industriale naturale è stata individuata nella concorrenza perfetta,
uno stato caratterizzato dall'assenza di ogni forma di competizione e dall'atomismo delle
imprese rispetto all'industria. Tale visione è rovesciata dagli approcci moderni di economia
industriale che avanzano l'ipotesi di strutture industriali naturali di vario tipo, come
monopolio e oligopolio naturale, concorrenza monopolistica perfetta. In questo ambito la
nozione di concorrenza riacquista la sua valenza dinamica di fattore determinante il
processo di entrata e uscita dal mercato.
L'importante implicazione del passaggio descritto è quella di focalizzare l'attenzione degli
economisti sulla tecnologia che costituisce i reali vincoli all'entrata ed all'uscita
dall'industria.
Nella determinazione delle strutture industriali naturali1 un ruolo essenziale è giocato dai
costi di produzione, innanzitutto perchè la peculiarità di tali strutture, l'efficienza
1
L'analisi delle strutture industriali reali è condotta facendo riferimento alla nozione di struttura industriale
naturale: questa "traduce l'idea che esista una sorta di punto di ancoraggio delle strutture industriali reali
(osservabili), che rappresenta la loro posizione di equilibrio di lungo periodo e che costituisce un vero polo di
attrazione" (Gaffard, 1990:11).
3
4
tecnologica, è assimilata alla minimizzazione dei costi dell'industria, in secondo luogo
perchè sono le opportunità di decrescenza dei costi che aprono la prospettiva di una
differenziazione dei prodotti (Gaffard, 1990).
Nel caso del trasporto all'analisi tradizionale delle strutture industriali e delle forme di
mercato è necessario fare le seguenti premesse sulle caratteristiche del mercato stesso.
2.1. Le peculiarità del mercato dei trasporti
Il mercato del trasporto è ben lontano dal conformarsi alle caratteristiche che il mainstream
attribuisce al mercato dei beni: in esso non è definibile un bene riproducibile e tantomeno
un meccanismo di fissazione del prezzo che equilibri domanda e offerta; seguendo Quinet
1993 si tenterà di definire le peculiarità di tale mercato.
E' la definizione stessa del bene vendibile "trasporto" che dà luogo ad "una profusione di
mercati": essa, infatti, essendo "la vezione di un oggetto di certe caratteristiche, es. peso,
dimensione, o di una persona, da A a B in un certo tempo, sotto certe condizioni di
sicurezza, affidabilità e confort" (Quinet 1993:34), è suscettibile di specificazioni, connesse
ad ognuna delle suddette caratteristiche che danno origine ad altrettanti definizioni di beni
e dunque di mercati. Questi ultimi possono essere considerati come interrelati sia dal lato
della domanda che dal lato dell'offerta: nel primo caso ci si riferisce principalmente alla
concorrenza fra modi di trasporto, quindi alla sostituibilità fra questi, e di conseguenza
all'interrelazione dei mercati corrispondenti.
Per quanto riguarda l'interrelazione di mercati dal punto di vista dell'offerta essa è ad
esempio riconducibile ai soggetti che forniscono il servizio, nel senso che possono essere
presenti su più mercati, oppure al tipo di attrezzature e macchinari, quando questi possano
implicare un facile spostamento da un mercato all'altro.
Rispetto alla formazione ed alla pubblicità dei prezzi, l'ideale teorico è ben lontano dalla
realtà del mercato del trasporto in cui si verificano situazioni "estreme"; la prima è quella
del trasporto pubblico passaggeri, in cui i prezzi pur risultando da una struttura di tariffe
rese pubbliche, e quindi vicini alla situazione ideale di pubblicizzazione, non sono
realmente noti a causa dell'alto livello di elaborazione del sistema tariffario. Un esempio
potrebbe essere costituito dal trasporto aereo passaggeri in cui i prezzi fluttuano con
notevole frequenza per rispondere alle condizioni di domanda.
4
5
La seconda situazione "estrema" è quella del trasporto con mezzi privati, i cui reali costi
non sono conosciuti dai proprietari dei veicoli, che, invece, sono ben consci del tempo e
della sicurezza dello spostamento.
Nel seguito si cercherà di concentrare l'attenzione sui fattori determinanti le forme di
mercato così come stati messi in luce nella letteratura, anche quando la loro analisi non ha
dato luogo a modellizzazioni già elaborate teoricamente nell'economia industriale (si veda
oltre il paragrafo 1.4).
2.2. La natura dei costi
La funzione di costo, la cui forma si deduce dalla funzione di produzione, rappresenta un
importante veicolo di informazioni sulle tecniche usate e sul prezzo dei fattori poichè
descrive i costi dell'impresa una volta che questa abbia risolto i problemi di ingegneria e di
amministrazione che caratterizzano la ricerca delle combinazioni ottimali. Inoltre la
conoscenza della funzione di costo permette di determinare la struttura industriale, nel
senso del numero di imprese che possono essere presenti sul mercato giacchè, essendo
l'efficienza tecnologica per definizione raggiunta dalle imprese e racchiusa nella funzione
di costo, l'efficienza tecnologica dell'industria resta un problema economico, in particolare
di ripartizione dei fattori di produzione e delle produzioni tra un certo numero di imprese.
Nella ricerca economica sui trasporti i costi assumono un ruolo dominante dal momento
che molta parte di essa è stata dedicata alla stima delle funzioni di costo delle imprese: tale
parte è giustificata dalle applicazioni che, nello specifico, essa trova nella verifica
dell'esistenza e dell'entità delle economie di scala, e quindi nello studio delle strutture
industriali, nel confronto dei costi di diversi modi e, infine, nella valutazione della crescita
della produttività e dell'efficienza nelle imprese di trasporto (si veda par. 2.2.1). Inoltre la
stima delle funzioni di costo del trasporto costituisce un importante supporto informativo
per i soggetti regolatori e i manager d'impresa. Negli studi più recenti l'attenzione alle
funzioni di costo è legata alla verifica della proprietà di subadditività2 la cui importanza è
da ricondursi al caso del monopolio naturale ed alla contendibilità dei mercati, una nozione
quest'ultima che ha sostituito nell'economia industriale moderna quella classica di perfetta
concorrenza, volendo tener anche conto del processo di selezione delle imprese3.
2
Per la definizione di subadditività si veda il par. 1.3.2.
Si definisce contendibile un mercato per il quale non esistano barriere all'entrata, per cui gli entranti potenziali
posono godere della stessa posizione delle imprese già presenti, sia in termini di domanda che di tecniche
utilizzate, e nel quale l'ingresso di imprese non alteri la domanda se non nel senso che questa risponderà
all'abbassamento di prezzo dovuto all'espansione del prodotto totale. La proprietà di contendibilità del mercato
3
5
6
L'evoluzione seguita dai contributi dedicati a tale argomento vede il passaggio dall'uso di
funzioni ricavate sulla base di un'ipotesi della produzione di un unico bene a quello di
funzioni relative ad output multi-prodotto, fino al tentativo di stima di funzioni dei costi
edoniche, le cui variabili comprendono aspetti qualitativi dell'output4 (Spady e
Friedlaender 1978).
Nella letteratura economica italiana l'ampio spazio occupato dalla tematica relativa alle
funzioni di costo non ha trovato un proporzionale riflesso; costituisce un'eccezione il
capitolo dell'offerta di trasporto di Del Viscovo 1990 interamente dedicato alla trattazione
sui costi. In tale contributo si ricostruisce il dibattito sui costi, ossia su quali siano le
componenti dominanti e quali gli effetti normativi, e si illustrano le formulazioni di costo
secondo i vari modi di trasporto, il tutto attraverso un excursus storico dell'analisi
economica dei trasporti (citando inoltre studi di economisti italiani dell'inizio secolo che
hanno contribuito in modo notevole alla definizione ed alla trattazione di alcuni strumenti
analitici e di cui si è persa traccia nella letteratura economica contemporanea) che ha il
pregio di riportare alla luce i fondamenti teorici delle politiche dei trasporti dell'ultimo
secolo e del quadro normativo italiano.
In questa sede si riporteranno di questo lavoro le principali considerazioni, rinviando al
volume ed alla sua bibliografia per ogni approfondimento. Il primo dei principali passaggi
messi in luce da Del Viscovo riguarda lo spostamento del dibattito dal costo costante a
quello marginale: la preponderanza del costo costante (ossia indipendenti dal livello di
output) su quello totale trovò nei primi decenni del secolo ampio consenso tra gli
economisti che fecero di questa una peculiarità del trasporto ferroviario. "In un modo o
nell'altro -afferma Del Viscovo (1990:141)- tutti coloro che a proposito dei trasporti hanno
parlato di fallimento del mercato, ovvero dell'impossibilità di ottimizzare le condizioni
"corripsonde ad un comportamento razionale ma sotto l'ipotesi che l'entrata sia reversibile, cioè che l'uscita possa
effettuarsi senza costo" (Gaffard 1990:40). Per ulteriori cenni sui mercati contendibili relativamente ai trasporti si
veda par. 1..3.2.
Il legame fra la proprietà di subadditività della funzione di costo e quella di contendibilità del mercato attiene alla
sostenibilità dell'equilibrio di un mercato perfettamente contendibile, per una sua discussione, per la quale è
opportuna una formalizzazione del problema, si rimanda ad un manuale di economia industriale.
4 Una funzione di costo edonica tenta di quantificare la componente di costo imputabile alla qualità della
produzione. La forma nella quale si presenta una funzione di costo di questo tipo prevede fra le variabili di costo
quello che viene definito "output edonico", ossia una variabile "artificiale" costruita sintetizzando l'informazione
dell'output fisico (misurato in passaggeri/Km o tonnellate/km) con quella relativa a ciò che può essere ritenuto un
indicatore di qualità di tale output (nella maggior parte dei casi tale indicatore viene trovato nel tempo impiegato
per la prestazione del servizio di trasporto. Per una rappresentazione generale delle funzioni di costo edoniche si
veda Winston 1985; si può trovare, invece, in Quinet 1990 (cap.2, par.2.3) un tipo di fuzione di costo edonica in
cui vengono incluse anche variabili qualitative relative alle condizione di confort e di sicurezza del trasporto.
6
7
dell'offerta attraverso il meccanismo della concorrenza, si sono rifatti a questo argomento,
adducendo il carattere del tutto specifico dei costi fissi dell'impresa di trasporto, donde la
conseguente convenienza di lavorare su grandi quantità, eventualmente anche sacrificando,
in qualche misura, la libertà di scelta della modalità di trasporto da parte dei consumatori".
Contro la considerazione di tale peculiarità come fondamento di una politica tariffaria che
arrivava al paradossale caso di tariffe merci minori per destinazioni più lontane, Clark
(1923) condusse uno studio teso a dimostrare che le ferrovie erano solo uno dei casi di
produzione moderna e quindi caratterizzata dal ruolo di macchine e impianti, e che con
questa condivideva l'importanza del costo totale quale aspetto della "capacità", anche se il
suo peso relativo sui costi totali non era così grande come molti volevano asserire.
Maggiori distinzioni nella precisazione dei concetti contabili ed economici di costo
costante e costo variabile sono state introdotte nel corso nel tempo da numerosi altri
studiosi citati dal Del Viscovo, come Kahn, Lewis, Schneider, ed proprio sulla base delle
loro analisi, in particolare del primo di loro, che l'attenzione si sposta sulla rilevanza dei
costi marginali nella politica dei prezzi di breve periodo sulla base dell'argomentazione
della rilevanza dei costi fissi (ossia di un impulso all'aumento della produzione per favorire
la ripartizione di questi) solo nella particolare situazione di un temporaneo allontanamento
da un punto di equilibrio. L'effetto di maggiore suddivisione del costo totale derivante da
un aumento della produzione "non ha senso -afferma Del Viscovo (1990:148) riportando le
conclusioni di Kahn- come petizione per uno stato permanente necessario ad assicurare il
raggiungimento di quell'equilibrio, perchè è evidente che esso, in tal caso, costituisce
implicitamente una remora ad ammettere un'offerta concorrenziale che sia fatta a prezzi più
bassi".
Il passaggio all'esame dei costi marginali non diminuisce tuttavia i problemi definitori, anzi
il confine fra costi fissi e costi variabili è spesso messo in discussione, come fa Schneider
(1949) che lo rende funzione delle decisioni dell'imprenditore. A ciò si aggiunge la
questione dell'indivisibilità del prodotto, ma anche questioni più sottili legate alla struttura
per età di quanto viene valutato ai fini della determinazione dei costi (capitali strumentali,
fattori produttivi, le decisioni di investimenti futuri). In particolare quest'ultimo punto è
stato trattato, secondo quanto riporta da Del Viscovo, da Turvey (1964 e 1971) il cui
contributo assume connotati pressochè unici nella letteratura sui trasporti (e non) grazie
alla considerazione della rilevanza degli aspetti temporali nell'analisi economica. Nel
calcolo dei costi effettivi di oggi influiscono decisioni di investimenti futuri, per cui "il
costo marginale dovrebbe tener conto del valore attuale dei costi attesi per il futuro come
effetto degli investimenti in corso di realizzazione" (Del Viscovo, 1990:162), dando luogo
7
8
al costo marginale scontato che appunto tiene conto degli eventi di un periodo futuro nel
quale si prevede di continua ad utilizzare la capacità installata nel periodo di riferimento.
Per la trattazione analitica del modello si rinvia alla rassegna Del Viscovo, ma ciò che
preme qui sottolineare è che l'analisi di Turvey contiene un ulteriore aspetto di grande
interesse nel campo dei trasporti, quello dell'eccesso di capacità produttiva5. Tale
caratteristica dei trasporti (comune alle telecomunicazioni) rende quantomeno problematica
la tradizionale ipotesi di comportamento ottimizzante secondo la quale le imprese
"mescolano" i fattori produttivi in modo da minimizzare i costi, fissato l'output al livello
massimo data la tecnica produttiva (si veda anche Keeler 1974).
Un completamento della rassegna sul dibattito sui costi è offerto dal paragrafo 1.3.2, in cui
si introducono alcuni concetti relativi alle economie derivanti dalla struttura dei costi per
completare il quadro delle variabili influenti sulla struttura.
2.3. La struttura industriale determinata dalla tecnologia
2.3.1. La produzione congiunta.
Uno dei passaggi fondamentali dal punto di vista dell'analisi economica dei trasporti è
quello della funzione multiprodotto ossia la rappresentazione di diversi processi produttivi
caratterizzati dal fatto che la loro messa in opera congiunta dia luogo ad economie; queste
ultime sono composte da economie di scopo e da specifiche economie del prodotto.
Nell'ambito della produzione congiunta i concetti di costo medio e di costo marginale non
sono così facilmente definibili, ma nello stesso tempo altri concetti arricchiscono il quadro
analitico, tra questi quelli relativi alle economie di scopo che come si vedrà giocano un
ruolo importante nella definizione dei mercati.
Del Viscovo 1990 riporta i numerosi esempi di applicazione all'impresa di trasporto:
l'interpretazione del multiprodotto va "dalla produzione di più prodotti ottenuti
congiuntamente, o da uno stesso processo produttivo, e riguardati come altrettanti prodotti
differenti", alla considerazione del caso del viaggio di ritorno (il costo congiunto per
eccellenza nel settore dei trasporti) (Del Viscovo 1990). Per l'analisi dei trasporti il caso
interessante è quello in cui più servizi sono prodotti utilizzando uno o più fattori di
produzione comuni. Esempi di produzioni congiunte sono forniti dalle classi di servizio
5
La problematica relativa all'eccesso di capacità produttiva, ossia all'esistenza di una capacità offerta superiore
alla domanda soddisfatta, vede, nel caso del trasporto delle merci, la sua principale manifestazione nei viaggi di
ritorno senza carico.
8
9
ferroviario considerati come prodotti diversi, o dal viaggio di ritorno dei veicoli di
trasporto, particolarmente importante nel trasporto delle merci.
Un antico contributo italiano alla definizione dei costi di produzione connessa (distinta
come si vedrà da quella congiunta) è costituito dal ciclo di lezioni sull'economia dei
trasporti che Barone tenne nel 1920 e che Del Viscovo (1990) segnala come
particolarmente importante poichè ricco di intuizioni che furono sviluppate solo molti anni
dopo.
Barone distingue i costi connessi da quelli congiunti sulla base della possibilità che la
produzione di uno dei beni possa avvenire senza l'aumento della produzione dell'altro o
degli altri, che corrisponde al caso della produzione connessa, definendo produzione
congiunta quella in cui l'aumento è necessario. Tale differenza si evidenzia, ovviamente,
nelle condizioni di equilibrio e in quelle della dinamica poichè il segno della derivata
parziale della produzione di un bene rispetto ad un altro nel caso di produzione connessa
risulta negativo, contrariamente a quanto accade per la produzione congiunta.
Il costo complessivo di produzione è quindi dato dalla somma di una parte costante e di
tante componenti di costo quante sono le produzioni (equivalenti a costo unitario per
volume di produzione); tale funzione è sottosta al vincolo che la somma dei volumi delle
singole produzioni non superino il volume di produzione che si otterebbe producendo uno
solo dei beni (ossia il vincolo della capacità produttiva nel caso di impianti in grado di
fornire diversi tipi di output).
A parte la distinzione terminologica il problema che Barone affronta è "la questione se nel
caso dei prodotti connessi e dei relativi costi, esista un unico prezzo di equilibrio oppure
possano essere ipotizzati prezzi differenziati secondo il valore della merce" (ossia secondo
il suo costo di produzione) (Del Viscovo 1990:172). Ovviamente essa si pone solo nel caso
di monopolio, in cui l'impresa è price maker, ma è interessante notare che la possibilità di
prezzi diversi dai costi parziali era stata analizzata da Pigou anche nel caso di concorrenza
perfetta
La risoluzione di tale problema passa dapprima attraverso la definizione di una
combinazione di produzioni che soddisfi l'ottimizzazione dell'utilità totale per poi
affrontare la questione centrale dei prezzi uguali per produzioni connesse o prezzi in
funzione dei costi parziali (quelli direttamente imputabili alle singole produzioni). Questa
viene esaminata a partire dal vincolo della capacità produttiva e distinguendo il caso di
9
10
impianti saturati da quello di un minore livello della loro utilizzazione. Nel caso di due
prodotti congiunti, A e B, i cui costi parziali (variabili) siano supposti uguali una domanda
soddisfatta in condizioni di pre-saturazione (ossia non si fa sentire l'azione del vincolo cioè, la necessità di cercare l'ottimo nell'ambito della combinazione-tipo) dà luogo, in un
mercato monopolistico, a prezzi differenziati, "poichè la vendita di tutte le quantità
prodotte a prezzi uguali ai costi parziali (variabili) costituirebbe per le imprese la perdita
del costo costante oltrechè del profitto, mentre sfruttando la condizione di monopolio
ciascuna impresa può fissare qualche prezzo estremo che riesca a conferire una parte
almeno del costo costante" (Del Viscovo, 1990:173).
Quando però si registra un aumento della domanda di uno o entrambi i servizi tale da
saturare la domanda allora la produzione di un bene può essere aumentata solo a costo della
diminuzione dell'altra produzione producendo un allineamento dei prezzi verso quelli della
combinazione-tipo.
Il contributo di Barone ha particolare valore nella considerazione che "in tutti i casi in cui
nella funzione di produzione prevale una connessione fra i prodotti, il rapporto fra la
domanda da soddisfare e le capacità dell'impianto disponibile è particolarmente delicato";
le intuizioni legate a queste osservazioni sono state sviluppate dalla teoria della tariffazione
ai costi marginali e dalla teoria del road pricing (Del Viscovo 1990:174).
2.3.2. Economie di scala e forme di mercato.
Nella letteratura economica più recente due sono le questioni alla cui investigazione si
dedicano più energie: la verifica di situazioni di monopolio naturale nella gestione dei
servizi e la verifica della contendibilità dei mercati. La prima si collega immediatamente al
problema della verifica della relazione fra costi e forma di mercato, mentre la seconda
attiene all'analisi della concorrenzialità dei mercati alla luce della nozione di "entrata e
uscita potenziale dal mercato". Su entrambe non sono stati rintracciati contributi italiani
sebbene la verifica dei risultati proposti dalla teoria, come accade nei lavori che saranno
illustrati, offrano notevoli spunti di riflessione sulle peculiarità dei mercati del trasporto e
sui fattori esogeni che influiscono sulla loro forma.
Per quanto riguarda il primo quesito occorre introdurre i concetti di sub-addività dei costi e
di economie di densità come componente delle economie di scala. La sub-additività dei
costi è la proprietà per la quale il costo totale di un dato livello di output Q è minore della
somma dei costi relativi a due livelli di output q1 e q2 tali che q1+q2=Q; tale proprietà
10
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della struttura dei costi implica che un dato output costerà meno se a produrlo sarà una sola
impresa (monopolio naturale). Nel caso di produzione multi-prodotto la verifica della
proprietà di sub-additività è funzione dell'esistenza sia di economie di scala che di scopo e
queste, nel caso dei trasporti assumono una rilevanza e un significato particolare.
Rispetto alle economie di scala va notato il ruolo della dimensione geografica del servizio
di trasporto che risulta una peculiarità dell'ouput del settore; la sua traduzione nella
determinazione della dimensione dell'attività di un'impresa consiste nell'ampiezza del
network su cui si svolge l'attività e nell'intensità d'uso di questo. La distinzione fra
economie di scala ed economie di intensità d'uso o densità di network è stata introdotta da
Keeler (1974) e Harris (1977) ed adottata nei più importanti lavori econometrici di stima
delle funzioni di costo. Le economie di scala , ossia le economie derivanti da incrementi di
costo meno che proporzionali a quelli di output (fissi i prezzi dei fattori), possono avere
due origini distinte: il volume di trasporto effettuato (in passeggeri o tonnellate/Km.; a
parità di estensione della rete utilizzata dall'impresa) oppure l'uso del network.
Le economie di densità si manifestano quando il costo medio di offerta del trasporto
diminuisce all'aumentare del livello d'attività dell'impresa (volume di trasporto) atttraverso
la frequenza del servizio sulla rete esistente o quando si aumenta la capacità di servizio del
capitale esistente; le economie di scala, invece, vengono alla luce quando agli incrementi di
intensità d'uso si accompagnano anche incrementi della dimensione del network (Fazioli;
1993), la loro dimensione è misurata da quanto, a parità di densità di traffico, l'aumento
dell'estensione del network contribuisce all'abbassamento proporzionale dei costi
all'aumentare del volume trasportato.
Una situazione particolare, illustrata da Quinet 1993, è quella nella quale le economia di
densità su una data strada si presentino variabili: può, infatti, accadere, fintanto che il
traffico è regolare, che le economie di densità siano maggiori dell'unità (ossia segnali
risparmi di costo) poichè all'aumentare della densità d'uso si possono utilizzare veicoli più
economici, ma anche che tali vantaggi di costo cessino di esistere quando il volume di
traffico corrisponda alla capacità del veicolo a maggiore portata. Inoltre Quinet 1993
osserva che "il valore delle economie di scala e di densità dipendono anche dalla misura in
cui il sistema produttivo è dimensionato per rispondere alla domanda" (p.39).
Sulla base delle nozioni precedenti, e sulle considerazioni che seguono, Quinet ha spiegato
lo schema riassuntivo delle strutture di mercato per modo di trasporto che egli riporta nel
lavoro del 1990 (p.156):
11
12
Ferrovia
Trasporto merci su strada
Trasporto passeggeri su strada
- servizi regolare
- servizi "charter"
Trasporto fluviale
- a rimorchio (convoi poussés)
- a battello
Trasporto aereo
- linee continentali
- linee intercontinentali
Trasporto marittimo
- linee regolari
- traffico pesante (tramping)
Monopolio
X
Oligopolio
Concorrenza
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
Le spiegazioni fornite da Quinet, per il cui dettaglio si rinvia ai due lavori dell'autore
riportati in bilbiografia, nella costruzione della tavola sono di due ordini: il riferimento alle
economie di scala e di densità e quello alle economie di scopo. Alcune delle
argomentazioni presentate sono di tipo qualitativo data la difficoltà di determinare
analiticamente la rilevanza delle economie dette.
Ciò che qui interessa sottolineare è il risultato sorprendente, ma molto istruttivo sulla
portata delle analisi di costo per la determinazione delle forme di mercato, che viene citato
dal lavoro di Friedlaender e Spady: per le ferrovie essi stimano il costo marginale superiore
a quello medio e il contrario per molte imprese di traasporto su strada; la prima situazione
segnala rendimenti decrescenti e quindi un'ipotesi di concorrenza, la seconda rendimenti
crescenti che forniscono una delle condizioni di monopolio naturale.
I due fenomeni non sarebbero stati osservati, argomentano i due autori, se le ferrovie non
avessero sofferto di un marcato sotto-investimento e se la regolamentazione statunitense (i
dati usati per le stime sono relativi ai trasporti in USA) non favorisse viaggi di ritorno
senza carico attraverso il meccanismo delle licenze legate a ristretti gruppi merceologici.
Due le lezioni che ne derivano. la prima rispetto alle reali forme di mercato delle ferrovie
(di monopolio naturale, almeno per le reti medio-piccole con rendimenti crescenti) e del
trasporto su strada senza regolamentazione (di concorrenza con rendimenti costanti); la
12
13
seconda, di uguale importanza, sulla rilevanza delle condizioni "anomale" dell'industria
considerata e dei fattori istituzionali (esogeni).
Maggiori difficoltà si riscontrano per la determinazione delle economie di scopo,
determinanti la condizione di sub-addivitità dei costi e quindi di ipotesi di monopolio
naturale e importanti nella produzione congiunta; Quinet (1990) argomenta a favore della
loro esistenza considerando la complementarità spaziale e quella temporale, ma ammette
anche (1993:41) che "il confine tra le situazioni in cui esse esistono e quelle in cui non
esistono non è molto chiaro".
Ancora più intessante ai nostri fini risulta tuttavia la considerazione sulle determinanti
della dimensione e la struttura ottime di un operatore del trasporto, sempre in Quinet: "esse
non dipendono solo dalla funzione di costo, ma anche dalle esternalità di network- la
dimensione del network influisce della domanda diventando una componente della qualità
del servizio, espressa come frrequenza dei viaggi, numero di destinazioni e percorsi coperti
(1993:41). Tali fattori producono, infatti, piccole economie di scala, ma ingenti economie
di densità e di scopo, sebbene queste ultime siano difficili da determinare.
La seconda questione cui questo paragrafo è dedicato è quella della contendibilità dei
mercati del trasporto, ossia della verifica delle condizioni di ingresso e uscita dal mercato
senza costi. La sua rilevanza è presto dimostrata quando si consideri che l'esempio classico
di mercato contendibile è quello del trasporto aereo: ciascuna linea presenta, infatti,
significative economie di scala e notevole facilità di ingresso e uscita (data dal fatto che
una larga parte dei beni capitali, gli aerei, può essere trasferita senza costi da una linea
all'altra).
In tali caratteristiche la concorrenza potenziale dovrebbe impedire l'esistenza di profitti di
monopolio e tariffe al di sopra del costo media. La contendibilità richiede tuttavia che le
attrezzature (o i servizi) che implicano le spese irrecuperabili abbiano la caratteristica di
input "pubblici" e tale caratteristica non è riscontrabile quando, al contrario, le compagnie
aeree controllano l'uso delle attrezzature aeroportuali o mettono in atto sistemi particolari
di prenotazione che di fatto bloccano l'entrata (Gaffard, 1990).
In generale per la contendibilità di un mercato si richiede che siano soddisfatte, oltre
all'assenza di barriere all'ingresso e all'uscita, le condizioni di mobilità degli utenti e la
vischiosità delle tariffe; nel caso dei mercati di trasporto tutte e tre sono di difficile
realizzazione (le argomentazioni seguenti sono tratte da Quinet 1990). Per quanto riguarda
13
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le barriere di accesso al mercato si è già visto quanto accade ad esempio nel trasporto
aereo; diversa appare, invece, la situazione relativa ai costi/barriere all'uscita poichè in
alcuni casi la recuperabilità6 degli investimenti sembra realizzabile.
Rispetto alla mobilità degli utenti va precisato che essa può risultare particolarmente
difficile da ipotizzare nel caso del trasporto merci, in cui si verifica che le relazioni di
lunga durata fra imprese e trasportatori possano fungere da fattori inerziali e, soprattutto,
che il trasporto vero e proprio non sia che un anello delle attività di logistica dell'impresa
produttrice di merce, così da risultare il trasportatore meno intercambiabile.
Quanto alla vischiosità delle tariffe è da tenere presente che queste, tranne nel caso del
trasporto aereo in cui le risposte ai concorrenti sembrano essere particolarmente rapide
(almeno nel caso delle compagnie statunitensi), in tutti gli altri casi esse vengono stabilite
in base ad accordi fra diversi soggetti che possono risultare di difficile e lunga costruzione.
Le considerazioni precedenti ne richiamano altre ancor più generali rispetto ai settori
considerati che portano a concludere per il riconoscimento di una validità unicamente
normativa, e non interpretativa, della modellizzazione in termini di mercati contendibili.
Nel caso specifico dei trasporti, caratterizzato dalla produzione congiunta, occorre notare la
difficoltà di avere una configurazione naturale del numero di imprese su un mercato la cui
delimitazione include un gruppo di prodotti; la discussione da qui in poi si sposterebbe su
un problema già posto da Marshall sulla definizione di industria come un raggruppamento
di prodotti ottenuti dalle imprese in condizioni di costo molto diverse purchè la produzione
multipla generi importanti economie di scopo. E' evidente come tutta la serie di problemi e
questioni sollevati possano costituire terreno fertile di ricerca applicata ai trasporti.
2.4. La struttura industriale determinata dalla domanda
2.4.1 Concorrenza monopolistica perfetta e oligopoli naturali
Studi di economia industriale relativamente recenti hanno elaborato modelli in cui le
preferenze dei consumatori finali o intermedi (ossia degli acquirenti di beni e servizi finali
6
Gli investimenti possono essere recuperati ad esempio spostando i macchinari e le attrezzature su un altro
mercato; la misura in cui tale spostamento sia possibile è legata a quella che viene definita specificità degli
investimenti che definisce il grado di interdipendenza di questi ultimi dall'attività per la quale erano stati fatti,
quanto minore è la specificità di una risorsa tanto maggiore è la sua recuperabilità.
14
15
o intermedi) svolgono un ruolo nella determinazione della struttura industriale naturale.
Quest'ultima quindi, anzichè corrispondere alle condizioni di efficienza tecnologica,
traduce una situazione di differenziazione ottimale, come risultato dell'interazione fra le
preferenze e tecnologia (Gaffard, 1990).
La nozione di base dei modelli "basati sulla domanda" è quella di differenziazione con la
quale si indicano le variazioni di caratteristiche di beni appartenenti ad un stesso gruppo;
sono ad esempio sono considerati prodotti differenziati diversi modelli di una stessa
automobile (differenziazione orizzontale) oppure due automobili diverse (differenziazione
verticale). A tale nozione corrisponde, dal lato dell'offerta, quella di segmentazione del
mercato (inteso come unico), un fenomeno che Quinet 1993 (si veda par. 1.2.2) analizza
invece in termini di "profusione di mercati"; il riferimento all'uno o all'altro concetto è
quindi funzionale agli obiettivi di studio che le analisi si propongono.
Per l'analisi delle possibilità di differenziazione orizzontale Lancaster (1975) ha elaborato
un modello nel quale la struttura industriale naturale viene a configurarsi di "concorrenza
monopolistica perfetta", come lo stesso Lancaster la definisce, e in grado di considerare
anche il caso di imprese multi-prodotto. Tale struttura si differenzia dalla concorrenza
perfetta poichè considera prodotto e preferenze dei consumatori non omogenei ed
economie di scala, ma anche dalla concorrenza imperfetta poichè l'entrata sul mercato è
libera, non esiste collusione fra imprese, nè incompletezza o asimmetrie d'informazione.
In equilibrio il modello risulta in un grado di differenziazione pari la numero di imprese,
poichè ciascuna di esse produce un bene unico in condizioni di concorrenza monopolistica,
ossia con una discrezionalità teorica nella fissazione dei prezzi che però in equilibrio non
produce profitti a causa dell'entrata libera sul mercato.
Il modello di Lancaster implica la possibilità che il numero di imprese possa crescere
indefinitamente nel momento in cui i costi fissi per l'entrata diminuiscano e la dimensione
dell'economia aumenti. Al contrario il secondo modello che viene considerato, quello di
Shaked e Sutton (1987), dimostra che nel caso di differenziazione verticale esiste un limite
massimo di imprese, definendo così la nozione di oligopolio naturale.
L'esistenza del limite superiore al numero di imprese del modello dipende unicamente dalle
preferenze e dalla distribuzione dei ricavi e deriva da un meccanismo di concorrenza fra
prodotti; inoltre tale limite è particolarmente robusto rispetto a riduzioni dei costi fissi (e
15
16
quindi dei costi medi unitari che il prezzo deve almeno compensare) e ad estensioni del
mercato.
E' da notare in questo modello il ruolo attribuito ai costi fissi che, secondo gli autori del
modello, appaiono determinanti una struttura di oligopolio, non per la loro rilevanza, ma
perchè si sostituiscono a dei costi variabili più elevati. In uno degli esempi riportati da essi
stessi si afferma che la produzione di aerei e di grandi computer è limitata a poche imprese
non a causa di costi fissi di produzione di sviluppo dei prodotti troppo alti in relazione
all'ampiezza del mercato, ma piuttosto perchè esiste la possibilità, affrontando inizialmente
costi fissi addizionali, di spostare costantemente la frontiera tecnologica verso prodotti più
sofisticati (Shaked, Sutton 1987)
Nella letteratura esaminata non vi sono contributi che esaminino il settore dei trasporti
verificando la capacità interpretativa di tali modelli, mentre invece è frequente la
descrizione della segmentazione del mercato che rappresenta una parte della
fenomenologia che i modelli vorrebbero interpretare. La rassegna che segue include alcuni
dei contributi che alla segmentazione del mercato dedicano maggior spazio.
2.4.2 La segmentazione del mercato e fattori di competizione
I due contributi considerati sono lo studio del 1988 condotto dal Dipartimento di scienze
economiche dell'Università di Roma La Sapienza (sotto la responsabilità scientifica di
Bruno) nell'ambito del Progetto Finalizzato Trasporti 1, e lo studio Cesit 1988 (curato da
Mercurio), l'uno riguardante il trasporto merci su strada, l'altro il settore ferrotranviario con
una evidente ottica di filiera.
Trasporto su strada
Il primo dei contributi, qui riportato per la metodologia di individuazione dei segmenti,
analizza la segmentazione del mercato partendo dalla considerazione che gli ambiti di
mercato separati, anche se comunicanti, sono caratterizzati da "condizioni specifiche di
esecuzione e di organizzazione del processo produttivo, e nei quali le relazioni esistenti tra
committenti e fornitori, da una parte, e, dall'altra, tra imprese di trasporto assumono
conformazioni particolari" (Bruno 1987:257).
Diverse sono le fonti della segmentazione: la prima distinzione presentata è quella fra
trasporto a carico completo (con un unico punto di carico ed un unico di scarico) e quello
16
17
di collettame (piccole partite per più destinatari). Nel primo caso vi è pieno utilizzo della
capacità del mezzo di trasporto.
Una seconda fonte di segmentazione è data dalla specializzazione dei mezzi: accanto ai
cassonati (veicoli con pianale di carico pieno) esistono i veicoli che possono trasportare
solo un determinato gruppo di prodotti, come ad esempio le bisarche per le automobili e i
mezzi refrigerati per i prodotti alimentari freschi. La tendenza riscontrata nello studio è
quella di una spinta da parte delle imprese a specializzare il loro parco macchine e quindi
ad operare solo su certi segmenti di mercato.
La terza ed ultima forma di segmentazione presentata è relativa più al comportamento delle
imprese che alle caratteristiche dei prodotti e per questo si presta anche a considerazioni su
aspetti riguardanti l'organizzazione del trasporto. si tratta della bipartizione, basata sul tipo
di rapporto esistente fra committente e fornitore, in settore "programmato" e settore "spot".
Nel primo tra i due soggetti individuati prevalgono rapporti di collaborazione di lunga
durata, a volte esclusivi, attraverso i quali l'impresa mantiene il controllo della funzione di
trasporto esternalizzata, riproponendo così, anche se in forme diverse, alcuni problemi che
l'esternalizzazione doveva risolvere, come l'ottimizzazione della capacità produttiva
potenziale data ("la domanda di trasporto just-in-time non è domanda di trasporto, bensì
domanda di 'disponibilità permanente potenziale' afferma Bruno 1987: 46).
Tali argomenti offrono l'opportunità di sottolineare ulteriormente il ruolo giocato dalla
domanda delle imprese nella conformazione dell'offerta di trasporto delle merci. Nel
segmento spot le condizioni di esecuzione del servizio, le cui caratteristiche sono di tipo
standard, vengono contrattate di volta in volta dando margine ad una concorrenza basata
sul prezzo.
Al contrario nel segmento caratterizzato da contratti di lunga durata, la cui convenienza
rispetto all'internalizzazione ha origine nella specificità degli investimenti richiesti (per un
riferimento teorico si veda Williamson 1986, per un riferimento applicato ai trasporti
Varaldo 1981, Lopez 1988, Van Zijst 1993) e nelle esigenze dettate dall'organizzazione
della produzione (decentramento produttivo e produzione just-in-time; si veda Leon 1986,
Bruno 1987, Succi 1994, Bologna 1995, Simons 1995, Cooper 1995), si presenta una "forte
dispersione dei prezzi per prodotti simili" (Bruno, 1988:259) e la concorrenza è basata
sulla qualità del servizio comprendendo in essa il grado di customizzazione, l'ampliezza
della gamma di servizi offerti, l'affidabilità e la disponibilità del trasportatore.
17
18
Rispetto alla dimensione delle imprese committenti la segmentazione del mercato non
appare in Bruno 1987 essere fonte di distinzione fra piccole e grandi imprese: "non può
essere adottata, cioè, una rappresentazione che veda da una parte le grandi imprese le quali
generano flussi costanti e stabili di traffico e sviluppano rapporti di lunga durata con alcune
imprese di trasporto, e le piccole che di volta in volta contattano un trasportatore diverso
badando soprattutto alle condizioni di prezzo da questo offerte" (Bruno, 1987:260).
Infine vanno riportate le osservazioni sul condizioni del gioco concorrenziale contenute in
Bruno 1987 che mettono ben in rilievo l'interazione fra domanda e tecnologia di cui si è
parlato sopra a proposito del ruolo di queste componenti nella determinazione della
struttura. Nei ristretti segmenti di mercato in cui si effettuano trasporti specializzati, quelli
che più spesso sono oggetto di contratti di lunga durata, si contano pochi operatori sia dal
lato dell'offerta ( a causa delle barriere all'ingresso costituite dalla specificità, o
idionsicraticità nel linguaggio di Williamson, degli investimenti e delle conoscenze
necessarie) che della domanda. Tali condizione favoriscono "rapporti di collusione fra
offerenti che tendono da una parte a regolare la concorrenza reciproca, dall'altra a ottenere
il riconoscimento di un relativo potere di mercato garantito dal possesso di mezzi
produttivi specifici e limitati" (Bruno 1987: 261).
Settore ferrotranviario
Il secondo contributo (Mercurio 1992), avente per oggetto il settore ferrotranviario, ossia
"l'insieme delle aziende che soddisfano il bisogno di fornitura di materiale rotabile e
impianti fissi degli esercenti nazionali, locali e regionali e che utilizzano tecnologie
meccaniche, elettromeccaniche ed elettriche" (Mercurio 1992:5), presenta due
caratteristiche rilevanti ai fini di questa rassegna: la prima concerne i tipi di segmentazione
individuati, la seconda è che esso rappresenta uno dei rari esempi di analisi, condotte in
Italia, di quella che si può considerare la filiera del trasporto (si veda anche l'indagine
condotta dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato 1995).
La segmentazione del mercato dei prodotti ferrotranviari che ne è risultata è di tipo
geografico e trova la sua determinante nelle caratteristiche della domanda (si veda anche
Cesit 1989), in particolare nella "forte incidenza del volume delle commesse gestite dagli
esercenti le ferrovie nazionali, le barriere che impediscono l'entrata di concorrenti stranieri
nei paesi in cui vi è la presenza di un'industria ferrotranviaria locale, la ripartizione delle
commesse in base al principio delle quote storiche che hanno favorito la formazione di un
mercato europeo costituito da un insieme di mercati nazionali captive separati l'uno
18
19
dall'altro, e ognuno dotato di una struttura industriale caratterizzata da un basso grado di
concorrenza" (Mercurio 1992:29). Le imprese sono state indotte a produrre secondo le
esigenze dell'esercente del proprio paese che è stato quindi il loro unico acquirente,
acquistando così il ruolo di monopsonista sul mercato nazionale.
A fronte della domanda così come è stata presentata l'offerta ha subito una segmentazione
di tipo tecnologico (facendo dunque intravedere di nuovo come la struttura sia frutto
dell'interazione domanda-tecnologia) che opera una partizione delle imprese in quelle del
gruppo elettrico e quelle del gruppo meccanico.
Nella prospettiva dell'apertura dei mercati, però, la segmentazione rilevante viene
individuata in quella basata sulle "differenti esigenze di mobilità (mobilità su media e
lunga distanza, mobilità su breve distanza) e al tipo di funzione (passeggeri e merci)"
(Mercurio 1992:29).
Capitolo 3.
Comportamenti e perfomance delle imprese
Alessandra De Lellis
3.1. L'efficienza delle imprese
In questo paragrafo trovano spazio due questioni: la prima, notevolmente dibattuta sulla
misurazione dell'efficienza delle imprese di trasporto in particolare quelle di trasporto
pubblico locale, la seconda, cui è stato dedicato pochissimo spazio (e che anche in questa
sede ne troverà molto meno di quanto non sarebbe necessario), riguarda, invece, gli aspetti
economico-organizzativi che hanno a che fare con l'efficienza delle imprese.
3.1.1. Misurazione della performance
L'analisi e la valutazione dell'efficienza tecnica delle imprese di trasporto ha riguardato
soprattutto il trasporto pubblico locale, ossia il servizio urbano ed extraurbano fornito
attraverso autobus, tram e ferrovie metropolitane, per motivi sostanzialmente connessi al
ripianamento del deficit delle aziende erogatrici del servizio da parte delle amministrazioni
pubbliche. La letteratura sull'argomento sia dal punto di vista metodologico che applicativo
è molto ricca, ma anche densa di interrogativi sia sulla correttezza metodologica di alcuni
indicatori sia sulla disponibilità di dati per il loro calcolo.
19
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Tale ricchezza di studi deriverebbe dalla necessità che le imprese di trasporto sia pubbliche
che private hanno di un set di indicatori di performance in grado di identificare con
sufficiente dettaglio le fonti reali di perdita e di guadagno della produttività complessiva;
"da un punto di vista ideale tali misure sarebbero più che dei monitor ex post: esse
avrebbero la capacità di fornire una guida ex ante su cosa fare per migliorare la
produttività" (Hensher, 1992:433). A tal fini si potrebbe anche ricondurre la spinta
all'elaborazione di indicatori di produttività derivante dall'esigenza delle aziende pubbliche
di monitorare le proprie attività attraverso misure di facile comprensione, oltre che quella
delle autorità preposte al monitoraggio delle attività regolate (su quest'ultimo argomento si
veda Putterill e Maani, 1992).
Maggiore attenzione sembrerebbe, invece, essere stata riservata dagli analisti del trasporto
al problema dell'elaborazione di una misura di produttività totale dei fattori (total factor
productivity, TFP) che possa servire nel confronto tra imprese di trasporto e nel tempo.
Tale indicatore esprime l'ouput per unità di input e sebbene sia concettualmente molto
semplice il suo utilizzo nell'operare i confronti citati presenta alcuni rilevanti problemi. E'
tuttavia da notare che tale misura rappresenta un passo in avanti rispetto alle misure di
produttività parziali.
Il principale problema concettuale del TFP deriva dall'ipotesi dell'unicità dell'output e
dell'input: ogni impresa, infatti, produce molti tipi di beni o servizi impiegando vari tipi di
input. La soluzione a tale problema è la costruzione di indici aggregati di input e output,
ottenuti grazie a pesi attribuiti a questi ultimi sulla base della loro quota rispettivamente sui
costi totali (o variabili) e sul ricavo totale. Correlato a quanto detto è il problema
dell'aggregazione dei prodotti e degli input, problema comune a tutte le misurazioni della
produttività e che, sebbene si dichiari superabile (Windle, Dresner 1992) comporta
comunque un'alta costosità del calcolo del TFP.
La misura alternativa di produttività complessiva più utilizzata è la spesa totale sul ricavo,
una misura del costo unitario che ha i vantaggi della facilità del calcolo e della non
considerazione di tutti gli input. A tali vantaggi si contrappongono tuttavia due difetti
principali di tale misura: essa non riflette accuratamente il costo degli beni capitali
impiegati e, inoltre, per il suo calcolo gli input sono considerati per il loro valore nominale,
piuttosto che per quello reale.
20
21
Alternative al TFP sono pure le misure di produttività parziale, anch'esse non esenti da
problemi; in particolare esse considerano solo un sottoinsieme degli input impiegati e un
sottoinsieme di output ottenuti, oltre che trascurare i problemi derivanti dalla natura non
omogenea dei beni e servizi considerati.
Quanto detto finora si riferisce a quello che viene definito un "approccio non parametrico"
alla definizione di numeri indici di produttività costruiti sulla base dei dati;
alternativamente è possibile costruire misure parametriche sulla base della stima di
funzioni di produzione o di costo, i cui "slittamenti" (rispettivamente verso l'alto o verso il
basso) vengono attribuiti al progresso tecnico (considerato neutrale à la Hicks) e
interpretati come variazioni di produttività (per un maggiore dettaglio su tale approccio e
un confronto fra i due metodi, si veda Oum, Tretheway e Waters, 1992).
La stima della funzione di costo, per la quale valgono tutte le osservazioni fatte nel
precedente paragrafo, dai problemi di aggregazione all'inserimento fra le variabili di una
misura della dimensione del network, procede a partire dalla specificazione del modello
(scelta della categoria di costo a cui ci si riferisce e delle variabili che devono essere
incluse) e dalla scelta della forma funzionale per poi giungere alla scelta della tecnica di
stima.
Particolamente interessante per gli studi sui trasporti è risultato essere l'approccio della
frontiera tecnica, secondo il quale viene stimata una funzione deterministica o stocastica
che viene a configurarsi come il confine "efficiente" delle imprese studiate e con il quale
queste stesse si confrontano. L'approccio si presenta in netto contrasto con quello
tradizionale di stima della funzione di costo tramite regressione (ricostruzione della
funzione dei valori medi) dei dati osservati (si veda la figura sotto, da Oum, Tretheway e
Waters, 1992:498); un'applicazione di tale metodo si trova in Montella (1994).
figura
Nell'ambito del dibattito sulla verifica dell'efficienza delle imprese di trasporto pubblico si
inserisce il contributo di Fazioli 1993 in cui si propone un'applicazione del frontier
approach, basato sulla stima della frontiera delle funzioni dei costi; l'efficienza
dell'impresa viene ad essere una funzione della distanza del proprio costo da quello
espresso dalla frontiera (per ogni livello di output).
21
22
Il lavoro di Fazioli (si veda anche in appendice 1) si propone di contribuire al dibattito sulla
riforma della regolamentazione del trasporto pubblico su strada offrendo spunti di
riflessione sulla struttura dei costi caratterizzanti l'offerta. Oggetto di valutazione è stata
l'efficienza di 40 aziende operanti in Emilia-Romagna, di cui 10 pubbliche, basata su un
panel-data composto dalle osservazioni per ciascuna azienda relative al periodo 1986-1990.
Altra caratteristica interessante del lavoro è l'ipotesi di funzione translogaritmica per la
rappresentazione dei costi, introdotta nello studio sui trasporti da Friedlaender e Spady in
un articolo del 1981 (si veda anche in Del Viscovo 1990). Questa, seppure nell'ambito di
una metodologia parametrica per l'individuazione della frontiera, ossia di specificazione a
priori della forma funzionale di quest'ultima, permette di "effettuare due importanti
operazioni: 1)definire la struttura efficiente dei costi standard a fini regolamentativi, e
2)stimare la consistenza dei probabili effetti di modifiche sulla configurazione dell'offerta
stessa" (Fazioli, 1993:537).
I risultati del lavoro riguardano principalmente l'irrilevanza della natura proprietaria sul
livello di efficienza di costo delle imprese considerate e quindi non vi è conferma empirica
della superiorità dell'offerta privata così come riportata dalla letteratura; altrettanto
importante, ai fini normativi, è quanto risulta rispetto allo sfruttamento delle economie di
scala del network e delle economie di densità (o di intensità d'uso) del network. La
distinzione fra i due tipi di economie implica che il concetto di efficienza tecnica venga
definito in riferimento sia all'ottimalità della scala d'attività generale che all'ottimalità
dell'attività rispetto ad un dato network.
I risultati di Fazioli mostrano come al diminuire della dimensione dell'azienda sia le
economie di scala che quelle di densità aumentano7 e dunque "come la regolamentazione
attualmente in vigore impedisca la selezione di configurazioni dell'offerta tecnicamente più
efficienti, ovvero finisce per cristallizzare il settore in una configurazione eccessivamente
frammentata" (Fazioli 1993:529-530); scala d'attività e intensità d'uso del network non
sono, infatti, variabili decisionali delle aziende poichè dipendono dalle caratteristiche della
domanda e della politiche attuate per il trasporto pubblico.
7
Solo apparentemente l'affermazione sembra contraddire "il comune senso delle economie di scala": occorre
infatti ricordare che un indicatore di economie di scala misura (si veda par.1.3.2) quanto l'aumento della scala del
network può contribuire ad una diminuzione di costi. Un aumento di economie di scala al diminuire della
dimensione di impresa equivale a dire che quanto più l'impresa è piccola tanto maggiori sarebbero i guadagni
potenziali (ovvero i risparmi di costo) se la sua dimensione aumenta. Lo stesso dicasi per le economie di densità.
22
23
Le indicazioni che derivano dall'analisi svolta vanno nella direzione di incentivi alla
fusione ed alla creazione di consorzi che a loro volta aprono una riflessione in termini di
regolamentazione; quest'ultima dovrebbe prevenire uno sbilanciamento della situazione
dalla parte dell'efficienza tecnica a scapito di quella allocativa in cui la presenza di pochi
soggetti forti possa tradursi in danno per l'utenza.
In un ambito più tradizionale, almeno rispetto all'analisi dell'efficienza, si collocano altri
due contributi italiani: lo studio (tuttora in corso) dell'Università di Napoli e diretto da
Montella per il Piano finalizzato trasporti 2 del CNR e la ricerca del Formez del 1988. Il
primo (nella sua relazione annuale del 1994) si compone di una dettagliata rassegna
bibliografica avente per argomento gli indicatori di performance e di una seconda parte
dedicata al calcolo di indicatori, previa verifica della disponibilità di dati.
La rassegna, che qui sarà illustrata per sommi capi e limitatamente agli spunti più originali,
inizia con il vasto lavoro di Tomazinis (1985) che elabora indicatori per aree di interesse
del servizio distinguendolo in servizio primario, comprendente i servizi realizzati sulla rete,
alle fermate , ai terminal ed ai servizi ad essi associati, e in servizio ausiliario, ossia le
componenti del trasporto che comprendono la pianificazione, la costruzione e
l'organizzazione delle operazioni, della direzione e della manutenzione.
Diversamente elaborato il criterio di efficienza dello Stato di New York che si basa
sull'analisi dell'affidabilità dei vari modi di tipi di trasporto e delle determinanti dei costi e
dei ricavi; mentre l'indagine di Directa (1978) è volta ad elaborare indicatori che
permettano il confronto tra settore pubblico e privato degli autotrasporti pubblici
extraurbani. Sulla base della finalità d'uso si presentano raggruppati gli indicatori proposti
dall'Ocse: 1)indicatori per la pianificazione del servizio, 2)indicatori necessari per la
valutazione interna nel tempo, 3)indicatori da utilizzare per la comparazione tra le diverse
unità di esercizio, 4)indicatori per la comparazione tra le diverse reti.
Gli indicatori scelti per la valutazione della perfomance delle imprese di trasporto
esaminate da Montella (1994) sono raggruppabili in tre gruppi: 1)gli indicatori di
efficienza, 2)gli indicatori di efficacia, 3)gli indicatori di qualità. Per il loro calcolo è stata
utilizzata la base di dati fornita dalla Cispel che attraverso questionario rileva dati su: stato
patrimoniale, conto economico, ammortamenti e accantonamenti, personale e aspetti
tecnici di produzione.
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Il secondo lavoro esaminato è la ricerca del Formez sulla performance delle aziende del
trasporto pubblico e dei suoi legami con la spesa pubblica; esso seppure, come si vedrà,
non riporta nessuno degli aspetti problematici del calcolo della produttività, ha una
premessa particolarmente interessante poichè costituisce uno dei pochi, se non l'unico,
studio sui trasporti che si sviluppi a partire da considerazioni di teoria economica
dell'organizzazione, riconoscendo che lo studio delle variabili finanziarie non sia
sufficiente, benchè necessario, a ricostruire con efficacia il quadro conoscitivo sui
comportamenti e le perfomance delle imprese. L'approccio seguito è quello comune alle
recenti analisi delle organizzazioni, e si basa sulla teoria dell'agenzia, immaginando che
"l'intero processo decisionale che dà luogo alla produzione di trasporto pubblico possa
essere rappresentato da una catena di rapporti principale/agente" (Formez, 1988: 244). Il
principale è colui che, per realizzare uno o più suoi obiettivi, pone in essere una relazione
contrattuale con l'agente, il quale è caratterizzato da obiettivi differenti da quelli del
principale (ognuno dei soggetti agisce al fine di rendere massima la propria utilità) e le cui
azioni non sono controllabili. Al fine di ridurre al minimo sfruttamenti opportunistici di tali
asimmetrie operati dagli agenti, la cui conseguenza sarebbero servizi di bassa qualità ed
alto prezzo, il principale deve stabilire un sistema complesso di incentivi (premi e
penalizzazioni) che renda conveniente all'agente agire in modo da realizzare gli obiettivi
del principale.
L'applicazione della teoria dell'agenzia al trasporto pubblico, in ogni caso, incontra
difficoltà a causa della pluralità di principali: ad esempio "la domanda di trasporto pubblico
(i cui soggetti sono i principali del primo anello della catena) non è determinata unicamente
dalla preferenza dei cittadini, ma anche da quella dei produttori di mezzi di trasporto
privato e da quella dei produttori dei beni di investimento del trasporto pubblico" (Formez,
1988: 245).
Il contributo del Formez si sviluppa con un'analisi del ruolo del management nella gestione
delle imprese condotta attraverso un'indagine campionaria su membri delle commissioni
amministratrici e funzionari e dirigenti, volta a verificare alcune ipotesi di lavoro derivanti
dal modello di comportamento assunto. Tale modello prevede, a parte alcuni casi
particolari, due diversi comportamenti standard delle imprese a fronte di un aumento o di
un taglio ai trasferimenti all'azienda: il primo caratterizzato da "assenza di reazioni", tipica
dell'impresa privata neoclassica o dell'impresa a proprietà ristretta dominate dalle finalità di
profitto; gli effetti delle variazioni in esame dovrebbero limitarsi al saldo (utile o perdita)
del bilancio aziendale e non incidere sulle quantità o sui prezzi fissati per la
massimizzazione del profitto in condizioni di concorrenza perfetta o di monopolio in cui
24
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tali imprese operano. Eccezionalmente possono aversi aggiustamenti di quantità o prezzo
nei casi in cui le variazioni di trasferimento incida su un vincolo dell'impresa, ad esempio
l'accesso al mercato dei capitali.
Il secondo tipo di comportamento, in parte collegato alle eccezioni appena citate, riguarda
l'impresa pubblica, le cui scelte aziendali sono fatte sulla base degli obiettivi di soggetti
non proprietari: "se lo sponsor (Stato, Regione o Comune) interviene soprattutto fissando
vincoli all'azienda (ad esempio, per quanto riguarda il saldo di bilancio, e/o il ricorso
all'indebitamento), è evidente che il prelievo o il trasferimento vengono a rafforzare o ad
attenuare questo tipo di vincoli e per questa via possono provocare aggiustamenti delle
scelte" (Formez, 1988:255). Per discriminare i due comportamenti dunque si è osservato, a
fronte della simulazione di variazione dei trasferimenti proposta nell'indagine, la
graduatoria delle preferenze degli intervistati rispetto alle variazioni da apportare nei piani
aziendali: se queste ultime si riflettono nel solo saldo di bilancio si parlerà di
comportamento da impresa massimizzatrice del profitto, altrimenti di "discrezionalità
manageriale".
I risultati affermano che nel caso di necessità di tagli la prevalenza delle risposte indica un
trasferimento degli oneri all'esterno dell'impresa, con aumento delle tariffe e delle
sovvenzioni, mentre i "sacrifici interni" consistono in una possibile riduzione del personale
dei servizi generali.
Nel caso di maggiori disponibilità di fondi si privilegiano gli investimenti, mettendo
all'ultimo posto interventi a favore degli utenti (riduzione tariffarie); gli autori dello studio,
notando che si tratta soprattutto di investimenti per ampliare la capacità produttiva, fanno
rilevare come, a fronte di una domanda in calo come quella del periodo considerato (1982'86) in tutte le aziende del campione, tale dato non sia facilmente spiegabile con le finalità
sociali e che, d'altra parte, confermerebbe l'ipotesti teorica della tendenza alla
sovracapitalizzazione delle imprese dovuta al comportamento dei dirigenti. "Il ricorso
all'investimento appare a livello aziendale appare come la migliore, e probabilemente
l'unica, risposta per arrestare il declino della situazione economico-finanziaria delle
imprese e più in generale del loro stesso ruolo" (Formez, 1988:303): tale situazione sarebbe
il risultato del contesto in cui operano le imprese di trasporto pubblico, caratterizzato dalla
concorrenza dei mezzi privati e contemporaneamente dall'assenza di una sufficiente
autonomia decisionale.
25
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L'indagine dimostra inoltre che i responsabili aziendali non utilizzano il margine
discrezionale di cui dispongono neanche in quelle spese amministrative per le quali si parla
di "bilancio discrezionale del manager". Parallelamente, però, non appaiono sviluppate le
funzioni di marketing la cui attività potrebbe risultare particolarmente importante,
soprattutto in corrispondenza della revisione delle tariffe, momento in cui lo sfruttamento
di una disponibilità a pagare esistente e la conoscenza della domanda potenziale darebbero
risposte nuove all'esigenza di adeguamento agli aumenti di costo.
La perfomance delle imprese costituisce il secondo tema del lavoro esaminato e viene
studiata per le imprese appartenenti al campione considerato, attraverso indicatori relativi
alla produttività dei fattori e ai costi unitari. Per l'utilizzo di tali indicatori si fa riferimento
ad una "letteratura empirica ormai consolidata" evitando la discussione sulla correttezza
dell'approccio e sui limiti di tali indicatori stessi, discussione a cui, come si è visto, molti
contributi sono stati dedicati recentemente.
I risultati dell'indagine indicano innanzitutto un allargamento della forbice fra costi e ricavi
unitari; di tale fenomeno, che non necessariamente è un segnale di inefficienza date le
esternalità positive generate dal trasporto pubblico, si ritiene preoccupante l'entità. Inoltre
esso è avvenuto in un periodo in cui la produttività subiva due spinte contrastanti: da un
lato c'è stato un miglioramento della produttività del capitale, dall'altro, anche a causa della
diminuzione delle ore lavorative, il fattore lavoro è maggiormente sfuggito a tentativi di
gestione volta ad una maggiore produttività.
Accanto a condizionamenti esterni di tipo istituzionale, come la contrattazione collettiva
sull'orario di lavoro, la produttività ha risentito dell'effetto della congestione derivante
dall'aumento del traffico privato. A ciò evidentemente si collega anche la diminuzione
della domanda che, influendo negativamente e rapidamente sui ricavi, ha determinato una
diminuzione della redditività delle aziende. L'effetto totale è quello di "una sorta di circolo
vizioso costituito dalla riduzione della domanda, dal peggioramento della situazione delle
aziende, dalla carenza di incentivi e da un'ulteriore caduta della domanda" (Formez, 1988:
307).
3.1.2 Aspetti economico-organizzativi
Due sono i punti che si vogliono portare, sia pur con una breve esposizione, all'attenzione:
il primo riguarda l'evoluzione dell'organizzazione del trasporto just-in-time, il secondo la
struttura reticolare delle imprese di trasporto.
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Trasporto e produzione just-in-time
Rispetto al primo si seguirà il contributo di Pugno 1992, il quale mette in evidenza come la
produzione just-in time abbia determinato una corrispondente trasformazione
dell'organizzazione della logistica di distribuzione e quindi del servizio di trasporto che ha
anche accresciuto l'efficienza del sistema nel suo complesso.
Fino all'affermazione della produzione just-in-time la molteplicità di stabilimenti di
produzione accompagnata ad un ampio mercato richiedeva l'organizzazione di una rete di
filiali ciascuna con magazzino per la scorta dei prodotti finiti in tutta la loro gamma, e ciò a
causa di due fattori: l'inefficienza della rete di trasporto e la difficoltà di trasmissione
veloce e a basso costo delle informazioni sugli ordinativi (sul ruolo dell'informazione nella
logistica si veda anche Bruno 1988) e sulla disponibilità della merce.
La produzione just-in-time, minimizzando le scorte di magazzino, ha trasformato anche la
logistica, in base allo stesso criterio, che è giunta ai sistemi di transit point (la "ribalta" per
i corrieri). Questi ultimi sono luoghi in cui quotidianamente affluiscono le merci per i
clienti del loro bacino di riferimento, e immediatamente ricaricate sui mezzi trasportanti
collettame per la distribuzione finale. Tale organizzazione permette che la merce esca
dall'impresa produttrice solo a fronte dell'ordinativo del cliente.
Le condizioni affinchè l'intera organizzazione possa dimostrarsi efficiente consistono in un
sistema informativo che consenta di conoscere in tempo reale la disponibilità di merce in
risposta al cliente, e in flussi di merce le cui dimensioni consentano invii quotidiani ai
transit point.
La struttura reticolare delle imprese
Il raggiungimento dell'efficienza nel caso di imprese la cui struttura possa definirsi
reticolare, come accade per numerose imprese di trasporto, sembra non disgiungibile
dall'attuazione di un coordinamento fra le imprese stesse, anzi Carlton e Klamer (1983)
affermano l'esistenza di un trade-off fra efficienza e competizione nelle industrie a rete.
L'argomento sembra particolarmente interessante nel caso dell'analisi delle imprese di
trasporto, e ciò sembra dimostrato dal fatto che gli autori citati sopra hanno considerato la
ferrovia come uno dei loro casi di studio; inoltre implicazioni interessanti appaiono
derivare all'attività di organizzazione della logistica (del tipo accennato sopra).
27
28
Nel caso delle imprese di trasporto la struttura reticolare, intorno a più poli di carico, è
dettata dalla necessità di evitare i ritorni vuoti e può essere gestita in prima persona dalle
imprese di trasporto oppure attraverso Agenzie che collegano imprese produttrici di merci
e imprese di trasporto, almeno per le imprese non marginali che non usufruiscono di tali
reti (si veda Bruno, 1987).
L'esigenza di coordinamento può essere letta nella realizzazione di numerosi accordi di
collaborazione interessanti non solo clienti primari e fornitori, ma anche imprese di
trasporto collocate in ambiti territoriali diversi.
La rilevanza della struttura reticolare nel caso innovazioni tecnologiche e organizzative
richiederebbe un approfondimento, impossibile in questa sede, che, considerando anche
quanto elaborato in altri ambiti (es. telecomunicazioni) potrebbe rappresentare una ampia
prospettiva di ricerca.
3.2. Innovazione tecnologica e imprese
Per i primi due paragrafi si seguirà il contributo di Beltrami 1994 che, caso raro nel
panorama della letteratura sull'economia dei trasporti, ha affrontato l'argomento
dell'innovazione tecnologica a partire dall'analisi delle determinanti e sottolineando i
rapporti tra fornitori e utenti come fonte di innovazione, arricchendone l'apporto con altri
contributi italiani sul tema e alcune annotazioni riguardanti il contesto analitico da essi
considerato.
3.2.1 Analisi dell'innovazione
Richiamando Kline e Rosenberg il percorso dell'innovazione viene ad essere considerato da
Beltrami 1994 come il "risultato di un insieme di connessioni e retroazioni tra mercato,
conoscenze tecniche e scientifiche, capacità progettuali, ricerca e produzione e
commercializzazione, in cui il fattore economico -riduzione dei costi, produttività ecc.- è
rilevante, ma non sufficiente a spiegarne la traiettoria". Infatti, aggiunge lo studioso, "tra i
fattori che meglio si prestano a spiegare il formarsi dell'innovazione tecnologica sono gli
squilibri che caratterizzano le configurazioni dei prodotti tecnici nei diversi tempi della
loro evoluzione, sia al loro interno, sia nelle loro interazioni con altri prodotti o con
l'ambiente esterno. L'esigenza di superare questi squilibri costituisce non solo una spinta
verso nuove soluzioni tecniche ma ne obbliga -in qualche modo- le sequenze". Lo
squilibrio considerato come esempio è quello dell'alta velocità ferroviaria che ha dato
28
29
luogo a una serie di azioni innovative nelle tecnologie ferroviarie per stabilire un nuovo
rapporto ruota/rotaia o veicolo/infrastruttura.
Discontinuità tecniche inoltre possono essere indotte da fattori normativi (come la
fissazione di standard inquinanti per i veicoli) e da vincoli nella disponibilità di risorse.
Questi fattori, secondo Beltrami, "pur entrando nel gioco dell'evoluzione tecnologica,
spiegano meno bene il concetto di tecnologia come processo cumulativo".
Conviene a questo punto alcune precisazioni generali sull'analisi economica
dell'innovazione tecnologica. Quest'ultima si caratterizza da un punto di vista analitico
come un processo di costruzione di nuovi opzioni produttive le cui configurazioni finali
nelle loro catteristiche tecniche ed economiche non possono essere conosciute a priori, a
meno che non si limiti l'innovazione tecnologica a sviluppo di prodotti o alle sole
innovazioni minori (dal punto di vista tecnologico).
Questa riflessione conduce ad una conclusione particolarmente rilevante dal punto di vista
dell'analisi economica: quest'ultima infatti non ha motivo e capacità di occuparsi degli
aspetti tecnico-ingegneristici delle innovazioni, ma deve, invece, essere in grado di
modellare il fenomeno innovativo, caratterizzato dalla sua dimensione dinamica, in quanto
avvio del processo di costruzione di nuove tecnologie dal punto di vista economico. Ciò
vuol dire che l'analisi economica dell'innovazione tecnologica non può che occuparsi della
condizioni di fattibilità dell'avvio di tale processo, studiando i vincoli che l'impresa e
l'intero sistema economico si trovano di fronte alla scelta di immettersi in un sentiero di
creazione di nuova tecnologia (intesa nel suo significato di messa a punto del metodo e dei
fattori di produzione).
L'implicazione di maggior dissenso con l'analisi svolta da Beltrami 1994 consiste nel
vedere il processo di innovazione non come un sentiero obbligato si sviluppo tecnico, ma
al contrario come un allargamento delle possibilità tecnologiche.
3.2.2 Capacità innovativa delle imprese e competitività dell'industria
L'analisi di Beltrami prosegue rilevando che le imprese italiane produttrici di mezzi di
trasporto soffrono della carenza di capacità di progettazione, individuata, invece, come
condizione più rilevante di innovazione, soprattutto nella fase iniziale di un prodotto in cui
l'interesse degli acquirenti è puntato soprattutto al contenuto innovativo e non al prezzo.
29
30
La scarsa capacità di innovazione tecnologica delle imprese italiane, sia produttrici di
mezzi di trasporto che erogatrici di servizi di trasporto, è inoltre conseguente alle
dimensioni delle risorse che esse dedicano alla R&S. A tale proposito il contributo di
Beltrami si avvale dei seguenti dati:
* % spesa per R&S su PIL * % ricercatori tecnici sulla forza lavoro
Italia
1,3%
3,1%
Germania
2,9
5,6
Francia
2,4
4,8
Giapppone
3
8,7
USA
2,8
7,7
dati Ocse 1991 e Onida-Malerba 1990
Spesa per R&S su ricavi netti - settore autoveicoli (principali case produttrici)
Fiat auto
2,5%
Volvo
5
Volkswagen
3,5
Renault
2,6
Ford Motor
2,8
Saab
7,3
Toyota
4
Accanto ai dati precedenti è possibile accostare quelli di Confindustria 1994, i quali
dimostrano, nell'ambito dell'intera industria italiana, caratterizzata da R&S poco
sviluppata, che i due settori afferenti al trasporto sono tra quelli a maggiore incidenza di
spesa per tale attività sul fatturato. Inoltre ramo di attività "autoveicoli e relativi motori"
presenta inoltre il maggior numero di domande di brevetto presentate in Italia e nell'Unione
europea (nel periodo 1988-1992 queste sono 2.294 su un totale di domande presentate pari
a 8.537).
Incidenza della spesa per R&S sul fatturato (in percentuale)
1991
1992
1993
autoveicoli
e relativi motori
4,38
altri mezzi di trasporto
3,56
4,23
4,84
3,74
4,45
La spiegazione avanzata da Beltrami 1994 per tale dimensione della funzione di R&S delle
imprese della filiera del trasporto vede nella difficoltà di ingresso di nuovi competitori
30
31
nella produzione di tecnologie di trasporto, dovuta alla forte specificità delle loro
applicazioni, la possibilità di sopravvivenza di un settore in cui il livello di competizione è
particolamente basso. Ciò costituirebbe anche la spiegazione dei lunghi cicli di vita dei
sistemi di trasporto.
Un lavoro analogo è stato svolto da Galimberti 1992 che ha messo a fuoco la debolezza del
sistema ferroviario italiano anche sotto il profilo della capacità innovativa sulla base dei
dati di spesa di R&S e degli addetti alla R&S ed alla progettazione, sottolineando "il
sottodimensionamento delle strutture di ricerca e progettazione nell'industria italiana
rispetto ai concorrenti esteri" (Galimberti 1992: 185).
L'immediata conseguenza della scarsa capacità di innovazione delle imprese italiane è la
loro debole competitività sui mercati esteri, dimostrata dai seguenti dati riportati da
Beltrami:
1980-90 Quota di esportazione sulla produzione, materiale ferrotranviario
Italia
5%
Francia
48%
Germania
50%
1980-90 Quota di esportazione sulla produzione, autovetture
Italia
40%
Francia
60%
Germania
50%
1980-90 Quota di esportazione sulla produzione, veicoli industriali
Italia
68%
Francia
47%
Germania
45%
dati ANFIA
31
32
1993 Quote del mercato di esportazione
autovetture
Italia
9,7%
Francia e Germania
28-30%
Giappone
21-22%
veicoli industriali
20%
20%
nd
dati ANFIA
1992 Bilancia commerciale mezzi di trasporto
esportazioni
importazioni
10% sul totale exp
24.300 mld
14% sul tot imp
34.400 mld
Annuario statistico ISTAT 1993
3.2.3 Opzioni tecnologiche
Senza alcuna pretesa di esaurire l'argomento si considerano due aspetti fortemente
connotati dalla tecnologia: l'intermodalità e il rapporto tra trasporti e telecomunicazioni,
dedicando a quest'ultimo più ampio spazio.
Intermodalità
Pur in presenza di importanti innovazioni tecniche (container, casse mobili,eccetera)
l'affermarsi dell'intermodalità sta richiendo molto più tempo di quanto la dichiarata
superiorità del sistema intermodale non facesse prevedere
L'evoluzione dell'intermodalità che Beltrami 1994 prospetta, tenendo conto delle possibili
innovazioni è quella dell'interoperabilità, di cui trova un esempio inquanto accade a
Karlsruhe, dove lo stesso veicolo può operare sia sulle infrastruttura ferroviarie che su
quelle della rete tranviaria urbana.
L'interoperabilità dovrebbe potersi avvalere, nell'affermarsi, del consolidamento del
concetto di separazione gestionale tra infrastruttura e servizio che rende meno rigido il
vincolo di specializzazione tra via e veicolo.
Trasporti e telecomunicazioni
32
33
All'argomento sono dedicati particolari attenzione e spazio per il fatto che costituisce un
argomento nuovo e da approfondire nelle sue condizioni di fattibilità e nei suoi effetti in
ambito economico; a ciò si aggiunge l'attenzione che esso sta ricevendo negli ultimi anni in
sede comunitaria, attraverso l'attuazione di alcuni progetti dedicati tra cui DRIVE e
PROMETHEUS.
Dal punto di vista dell'analisi dell'offerta di trasporto ciò che qui interessa dell'interazione
fra trasporti e telecomunicazioni sono sia l'aumento dell'efficienza e le nuove opzioni di
organizzazione del trasporto dovute alle telecomunicazioni, che il dimensionamento
dell'offerta basato sulle considerazioni di sostituibilità e complementarità fra i due settori.
Ciascuno dei due contributi illustrati (Giannopoulos 1993 e Campisi et alii 1990)
rappresenta uno degli aspetti di interesse. Per completezza va aggiunto che verrà trascurato
un aspetto che potrebbe costituire un interessante oggetto di analisi sull'evoluzione dei
sistemi logistici, si tratta della tendenza alla riduzione degli stock da parte delle imprese
che, dopo la spinta ricevuta grazie ai metodi di produzione just in time (strettamente
connessa l'attenzione ai sistemi di logistica), potrebbe subirne una ulteriore dall'aumentata
disponibilità delle informazioni offerta ai gestori della logistica (Cooper, 1995)
Il primo dei due lavori che verranno illustrati focalizza l'attenzione sul legame che qui
interessa dopo aver rilevato che "le innovazioni tecniche nel campo dei trasporti possono
essere legate a:
1. nuove tecnologie riguardanti i mezzi di trasporto (veicoli);
2. nuovi modi (pubblici o privati) di trasporto;
3. nuovi mezzi per migliorare la perfomance e il servizio dei modi esistenti;
4. nuove organizzazioni e forniture dei servizi di trasporto e/o di piani di traffico:
5. altri cambiamenti relativi ai sistemi di trasporto esistenti" (Giannopoulos 1993) e
riguardano due aree, quella costituita da veicoli e infrastrutture ( i capitali fissi) e quella
che racchiude funzionamento e gestione del sistema (il modo in cui i capitali fissi sono
utilizzati). E' soprattutto quest'ultima che secondo Giannopoulos è influenzata dalle
applicazioni telematiche, ossia da quelle relative all'interazione fra sistemi di computer e
sistemi di telecomunicazioni, sebbene esse possano anche implicare sviluppi nella
progettazione e nella costruzione di veicoli.
Le innovazioni tecniche principali che trovano applicazione nell'area del funzionamento e
della gestione del sistema e che offrono ulteriori spazi di miglioramento di questi sono:
33
34
- il radio data systems (RDS) e il traffic message channel (TMC) che sono alla base dei più
moderni sistemi di pilotaggio automatico, in quanto permettono, grazie alla disponibilità di
dati di aggiornamento sulle condizioni di traffico, di determinare le rotte migliori;
- l'intelligence cruise control system che montato sui veicoli permette il mantenimento
della distanza di sicurezza;
- l'interactive route guidance system (IRG) grazie al quale il veicolo è collegato ad un
centro di controllo;
- l'automatic debiting system, basato su tecniche di riconoscimento dei veicoli, grazie al
quale automobilisti e viaggiatori possono risparmiare tempo ed evitare le difficoltà legate
al reperimento di mezzi di pagamento come monete o gettoni, la cui applicazione è
divenuta oggi molto diffusa (un esempio italiano è il telepass autostradale);
- l'electronic data exchange (EDI) grazie al quale lo scambio di dati avviene tramite
computer in rete e software adeguati e la cui utilizzazione su larga scala è attesa dal
momento in cui avverrà la completa standardizzazione e normalizzazione dei network EDI;
- le comunicazioni di dati e di voce attraverso network elettrici;
- i sistemi mobili di comunicazioni di voce e dati, che dalla rete cellulare sono passati al
GSM aumentando le opportunità di operatività dei sistemi a livello internazionale;
- i sistemi di identificazione del carico e di controllo del percorso che, grazie soprattutto a
codici a barre ed etichette elettroniche, permettono di ricevere automaticamente messaggi
dal carico che possono essere convogliati ad una centrale di controllo;
- i sistemi di localizzazione dei veicoli che sfruttano le comunicazioni via satellite.
Particolarmente interessanti sono le considerazioni che Giannopoulos svolge riguardo alla
diffusione delle innovazioni tecnologiche nel trasporto: la sua velocità è particolarmente
bassa a causa della grande divergenza e segmentazione del settore, così poco omogeneo a
dispetto dell'apparenza e invece caratterizzato da una pluralità di modi, di mercati e di
ampiezze geografiche di riferimento, ciascuno con una sua soluzione tecnica. Inoltre
proprio le differenze dei sistemi operativi, dei software ed altro, rendono ciascun sistema
incompatibile con un altro, diminuendo il grado di integrazione e di interconnessione fra
soggetti e così facendo abbassando anche le probabilità di affermazione di uno standard,
stadio necesssario perchè si abbiano i benefici dell'adozione di un'innovazione.
Il contributo italiano di Campisi et alii (1990) offre la possibilità di arricchire lo studio
delle relazioni fra trasporti e telecomunicazioni dal momento che, a differenza di quello
esaminato in precedenza, evidenzia i rapporti di complementarità e di sostituzione esistenti
fra trasporti e telecomunicazioni, occupandosi in particolare del trasporto passeggeri
34
35
business, giungendo alla formulazione in un sistema che veda integrati i due servizi, il
teletrans network.
Premessa la difficoltà di analizzare le relazioni fra trasporti e telecomunicazioni, dovuta
all'influenza sulla mobilità di altri fattori, come il reddito, gli autori descrivono i risultati
campionari ottenuti a partire dal 1977 al 1990 in Italia secondo i quali c'è un'evidente
sostituzione fra trasmissione di informazioni e movimento di persone.
Accanto a questa è rilevabile anche un alto grado di complementarità che, seguendo
Salomon (1985), può farsi risalire a due fenomeni: a) un sistema accresce l'efficienza
dell'altro (l'esempio considerato è quello delle colonnine SOS in autostrada che aumentano
l'efficienza del sistema di trasporto stradale riducendo il suo costo sociale); b) un aumento
dell'uso di un sistema aumenta l'uso del sistema complementare (ad esempio l'introduzione
di un sistema che rende possibili la nascita e lo sviluppo di interazioni sociali o
economiche tra individui e/o aziende di diverse località può accrescere i viaggi fra tali
località).
Attraverso il metodo Delphi e l'elaborazione delle risposte ottenute dagli esperti consultati
gli autori sono giunti ad attribuire prevalenza all'effetto di complementarità (0,58) su quello
di sostituzione (0,42) e a prefigurare una domanda crescente di mobilità e di congestione
dovuta alla diffusione dell'uso di mezzi di telecomunicazione.
35
36
Appendice 1
I costi standard e il trasporto pubblico locale: due metodologie di analisi
I costi standard costituiscono, almeno fino ad oggi, il parametro di riferimento per
l'assegnazione dei contributi statali previsti che le aziende di trasporto locale che
presentano bilancio in passivo, in base alla legge n.151/1981. Per illustrare il loro
significato e la procedura di calcolo verrà riportata l'esposizione fatta in Del Viscovo 1990
che ha anche illustrato come una cattiva interpretazione del concetto abbia prodotto
risultati opposti rispetto a quelli perseguiti dalla legge. La situazione creata è tale per cui
ancora oggi la discussione intorno ai parametri sui quali debba basarsi il calcolo della
sovvenzione pubblica al trasporto pubblico locale rimane aperta.
In generale il calcolo di costi standard è strumentale al controllo dell'efficienza delle
imprese; in questo caso il calcolo non è eseguito a consuntivo, ma "utilizza un processo
scientifico di analisi dei fatti e dei processi produttivi, sulla base sia della passata
esperienza sia di esperimenti controllati o di simulazioni" (Del Viscovo, 1990:184)
affinchè i costi così determinati vengano a costituire "modelli di efficienza" di confronto.
L'analisi dei costi standard è condotta attraverso l'identificazione dei "centri di costo", unità
aziendali responsabili di costi in quanto incaricati di un'attività, il cui livello di riferimento
sarà quello normale o standard: essi saranno dunque le più piccole unità funzionali
dell'azienda a cui corrisponderanno dal punto di vista dell'organizzazione altrettanti
responsabili.
Il centro di costo nel trasporto locale è identificato con la "linea" e il suo output è misurato
in termini di numero di corse o di chilometri percorsi. L'operatività di tali centri è misurata
attraverso:
a. frequenza delle corse;
b. chilometri percorsi (numero delle corse);
c. tipo di autobus impiegati;
d. chilometri all'anno per autista ;
e. velocità commerciale, pendenza del percorso, tipo di autobus (urbano, extaurbano, ecc.)
f. condizioni atmosferiche, mutamenti obbligati del percorso, intensità del traffico urbano,
ecc.
L'elaborazione della metodologia per il calcolo dei costi standard del trasporto locale è
contenuta in un contributo di Stampacchia del 1986, di cui Del Viscovo riporta i risultati,
36
37
compresa una tabella di equivalenza fra le condizioni operative industriali e quelle per
un'autolinea di trasporto pubblico.
CONDIZIONI OPERATIVE
INDUSTRIALI
1. Qualità dei prodotti
2. Volume di produzione fisica
3. Qualità dei fattori produttivi
4. Grado di efficienza degli operatori
5. Modalità di svolgimento dei processi
produttivi
6. Condizioni operative non controllabili
CONDIZIONI OPERATIVE PER
AUTOLINEA DI TRASPORTO
PUBBLICO
a. frequenza delle corse;
b. chilometri percorsi (numero delle
corse);
c. tipo di autobus impiegati;
d. chilometri all'anno per autista ;
e. velocità commerciale, pendenza del
percorso, tipo di autobus (urbano,
extaurbano, ecc.)
f. condizioni atmosferiche, mutamenti
obbligati del percorso, intensità del
traffico urbano, ecc.
Fonte: Stampacchia 1986
La procedura di calcolo dei costi standard prevede innanzitutto la definizione di un livello
di attività (ossia di volume di produzione) "normale" per ottenere l'entità di costi fissi e di
spese generali da imputare alle unità di costo; la determinazione di tale livello di attività
rappresenta una delle maggiori difficoltà di applicazione del concetto di costo standard e;
come si vedrà; il maggiore spazio di arbitrarietà. La legge italiana, infatti, non prevede tale
livello di attività standard e neppure i criteri di calcolo dei costi, lasciando così la
possibilità, come effettivamente è avvenuto in pratica, di assumere - come riporta Del
Viscovo- come "normali" i livelli di servizio corrispondenti alla somma delle situazioni
aziendali preesistenti e in qualche caso aggregando i valori aziendali a livello regionale. La
conseguenza di questa operazione è che "i costi standard sono stati applicati come se i
servizi offerti, alle relative tariffe generatrici di deficit, fossero quelli ottimali e per di più
indipendenti dai contributi disponibili per ciascuna Regione" (Del Viscovo 1990:187),
diversamente dal metodo scientifico (basato sull'ottimizzazione) che si sarebbe dovuto
applicare.
Un passo avanti nella metodologia della determinazione dei costi standard è costituito dal
contributo di Fazioli (1993) che si inserisce nell'attuale dibattito sull'efficienza delle
imprese pubbliche ed è basato sull'applicazione del frontier approach all'analisi della
37
38
struttura dei costi; di tale lavoro si illustrano alcuni dei passaggi principali, rinviando
all'articolo per ulteriori dettagli tecnici.
La metodologia utilizzata prevede la valutazione dell'efficienza sulla base della distanza
dell'osservazione (perfomance) dei costi relativi alla singola impresa dalla frontiera di
efficienza di costo (o frontiera di costo minimo). Due sono la fasi per la costruzione di tale
frontiera: dapprima viene stimata una funzione di produzione (rappresentazione duale del
costo) per ogni impresa osservata e, in seguito traslata verso l'alto (cioè ad output crescenti)
in modo che tutte le osservazioni siano dominate (ossia che gli output osservati possano
essere collocati al di sotto della curva). La misura della traslazione necessaria per giungere
a tale limite superiore (la frontiera) è determinata dal valore massimo positivo degli errori
stimati nella prima fase. Questi ultimi, infatti, contengono in maniera implicita
l'informazione sulle inefficienze specifiche dell'impresa cui si riferisce la funzione di
produzione: su tali residui vengono elaborati gli indicatori di inefficienza che racchiudono
informazioni sull'influenza di variabili esogene o istituzionali sull'efficienza produttiva (o
di costo).
Per l'inferenza della frontiera efficiente Fazioli ha applicato la metodologia parametrica che
richiede la specificazione a priori (al contrario della non parametrica) della forma
funzionale della frontiera stessa i cui parametri saranno stimati statisticamente. Tale
approccio, a fronte dello svantaggio derivante dal condizionamento dei risultati da parte
delle ipotesi espresse sulla forma funzionale, in parte compensato dall'uso di "forme
funzionali flessibili" (come la translogaritmica utilizzata nel lavoro), offre la possibilità di:
"1)definire la struttura efficiente dei costi standard a fini regolamentativi (Petretto, 1988) e
2)stimare la consistenza dei probabili effetti di modifiche nella struttura settoriale, ovvero
delle diverse normative incidenti sulla configurazione dell'offerta stessa" (Fazioli,
1993:515).
Oltre che per la metodologia di calcolo dei costi-efficienti il contributo di Fazioli si
caratterizza per un concetto di costo standard diverso da quello visto sopra: la funzione di
produzione si basa sulla considerazione che la dimensione dell'output di un'impresa che
offre servizi attraverso un network distribuito nello spazio dipende non solo dalla scala
dell'attività di servizio svolta ma anche dalla configurazione del network stesso e di
conseguenza anche il costo sarà funzione (edonica) di tali variabili. Tali osservazioni
aprono la strada ad un'analisi dell'efficienza legata a fattori istituzionali, quale la
concessione di tratte o le autorizzazioni specifiche per categorie mercelogiche trasportate
(come rilevato da Spady e Friedlaender nell'analisi dell'autotrasporto merci negli USA).
38
39
Appendice 2
Il trasporto e la tassonomia di Pavitt
In questa appendice si cercherà di svolgere il seguente esercizio: collocare le imprese che
forniscono servizi di trasporto e quelle appartenenti alla filiera del trasporto all'interno della
tassonomia di Pavitt che, seppure presentando diversi punti di debolezza, è attualmente una
delle classificazioni di attività più utilizzata a livello internazionale (ad esempio l'Ice in
Italia che l'ha adottata pur con qualche modifica, per la presentazione dei dati sulle
importazioni e le esportazioni).
La tassonomia elaborata da Pavitt si basa sull'osservazione di dati relativi a quottromila
innovazioni significative censite in Gran Bretagna fino alla fine degli anni '70: essi hanno
permesso l'osservazione di regolarità settoriali sulla fonte e la direzione del progresso
tecnico; queste ultime apparivano dipendenti dal settore principale di attività delle imprese
innovatrici.
La nozione che fa da base alla tassonomia è quella di traiettoria tecnologica (Dosi, 1982,
1988) ossia di un sentiero, definito per ciascuna impresa in funzione delle conoscenze
accumulate al proprio interno, che stabilisce i confini dello sfruttamento, che avviene
attraverso la ricerca, lo sviluppo e la realizzazione, di un certo potenziale tecnologico
(paradigma tecnologico). In sostanza alla traiettoria vengono fatte corrispondere le
innovazioni minori o indotte. Vale la pena notare che le definizioni date, seppure in breve,
sono più strettamente legate a considerazioni di tipo tecnico-scientifico che di tipo
economico e tale aspetto limita la rilevanza ai fini dell'analisi economica delle innovazioni
e dei cambiamenti che la loro introduzione apporta al sistema delle imprese, in particolare
al modo nel quale esse interagiscono.
Le determinanti delle traiettorie riguardano le fonti della tecnologia, le esigenze dei clienti
e il modo di appropriazione dei risultati dell'innovazione, mentre le loro caratteristiche
sono funzione, oltre che della fonte della tecnologia di nuovo, del peso relativo delle
innovazioni di processo e delle innovazioni di prodotto, delle dimensioni delle imprese
innovatrici, dell'intensità e della direzione della diversificazione tecnologica. A tale
proposito un'altra nota critica rispetto a tale approccio potrebbe essere formulata in base
alla considerazione che le imprese e l'industria vengono rappresentate come soggetti
economici, lungo una traiettoria che esprime una tensione tra variabili di ordine tecnico (le
opportunità tecnologiche), le fonti dell'innovazione o le condizioni di appropriabilità, da
una parte, e le variabili economiche (il volume e l'elasticità della domanda), che appaiono
39
40
guidati unicamente da una strategia di risposta alle condizioni di domanda (Gaffard, 1990).
In sostanza viene preclusa all'impresa un ruolo attivo nella costruzione della sua offerta e
nella ricerca di domanda.
A partire da tali concetti la tassonomia presenta quattro gruppi di imprese:
a) il gruppo delle imprese (o dei settori di attività principale di tali imprese) dominati dai
fornitori (di beni strumentali e di macchine). Le innovazioni sono principalmente di
processo, incorporate nelle attrezzature e nei beni intermedi, e hanno avuto avvio in
imprese la cui attività principale è esterna al settore considerato. Il processo di innovazione
consiste nella diffusione di beni strumentali con maggiore performance o di beni intermedi
di nuova concezione e le possibilità di apportare innovazioni incrementali sono limitate (la
piccola dimensione della spesa in R&S dimostra che le imprese sono consapevoli di tali
limiti). L'appropriazione delle innovazioni avviene principalmente attraverso il marketing;
le imprese non sono di grandi dimensioni (salvo nei casi in cui le economie di scala sono
particolarmente rilevanti) mentre gli utilizzatori sono piuttosto sensibili al prezzo per cui la
traiettoria è di tipo cost-cutting.
b) il gruppo dei fornitori specializzati. Le innovazioni sono soprattutto innovazioni di
prodotto che si diffondono poichè entrano in altri settori incorporati nel capitale fisso; ad
esse hanno dato avvio le imprese utilizzatrici che appartengono ad altri settori. Numerose
sono le opportunità di innovazione incrementale e vengono colte attraverso l'attività
informale di miglioramento della concezione dei prodotti, mentre è debole l'attività di
R&S. L'appropriazione delle innovazioni è garantita dal carattere cumulativo e specifico
delle competenze su tali beni innovativi. Le imprese utilizzatrici, soprattutto imprese a
produzione intensiva del settore dei beni di consumo durevoli, sono sensibili alla qualità ed
alla performance dei prodotti, tesi a ridurre i difetti di fabbricazione dei loro stessi prodotti.
Le imprese di questo gruppo sono relativamente piccole ed operano in stretta
collaborazione con gli utilizzatori. La traiettoria può essere definita di
concezione/riconcezione del prodotto (product design).
c) il gruppo delle imprese di produzione di massa. Le innovazioni sono sia di processo che
di prodotto ed hanno inizio all'interno delle imprese stesse e tramite l'interazione con i
fornitori specializzati. L'appropriazione delle innovazioni avviene grazie all'esistenza di
economie dinamiche di apprendimento e con i brevetti. Gli utilizzatori sono sensibili al
prezzo. La diversificazione tecnologica è forte e si sviluppa verticalmente grazie alla
collaborazione con i fornitori. Data l'importanza delle economie di scala (nella produzione,
40
41
nella R&S e nelle reti distributive) la dimensione delle imprese è grande. La traiettoria è di
entrambi i tipi precedenti.
d)il gruppo di imprese basate sulla scienza. Le innovazioni hanno origine dall'apparizione
di nuove conoscenze scientifiche, costitutive di nuovi paradigmi tecnologici, e nascono
dunque dalla R&S sulla quale si investe molto. Numerose sono le opportunità tecnologiche
e le innovazioni sono soprattutto di prodotto. L'appropriazione avviene attraverso i brevetti,
le economie di apprendimento, la ricerca accumulata e la produzione. La sensibilità degli
utilizzatori al prezzo ed alla qualità dei prodotti fà sì che la traiettoria sia di tipo misto.
Fra gli esempi settoriali tipici indicati da Pavitt figurano nel primo gruppo (imprese
dominate dai fornitori) tutti i servizi privati quindi anche quelli di trasporto; sarebbe
interessante tuttavia verificare tale affermazione per i vari tipi di trasporto. Innanzitutto i
servizi per definizione non prevedono produzione e ciò comporta che le innovazioni
tecnologiche impiegate provengano da altri settori, ma occorre tener presente che
diversamente da quanto accade per le imprese del primo gruppo, quelle di trasporto, in
particolare quelle di trasporto merci interagiscono con le case costruttrici per la
realizzazione di veicoli speciali. Ciò è particolarmente vero quando la dimensione della
domanda da parte degli operatori dei trasporti speciali non è tale da giustificare una
produzione standardizzata, oppure quando il tipo di servizio richiede una
"personalizzazione" del veicolo.
Rispetto alle impresa della filiera del trasporto un loro collocamento all'interno dei gruppi
individuati richiederebbe l'esame di vati tipi di imprese giacchè esse vanno dall'impresa di
componentistica elettronica all'operatore di logistica.
A margine di questo esercizio sembra utile richiamare una delle considerazioni fatte sopra:
l'approccio teorico all'innovazione tecnologica sulla quale si basa la tassonomia e la
tassonomia stessa, basandosi su aspetti tecnici non mette in luce il significato economico
dell'innovazione. Maggiore portata interpretativa sembra possa attribuirsi alla seguente
definizione di innovazione maggiore proposta da Amendola e Bruno (1990): è
un'innovazione maggiore quella che produce uno spiazzamento delle imprese concorrenti,
ossia quella che provoca una rottura fra l'impresa innovativa e il suo ambiente,
costringendo ad una ristrutturazione delle relazioni fra imprese.
Un esempio di innovazione maggiore nei trasporti potrebbe dirsi quello delle casse mobili
che ha alterato i rapporti di concorrenza fra modi, le relazioni competitive fra imprese dal
41
42
momento che ha permesso ad alcune imprese di trasporto su strada di fare l'ingresso sul
mercato del trasporto combinato e, infine, ha comportato la strutturazione di relazioni
organizzative fra operatori del trasporto stradale e ferroviario diverse da quelle costruite per
il trasporto con i container. Ma anche il limitatore di velocità che dovrà essere presto
applicato sui veicoli per il trasporto su strada potrebbe considerarsi un'innovazione
maggiore per il settore del trasporto, pur non essendo una innovazione radicale dal punto di
vista tecnologico: la sua applicazione, infatti, cambierà la competitività (e le relazioni di
collaborazione) dei modi e quella fra imprese ponendo fine alla concorrenza sleale
praticata dagli autotrasportatori non rispettosi dei limiti di velocità (si può anche andare
oltre immaginando che laddove esistano imprese che a tale slealtà devono la loro
sopravvivenza il limitatore di velocità comporterà una ridefinizione della soglia di
efficienza delle imprese sul mercato).
42
43
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47
COMMENTO PARTE IV
ENNIO CASCETTA, UNIVERSITA’ DI NAPOLI
Il capitolo sulla politica dei trasporti tratta temi di notevole ampiezza e
rilevanza che vanno dalla interpretazione dei fini e delle forme della
pianificazione dei sistemi di trasporto alle possibilità del project financing;
dalle forme ed i ruoli della regolazione del settore alle politiche di road e
park pricing. In generale la trattazione è ampia ed in gran parte
condivisibile.
Ovviamente data l’ampiezza degli argomenti non è possibile esprimere
commenti e riflessioni puntuali su tutti gli aspetti; e pertanto mi limiterò ad
alcune osservazioni “al margine” delle pagine di questo capitolo.
1. A proposito della pianificazione dei trasporti non può non rilevarsi la
scarsissima pratica che il metodo della programmazione, in qualunque delle
sue forme, ha avuto nel nostro paese. Ci sono pochi piani e programmi,
spesso sono scarsamente elaborati e, soprattutto, ancor più scarsamente
utilizzati nella effettuazione delle scelte.
Programmare significa, banalizzando al massimo, scegliere “cosa fare”
tenendo conto degli effetti che da tali scelte derivano, dei costi necessari per
gli investimenti e la gestione, della disponibilità di risorse, delle relative
scale di priorità.
Alla ovvietà di queste affermazioni purtroppo fanno riscontro prassi diverse
e contraddittorie.
Per quanto riguarda la programmazione degli interventi di breve periodo in
ambito urbano si può intravedere una inversione di tendenza, in parte
connessa all’obbligo di redigere i Piani Urbani del Traffico previsto dal
Nuovo Codice della Strada ed in parte alla più diretta responsabilizzazione
delle Amministrazioni Comunali indotta dalla Legge di riforma delle
Autonomie Locali (142/90). C’è da augurarsi che i PUT non si esauriscano
nella redazione di progetti più o meno raffinati, ma siano l’occasione per
avviare un processo di monitoraggio e gestione continua di un sistema
instabile e complesso come quello della mobilità urbana, in analogia a
quanto avviene da anni in moltissime città europee.
Ben diverso è il caso della programmazione degli investimenti di lungo
periodo dove ancora oggi le Leggi di finanziamento sono relative a singolo
tipologie di opere (parcheggi, ferrovie concesse, metropolitane e sistemi di
trasporto rapido di massa) e non a piani e programmi di investimento
complessivi. I finanziamenti sono accordati su richieste non coordinate di
soggetti diversi, anche per la stessa area geografica. Spesso si tratta di
progetti incompleti, che mancano di una seria valutazione dei benefici e dei
costi ancor più di un quadro di pianificazione unitario.
Il risultato è una molteplicità di richieste scollegate e talvolta contraddittorie
per le quali è difficile, se non impossibile, individuare gli effettivi parametri
di valutazione e quindi di efficacia della spesa. Ritengo che a questo
proposito sia emblematica la vicenda del Piano Generale dei Trasporti ed il
suo “aggiornamento”.
Tutto ciò è ancora più preoccupante in un quadro di finanza pubblica che per
i prossimi anni non lascia intravedere prospettive di sostanziali contributi
statali agli investimenti.
I segnali anche più recenti in questo ambito non sono confortanti, basti
pensare ai recenti contributi assegnati per la L. 211 ai sistemi su ferro in
ambito urbano; anzi alcuni elementi, fra i quali la non attivazione del Fondo
Unico Trasporti esplicitamente previsto dalla L. 186/92 e la “correlata”
soppressione del CIPET, sembrano indicare dei preoccupati arretramenti
piuttosto che un progresso.
2. Il successo di un processo di pianificazione, ovvero di decisione
consapevole e trasparente, dei trasporti dipende in modo cruciale dalla
capacità della Amministrazione di “gestire” il Piano, ovvero il processo di
formazione e di attuazione delle scelte.
E’ fondamentale in altri termini che le Amministrazioni, di qualunque
livello, abbiano la capacità e la possibilità di comprendere le diverse fasi del
processo, di articolare proposte autonome e di verificare quelle di altri, di
“monitorare” l’evoluzione del sistema di mobilità e degli interventi su di
esso.
3. Il ruolo di monitoraggio nel processo di pianificazione è forse
scarsamente evidenziato dal documento. Monitorare un sistema di trasporti
consiste nel rilevare con regolarità una serie di variabili o indicatori dello
stato complessivo del sistema (livello e composizione della domanda,
offerta dei servizi, condizioni di congestione etc.) organizzare le
informazioni in forma leggibile, elaborarle e confrontarle con i valori passati
e con le previsioni fornite dalle elaborazioni di progetto.
Questa funzione è a mio avviso di grande importanza in quanto fornisce il
“feed-back” degli interventi che consente di acquisire esperienza e
sensibilità alle risposte del sistema, modificare scelte e correggere indirizzi.
In altri termini il monitoraggio consente di applicare alla pianificazione
l’approccio “ciclico” proprio della ingegneria dei sistemi invece di quello
“lineare”, giustamente criticato nel documento, proprio dall’ingegneria dei
progetti infrastrutturali.
2
4. Connesso ai due punti precedenti è il discorso degli strumenti ovvero dei
Sistemi di Supporto alle Decisioni (DSS), composti in generale da basi dati
e modelli di simulazione. Sono ormai disponibili pacchetti software che
consentono di organizzare le informazioni sulla domanda e l’offerta di
trasporto, di rappresentare con sistemi di modelli matematici il
funzionamento complessivo del sistema e quindi di simulare diverse
categorie di impatti rilevanti. Evidentemente questi sistemi vanno costruiti e
mantenuti nel tempo, pena la rapida decadenza degli stessi.
Ormai molte amministrazioni alle diverse scale stanno dotandosi di DSS,
emblematico è il caso del Ministero dei Trasporti che ha avvito da tre anni
un notevole sforzo economico per costruire un “Sistema Informativo di
Supporto alle decisioni di Politica dei Trasporti” alla scala nazionale che
contiene una quantità di dati e di modelli matematici a dir poco imponente e
che è già diventato elemento di riferimento per altri sistemi nazionali.
E’ evidente che un sistema di tale ampiezza e complessità è anche molto
“delicato” e, soprattutto, può essere affinato e migliorato solo attraverso
l’uso. Il pericolo da evitare è che l’Amministrazione non sia nelle condizioni
di utilizzarlo e renderlo fruibile ai moltissimi operatori del settore che da
anni lamentano proprio la carenza di dati ed informazioni sul sistema di
trasporto nazionale.
5. Il documento individua correttamente nell’analisi Costi-Benefici (C-B) e
nell’analisi Multicriteria le tecniche di valutazione e confronto delle
alternative.
Appaiono condivisibili anche gran parte delle critiche mosse ad un uso
spinto della analisi C-B come unico “contenitore” sintetico delle
informazioni necessarie per la scelta.
A mio avviso le fasi più importanti del percorso di valutazione e confronto
delle alternative di intervento consistono nella individuazione degli effetti
(impatti) rilevanti per il tipo di intervento in esame, nella previsione degli
stessi, o meglio della previsione dei possibili ranghi di variazione
conseguenti a diversi scenari di evoluzione delle variabili esogene, nella
individuazione di variabili sintetiche che consento al(ai) decisore(i) di
valutare il raggiungimento delle diverse finalità dell’intervento.
Molti studiosi concordano nel ritenere che l’analisi C-B può continuare a
svolgere un ruolo non marginale, proprio come indicatore sintetico di una
classe di obiettivi connessi all’efficienza economica del sistema di trasporto.
In questo senso si eliminerebbe la necessità di “internalizzare” in termini
monetari, con procedure sempre complesse discutibili, numerosi effetti
“esterni” al sistema di trasporto (sicurezza, inquinamento, etc.) ovvero
effetti interni non monetari che andrebbero più compiutamente organizzati
nel quadro di un’Analisi Multicriteria nella quale le principali categorie di
3
obiettivi (ed indicatori) possono essere suddivisi in efficienza (ambientale,
economica e tecnica), efficacia, equità e qualità.
6. Per quanto attiene i metodi e le prospettive del Project Financing (PF) pur
condividendo la critica severa della programmazione dei trasporti in Italia
come penso si evinca dalle considerazioni precedenti, vorrei sottolineare
come il PF non può essere considerato come una soluzione alternativa alla
capacità di mozione e controllo della amministrazione.
Anzi una tale capacità è condizione assolutamente necessaria affinché il PF
sia uno strumento di reperimento delle risorse alternativo al debito pubblico
e non una espropriazione da parte di privati di porzioni più o meno rilevanti
del benessere collettivo.
In altri termini la capacità di individuare i progetti e le condizioni
“possibili”, di contrattare e controllare presuppongono una forte capacità
tecnica e una notevole indipendenza della PPAA che, al momento, non mi
sembrano molto diffuse nel nostro Paese.
7. Anche per quanto attiene agli strumenti di controllo e orientamento della
domanda di mobilità, ed in particolare il road e il park pricing, sono
condivisibili gran parte delle considerazioni e delle preoccupazioni espresse
nel relativo capitolo.
Vorrei solo sottolineare la necessità/opportunità di considerare le misure di
pricing come elementi di un pacchetto più ampio di interventi sui sistemi di
mobilità urbana. L’efficacia e la accettabilità di queste misure dipende in
maniera critica dall’insieme di altri provvedimenti che le complementano
(ne aumentano l’efficacia) e le supplementano (ne riducono gli impatti
negativi). Questa tendenza è ampiamente condivisa dalla comunità tecnica
internazionale, si vedano ad esempio il Package Program del Ministero dei
Trasporti inglese che ammette a finanziamento pacchetti integrati di
interventi piuttosto che singoli progetti nonché numerosi documenti e
ricerche finanziati dalla Unione Europea. Fra questi in particolare il progetto
AIUTO studia metodi e modelli per la progettazione e la verifica di
pacchetti di interventi di regolazione della domanda e miglioramento
dell’offerta in ambito urbano.
L’insieme dei provvedimenti va inoltre progettato con attenzione allo scopo
di dosare le politiche tariffarie, e più in generale di controllo e limitazione,
con l’accessibilità garantita dalle altre modalità di trasporto se non si vuole
correre il rischio di ridurre le attività localizzate nelle aree più congestionate,
di solito i centri storici, favorendo, al contrario delocalizzazioni e aumenti
della domanda di spostamenti su automobile.
4
PARTE IV
Capitolo 1.
La pianificazione dei sistemi di trasporto
Flavia Di Castro, Centro Studi Federtrasporto
1.1. INTRODUZIONE
In passato, la pianificazione dei sistemi di trasporto non è stata oggetto di
particolare attenzione da parte dei soggetti decisori in quanto il trasporto
veniva considerato esclusivamente come fattore di sviluppo e dunque non ci
si poneva il problema di razionalizzare gli interventi in questo settore: ogni
impegno di spesa, in presenza di una finanza pubblica sicuramente più ricca
e generosa di oggi, veniva di fatto giustificato dall’impatto positivo - in
termini occupazionali, sociali ed economici - che la realizzazione del nuovo
progetto avrebbe generato. Successivamente, la consapevolezza degli effetti
negativi che questa espansione incontrollata di interventi genera in termini
di inquinamento, incidenti, ecc. nonché la necessità di una gestione più
controllata delle risorse finanziarie pubbliche ha invece reso necessaria una
maggiore attenzione da parte dei soggetti decisori alla programmazione
degli interventi in questo settore e, dunque, un maggior interesse da parte
degli studiosi all’attività di ricerca in questo campo.
Secondo Blaas e Nijkamp (1994), la necessità di migliorare i metodi di
valutazione del successo o del fallimento di una certa politica è aumentata
negli ultimi anni per due motivi principali. Il primo è legato alla crisi della
finanza pubblica; riprendendo le parole dei suddetti autori, “the slow (or
sometimes declining) growth and drastic cut in public budgets” che si stanno
verificando in numerose realtà geografiche hanno reso inevitabile il
diffondersi di una maggiore attenzione all’uso delle risorse stesse. Il
secondo motivo è legato alle nuove caratteristiche - per complessità, rapidità
e diffusione - di processi di profonda ristrutturazione socio-economica e
tecnologica rispetto ai quali i modelli analitici correnti risultano spesso
inadeguati.
In aggiunta alla leva finanziaria, la necessità di pianificazione viene
comunque sottolineata da alcune peculiarità dei sistemi di trasporto che
rendono l’attività pianificatoria di questo settore di fondamentale
importanza per lo sviluppo economico e sociale del contesto in cui si
inseriscono. Basti pensare a questo proposito al ruolo dei trasporti nel
garantire, o meglio favorire, una corretta distribuzione geografica delle
opportunità1 e, più in generale, alle esternalità - positive e negative generate da questo settore, tema ormai dominante nel dibattito sulle
infrastrutture e sui servizi di trasporto2.
Rimandando il lettore interessato all’ampia letteratura esistente sul ruolo e
gli effetti socio-economici del trasporto, argomenti trattati fra l’altro nel XX
capitolo di questa pubblicazione, ci limitiamo in questa parte introduttiva a
ricordare alcune delle caratteristiche settoriali che hanno un peso
predominante nell’attività programmatoria di questo settore:

le interrelazioni con altri settori; particolarmente significative sono le
interazioni con il territorio e quelle con lo sviluppo socio-economico che
rendono la programmazione dei trasporti “dipendente” da quella in altri
settori e viceversa; nel Libro verde della Commissione europea “La rete
dei cittadini - Realizzare le potenzialità del trasporto pubblico di
viaggiatori in Europa”, il paragrafo 22 recita “La pianificazione del
trasporto di viaggiatori è tanto più efficace se realizzata in coordinamento
1
La consapevolezza che una carenza infrastrutturale di base come quella di trasporto
impedisca o comunque rallenti lo sviluppo di una determinata zona ha da sempre spinto lo
Stato ad assumersi l’onere di programmare e finanziare determinati interventi.
2
A questo proposito, l’interesse pubblicistico si è inoltre sviluppato a causa dell’incidenza
che queste hanno in termini di impatto ambientale: il controllo dell’inquinamento acustico e
atmosferico, la sicurezza, la tutela del paesaggio, ecc. - temi tanto cari all’opinione
2
con altri settori. In particolare, è importante introdurre un sistema
adeguato per porre a carico dell’utente i costi di servizi e coordinare le
politiche in materia di pianificazione territoriale e di tecnologie della
comunicazione e dell’informazione”;

la
difficoltà,
in
relazione
a
quanto
appena
affermato,
di
definire/individuare gli effetti, sia positivi che negativi, di una
determinata scelta programmatoria; a ciò, si aggiunge la difficoltà di
valutazione dei suddetti effetti, spesso non quantificabili o monetizzabili,
oltre all’incertezza che inevitabilmente è presente in analisi in cui il
contesto di riferimento è di medio o lungo periodo (p.36 Nijkamp);

la diversità dei soggetti e dei fattori che compongono questo settore imprese pubbliche, imprese private, clienti, utenti, infrastrutture,
organizzazione e regolazione dei servizi sia dal lato della domanda che
dell’offerta, ecc. - ed alle interdipendenze fra questi soggetti e fattori
stessi; si tratta dunque di un sistema complesso che richiede l’uso di
tecniche di decomposizione al fine di definire una gerarchia di sottoproblemi più “semplici” coordinati tra loro;

la definizione degli obiettivi che il decisore pubblico, responsabile della
politica dei trasporti e dunque delle scelte programmatorie, intende
perseguire; così come per gli “effetti”, si aggiunge la difficoltà dovuta
all’esistenza di obiettivi difficilmente misurabili o monetizzabili;

la presenza di decisori pubblici a più livelli;

la difficoltà di individuare, considerando la complessità del sistema dei
trasporti, tutte le possibili opzioni di scelta significative; quanto appena
detto viene unanimemente riconosciuto come uno dei principali problemi
in materia di pianificazione dei trasporti ed, infatti, Blaas e Nijkamp
(1994) ritengono che “The main challenge in (transportation) planning is
pubblica, espressione di un interesse collettivo e sociale - hanno infatti reso inevitabile una
forte presenza dell’intervento pubblico in questo settore.
3
to devise a set of representative choice options which serve as a first
indicative frame of reference, so as to delineate a limited subset of
relevant alternatives to be investigated more thoroughly in a next stage of
the analysis.”.
1.2. L’EVOLUZIONE DELLA PROGRAMMAZIONE NAZIONALE IN MATERIA DI
TRASPORTI
1.2.1. Da una programmazione rigida ad una programmazione flessibile,
continua ed a più voci
In passato, la pianificazione dei trasporti seguiva un approccio che possiamo
definire “ingegneristico”. Così come risulta nello schema seguente (proposto
da F.W.Memmot, 1986), l’analisi del contesto, degli obiettivi e dei
fabbisogni di mobilità conducevano alla formulazioni di piani alternativi tra
cui poteva scegliere il decisore/politico; effettuata la scelta, il piano, tradotto
in termini legislativi ed amministrativi, veniva realizzato nei tempi e nei
modi previsti. A conferma di questo approccio, è stato infatti scritto “In the
past decade transportation planning all over the world has been strongly
dominated by engineering views on network use and its expansion.” (Blaas,
Nijkamp, 1994).
I problemi che negli anni si sono manifestati in relazione a questo processo
tradizionale di pianificazione dei trasporti sono diversi anche se tutti
riconducibili ad un unica variabile, il tempo ed i mutamenti che questo
comporta; e da un processo che possiamo definire statico si è passati ad un
processo dinamico. Infatti, questo primo meccanismo, esemplare in termini
di linearità e semplicità, impedisce però di tener nella giusta considerazione
4
il mutare negli anni delle condizioni e delle preferenze economiche, sociali e
politiche. In un settore come quello dei trasporti, in cui gli interventi
programmati esplicano effetti nel lungo periodo, è invece di fondamentale
importanza poter considerare che il contesto socio-economico inizialmente
immaginato evolve, che le caratteristiche della domanda cambiano, che gli
stessi decisori possono avere nel tempo obiettivi diversi; inoltre, l’interesse
che la collettività ha sviluppato per questo settore lo ha reso uno strumento
di consenso di notevole valenza. Anzi, le interazioni fra decisori/politici e
tecnici vengono considerate essenziali per una buona programmazione (M.
Goldberg, 1978) così come risulta evidente nello schema n.2.
5
Schema 1 - Processo tradizionale di pianificazione dei trasporti
Organizzazione
preposta ai trasporti
Informazioni
Obiettivi
Determinazione della domanda attuale e futura
Formulazione di piani alternativi
Simulazione dei piani
Valutazione del funzionamento dei piani simulati
Scelta del piano da adottare
Realizzazione del piano scelto
6
Schema 2 - Nuovo processo di pianificazione
Definizione del problema
Definizione degli obiettivi e
dei vincoli
Processo politico
(strutture di governo)
Estrapolazione del problema
(previsione)
Ridefinizione degli obiettivi
e dei vincoli
Progetto di soluzioni
alternative
Verifica delle sol. attraverso
modelli di simulazione
Valutazione comparativa
Scelta di una proposta
privilegiata
7
L’individuazione di un processo di pianificazione meno rigido e strutturato è
stata inoltre spinta dalla consapevolezza delle interazioni continue fra
trasporti e territorio la cui pianificazione “... può essere utilizzata per
rendere più facilmente raggiungibili determinate strutture e zone.”3 poiché è
ovvio che la conoscenza delle scelte urbanistiche e di uso del territorio di
una determinata zona permettono una migliore pianificazione delle esigenze
di mobilità e dunque delle strutture e dei servizi necessari per soddisfarla.
Oltre all’importanza attribuita all’evoluzione del contesto di riferimento, il
nuovo processo di pianificazione si caratterizza con una maggiore
consapevolezza del ruolo che scelte ed aspetti comportamentali, sociali,
politici ed economici giocano nella definizione della programmazione di
questo settore a scapito di un approccio che preveda soluzioni di tipo
prevalentemente ingegneristico: “Thus policy implementation in the trasport
sector is not in the first place a clean ‘technocratic’ apllication of
instruments, but requires a fine tuning between goals, measures, interest
groups and social acceptance.”(Blaas, Nijkamp, 1994).
Negli ultimi anni, particolare rilievo è stato attribuito, nel processo di
pianificazione, alle strategie partecipative ossia a “metodi di governo che
contemplano formalmente che individui che non ricoprono cariche di
rappresentanza istituzionale prendono parte ad un processo decisionale che
ha luogo all’interno di una istituzione in merito ai piani e programmi
inerenti la trasformazione dell’ambiente” (de Luca, Rallo, 1995). La
necessità di introdurre una tale processualità nel settore dei trasporti è
quanto mai evidente considerando l’impatto che questi hanno a livello
produttivo, economico, sociale, ambientale, ecc. Anche se vi è stato in
talune situazioni ricorso a questa strategia, non esiste una precisa
3
Libro verde della Commissione europea La rete dei cittadini - Realizzare le potenzialità
del trasporto pubblico di viaggiatori in Europa
8
regolamentazione sulle forme di coinvolgimento possibili mentre esiste il
rischio, allo stato attuale, che l’assenza di una normativa in merito generi
una confusione di ruoli e competenze di soggetti la cui partecipazione è
comunque prevista dalla legislazione vigente, rallentando inutilmente il
processo decisionale. Per una migliore razionalizzazione e normazione di
questo meccanismo, è stata proposta la seguente suddivisione delle diverse
forme di partecipazioni:

partecipazione delle istituzioni; sicuramente la più consolidata, prevede
la partecipazione di altri enti pubblici in due precisi momenti del
processo di pianificazione, ossia nella fase iniziale di definizione degli
obiettivi e nella fase finale di approvazione del piano;

la partecipazione popolare; pur non potendo essere vincolante rispetto
alla volontà dell’Amministrazione competente, consente di monitorare il
progetto attraverso coloro che ne vivranno gli effetti, di integrarlo e di
modificarlo in base alle loro esigenze; il coinvolgimento popolare, che ha
luogo tra la stesura tecnica del piano e la fase finale di approvazione, si
esprime attraverso tutte quelle forme previste dagli statuti e dai
regolamenti dell’ente territoriale in questione (consultazione, istanze,
ecc.);

la partecipazione sociale; si riferisce “... a quelle forme di coinvolgimento
dei soggetti e delle categorie sociali interessate attraverso l’applicazione
di metodologie di raccolta e trasmissione di informazioni tese ad
inglobare il ‘sapere comune’, per una migliore comprensione delle
specificità dei luoghi e delle situazioni” (de Luca, Rallo, 1995); premesso
che comunque la definizione degli obiettivi e l’approvazione del piano
sono esclusivamente di competenza dell’ente amministrativo, si tratta in
pratica di avere a disposizione e di trattare nel modo più proficuo
possibile il patrimonio informativo di tutti soggetti coinvolti.
9
L’approccio moderno risulta di conseguenza più flessibile ed aperto rispetto
a quello tradizionale: maggiori sono sia lo scambio di informazioni fra le
varie componenti del sistema sia la possibilità di adeguare le scelte ai
cambiamenti che nel tempo modificano le condizioni di partenza.
Per poter costantemente calibrare il processo di pianificazione al contesto di
riferimento, è stato proposto un approccio di “opzioni-scelte” composto da
quattro fasi (L. Bianco, 1987):

valutazione di lungo periodo: in questa fase, definita dall’autore
“essenzialmente conoscitiva”, vengono selezionate delle opzioni fra tutte
quelle valutate ed indicati degli indirizzi generali da perseguire,

valutazione di breve periodo: vengono analizzate in dettaglio le opzioni
selezionate in precedenza e definite le decisioni che implicano queste
scelte e le scadenze con cui queste stesse decisioni devono essere prese,

valutazione di medio termine: prima di prendere una nuova decisione, il
decisore, al fine di ottimizzare il processo decisionale, deve valutare sia
le conseguenze della decisione precedente sia l’impatto che questa ha
avuto sulla collettività,

ripetizione delle fasi precedenti.
In questo modo, i politici, i tecnici e la collettività interagiscono
continuamente e, in ogni momento, è possibile valutare quale sia la
soluzione migliore. Il decisore politico può così scegliere sequenzialmente la
soluzione che in quel momento risulta la migliore possibile ossia quella
soluzione che, dati i vincoli, massimizza gli obiettivi prefissati. Molto
spesso, per esempio, i risultati emersi dal lavoro tecnico costringono il
politico a rivedere le posizioni di partenza e di fatto una corretta
pianificazione “...... presupposes a communication between experts and
policy-makers, either as interactive decision procedures (based on a dialogue
and information exchange about a given choice problem between all parties
10
envolved) or as cyclical decision procedures (based on adaptation, feedback
or restructuring of the planning problem at hand as a result of a consultation
of parties involved).” (Blaas, Nijkamp, 1994).
1.2.2. Gli obiettivi
Sia nel processo tradizionale di pianificazione che in quello nuovo, una
volta raccolte le informazioni e individuato il problema, è necessario
definire gli obiettivi che gli interventi da programmare devono raggiungere.
Non è possibile indicare in modo esaustivo l’insieme degli obiettivi che
possono essere individuati: questi dipendono da una molteplicità di fattori
fra cui di primaria importanza sono il contesto politico, l’ambito territoriale
ed il livello temporale a cui si riferisce la programmazione. Possono essere
inoltre di natura diversa: puramente indicativi oppure quantitativi oppure
entrambe queste tipologie; non è raro poi il caso in cui risultino in contrasto
fra di loro. In questo paragrafo, ci limitiamo di conseguenza ad indicare i
casi, e le soluzioni proposte, che più frequentemente si presentano.
Molto spesso, gli obiettivi prefissati sono quantificabili; definita la funzione
obiettivo, il processo di pianificazione diventa un processo di ottimizzazione
e dunque trattabile ricorrendo a strumenti e modelli matematici noti.
Rientrano in questa categoria i casi in cui, con riferimento ad una
infrastruttura dei trasporti, la funzione obiettivo da massimizzare è il livello
complessivo di servizio, il profitto del produttore del servizio oppure il
surplus dell’utente4.
Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, una complessità della
pianificazione in questo settore deriva però dalla presenza di obiettivi
4
Il surplus dell’utente è un concetto molto antico poichè già a metà dell’800, il Dupuit ne
suggeriva l’uso nel settore dei trasporti.
11
difficilmente misurabili in termini quantitativi. Questo significa che spesso
modelli matematici di ottimizzazione devono essere “interpretati” alla luce
di tutti quegli obiettivi intangibili che il decision maker persegue. In questo
caso, “sembra più opportuno pensare ad uno schema logico di preferenze in
cui siano indicati obiettivi generali, obiettivi specifici e relative possibili
modalità di conseguimento in relazione alla scala territoriale cui il piano si
riferisce” (L. Bianco, 1987). In pratica, si tratta di scomporre l’obiettivo
primo, espresso in termini qualitativi, in sub-obiettivi, aggregabili a diversi
livelli, che possono essere trattati mediante l’analisi quantitativa.
Quando obiettivi di carattere generali quali quelli redistributivi vengono
inseriti nell’analisi costi-benefici (par.3),
possono essere seguite due
metodologie alternative per valutare correttamente gli effetti che il progetto
genera. La prima consiste nel calcolare il beneficio netto ponderato del
progetto attraverso l’individuazione di un sistema di pesi dei benefici netti
percepiti dai singoli gruppi; nel caso della distribuzione del reddito, molti
studiosi suggeriscono di far riferimento, per la determinazione dei pesi,
all’elasticità dell’utilità marginale del reddito.
La seconda consiste nell’analizzare gli effetti del progetto attraverso la
variazione dell’indice che misura l’ineguaglianza che si cerca di ridurre. I
metodi descrittivi più utilizzati sono la rappresentazione grafica della
distribuzione della popolazione per livelli di reddito oppure la curva di
Lorenz. Per costruire questa curva, sull’asse delle ascisse vengono riportate
le quote percentili della popolazione e sull’asse delle ordinate la quota
percentuale cumulata del reddito totale corrispondente ai vari percentili. Nel
caso di uguaglianza, la curva sarebbe rappresentata dalla diagonale; quanto
maggiore è la distanza da questa diagonale tanto maggiore è il livello di
ineguaglianza. Il campo di applicazione di questo metodo è però limitato in
quanto non fornisce indicazioni quantitative sul livello di ineguaglianza di
12
due distribuzione. Un metodo che invece fornisce una valutazione numerica
di questo fenomeno è l’indice di concentrazione del Gini che misura l’area
fra la diagonale e la curva suddette. Il valore minimo di questo indice è 0
che corrisponde a situazioni di uguaglianza perfetta; il valore massimo è 1
quanto tutto il reddito appartiene ad un unico soggetto. Infine, un altro
metodo è l’indice di povertà ossia la quota della popolazione che percepisce
un reddito inferiore ad una determinata soglia; questo metodo, anche se
molto utilizzato, ha il difetto di non essere collegato ad una particolare
funzione del benessere sociale (così come l’indice del Gini); la definizione
della linea di povertà è da sempre oggetto di dibattito.
Molto spesso si pone il problema di considerare congiuntamente più
obiettivi e dunque di stabilire delle priorità fra gli obiettivi stessi che il
decisore politico ha prefissato. Sono state proposte diverse soluzioni a
questo problema. La prima consiste nell’individuare dei pesi da attribuire ai
singoli obiettivi da considerare in un’unica funzione obiettivo da
massimizzare. Un secondo metodo consiste invece nel decidere di
massimizzare un unico obiettivo ponendo però dei vincoli sugli altri.
Un’altra soluzione proposta è un mix delle due precedenti in cui alcuni
obiettivi rimangono tali mentre altri rientrano nelle funzioni di vincolo. E’
stato dimostrato (Marglin, 1967) che ognuna di queste soluzioni, però,
conduce a risultati corretti ed equivalenti solo nel caso di “... condizioni di
certezza - ossia di perfetta conoscenza delle possibili tecniche, espresse dalla
curva di trasformazione dell’investimento pubblico e delle preferenze sociali
espresse da ‘isoquanti di desiderabilità’ tra i vari obiettivi”5, condizioni che
nella realtà difficilmente si verificano. Altrettanto laboriosi risultano anche
le soluzioni proposte in caso di incertezza tant’è vero che, spesso, secondo
alcuni, conviene rinunciare alla definizione di un unico “obiettivo” e
lavorare di converso su una matrice obiettivi-impatti. Questo approccio è
5
G. Muraro in Fondo, “Investimenti e occupazione” (bibl.).
13
alla base del metodo degli effetti, così come delle tecniche di MCDMMultiple Criteria Decision Making su cui ritorniamo nel prossimo
paragrafo.
1.3. L’ANALISI COSTI-BENEFICI
Premesso che la valutazione politica6 rimane dominante nel processo di
scelta, sono state sviluppate diverse metodologie di valutazione degli
interventi a supporto delle decisioni finali dei politici. Uno degli strumenti
sicuramente più diffusi per l’analisi e la scelta fra più alternative è l’analisi
costi-benefici7, su cui ci soffermiamo di seguito, anche se particolare rilievo
negli ultimi anni viene attribuito alle tecniche multicriteriali.
L’analisi costi-benefici si basa sul confronto dei costi e dei benefici,
entrambi misurati in termini monetari, che deriverebbero dalla realizzazione
del progetto oggetto di studio durante la durata di vita dell’intervento
programmato con l’obiettivo di individuare l’alternativa che a parità di costi
massimizza i benefici o viceversa. Per ogni alternativa, si deve dunque fare
il confronto tra la realtà comprensiva del progetto e la situazione di non
progetto.
6
Molto significativa a questo proposito è stata l’esperienza italiana del FIO-Fondo
Investimenti ed Occupazione, che definì adeguate tecniche di valutazione finanziaria ed
economica degli investimenti, poiché mise in luce le difficoltà pratiche del voler associare
tecniche rigorose e scientifiche a processi decisionali in cui gli interessi politici ed
economici sono fortemente presenti. Tutto ciò viene perfettamente sintetizzato da quanto
riportato di seguito: “Quella esperienza portava, in modo tecnico ed unitario,
all’individuazione delle priorità da rispettare, identificando il punto di arresto annuale in
relazione alle risorse finanziarie disponibili e richiedendo taluni requisiti essenziali come il
ritorno economico dell’investimento e la immediata cantierabilità dell’investimento stesso.
Ma una esperienza di questo tipo, tecnicamente valida, diminuiva lo spazio riservato alla
cosiddetta ‘mediazione’ politica che è stata e resta la causa fondamentale degli investimenti
finanziati solo parzialmente oppure a pioggia, e fu fatta terminare in modo burrascoso.”
Sante Bianchini, Introduzione di base al Seminario “Le risorse, gli investimenti e i
finanziamenti”, Cnel, 6 aprile 1993, Roma.
7
L’analisi costi-benefici viene spesso utilizzata anche per valutazioni ex-post ossia per
verificare quale sia stata, dopo un certo numero di anni, la redditività di un certo
investimento.
14
In alcuni casi, prima di valutare la redditività di una determinata spesa in
questo settore, è necessario verificare che non vi siano soluzioni meno
onerose dal punto di vista economico i cui effetti possano essere
paragonabili. Si tratta in pratica di analizzare a priori quali siano le
potenzialità delle infrastrutture esistenti e verificare che non vi siano
interventi, per esempio sulla regolazione dell’offerta e della domanda dei
servizi resi possibili dalle stesse, in grado di sortire gli effetti desiderati.
Generalmente, l’analisi C/B viene realizzata a completamento dello studio
di fattibilità in cui vengono precedentemente analizzati tutti gli elementi
necessari per la valutazione della redditività di un investimento, e dunque
necessari per l’analisi costi-benefici stessa. Di seguito, riportiamo
brevemente tutte le fasi che compongono uno studio di fattibilità riservando
particolare attenzione all’analisi costi-benefici.
Dopo aver individuato gli obiettivi che si intendono perseguire con il
progetto oggetto di studio, il passo successivo è l’analisi del contesto in cui
si inserisce l’opera: è infatti necessario conoscere l’insieme di norme
legislative ed amministrative, statali e locali, i permessi, le licenze e tutti gli
atti necessari e soprattutto i relativi tempi, la posizione dei vari gruppi di
interesse, ecc. Successivamente, si passa all’analisi della domanda e delle
condizioni di offerta del prodotto/servizio. Questa fase è particolarmente
delicata poiché quasi tutte le decisioni finanziarie e tecnologiche dipendono
dalle previsioni sulla domanda attuale e potenziale che potrà essere
catturata. Per valutare la domanda, vi sono oggi, anche per il settore dei
trasporti, una molteplicità di modelli che si basano su metodi statistici di
variabili osservazionali. Senza entrare nel merito di questi diversi modelli
già trattati in dettaglio nel II° capitolo, è sufficiente sottolineare in questa
sede che questo strumento è stato molto affinato nel tempo e che oggi è
possibile anche ricorrere a modelli trasporti-territorio che tengono conto
15
della reciproca influenza di questi due fenomeni. Questa opportunità è molto
importante poiché una delle principali difficoltà nel valutare la domanda nel
settore dei trasporti risiede proprio nel fatto che questa è una domanda
derivata. Le interconnessioni ed interdipendenze del settore trasporti con lo
sviluppo economico, sociale e territoriale rendono particolarmente
importante la tecnica cosiddetta degli scenari8 nello studio di modelli
previsionali elaborati per la stima della domanda di trasporto, metodologia
con cui è stata affrontata fra l’altro la ricerca “Scenari di lungo periodo per
la pianificazione dei trasporti” del Sottoprogetto I del Progetto Finalizzato
Trasporti di cui riportiamo di seguito lo schema.
In base alle previsioni sulla domanda e sulle relative caratteristiche, si passa
allo studio delle tecniche esistenti per realizzare il progetto in questione e la
scelta è di fondamentale importanza poiché da questa dipendono le
valutazioni dei flussi monetari che verranno inseriti nell’analisi finanziaria.
In base alle ipotesi sulla tecnologia e sul piano di produzione, si
determinano infatti il piano di approvvigionamento, l’organizzazione e le
risorse
umane
da
reperire,
oltre
al
profilo
generale
del
costo
dell’investimento. Dopo aver valutato le diverse opzioni sulla localizzazione
e le relative conseguenze, si passa all’analisi finanziaria del progetto e
successivamente a quella economica (ossia l’analisi C/B).
Senza entrare nel merito dell’analisi finanziaria9, utilizzata per valutare i
flussi di cassa relativi all’unità produttiva con l’obiettivo di individuare la
8
Si definiscono degli scenari legati ad aspetti politici, sociali ed economici (studio del
“mondo”) attraverso l’evoluzione delle variabili strutturali che li definiscono in cui si cerca
di capire l’impatto del “fenomeno oggetto di studio”; ciò è possibile ricorrendo a modelli
econometrici o più semplicemente attraverso interviste, indagini di campo, dati, ecc.
Si tratta di definire degli scenari in base a determinati aspetti politici, economici, sociali e
culturali in cui si analizza l’inserimento del fenomeno oggetto di studio.
9
Opinione comune è quella di considerare l’analisi finanziaria complementare a quella
economica: un progetto per essere approvato dovrebbe infatti rispettare sia la convenienza
finanziaria sia quella economica.
16
soluzione che permette la massimizzazione del profitto e più che
sperimentata nel settore privato, la ricerca in materia di valutazione di
interventi pubblici, e dunque per il settore dei trasporti, ha dedicato
particolare attenzione all’analisi economica alla luce della indiscussa
valenza sociale di questa tipologia di interventi. Rispetto all’analisi
finanziaria in cui i costi ed i ricavi sono voci sostanzialmente bene
identificate in quanto si riferiscono ad un unico soggetto, l’unità produttiva,
che
persegue
un
17
Schema 3 - Fasi della ricerca “Scenari di lungo periodo per la
pianificazione dei
trasporti” - Sottoprogetto I del PFT
I° FASE
Scelta delle variabili caratterizzanti lo scenario
Demografia
Economia
Motorizzazione
Assetto del territorio
Energia
Reti di trasporto
Analisi storica scenario attuale
II° FASE
Ipotesi qualitativa di evoluzione dello scenario
Sviluppo equilibrato
Evoluzione tendenziale
III° FASE
Previsioni quantitative
di evoluzione settoriale
Analisi
Delphi
Stagnazione
equilibrata
Modelli
matematici
settoriali
Costruzione di possibili scenari futuri
Sviluppo equilibrato
18
Evoluzione tendenziale
Stagnazione
equilibrata
preciso obiettivo, massimizzare i profitti, molto più complessa è la
definizione di costi e ricavi nell’analisi economica in quanto di volta in volta
è necessario individuare il contesto di riferimento, ossia i soggetti che
sosterranno dei costi o che riceveranno dei benefici, definire le voci da
considerare come costi e benefici nonché risolvere tutti i problemi connessi
alla loro quantificazione al fine di procedere alla valutazione del
raggiungimento degli obiettivi perseguiti (fra cui generalmente detto il
benessere economico del sistema). La presenza di una molteplicità di
fenomeni connessi complica sicuramente il compito di chi realizza questo
tipo di analisi ed una delle principali difficoltà in questo settore è proprio la
delimitazione del campo di osservazione; a ciò, si aggiunge l’ulteriore
complessità dovuta alla presenza di numerosi effetti intangibili o comunque
di difficile valutazione. E tutto ciò assume particolare rilevanza nel caso
delle infrastrutture di trasporto poiché queste hanno un impatto rilevante sul
territorio in cui vengono realizzate in termini produttivi, occupazionali,
sociali, ambientali, ecc. Di fatto, non esiste una soluzione unica per
determinare tutti questi aspetti ed è opinione corrente, nonché pratica
diffusa, che questi vengano di volta in volta individuati congiuntamente dal
soggetto politico e dal tecnico in relazione agli obiettivi perseguiti.
Uno schema sintetico (Cascetta 1990) degli effetti che possono essere
inseriti nella valutazione di un piano sono i seguenti10:
Utenti (passeggeri e merci)

variazione di utilità netta (surplus) percepito dagli utenti dell’intero
sistema di trasporto suddivisi in segmenti di mercato,

variazione di attributi non percepiti per segmenti di mercato
19
Operatori pubblici (per ciascun operatore coinvolto)

variazione nelle quantità di risorse (mano d’opera, materiali, capitale)
necessarie per la costruzione, manutenzione ed esercizio del sistema

costi di riallocazione di persone e attività commerciali

variazioni di ricavi della vendita del servizio

variazione di tasse pagate dagli utenti del sistema di trasporto (carburanti,
lubrificanti, ecc.)

variazione di tasse dei non utenti (proprietà, ecc.)

variazioni di trasferimenti fra le diverse amministrazioni pubbliche
Non utenti
Impatti economici

variazioni di valori di terreni ed immobili

variazioni di uso dei suoli

riallocazione di persone ed attività economiche
Impatti sociali

variazione di accessibilità alle attività sociali (scuola, centri sociali e
religiosi, attività ricreative, ecc.)

modifiche nella struttura e nella coesione di comunità locali
Impatti ambientali

modifiche dell’eco-sistema,

variazioni di inquinamento acustico,

variazione di inquinamento atmosferico,

intrusione visiva.
Oltre alla diversità delle voci di costo e di beneficio da considerare nella
valutazione finanziaria ed economica di un progetto, un’altra sostanziale
differenza fra l’analisi finanziaria e quella economica è la scelta del livello
dei prezzi da attribuire ad ogni variabile di spesa o di entrata che, nella
10
Un altro aspetto di rilevante interesse, soprattutto in un momento come questo in cui le
risorse pubbliche risultano così ridotte, è la valutazione del costo/opportunità della spesa
20
prima, sono quelli di mercato, correnti e previsti. I motivi a sostegno di
questa diversità di sistemi di prezzi sono dovuti in primo luogo al fatto che i
prezzi di mercato sono molto spesso distorti - a causa della presenza non
trascurabile di imposte, sussidi, trasferimenti, ecc. - ed in secondo luogo alla
circostanza che, generalmente, non corrispondono agli obiettivi economici e
sociali perseguiti dalla Stato (per esempio un incremento di consumo
aggregato, una ridistribuzione del reddito, ecc.). Di conseguenza, i prezzi
utilizzati nell’analisi economica, indicati in letteratura come prezzi ombra,
vengono stimati in modo che “... riflettono più precisamente di quelli di
mercato il fatto che le risorse a disposizione del Paese sono scarse e oggetto
di competizione tanto per il perseguimento di obiettivi di consumo privato
quanto obiettivi di benessere sociali. E’ importante sottolineare che non ci si
propone di identificare prezzi di equilibrio concorrenziale perfetto poiché
essi si riferiscono ad una situazione estrema in cui tutti i mercati funzionano
perfettamente e senza distorsioni, e il sistema fiscale è socialmente ottimale.
I prezzi ombra sono invece stimati tenendo conto del fatto che le distorsioni
continueranno ad esistere, ma che il loro peso e la loro direzione varierà a
seconda delle circostanze e delle politiche economiche perseguite dal
paese....... I prezzi ombra o prezzi contabili sono, pertanto, dei prezzi di
stima che riflettono meglio di quelli di mercato la valutazione che la società
dà al costo-opportunità di beni e servizi.” (Pennisi, 1984). Nel corso degli
anni, le tecniche di stima dei prezzi ombra sono state notevolmente affinate
e particolarmente importante è stato il contributo di studi e ricerche svolte a
questo proposito dalle principali organizzazione internazionali, fra le quali
l’Ocse, l’Unido e la Banca mondiale (ai quali rimandiamo per un
approfondimento dettagliato di questo problema).
Limitandoci in questa sede ad una esposizione molto sintetica delle
principali metodologie di stima del sistema di prezzi ombra, molto diffusa è
pubblica e degli effetti fiscali eventualmente connessi.
21
la tecnica di valutazione basata sui prezzi internazionali che rappresentano,
secondo chi sostiene questo approccio, una misura del costo opportunità dei
beni/servizi che entrano nella valutazione del progetto migliore di quella
offerta dai prezzi di mercato nazionali; un’altra tecnica utilizzata prevede
invece il ricorso a modelli di programmazione matematica. Entrambe queste
soluzioni non sono però esenti da forti limiti applicativi, in particolare il
secondo che necessità di una mole di informazioni e dati statistici
disaggregati molto elevata per poter fornire dei risultati significativi. Ma
anche le tecniche che prevedono il ricorso ai prezzi internazionali non sono
sempre praticabili. In alcuni casi, per esempio, questi differiscono da quelli
interni proprio perché, a livello nazionale, si perseguono determinati
obiettivi e, come abbiamo detto in precedenza, i prezzi ombra devono essere
stimati tenendo conto di questi obiettivi; un’altra difficoltà è legata alla
variabilità dei prezzi internazionali, oltre alla bontà delle fonti statistiche
disponibili ed, infine, alcuni dei prezzi da stimare si riferiscono a beni che
non vengono scambiati sul mercato internazionale, e, a volte, neanche su
quello interno. Quest’ultima situazione è sicuramente diffusa nel settore dei
trasporti: questo accade sia quando la nuova infrastruttura rende disponibile
un servizio che prima non esisteva sia quando è necessario valutare beni per
i quali non esiste di non esiste di fatto nessun mercato quali ad esempio,
l’inquinamento dell’aria, quello acustico, l’impatto paesaggistico, il
risparmio di tempo, la congestione, la vita umana, ecc.
Quando il mercato non esiste oppure è notevolmente distorto (per esempio a
causa di tariffe amministrate), per calcolare il beneficio totale derivante
dall’offerta di un nuovo bene/servizio, si può ricorrere al calcolo del surplus
del consumatore ossia della disponibilità del consumatore a pagare per un
certo servizio. Molto chiaro è l’esempio che Stiglitz11 fa in relazione alla
costruzione
11
Bibl.
22
di
un
ponte.
Supponendo
che
la
capacità
minima
dell’infrastruttura sia tale da risultare comunque superiore alla domanda, il
pedaggio potrebbe essere nullo in quanto il costo marginale dell’uso dello
stesso è nullo. Ciò nonostante, è ragionevole chiedersi quale sia il pedaggio
che i potenziali clienti sarebbero disposti a pagare a fronte dei benefici che
derivano dell’attraversamento del ponte. Attraverso la costruzione della
curva di domanda compensata12 che “descrive la domanda di un bene al
diminuire del prezzo quando, contemporaneamente, venga sottratto
all’individuo un ammontare di reddito sufficiente affinché il suo benessere
resti immutato, non vari, cioè, inversamente al variare del prezzo”, è
possibile misurare il surplus del consumatore derivante dalla realizzazione
dell’infrastruttura. Se la somma dei surplus di tutti i possibili soggetti
interessati è superiore ai costi, sarà allora opportuno costruire il ponte13 (la
disponibilità a pagare di ogni individuo è influenzata: dal livello di reddito
personale e dalla presenza di soluzioni alternative).
Molto complessa e dibattuta è la stima dei “prezzi” da associare ai beni per i
quali non esiste mercato. Storicamente, gli aspetti che hanno suscitato
particolare interesse sono stati la valutazione del tempo e quella della vita
umana. Più recentemente, il dibattito si è esteso anche ad altri fattori, in
particolare quelli connessi con le tematiche ambientali14. Diverse scuole di
pensiero si confrontano sulla metodologia di stima degli effetti, in termini di
costi e benefici; recentemente, contributi di notevole interesse sono stati
forniti dalla Commissione europea che, nei primi mesi di questo anno, ha
pubblicato il Libro verde sui costi sociali aggiungendosi così alla ampia
letteratura tecnica sulle metodologie di calcole delle diverse voci di costo.
12
In questo caso, indica il prezzo che il consumatore è disposto a pagare per attraversare un
numero crescente di volte il ponte.
13
Il beneficio totale sarà costituito dalla somma dei surplus di tutti gli utenti anche se, come
vedremo più avanti, è di fondamentale importanza considerare anche i benefici di cui
usufruiscono anche coloro che non utilizzano direttamente l’infrastruttura.
14
Si veda a questo proposito il paragrafo del I° capitolo dedicato ai costi ambientali.
23
In linea di massima, vengono utilizzati metodi deduttivi in base ai dati di
mercato e/o comportamenti osservati oppure a stime indirette in base a beni
scambiati sul mercato. Per quanto riguarda la valutazione dei benefici
generati dalla costruzione di una determinata infrastruttura di trasporto in
termini di risparmio di tempo, per esempio, è possibile stimare il valore
medio attribuito a questa variabile attraverso l’analisi del comportamento di
un campione di utenti in situazioni analoghe esistenti (per andare da un
punto A ad un punto B, esistono due alternative: sostenere un costo C1 e
metterci un tempo T1 oppure sostenere un costo inferiore a C1 e metterci un
tempo superiore a T1). Molto diffuso è anche il criterio di utilizzare il salario
orario degli utenti che rappresenta, secondo alcuni economisti, una corretta
valutazione monetaria del tempo degli utenti. Questo approccio viene
criticato da altri studiosi in quanto ritengono invece che le caratteristiche dei
singoli lavori conducono a sovrastimare, in alcuni casi, il valore del tempo
così determinato ed, in altri, a sottostimarlo.
Molto complessa è la valutazione della sicurezza ossia della vita umana e
nonostante vi siano a questo proposito diverse tecniche di stima, nessuna
risulta esente, però, da notevoli problemi sia teorici che applicativi15; fra
queste, il metodo costruttivo che consiste nel calcolare ciò che un individuo
avrebbe guadagnato durante la sua vita (in base al confronto con esperienze
simili). Tale tecnica, però, viene ritenuta da molti studiosi inadeguata per
diversi motivi: per esempio, la stima del valore economico della vita umana
andrebbe corretta sottraendo i costi che la collettività non dovrà più
sostenere, valutazione che fra l’altro risulta particolarmente complessa e
difficile.
15
Fra questi, ricordiamo il metodo costruttivo che consiste nel calcolare ciò che un
individuo avrebbe guadagnato durante la sua vita (in base al confronto con esperienze
simili) anche se ritenuto da molti studiosi inadeguato per diversi motivi fra cui quello che, a
livello collettivo, la stima del valore economico della vita umana andrebbe corretta
sottraendo i costi che la collettività non ha dovuto sostenere - valutazione che fra l’altro
risulta particolarmente complessa e difficile.
24
Più in generale, una tecnica particolarmente diffusa in questi casi, alternativa
o integrativa all’analisi costi-benefici, è l’analisi costo-efficacia che consiste
nell’individuare il modo più efficace per raggiungere un obiettivo prefissato
senza dover procedere a complesse e discutibili valutazioni economiche. Per
esempio, se lo scopo è quello di ridurre l’incidentalità stradale ad un
determinato livello, è possibile calcolare i costi generati da tutti quei progetti
che consentono di raggiungere il livello di mortalità fissato inizialmente e
scegliere quello che minimizza tali costi. Nel caso in cui non venga fissato a
priori il livello di sicurezza, è possibile stimare la curva del costo marginale
di una riduzione unitaria della mortalità e lasciare successivamente agli
organi decisionali il compito di scegliere il livello di sicurezza.
Un importante contributo al problema della valutazione delle “esternalità”
dei trasporti (congestione, uso delle infrastrutture, inquinamento ambientale,
ecc.) è stato fornito da uno studio presentato dall’UIC16, trattato nel capitolo
X, così come lo studio commissionato dall’Ocse “Internalising the social
costs of transport” (1993).
Un altro punto molto dibattuto, che fra l’altro costituisce per alcuni studiosi
un ineliminabile limite dell’analisi costi benefici, è la determinazione del
tasso di attualizzazione, ossia di quel valore che ci permette di attualizzare i
costi e le entrate previste durante la vita dell’opera; è opinione diffusa che il
tasso di interesse del mercato non sia il valore da utilizzare in questo tipo di
analisi in quanto incorpora valutazioni di breve periodo ed è soggetto a
numerosi vincoli (il mercato dei crediti, l’esistenza di tassi particolari, ecc.).
Riprendendo le parole del Pennisi (1984), il tasso sociale di sconto deve
riflettere “il costo-opportunità delle risorse per l’operatore, per l’ente e/o per
16
External effects of transport, Project for the UIC Paris, Infras Zurigo, IWW Karlsruhe,
Maggio 1994
25
l’impresa: il rendimento, cioè, a cui operatore, ente e/o impresa debbono
rinunciare per utilizzare le risorse del progetto in esame.”. Questo indicatore
rientra fra i parametri nazionali denominati tali in quanto corrispondono ai
macro obiettivi che il decisore politico, a livello di politica economica
nazionale, persegue e che, nell’ambito della valutazione di tutti i progetti,
devono assumere lo stesso valore. La definizione degli stessi è dunque un
problema di ordine politico. I principali parametri nazionali sono, oltre il
tasso sociale di sconto, il prezzo ombra dell’investimento, il salario ombra,
il prezzo ombra della valuta estera, più in generali, tutti i prezzi ombra che
riflettono il perseguire dei suddetti obiettivi.
Dopo aver stimato sia i costi che i benefici ed aver attualizzato i valori futuri
attraverso il tasso sociale di sconto ricorrendo alla formula di
capitalizzazione, si passa al calcolo del rendimento del progetto17. Nel
tempo, sono stati elaborati numerosi criteri di valutazione economica di un
progetto fra i quali i più diffusi sono descritti di seguito.:

Il Valore Attuale Netto - VAN, che consiste nel calcolare la differenza fra i
benefici generati dall’investimento nei vari anni di durata dello stesso ed i
costi sostenuti negli stessi periodi. La formula è dunque:
t=n
t=n
VAN =  Bt ___1___ -  Ct ___1___
t=0
(1+i)t
t=0
dove: Bt = Benefici al tempo t
i = tasso di attualizzazione
(1+i)t
Ct = Costi al tempo t
n = numero di anni di vita del
progetto
17
Le tecniche riportate di seguito possono essere utilizzate sia nell’analisi finanziaria che in
quella economica (è a quest’ultima che si di seguito riferimento).
26
Nel caso di progetti sostitutivi alternativi, dovrebbe essere scelto quel
progetto che massimizza il VAN (in questa situazione, la significatività
del risultato è strettamente legata all’analisi ed alla valutazione sia di ciò
che si verificherebbe nel caso di “non progetto” sia delle alternative del
progetto); negli altri casi, questo metodo permette invece di selezionare i
progetti validi (ossia quelli che presentano valori positivi) ma la scelta
operativa viene determinata successivamente in base all’ammontare delle
risorse disponibili ed alle preferenze dei decisori politici18. La formula
proposta in alcuni manuali prevede che al valore del VAN così calcolato
venga sottratta la differenza fra i benefici ed i costi relativi alla situazione
di “non progetto” (nel caso di progetti sostitutivi, il diminuendo è
ovviamente costante).

Il Rapporto fra Benefici e Costi Attualizzati - RBCA (simile al criterio
precedente dove invece della differenza viene calcolato il rapporto). E’
opinione diffusa che l’uso di questo indicatore nell’analisi della
convenienza economica di un progetto debba essere aggiuntivo al VAN
piuttosto che alternativo in quanto le due tecniche conducono, in alcuni
casi, a risultati contraddittori.

il Saggio di Rendimento Economico19 (SRE) , che consiste nel calcolare
quel tasso i per il quale il VAN si annulla.
Il ruolo svolto in questo processo decisionale dalla scelta del tasso di sconto
è
evidente,
così
come
banale
è
sottolineare
l’importanza
della
determinazione della durata del progetto. Questo ultimo parametro è
fortemente problematico nel caso delle infrastrutture di trasporto, in cui vi
sono tempi lunghi di realizzazione ed altrettanto lunghi
di vita delle
18
Sono stati suggeriti alcuni criteri per la selezione ulteriore dei progetti nel caso di fondi
limitati che possono essere ordinati in base al rapporto VAN/spesa per investimenti oppure
VAN/fabbisogno di fondi.
19
Nell’analisi finanziaria, questo indicatore è chiamato Saggio di Rendimento Interno.
27
infrastrutture stesse che si riflettono sull’esistenza di ritorni dispersi nel
tempo.
Una volta calcolato il rendimento dell’intervento oggetto di studio è
comunque opportuno valutarne il campo di oscillazione. Infatti, quasi tutti i
parametri utilizzati, sia dal lato dei costi che dei benefici, sono oggetto di
incertezza ed è necessario, per i soggetti decisionali, conoscere quali siano i
rischi che una certa decisione comporta. Prima di affrontare aspetti
probabilistici, un approccio per governare questo fenomeno, secondo alcuni,
è il ricorso all’analisi di reattività che consiste nell’analizzare le variazioni
degli indicatori di convenienza al variare di uno o più dei parametri
utilizzati. Il pregio di questa analisi in tal caso è quello di mettere in
evidenza se in effetti esiste il rischio che gli indicatori subiscano sensibili
variazioni. Non esiste un criterio preciso per individuare i parametri chiave
da utilizzare e questa scelta viene generalmente fatta in base alla sensibilità
dell’analista in relazione alle caratteristiche del progetto. Il Pennisi (1984)
suggerisce comunque la necessità di effettuare questo tipo di analisi in
relazione
all’utilizzazione
della
capacità
produttiva,
ai
ritardi
nell’esecuzione ed all’ottimizzazione temporale. Il principale limite
applicativo di questa tecnica è che non tiene conto che, nella realtà, i
parametri chiavi non sono indipendenti fra di loro. Ciò nonostante, nel caso
in cui l’analisi di reattività metta in evidenza una situazione di forte
incertezza, allora conviene procedere all’analisi del rischio. Il primo
compito di chi deve eseguirla è quello di individuare le variabili che
maggiormente rischiano di incidere sui valori degli indicatori di
convenienza del progetto. La scelta è esclusivamente soggettiva e dipende
dalla sensibilità dell’analista e/o del decisore così come la scelta della
distribuzione di probabilità relativa ad ognuna delle suddette variabili. A
questo punto, combinando in vario modo le diverse distribuzioni di
probabilità, è possibile ottenere più valori degli indicatori da analizzare con
28
gli strumenti statistici disponibili. Le informazioni di sintesi sulla variabilità
degli indicatori sono un ulteriore contributo al processo decisionale.
Negli anni, l’analisi costi-benefici è stata oggetto di diverse critiche. Sotto il
profilo applicativo, il limite di questa tecnica deriva dalla difficoltà, in
primo luogo, di individuare correttamente il sistema dei prezzi ombra e, in
secondo luogo, di considerare in modo esaustivo tutte le conseguenze
derivanti dalla realizzazione del progetto. Determinare e valutare gli effetti
che questo genera sia per i diretti interessati sia per i non utenti è compito
particolarmente arduo, risolto, nella pratica, limitando notevolmente il
campo di osservazione (il che non risulta ovviamente corretto). L’analisi
costi-benefici si basa inoltre sul principio della marginalità del progetto
oggetto di studio, ossia sulla non rilevanza dello stesso se considerato
nell’ambito del sistema economico generale (non implica, per esempio,
modifiche sulla struttura dei prezzi utilizzati nell’analisi stessa). Questa
ipotesi, in particolare nel caso delle infrastrutture di trasporto, viene
difficilmente rispettata in quanto questa non solo si ripercuote sul settore
complessivo dei trasporti (può alterare, per esempio, la distribuzione modale
del traffico) ma anche su altri settori, fra cui per esempio, quello
dell’industria produttrice di beni di investimento.
In alternativa, o secondo alcuni ad integrazione dell’analisi costi-benefici,
sono state sviluppate negli ultimi anni diverse tecniche di valutazione degli
interventi pubblici che ricadono sotto la denominazione di MCDM-Multiple
Criteria Decision Making. L’analisi multi-obiettivo, che ha il pregio di non
richiedere complicate e dubbie valutazioni monetarie (contrariamente
all’analisi costi-benefici), “consente di generare l’insieme delle soluzioni
29
(progetti) non dominate20 e di aiutare il decisore a sceglierne una che realizzi
un ‘compromesso accettabile’ fra i diversi obiettivi perseguiti” (Cascetta,
1990). L’uso di questa metodologia consente dunque di giungere ad una
classificazione di possibili alternative che devono essere valutate secondo un
ampio numero di criteri/obiettivi.
Il punto di partenza di questi metodi è la costruzione di una matrice in cui
viene riportato il valore risultante di ogni obiettivo, espresso nella propria
unità di misura, per ogni alternativa possibile. Ricerche
psicologiche sulle capacità umane di esaminare contemporaneamente più
aspetti suggerisce di limitare a sette gli obiettivi da considerare (se
necessario, ognuno di questi può essere suddiviso a sua volta in subobiettivi, ancora una volta, non più di sette). Successivamente, combinando
questa matrice con il vettore dei pesi attribuiti ad ogni singolo obiettivo, è
possibile fare una graduazione delle alternative esaminate. Senza entrare nel
dettaglio di tutte le tipologie di analisi che sono state elaborate negli ultimi
venti anni, queste possono essere così suddivise: modelli di scelta discreti,
ossia che consentono l’individuazione di un numero finito di scelte possibili,
e modelli di scelta continui che invece ne generano un numero infinito.
Ognuna di queste tipologia può inoltre essere suddivisa in altre a seconda
che vengano utilizzate informazioni qualitative, quantitativi oppure un mix
delle due precedenti. Per chi desiderasse approfondire questo argomento,
una rassegna delle tecniche di analisi multi-obiettivo è riportata nella
pubblicazione di Blaas e Nijkamp indicata in bibliografia.
20
Un progetto non dominato si definisce tale se nessun altro progetto presenta un livello di
maggior soddisfazione di un obiettivo senza peggiorarne un altro; per questo motivo si dice
che un progetto non dominato è un progetto Pareto-ottimale.
30
BIBLIOGRAFIA
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alle diverse scale territoriali: aspetti giuridico-amministrativi e stato di
attuazione, PROGETTO FINALIZZATO TRASPORTI 2 - Consiglio Nazionale
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Blaas E., Nijkamp P., Impact Assessment and evaluation in transportation
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investimenti e occupazioni - Ruolo e prospettive nella programmazione
regionale (Atti del seminario), Franco Angeli, Marzo 1988
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Torrieri V.)
Documenti CNEL, Politiche dei trasporti, Roma 1994
CSST - Centro Studi sui Sistemi di Trasporto, Dal piano urbano del traffico
al piano della mobilità - Metodologia e sintesi di alcune esperienze del
CSST, Numero Speciale, Novembre-Dicembre 1992
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nell’integrazione europea, SIPI, 1995
31
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partecipative, Sistemi di Trasporto - Rivista trimestrale del Centro Studi sui
Sistemi di Trasporto, Aprile-Giugno 1995
Pennisi G. (A cura di), Tecniche di valutazione degli investimenti pubblici,
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France, Mars1990
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Regione Veneto, Piano regionale dei trasporti, Marzo 1989
Stiglitz J.E., Economia del settore pubblico, Editore Ulrico Hoepli Milano,
1989
Tronconi O. (A cura di), Il sistema mobilità: verso una gestione
manageriale, Etaslibri, 1994
Università di Napoli “Federico II”, Procedure per la pianificazione dei
trasporti in Italia: Rapporto finale Anno 1992, PROGETTO FINALIZZATO
TRASPORTI 2 - Consiglio Nazionale delle Ricerche (Responsabile
scientifico: de Luca M.)
32
PARTE IV
CAPITOLO 2.
Il finanziamento delle infrastrutture
Anna Gervasoni e Marco Ponti
Libero Istituto Universitario di Castellanza
2.1. Alcuni richiami teorici
Il finanziamento delle infrastrutture di trasporto, fino a pochi anni fa, si è sempre
basato sull’ipotesi economica che si trattasse di beni pubblici (o di monopoli
naturali), nel senso che se fossero stati i privati a realizzarli, questi avrebbero
imposto poi tariffe elevate per l’uso (per recuperare i costi di investimento). Con tre
conseguenze negative: la sostanziale sotto utilizzazione delle infrastrutture stesse
(parte dell’utenza sarebbe scoraggiata dalle tariffe, e continuerebbe ad "intasare" le
vecchie infrastrutture), la discriminazione d'uso a danno delle categorie meno
abbienti, ed il possibile sfruttamento dell'utenza da parte dei gestori, che sarebbero
stati comunque monopolisti; con l'insorgere di extra profitti, (cioè al di sopra dei
costi di gestione e costruzione da recuperare), oppure extra costi, venendo meno lo
stimolo all'efficienza in un cotesto non concorrenziale.
Da qui l'assoluto predominio della spesa pubblica nel settore, con qualche
"mascheratura" sotto forma di garanzie statali fornite ad obbligazioni emesse sul
mercato privato, come nel caso della Alta Velocità italiana o delle Autostrade: per
intenderci, per il contesto inglese le garanzie statali sono correttamente considerate
come vero e proprio debito pubblico (il dissesto di molte imprese autostradali ha
confermato che verosimilmente di debito pubblico si trattava, anche nel caso
italiano).
Questo set di giustificazioni teoriche (cui dovrebbero aggiungersi importanti
componenti Keynesiane, e considerazioni sull'esistenza di benefici non ricuperabili
per via tariffaria - es. sviluppo, ambiente, ecc.-, su cui qui però non possiamo
dilungarci) è mutato radicalmente negli anni recenti. Le considerazioni di riferimento
possono essere così riassunte: esiste un livello "ottimo" di spesa in infrastrutture, e
tale livello si raggiunge quando una lira in più di investimento genera almeno una lira
di benefici alla collettività (meno congestione, consumi, ecc.). Se genera meno di una
lira, vi è eccesso di investimento. Ma questa situazione si realizza solo in presenza di
livelli elevati di uso delle infrastrutture; così elevati che una tariffa d'uso per
l'infrastruttura genera risorse sufficienti a costruirla, oltre che a gestirla (la teoria
suona come "eguaglianza dei costi marginali di breve e di lungo periodo": se i due
valori non coincidessero, sarebbe possibile un miglioramento paretiano
incrementando o diminuendo prelievi ed investimenti). Questo schema teorico
presuppone perfetta divisibilità degli investimenti, il che non è certamente vero a
1
livello singola infrastruttura, ma è ipotesi molto più accettabile a livello di reti
infrastrutturali, anche a scala sub-nazionale. Da qui alcune interessanti proposte
organizzative-gestionali-finanziarie per Agenzie regionali per la gestione dei pedaggi
stradali e degli investimenti (cfr.Newbery) con forti contenuti di Project Financing.
I problemi di non discriminazione dei gruppi meno favoriti, si sostiene, e a ragione,
non devono essere risolti con i trasporti, che sono strumento inadatto; i problemi di
comportamenti monopolistici si risolvono mettendo in gara l'insieme
costruzione-esercizio, cioè proprio con il Project Financing. Il che non esclude
parziali interventi pubblici a fondo perduto; è sparito tuttavia ogni assioma di
necessità del finanziamento e della gestione pubblica. Inoltre il problema della tutela
della concorrenza nel settore degli investimenti si presenta in Italia con particolare
urgenza a motivo del suo intrecciarsi con processi di privatizzazione in corso in
alcuni importanti comparti dei trasporti: autostrade ed aeroporti. La creazione dei
soggetti gestori privati infatti, se fatti coincidere con i soggetti investitori, richiede
una specifica attività di regolamentazione anche per gli investimenti: infatti è nota
dalla letteratura la tendenza all’ “overinvestment” dei gestori di monopoli naturali, al
fine di espandere la propria base di profitto, una volta che il saggio “equo” di tale
profitto sia fissato dal regolatore. Anche qui non è possibile dilungarsi in dettagli:
basterà citare alcuni documenti elaborati sul tema da M. Ponti e P.Ranci per il
Ministeri dei Trasporti e dei LL.PP.
Vale tuttavia la pena di accennare all’esperienza inglese più radicale, a titolo di
esempio: quella degli aeroporti di Londra (B.A.A.) il soggetto gestore coincide con il
soggetto investitore (e con la proprietà, in forma di “public company” con “golden
share”): la regolazione mediante il metodo del “price-cap” coinvolge in un processo
unico anche gli investimenti che sono in questo modo autofinanziati, ma con un
sostanziale “tetto” posto alla remunerazione attesa. Comunque, qualsiasi forma di
Project Financing posto in gara determina automaticamente una forma di “tetto” ai
ritorni possibili, determinato dalla competizione stessa.
2.2.
I problemi pratici del finanziamento pubblico
Il primo, dominante problema concerne la scarsità crescente dei fondi pubblici in tutti
i paesi industriali (la "crisi fiscale dello stato") e soprattutto in Italia. Appare sempre
meno giustificabile la spesa a sostegno di infrastrutture di trasporto (ad esempio
aeroporti e Alta Velocità) in presenza della necessità di ridurre alcuni consumi sociali
che sembrano presentare un'oggettiva maggior "necessità", ed anche contenuti
distributivi più rilevanti. Ed in effetti in tutti i paesi industriali si assiste ad un calo
degli investimenti infrastrutturali nei trasporti, con rarissime eccezioni, mentre
certamente non è in calo la domanda né le conseguenze negative della congestione
(costi, danni ambientali).
Un altro aspetto concerne l'efficienza della spesa: i costi tendono ad essere fuori
controllo, così come i tempi di realizzazione (20 anni per realizzare la "Direttissima"
ferroviaria Roma-Firenze, oltre 10 anni per il Passante ferroviario a Milano, ecc.).
2
Tale inefficienza ha un risvolto inquietante anche in termini di scarsa competizione e
di corruzione: il settore delle infrastrutture di trasporto ha interessato fortemente le
cronache giudiziarie recenti. In termini sintetici, si tratta di "cattura" dello Stato
regolatore da parte delle grandi agenzie regolate (Autostrade, FS, ecc.) e dall'insieme
dei fornitori di tali grandi agenzie. Infine, la stessa razionalità con la quale gli
investimenti sono decisi dallo Stato appare sempre meno difendibile (il Piano dei
Trasporti e il CIPET sono stati di fatto cancellati). Dunque, sembra esserci poco da
perdere a cambiare il dispositivo complessivo di programmazione e finanziamento: si
consideri in particolare il piano di investimenti ferroviari, che ammonta a più di
100.000 MD, e di cui il soggetto finanziatore (lo Stato) non ha effettuato alcuna
analisi nè economica nè finanziaria, nè funzionale (si tratta di un coacervo di istanze
localistiche ed elettorali e di “desiderata” di un soggetto non certo neutrale, cioè le
FS Spa). Oppure le vicende degli investimenti autostradali (“variante di valico” ecc.),
sempre promossi da interessi costituiti nel settore con scarsissime dimostrazioni di
razionalità da parte da parte del decisore pubblico, che tra l’altro (Ministero dei
LL.P.P.) non coincide con il soggetto che decide (o dovrebbe decidere) gli
investimenti ferroviari (il Ministro dei Trasporti), e che di fatto si fa portatore di
interessi settoriali e territoriali diversi.
2.3.
I vantaggi del Project Financing
Ricordiamo che per Project Financing nelle infrastrutture di trasporto si intende
sostanzialmente la concessione in solido di costruzione e gestione di un'opera, ad un
soggetto privato, che in questo modo ne assicura il finanziamento totale o parziale. I
vantaggi possibili per la collettività sono molteplici:
diminuiscono i costi per lo Stato a motivo della maggior efficienza garantita
dai privati sia nella costruzione sia nella gestione dell'opera, garantendo anche la
collettività sulla qualità della costruzione (un cattivo funzionamento dell'opera
ricadrebbe sulla gestione);
nella misura in cui la quota di finanziamento a fondo perduto deve essere
valutata ex-ante lo Stato deve rendere espliciti e quantificare gli eventuali benefici
sociali attesi dall'infrastruttura, sulla base di accurate analisi costi-benefici di progetti
alternativi;
a sua volta, questo processo riduce la possibilità di selezionare progetti di
dubbia priorità in base a generiche valutazioni "sociali", migliorando
complessivamente la qualità della spesa pubblica. Se non vi sono finanziamenti a
fondo perduto gli investimenti saranno endogenamente indotti a dirigersi dove
maggiore è la domanda, cioè dove sono più necessari.
Precondizione indispensabile perché tali risultati siano conseguiti è che i progetti
siano messi in gara, al fine di selezionare l'operatore privato che garantisce
l'efficienza, cioè il minimo costo pubblico.
3
In assenza di processi competitivi (come è il caso di tutti i grandi investimenti in
corso in Italia nel settore: ferrovie, autostrade, aeroporti) i vantaggi svaniscono
totalmente: anzi, si creano monopoli privati spesso con il sostegno di garanzie
pubbliche. Viene cioè meno la garanzia di efficienza, che agisce solo sotto la spinta
della competizione.
2.4.
Svantaggi e rischi del Project Financing
Vi è un aspetto problematico nel P.F. che a rigore non è uno svantaggio, e tuttavia
può costituire un serio ostacolo alla sua applicazione. In un progetto realizzato e
gestito dallo Stato i rischi non sono monetizzati: se l'opera non si ripaga, o si ripaga
meno di quanto previsto, ciò si disperde nella contabilità complessiva dello Stato o
dell'agenzia pubblica che l'ha realizzata (autostrada, ferrovia, porto, ecc.). Se si affida
in gara a privati l'opera e la sua gestione, tra i costi compare inevitabilmente il
"premio di rischio", tanto più alto quanto maggiore è l'incertezza sulla domanda, la
tecnologia impiegata, le tariffe, ecc. Ne discende che, in termini di costi per lo Stato,
i vantaggi della maggior efficienza dei privati possono essere più che bilanciati dai
costi (monetizzati) del rischio (e/o dei profitti attesi, che hanno la stessa natura logica
del rischio). Per la collettività ciò è irrilevante (il costo del rischio è tale sia che sia
monetizzato sia che rimanga implicito) ma se i fondi pubblici sono scarsi, il
problema è concreto (cioè i fondi pubblici hanno un costo-opportunità reale e
rilevante).
Un secondo problema concerne la possibilità di "cattura" del regolatore nel corso
della gestione. Una volta vinta la gara, il privato acquisisce una notevole forza
contrattuale nei confronti dell’appellante pubblico: se fallisce è di difficilissima
sostituzione, e l'opera ha nel frattempo creato forti attese politico-sociali. Da qui la
possibilità di "rinegoziazioni" non trasparenti del contratto, al di fuori della
pubblicità a cui il processo di gara costringe le parti in causa (è il caso delle ferrovie
argentine; cfr. Gomez-Ihanez). Questo rischio è particolarmente elevato in caso di
strutture contrattuali complesse, con meccanismi di pagamento o clausole di
tariffazione articolate nel tempo. Si immagini per esempio un ponte, il cui pedaggio
sia soggetto a revisione. Si forma un oggettivo interesse comune tra amministratori e
soggetti privati a sottostimare il livello di pedaggio necessario a coprire i costi
dell’opera, sia nei confronti dei cittadini-utenti, sia nei confronti del Tesoro (nel caso
vi fossero finanziamenti a fondo perduto). Se poi nel corso della gestione
emergessero problemi finanziari, nulla è più semplice che ritoccare all’insù i pedaggi,
in un meccanismo che ovviamente perderebbe ogni caratteristica di trasparenza, e
darebbe anche luogo a possibili extraprofitti (cfr.”The economist”, 28 Ottobre ‘95,
Cooking the books).
Un terzo problema concerne il conflitto che esiste tra politica europea delle
infrastrutture e P.F.. La politica europea ha come caposaldo il libero accesso da una
pluralità di operatori alle infrastrutture. Ciò è ovvio, e già realizzato, per autostrade e
porti. Per gli aeroporti il problema è in fase negoziale, e per le ferrovie è l'obiettivo
principale della riforma europea della gestione (Direttiva 440/91 sulla separazione tra
4
infrastrutture e servizi). Quindi per le ferrovie in particolare costruire linee nuove
(che sono la maggioranza dei grandi progetti europei - Trans European Network, noti
come TEN) con metodi di P.F. si presenta problematico: se il costruttore non può
esercitare in prima persona i servizi ferroviari, ma deve limitarsi a "vendere" la
capacità di trasporto, vede i propri rischi aumentare moltissimo (in termini tecnici, il
progetto non è "ring-fenced"). L'aumento del rischio si traduce in costi più alti per
essere disposti a sobbarcarlo. Cioè, è vero in parte anche per gli investimenti
aeroportuali: da qui i problemi già esplosi negli Stati Uniti, di rapporti troppo stretti
tra grandi compagnie e operatori - investitori aeroportuali: per meglio garantire gli
investimenti, si tende a ricistruire a terra situazioni di monopolio che sono state
abrogate (almeno negli USA) in aria, cioè nei servizi aerei.
2.5.
Alcuni aspetti politici
Molti degli elementi critici cui abbiamo accennato sono in realtà anche fattori di
trasparenza: in fondo, che i rischi siano "occultati" nelle pieghe del bilancio pubblico
non è un fatto positivo, e spiega in buona misura la scarsa oculatezza di molte scelte
di investimento infrastrutturale del passato. Quindi i fattori positivi prevalgono di
gran lunga su quelli negativi; certamente, il metodo presuppone una pubblica
amministrazione capace ed onesta, il che non è condizione da poco, ma è comunque
irrinunciabile. Esistono poi delle proposte tecniche molto innovative ed interessanti
per "normalizzare" il comportamento dei soggetti pubblici nel Project Financing.
Non possiamo qui entrare in dettagli: basterà ricordare lo schema proposto da ECIS
(associazione di grandi costruttori europei) che prevede che i soggetti pubblici
sottoscrivano un'assicurazione che copra i rischi "politici" del progetto. Ciò significa
che se le pubbliche amministrazioni generano costi imprevisti - per esempio
gestiscono male i rapporti con un ente locale o con un gruppo di ambientalisti,
ritardando i lavori, o modificando a danno del progetto le condizioni esterne - tali
costi sono coperti dall'assicurazione. Nella misura in cui è la pubblica
amministrazione a pagare costi assicurativi crescenti nel tempo, sarà indotta dal
meccanismo ad evitare l'insorgere di costi "politici".
Come conclusione, il metodo P.F. ha il vantaggio di rendere trasparenti e
responsabili le scelte di tutti i soggetti coinvolti, e di promuovere la competizione in
un settore che l'ha sempre mantenuta limitatissima: è una strada certo non semplice,
né di rapida realizzazione, ma sicuramente foriera di sviluppi positivi rispetto alla
situazione attuale, se verranno mantenute le precondizioni essenziali per il
conseguimento del suo potenziale positivo, cioè un contesto competitivo ed
un’amministrazione preparata.
2.6.
Aspetti tecnici
Il project financing ben si adatta ad offrire copertura al fabbisogno finanziario che
emerge da progetti di infrastrutture nel settore dei trasporti
5
Per analizzare più in dettaglio pregi e difetti di tale tecnica, al fine di valutarne le
concrete possibilità di attuazione, è necessario un approfondimento che miri ad una
conoscenza dei presupposti e della flessibilità dello strumento.
Sotto il profilo finanziario, le analisi relative alla fattibilità degli investimenti ed alle
modalità di copertura finanziaria sono incentrate sulla verifica di coerenza delle tre
variabili fondamentali:
- rendimento,
- tempo,
- rischio.
Anche nel project financing non si può prescindere da ciò, segnatamente nella fase di
pianificazione dell'operazione, in cui vanno correlate e riferite ai singoli attori
coinvolti.
E' utile quindi procedere dapprima chiarendo gli aspetti tecnici che definiscono
un'operazione di copertura finanziaria un "project financing", per poi passare in
rassegna i vari attori coinvolti ed i loro ruoli. Una volta ricostruito il quadro di
riferimento si potranno così ricondurre le variabili sopra citate alle diverse fasi e
opzioni.
Definiamo innanzitutto cosa si intende in senso generale per project financing
utilizzando la definizione data da Peter K. Nevitt, e cioè "una operazione di
finanziamento di una particolare unità economica, nella quale un finanziatore è
soddisfatto di considerare, sin dallo stadio iniziale, il flusso di cassa e gli utili
dell'unità economica in oggetto come la fonte di fondi che consentirà il rimborso del
prestito e le attività dell'unità economica come garanzia collaterale del prestito".
I finanziamenti in questione sono quindi finalizzati alla realizzazione di opere dalle
quali si attendono ritorni economici e finanziari tali da ripagare nel lungo periodo,
con adeguata remunerazione che tenga conto dei rischi assunti, i diversi
finanziatori.
Le infrastrutture, ed in particolare quelle di trasporto, hanno ritorni di lungo periodo;
inoltre, tra i ritorni finanziari sono perfettamente collocabili anche quote pubbliche a
fondo perduto. Ciò rappresenta un primo elemento di identificazione dei progetti che
possono essere realizzati con la tecnica in oggetto: se non ci sono previsioni di
flussi di cassa consistenti e sufficienti a ripagare il debito ed a remunerare il capitale
investito, non si può parlare di project financing.
Inoltre il fabbisogno finanziario relativo all'opera deve essere "isolabile" rispetto ad
altre voci di spesa. In altre parole, il progetto deve essere ben individuato e
6
distinguibile rispetto ad altre gestioni in capo ai promotori. Tant'è vero che verrà
costituita un'unità economica "ad hoc", con personalità giuridica autonoma.
All'operazione parteciperanno più soggetti con veste diversa, dividendo rischi,
responsabilità e impegni secondo accordi prestabiliti. L'insieme degli accordi
costituisce la struttura dell'operazione.
La tecnica più utilizzata e che ben si adatta a progetti nel settore dei trasporti è la
cosiddetta "B.O.T." (Build, operate, transfer). Secondo tale sistema il soggetto
pubblico interessato alla realizzazione dell'opera rilascia ad una società privata o
mista una concessione per realizzare (build), gestire (operate), trasferire (transfer) al
termine del periodo l'opera. I proventi che nel corso del periodo di concessione sono
realizzati dal concessionario devono quindi giustificare economicamente la
realizzazione dell'opera.
Lo schema tradizionale di B.O.T. ha subito via via modifiche per meglio adattarsi
alle convenienze degli attori coinvolti. Particolare attenzione viene data alla
compagine azionaria della "società di project financing", dove vengono coinvolti
numerosi attori per consentire un forte frazionamento del rischio.
E' la società di project financing, detta anche "special purpose vehicle" che viene
posta al centro dell'operazione e che gestisce i contratti con il costruttore ed il
gestore (figure che sono quasi sempre separate) e con l'ente concedente (fig. 1 e fig.
2).
7
FIGURA 1 : SCHEMA DI B.O.T.
Ente appaltante/concedente
Sponsor azionista
Sponsor "puro"
Sponsor/costruttore
Sponsor/utenti
Sponsor/gestore
Società di Project
Financing
Prodotti/servizi
o
Prezzi/tariffe
(dopo il rimborso dei finanziatori)
Utenti
Sponsor/fornitore
Potenziali azionisti
Finanziatori istituzionali
Proventi dei prodotti/servizi (fino al rimborso del prestito)
Fonte: C.E.S.P.E.P., Salvato-Tamburi, "Privatizzare con il project financing",
Milano 1995.
8
Secondo questo schema l'Ente pubblico può sostenere in parte i costi di investimento
e/o fornire garanzie parziali, le responsabilità di costruzione e gestione sono divise, la
proprietà del bene dopo un certo numero di anni torna all'Ente concedente.Nel settore
dei trasporti, le possibilità di autofinanziamento totale sono limitate. Il caso più
vistoso è il Tunnel della Manica, ed anche qui, osservando in dettaglio le condizioni
iniziali, vi è stata una "garanzia pubblica implicita", sotto forma di una quota di
capacità "riservata" dalle ferrovie francesi ed inglesi.
FIGURA 2: B.O.T. - STRUTTURA CONTRATTUALE
Governo
Contratto di
Concessione
Contratto di
Convenzione
Banche
Società di progetto
Finanziaria
Contratto di
Costruzione
Costruttore
9
Gestione
Gestore
Esistono poi altre tecniche che possono essere utilizzate a seconda del tipo di
iniziativa e delle finalità:

B.O.O. (Build, Own, Operate), in cui al termine del periodo di concessione
l'opera non viene necessariamente trasferita all'Ente pubblico, ma può essere
prolungato il termine di concessione o rinegoziato l'accordo tra le parti;

B.T.O. (Build, Transfer, Operate), in cui i promotori realizzano l'opera, che
viene poi pagata e gestita dall'Ente pubblico o da una società mista;

B.O.S.T. (Build, Operate, Subsidize, Transfer), in cui nella fase di costruzione
e di gestione ci può essere un contributo di denaro pubblico, necessario se l'opera
non riesce a generare autonomamente flussi di cassa sufficienti senza ricorrere ad
appesantimenti eccessivi di tariffe.
_
D.B.F.O. (Design, Build; Finance, Operate) in cui l'accento è posto nel
coinvolgimento dei privati sia nella progettazione fin delle fasi iniziali, che nella
messa a punto del dispositivo finanziario
Esistono poi altri schemi, dato che è comunque rilevante adattare la tecnica di
finanziamento alle specifiche del progetto (per un approfondimento si veda:
Tamburi-Salvato; "Progettare col project financing"; CESPEP, Milano 1995).
Alla luce di quanto finora esposto emerge che numerosi investimenti nell'ambito
della viabilità e dei trasporti si possono pensare secondo tali schemi, come ad
esempio parcheggi, metropolitane, aeroporti, ferrovie, opere marittime (porti,
moli.....), autostrade, tunnel, ponti. Come già osservato tuttavia, più l'opera è
"circoscrivibile" rispetto alla realtà esterna, più si presta a schemi di P.F.. I ponti, in
particolare, ricadano in questa categoria (cfr. L'esperienza inglese).
Le parti coinvolte nell'operazione possono essere:

l'ente pubblico concedente/appaltante (a volte più di uno)

i realizzatori dell'opera

i progettisti (se non coincidenti con i realizzatori)

i gestori

i vari fornitori

gli acquirenti (che possono rappresentare anche intere comunità)

eventuali garanti
10

i consulenti (legali, fiscali, tecnici)

i finanziatori (a vario titolo)

i promotori (sponsor) dell'operazione (che possono essere coincidenti con
una o più delle categorie sopra indicate).
Discorso a parte merita la società di project financing (società veicolo,
concessionaria, special purpose vehicle.....), soggetto centrale cui fanno capo le
"fila" dell'operazione.
Se la società di project financing è concessionaria e gestisce l'opera, vi confluiscono i
flussi negativi e positivi di reddito. In caso contrario, esisterà una società di gestione
separata che, secondo opportuni accordi, farà affluire i flussi di reddito positivi alla
società di project financing.
La struttura societaria della società di project financing è differente a seconda delle
caratteristiche della compagine azionaria: può essere pubblica, mista o privata.
Nel caso di società pubblica si tratta spesso di un consorzio di enti locali o di
Aziende speciali; nel caso di società privata le formule più ricorrenti sono la società
per azioni o il consorzio; nel caso di società mista nel rispetto di alcuni vincoli
legislativi (Art. 22 L.142/90 e Art. 12 L. 498/92) si costituisce una società dove va
stabilita con attenzione se è il pubblico o il privato a detenere la maggioranza 1.
Non è il caso di osservare che maggiore è la presenza di soggetti pubblici, minori
sono le possibilità di creare un contesto competitivo,svuotando così una delle
precondizioni per l'efficenza del p.f..
Le fasi di una operazione di project financing sono:
a.
l'identificazione del progetto e l'analisi di fattibilità;
b.
la realizzazione del progetto;
c.
la gestione dell'opera.
Mentre le fasi b) e c) vengono svolte da società all'uopo incaricate (come si è visto
analizzando le tecniche), la fase a) può essere svolta da diversi attori.
L'identificazione e il disegno dei confini del progetto, nonché l'analisi di fattibilità
(tecnica, legale, economico-finanziaria, politica), sono particolarmente delicate e
richiedono un approccio multi disciplinare.
1
L'Art. 22 L. 142/90 prevede le società miste a capitale prevalentemente pubblico per la gestione di
servizi pubblici, mentre l'Art. 12 L. 498/92 prevede società miste senza il vincolo della proprietà
prevalentemente pubblica per la realizzazione e gestione di opere e servizi.
11
Con riferimento all'analisi economico-finanziaria, è rilevante sintetizzare e
quantificare tutti gli elementi - con le conseguenti incertezze e rischi - che derivano
dalle analisi tecniche, legali e politiche. Ciò porta ad un approccio in grado di tener
conto di più variabili e più scenari; in tal senso la sentivity analysis può fornire un
buono strumento al fine di valutare l'attitudine del progetto a generare cash flow
sufficienti.
Fa parte dell'analisi di fattibilità la strutturazione finanziaria e la stesura della
proposta agli interlocutori finanziari. Per far ciò, oltre ad aver definito con chiarezza
l'entità del fabbisogno finanziario, bisogna ipotizzare le forme di copertura, a loro
volta collegate all'analisi dei rischi e delle possibili garanzie.
Volendo sintetizzare abbiamo:
Fase A) Identificazione del progetto e analisi di fattibilità:
a1)
Il progetto è finanziabile con uno schema di project financing?
- fattibilità politico - amministrativa
- fattibilità tecnica
- fattibilità economico-finanziaria
a2)
Esistono interlocutori disponibili a diventare attori di questo schema?
- proposta ai potenziali finanziatori
- proposta agli enti e società coinvolgibili
a3)
Come si possono contemperare le diverse esigenze?
- proposta legale
A questo punto:
a4)
Come si può implementare il progetto?
- identificazione delle fonti di finanziamento
(capitale di rischio/capitale di debito/contributi)
- identificazione dei possibili finanziatori/investitori
- analisi dei possibili strumenti finanziari a disposizione (emissioni di
titoli, finanziamenti più o meno flessibili, finanziamenti agevolati...)
12
- definizione della struttura giuridica e societaria
- stesura degli accordi, con particolare riferimento alla gestione dei
rischi.
Fase B) Realizzazione:
b1)
stabilizzazione del consenso
b2)
costituzione della società di project financing
b3)
definizione delle autorizzazioni e dei contratti di
concessione/appalto/subappalto
b4)
definizione dei finanziamenti
b5)
definizione del progetto definitivo dell'opera
b6)
realizzazione materiale dell'opera.
Fase C) Gestione dell'opera:
c1)
avvio dell'attività
c2)
gestione dell'attività a regime
c3)
gestione del "way out", cioè della chiusura dell'operazione (ad
esempio quando finisce la concessione)
Tornando all'analisi di fattibilità economico-finanziaria puntualizziamo alcuni
elementi:
1.
L'analisi del fabbisogno finanziario comprende la previsione dei costi di
costituzione, delle spese generali e degli oneri finanziari. Le possibilità di errore sono
ad evidenza notevoli non solo per quanto attiene l'entità, ma anche per quanto attiene
il momento di manifestazione degli oneri. Di conseguenza le fonti di copertura
finanziaria devono presentare un qualche livello di flessibilità sia dimensionale che
temporale.
Di ciò va tenuto conto quando si propone la struttura finanziaria, ed in
particolare nello stabilire il grado di leverage (cioè il rapporto tra capitale di debito e
capitale di rischio), ma anche quando si ipotizzano i diversi strumenti e canali
finanziari, che per loro natura possono essere più o meno rigidi.
L'importante è distinguere gli interlocutori finanziari che intervengono nel fornire
diverse soluzioni di finanziamento, tenendo conto che la configurazione di rischio è
ben differente e che si dovrà anche evitare situazioni di conflitto di interesse nel
momento in cui le posizioni si confondono.
13
Tentando una sintesi sulle diverse opzioni finanziarie possiamo elencare le
principali soluzioni:
14
"Attori" coinvolti
-
capitale di rischio
Investitori istituzionali
Appello al pubblico risparmio attraverso
emissioni di titoli
-
capitale di debito
Contratti bancari di vario genere, a breve e a
medio termine 2
Credito agevolato
"mezzanino" (strumenti finanziari con alcune caratteristiche tipiche
del capitale di rischio ed alcune tipiche del capitale di debito, ad esempio
finanziamenti a tasso contenuto che prevedono l'esercizio di opzioni su
azioni)
-
-
contributi a fondo perduto.
2.
Rilevante è l'aspetto delle garanzie. Infatti i finanziamenti contratti in queste
operazioni si distinguono abitualmente in "Senior" e "Junior", a seconda della
esistenza o meno di garanzie a servizio del debito. E' proprio nel negoziare tali
finanziamenti (a minori garanzie corrisponderanno maggiori remunerazioni, e quindi
oneri per la società di project financing, richieste dal finanziatore) che si inizia a
focalizzare il cosiddetto "security package" che contiene la proposta di gestione dei
rischi. La premessa di un'operazione di project financing è che il rischio sia suddiviso
su diversi soggetti. I rischi sono tantissimi e di varia natura; su questo punto si
tornerà in seguito.
3.
Altro momento chiave è la fase di avvio dell'opera, in cui emerge un
fabbisogno finanziario che, nel caso in cui la società di gestione sia separata dalla
società di costruzione, resta da coprire in capo agli azionisti della società di gestione.
Se invece i due attori coincidono, nasce un problema di non commistione tra
esigenze finanziarie di diversa natura (per l'investimento da un lato, per la gestione
dall'altro) che richiedono coperture differenti.
2
Per una diffusa trattazione si veda P. Novello, "Il mercato del credito e il rapporto Impresa-Banca",
in "Impresa e mercato finanziario" (a cura di A. Gervasoni) Edizioni Guerini e Associati, 1996.
15
4.
Aspetto delicato è poi il monitoraggio: gran parte dei problemi finanziari
possono emergere non solo a causa di errate previsioni, ma soprattutto nel caso di
deviazioni rispetto al progetto iniziale, o ostacoli sopravvenuti. Una attenta attività di
monitoraggio è in grado di cogliere i primi sintomi di distonia rispetto al piano, e di
porvi tempestivo rimedio. Inoltre si può organizzare il consenso dei diversi attori,
coinvolgendoli via via nelle diverse fasi attraverso la partecipazione a tale attività.
Certo tale "riorganizzazione del consenso" in corso d' opera è forte, come abbiamo
visto, di rilevanti rischi politici.
5.
Da ultimo va ricordato che il project financing è una modalità complessa di
finanziamento e richiede tempi lunghi. Ne consegue che diventa oneroso in termini
di risorse umane, oltre che finanziarie, da dedicare al progetto: occorre dunque che
gli aumenti di produttività rispetto ad approcci tradizionali siano certi e consistenti.
A questo punto possiamo tornare alle nostre variabili fondamentali:

rendimento,

tempo,

rischio.
Si è detto che l'analisi dei rendimenti attesi è complessa e cruciale per valutare la
fattibilità finanziaria dell'operazione.
Inoltre, va sottolineato che i finanziatori si aspetteranno rendimenti tanto più elevati
quanto più i rischi sono elevati: di fatto si partecipa al rischio imprenditoriale
connesso alla realizzazione e gestione dell'opera, spostando così le garanzie richieste
sui flussi di reddito futuri.
Il tempo è un'altra variabile fondamentale, soprattutto se si pensa all'orizzonte
temporale di queste operazioni, che spesso copre vari decenni. Le previsioni di
redditività devono essere considerate nel lungo periodo, e quindi sono gravate da
incertezze notevoli.
Tutto ciò fa cadere l'attenzione sulla variabile che di fatto caratterizza l'operazione, e
cioè il rischio.
Di rischi ve ne è di ogni tipo, e proprio tale varietà rende interessante e possibile
l'operazione: interessante perchè si possono coinvolgere operatori con caratteristiche
diverse; possibile perchè è attraverso l'analisi dei rischi e la loro collocazione su più
operatori che si riescono ad unire le parti necessarie per mandare a buon fine il
progetto, svincolando dalla piena assunzione del rischio la Pubblica
Amministrazione.
Ma vediamo di analizzare in dettaglio le diverse categorie di rischio:
16

Rischi tecnici e di costruzione (aumento dei costi, ritardi nei lavori, non
completamento dei lavori, problemi di fornitura, problemi tecnologici, problemi
ambientali).

Rischi politici (venir meno del consenso sull'opera, variazione nel contesto
legislativo, cambiamento di politiche tariffarie, espropri, ritardi nelle concessioni,
cambio degli interlocutori, sorgere di soggetti ostili non previsti,ecc).

Rischi operativi e di mercato (dimensionamento dell'opera, aumento dei
costi operativi, variazioni della domanda, situazioni non previste di concorrenza).

Rischi finanziari (eccessiva esposizione debitoria, innalzamento dei tassi di
interesse, variazione nei tassi di cambio).
E' ovvio che ogni rischio può essere attenuato grazie ad accorte previsioni e analisi;
resta la necessità di stendere un'insieme organico di contratti e accordi che attennuino
i rischi, responsabilizzando gli operatori coinvolti (Enti pubblici, fornitori,
appaltatori,ecc.).
La struttura giuridica, del resto, dovrà tener conto del quadro legislativo vigente in
Italia e in Europa (appalti, gare, concorrenza).
Da questo quadro sul project financing dovrebbero essere emersi alcuni punti:

siamo di fronte ad una modalità di finanziamento, che dà una chance a
progetti altrimenti irrealizzabili per problemi di contenimento della spesa pubblica,
o realizzabili in tempi lunghissimi, con rilevanti inefficenze legate a tali tempi
(stop-and-go).

la Pubblica Amministrazione partecipa attivamente in tutte le fasi,
valorizzando il proprio ruolo di decisore responsabile, in una logica di rapporto
contrattuale col privato che deve poter contare su un quadro stabile di regole del
gioco (basti pensare alla fissazione delle tariffe ed alle specifiche delle concessioni e
degli appalti);

l'opera deve avere una sua "ragione di mercato", e avere una sua economicità.
Ciò implica che il servizio offerto debba essere competitivo nel lungo periodo, che
la gestione sia efficiente e che l'investimento iniziale sia contenuto al massimo e non
vengano effettuati sprechi o ritardi.
Si entra quindi in un'ottica totalmente imprenditoriale;

i finanziatori, le banche innanzitutto, devono assumersi rischi e ragionare in
un'ottica di lungo periodo in chiave economico-finanziaria e non più patrimoniale.
Detto ciò, emerge che il project financing non si adatta a tutti i progetti. E' uno
strumento da usare in modo selettivo e con le giuste cautele. Ben si adatta ad alcune
17
opere nel settore del trasporto e della viabilità, ma solo laddove sia possibile pensare
a progetti con le caratteristiche sopra richiamate, tra cui sottolineiamo la "ragione di
mercato".
E anche in questi casi è inutile illudersi che non ci siano difficoltà di carattere
politico-amministrativo da combattere, e che le risorse finanziarie arrivino copiose e
senza problemi.
Il project financing stenta a decollare in Italia perchè è uno strumento che sottintende
trasparenza, concorrenza, efficienza, stabilità.
Del resto, la situazione attuale della finanza pubblica impone il coinvolgimento di
capitali privati e il ricorso al risparmio per la realizzazione di investimenti in
infrastrutture. E allora una migliore conoscenza di questa tecnica, con luci e ombre
che si spera di aver evidenziato, apre una porta su una possibilità interessante per
dare alla collettività qualche opportunità in più.
Bibliografia essenziale
AA.VV., Il Project Financing e il finanziamento delle opere pubbliche, Bancaria
Editraice, Roma, 1995.
G. Imperatori, Il Projetc Financing. Una tecnica, una cultura, una politica, Il Sole 24
Ore libri, Milano, 1995.
G. Tamburi, C. Salvato, Privatizzare con il Project Financing,, C.E.S.P.E.P., Milano,
1994.
W. Ternau (a cura di), Project Financing. Aspetti economici, giuridici, finanziari,
fiscali e contrattuali, Franco Angeli, Milano, 1996.
18
PARTE IV
CAPITOLO 3.
LA REGOLAZIONE DELL’OFFERTA
GERARDO MARLETTO, CENTRO STUDI FEDERTRSAPORTO
3.1. Premessa: i connotati pubblici del trasporto
Il trasporto non è un servizio pubblico in senso stretto.
Facendo riferimento agli schemi classici di economia pubblica si ha un bene
pubblico quando non è possibile escludere alcun soggetto dal beneficiarne
ed il suo costo d’uso marginale è nullo. Allo stesso modo può essere definito
un servizio pubblico.
A fronte di beni o servizi pubblici la teoria economica ha agevolmente
dimostrato che tutta la domanda deve essere servita a prezzo nullo,
finanziando i costi sopportati attraverso la fiscalità generale.1
Tenendo presente la definizione appena fornita, il trasporto non può essere
considerato in senso stretto un servizio pubblico. Gli utenti possono essere
infatti esclusi dal consumo tramite prezzi, tariffe, pedaggi. Inoltre,
l’escludibilità non solo è possibile, ma è anche desiderabile quando si
realizzano fenomeni di congestione che rendono il costo marginale d’uso del
servizio significativamente superiore a zero.
Per questi motivi le forme di produzione dei servizi di trasporto hanno
tradizionalmente lasciato ampio spazio alle imprese ed al mercato;
diversamente da altri servizi pubblici in senso stretto come la giustizia, la
pubblica sicurezza o la difesa militare, la cui produzione è rimasta di diretto
appannaggio dell’amministrazione dello Stato.
Allo stesso tempo deve essere tenuto presente che i servizi di trasporto, pur
non avendo natura pubblica in senso stretto, restano un ambito tipico
dell’intervento pubblico. Questa attribuzione è sinteticamente riconducibile
a due distinti insiemi di cause:
- i motivi economici2. Rientrano in questa categoria i casi in cui si
registrano i cosiddetti fallimenti del mercato: l’esistenza di monopoli
naturali, la produzione di consistenti esternalità, l’insostenibilità della
forma di mercato più efficiente, la presenza di imperfezioni e asimmetrie
1
2
Questi concetti base sono desumibili da qualsiasi manuale di economia pubblica o di
economia dei trasporti. Si veda in particolare Del Viscovo (1990), Li Donni (1991),
Stiglitz (1989).
Si veda a questo proposito Pera (1991; pp. 15-21) e, per una visione critica, Stigler
(1994; pp. 301-314).
nell’informazione;
- i motivi sociali. In questo insieme possono essere ricomprese due
esigenze: la redistribuzione del reddito e la garanzia del diritto
fondamentale alla mobilità.
Proprio la particolare combinazione tra la salvaguardia di esigenze
pubbliche e la possibilità di valorizzare gli strumenti propri dell’azione
imprenditoriale, ha portato alla diffusione di forme di impresa a comando
pubblico. Ciò è accaduto perchè si è ritenuto che il controllo proprietario
sulla produzione dei servizi fosse preferibile alla regolazione di imprese
completamente indipendenti dall’amministrazione pubblica.
Ma questo modello - in Italia e nel mondo - ha prodotto evidenti guasti in
termini di perdite di efficienza e di qualità dei servizi pubblici di trasporto
ed ha determinato elevati trasferimenti di oneri sulla finanza pubblica
generale. 3
Questo risultato è stato determinato dal perseguimento di obiettivi esterni
alla produzione dei servizi ed alla connessa tutela della collettività. Il
modello del comando pubblico di entità aziendali ha infatti lasciato spazio
non solo a finalità proprie di altri strumenti di intervento pubblico (la
politica dei redditi, la politica del lavoro, la politica regionale, ecc.), ma
anche ad interessi impropri legati al perseguimento del consenso (elettorale,
aziendale, sindacale) e, in taluni casi, alla realizzazione di attività illegali. In
questo modo un modello specificamente orientato al perseguimento del
benessere collettivo ha determinato, direttamente o indirettamente, costi
collettivi.
A fronte della intensità e della pervasività di questi fenomeni si è andato
affermando un movimento internazionale per la privatizzazione delle
aziende a comando pubblico e per l’affermazione di nuovi modelli di
intervento pubblico nel settore dei servizi.
E’ in questo scenario che si deve collocare la crescente attenzione della
teoria e della politica economica agli schemi di regolazione e deregolazione.
3.2. Gli schemi di regolazione
3.2.1. La regolazione paretiana
3
Sia sulle forme di impresa pubblica che sulle cause del fallimento di questo specifico
modello di intervento pubblico nel settore dei servizi si veda, con riferimento al caso
italiano, Cassese (1992).
2
La generale tendenza verso il ritorno al mercato ha
dell’attenzione la teoria e gli strumenti applicativi
L’orientamento dei comportamenti di imprese di
soddisfacimento di prefissati interessi pubblici è infatti
di questa specifica branca dell’economia pubblica.
riportato al centro
della regolazione.
mercato verso il
un problema tipico
Per semplicità di esposizione si può affermare che gli schemi di regolazione
nascono come eccezione all’assunto paretiano dell’economia del benessere,
secondo il quale l’ottima allocazione delle risorse si ha quando il prezzo è
uguale al costo marginale, condizione garantita allorché il mercato è
perfettamente concorrenziale. Difatti, di frequente la produzione di servizi
pubblici di trasporto si configura come monopolio naturale (come è il caso
di tutte le reti): in questo caso per raggiungere l’efficienza allocativa
(obiettivo di first best) si determina un deficit nel bilancio dell’azienda. La
necessità di sostenere il monopolio - che si dimostra essere la forma di
mercato più efficiente - porta a perseguire un obiettivo di second best:
ridurre al minimo la distanza dal punto di ottimo (p=cm) tenuto conto del
costo-opportunità delle risorse pubbliche necessarie per compensare il
connesso deficit di bilancio del monopolista.
Il monopolio naturale può essere considerato come caso emblematico di
fallimento del mercato (cioè di tutti quei casi in cui il mercato presenta
impedimenti al perseguimento spontaneo del punto di ottima allocazione
delle risorse) e come causa prima della necessità di una regolazione pubblica
dei comportamenti delle imprese produttrici di servizi.
L’attività di regolazione trova applicazione secondo schemi operativi tra
loro anche molto diversi4.
Gli approcci più tradizionali alla regolazione hanno come scopo il
riequilibrio tra prezzo e costo marginale (e, per questo, possono essere
considerati schemi di regolazione del prezzo), a fronte del quale individuano
il sussidio da erogare alle imprese che producono il servizio. Il
finanziamento dei deficit gestionali generati dalla regolazione può essere
diretto, oppure legato a meccanismi indiretti, come ad esempio la tassazione
degli eccessi di profitto.
Gli schemi di regolazione del prezzo possono essere variamente articolati e
sviluppati per tenere conto di particolari esigenze o specificità della
domanda e dell’offerta del servizio: la separazione tra costi fissi e costi
variabili, la considerazione del costo-opportunità delle infrastrutture, la
4
Un quadro esauriente degli schemi di regolazione, e dei relativi riferimenti
bibliografici, può essere ricostruito a partire da Fabbri (1995), Milana e Padoa
Schioppa Kostoris (1995) e Rubino (?).
3
regolazione dei prezzi di imprese multiprodotto, l’articolazione temporale
della domanda, ecc.
La regolazione del profitto costituisce un’alternativa classica alla
regolazione di prezzo. Secondo questo schema i regolati hanno libertà di
fissare prezzo e quantità del servizio, tenuto però conto di un tetto massimo
al tasso di rendimento del capitale investito.
Gli schemi paretiani di regolazione hanno rivelato limiti individuati in sede
sia teorica che pratica. In particolare: gli schemi di regolazione del prezzo
inducono le imprese a non sostenere comportamenti efficienti (a fronte dei
quali infatti gli extra-costi ed il deficit generato sono comunque coperti dai
sussidi)5, gli schemi di regolazione del profitto determinano un eccesso di
investimenti e la sovracapitalizzazione delle imprese (se il tasso di
rendimento è garantito, al crescere del capitale aumenterà infatti il valore
assoluto del reddito netto d’impresa).
Più in generale si può evidenziare che gli schemi paretiani si reggono
sull’ipotesi che lo stato, al quale è nota la funzione-obiettivo esterna (cioè il
perseguimento del benessere collettivo), abbia come scopo l’orientamento di
imprese che perseguono una funzione-obiettivo interna (cioè la
massimizzazione del proprio profitto). Che le imprese siano soggetti che
perseguono l’efficienza è dunque un elemento cruciale per l’efficacia di tali
schemi di regolazione. E’ infatti proprio questa loro capacità che valorizzata dal regolatore con opportuni segnali di prezzo, quantità e profitto
- consente di perseguire la massima utilità collettiva.
E’ però sufficiente introdurre l’ipotesi che le imprese non abbiano - o non
abbiano solo - l’obiettivo dell’efficienza interna perchè tali schemi perdano
la loro efficacia e determinino condizioni di inefficienza sia allocativa che
produttiva.
3.2.2. La regolazione incentivante
Gli sviluppi della teoria delle organizzazione e l’avvento dell’economia neoistituzionale hanno evidenziato i limiti dell’approccio regolatorio che per
comodità di esposizione qui abbiamo definito “paretiano”6.
Secondo questi approcci infatti, il rapporto tra regolatore e imprese può
essere ricondotto ad un più generale modello “mandante-agente” dove:
5
6
Sui meccanismi di generazione della cosiddetta x-inefficienza si veda Pera (1991; pp.
39-43).
Lo Moro (1994) presenta una rassegna ragionata dei diversi contributi teorici allo
sviluppo dell’economia neo-istituzionale e ne evidenzia la rilevanza ai fini della
regolazione di servizi pubblici.
4
- non è detto che l’informazione rilevante per un’efficace regolazione delle
imprese sia nelle mani dello Stato (è anzi più facile che accada il
contrario);
- non è detto che le imprese perseguano l’efficienza interna, anzi proprio
l’operare in un contesto regolato può rappresentare uno stimolo a
perseguire altri obiettivi.
In un contesto in cui è rilevante l’esistenza di funzioni-obiettivo divergenti,
sono diffuse le asimmetrie informative e prevalgono comportamenti
opportunistici da parte dei soggetti coinvolti7, gli schemi propri della
regolazione derivata dall’economia del benessere risultano inefficaci nel
perseguimento del punto di ottimo. Si impongono invece schemi teorici e
strumenti applicativi con i quali la regolazione della produzione dei servizi
pubblici esplicitamente consideri - ed incentivi a raggiungere gli obiettivi
desiderati - le forze ed i processi effettivamente in campo.
Coerentemente muta anche il ruolo dello Stato nei confronti delle imprese:
esso si trasforma infatti da guida paternalistica delle imprese a gestore di
negoziati e conflitti.
In questo quadro gli strumenti di regolazione assumono la forma di contratti
incentivanti, definiti proprio al fine di orientare gli interessi in campo verso
l’efficienza produttiva e la qualità del servizio.8
Gli schemi così costruiti pongono un problema di ordine sia teorico che
applicativo relativo al giusto equilibrio tra estrazione della rendita
dell’impresa e stimolo all’efficienza. Infatti se il contratto è costruito in
modo da estinguere completamente la rendita del regolato, quest’ultimo non
ha più stimolo a perseguire l’efficienza; al contrario, quando l’estrazione è
nulla si arriva al risultato di non trasferire alla collettività (o di trasferire in
minima parte) i benefici dell’efficienza interna del regolato.
Per tenere conto di tali esigenze gli schemi incentivanti debbono reggersi
sulla partecipazione dell’impresa regolata: essa - sulla base
dell’informazione di cui dispone - deve infatti trovare conveniente aderire al
contratto proposto dal regolatore e sottoscrivere i suoi contenuti, sia in
termini di prezzo (o di sussidio) e di vincoli alla produzione (qualità,
7
8
Comportamenti opportunistici tipici delle imprese regolate sono il moral hazard
(l’informazione nascosta prima della stesura del contratto di regolazione) e la adverse
selection (l’azione nascosta durante l’operatività del contratto).
La “bibbia” della teoria dei contratti incentivanti è sicuramente Laffont e Tirole (1993);
si vedano in particolare le parti III e IV. Applicazioni ai trasporti si possono trovare in
Caillaud e Quinet (1991) e in Fabbri (1995).
5
accessibilità e universalità del servizio). Corollario di questa constatazione è
che il contratto non deve essere unico per tutte le imprese, ma deve essere
adattato al livello di sforzo presumibilmente perseguibile da ciascuna
impresa.
Una esemplificazione dei contratti incentivanti - anche fin troppo
schematica rispetto alle loro potenzialità applicative - è data dalla
regolazione di prezzo basata sul metodo cosiddetto del price cap.9 Secondo
questo criterio infatti la variazione dei prezzi garantita all’impresa regolata è
data dalla differenza tra la variazione dei suoi costi (stimata con l’aumento
previsto dell’indice dei prezzi al dettaglio) e la variazione della sua
produttività (stimata attraverso un apposito fattore x). E’ evidente che tutto
lo schema di regolazione si regge proprio sulla determinazione e sulla
revisione del fattore x: infatti, in un contesto di informazione incompleta e
di comportamenti opportunistici il regolatore dovrà acquisire il maggior
numero di informazioni sul possibile innalzamento atteso di efficienza del
regolato, questo a sua volta cercherà di nascondere tali informazioni per
poter incamerare i guadagni connessi a variazioni di produttività non
considerate. Risulta chiaro inoltre con questo esempio che una pressione
eccessiva del regolatore (con quantificazione elevate di x) può spingere il
regolato a non sottoscrivere il contratto; viceversa pressione insufficienti
(con x sottostimati) determinano significativi allontanamenti dal punto di
ottimo collettivo e di massima efficienza allocativa.
Il meccanismo del price cap - come tutti gli strumenti regolatori basati su
sistemi di incentivazione - può prevedere degli accorgimenti per consentire
al regolatore di acquisire il maggior numero delle informazioni necessarie.
Tra questi i più rilevanti sono:
- la revisione intertemporale dei termini contrattuali. Il regolatore ed il
regolato possono acquisire informazioni rilevanti sulla produzione del
servizio regolato solo una volta che il contratto è operativo; per questo
motivo possono essere previsti dei momenti di verifica durante
l’applicazione dei contratti per eventualmente modificare i valori
prefissati dei parametri;
- la partecipazione di più imprese alla contrattazione ed all’affidamento
della produzione del servizio sottoposto a regolazione. Il regolatore può
acquisire informazioni sui parametri rilevanti confrontando i segnali che
provengono da più imprese chiamate a gara per acquisire il contratto.
Inoltre, nella logica precedente della revisione intertemporale, la
revisione delle condizioni contrattuali di una data impresa possono venire
9
Un inquadramento dei riferimenti teorici e critici sul price cap si può trovare in Milana
e Padoa Schioppa Kostoris (1995).
6
dai comportamenti osservati in un’altra impresa produttrice dello stesso
servizio (ad esempio in un’altra area territoriale).10
A completare gli schemi di regolazione incentivanti possono essere
introdotti vincoli e controlli sulla qualità effettiva del servizio. Difatti il
regolato può internalizzare i vantaggi della regolazione non solo con
l’eventuale incorporazione di extra-profitti, dovuti alla stima non corretta
dei parametri di prezzo e di produttività, ma anche - a fronte di parametri di
regolazione corretti - determinando il decadimento qualitativo dei servizi
prodotti.
Per sopperire a queste particolari forme di rendita del regolato gli schemi di
regolazione incentivante possono prevedere che la variazione dei prezzi
garantita al regolato sia funzione diretta della qualità dei servizi prodotti
(sottoposta ovviamente a controlli diretti).11
Va detto infine, per completare la descrizione generale degli schemi
incentivanti, che i contratti devono essere tarati sulle specifiche condizioni
settoriali del servizio sottoposto a regolazione. I parametri considerati (la
produttività x e la qualità q) variano infatti non solo tra grandi aggregati (il
trasporto, le telecomunicazioni, ecc.), ma anche per singole aree di servizio
(al punto che il trasporto urbano di passeggeri richiede contratti diversi a
seconda che si tratti di linee di autobus o di tram).
3.2.3. La deregulation
In linea generale si può affermare che il mercato si comporta come una
moltitudine di contratti incentivanti: la concorrenza di prezzo e di prodotto,
l’assenza di barriere all’ingresso ed all’uscita costituiscono infatti stimoli
rilevanti all’efficienza interna delle imprese. E difatti l’esigenza della
regolazione origina proprio dai casi di fallimento del mercato, quindi dalla
necessità di ristabilire forzatamente i processi usualmente determinati
autonomamente dal mercato.
Nella realtà si è assistito ad una estensione degli ambiti di intervento della
regolazione ben al di là dei casi tipici (monopolio naturale, esternalità, ecc.).
Ciò è tra l’altro accaduto sulla base di generiche esigenze di tutela
dell’interesse collettivo. Si deve aggiungere infine che gli schemi di
regolazione sono stati pervasivamente caratterizzati da fenomeni di cattura e
10
Un sintetico inquadramento della cosiddetta yardstick regulation (la regolazione basata
sul confronto fra le esperienze di più imprese regolate) si può trovare nel relativo
paragrafo in Fazioli (1995; pp. 177-179). Per una sua modellizzazione si veda Riva
(1994).
11
Le diverse opzioni per introdurre il “parametro q” nella formulazione del price cap
sono illustrate in Rovizzi e Thompson (1992).
7
di collusione tra regolato e regolatore.
Un contesto siffatto ha generato tariffe più elevate di quanto si sarebbe
potuto registrare in assenza di regolazione, qualità più scadente dei servizi
prodotti, extra-costi generati dal perseguimento di obiettivi impropri (ad
esempio per la sovraoccupazione).12 Il tutto in un contesto di crescente
sussidiazione pubblica delle imprese regolate.
In questo modo, la regolazione, nata per tutelare il benessere collettivo, ha
finito per scaricare direttamente ed indirettamente sull’utenza costi maggiori
ai benefici generati. Si è dunque spesso assistito al fallimento della
regolazione come strumento di politica economica: essa infatti non ha
impedito (ed ha spesso consentito) significativi allontanamenti di interi
settori economici dall’ottima allocazione delle risorse e dall’efficienza.
Queste considerazioni hanno costituito le basi per un vero e proprio
movimento politico per la deregulation che ha trovato le sue radici negli
Stati Uniti (e nelle forti associazioni dei consumatori). A questo movimento
ha dato voce e sistematicità teorica un filone di matrice liberista che, a
partire dagli anni ‘60, ha prodotto analisi di evidenze empiriche e modelli di
teoria economica orientati allo smantellamento dei sistemi di regolazione.13
Nel filone economico della deregulation occupa uno spazio significativo la
teoria della contendibilità.14 Secondo tale teoria infatti neanche nei contesti
caratterizzati da forme di monopolio naturale è necessaria una regolazione
pubblica. E’ sufficiente invece che il mercato monopolistico sia anche solo
potenzialmente accessibile a nuovi concorrenti (cioè che sia appunto
“contendibile”), affinché si determinino condizioni efficienti di prezzo e di
prezzo. La possibilità di entrare e di uscire dal mercato, l’assenza di
investimenti irreversibili, l’impossibilità di sviluppare strategie predatorie di
prezzo, sono gli elementi che determinano nei monopoli condizioni di
ottimo vincolato all’equilibrio del produttore unico e che, in tutti gli altri
casi, riproducono le condizioni proprie del mercato concorrenziale.
Il movimento per la deregulation ha avuto una significativa ricaduta
applicativa; esperienze concrete di deregolamentazione si sono avute in
particolare nelle economie anglosassoni, con significative esperienze
sviluppate proprio nel settore dei trasporti e, in particolare, nel comparto del
12
Prosperetti (1992) fornisce un’analisi esemplare della regulatory failure dei servizi
pubblici italiani.
13
Un sintetico ma efficace excursus storico-critico dell’economia della deregulation
applicata ai trasporti si può trovare in Button e Keeler (1993).
14
I riferimenti fondamentali per lo studio della teoria della contendibilità sono: Baumol
(1982) e Baumol, Panzar e Willig (1982). Per una sintesi in italiano si veda Pera (1991;
pp. 34-37).
8
trasporto aereo.15
3.2.4. L’opzione concorrenziale e la regolazione transitoria
Un orientamento meno pregiudizialmente orientato a favore del mercato, ma
comunque sensibile ai fallimenti della regolazione e consapevole della
valenza dei meccanismi concorrenziali, ha prodotto la crescente attenzione
verso la verifica delle condizioni che rendono necessaria la regolazione
stessa e verso la disamina attenta tra i costi della regolazione ed i costi della
non regolazione.
Ciò ha reso evidente la necessità di verificare con continuità, monitorando
l’evoluzione del ciclo economico e tecnologico del singolo servizio, il
permanere di condizioni tali da giustificare la regolazione.16 Di conseguenza
si è andato definendo un approccio orientato alla costante disamina tra
servizi da sottoporre necessariamente a regolazione, servizi da restituire
tendenzialmente al mercato anche grazie a schemi regolatori di
accompagnamento, servizi da liberalizzare immediatamente.17
Nella logica della distinzione tra settori concorrenziali e settori
regolamentati, è di particolare rilievo la separazione tra le infrastrutture di
rete ed i servizi che grazie ad esse vengono distribuiti. Difatti, mentre la rete
riveste un connotato di monopolio naturale e deve essere sottoposto a
pubblica regolazione, i servizi possono essere liberalizzati e restituiti ad un
contesto pienamente di mercato.18 In questo modo gli effetti non desiderati
della regolazione sono limitati solo all’ambito infrastrutturale e non si
diffondono nell’area dei servizi; gli utenti di questi ultimi possono infatti
beneficiare degli stimoli all’efficienza, alla qualità ed all’innovazione
determinati dal contesto concorrenziale.
Va detto però che il mantenimento di un connotato pubblico per le reti pone
15
Molte sono le analisi delle politiche di deregulation applicate ai trasporti. Un quadro
d’insieme si può ricavare dalla rassegne di Button e Pitfield (1991) e di Gomez-Ibanez
e Meyer (1993) (quest’ultimo in realtà dedicato non tanto alla deregolamentazione,
quanto alle privatizzazioni). Il migliore inquadramento teorico dei risultati delle
esperienze di deregulation è probabilmente in Kahn (1992). Si veda anche Pera (1991;
pp. 61-65 e la bibliografia citata).
16
L’orientamento transitorio e concorrenziale nei confronti della regolazione dei servizi
pubblici si può rintracciare nella letteratura economica italiana solo in contributi molto
recenti. Si veda in particolare Gobbo e Utili (1992), Macchiati (1995) e Pera (1995).
17
Per una schematica applicazione di questa tripartizione ai trasporti italiani si veda
Marletto (1996).
18
Va sottolineato che, mentre i trasporti restano caratterizzati da monopoli naturali di rete
(il caso emblematico è la ferrovia), in altri settori (nelle telecomunicazioni; in parte
nell’energia elettrica) le dinamiche tecnologiche e commerciali rendono oramai
possibili forme di concorrenza anche nel segmento infrastrutturale (e ciò a ulteriore
conferma della rilevanza di un approccio transitorio alla regolazione).
9
comunque dei vincoli alla produzione concorrenziale dei servizi che su esse
transitano. In relazione alla natura tecnica della rete si può porre difatti un
problema di regolazione degli accessi (ed è questo di nuovo il caso della
ferrovia). Resta comunque evidente che la netta differenza tra la normazione
del mercato finale imprese-utenti, propria della tradizionale regolazione
integrata di reti e servizi, e la normazione del mercato intermedio reteimprese, che invece caratterizza l’approccio separato ad i due ambiti.
Spingendosi oltre nella logica della separazione tra ambiti regolati e ambiti
concorrenziali possono essere utilizzati strumenti contrattuali che - pur in un
mercato concorrenziale - riescono a garantire le necessità pubbliche.19 In
questo caso infatti l’amministrazione pubblica acquista i servizi dall’impresa
capace di garantire la migliore offerta economica ed in cambio paga un
prezzo (o una sua parte, nel caso che gli utenti non fruiscano gratuitamente
del servizio). Anche in questo caso non si determina un contesto di piena
deregolamentazione (il contratto di servizio stato-impresa si configura
comunque come alterazione delle condizioni di mercato); è però evidente il
restringimento dell’ambito di regolazione dall’intero comparto (ad esempio
il trasporto marittimo di passeggeri) al singolo servizio (ad esempio il
traghettamento verso le isole).
Nel quadro della regolazione concorrenziale rientra anche l’orientamento a
introdurre elementi competitivi proprio all’interno di contesti regolati.
Attraverso l’adozione di specifici strumenti di simulazione questi schemi
concorrenziali intendono infatti stimolare indirettamente l’efficienza e la
qualità dei servizi valorizzando i meccanismi propri del mercato. Senza
pretesa di esaurire le possibili applicazioni di questo specifico approccio si
possono ravvisare nella letteratura e nelle applicazioni concrete alcune
soluzioni emblematiche:
- la concorrenza per il mercato. Applicando i meccanismi di asta o di
appalto alla concessione per la gestione di servizi pubblici si possono
realizzare ex-ante - attraverso il confronto competitivo per l’accesso al
mercato - alcuni degli effetti in termini di efficienza garantiti dalla
concorrenza espressa usualmente nel mercato20. La concorrenza per il
mercato è per sua natura (prevedendo la concessione esclusiva di diritti
speciali) uno strumento particolarmente efficace per i servizi
caratterizzati da economie di scala sfruttabili con monopoli regolati.
L’applicabilità di questo strumento si basa sulla effettiva possibilità per
più imprese di partecipare alle gare, sia nel momento della concessione
originaria, sia in occasione del suo rinnovo. Proprio tenendo conto di
19
Lo strumento che meglio si attaglia a questa definizione è il contratto di servizio così
come definito dalle normative comunitarie (Regolamenti n. 1191/1969 e n. 1893/1991).
20
Si veda più in dettaglio Fazioli (1995; pp. 191-207).
10
questo ultimo aspetto dovrebbe essere promosso il ricorso a contratti che
non assegnino al concessionario la proprietà dei beni di produzione e la
responsabilità delle politiche di investimento: così si eviterebbe di fatto la
creazione di assets specifici che costituirebbero il disincentivo alla
partecipazione di concorrenti al rinnovo delle concessioni;21
- la yardstick regulation. Questa forma di intervento pubblico nella
produzione di servizi - di cui si è parlato in precedenza come tecnica per
rendere disponibili più informazioni per il regolatore - costituisce di fatto
anche uno strumento di simulazione della concorrenza in un contesto
regolato. Il frazionamento su base territoriale che caratterizza la yardstick
regulation stimola infatti le imprese alla reciproca e costante
osservazione delle prestazioni realizzate: ogni allontanamento
significativo dagli indicatori prevalenti di efficienza e di qualità verrebbe
infatti interpretato in senso restrittivo dal regolatore (ad esempio in
occasione della ricorrente revisione dei parametri per la definizione dei
prezzi di vendita o del livello di sussidio);
- i quasi-mercati. E’ un modello di regolazione concorrenziale in cui si fa
ancora più spinta l’approssimazione al mercato; in questo caso infatti,
contrariamente ai precedenti, al consumatore viene restituito il potere di
selezionare l’impresa fornitrice del servizio. Per garantire questo potere, i
quasi-mercati si basano sull’assegnazione a ciascun cittadino di un
“buono-spesa” utilizzabile per l’acquisto di un dato insieme di servizi,
che può essere speso presso una qualsiasi impresa che l’utente può
scegliere tra quelle accreditate dal regolatore. In questo contesto la
politica di regolazione si realizza nel monitoraggio pubblico delle
caratteristiche dei produttori, sull’obbligo di fornitura dei servizi richiesti
da parte delle imprese autorizzate, sull’articolazione del valore del
“buono-spesa” in funzione degli obiettivi economici. sociali o territoriali
propri dell’operatore pubblico.22
Fanno parte dell’approccio della regolazione transitoria e concorrenziale,
portandolo alle estreme conseguenze, gli schemi orientati a rendere
tendenzialmente non più necessaria (o non più preferibile) la regolazione
stessa ed a favorire proprio l’affermazione delle condizioni economiche
sufficienti per restituire al mercato i singoli servizi.
Partendo sempre da un’attenta valutazione dei costi e dei benefici delle
diverse alternative, questo schema si applica a quei servizi per i quali è
preferibile un assetto di mercato ed in cui alla regolazione è assegnato il
compito di guidare con gradualità il percorso verso la completa
21
22
E impedirebbero la contendibilità del servizio in concessione.
Si veda sempre Fazioli (1995; pp. 207-213) ed anche Balassone (1994).
11
liberalizzazione. Molto spesso difatti i comparti di servizi liberalizzabili
sono dominati da monopoli legali (o da altre forme di posizione dominante)
determinati proprio dall’intervento pubblico. In questi contesto la
deregulation (e la eventuale privatizzazione delle imprese pubbliche) non
produrrebbe altro che la trasformazione di un monopolio regolato in un
monopolio non regolato.
La regolazione transitoria ha invece come obiettivo la creazione graduale
delle condizioni di mercato tali da garantire che l’estinzione delle norme di
regolazione determini un assetto effettivamente concorrenziale. La
regolazione transitoria si pone dunque idealmente all’estremo opposto della
regolazione paretiana: mentre quest’ultima interviene per sopperire ai
fallimenti del mercato, la prima ha come obiettivo ultimo proprio il
ripristino delle condizioni di mercato (in ultima analisi perchè i fallimenti
della regolazione hanno un costo collettivo netto superiore a quelli del
mercato).
La regolazione transitoria si configura dunque come strumento di
promozione della concorrenza in ambienti non concorrenziali. Essa ha lo
stesso obiettivo delle politiche antitrust, che però garantiscono il permanere
di condizioni concorrenziali in contesti già di mercato.
Come già sottolineato il nodo cruciale della regolazione transitoria è lo
smantellamento dei monopoli legali esistenti. Tale nodo viene affrontato
dando la massima priorità alla creazione di condizioni competitive, sia
utilizzando gli strumenti propri della regolazione concorrenziale (gare
aperte, yardstick regulation, quasi-mercati) per alimentare un ambiente
maggiormente competitivo, sia utilizzando le cosiddette forme di
“regolazione asimmetrica” che hanno come fine la creazione di condizioni
di vantaggio relativo per i nuovi entranti.
La regolazione transitoria - promuovendo l’ingresso di nuovi concorrenti - è
spesso inconciliabile con gli obiettivi propri della regolazione tradizionale
(la tutela dell’utente, l’efficienza produttiva). Dando la priorità alla
creazione di un mercato concorrenziale ed all’ingresso i nuovi concorrenti,
gli altri obiettivi vengono posposti: il mercato diviene dunque l’obiettivo
intermedio utile a garantire, ma solo in prospettiva, la garanzia degli
interessi dell’utente. In questo senso vengono orientati gli strumenti della
regolazione di prezzo (lasciando che si creino eventuali extra-profitti utili
per attrarre nuovi entranti) e dell’accesso alle infrastrutture (sottraendo
all’ex-monopolista la gestione della rete e, comunque, imponendo all’exmonopolista l’obbligo di connessione, specie per i collegamenti con gli
utenti finali). Ma si può arrivare al punto di lasciare maggiori libertà ai
newcomers, mettendo in atto vere e proprie limitazioni all’attività dell’exmonopolista (ad esempio impedendogli l’ingresso in nuove aree di affari,
12
oppure imponendo solo ad esso gli obblighi di servizio sociale).23
Oltre agli strumenti propri della regolazione l’approccio transitorio deve
utilizzare anche quelli delle politiche antitrust, per evitare che proprio nel
processo di creazione del mercato si realizzino le diverse possibili forme di
restrizione della concorrenza.
3.3. Le istituzioni della regolazione
L’assetto dell’architettura istituzionale della regolazione dei servizi di
trasporto è direttamente connesso al modello di regolazione utilizzato come
riferimento. E’ infatti possibile verificare che ai diversi schemi qui illustrati
(paretiano, incentivante, concorrenziale e transitorio) corrispondono
funzioni pubbliche e status amministrativi diversi.
Nella cornice teorica propria dell’economia del benessere e della
regolazione paretiana la funzione pubblica può essere esercitata direttamente
da organismi integrati nell’architettura politico-amministrativa dello Stato.
La presunta assenza o non rilevanza di interessi esterni al perseguimento
dell’ottimo collettivo e la ipotesi di perfetta informazione che caratterizzano
tale schema, rendono infatti preferibile la concentrazione della funzione
regolatoria nello stesso organismo responsabile della politica generale del
trasporto.24
Al contrario, la considerazione delle dinamiche proprie dei rapporti
principal-agent, che caratterizza gli schemi di regolazione incentivante,
porta a preferire un soggetto regolatore indipendente dal potere politicoamministrativo dei ministeri. La consapevolezza delle questioni informative
e la necessita di tenere conto delle specificità settoriali fanno sì inoltre che le
autorità indipendenti debbano essere dotate di competenze tecniche
estremamente specializzate, necessarie per stilare con le aziende di trasporto
i contratti di servizio.25
L’opzione per l’indipendenza delle autorità di regolazione è propria anche
degli schemi di regolazione concorrenziale e transitoria. Questi però danno
diverso ruolo e diversa rilevanza alle politiche ed alle istituzioni antitrust.26
La separazione tra servizi da liberalizzare e servizi da mantenere in regime
23
Su questi specifici punti, si veda in particolare Pera (1995; pp. 23-30)
In questo senso deve essere interpretata la collocazione in Italia della funzione di
vigilanza sulle ferrovie all’interno del Ministero dei trasporti.
25
Il dibattito sulle autorità indipendenti di regolazione si è ampiamente sviluppato in
Italia, in particolare in relazione alla privatizzazione delle imprese statali produttrici di
servizi pubblici. Tra gli altri si può fare riferimento a Prosperetti (1993).
26
Si vedano a questo proposito i testi citati nella nota 16.
24
13
di regolazione e, soprattutto, la eventuale gestione del processo di
transizione dai monopoli legali ai mercati liberalizzati, richiedono infatti
l’attivazione delle funzioni di sorveglianza e di repressione proprie delle
autorità di garanzia della concorrenza e del mercato.
Sono del resto coerenti con questo approccio le normative antitrust sia
europee che italiane.27 Entrambe infatti prevedono deroghe alla concorrenza
nei settori di pubblica utilità, ma mantengono comunque le imprese
produttrici di servizi regolati nell’ambito di applicazione della normativa
antitrust purché “(...) ciò non osti all’adempimento, in linea di fatto o di
diritto, della specifica missione loro affidata (...)”. L’opzione concorrenziale
e la preferenza per il mercato sono evidenti.
A completare il quadro può essere infine citata la recente normativa di
istituzione delle autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità. La
legge dichiara esplicitamente di avere “(...) la finalità di garantire la
promozione della concorrenza e dell’efficienza nel settore dei servizi di
pubblica utilità, (...)” ed assegna alle istituende autorità, tra le altre funzioni,
il compito di controllare che “(...) le condizioni e le modalità di accesso per i
soggetti esercenti i servizi, comunque stabilite, siano attuate nel rispetto
delle norme della concorrenza e della trasparenza, (...)”.28 Anche in questo
testo di legge è evidente il peso di un riferimento - per quanto implicito - al
contenuto pro-concorrenziale della regolazione.
Sempre nel testo della succitata legge è rintracciabile lo stretto legame tra
autorità di regolazione e autorità antitrust che caratterizza l’approccio
concorrenziale alla regolazione; segnalazioni e pareri obbligatori
stabiliscono infatti l’ambito concreto di interazione tra le due competenze.29
Resta da verificare se l’applicazione delle norme ed i comportamenti
effettivi delle diverse amministrazioni coinvolte porteranno all’affermazione
di un modello di regolazione non solo concorrenziale, ma anche
tendenzialmente transitorio. Se cioè si realizzerà il quadro suggestivamente
tratteggiato da Alberto Pera in suo recente articolo: “(...) in molti settori di
servizio pubblico la regolamentazione ha un carattere tendenzialmente
temporaneo: via via l’assetto del mercato evolve verso una struttura
concorrenziale, le questioni che si pongono sono sempre meno di
determinare autoritativamente i comportamenti dell’impresa dominante e
sempre più di consentire il buon funzionamento della concorrenza, con gli
strumenti tipici della normativa antitrust”.30
27
Trattato dell’Unione Europea, art. 90, comma 2 e Legge n. 287/1990, art. 8.
Legge n. 481/1995. Le citazioni sono riprese nell’ordine dall’art. 1, comma 1 e dall’art.
2, comma 12, lett. a.
29
Legge n. 481/1995, art. 2, commi 33 e 34.
30
Pera (1995; p. 33).
28
14
3.4.
GLI APPROFONDIMENTI MODALI
Senza alcuna pretesa di esaustitività si vogliono qui presentare alcuni casi di
regolazione dei servizi di trasporto. La rassegna, ristretta ai soli ambiti del
trasporto pubblico locale, del trasporto ferroviario e del trasporto aereo, ha
lo scopo principale di rintracciare nelle diverse modalità applicative gli
schemi teorici di riferimento sin qui illustrati.
3.4.1. Il trasporto collettivo locale: la regolazione concorrenziale del
servizio pubblico
Affrontando il tema del trasporto collettivo locale bisogna prendere in
considerazione una pluralità di aspetti e di esigenze.
Innanzitutto occorre tenere conto delle consistenti esternalità positive
prodotte da questa forma di trasporto (riduzione della congestione, riduzione
dell’inquinamento dell’aria e del rumore) e della connessa tutela di beni
dalla natura pubblica (salute pubblica, preservazione dei beni storicoculturali, ecc.).
Vi è poi la necessità di rispettare alcune caratteristiche universali e sociali
del servizio di trasporto collettivo: la disponibilità di mezzi nelle ore
notturne e nelle aree periferiche, l’accessibilità per le persone con mobilità
ridotta, ecc..
Vanno inoltre valutate le eventuali economie di rete e di integrazione
esistenti, che assegnerebbe al servizio il connotato di monopolio naturale eventualmente anche non contendibile - da regolare pubblicamente.
E’ presente infine l’esigenza generale di massimizzare l’efficienza
produttiva, l’efficacia e la qualità dei servizi forniti alla collettività.
Tutto ciò in un contesto altamente competitivo; dove però le alternative non
sono date da altri sistemi imprenditoriali pubblici o privati, ma
dall’autoproduzione realizzata con il trasporto automobilistico individuale.
Dall’insieme di queste considerazioni si evince che il trasporto collettivo
locale ha natura pubblica.
Esso, del resto, è stato storicamente gestito secondo un modello pervasivo:
sull’operatore pubblico sono ricadute tradizionalmente oltre alle competenze
della pianificazione, del finanziamento e della regolazione, anche quelle
della produzione diretta. Come altri servizi di trasporto esso ha però
15
attraversato negli ultimi decenni le diverse tappe del percorso teoricopolitico prima illustrate: il modello pubblicistico pervasivo è stato
fortemente criticato per le sue inefficienze interne e per i costi crescenti
scaricati sulle finanze pubbliche, per il decadimento della qualità dei servizi,
per l’incapacità di fronteggiare la circolazione individuale e le sue
conseguenze negative31.
Di conseguenza si è dato il via ad un processo di riforma che ha avuto tempi
e modi di attuazione anche molto diversi. Accanto ai modelli tradizionali
dell’esercizio diretto del trasporto locale da parte delle amministrazioni
centrali e periferiche e indiretto attraverso aziende controllate dalle
amministrazioni, si sono infatti andati aggiungendo nuovi approcci centrati
sulla piena separazione tra indirizzo e gestione dei servizi di trasporto. La
caratterizzazione di tali approcci dipende dalla presenza od assenza di tre
opzioni fondamentali.32
I contratti.
L’introduzione di contratti ente-azienda costituisce il primo passo del
processo di riforma dell’organizzazione del trasporto pubblico locale. Essa
ha interessato sistemi di regolazione tra loro anche molto diversi: quello del
Belgio (dove i contratti predeterminano il pagamento dei servizi richiesti
alle aziende), a Londra (dove sulla base di gare vengono assegnate le tratte
non fondamentali della rete), negli Stati Uniti (dove si è diffuso il contratto
manageriale per l’affidamento della sola gestione di mezzi e personale).
Pur nella differenziazione tra le forme contrattuali effettivamente applicate,
è possibile distinguere due distinti modelli di riferimento:
- i contratti paretiani. Questi si realizzano sulla base degli assunti della
regolazione tradizionale: supponendo che le imprese perseguano di per sé
l’efficienza, non viene introdotto alcuno elemento di rischio effettivo per
il gestore del servizio. In particolare questi contratti si caratterizzano per
il trasferimento degli introiti tariffari all’ente pubblico (impedendo così
che l’impresa sopporti il rischio commerciale) e su meccanismi,
formalizzati o di fatto, di ripianamento dei deficit con sussidi ex-post;
- i contratti incentivanti. Hanno caratteristiche opposte a quelle precedenti.
31
Si può sostenere che tali tappe siano solo parte di un processo più lungo e
sostanzialmente circolare. Il ciclo si avvia con la presenza di liberi operatori privati,
passa per fasi di concentrazione e creazione di monopoli segmentati, seguita dalla
regolazione e dalla acquisizione pubblica delle imprese, dalla loro sussidiazione. E’ a
questo punto che crescita dei costi ed inefficienze portano a cercare nuovamente forme
di privatizzazione, regolazione, liberalizzazione. V. Meyer e Gomez-Ibanez (1993).
32
Una rassegna recente sulle principali caratteristiche dei modelli di regolazione e
gestione del trasporto pubblico locale è in allegato a Commissione europea (1995).
16
Con formule tariffarie ad hoc (price cap, o simili), con il trasferimento
all’azienda degli introiti tariffari, con la definizione ex-ante dei livelli di
sussidio, si realizza l’obiettivo di stimolare direttamente l’impresa di
trasporto a comportamenti efficienti.
Il passaggio dall’una all’altra forma contrattuale ha caratterizzato la riforma
applicata a Londra: sino al 1993 i contratti prevedevano solo delle
penalizzazioni per il mancato perseguimento degli obiettivi predeterminati e
la remunerazione delle imprese sulla base dei costi totali, dopo il 1993 la
gestione delle entrate è passata alle aziende e il sussidio è determinato sulla
differenza attesa tra costi e ricavi.
E’ bene sottolineare che la formula contrattuale che sostanzia il rapporto tra
pianificatore e gestore non necessariamente richiede la privatizzazione di
quest’ultimo. E’ sufficiente infatti che esso assuma la forma giuridica
necessaria a sancire responsabilità ed autonomia proprie dell’impresa.
La concorrenza.
Seguendo le indicazioni dell’opzione concorrenziale, gli schemi di
regolazione del trasporto pubblico locale possono prevedere l’introduzione
di elementi competitivi.
Il modello di regolazione francese (con l’eccezione di Parigi) è il caso
emblematico di concorrenza per tutto un dato mercato locale. Difatti è
previsto che gli enti pubblici procedano alla messa a gara della concessione
per la produzione dell’intera gamma di servizi di un’area urbana o locale.
L’affidamento ad un unico gestore consente che possano continuare a
realizzarsi - all’interno del concessionario - forme di sussidiazione
incrociata tra segmenti commerciali e segmenti sociali.
Sono stati realizzati anche sistemi di segmentazione delle concessioni
uniche, affidando a più imprese i contratti distinti per tratte, per aree o per
tipologie di servizio. Questo schema - emblematicamente rappresentato
dall’esperienza londinese - si basa su condizioni più impegnative del caso
precedente. Difatti:
- richiede una maggiore ricchezza di risorse imprenditoriali. Queste
possono derivare da segmenti di trasporto affini (noleggio di pullman,
linee turistiche, rete a medio-lunga percorrenza, ecc.) o essere il prodotto
di procedure di privatizzazione e segmentazione del precedente
concessionario unico;
- obbliga l’ente locale alla specificazione di una pluralità di contratti con
obiettivi e livelli di sussidio differenziati ed a rinunciare alla leva della
cross subsidisation.
17
La segmentazione delle concessioni ben si sposa del resto con l’obiettivo
della fertilizzazione delle risorse imprenditoriali. Difatti, le aste per
l’affidamento di contratti di servizio per specifici servizi sociali o per aree
marginali della rete locale costituiscono la modalità preferibile per l’accesso
al mercato delle piccole imprese.
Essa inoltre permette - ed è questo uno dei risultati dell’esperienza londinese
- che nell’ambito della stessa rete aumenti il livello di innovazione e di
differenziazione dei servizi (introduzione dei minibus, taxi collettivi, linee
veloci, linee di lusso, linee a chiamata, ecc.) che il gestore unico non ha
usualmente la convenienza ad introdurre.
Il meccanismo della regolazione attraverso concessioni segmentate può o
meno prevedere la presenza dell’operatore pubblico accanto a quello
privato. Sempre l’esperienza londinese ha dimostrato che l’azienda pubblica
è stimolata a migliorare le proprie prestazioni quando è esposta al rischio
che le sue linee vengano col tempo sottratte al monopolio e messe a gara.
Anche se, da parte dei concessionari privati, è sempre stato espresso il
dubbio che l’azienda pubblica beneficiasse di particolari privilegi.
L’attivazione di appalti per la concessioni di intere reti urbane o di segmenti
di queste innesca meccanismi di selezione imprenditoriale che dal contesto
locale si estendono a quello nazionale (e che, in futuro, potrebbero
estendersi anche a quello europeo). Emblematici sono i casi francese, dove
tre grandi aziende (Via, Transcet e Cgea) coprono oltre l’80% del mercato
del trasporto pubblico locale, e svedese, dove alcune grandi aziende private
hanno costituito un oligopolio nazionale, anche grazie all’acquisizione delle
piccole compagnie municipali33.
La liberalizzazione.
L’opzione estrema della deregolamentazione totale è stata applicata anche al
trasporto pubblico locale. In Gran Bretagna (Londra esclusa) ed in altre aree
asiatiche e dell’America meridionale sono state privatizzate le aziende
pubbliche e sono state eliminate tutte le norme che imponevano limiti
all’accesso delle aziende e determinavano vincoli alla libera fissazione delle
tariffe.
L’esperienza britannica è quella di maggiore interesse perchè applicata in
contesti economici e sociali assimilabili a quelli italiani. Essa ha previsto
l’eliminazione di ogni forma di sussidio alle aziende (prevedendo solo delle
sovvenzioni: per la riduzione delle tariffe degli anziani e di altre categorie
sociali) ed ha eliminato anche ogni forma di pianificazione della rete. In
33
Goller (1995).
18
sostanza si sono create le condizioni perchè si dispiegasse una piena
concorrenza, anche sulla singola tratta di collegamento.
Il decennio di applicazione delle esperienze britanniche consente oramai di
trarre un bilancio e di effettuare la comparazione tra lo schema di
regolazione concorrenziale (il modello londinese) e la liberalizzazione (il
modello applicato nel resto del paese). Il confronto può essere realizzato
considerando alcuni aspetti principali:
- l’efficienza aziendale. La riduzione dei costi ha caratterizzato tutto il
sistema britannico post-riforma (la contrazione è stata - in entrambe i casi
- pari a circa il 15%). La riduzione del costo del lavoro è stato lo
strumento fondamentale utilizzato a tal fine, in particolare grazie alla
introduzione di formule contrattuali meno onerose (nuovi assunti, autisti
di minibus, ecc.). Più in generale è stata perseguita una generale
riduzione delle inefficienze interne, in particolare con la
razionalizzazione dei costi di management e la riorganizzazione ed
esternalizzazione della manutenzione,
- la qualità dei servizi. Anche l’introduzione di nuovi servizi ha
caratterizzato tutto il sistema britannico, in particolare con la diffusione
dei minibus fuori nei segmenti di rete a non elevata concentrazione di
flussi. Sotto questo profilo è l’esperienza londinese ad aver realizzato i
migliori risultati: sia perché negli ambiti liberalizzati ha dispiegato i suoi
effetti negativi l’assenza della pianificazione della rete (instabilità dei
servizi, carenza di informazioni, congestione di mezzi pubblici, degrado
dei mezzi), sia perchè proprio nell’ambito regolato è stata più forte la
differenziazione ed innovazione dei servizi (taxi collettivi, linee a
chiamata, linee veloci, ecc.);
- la forma del mercato. Il contesto regolato si è mostrato più contendibile
di quello liberalizzato; in quest’ultimo infatti la concorrenza si è basata
sulla frequenza del servizio nelle tratte principali e nelle fasce orarie di
punta (mentre le tariffe si sono rivelate uno strumento non significativo e
sono state infatti aumentate significativamente in termini reali)34 e ciò ha
determinato - dopo una prima fase di moltiplicazione degli operatori una significativa concentrazione del mercato tra gli operatori capaci di
sostenere flotte di mezzi adeguate all’alta frequenza di passaggi.
Nell’esperienza londinese la segmentazione delle concessioni è stata
34
Si è cioè verificato che per l’utente del mezzo pubblico il tempo di attesa è la variabile
discriminante, egli dunque prenderà il primo autobus che passa indipendentemente dal
livello della tariffa. Va inoltre ricordato che i confronti tariffari andrebbero effettuati a
parità di servizio; tenuto conto che nei contesti liberalizzati la qualità e la disponibilità
del servizio sono peggiorate, si può concludere che la crescita reale delle tariffe è
sottostimata.
19
l’opportunità per consentire l’accesso non solo degli operatori più
strutturati (che anche qui si sono riservati i servizi organizzativamente
più onerosi, ma anche più redditizi), ma anche di operatori minori
specializzati che hanno iniziato a maturare esperienza proprio a partire
dall’esercizio di servizi secondari o di natura prevalentemente sociale.
Una valutazione finale tra le due esperienze non è agevole, ciò nonostante
alcune conclusioni possono essere tratte a favore dell’esperienza
londinese.35 Si può infatti affermare che elementi postivi di fondo sono stati
conseguiti in entrambi i casi; in particolare le inefficienze gestionali ed i
sussidi pubblici sono stati significativamente ridotti.
La regolazione sulla base di una pluralità di concessioni ha però riportato
ulteriori effetti positivi che la liberalizzazione non ha evidenziato: nel medio
periodo il mercato regolato è risultato più contendibile e, in parte come
conseguenza di tale dato, la qualità e la diffusione dei servizi sono state
maggiori e l’incremento della circolazione è stato inferiore. Infine non va
trascurato che la collettività ha potuto beneficiare dei benefici della
pianificazione.
In sostanza si può affermare che nel trasporto pubblico locale sono presenti
economie di integrazione e di scala; in assenza di regolazione pubblica
queste generano una forma di mercato sostanzialmente monopolistica (sulla
singola tratta36 od anche su tutta l’area locale). Tutto considerato il beneficio
totale netto si rivela inferiore a quello garantito dal contesto regolato.
35
Una valutazione costi-benefici basata su un’analisi esauriente e non pregiudiziale delle
due esperienze si trova in Mackie et al. (1995).
36
Nell’arco dei dieci anni dell’esperienza britannica si stima che in non più del 10% delle
tratte vi sia stata durevole competizione.
20
3.4.2. Il trasporto ferroviario: oltre il modello unico
Il trasporto ferroviario è una di quelle attività produttive in cui l’economia
pubblica ha tradizionalmente rintracciato gli elementi tipici del “fallimento
del mercato”. In particolare, il trasporto ferroviario è stato considerato un
monopolio naturale e per tale motivo è stato storicamente ricondotto
nell’alveo pubblico. Ciò è accaduto sia nella forma estrema della gestione
statale, sia in quella indiretta della regolazione di sistemi aziendali distinti
dalla pubblica amministrazione.
La natura di monopolio naturale del trasporto ferroviario può essere fatta
risalire a due distinte ragioni:
- l’esistenza di economie di scala. Queste sono presenti sia nella rete, sia
nella produzione del servizio vero e proprio. Mentre nel primo caso si
tratta di economie di scala in senso stretto, nel secondo è più corretto fare
riferimento ad economie di densità; in entrambe i casi è bene tenere
presente che esiste probabilmente un livello ottimo di dimensione, sia per
l’estensione della rete37 che per la densità del servizio, oltre il quale
tornano a presentarsi delle diseconomie. Esisterebbero infine anche
economie di scopo nella produzione dei servizi: mentre ciò è indubitabile
per la condivisione di costi comuni di servizi differenziati all’interno
delle aree passeggeri e merci, è perlomeno da prendere con cautela
l’economicità della presenza congiunta delle due aree di servizi nella
stessa rete ferroviaria;38
- la presenza di costi irrecuperabili. L’elevato livello di investimenti in
capitale fisso, in sistemi di segnalamento e di sicurezza, in materiale
rotabile, costituiscono una barriera fortissima all’ingresso di nuovi
concorrenti. La non contendibilità del trasporto ferroviario è incrementata
anche dalla non recuperabilità degli investimenti immobilizzati nella rete
(dato che questa non è fisicamente ricollocabile altrove).
In sintesi si può dunque affermare che la rete è sicuramente un monopolio
naturale a causa dei costi irrecuperabili e che le economie di scala sono
presenti sia nella rete che nell’esercizio. Mancano invece prove
incontestabili di economie di scopo e di densità aldilà di una soglia
37
Una riflessione sulla taglia ideale della rete ferroviaria è riportata in Cemt (1993; pp.
98-103). Con riferimento all’Europa viene qui concluso che le grandi reti (Germania,
Francia, Gran Bretagna, Italia) sono troppo grandi e le piccole (Danimarca, Olanda,
Irlanda) troppo piccole. La taglia ottimale sarebbe quella delle reti medie, estese per
circa 6000 km (come è il caso della Finlandia e dell’Austria).
38
In particolare per le inefficienze scaricate sul trasporto merci dalla “priorità passeggeri”
vigente in quasi tutte le reti ferroviarie del mondo (per le eccezioni si veda più avanti
nel testo).
21
minimale.
Dalla connotazione di monopolio naturale della rete deriva l’approccio
regolatorio che prevede la separazione tra rete e servizio.
La separazione tra rete e servizio serve infatti ad impedire che il monopolio
naturale della rete (e ciò che comporta in termini di intervento pubblico) si
propaghi anche alla produzione dei servizi di trasporto, garantendo così in
questo ambito più elevati livelli di contendibilità e di effettiva concorrenza.
L’orientamento comunitario in materia di trasporto ferroviario si ispira
direttamente a tali considerazioni. Esso infatti prevede: che la rete mantenga
natura pubblica e sia sussidiata, che la gestione della rete sia separata
(perlomeno contabilmente) da quella dei servizi, che i sussidi ai gestori della
rete non vengano trasferiti ai gestori dei servizi.39
Il tema della separazione tra rete e servizi ha riportato al centro
dell’attenzione la comparazione tra i costi di coordinamento propri di
un’azienda ferroviaria verticalmente integrata ed i costi di transazione, tipici
di un assetto produttivo dove i gestori della rete e dei servizi sono distinti.
L’orientamento verso la separazione si basa infatti implicitamente sulla
valutazione che i suoi costi siano complessivamente inferiori a quelli propri
dell’integrazione tra rete e servizio; in particolare che la somma tra costi di
inefficienza propri del monopolista integrato e costi di coordinamento sia
inferiore ai costi di transazione caratteristici di assetti separati e contendibili.
Non si possono però celare alcune osservazioni critiche alla validità di
questo orientamento.40
Innanzitutto vanno tenute presenti le specificità del settore ferroviario;
mentre in altri comparti è proprio il gestore neutrale della rete ad avere
rapporti con gli utenti finali, in quello ferroviario la separazione reteservizio allontanerebbe il gestore della rete dal contatto diretto con i
consumatori finali. Il gestore della rete sarebbe dunque poco stimolato a
rispondere rapidamente e con flessibilità al mutare delle condizioni della
domanda. Per converso i gestori dei servizi non avrebbero la possibilità di
definire piani di investimento coerenti su rete e materiale rotabile, in grado
39
Sul concetto di separazione tra rete e servizio si basa la direttiva comunitaria n.440 del
1991 che stabilisce i principi di riferimento per la regolazione del trasporto ferroviario
europeo. Per una valutazione di dettaglio del quadro normativo europeo in materia
ferroviaria si veda Fazioli e Amelotti Eichler (1995), Sciarrone (1995) e Spirito (1995).
40
Una rassegna sistematica della teoria e della prassi della separazione rete-servizio si
trova in Brooks e Button (1995).
22
di assecondare le condizioni di domanda.41
E’ dunque evidente che la comparazione tra costi di transazione e di
coordinamento può essere mutata da considerazioni dinamiche. In contesti
non integrati può infatti salire il costo delle transazioni delle informazioni
relative a mantenere stabile il sistema, sotto il profilo commerciale e
tecnologico.
Tenuto conto che i costi di transazione possono essere eccessivamente
elevati e che però il settore ha bisogno di meccanismi concorrenziali che
riducano la x-inefficienza del monopolista integrato, sono state anche
proposte e realizzate forme di yardstick regulation fondate sulla
segmentazione su base territoriale di imprese verticalmente integrate.
L’orientamento alla separazione tra rete e servizio resta comunque quello
prevalente. E pone, tra l’altro, un problema di regolazione dell’accesso alla
rete.42
Al centro della separazione anche solo contabile tra rete e servizio la
definizione dei canoni di accesso occupa una posizione cruciale. Essa infatti
interferisce direttamente con la regolazione stessa dei servizi:
- sia nell’ipotesi di servizi gestiti in monopolio, dove il meccanismo di
definizione dei canoni condiziona il livello effettivo di contendibilità e
limita il trasferimento improprio al comparto dei servizi dei sussidi
pubblici destinati alla rete;
- sia nell’ipotesi di concorrenza nei servizi, dove il costo e le modalità di
accesso alla rete costituirebbero i fattori principali di condizionamento
dei livelli di effettiva competizione tra operatori.
La regolazione del trasporto ferroviario si è occupata in particolare delle
modalità di definizione dei canoni. Schematicamente si possono ricostruire
tre grandi tipologie:43
41
Nel settore ferroviario i tempi di ritorno dell’investimento sulla rete sono decisamente
più lunghi di quelli sul materiale rotabile; ciò è di nuovo il contrario di quanto accade
nel settore elettrico, dove è il produttore a detenere la leva dell’investimento a maggior
vita economica. Su questi temi si veda in particolare Kay (1994).
42
Alcuni principi di riferimento in materia di licenze ferroviarie e di canoni di accesso
alla rete sono stati fissati dalle direttive comunitarie n. 18 e n. 19 del 1995. Si vedano a
questo proposito sempre Sciarrone (1995) e Spirito (1995).
43
Sulla regolazione dell’accesso alla rete ferroviaria si veda in particolare Fazioli e
Amelotti Eichler (1995; pp. 27-32).
23
- quella del canone nullo, secondo la quale la rete è implicitamente
considerata un bene pubblico puro. In questo caso tutti i servizi ferroviari
sono pubblicamente sussidiati, anche quelli delle compagnie estere,
anche quelli senza alcun carattere sociale come il trasporto merci;
- quella del canone al costo marginale, che tengono cioè conto solo del
costo aggiuntivo attribuibile al singolo accesso alla rete. E’ una formula
che consente di sostenere tutto il traffico economicamente efficiente (in
grado di ripagare cioè almeno il costo direttamente generato), ma non
permette di coprire il costo totale di infrastruttura. Restano dunque
necessarie delle forme di sussidio alla gestione della rete;
- quella del canone al costo totale medio. Esso consente al gestore
dell’infrastruttura di recuperare tutti i costi determinati dall’esercizio di
servizi ferroviari, ma ha il difetto sotto il profilo del benessere collettivo
di escludere tutto il traffico corrispondente allo spazio di prezzo tra il
costo medio ed il costo marginale.
Nella realtà l’applicazione di canoni per l’accesso alla rete è ben lungi
dall’aver trovato una sistemazione stabile e continuano a convivere, accanto
ai pochi casi di definizione rigorosa, formule forfetarie e puramente
contabili.44
Un ulteriore portato teorico ed applicativo della separazione tra rete e
servizio è rappresentato dalle modalità di esplicazione della eventuale
concorrenza nella gestione dei servizi ferroviari.
Innanzitutto è bene ribadire che la separazione può essere anche solo
contabile, il che implica non solo l’assenza di concorrenza nei servizi, ma
anche il mantenimento di un gestore unico verticalmente integrato.
Inoltre va evidenziato che la separazione può essere gestita secondo una
forma di monopolio bilaterale dei servizi di rete dove si fronteggiano un
solo fornitore ed un solo acquirente e dove quest’ultimo detiene l’esclusiva
della vendita agli utenti finali (famiglie e imprese) dei servizi di trasporto.
Ciò assodato si può passare a considerare le due tradizionali forme di
realizzazione della concorrenza dei servizi di trasporto ferroviario:
- la concorrenza per il mercato (franchising). Come già accennato la
definizione di formule di franchising competitivo per l‘accesso alla
44
Una rassegna dello stato dell’arte dell’applicazione dei canoni di accesso alla rete
ferroviaria è proposta in Hylen (1995). Si veda comunque anche oltre la rassegna delle
riforme ferroviarie.
24
produzione in esclusiva di servizi ferroviari presenta non pochi problemi
in relazione alla effettiva contendibilità nel tempo della concessione45.
Difatti la vita economica degli investimenti sostenuti dai concessionari e
normalmente superiore alla durata delle concessioni; ciò può produrre
alternativamente una tendenza al sottoinvestimento in materiale rotabile
oppure la riduzione della contendibilità a seguito dei costi irreversibili
creati dal concessionario incumbent. Problemi dalla natura non dissimile
sono determinati dalla formazione di risorse umane ad elevata
qualificazione tecnica. Ad i problemi di gestione delle risorse irreversibili
e dei relativi tentano di dare una risposta gli schemi di regolazione che
prevedono il leasing del materiale rotabile (come nel caso inglese),
mentre non risulta che si applichino contratti manageriali per
l’affidamento della sola gestione di mezzi e personale sulla falsariga di
quelli in vigore negli Usa per il trasporto pubblico locale;
- la concorrenza nel mercato (open access). L’open access è la forma
estrema di liberalizzazione del mercato dei servizi ferroviari, secondo la
quale qualsiasi operatore abilitato può comprare tracce orarie e gestirle in
conto proprio oppure vendere servizi ferroviari agli utenti finali. L’open
access puro non è applicato attualmente in nessun sistema ferroviario,
esso è previsto in prospettiva, mentre oggi mantiene un carattere
marginale, essendo riservato alla gestione di alcune specifiche forme di
servizio merci e passeggeri. La scarsa applicazione dell’open access
deriva direttamente dai problemi che esso pone in prospettiva: vi è infatti
da un lato il rischio che le esigenze di coordinamento tra compagnie
ferroviarie, che sussistono anche in un contesto di open access,
determinino fenomeni di cartellizzazione e, quindi, di estinzione della
effettiva concorrenza; d’altro canto l’open access nella sua piena
applicazione potrebbe determinare un peggioramento complessivo della
competizione tra la ferrovia e gli altri modi di trasporto.46
Anche solo da una rapida rassegna dei problemi aperti, risulta evidente che
il trasporto ferroviario resta un settore dove la combinazione tra le diverse
opzioni possibili può dare luogo a schemi di regolazione tra loro
strutturalmente diversi.
Ad aumentare la varietà delle opzioni attivate ed attivabili contribuisce
anche la pluralità di obiettivi che spingono in questi anni in tutto il mondo
ad una profonda riforma del comparto ferroviario. Difatti il tipo di schema
di regolazione prescelto sarà diverso se prevale la necessità di rilanciare la
45
O delle concessioni, nel caso di schemi regolatori basati sulla concorrenza emulativa tra
più operatori ferroviari che operano monopolisticamente in un mercato segmentato
territorialmente.
46
E ciò paradossalmente potrebbe accadere proprio laddove il potenziale di competizione
intermodale della ferrovia è maggiore; ad esempio nei contesti metropolitani.
25
ferrovia nella concorrenza intermodale oppure quella di risparmiare le
risorse pubbliche, se è necessario reperire finanziamenti per investimenti
consistenti oppure se si vuole favorire l’espansione all’estero della ferrovia
nazionale. Il tipo di riforma può dipendere inoltre anche dalla
configurazione territoriale: difatti aree chiuse o insulari (come il Giappone o
l’Inghilterra) possono preferire la segmentazione territoriale delle
concessioni, aree aperte o continentali (come l’Europa e, in particolare, la
Germania) possono preferire il libero accesso. Possono pesare infine sulle
scelte di regolazione anche la dimensione e la struttura dei flussi (intensità,
concentrazione temporale e spaziale); da queste infatti dipende la stessa
economicità della ferrovia e la sua competitività intermodale.
Un ulteriore elemento pesa sulle modalità di applicazione della regolazione
ferroviaria: la regionalizzazione dei servizi locali. Infatti buona parte dei
servizi ferroviari che rivestono natura sociale sono relativi al trasporto su
scala locale, su questi convergono inoltre sia le esigenze di governo delle
esternalità (riduzione dell’inquinamento e della congestione), sia una larga
parte dei sussidi pubblici alle gestioni in perdita. L’assegnazione agli enti
locali delle responsabilità programmatiche e finanziarie del trasporto
ferroviario locale può dunque costituire un’opzione aggiuntiva delle riforme
ferroviarie, tesa a meglio separare le aree commerciale e sociale del
trasporto ferroviario ed a gestire distintamente i rispettivi schemi di
regolazione.
Alla luce di queste considerazioni possono essere valutate le principali
esperienze di riforma ferroviaria realizzate o in corso di realizzazione in
tutto il mondo.47
Integrazione e azienda pubblica (il modello francese).
L’assetto delle ferrovie francesi incarna in modo emblematico il modello di
gestione del monopolio pubblico verticalmente integrato.
All’azienda di stato sono infatti riservati la gestione della rete e del servizio,
nonché l’attuazione della politica statale degli investimenti.48 L’efficienza e
la trasparenza sono perseguite all’interno di questo modello attraverso forme
di riorganizzazione interna (costituzione di una holding, partecipazioni a
società specializzate, ..) e l’applicazione dei principi della separazione
47
Per la documentazione sulle riforme ferroviarie si veda la sezione specifica della
bibliografia. Rassegne si possono trovare in: Aspe-Europe (1995), Cemt (1993), Fazioli
e Amelotti Eichler (1995), Japan Railway and Transport Review (1994).
48
Nei primi mesi del 1996 - anche a seguito dei risultati negativi di bilancio della Sncf -il
dibattito interno ha registrato diverse posizioni autorevoli a favore di una
riassegnazione diretta al Governo della definizione e della attuazione della politica
degli investimenti ferroviari.
26
contabile sia tra rete e servizi, sia tra le diverse aree del trasporto (merci,
passeggeri grandi linee, Ile de France, regionale).
All’interno di questo assetto la politica di regolazione si regge di fatto sul
contratto di programma che lega le risorse garantite dallo Stato a gli obiettivi
posti all’azienda. In particolare il contratto di programma fissa una tariffa
chilometrica fissata sulla base del costo medio, individua un percorso di
riduzione del costo per unità di trasporto e attribuisce esplicitamente
l’attuazione degli investimenti.
Il contratto di programma è sottoposto a critica sia perchè è elevato il rischio
di cattura del regolatore nel caso di contrattazione con una sola azienda
integrata, sia perchè tale rischio è ulteriormente aumentato dall’assenza di
sanzioni nei confronti dei due contraenti che rendano effettivi i meccanismi
incentivanti esplicitamente ed implicitamente presenti. Al contrario è stato
evidenziato la possibilità che la SNCF sia di fatto disincentivata ad avere
comportamenti efficienti, a fronte della possibilità che lo Stato riveda lo
schema contrattuale per estrarre le quote di rendita eventualmente generate
all’interno dell’azienda.49
In sintesi si può affermare che il modello francese è quello tradizionale della
gestione pubblica integrata di un settore considerato dall’elevata valenza
economica e sociale e oggetto di un consistente piano di investimenti ad
elevata tecnologia. Sono inoltre completamente assenti forme effettive o
simulate di concorrenza e di orientamento al rischio commerciale e non
viene applicata alcuna forma di regionalizzazione dei servizi ferroviari
locali.
Il buon esito dello schema di regolazione si fonda in ultima analisi
sull’aspettativa che i soggetti coinvolti esprimano solo gli obiettivi attesi:
che cioè lo Stato indirizzi il settore secondo l’interesse collettivo e che
l’azienda persegua con strumenti manageriali l’efficienza e la qualità.
L’esistenza di interessi non considerati e spesso divergenti rispetto a quelli
attesi, il manifestarsi di alcuni segnali di crisi finanziaria dell’azienda, il
diffondersi di critiche nei confronti di un modello di investimenti votato
solo all’integrazione nazionale ed all’alta tecnologia, sono tra i fattori che
stanno esponendo a critiche crescenti uno schema di regolazione
apparentemente stabile.
Separazione e azienda pubblica (il modello svedese).
La Svezia è la nazione europea che si è mossa nella direzione di una riforma
49
Caillaud e Quinet (1991).
27
profonda del sistema ferroviario nazionale con l’obiettivo primario di
rilanciare la ferrovia nella competizione nei confronti del trasporto stradale.
La realizzazione di un imponente piano di investimenti ferroviari non è stato
considerato però sufficiente a rafforzare un settore considerato rilevante
specialmente per la sua valenza ambientale. Si è voluto anche rivedere lo
schema di gestione e di regolazione al fine di ridurre le inefficienze e
comprimere i sussidi pubblici.
La nuova architettura del sistema svedese si basa su alcuni elementi
fondamentali:
- la separazione della ferrovia nazionale in due soggetti distinti: la BV
(struttura pubblica che gestisce la rete nazionale ed attua la politica
pubblica degli investimenti) e la SJ (azienda pubblica che gestisce i
servizi beneficiando di un sussidio pubblico forfetario ed essendo quindi
esposta al rischio commerciale);
- l’affidamento alle comunità locali delle reti e dei servizi, tranne quelli di
dimensione nazionale, che li possono sia gestire in proprio sia affidare in
concessione sulla base di aste competitive;
- la graduale abolizione delle posizioni di monopolio (della SJ a livello
nazionale e delle autorità regionali a livello locale) e la definizione di un
sistema basato sull’open access;
- la definizione di misure occupazionali e finanziari che hanno reso
possibile l’attuazione della riforma: azzeramento del debito pregresso
della SJ, sostituzione del management SJ con personale di provenienza
imprenditoriale, attivazione di un piano per la gestione della riduzione di
occupazione (prepensionamenti, programmi di riqualificazione, mobilità
nel comparto ferroviario, ecc.), impegno formale del Parlamento ad
investire nel settore ferroviario.
La separazione tra rete e servizio e la preparazione di un assetto di libero
accesso all’infrastruttura hanno portato a sviluppare anche i primi elementi
per la regolazione dei meccanismi di ripartizione della capacità e la
definizione dei canoni di accesso.
La scelta per l’attribuzione della delicata funzione di ripartizione della
capacità appare singolare; infatti essa sarà esercitata dall’impresa dominante
sulla singola tratta (SJ o altri), con la possibilità di effettuare ricorsi ad
un’autorità di supervisione collocata all’interno di BV (seppure in posizione
di totale autonomia). Proprio questa autorità potrebbe tendenzialmente, al
procedere della riforma, assumere un ruolo istituzionale completamente
28
autonomo dai soggetti ferroviari.
I canoni di accesso sono stati definiti sulla base di una formula in due parti:
la prima copre i costi d’uso marginali (sia interni che esterni) e la seconda
rimborsa parte dei costi fissi. Il livello dei canoni è tale da non coprire più
del 20% del costo totale dell’infrastruttura.
Il complesso sistema di regolazione così articolato si caratterizza per la
sostanziale indifferenza alla questione proprietaria, per la priorità assegnata
alla separazione rete-servizio50, per la operatività di meccanismi di
incentivazione e di orientamento al rischio e la graduale apertura a forme di
concorrenza per il mercato e, tendenzialmente, nel mercato.
Esso ha rivelato anche alcuni punti critici che in futuro costituiranno
verosimilmente l’oggetto di un crescente contenzioso: da un lato infatti la
separazione tra rete e servizio ha posto in luce comportamenti non
cooperativi tra i due gestori che operano con obiettivi diversi (infatti BV
deve fronteggiare il vincolo finanziario delle risorse pubbliche, mentre SJ si
confronta con il vincolo del rischio di mercato), dall’altro lato l’apertura a
tutti i concorrenti delle concessione per la gestione di tratte ferroviarie
hanno evidenziato l’esistenza di un vantaggio competitivo di fatto della SJ
nei confronti degli altri potenziali gestori.
Nel complesso la riforma svedese è orientata da un grande senso di
equilibrio51 e non è condizionata da scelte esercitate pregiudizialmente al di
fuori di una attenta valutazione costi-benefici. Proprio questo orientamento
cauto ha consentito di evidenziare due questioni critiche fondamentali, utili
per una riflessione anche al di fuori dei confini nazionali. La riforma
svedese infatti testimonia che:
- la separazione rete-servizio non produce solo benefici in termini di
maggiore contendibilità del mercato del trasporto ferroviario, ma anche
costi in termini di maggiore instabilità complessiva del sistema e di
onerosità del coordinamento tra strategie commerciali e strategie di
investimento. Essa dunque dovrebbe essere perseguita quando esiste un
potenziale effettivo di maggiore contendibilità o concorrenzialità dei
servizi (ad esempio grazie all’integrazione di più reti nazionali);
- l’apertura alla concorrenza del mercato dei servizi in presenza di un
incumbent pone problemi di effettiva competizione e contendibilità che
dovrebbero essere risolti con opportuni strumenti di regolazione; anche
50
La riforma svedese ha di fatto costituito il modello di riferimento per la direttiva
comunitaria n. 440 del 1991.
51
Prova ne sia la grande varietà di formule proprietarie e gestionali sperimentate a livello
locale. Si veda a questo proposito Cemt (1993; pp. 76-79).
29
orientati, così come è accaduto per altre public utilities, a limitare
asimmetricamente l’operato dell’incumbent a vantaggio dei new entrants.
Separazione e libero accesso (il modello tedesco).
La riforma ferroviaria tedesca nasce contestualmente alla presa d’atto dello
stato di degrado delle ferrovie della Germania orientali ed alla conseguente
consapevolezza della necessità di un piano di investimenti. E’ infatti il
fabbisogno di un volume imponente di risorse a spingere verso la ricerca di
modelli gestionali che riducano al minimo gli sprechi e massimizzino in
prospettiva il ritorno economico e sociale delle risorse impiegate.
La riforma delle ferrovie della Germania unificata è stata articolata su
quattro livelli:
- finanziario: gestione del debito pregresso, realizzazione di nuovi
investimenti, individuazione di sussidi per la transizione;
- contabile-organizzativo: separazione tra gestione della rete, del trasporto
passeggeri e del trasporto merci;
- tariffario: definizione dei canoni per l’accesso alla rete;
- concorrenziale: promozione della contendibilità, del libero accesso,
estinzione delle discriminazioni basate su sussidi o su differenze negli
standard tecnici.
La realizzazione effettiva della riforma è stata realizzata attivando una
procedura per fasi (ancora non completata) di riarticolazione istituzionale e
societaria del sistema ferroviario del Paese.
- la prima fase ha realizzato la separazione tra l’area commerciale del
sistema (la rete, il trasporto di merci, il trasporto di passeggeri oltre i 50
km) e l’area pubblica (funzione del coordinamento, gestione del
personale, gestione del debito pregresso);
- la seconda fase si è articolata in una “riforma esterna” (costituzione nel
1994 della società di diritto privato DBAG che unifica la DB e la DR e si
articola in tre aree commerciali interne) ed in una “riforma interna”
(l’area pubblica è divisa in tre aree: sulla prima ricadono gli oneri del
personale in eccedenza, del debito pregresso, del trattamento
pubblicistico del personale ferroviario commerciale; alla seconda
compete la sovrintendenza generale sul settore ferroviario, l’emissione
30
delle licenze, la preparazione dei piani di investimento52; alla terza (i
Lander) sono assegnati i trasporti regionali (ed i relativi sussidi) da
gestire sia direttamente che mediante meccanismi di concessione e di
leasing;
- la terza fase prevede la trasformazione delle tre aree commerciali in tre
società (rete, passeggeri e merci) e la trasformazione della DBAG in una
holding (scadenza di questa fase: 1997);
- la quarta fase prefigura lo scioglimento della holding (scadenza: 2002), la
possibile privatizzazione delle società di trasporto, e la cessione di quote
di proprietà della rete (dovrà infatti essere mantenuta una partecipazione
pubblica).
Dal 1 luglio 1994 la rete tedesca è formalmente aperta ad operatori diversi
dalla DBAG.53 Le richieste di accesso alla rete devono essere fatte
all’autorità ferroviaria pubblica (anche se la funzione tecnica di allocazione
della capacità è collocata all’interno della DBAG); la ripartizione degli
accessi è elaborata dando priorità agli acquirenti con domanda maggiore ed
a più lungo termine e, nel caso permanessero conflitti di capacità, sulla base
di gare pubbliche.
Anche in previsione della apertura della rete sono stati definiti i criteri per la
quantificazione dei canoni di accesso. Questi si basano sul costo marginale
d’uso e tengono conto del servizio di rete offerto (velocità possibile sulla
tratta, capacità potenziale della tratta).54
Al cuore della riforma tedesca si trova il principio della creazione di un
mercato contendibile dei servizi di trasporto ferroviario.55 Tale principio e
l’adesione ai criteri della normativa ferroviaria vanno però probabilmente
letti non tanto nel senso dell’apertura della rete nazionale a nuovi operatori
interni ed esteri, quanto in quello della penetrazione della DBAG nel vasto
mercato dell’Europa centrale, settentrionale ed orientale.56
Più in generale è evidente che il modello proposto dalle normative
52
L’articolo 87 della costituzione tedesca attribuisce allo Stato la responsabilità di fornire
il trasporto ferroviario (Japan Railway and Transport Review; 1994, p. 22).
53
Va tenuto presente che la Germania, pur in un contesto strettamente pubblico, ha già
un’esperienza di accesso alla rete di altri soggetti oltre alla compagnia statale (operatori
industriali, società ferroviarie a base locale, ecc.).
54
Un’analisi di dettaglio del sistema dei prezzi per l’accesso alla rete ferroviaria tedesca è
proposto in Seidenfus e Giordano (1995; pp. 10-12).
55
“Per quanto riguarda le imprese straniere, questo vale soltanto se la loro rete nazionale
di binari è ugualmente aperta a terzi (Unione Europea), oppure se esistono accordi
internazionali riguardo a tali usi (paese non Ue)”. Seidenfus e Giordano (1995; p. 8).
56
Fazioli e Amelotti Eichler (1995; p.55).
31
comunitarie risponde bene agli interessi propri della riforma ferroviaria
tedesca: transizione da un sistema verticalmente integrato ad un mercato
accessibile, con il mantenimento di fini sociali.
Integrazione e segmentazione territoriale (il modello giapponese).
A partire dal 1987 il Giappone ha avviato una riforma centrata sulla
creazione di una pluralità di società ferroviarie verticalmente integrate e
territorialmente distinte e sulla loro successiva privatizzazione.
La segmentazione della compagnia ferroviaria nazionale (JNR) è stata
avviata per adeguare meglio la quantità e la qualità dell’offerta alle esigenze
differenziate della domanda. A tal fine si è preferito puntare alla creazione
di strutture autonome per superare alcuni gravi difetti delle precedenti
gestioni: la standardizzazione delle formule manageriali, l’allentamento dei
rapporti tra decisione ed esecuzione, l’assenza di valutazioni economiche
trasparenti delle diverse aree settoriali e territoriali di business
(principalmente dovuta alla pervasività delle sussidiazioni incrociate).
Anche per la privatizzazione sono stati esplicitati degli specifici obiettivi:
eliminare le interferenze sulla gestione del principal pubblico, esplicitare le
responsabilità del management, normalizzare le relazioni industriali,
espandere le attività a valenza commerciale.
La riforma giapponese è stata realizzata mettendo in moto un complesso
meccanismo di revisione istituzionale ed aziendale di cui possono essere
citati gli elementi fondamentali:57
- sono state create sei compagnie regionali di trasporto passeggeri (rete e
servizio) ed una nazionale di trasporto di merci (solo servizio);
- la JNR ha ceduto parte dei beni, del personale e del debito pregresso alle
sette nuove compagnie, il resto è stato trasferito alla JNSRC, struttura
pubblica che ha assunto la proprietà delle società ferroviarie;
- per le 3 compagnie passeggeri ritenute a bassa propensione commerciale
è stato previsto un fondo di stabilizzazione della gestione i cui proventi
andranno a ripagarne i deficit. Queste tre compagnie non assumeranno
alcuna quota del debito di lungo termine della JNR (questo meccanismo è
ritenuto più incentivante all’efficienza del sussidio o della copertura expost dei deficit di gestione).
57
Per una descrizione dettagliata degli strumenti e degli obiettivi della riforma giapponese
si veda East Japan Railway Company (1995).
32
Al cuore della riforma giapponese si trova il processo di privatizzazione
delle compagnie ferroviarie. Questo doveva realizzarsi secondo un
approccio graduale alla quotazione in Borsa ed alla dismissione dei pacchetti
azionari. In realtà delle sette compagnie, solo una - la JR East - è stata sino
ad oggi privatizzata.58
La potenziale privatizzazione si basa su un profilo di gestione orientato
all’efficienza e centrato sul mantenimento e sullo sviluppo della quota
consistente di mobilità catturata in Giappone dalla ferrovia. In effetti già nei
primi anni dopo la riforma le compagnie hanno prodotto profitti superiori
alle attese.
Il sistema di regolazione - reso meno cruciale dalla tendenziale
privatizzazione delle compagnie ferroviarie - si basa sulla fissazione
pubblica delle tariffe finali e sulla definizione di un canone di accesso alla
rete per la compagnia ferroviaria di trasporto di merci. Completamene libero
è invece l’esercizio di attività non ferroviarie.
Resta sullo sfondo il problema del finanziamento di nuovi investimenti
(miglioramento della rete suburbana di Tokyo, estensione dell’alta velocità).
Separazione e segmentazione territoriale (il modello inglese).
Al contrario di quella svedese, la riforma britannica è nata in assenza di una
politica del trasporto che assegnasse un ruolo specifico alla ferrovia.
Obiettivo prioritario è stato - come in altri settori delle public utilities - la
riduzione della presenza pubblica nel sistema economico e la conseguente
riduzione degli oneri a carico del bilancio dello Stato.
La riforma britannica si basa sull’estinzione della società ferroviaria
pubblica e sulla separazione funzionale e territoriale del monopolio
ferroviario. In particolare essa prevede un complesso meccanismo di
riarticolazione funzionale e societaria con la creazione di:
- 1 proprietario delle infrastrutture e responsabile dell’orario (Railtrack)
che, tranne casi specifici, deve finanziarsi con i canoni e restituire un
rendimento sul capitale allo stato: ne è in corso la privatizzazione;
- 25 compagnie ferroviarie passeggeri (di cui solo alcune potranno
continuare a beneficiare di sussidi pubblici), 3 compagnie merci ed 1
58
A causa dei danni provocati dal grave terremoto del 1995, è stata rinviata la quotazione
delle due compagnie a maggior propensione commerciale. Le tre restanti compagnie
non hanno ancora soddisfatto i requisiti minimi per la ammissione al listino della borsa.
Secondo le ultime informazioni di stampa, nell’autunno del 1996 dovrebbe essere
collocato in Borsa il 75% del capitale della JR West.
33
operatore di containers: opereranno grazie all’ottenimento su base
competitiva delle relative concessioni;
- 3 proprietari del materiale rotabile che lo cedono in leasing alle
compagnie ferroviarie: saranno privatizzati;
- 1 Autorità di regolazione della concorrenza (Rail regulator) che esercita
le seguenti funzioni: concede le licenze, approva i contratti di accesso
alla rete e le formule tariffarie connesse, assicura la parità di accesso e di
allocazione delle tracce orarie, favorisce la concorrenza (anche
sanzionando le eventuali distorsioni), decide sulla sospensione delle
concessioni (su proposta del Franchisor);
- 1 Autorità concessionaria (Office of Passenger Rail FranchisingOPRAF) che, avendo noleggiato da Railtrack le tracce orarie dei servizi
di rete, li offre agli operatori sulla base di gare concorrenziali. Essa
inoltre fa transitare gli eventuali sussidi ai concessionari che si sono
aggiudicati la gara: è di fatto il soggetto che nella fase di avvio della
riforma si assume il rischio commerciale della rete.
Il sistema di regolazione ed esercizio del sistema prevede un complesso
meccanismo di transazioni. Lo Stato garantisce un finanziamento alle
imprese solo come sussidio di servizi sociali (che è comunque integrato
nella base d’asta della concessione); le imprese versano a Railtrack un
canone per l’accesso che deve coprire tutti i costi di rete; Railtrack a sua
volta deve versare allo Stato un rendimento sul capitale (tendenzialmente
l’8%).
Anche la riforma britannica prevede che in prospettiva possa valere un
meccanismo di open access che consenta anche ad altri operatori di
concorrere sulle tratte gestire dai concessionari. Non è però ancora chiaro
come sarà gestita la loro domanda di capacità: probabilmente le tracce orarie
verranno offerte direttamente da Railtrack a terzi diversi dai concessionari, i
quali dovranno pagare dei canoni basati sul solo costo marginale.
Verosimilmente l’open access verrà inizialmente sperimentato sui segmenti
di rete dove coesistono più concessionari e per il traffico merci; solo
successivamente verrà completamente aperto.
Per il momento, in un contesto di esclusiva concorrenza per il mercato, i
canoni sono definiti sulla base di una formula in tre parti:
- una parte che copre i costi comuni non attribuibili al singolo servizio e
che varia in relazione alle caratteristiche della rete e dei servizi su di essa
esercitata (anche al fine di evitare meccanismi di compensazione
incrociata);
34
- una parte che copre i costi fissi attribuibili (i cosiddetti costi evitabili di
lungo termine);
- una parte che copre i costi variabili, basata sull’uso dell’infrastruttura e
sul consumo di energia (e, in prospettiva, anche sul livello di
congestione).
In questo contesto non secondario è il problema della definizione del livello
assoluto di partenza dei canoni, non essendoci infatti precedenti in materia.
Anche nella riforma britannica non è esplicitata la responsabilità della
realizzazione di nuovi investimenti, neanche per il mero ammodernamento
dell’esistente.59
La priorità alle merci (il modello argentino).
La riforma delle ferrovie argentine muoveva dall’esigenza di recuperare la
redditività del sistema ferroviario nazionale e di invertire la tendenza al suo
collasso finanziario e strutturale.
Contrariamente ad altre esperienze qui è stata scelta la strada di favorire il
trasporto delle merci, eliminando tra l’altro la “priorità passeggeri” che
caratterizza buona parte delle reti ferroviarie del mondo.60 Ciò è stato
conseguito sulla base di una segmentazione territoriale della rete nazionale e
sull’affidamento in concessione a privati della gestione integrata della rete,
del materiale rotabile e del servizio.
Sotto il profilo finanziario la riforma prevede l’eliminazione dei sussidi al
trasporto merci ed ai servizi passeggeri potenzialmente profittevoli e la loro
destinazione alle linee intercity ritenute necessarie ed al trasporto
metropolitano.
In particolare la riforma prevede:
- la messa in concessione trentennale esclusiva di sei tratte merci e del solo
servizio passeggeri ritenuto commerciale (in grado cioè di versare ai
concessionari merci un canone basato sul costo marginale di accesso alla
rete). I concessionari operano in un contesto di tariffe libere;
59
La recente aggiudicazione della concessione di costruzione e gestione della tratta ad
alta velocità tra la Manica e Londra lascia però intravedere uno specifico modello di
regolazione nel caso di nuove realizzazioni.
60
In realtà in molti sistemi ferroviari americani (Canada, Stati Uniti, Uruguay, Cile) la
ferrovia ha una spiccata vocazione al trasporto delle merci. Sul sistema ferroviario degli
Stati Uniti si veda Manuelli et al. (1993).
35
- l’individuazione dei servizi passeggeri non commerciali da mantenere
comunque in funzione tramite sussidio pubblico;
- la chiusura di tutte le altre linee, a meno che le province non se ne
accollino la gestione, diretta o tramite concessione a privati;
- la gestione separata del trasporto metropolitano della capitale tramite la
messa a gara di sette concessioni di servizio, assegnate sulla base del
livello minimo di sussidio richiesto e sottoposte a regolazione pubblica;
Il sistema delle concessioni si basa esplicitamente sull’attivazione di un
piano di investimenti per il riammodernamento della rete. Il livello di
investimenti garantito dagli operatori per la durata della concessione
costituiva infatti il parametro prioritario per l’aggiudicazione della gara.61
Il complesso della riforma sembra essere stato particolarmente efficace;
infatti sono andate a buon fine cinque delle sei concessioni nazionali
(mentre solo la sesta è stata acquisita da una società statale creata ad hoc) e
le sette concessioni di trasporto metropolitano per l’area di Buenos Aires.
Infine il piano di revisione del sistema passeggeri ha determinato la chiusura
del 70% dei servizi precedentemente attivi.
61
Lo schema di selezione delle proposte dei partecipanti alle gare si basavano sui seguenti
elementi (tra parentesi i punti assegnati a ciascuna voce):
- livello proposto di investimenti di base (30)
- piano di organizzazione del servizio (25)
- personale assorbito dalle ferrovie statali (15)
- livello del canone per l’uso della rete (12)
- piano di manutenzione (8)
- investimenti aggiuntivi (5)
- livello delle tariffe per gli utenti (5).
36
Tav. 1 - Schema riassuntivo delle riforme ferroviarie
Argentina Franci Germania
Gran
Italia Giappone Svezia
a
Bretagna
Separazione rete no
no
si
si
no
no
si
servizio
(*)
(**)
(*)
Segmentazione
si
no
no
si
no
si
si
territoriale
Privatizzazione
no
no
no
si
no
si
no
della rete
(**)
Privatizzazione
si
no
si
si
no
si
si
dei servizi
(**)
(**)
(**)
(***)
Libero accesso
no
no
si
si
no
no
si
alla rete
(**)
(**)
(**)
Regionalizzazion
no
no
si
no
si
no
si
e
(*) separazione solo contabile
(**) in prospettiva
(***) concessioni competitive aperte anche all’operatore dominante
pubblico
3.4.3. Il trasporto aereo di passeggeri: dalla regolazione all’antitrust
Il trasporto aereo è stato un settore tradizionalmente sottoposto a regolazione
pubblica dell’accesso al mercato, della definizione dei livelli di capacità
produttiva e dei prezzi applicati all’utenza finale.
Al contrario del trasporto ferroviario, il trasporto aereo non si caratterizza
per la presenza di consistenti costi irrecuperabili: infatti i beni capitali (gli
aerei), pur essendo estremamente costosi, sono sia trasferibili da una rotta
all’altra, sia noleggiabili o vendibili a terzi. Al contrario del trasporto
pubblico locale, il trasporto aereo non ha connotazione sociale, né produce
consistenti esternalità positive: esso infatti - fatte salve i pochi casi di
collegamento con le aree isolate - ha natura strettamente economica, sia che
si tratti di spostamenti per affari che di viaggi turistici.
L’intervento pubblico nel trasporto aereo origina invece dalla necessità di
regolare un settore ritenuto a forti economie di scala e, per tale motivo,
potenzialmente monopolistico. Il settore è stato dunque governato con gli
strumenti e con gli obiettivi propri della regolazione pubblica di monopoli
privati: garantire alla collettività l’efficienza produttiva determinata dalle
economie di scala (da cui il controllo dell’accesso), evitare alla collettività le
inefficienze allocative del monopolio (da cui il controllo della capacità e dei
prezzi).
37
Questo schema di regolazione del trasporto aereo è stato sottoposto a forti
critiche ed è stato oggetto di profonda riforma (con l’esperienza statunitense
come riferimento esemplare).
La critica alla regolazione del trasporto aereo si è articolata seguendo gran
parte degli assunti propri dell’approccio della deregulation:
- da una parte, facendo riferimento alla teoria della contendibilità, si è
sostenuto che l’assenza di sunk cost garantirebbe di per sé che non si
creino extra-profitti ed altri abusi di posizione monopolistica od
oligopolistica;
- dall’altra, si è evidenziato che proprio la regolazione pubblica aveva
finito per proteggere comportamenti inefficienti e rendite all’interno delle
aziende, determinando così prezzi generalmente più elevati di quelli che
si sarebbero determinati in un libero mercato contendibile.
Proprio la rilevante esperienza di deregolamentazione maturata negli Stati
Uniti ha però restituito centralità all’analisi ed alla modellizzazione dei nessi
evidenti tra caratteristiche produttive e struttura di mercato di questo settore;
in parte evidenziando gli eccessi di semplificazione propri dell’approccio
della deregulation.
Innanzitutto la conferma dell’esistenza di economie di scala e di densità è
stata stemperata dall’evidenziazione di punti di massimo oltre i quali si
manifestano le diseconomie.62 Da questa constatazione è derivato
direttamente un nesso tra volumi di traffico su ciascuna rotta e forma di
mercato ivi sostenibile: a seconda del numero di voli che la caratterizza, la
tratta si configura come monopolio naturale, come duopolio naturale o come
oligopolio naturale.63
Ma il risultato più rilevante della esperienza della deregulation è la
manifestazione di rilevantissime economie di integrazione64. La
riorganizzazione della rete delle grandi compagnie secondo il modello hub
62
Keeler (1991).
E’ particolarmente interessante sotto questo profilo il tentativo di Pryke (1991; p. 234)
di prevedere l’assetto del mercato europeo liberalizzato. Le sue stime, basate
sull’analisi dell’esperienza degli Stati Uniti, hanno dato il seguente risultato (tra
parentesi le quote del mercato Usa all’epoca):
- rotte monopolistiche: 48% (38%);
- rotte duopolistiche: 25% (25%);
- rotte con tre operatori: 16% (17%);
- rotte con più di tre operatori: 11% (20%).
64
Si potrebbe anche parlare di economie di scopo, considerando ciascuna rotta come un
servizio diverso prodotto dalla una compagnia aerea dotata di rete propria.
63
38
and spoke è stato infatti l’effetto più rilevante della riforma nordamericana.
Solo il presidio di grandi reti e di grandi volumi di traffico a partire da
almeno un grande aeroporto ha assicurato ad alcune grandi compagnie di
conseguire benefici rilevanti in termini di riduzione di costi e di
innalzamento dell’efficienza complessiva.65
Un’ulteriore valutazione emersa dalla esperienza della deregulation riguarda
il manifestarsi sotto forme inattese degli abusi connessi a posizioni
dominanti di natura monopolistica od oligopolistica.
L’esperienza iniziale della riforma Usa aveva confermato sia la sostanziale
accessibilità del mercato del trasporto aereo a nuovi entranti, sia la
conseguente crescita del gradiente competitivo (riduzione delle tariffe,
riarticolazione profonda delle formule tariffarie, offerta di nuovi
collegamenti, ecc.). Ma l’abbassamento del livello di concentrazione che ne
è derivato si è rivelato transitorio: proprio la riorganizzazione delle grandi
compagnie ha col tempo riproposto un assetto nazionale più concentrato di
quello precedente alla deregolamentazione e dominato da un numero ridotto
di grandi compagnie, ognuna dotata di una propria rete hub and spokes.66
La riaffermazione di un assetto oligopolistico del mercato ha riaperto la
riflessione sulla esistenza di barriere all’accesso: sia dovute alla presenza di
sunk cost precedentemente non presi in considerazione, sia generate
direttamente da comportamenti monopolistici ed oligopolistici non
tradizionali.
In effetto proprio nel nuovo assetto oligopolistico è risultato che alcuni costi
sono sostenibili solo da operatori con grandi volumi di traffico e che tali
costi hanno evidenti caratteristiche di irrecuperabilità. Tra questi vi sono in
particolare quelli per la creazione della reputazione, per la comunicazione
alla clientela, per il controllo dei sistemi di prenotazione e per la vigilanza
dei comportamenti degli agenti. Si tratta dunque di barriere di costo
connesse non più all’attività produttiva interna, ma all’attività commerciale
direttamente o indirettamente rivolta alla clientela.67
65
Il modello hub (mozzo di ruota) and spokes (raggi) si basa sul convogliamento del
traffico delle rotte minori in un aeroporto centrale da cui si dipartono i successivi
collegamenti. Per le compagnie il vantaggio economico evidente e principale di questo
modello sta nell’incremento del coefficiente medio di riempimento degli aerei,
realizzato anche con una più razionale articolazione dimensionale delle flotte.
66
E’ bene sottolineare che il livello di concentrazione dell’intero mercato è una misura
che distorce il livello di concorrenza effettiva; una migliore misura è data dal numero
medio di operatori presenti su ciascuna rotta. Anche dopo la riorganizzazione delle
grandi compagnie e la scomparsa di molti dei new entrants questo ultimo indicatore ha
mantenuto livelli comunque superiori a quelli dell’era della regolamentazione. Si veda a
questo proposito Kahn (1992).
67
Doganis (1991).
39
Nel nuovo oligopolio aereo è stato inoltre possibile rintracciare una
tendenza alla riproduzione del controllo sul mercato. Questa si è manifestata
non solo con la già citata riorganizzazione delle rotte che ha consentito alle
compagnie di beneficiare contemporaneamente delle economie di densità e
di integrazione68, ma anche con il controllo di sistemi di teleprenotazione
proprietari e con il potenziamento delle formule di fidelizzazione della
clientela (ad esempio con i programmi-premio per i frequent flyer).
Pur ritenendo che il gradiente competitivo del mercato del trasporto aereo
sia più elevato in un sistema deregolamentato che in uno regolamentato, si è
dovuto prendere atto che esso tende a configurarsi secondo un assetto
oligopolistico non completamente contendibile69, dove cioè possono
diffondersi comportamenti discriminatori ed opportunistici e generarsi
rendite a discapito dell’interesse della collettività e, in particolare, dei diretti
utilizzatori del servizio.
Ciò ha portato al centro dell’attenzione la necessità di vigorosi controlli
antitrust su un mercato deregolamentato per aumentarne la contendibilità. In
particolare - oltre alla repressione dei tradizionali comportamenti predatori
di prezzo - la letteratura ha assegnato particolare rilevanza70:
- al divieto alle fusioni quando queste diminuiscono od estinguono il
livello di contendibilità di una rotta o di un sistema di rotte. Proprio
l’esperienza statunitense ha dimostrato che la fiducia nella naturale
concorrenzialità e contendibilità del mercato è stata eccessiva: alcune
operazioni di M&A limitative del mercato non avrebbero dovuto essere
tollerate. Questa consapevolezza ispira quasi unanimemente le
valutazioni sul ruolo pubblico nel mercato europeo prossimo alla
liberalizzazione;71
68
La fortuna del modello hub and spokes deriva anche dal vincolo implicitamente
imposto al passeggero che fa scalo su un dato hub. Egli infatti tenderà a non scegliere
un’altra compagnia per il proseguimento del viaggio, per non sopportare eventuali costi
in termini di peggiori coincidenze, complicazione delle procedure di prenotazione ed
imbarco, maggior rischio di perdere il bagaglio, ecc.
69
Come spesso accade la contendibilità è massima là dove strutturalmente la concorrenza
è meno sostenibile (operazioni su singole rotte a traffico non elevato) e viceversa è
minima là dove la concorrenza potrebbe maggiormente svilupparsi (rotte a traffico
elevato e reti integrate).
70
Va detto che oltre alle azioni antitrust di seguito illustrate, vi è chi comincia ad
interrogarsi sulla necessità di controllare gli assetti hub and spokes in quanto tali,
considerandoli direttamente un’espressione di abuso di posizione dominante ed una
strategia allocativamente inefficiente (ad esempio in quanto generatrice di congestione).
Si veda in particolare Pelkmans (1991).
71
Si vedano tra gli altri Keeler (1991) e Sorensen (1991).
40
- alla repressione dei comportamenti discriminatori. Vi è crescente
consenso anche sulla necessità di limitare le azioni che ostacolano la
concorrenza, ponendo in atto obblighi alla condivisione delle risorse
proprietarie che costituiscono barriere all’accesso per i nuovi entranti e
vengono talvolta gestite in modo anticoncorrenziale: i sistemi di
teleprenotazione72, i diritti aeroportuali73, i programmi per i frequent
flyer.
Oltre alla concorrenza all’interno del mercato aereo, è con sempre maggiore
attenzione considerata anche la valenza della concorrenza determinata dalle
modalità alternative. In questo modo verrebbero ridefiniti i confini del
mercato rilevante e rimesse in discussione le sue connotazioni (livelli di
concentrazione e di contendibilità, assetti monopolistici ed oligopolistici,
posizioni dominanti e comportamenti anticoncorrenziali, ecc.). Ma
soprattutto, sempre nella logica di un’azione antitrust, dovrebbe essere
promossa la concorrenza effettivamente esercitata dalle altre modalità,
specialmente quando questa fosse limitata proprio da sistemi di protezione e
regolazione pubblica.74
Più in generale è evidente la connessione potenziale tra limitazione della
concorrenza/contendibilità e saturazione di alcune risorse cruciali (spazi
aeroportuali, aerovie, sistemi di controllo).75 Se in taluni casi alla
congestione può essere posto rimedio con l’utilizzo di tecnologie più
sofisticate o con investimenti per il potenziamento della capacità
infrastrutturale, in molti altri casi essa deve essere affrontate con adeguati
strumenti economici per la regolazione efficiente della domanda.76
72
Questo problema è meno sentito in Europa, dove coesistono due sistemi aperti
posseduti da una molteplicità di compagnie, rispetto agli Usa dove ogni grande
compagnia ha un proprio sistema chiuso.
73
In questo campo il tipico comportamento anticoncorrenziale prevede che l’incumbent
non rinunci agli slot inutilizzati proprio per impedire l’accesso dei new entrants. Si
veda a questo proposito anche il provvedimento antitrust contro il comportamento di
Alitalia a Linate (Autorità garante della concorrenza e del mercato; 1995, pp. 78-79).
74
Tipica del mercato europeo è ad esempio il mancato sviluppo - dovuto proprio al
sistema normativo - dei trasporti stradali di passeggeri sulle lunghe percorrenze, che
caratterizzano invece il mercato nordamericano.
75
Pandolfelli (1991).
76
In particolare applicando tariffe aeroportuali variabili proprio in funzione dei livelli di
congestione. Inoltre, essendo la congestione un costo esterno per il singolo operatore
aeroportuale, ma interno al sistema del trasporto aereo, i proventi delle tariffe di
razionamento potrebbero (o dovrebbero) essere destinate proprio agli investimenti per
l’aumento di capacità aeroportuale.
41
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48
PARTE IV
CAPITOLO 4.
LA REGOLAZIONE DELLA DOMANDA
Gerardo Marletto, Centro Studi Federtrasporto
4.1. Premessa: uno strumento poco applicato
Anche la regolazione della domanda è uno strumento della politica del
trasporto utile a stimolare il mercato a raggiungere una posizione di ottimo
collettivo. La regolazione della domanda nasce infatti dalla necessità di
ridurre il livello di produzione e di consumo di un servizio (la mobilità) che
riversa sulla collettività costi non contabilizzati dal sistema dei prezzi. Così
definita la regolazione della domanda si inserisce nell’assestato quadro
teorico dell’economia del benessere e dell’economia dei beni pubblici.1
E’ bene precisare che la riduzione dei livelli di mobilità può essere
realizzata sia con strumenti economici (prezzi, tariffe, tasse), sia con
strumenti amministrativi (divieti, limitazioni), sia con strumenti
concertativi2 (piani, accordi). Ma è solo nel primo caso che si realizza
un’azione economicamente efficiente: aumentando in modo visibile e diretto
il costo della mobilità rinunceranno allo spostamento i soggetti il cui viaggio
ha via-via un minor valore economico; al contrario, nel caso di vincoli alla
circolazione o di strumenti generali di pianificazione, il razionamento sarà
indiscriminato ed il costo collettivo netto sarà complessivamente maggiore.
Le azioni per la regolazione della domanda hanno costituito l’oggetto di un
dibattito pervasivo e prolungato. La discussione su temi intellettualmente
affascinanti e politicamente stimolanti quali il road pricing, il park pricing,
il transport demand management, non è certo mancata. Questi temi sono
stati infatti sviscerati sotto il profilo economico, dell’ingegneria del traffico,
dell’impatto sociale.3
Al contrario scarsa è stata la effettiva applicazione delle misure previste
dalla regolazione della domanda. In particolare le poche esperienze estere4
non hanno avuto alcun seguito in Italia. Anche i pedaggi applicati su quasi
1
2
3
4
Si vedano ad esempio Li Donni (1991) e Nash (1982).
Le azioni concertative tendono ad orientare i comportamenti dei diversi soggetti sociali
(istituzioni, associazioni datoriali e sindacali, gruppi di cittadini) attraverso
l’attivazione di schemi articolati di incentivazione. Queste iniziative si sono sviluppate
in particolare negli Stati Uniti, dando corpo alla letteratura sul Transport demand
management; in Italia l’unico tentativo significativo resta quello avviato a Modena. Si
veda in particolare Fabbri e Battilani (1994), Ferguson (1990), Fondazione Censis
(1994).
Si vedano tra gli altri gli interventi a convegni di Borgnolo (1992), Cascetta (1992),
Fiat (1989), Giordano (1992), Ponti (1992), Podestà (1994).
Per la analisi di alcune esperienze europee di road pricing si veda Cemt (1994).
tutto il nostro sistema autostradale non si configurano come strumento di
regolazione della domanda, ma costituiscono eminentemente una forma di
remunerazione dell’investimento e della gestione.
Lo scarso esito pratico del dibattito che si è sviluppato anche in Italia sul
tema della regolazione economica della domanda non è casuale; difatti gli
interventi di questa natura sono mal sopportati dai cittadini e rischiano di
avere ricadute elettorali negative per gli amministratori che le realizzano.
Ciò è particolarmente vero in Italia dove il livello di pressione fiscale
esercitato sugli automobilisti - anche se non a fini di regolazione della
domanda - è già particolarmente elevato.5
4.2. La mobilità e l’ottimo collettivo
Come già accennato la ricerca ha dedicato una specifica attenzione alla
regolazione del traffico, sviluppandone gli aspetti non di pianificazione e
gestione ingegneristica dei flussi, ma di valutazione ed ottimizzazione dei
costi e benefici connessi.
In questo quadro essa ha evidenziato lo squilibrio tra i costi generati ed i
prezzi sopportati dai consumatori dei servizi di trasporto. In particolare si è
concentrata sul sistema degli spostamenti automobilistici individuali, dove
ha rilevato: da un lato, la crescita dei costi esterni determinati dalla
saturazione delle infrastrutture e, dall’altro, l’assenza generalizzata di un
sistema di prezzi di congestione e di razionamento della domanda
individuale di accesso al sistema stradale (in particolare nelle grandi città e
nelle loro principali direttrici di accesso). Sono stati così sottolineati
l’allontanamento dal punto di ottima allocazione delle risorse ed il
sovraconsumo di mobilità, dovuto appunto alla esistenza di costi non
sopportati direttamente dai singoli utenti.
A partire da queste considerazioni la regolazione della domanda si è
configurata nella applicazione di una tariffa che carichi sugli utenti i costi di
congestione e riporti l’equilibrio ad un livello inferiore di mobilità. Come
già evidenziato, la quota di domanda “tagliata” dall’aumento del prezzo è
ovviamente quella del tratto finale della curva di domanda, cioè quella con
la minor disponibilità a pagare.
5
La tassazione generalizzata del consumo di carburanti non può essere considerata una
forma efficiente di regolazione economica della domanda. Il numero di chilometri
percorsi è infatti solo uno dei fattori che determinano i costi esterni della mobilità. In
realtà l’imposta sui carburanti potrebbe coprire i costi medi della circolazione, mentre
ai pedaggi autostradali ed urbani dovrebbe essere assegnato il compito di coprire le
punte di costo connesse alla congestione (Cemt; 1994, pp. 15-21).
2
E’ evidente dunque che la regolazione della domanda non è tanto un sistema
per ridurre la congestione, ma per attribuirne i costi a chi li ha generati;6 il
che è tanto più vero quanto più è rigida la domanda di mobilità e quanto
meno è elevata l’elasticità incrociata tra trasporto individuale e trasporto
pubblico. Tutto ciò non toglie che le risorse generate possano essere
destinate proprio a finanziare gli interventi per il decongestionamento delle
reti e dei servizi di trasporto.
Dalla destinazione dei proventi del road pricing a finalità attinenti al
sistema della mobilità deriverebbero inoltre due vantaggi: potrebbero essere
finanziate le misure complementari utili alla riuscita dell’intervento (e,
innanzitutto, la gestione dei sistemi di esazione delle tariffe) e si
garantirebbe che la tariffazione dei costi di congestione vada a compensare
proprio chi quei costi sopporta (riducendo così anche l’opposizione alla
realizzazione di questo tipo di misure).7
L’introduzione di forme di road pricing - così come ogni altro intervento
diretto nel sistema dei prezzi - determina inoltre un effetto redistributivo,
anch’esso preso in esame dalle analisi sulla materia. E’ infatti evidente che
anche il reddito - oltre al valore intrinseco dello spostamento - incide sulla
disponibilità a pagare per la mobilità: di conseguenza la regolazione della
domanda penalizzerebbe le fasce meno avvantaggiate della popolazione.
Allo stesso tempo è presente nella larga parte degli studi sull’argomento la
possibilità di attenuare gli effetti di redistribuzione perversa attraverso
accorgimenti operativi. Ad esempio:
- destinando le risorse generate dal pricing della mobilità proprio al
finanziamento di infrastrutture e di servizi a favore delle fasce sociali più
deboli;
- impostando la gestione del pricing in modo che sia articolata la
possibilità di scegliere tra prezzo e disagio.8
6
7
8
La riduzione della congestione potrebbe infatti realizzarsi anche con forme di
intervento diverse dalla tariffazione della mobilità: la creazione di nuova capacità
infrastrutturale, l’indirizzamento in tempo reale del traffico con adeguate
strumentazioni tecnologiche, la pianificazione coerente delle funzioni urbane e dell’uso
del territorio. Si vedano a questo proposito le conclusioni in Cemt (1994).
Si può sostenere che buona parte dei costi di congestione sono esterni al singolo
automobilista, ma interni alla “comunità” degli automobilisti (con l’esclusione degli
incrementi di inquinamento dovuti proprio alla congestione). Su questo punto insiste in
particolar modo Ponti (1994a).
Ad esempio differenziando il road pricing in funzione delle fasce orarie e della
scorrevolezza delle strade, oppure differenziando il park pricing in funzione della
distanza del parcheggio dal centro.
3
Sempre restando nell’ambito delle questioni distributive va tenuto presente
che non vi è necessariamente coincidenza tra l’autorità di esazione della
tariffa (usualmente il comune dell’area urbana interessata) e l’insieme dei
pagatori della tariffa (che comprende infatti i pendolari provenienti da altre
aree). Ciò pone un evidente problema di gestione amministrativa e di
consenso sociale nel caso di “restituzione” alla collettività dei proventi del
road pricing.9
Per completare il quadro teorico sulla regolazione della domanda va
evidenziato il suo legame con la regolazione dell’offerta di trasporto.
Talvolta l’intervento pubblico nel mercato del trasporto è teso a incentivare
l’offerta di servizi con minori esternalità negative attraverso l’attribuzione di
sussidi alle aziende che li producono. Nella comparazione tra modalità è
evidente che la valutazione economica non muta, ad esempio, se è il prezzo
della mobilità stradale ad aumentare in virtù del road pricing, ovvero se è
quello della mobilità ferroviaria a diminuire in virtù degli aiuti pubblici. Ciò
non toglie che restino alcuni effetti negativi nella sussidiazione delle
modalità che producono meno esternalità negative, che rendono preferibile
la tariffazione di quelle che ne producono di più.
Innanzitutto la combinazione tra sussidio delle modalità “positive” e
underpricing di quelle “negative” si traduce in una riduzione generalizzata
del costo del trasporto che, a sua volta, determina una cattiva allocazione
delle risorse e produce di conseguenza modelli insediativi - residenziali e
produttivi - in cui il contenuto di trasporto è maggiore del livello di ottimo
collettivo. In questo senso la internalizzazione dei costi esterni consente
inoltre di programmare gli investimenti infrastrutturali sulla base della
valutazione delle tendenze non distorte della domanda.
In secondo luogo, proprio le teorie della deregulation e della regolazione
concorrenziale, hanno evidenziato che gli interventi di sussidiazione hanno
effetti perversi sull’efficienza dei regolati e sulla qualità dei servizi da essi
prodotti.
La regolazione della domanda sarebbe dunque da preferire perchè
consentirebbe di ridurre i livelli di inefficienza sia allocativa che
produttiva.10
4.3. L’operatività: verso il park pricing ?
9
Il problema della “comunità tariffaria” da prendere a riferimento è sollevato in
particolare in Agens (1993).
10
Il tema è analiticamente trattato in Ponti (1994b)
4
Come già sottolineato il road pricing è lo strumento di regolazione della
domanda che meglio di altri consente di ridurre la congestione
internalizzandone i costi e riducendo così la domanda del bene scarso
“infrastrutture scorrevoli”. Le tecnologie disponibili rendono infatti oramai
possibile tenere conto delle caratteristiche dello spostamento rilevanti ai fini
del suo impatto economico complessivo: lunghezza del viaggio, fascia
oraria dello spostamento, tempo di percorrenza, aree attraversate, percorso
seguito, veicolo utilizzato.11 Esse inoltre consentono di rendere automatica
l’applicazione della tariffa e di far percepire in tempo reale al singolo
automobilista l’ammontare del costo sopportato.12
Per produrre completamente i suoi effetti positivi il road pricing dovrebbe
però essere applicato a tutto il sistema stradale (a partire dalle tratte a prezzo
nullo). Al contrario, le poche esperienze operative sviluppate nel mondo
hanno previsto la tariffazione di aree urbane limitate e di alcune tratte del
sistema viario di accesso. Ciò ha di conseguenza ridotto le potenzialità di
regolazione efficace della domanda ed ha dato luogo ad alcuni effetti di
“travaso”, negativi sotto il profilo sia economico che della pianificazione
della mobilità. L’applicazione limitata del road pricing può infatti provocare
la congestione al confine delle aree e delle fasce orarie coperte dal sistema di
tariffazione e può implicitamente incentivare il ricorso a percorsi alternativi
più lunghi.
Diversi sono dunque i fattori che condizionano la completa attuazione del
road pricing: la definizione della sua stessa architettura di funzionamento
(livello delle tariffe, loro modulazione oraria, delimitazione ad area o a
cordone), le caratteristiche del sistema di mobilità (rete viaria, trasporti
alternativi a quello stradale, politiche della sosta), caratteristiche strutturali
della domanda (determinanti dello spostamento, profili O-D, caratteristiche
socioeconomiche dei singoli). Non ultimo, il costo di costruzione e di
gestione del sistema di esazione è anch’esso un fattore che ne ostacola la
applicazione.
Inoltre l’accettabilità sociale del road pricing si verificherebbe solo a fronte
di livelli elevati di congestione ed inquinamento e contestualmente al suo
inserimento in un piano articolato di interventi per la mobilità, centrato in
particolare sul potenziamento dei parcheggi e delle forme di trasporto
collettivo.
11
Una matrice che incrocia le caratteristiche dello spostamento ed i suoi costi marginali
esterni e ricostruita in Verhoef et al. (1993).
12
La scelta tra le modalità di esazione della tariffa in relazione alle diverse finalità del
road pricing è sintetizzata con efficacia in Cemt (1993; pp. 83-84). Lo stesso testo
verifica che nel caso di regolazione della congestione, la tariffazione preferibile è
quella in tempo reale con segnalazione all’interno dell’autovettura del costo sopportato.
5
Dubbi vi sono infine anche sul livello tariffario necessario per determinare
effetti significativi sulla domanda individuale; la soglia da raggiungere
sarebbe infatti tale da rendere ingestibile l’intero sistema in termini di
consenso.
L’insieme dei fattori che incidono negativamente sulla realizzabilità
tecnologica, economica e sociale del road pricing hanno spinto studiosi ed
amministratori ha ricercare forme di tariffazione della congestione meno
efficienti, ma più applicabili.13
In particolare l’attenzione si è concentrata sui meccanismi di park pricing.
Esso offre infatti il vantaggio di essere più facilmente gestibile, sia sotto il
profilo tecnico che sociale; al contempo però, come già sottolineato, esso è
meno efficiente proprio come strumento di regolazione economica della
domanda.14 Il park pricing infatti riduce il totale degli spostamenti e non li
raziona sulla base del loro valore. In particolare, in esso è implicita una
cross subsidisation a vantaggio degli spostamenti a maggior impatto (più
lunghi, con veicoli più inquinanti, di solo attraversamento, ecc.) ed a
discapito di quelli a minor impatto.15
Più in generale - e senza dover entrare nel dettaglio dei suoi effetti
distorsivi- il limite generale del park pricing deriva dal suo essere un
regolatore efficiente dell’uso del bene scarso “parcheggio” e non del bene
scarso “strada”.
Un approccio pragmatico alla regolazione della domanda può però
consentire di attuare forme di park pricing che ne sfruttino al massimo le
potenzialità. In particolare l’efficacia dello strumento incrementa se la tariffa
è articolata in funzione della collocazione del parcheggio e, soprattutto, della
sua distanza dai centri di gravitazione del traffico. L’efficacia aumenta
ulteriormente se il prezzo è differenziato per fasce orarie e se sono previsti
spazi e tariffe ad hoc per categorie di automobilisti con curve di domanda
profondamente diverse da quelle dei pendolari. Con queste specificazioni
l’impatto del park pricing sui costi esterni della mobilità - e in particolare
sui costi della congestione - è molto prossimo a quello dei sistemi di road
pricing.
13
Tutte queste considerazioni non tolgono che in Italia sarebbe auspicabile - come
evidenzia Ponti (1994b) - che i pedaggi autostradali venissero trasformati in tariffe di
efficienza attraverso la loro rimodulazione territoriale ed oraria.
14
Un inquadramento teorico formalizzato del park pricing può essere trovato in Verhoef
et al. (1993).
15
Il park pricing ha inoltre effetti negativi proprio sulla congestione del traffico,
incentivando comportamenti elusivi quali la mobilità di accompagnamento e la “sosta
mobile”; Fabbri e Battilani (1994).
6
Infine il park pricing può essere gestito come passaggio propedeutico - più
tollerabile anche perchè tariffazioni della sosta esistono già ovunque - per
un’accettazione sociale più agevole di forme successive e più rigorose di
road pricing vero e proprio.
7
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