La tutela dell`utilizzatore nel contratto di leasing finanziario
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La tutela dell`utilizzatore nel contratto di leasing finanziario
Giurisprudenza I singoli contratti Leasing La tutela dell’utilizzatore nel contratto di leasing finanziario Cassazione Civile, SS.UU., 5 ottobre 2015, n. 19785 - Pres. Rovelli - Est. Spirito - Sertra S.r.l. (già Spinelli & Rampazzo S.r.l.) c. Car Diesel S.p.a. Tra il contratto di leasing finanziario, concluso tra concedente e utilizzatore, e quello di fornitura, concluso tra concedente e fornitore allo scopo (noto a quest’ultimo) di soddisfare l’interesse dell’utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa, si verifica un’ipotesi di collegamento negoziale (nella pur persistente individualità propria di ciascun tipo negoziale) in forza del quale l’utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all’adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto. Invece, in mancanza di un’espressa previsione normativa al riguardo, l’utilizzatore può esercitare l’azione di risoluzione (o di riduzione del prezzo) del contratto di vendita tra il fornitore e il concedente (cui esso è estraneo) solamente in presenza di specifica clausola contrattuale con la quale gli venga dal concedente trasferita la propria posizione sostanziale. Il relativo accertamento, trattandosi di questione concernente non la legitimatio ad causam bensì la titolarità attiva del rapporto, è rimesso al giudice del merito in relazione al singolo caso concreto. In tema di vizi della cosa concessa in locazione finanziaria che la rendano inidonea all’uso, occorre distinguere l’ipotesi in cui gli stessi siano emersi prima della consegna (rifiutata dall’utilizzatore) da quella in cui siano emersi successivamente alla stessa perché nascosti o taciuti in mala fede dal fornitore. Il primo caso va assimilato a quello della mancata consegna, con la conseguenza che il concedente, in forza del principio di buona fede, una volta informato della rifiutata consegna, ha il dovere di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore e, ricorrendone i presupposti, di agire verso quest’ultimo per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo. Nel secondo caso, l’utilizzatore ha azione diretta verso il fornitore per l’eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa, mentre il concedente, una volta informato, ha i medesimi doveri di cui al precedente caso, In ogni ipotesi, l’utilizzatore può agire contro il fornitore per il risarcimento dei danni, compresa la restituzione della somma corrispondente ai canoni già eventualmente pagati al concedente. ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI Conforme Cass. 30 giugno 1998, n. 6412; Cass. 2 ottobre 1998, n. 9785; Cass. 2 novembre 1998, n. 10926; Cass. 27 luglio 2006, n. 17145; Cass. 16 novembre 2007, n. 23794; Cass. 12 gennaio 2011, n. 534; Cass. 30 aprile 2014, n. 9417. Relativamente all’applicazione del canone di buona fede nell’esecuzione del contratto per delineare i comportamenti di concedente e utilizzatore Cass. 6 giugno 2002, n. 8222; Cass. 29 aprile 2004, n. 8218. Difforme Cass. 30 maggio 1995, n. 6076; Cass. 11 luglio 1995, n. 7595; Cass. 16 maggio 1997, n. 4367; Cass. 26 gennaio 2000, n. 854; Cass. 12 marzo 2004, n. 5125; Cass. 15 ottobre 2010, n. 21332. La Corte (omissis) Fatto e Diritto 1 - Il processo. La Spinelli & Rampazzo s.r.l. citò in giudizio la Car Diesel s.p.a., chiedendo la risoluzione, per inadempimento di quest’ultima, del contratto di fornitura di un autocarro collegato ad un contratto di leasing stipulato con Austria Finanza s.p.a.; autocarro poi risultato privo di una qualità essenziale, in quanto strutturalmente inidoneo ad ottenere l’autorizzazione ADR e la conseguente omologazione da parte del Ministero dei Trasporti. Chiese, altresì, la condanna della società convenuta al risarcimento dei danni o, quantomeno, alla riduzione del prezzo di compravendita. 224 Nella costituzione in giudizio di Car Diesel s.p.a. e previa riunione di questa causa ad altra da quest’ultima introdotta nei confronti della Marciar s.n.c. di Cordioli E. & C., alla quale era stato dato incarico di allestire ed adeguare l’autocarro in vista dell’ottenimento della suddetta autorizzazione ministeriale, intervenne là sentenza con la quale il tribunale di Verona: dichiarò la risoluzione del contratto di fornitura per fatto e colpa della venditrice Car Diesel s.p.a.; condannò quest’ultima alla restituzione di quanto percepito nella vendita; respinse la domanda risarcitoria. Interposto gravame da parte della Car Diesel s.p.a., la corte di appello di Venezia, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarò la carenza di legittimazione attiva della Spinelli & i Contratti 3/2016 Giurisprudenza I singoli contratti Rampazzo s.r.l., con conseguente rigetto di tutte le domande da questa proposte. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione Sertra s.r.l. (già Spinelli & Rampazzo s.r.l.) sulla base di un unico motivo. Resiste con controricorso la Car Diesel s.p.a. Sertra ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. Nessuna attività difensiva è stata svolta dalla Marciar s.n.c. La terza sezione civile di questa Corte, ritenuto che la causa pone una questione di massima di particolare importanza, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite. Il Primo Presidente ha così disposto. 2- Il motivo di ricorso. Con l’unico motivo di ricorso Sertra s.r.l. deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 1705 c.c., e delle disposizioni che presiedono all’interpretazione dei negozi giuridici ex art. 1362 c.p.c. e segg. La corte di appello avrebbe erroneamente affermato la carenza della sua legittimazione attiva alla risoluzione della vendita sull’erroneo presupposto che l’esercizio diretto dell’azione contrattuale da parte dell’utilizzatore del bene in leasing nei confronti del fornitore, non derivando da una previsione generale di legge, sia ammissibile solo in presenza di specifica clausola contrattuale, nella specie inesistente. A corredo del motivo viene formulato, ex art. 366 bis c.p.c. (qui applicabile ratione temporis), il seguente quesito di diritto: “se vi è stata violazione e falsa applicazione dell’art. 1705 c.c., e dei criteri che presiedono all’interpretazione dei negozi giuridici in virtù dei quali nel contratto di locazione finanziaria all’utilizzatore è riconosciuta, quale effetto naturale connaturato all’operazione di locazione finanziaria stessa, una tutela diretta verso il fornitore per i vizi della cosa anche in assenza di specifiche clausole contrattuali, avendo ritenuto nel caso di specie la corte di appello di Venezia, nonostante la pacifica e documentata sussistenza della locazione finanziaria, il difetto di legittimazione attiva dell’utilizzatore, sul presupposto che la stessa dovesse avere la propria fonte in un patto contrattuale non rinvenuto agli atti del giudizio; dovendosi invece dichiarare sussistente la legittimazione attiva dell’odierna ricorrente quale utilizzatore nel contratto di locazione finanziaria intercorrente con la Car Diesel, con ogni conseguenza di legge”. 3 -L’ordinanza di rimessione. Con ordinanza interlocutoria del 4 agosto 2014, n. 17597, la Terza Sezione Civile di questa Corte ha chiesto l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite in ordine alla questione di massima di particolare importanza, concernente - con riguardo ai presupposti sostanziali e processuali di applicazione dell’art. 1705 c.c., comma 2, alla locazione finanziaria - le azioni direttamente proponibili dall’utilizzatore nei confronti del venditore e, segnatamente, quella di risoluzione della vendita per inadempimento di quest’ultimo. Ha osservato il collegio che tale questione non può prescindere dalla considerazione della natura e della struttura del contratto di locazione finanziaria. i Contratti 3/2016 In particolare, sotto il profilo della causa contrattuale, viene evidenziato che il conseguimento del bene nella disponibilità dell’utilizzatore è reso possibile dall’intervento del concedente; il quale, peraltro, esaurisce il proprio ruolo nel fornire il supporto finanziario necessario all’acquisto, restando sostanzialmente indifferente allo svolgimento della relazione materiale con il bene, sebbene ne sia divenuto formalmente proprietario. Ed, infatti, il concedente: non intrattiene rapporti con il fornitore diversi da quelli necessari a formalizzare l’acquisto, nemmeno nella fase della trattativa (occupandosi direttamente l’utilizzatore della scelta del bene da acquistare); non assume i rischi riconducibili a vario titolo al rapporto con la cosa (deterioramento, sottrazione, perimento, vizi, difetti funzionali, inidoneità all’uso previsto, mancata o incompleta consegna). Insomma, il concedente sostiene finanziariamente un’operazione che è definita da soggetti diversi nei suoi aspetti essenziali. Sotto il profilo della struttura del contratto, poi, l’ordinanza ritiene ormai superata la ricostruzione del leasing in termini di contratto unitario plurilaterale, preferendo dottrina e giurisprudenza fare riferimento alla figura del collegamento negoziale tra compravendita e locazione finanziaria. Tale ricostruzione, che non mette in discussione la causa unitaria dell’operazione economica, condurrebbe ad ammettere l’azione diretta dell’utilizzatore nei confronti del fornitore, seppure in presenza di alcuni presupposti e limiti, non sempre univocamente determinati, riconducibili al mandato senza rappresentanza di cui all’art. 1705 c.c., comma 2, laddove l’utilizzatore assume la veste di mandante, il concedente quella di mandatario (compiendo un’attività giuridica per conto dell’utilizzatore senza spenderne il nome) ed il fornitore quella del terzo. Sostiene, pertanto, l’ordinanza che: a) l’operazione economica che interviene tra concedente, utilizzatore e fornitore non da luogo ad un contratto plurilaterale, ma ad un collegamento negoziale tra un contratto di compravendita ed un contratto di locazione finanziaria, per effetto del quale l’utilizzatore è legittimato ad esercitare in nome proprio le azioni scaturenti dal contratto di fornitura. Con la conseguenza che la clausola derogativa della competenza, contenuta nel contratto di vendita ed espressamente approvata per iscritto dalle parti di quel contratto, deve ritenersi operante anche nei confronti dell’utilizzatore, in quanto clausola di trasferimento, facente parte del contratto dal quale l’utilizzatore deriva il suo potere di azione; b) “in caso di leasing finanziario - atteso che con la conclusione del contratto di fornitura viene a realizzarsi nei confronti del terzo contraente quella stessa scissione di posizioni che sì ha per i contratti conclusi dal mandatario senza rappresentanza (sicché ai sensi dell’art. 1705 c.c., comma 2, il mandante ha diritto di far propri di fronte ai terzi in via diretta e non in via surrogatoria i diritti di credito sorti in testa al mandatario, assumendo l’esecuzione dell’affare, a condizione che egli non pregiudichi i diritti spettanti al mandatario in base al 225 Giurisprudenza I singoli contratti contratto concluso, potendo il mandante peraltro esercitare in confronto del terzo le azioni derivanti dal contratto stipulato dal mandatario volte ad ottenerne l’adempimento od il risarcimento del danno in caso di inadempimento) - l’utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all’adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto” (in questo senso Cass. 27 luglio 2006, n. 17145), nonché ancora all’accertamento dell’esatto corrispettivo spettante al fornitore; c) l’utilizzatore non è, invece, normalmente legittimato all’azione di risoluzione del contratto di vendita tra il fornitore e la società di leasing, salva la presenza di una specifica clausola contrattuale che trasferisca in capo all’utilizzatore la posizione sostanziale spettante al concedente. Legittimazione, peraltro, riconosciuta da alcune sentenze, le quali, facendosi carico del pregiudizio che la risoluzione del contratto di vendita potrebbe arrecare al concedente, configurano, a tutela di quest’ultimo e a garanzia della utilità della sentenza medesima, una fattispecie di litisconsorzio necessario che ne permetta la partecipazione al giudizio; litisconsorzio esteso anche all’azione di riduzione del prezzo della fornitura. L’ordinanza interlocutoria richiama, poi, la L. 14 luglio 1993, n. 259, di ratifica ed esecuzione della Convenzione Unidroit sul leasing finanziario internazionale stipulata ad Ottawa il 28 maggio 1988. L’art. 10, della menzionata legge - non applicabile nel caso all’esame della Corte ma pur sempre utile a fini interpretativi - stabilisce che gli obblighi del fornitore derivanti dal contratto di fornitura possono essere fatti valere anche dall’utilizzatore, pur non essendo quest’ultimo parte del contratto, anche se per l’annullamento o per la risoluzione del contratto di fornitura occorre in ogni caso il consenso del concedente. Il tutto, peraltro, nel quadro di una disciplina informata ad una maggiore tutela dell’utilizzatore nei confronti del concedente, laddove per il diritto interno è preclusa la possibilità di ottenere la risoluzione del contratto di leasing per questioni inerenti alla cosa, nonché la possibilità di far valere nei confronti del concedente l’inadempimento del fornitore. Si afferma, altresì, che qualsiasi soluzione interpretativa non può prescindere dalle conclusioni raggiunte da Sez. U, 8 ottobre 2008, n. 24772, secondo la quale “l’espressione diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato (art. 1705 c.c., comma 2), che accorda al mandante pretese dirette nei confronti del terzo contraente, va circoscritta ali ‘esercizio dei diritti sostanziali acquistati dal mandatario, rimanendo escluse le azioni poste a loro tutela (annullamento, risoluzione, rescissione, risarcimento del danno)”. Si tratta, beninteso, di una decisione non emessa in materia di leasing ma di portata generale, affrontandosi tutti gli aspetti della legittimazione sostitutiva del mandante, così come desumibili dall’art. 1705 c.c., comma 2, norma ritenuta ormai costituente “Il passaggio obbligato comunemente invocato per normativamente giustificare e definire, anche nella locazione finanziaria, le azioni contrattuali esperibili in via diretta dall’utilizzatore”. 226 Il collegio della terza sezione, peraltro, dubita che il decisum di Sez. U, n. 24772/2008, con riferimento all’attribuzione al mandante dei diritti ma non delle azioni, possa essere trasposto sic et simpliciter in materia di leasing in quanto significherebbe negare la peculiarità di tale istituto e la stessa sua perfetta sussumibilità sotto la disciplina del mandato senza rappresentanza. Ed, invero: a) con riferimento all’art. 1705 c.c., comma 2, l’utilizzatore, a differenza del mandante, ha un rapporto diretto con il fornitore (terzo nel rapporto di mandato), gestendo in prima persona, fin dall’inizio, il rapporto di fornitura e stabilendone discrezionalmente le condizioni; b) con riferimento all’art. 1706 c.c., il regime degli acquisti del mandatario poco o nulla si attaglia alla locazione finanziaria, nella quale il passaggio delle cose alla proprietà del mandante non avviene (se avviene) per rivendica (cose mobili) o per obbligo di ritrasferimento (immobili e mobili registrati), ma per esercizio del riscatto; c) la ratio ispiratrice di Sez. U, n. 24772/2008 è volta alla tutela del terzo: “ciò che osta all’accoglimento della tesi ammissiva della legittimazione diretta da parte del soggetto, il mandante, che pure ha acquisito i diritti negoziali e ne può fruire in guanto titolare sostanziale, è la preclusione a configurare nella specie in pregiudizio del terzo ed in violazione dell’articolo 1406 del codice civile - una cessione al mandante dell’intera posizione contrattuale formalmente costituitasi in capo al mandatario (...) senza consenso del contraente ceduto. Orbene, si tratta di un ostacolo che, nella locazione finanziaria, non sembra abbia ragione di esistere; dal momento che in essa il rapporto (ancorché non unitario) viene purtuttavia ad instaurarsi ed a svolgersi nella piena consapevolezza e volontà di tutti e tre i contraenti; certamente incluso il venditore. Sicché non vi sarebbe motivo di parlare di cessione contrattuale senza consenso del contraente ceduto, ma soltanto di esposizione del terzo (anche senza una specifica previsione pattizia) ad una legittimazione non soltanto non aliena, ma addirittura coessenziale al contratto da lui stipulato”. L’ordinanza di rimessione osserva, altresì, che Sez. Un., n. 24772/2008 non stabiliscono una regola assoluta, ma un semplice rapporto regola - eccezione, ragion per cui sarebbe sempre possibile far rientrare il leasing tra le ipotesi in cui la legge riconosce eccezionalmente all’utilizzatore - mandante la legittimazione sostanziale e processuale. Tuttavia, resterebbe il problema di stabilire quali sono le azioni che spettano all’utilizzatore e, segnatamente, se gli spetta l’azione di risoluzione, che potrebbe essere pregiudizievole per il mandatario-concedente. In realtà, sembra necessario al collegio della terza sezione contemperare, quale naturale conseguenza del collegamento negoziale, le diverse esigenze di tutela del concedente e dell’utilizzatore, pressappoco come avvenuto nel caso limitrofo del collegamento negoziale tra compravendita e mutuo di scopo, in cui è stato riconosciuto che, in caso di risoluzione del contratto di vendita per fatto imputabile al venditore, l’obbligo di restituzione al mutuante della somma ricevuta grava sul venditore e non sul mutuatario; e ciò in relazione al venir meno, in tale evenienza, dello scopo del contratto di mutuo. Allo i Contratti 3/2016 Giurisprudenza I singoli contratti stesso modo, lo scioglimento della vendita potrebbe comportare Io scioglimento della locazione finanziaria se fosse valorizzata la funzione economica non solo finanziaria, ma anche di scambio insita nel collegamento negoziale tra contratto di fornitura e leasing. Infine, viene evidenziato che la soluzione del litisconsorzio necessario con il concedente, affermata in alcune pronunce al fine di ammettere la risoluzione ad istanza dell’utilizzatore, non è soddisfacente, perché “la sola partecipazione alla lite del concedente (quand’anche la si ritenesse necessaria) nulla sarebbe in grado di dire sui diritti contrattuali che, nel processo così soggettivamente esteso, possono trovare deduzione e riconoscimento”. In tale situazione di incertezza interpretativa, è richiesto, pertanto, un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite. 4 - La questione sottoposta alle Sezioni Unite - Premesse. La questione sottoposta alle Sezioni Unite può essere, dunque, così sintetizzata: se, in caso di leasing finanziario, l’utilizzatore sia legittimato - oltre che a far valere la pretesa all’adempimento del contratto di fornitura e al risarcimento del danno conseguentemente sofferto anche a proporre domanda di risoluzione del contratto di vendita tra il fornitore e la società di leasing, come effetto naturale del contratto di locazione finanziaria, oppure se tale legittimazione sussista solamente in presenza di specifica clausola contrattuale con la quale venga trasferita la posizione sostanziale, del concedente all’utilizzatore. Prima di procedere alla soluzione della questione occorre svolgere alcune premesse. Vanno dati per acquisiti una serie di concetti, nozioni e definizioni consolidatisi intorno al contratto del quale si discute, che, benché atipico rispetto a quelli previsti dal codice civile, ha ormai trovato, nelle sue molteplici versioni, unanime definizione dottrinaria e giurisprudenziale, nonché ripetuti riconoscimenti normativi. Va, dunque, ristretta la trattazione nei limiti del quesito posto alle Sezioni Unite e delle perplessità avanzate dall’ordinanza di rimessione rispetto ad un preponderante quadro dottrinario e giurisprudenziale che, come si vedrà in seguito (e come la stessa ordinanza ammette), non solo ha da tempo negato alla vicenda la natura di negozio plurilaterale ma, ravvisando un’ipotesi di collegamento negoziale (tra la vendita e la locazione), ha escluso che l’utilizzatore possa sperimentare verso il fornitore l’azione di risoluzione e quella di riduzione del prezzo. Altrettanto occorre premettere che, come meglio si spiegherà, la prassi mercantile ha di fatto risolto il problema attraverso la frequente stipulazione di atti ai quali partecipano le tre parti (soprattutto nel leasing immobiliare), oppure attraverso clausole contenute nel contratto di locazione con le quali il concedente trasferisce all’utilizzatore tutti i diritti e le correlate azioni che egli potrebbe sperimentare verso il fornitore. 5 - Le azioni esperibili dall’utilizzatore in ipotesi di inadempimento del fornitore - Il risalente quadro giurisprudenziale. i Contratti 3/2016 La chiave di volta della questione risiede nella configurazione strutturale del contratto del quale si discute, posto che, se lo si ravvisa come contratto unitario plurilaterale, è agevole farne discendere l’esperibilità dell’azione di risoluzione da parte dell’utilizzatore contro il fornitore, posto che quest’ultimo è considerato anch’egli parte del contratto di compravendita. Il problema si pone, invece, se l’interprete tiene ben distinti, nella vicenda, il contratto di vendita (tra fornitore/venditore e concedente/acquirente) e contratto di locazione (tra concedente/proprietario/locatore della cosa ed utilizzatore/locatario della stessa), pur riconoscendo l’indiscutibile collegamento esistente tra i due. In questa seconda ipotesi, il contratto di vendita è, per l’utilizzatore, negozio stipulato tra terzi (res inter alios acta) rispetto al quale egli non ha alcun potere d’incidenza; restando, comunque, da verificare se il riconosciuto collegamento negoziale conceda all’utilizzatore (come sostiene il ricorso in esame e pone in chiave problematica l’ordinanza interlocutoria) quel potere, compresa l’esperibilità da parte sua dell’azione di risoluzione del contratto di vendita, al quale egli non ha partecipato. Come s’è già visto in precedenza, una risalente giurisprudenza, proprio per risolvere positivamente il problema, tendeva a configurare la locazione finanziaria come un rapporto trilaterale, in cui l’acquisto ad opera del concedente va effettuato per conto dell’utilizzatore, con la previsione, quale elemento naturale del negozio, dell’esonero del primo da ogni responsabilità in ordine alle condizioni del bene acquistato per l’utilizzatore, essendo quest’ultimo a prendere contatti con il fornitore, a scegliere il bene che sarà oggetto del contratto e a stabilire le condizioni di acquisto del concedente, il quale non assume direttamente l’obbligo della consegna, né garantisce che il bene sia immune da vizi e che presenti le qualità promesse, né rimane tenuto alla garanzia per evizione (in tal senso, Cass. n. 4367/97, n. 6076/95, n. 5571/91). Così ragionando, si evitava di lasciare l’utilizzatore senza tutela, essendo comunque “abilitato ad esperire direttamente le azioni derivanti dalla compravendita del bene nei confronti del fornitore” (in questo senso si esprimeva la già citata Cass. n. 4367/97); azioni giustificate proprio dalla struttura trilaterale del rapporto e dal fatto che è l’utilizzatore (e non il concedente/proprietario, che si è limitato a finanziare l’operazione) ad avere intrattenuto rapporti diretti con il fornitore del bene oggetto del contratto. Più in particolare, Cass. n. 854/00, ponendosi appunto nell’ottica del contratto di leasing come contratto plurilaterale, osservava che, poiché la prestazione del fornitore va ritenuta essenziale nell’economia dell’affare ai sensi dell’art. 1459 c.c., non v’è possibilità da parte dell’utilizzatore di chiedere la risoluzione del contratto di fornitura per inadempimento del fornitore senza che venga coinvolto anche il concedente. Invero, “la locazione finanziaria dà luogo ad un’operazione giuridica unitaria, nella quale ognuno dei contraenti è consapevole di concludere un accordo con le altre parti interessate dall’affare; ciascun contraente assume volontaria- 227 Giurisprudenza I singoli contratti mente obblighi nei confronti delle altre due parti; il fornitore si obbliga, nei confronti del concedente, a trasferirgli la proprietà e, nei confronti dell’utilizzatore, a consegnargli il bene e a dargli le garanzie della vendita; il concedente si obbliga a pagare il prezzo del bene al fornitore e a consentirne il godimento ali ‘utilizzatore; questi a sua volta si obbliga a rimborsare al concedente con gli interessi e le spese il finanziamento ottenuto. Nascono vincoli obbligatori incrociati tra loro nei quali la prestazione del fornitore è essenziale nell’economia del contratto, perché è quella che soddisfa l’interesse di entrambe le altre, oltre che quello dello stesso fornitore a ricevere il prezzo; se essa viene meno, il contratto si scioglie rispetto a tutte le altre parti. La risoluzione del rapporto di compravendita chiesta ed ottenuta autonomamente dall’utilizzatore il quale consegua la restituzione del prezzo e il risarcimento del danno pregiudicherebbe la condizione del concedente; questi oltre ad essere privato della garanzia rappresentata dalla proprietà del bene rischierebbe anche di non ricevere i canoni essendo venuta meno con la cessazione del godimento del bene la causa della contrapposta obbligazione dell’utilizzatore di pagare i canoni”. Di qui la necessità della partecipazione al giudizio di risoluzione del concedente, che la sentenza riteneva rispondere all’esigenza avvertita anche dal legislatore, allorquando, con l’art. 10 della legge n. 259/1993, recependo la Convenzione Unidroit sul leasing internazionale, ha stabilito che l’utilizzatore, pur potendo agire direttamente nei riguardi del fornitore per l’adempimento del contratto di fornitura (comma 1), non può chiederne tuttavia la risoluzione senza il consenso del concedente (secondo comma). Questa sorta di litisconsorzio necessario nei confronti del concedente (nell’azione di risoluzione direttamente introdotta dall’utilizzatore contro il fornitore) sembrava, a siffatta giurisprudenza, un espediente capace di rimediare alla stridente anomalia dell’azione risolutiva concessa a chi non è stato parte del contratto da risolvere e che, nel suo esito positivo, necessariamente comporta la perdita in danno del concedente/proprietario/locatore non solo della proprietà (garanzia rispetto all’utilizzatore) ma anche dei canoni derivanti dalla locazione (sulla stregua di quest’orientamento si vedano anche Cass. n. 5125/04 e n. 11776/06). 6 - Segue - L’evoluzione giurisprudenziale. La tesi del contratto unitario plurilaterale è stata, però, ben presto abbandonata dalla giurisprudenza a seguito della decisa critica della dottrina, iniziandosi a ricostruire, in accordo con questa, la struttura del contratto di leasing come ipotesi di collegamento negoziale. Secondo quest’idea, l’operazione di leasing finanziario consta di due contratti collegati tra loro: quello di leasing propriamente detto e quello di fornitura. “Questo collegamento, consistente in ciò che il contratto di fornitura, nel complesso dell’operazione, ha la funzione di mezzo per l’esecuzione di quello di leasing, risulta da più indici: la struttura del procedimento di formazione negoziale, in cui intervengono in varia sequenza le tre parti; la sussunzione, a contenuto del contratto di fornitura, di elementi individuati insieme dal fornitore e dell’utilizza- 228 tore; la circostanza che i contratti, di fornitura come di leasing, esplicitino, per solito, come ragione dell’acquisto del bene da parte del concedente sia la sua concessione in godimento all’utilizzatore che lo ha scelto, sia la previsione, contenuta nel contratto di fornitura, che la consegna del bene dovrà farsi dal fornitore direttamente all’utilizzatore” (così motiva Cass. n. 10926/98 e le fanno seguito Cass. n. 15762/00, n. 5125/04, n. 19657/04, n. 6728/05, n. 20592/07). In altri termini, il leasing finanziario “realizza un’ipotesi di collegamento negoziale tra contratto di leasing e contratto di fornitura, quest’ultimo venendo dalla società di leasing concluso allo scopo, noto al fornitore, di soddisfare l’interesse del futuro utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa” (Cass. n. 17145/06). Ed il nesso di collegamento tra i due contratti viene normalmente in evidenza proprio “in virtù di clausole di interconnessione, per cui nel contratto di vendita tra fornitore e società di leasing viene convenuto che il bene oggetto del negozio sia acquistato allo scopo di cederlo in godimento al cliente della società (il quale in precedenza ha provveduto ad indicarlo specificamente) ed è previsto anche che il bene sia consegnato direttamente dal fornitore all’utilizzatore” (Cass. n. 16158/07, n. 9417/14). In quest’ordine di idee, s’è fatto ricorso alla disposizione dell’art. 1705 c.c., comma 2, (il quale attribuisce al mandante il diritto, in via diretta e non in via surrogatoria, di far propri di fronte ai terzi i diritti di credito sorti in testa al mandatario, assumendo l’esecuzione dell’affare, a condizione che egli non pregiudichi i diritti spettanti al mandatario in base al contratto concluso, potendo il mandante esercitare in confronto del terzo le azioni, derivanti dal contratto concluso dal mandatario, intese ad ottenerne l’adempimento od il risarcimento del danno in caso di inadempimento) per dedurne che l’utilizzatore ha la legittimazione a far valere le azioni intese all’adempimento del contratto di fornitura ed al risarcimento del danno da inesatto adempimento (così Cass. n. 10926/98, n. 17145/06, n. 17767/05, n. 5125/04, n. 19657/04), con esplicita o talvolta implicita esclusione dell’azione di risoluzione. Sulla base della stessa premessa normativa, si è pure aggiunto che, in assenza di diversa pattuizione, con la consegna del bene dal fornitore direttamente all’utilizzatore e la conseguente sua accettazione da parte di quest’ultimo, sorge a carico dell’utilizzatore l’obbligo di pagamento dei canoni nei confronti del concedente e non possono a lui opporsi eventuali vizi, per quanto originali, del bene locato, che devono essere fatti valere con azione di garanzia unicamente nei confronti del fornitore. Invero, costituisce elemento naturale del negozio “l’esonero dal locatore di ogni responsabilità in ordine alle condizioni del bene acquistato per l’utilizzatore, essendo quest’ultimo a prendere contatti con il fornitore, a scegliere il bene, che sarà oggetto del contratto, ed a stabilire le condizioni di acquisto per il concedente, per cui ogni vizio del bene dovrà essere fatto valere direttamente dall’utilizzatore nei confronti del fornitore, così come avviene nel caso di contratto concluso dal man- i Contratti 3/2016 Giurisprudenza I singoli contratti datario in nome proprio, ma per conto del mandante”. Con la conseguenza che “l’utilizzatore non può far valere l’eccezione di inadempimento del fornitore, per vizio del bene locato, a norma dell’art. 1460 c.c., per rifiutare le proprie prestazioni nei confronti del concedente” (Cass. n. 19657/04). Per effetto di questa evoluzione giurisprudenziale s’è, dunque, ammesso che l’utilizzatore possa agire contro il fornitore per l’adempimento o per il risarcimento, ma s’è escluso categoricamente che possa agire anche per la risoluzione, tenuto, appunto, conto che a questa conseguono necessariamente effetti sulla sfera giuridica del concedente, con la determinazione dell’obbligo di restituzione del bene e della perdita del lucro dell’operazione di finanziamento. In particolare, si è sottolineato “l’emergere a tale stregua di una lacuna in merito alla disciplina applicabile al leasing finanziario in caso di risoluzione del contratto per inadempimento e in particolare relativamente ai rimedi dallo stesso utilizzatore esperibili nei confronti del fornitore. Lacuna da risolversi invero solamente caso per caso, la possibilità di esercitarsi da parte dell’utilizzatore l’azione di risoluzione del contratto di vendita tra il fornitore e la società di leasing - cui esso è estraneo - dipendendo in realtà dalla sussistenza nel contratto di leasing di uno specifico patto al riguardo” (così, Cass. n. 17145/06 e n. 534/11). Quest’orientamento tiene a precisare (in risposta alla risalente giurisprudenza che pretendeva il litisconsorzio necessario del concedente in siffatta azione dell’utilizzatore contro il fornitore) che la questione attiene non già alla legittimazione passiva, ma alla “titolarità attiva, all’esito del previo accertamento in ordine alla previsione nel contratto di leasing di una clausola contemplante il suindicato pattizio trasferimento all’utilizzatore della posizione sostanziale originariamente propria della società di leasing acquirente”; con la conseguenza che “il relativo accertamento, soggetto ad eccezione di parte nei tempi e nei modi previsti dal codice di rito, spetta invero al giudice del merito”. Anche Cass. n. 23794/2007, che pure riconosce la legittimazione dell’utilizzatore alla domanda di accertamento dell’esatto corrispettivo, nega, benché implicitamente, la legittimazione di quest’ultimo alla domanda di risoluzione: “(...) deve - decisamente - escludersi che la domanda di accertamento (negativo) delle maggiori pretese fatte valere in via stragiudiziale dal fornitore e, quindi, in buona sostanza, di accertamento del corrispettivo in realtà spettante a quest’ultimo, possa identificarsi in una domanda di risoluzione contrattuale”. 7- La soluzione della questione. Benché siano ormai numerosi gli interventi legislativi diretti a definire ed a regolamentare la vicenda negoziale della quale si sta trattando e, dal canto suo, la giurisprudenza (non solo di legittimità) sia stata finora tesa a studiarlo in maniera unitaria e formalistica, l’istituto della locazione finanziaria si presenta, invece, nella pratica mercantile, sotto forme e strutture diverse, di volta in volta adattate a realizzare i concreti e disparati interessi degli operatori economici, tradotti in formulari i Contratti 3/2016 contrattuali che hanno soltanto alcuni punti in comune ma che, abitualmente, sono diversamente forgiati secondo le concrete esigenze in campo. È così che nella generica denominazione di leasing si vanno a ricomprendere numerosissime figure contrattuali, ognuna avente la sua peculiarità, quali (solo per citarne alcune) il leasing traslativo e quello di godimento, il leasing operativo e quello al consumo, il leasing pubblico e quello finanziario immobiliare, il lease back e la locazione finanziaria di autoveicoli, navi ed aeromobili. Il dato comune a tutti è che, alla base, esiste un’operazione di finanziamento tendente a consentire al c.d. utilizzatore il godimento di un bene (transitorio o finalizzato al definitivo acquisto del bene stesso) grazie all’apporto economico di un soggetto abilitato al credito (il c.d. concedente) il quale, con la propria risorsa finanziaria, consente all’utilizzatore di soddisfare un interesse che, diversamente, non avrebbe avuto la possibilità o l’utilità di realizzare, attraverso il pagamento di un canone che si compone, in parte, del costo del bene ed, in parte, degli interessi dovuti al finanziatore per l’anticipazione del capitale. Affiancata a questa v’è, necessariamente, un’altra operazione, quella tendente all’acquisto del bene del quale l’utilizzatore intende godere, ossia un’ordinaria compravendita stipulata tra fornitore e concedente, attraverso la quale il secondo diventa proprietario del bene che darà in locazione all’utilizzatore da lui finanziato. Proprietà che, soprattutto nel leasing traslativo (ossia quello che, come esito finale, prevede il trasferimento di proprietà dal concedente all’utilizzatore) ha la fondamentale funzione di garanzia a favore del primo, rispetto ai canoni che ha il diritto di percepire dal secondo. Nella grande normalità dei casi, è lo stesso utilizzatore/locatario a scegliere non solo il bene in tutte le sue caratteristiche, ma anche il fornitore, il quale ultimo è consapevole dei risvolti dell’operazione, ossia che la cosa viene acquistata dal concedente perché questi la dia in godimento all’utilizzatore. Non v’è dubbio, dunque, che la vicenda è trilatera, nel senso che coinvolge necessariamente tre soggetti; così come è indubbio che tra i due negozi v’è un indispensabile collegamento, siccome la fornitura è effettuata in funzione della successiva locazione del bene compravenduto e la locazione presuppone che il locatore si sia procurato il bene che darà in godimento al locatario. Tuttavia, nessuno pone in discussione che i due atti mantengano la loro sostanziale autonomia, che l’utilizzatore sia terzo rispetto al contratto di fornitura ed, a sua volta, il fornitore sia terzo rispetto al contratto di locazione; laddove, invece, il concedente è l’unico, tra i tre, ad essere parte di entrambi gli atti. In quest’ordine di idee, la sottrazione della vicenda dall’ambito del rapporto plurilaterale e la sua sussunzione in quello del contratto collegato fa sì che le parti possano gestire separatamente i distinti rapporti contrattuali, secondo le rispettive funzioni, assegnando rilevanza giuridica a quelle sole interdipendenze che realmente condizionano l’attuazione dell’operazione economica. 229 Giurisprudenza I singoli contratti D’altronde, è la stessa prassi che ha preferito la strada del contratto collegato, tenuto conto che, per un verso, il contenuto del contratto di fornitura è di estrema rilevanza per l’utilizzatore nelle parti in cui si fissano le qualità e le caratteristiche del bene, le garanzie di conformità, gli obblighi di consegna, ma che, per altro verso, una serie di altri patti contenuti nel contratto di fornitura (si pensi, ad esempio, alle clausole relative al pagamento del prezzo) non generano interdipendenza e rimangono (o possono rimanere) estranee al regolamento contrattuale tra concedente ed utilizzatore. La stessa Convenzione di Ottawa, della quale s’è già fatta menzione, descrive la vicenda economica come incorporante due distinti contratti rispettivamente richiamati nelle L. n. 259 del 1993, comma 1, lett. a) e b), pone al centro dell’operazione il concedente e lo individua in colui il quale stipula sia il contratto di fornitura, sulla base delle indicazioni dell’utilizzatore, sia il distinto contratto di leasing con l’utilizzatore, “dando a quest’ultimo il diritto di usare il bene contro pagamento dei canoni”. Peraltro, la Convenzione non parifica in radice le figure del concedente e dell’utilizzatore nei loro rapporti verso il fornitore, bensì ricorre alla tecnica dell’assimilazione, stabilendo che “Gli obblighi del fornitore in base al contratto di fornitura potranno essere fatti valere anche dall’utilizzatore come se egli fosse parte di tale contratto e come se il bene gli dovesse essere fornito direttamente” (art. 10). Così inquadrato, il contratto di leasing è un contratto meramente bilaterale stipulato tra concedente ed utilizzatore e collegato ad altro contratto bilaterale stipulato tra concedente e fornitore per l’acquisizione del bene oggetto del contratto a favore dell’utilizzatore. Nella pratica, il collegamento si realizza mediante apposite clausole previste in ciascuno dei due contratti. In particolare, nel contratto di leasing, quelle clausole: obbligano il concedente ad acquistare il bene già individuato dall’utilizzatore e descritto nello stesso contratto (anche mediante esplicito riferimento al contenuto del contratto di fornitura, che l’utilizzatore dichiara di conoscere ed approvare); cedono all’utilizzatore diritti futuri, ma determinabili perché derivanti al concedente dal contratto di fornitura; obbligano il concedente alla futura cessione di eventuali diritti nascenti da responsabilità del fornitore. Nel contratto di fornitura: configurano l’utilizzatore (che nel contratto di leasing ha assunto tutti i rischi derivanti dalla fornitura oltre che dall’utilizzo del bene oggetto del contratto) quale beneficiario delle prestazioni inerenti alla produzione e messa a disposizione del bene, in conformità con le prescrizioni contrattuali e di legge già definite nel contratto di leasing. Così pure, nella pratica questo collegamento è talvolta ancor più esaltato attraverso la partecipazione dell’utilizzatore al contratto di fornitura. Soprattutto in area di leasing immobiliare il notaio usa costituire nel contratto di compravendita la “parte venditrice” (il fornitore), la “parte acquirente” (il concedente), nonché l’altro soggetto che dichiara di intervenire nell’atto di compravendita in qualità di “utilizzatore” dell’immobile, oggetto del separato contratto di locazio- 230 ne finanziaria, ed al quale la parte venditrice, preso atto che l’acquisto viene effettuato dal concedente al solo fine di fargli utilizzare l’immobile, presta tutte le garanzie di legge, assumendo altresì nei suoi confronti le obbligazioni che - per legge o per convenzione - sono a suo carico in quanto parte venditrice. In siffatti contratti si aggiunge pure che: per la suddetta ragione, l’utilizzatore (riconosciuta la corrispondenza dell’immobile a quello da lui autonomamente prescelto ed individuato) potrà rivolgersi direttamente ed autonomamente alla parte venditrice in ogni sede per qualsivoglia reclamo o pretesa, relativi all’immobile, previa comunicazione scritta alla parte acquirente; l’utilizzatore manleva la parte acquirente da qualsiasi conseguenza derivante da vizi, difetti, irregolarità, inidoneità all’uso, mancanza delle qualità all’uso, mancanza delle qualità relativi all’immobile, agli impianti, alle pertinenze ed agli accessori dello stesso, nonché per eventuali mendacità, irregolarità od imprecisioni delle dichiarazioni rese dalla parte venditrice nell’atto (così testualmente s’esprimono le più comuni clausole inserite nei contratti di compravendita di beni immobili destinati al leasing). È proprio la presenza di siffatte clausole normalmente in uso nei moduli contrattuali che consente di configurare il contratto di fornitura alla stregua di un contratto produttivo di alcuni effetti obbligatori a favore del terzo utilizzatore, senza necessità di ipotizzare la presenza di un mandato implicito al contratto di leasing volto ad assicurare all’utilizzatore i diritti di azione riconosciuti dalla legge al mandante nel mandato senza rappresentanza (art. 1705 c.c., comma 2). In questo senso, la pratica commerciale ha elaborato soluzioni idonee a conciliare le istanze di separazione funzionale e dei rischi, così da consentire la realizzazione dell’operazione economica attraverso il coordinamento che l’unitarietà di tale operazione e l’interdipendenza tra le prestazioni naturalmente generano. Volendosi, invece, porre al cospetto di ipotesi in cui nessuna clausola contrattuale consenta all’utilizzatore la sperimentazione dell’azione risolutiva del contratto di fornitura, non può eludersi la regola base in tema di effetti del contratto, ossia quella in virtù della quale il contratto ha forza di legge tra le parti, non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge e non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge. È la regola della c.d. relatività del contratto, consacrata nell’art. 1372 c.c., in forza della quale è, in via di principio, da escludersi che, in mancanza di diverso patto o di specifica disposizione normativa, colui che non è stato parte del contratto di fornitura (l’utilizzatore) possa agire perché il contratto stesso sia risolto; incidendo in una res inter alios acta e sortendo, così, l’effetto di privare il concedente della proprietà del bene locato e, dunque, della garanzia riservatasi a fronte del pagamento dei canoni di locazione. Questa regola, in specifiche ipotesi, è stata ritenuta derogata da un collegamento negoziale in senso tecnico, che impone la considerazione unitaria della fattispecie. Collegamento in senso tecnico per il quale è necessario i Contratti 3/2016 Giurisprudenza I singoli contratti che ricorra sia un requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia un requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale (il principio è consolidato e, tra le più recenti in tal senso, cfr. Cass. n. 11974/10). Non è qui il caso di approfondire in astratto il tema del collegamento negoziale, tuttavia il quesito posto alle Sezioni Unite presuppone (nell’impostazione sia del ricorso, sia dell’ordinanza interlocutoria) che ci si interroghi se, nella specifica vicenda in trattazione, ricorra un’ipotesi di collegamento negoziale in senso tecnico, in virtù del quale la validità e l’invalidità di un contratto si rifletta sull’altro in forma di reciproca interdipendenza. Ossia produca, in estrema sintesi, gli effetti di cui al brocardo del simul stabunt simul cadent. Orbene, sul punto occorre concordare con quell’autorevole dottrina la quale osserva che, dal punto di vista economico, l’operazione di leasing è sicuramente trilaterale, nel senso che i rapporti tra fornitore, concedente ed utilizzatore costituiscono un tutto unitario. Eppure, dal punto di vista giuridico, le cose stanno diversamente, siccome ci si trova al cospetto di due contratti (quello di compravendita e quello di locazione finanziaria) che, come s’è visto in precedenza, conservano la rispettiva distinzione, pur essendo tra loro legati da un nesso che difficilmente può essere considerato di collegamento negoziale in senso tecnico. Un collegamento tale, cioè, da comportare che la patologia di un contratto comporti la patologia anche dell’altro. È pur vero che questi contratti sono legati da un nesso obiettivo (economico o teleologico), ma quel che manca, perché possa ravvisarsi il collegamento tecnico, è il nesso soggettivo, ossia l’intenzione delle parti di collegare i vari negozi in uno scopo comune. Non si può dire, infatti, che il fornitore si determini alla vendita in funzione della circostanza che il bene verrà concesso in locazione dal compratore/concedente all’utilizzatore/locatario. Al contrario, il fornitore ha il mero interesse alla vendita del suo prodotto e la causa che regge il contratto da lui stipulato con il finanziatore/concedente è quella tipica del contratto di compravendita, ossia il trasferimento del bene in cambio del prezzo. Tant’è che, nella fisiologica evoluzione dell’operazione, il fornitore, una volta consegnato il prodotto all’utilizzatore, esce di scena, essendo assolutamente disinteressato allo svolgersi dell’altra vicenda che concerne la locazione stipulata tra concedente ed utilizzatore. Le circostanze, dunque, che sia proprio l’utilizzatore a scegliere il fornitore, a trattare con lui ed a ricevere la consegna del bene e che il fornitore, a sua volta, sia consapevole che l’acquisto da parte del committente sia finalizzato alla locazione del bene in favore del terzo utilizzatore sono del tutto esterne rispetto alla struttura stessa dei i Contratti 3/2016 contratti che si vanno a stipulare e non sono capaci di mutarne la causa di ciascuna. Se è vero quanto finora osservato, è anche vero che lo stesso concedente, una volta determinatosi al finanziamento, è del tutto disinteressato rispetto alla scelta del bene e del fornitore effettuata dall’utilizzatore, posto che, qualunque essa sia, egli è garantito dalla proprietà del bene rispetto all’obbligo del pagamento del canone a carico dell’utilizzatore stesso. A conferma di quanto finora argomentato soccorre (oltre la menzionata Convenzione di Ottawa) il quadro normativo delineato dal Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (D.Lgs. n. 385 del 1993), il quale, nei contratti di credito collegati ed in ipotesi di inadempimento del fornitore, non consente all’utilizzatore/consumatore (soggetto sicuramente meritevole di maggior tutela rispetto all’imprenditore) di agire direttamente contro il fornitore per la risoluzione del contratto di fornitura, bensì gli consente di chiedere al concedente/finanziatore (dopo avere inutilmente costituito in mora il fornitore) di agire per la risoluzione del contratto di fornitura; richiesta che determina la sospensione del pagamento dei canoni (art. 125 quinquies, il quale dispone pure che la risoluzione del contratto di fornitura determina la risoluzione di diritto, senza penalità e oneri, del contratto di locazione finanziaria). Per le ragioni finora esposte deve escludersi pure che l’utilizzatore possa autonomamente esercitare contro il fornitore l’azione di riduzione del prezzo che, quale rimedio sinallagmatico, andrebbe a modificare i termini dello scambio nel rapporto tra concedente e fornitore. È per tutte queste ragioni che le SU concordano con l’orientamento giurisprudenziale (la cui più approfondita analisi va rinvenuta nella già citata Cass. n. 17145/06) dal quale possono dedursi le due seguenti considerazioni: Tra il contratto di leasing finanziario, concluso tra concedente ed utilizzatore, e quello di fornitura, concluso tra concedente e fornitore allo scopo (noto a quest’ultimo) di soddisfare l’interesse dell’utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa, si verifica un’ipotesi di collegamento negoziale (nella pur persistente individualità propria di ciascun tipo negoziale) in forza del quale l’utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all’adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto. Invece, in mancanza di un’espressa previsione normativa al riguardo, l’utilizzatore può esercitare l’azione di risoluzione (o di riduzione del prezzo) del contratto di vendita tra il fornitore ed il concedente (cui esso è estraneo) solamente in presenza di specifica clausola contrattuale con la quale gli venga dal concedente trasferita la propria posizione sostanziale. Il relativo accertamento, trattandosi di questione concernente non la legitimatio ad causam bensì la titolarità attiva del rapporto, è rimesso al giudice del merito in relazione al singolo caso concreto. 8 - La tutela dell’utilizzatore. Posto che il dibattito finora affrontato scaturisce dalla preoccupazione che l’utilizzatore, in assenza di clausole 231 Giurisprudenza I singoli contratti contrattuali che (come s’è detto) gli trasferiscano la posizione sostanziale del concedente rispetto ad ipotesi risolutive del contratto di fornitura (ipotesi che s’è verificata nella fattispecie in trattazione), rimanga sfornito di tutela, nell’inerzia del concedente, occorre affrontare anche questo tema. C’è, dunque, da chiedersi quali siano i rimedi esperibili dall’utilizzatore in ipotesi di vizi della cosa (oggetto sia del contratto del leasing, sia di quello di fornitura) in una vicenda contrattuale che, nella prassi mercantile, tende ad affermare (come s’è visto) l’esonero del concedente da responsabilità per vizi della cosa ed il corrispondente obbligo dell’utilizzatore di accertare la conformità del bene in sede di consegna (eventualmente rifiutandolo). Ciò a garanzia della separazione tra rischio finanziario e rischio operativo che sottende la vicenda economica in questione, la quale vuole che l’esecuzione del piano di ammortamento del credito sia indipendente da qualsiasi contestazione concernente la qualità e la conformità della fornitura. Ciò significa che, in forza di queste clausole, l’utilizzatore non può sospendere il pagamento dei canoni, né ottenere la risoluzione del contratto di locazione. Trattandosi di discipline speciali, deve essere decisamente escluso che alla fattispecie possa farsi estensiva applicazione delle disposizioni contenute nella Convenzione di Ottawa, sul leasing finanziario internazionale, o nel TUB, a favore dell’utilizzatore/consumatore. La giurisprudenza unanime (così come la dottrina) riconosce all’utilizzatore il diritto di agire verso il fornitore per il risarcimento del danno, nel quale sono tra l’altro compresi i canoni pagati al concedente in costanza di godimento del bene viziato. A tale ultimo riguardo la responsabilità risarcitoria può farsi risalire, in via generale, a quella da lesione del credito illecitamente commessa dal fornitore che è terzo rispetto al contratto di locazione. Ma venendo più al fondo della questione, occorre distinguere l’ipotesi in cui i vizi siano immediatamente riconoscibili dall’utilizzatore da quella in cui gli stessi si manifestino successivamente alla consegna, tenendo soprattutto conto che il canone di buona fede agisce quale strumento integrativo dei contratti (art. 1375 c.c.). In questo caso, v’è l’obbligo dell’utilizzatore di informare il concedente circa ogni questione che sia per questo rilevante, così come v’è l’obbligo a carico del concedente di solidarietà e di protezione verso l’utilizzatore, al fine di evitare che questo subisca pregiudizi. Il primo caso deve essere equiparato a quello della mancata consegna, sicché il concedente, una volta informato del fatto che l’utilizzatore, verificati i vizi che rendono la cosa inidonea all’uso, ha rifiutato la consegna, ha l’obbligo di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore, per poi esercitare, se ricorrono i presupposti di gravità dell’inadempimento, l’azione di risoluzione del contratto di fornitura, alla quale necessariamente consegue la risoluzione del contratto di leasing. Diversamente, il concedente corrisponderebbe al fornitore il pagamento di un prezzo non dovuto che, 232 come tale, non può essere posto a carico dell’utilizzatore. Il secondo caso - quello dei vizi occulti o in mala fede taciuti dal fornitore ed emersi dopo l’accettazione verbalizzata da parte dell’utilizzatore - sicuramente consente all’utilizzatore di agire direttamente contro il fornitore per l’eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa. Ma, laddove ne ricorrano i presupposti, anche in questo caso il concedente, informato dall’utilizzatore dell’emersione dei vizi, ha, in forza del canone integrativo della buona fede, il dovere giuridico (non la facoltà) di agire verso il fornitore per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo, con tutte le conseguenze giuridiche ed economiche riverberantesi sul collegato contratto di locazione. In conclusione, si può affermare il principio in ragione del quale: In tema di vizi della cosa concessa in locazione finanziaria che la rendano inidonea all’uso, occorre distinguere l’ipotesi in cui gli stessi siano emersi prima della consegna (rifiutata dall’utilizzatore) da quella in cui siano emersi successivamente alla stessa perché nascosti o taciuti in mala fede dal fornitore. Il primo caso va assimilato a quello della mancata consegna, con la conseguenza che il concedente, in forza del principio di buona fede, una volta informato della rifiutata consegna, ha il dovere di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore e, ricorrendone i presupposti, di agire verso quest’ultimo per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo. Nel secondo caso, l’utilizzatore ha azione diretta verso il fornitore per l’eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa, mentre il concedente, una volta informato, ha i medesimi doveri di cui al precedente caso. In ogni ipotesi, l’utilizzatore può agire contro il fornitore per il risarcimento dei danni, compresa la restituzione della somma corrispondente ai canoni già eventualmente pagati al concedente. 9- La causa in trattazione. Come s’è visto in precedenza, nella causa in trattazione l’utilizzatrice Spinelli & Rampazzo S.r.l. ha citato la fornitrice Car Diesel s.p.a. per la risoluzione del contratto di fornitura per mancanza nella cosa delle qualità promesse in contratto in subordine, per la riduzione del prezzo. La sentenza impugnata ha dichiarato l’attrice priva di “attiva legittimazione” ed ha così respinto le domande, ritenendo che l’eventuale esonero del proprietario/concedente da ogni responsabilità per vizi della cosa debba risultare da apposito patto, non avendo fonte normativa. La sentenza ha pure aggiunto che l’attrice non ha nemmeno prodotto in giudizio il contratto di locazione finanziaria, sì da provare l’esistenza di un menzionato patto. Così decidendo la sentenza s’è adeguata ai principi di diritto sopra enunciati, con la conseguenza che il ricorso proposto dalla Spinelli & Rampazzo deve essere respinto. La complessità della questione, che ha richiesto l’intervento delle SU, impone l’intera compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione. i Contratti 3/2016 Giurisprudenza I singoli contratti IL COMMENTO di Giovanni Di Rosa Le Sezioni Unite confermano l’orientamento maggioritario che esclude la proponibilità diretta da parte dell’utilizzatore in leasing finanziario dell’azione di risoluzione del contratto di vendita stipulato tra il concedente e il fornitore per l’inadempimento di quest’ultimo, atteso che il pur sussistente collegamento negoziale (sia pure non di tipo tecnico) tra il contratto di leasing e il contratto di vendita non consente il superamento del principio di relatività degli effetti del contratto, in mancanza di un’espressa previsione normativa al riguardo o di specifica clausola contrattuale di cessione della posizione sostanziale del concedente. Non viene peraltro smentita l’interpretazione restrittiva dell’art. 1705, comma 2, c.c. che limita gli strumenti di tutela del mandante (l’utilizzatore) nei confronti del terzo (il fornitore), inalterato il contratto concluso con il mandatario (concedente), alle sole azioni manutentive (di adempimento e risarcitorie), quantunque lo stesso richiamo all’istituto del mandato senza rappresentanza debba ritenersi, rispetto alla fattispecie in esame, non del tutto appropriato. All’applicazione della regola della buona fede in executivis risponde, invece, in ragione del reciproco dovere di collaborazione tra concedente e utilizzatore nella complessa operazione di natura preminentemente finanziaria, il diversificato regime di tutela nei confronti del fornitore in presenza di vizi del bene concesso in leasing, a seconda cioè che si tratti di vizi emersi prima o successivamente alla consegna, essendo comunque riconosciuta all’utilizzatore pretesa risarcitoria comprensiva dei canoni eventualmente già corrisposti al concedente. La questione sottoposta alle Sezioni Unite Con atto di citazione del 14 ottobre 1998 Spinelli & Rampazzo S.r.l. (utilizzatore nel contratto di leasing finanziario) domandava la risoluzione del contratto di fornitura avente ad oggetto un bene mobile registrato (un autocarro), stipulato tra Austria Finanza S.p.a. (società di leasing concedente) e Car Diesel S.p.a. (fornitore), per inadempimento di quest’ultimo, essendo il bene risultato (successivamente alla consegna) privo di una qualità essenziale che lo rendeva inidoneo all’ottenimento della prescritta e indispensabile omologazione amministrativa. Nel giudizio di primo grado il Trib. Verona con sentenza 1° luglio 2003 faceva propria la richiesta di parte attrice con consequenziale declaratoria di risoluzione del contratto di vendita per colpa e fatto del fornitore con obbligo di restituzione della somma percepita a titolo di prezzo, escludendosi tuttavia il profilo risarcitorio; i giudici d’appello di Venezia, invece, accogliendo l’interposto gravame, con sentenza 7 novembre 2007 dichiaravano la carenza di legittimazione attiva dell’utilizzatore con conseguente rigetto di tutte le domande da questi proposte. La Corte di cassazione, investita del ricorso da parte di Sertra S.r.l. (già Spinelli & Rampazzo S.r.l.), era così chiamata a pronunciarsi sull’invocata violazione e falsa applicazione dell’art. 1705 c.c. e delle disposizioni che presie- i Contratti 3/2016 dono all’interpretazione dei negozi giuridici ex artt. 1362 ss. c.c.; l’utilizzatore si doleva infatti della affermata carenza della propria legittimazione attiva alla risoluzione del contratto di compravendita, erroneamente statuita a suo avviso dai giudici di appello in quanto, mancando una previsione generale di legge, non era stata ravvisata alcuna specifica clausola contrattuale in tal senso. Ritenuto il conflitto giurisprudenziale in ordine alle azioni contrattuali direttamente esperibili dall’utilizzatore in relazione all’inadempimento del fornitore, in particolare l’azione di risoluzione della vendita per l’inadempimento di quest’ultimo, l’ordinanza interlocutoria della III Sez. della Cass. 4 agosto 2014, n. 17597 ha rimesso gli atti di causa; il Primo Presidente ne ha disposto l’assegnazione alle Sezioni Unite, a cui è stata sottoposta la dibattuta questione se, con riguardo ai presupposti sostanziali e processuali di applicazione dell’art. 1705, comma 2, c.c. al contratto di leasing finanziario, l’utilizzatore sia legittimato, oltre a far valere la pretesa all’adempimento del contratto di vendita stipulato tra il fornitore del bene e il concedente (la società di leasing) e al risarcimento del danno conseguentemente sofferto, anche a proporre domanda di risoluzione del contratto di vendita per inadempimento del fornitore. 233 Giurisprudenza I singoli contratti Il richiesto intervento chiarificatore delle Sezioni Unite si inserisce in un variegato panorama dottrinale e giurisprudenziale in merito alla posizione e ai correlativi strumenti di tutela dell’utilizzatore rispetto al godimento del bene ottenuto in leasing. La diversità delle soluzioni prospettate è peraltro espressione (e conseguenza) delle differenti ricostruzioni rispetto alle due questioni che appaiono centrali nell’analisi del contratto di leasing (del resto intimamente connesse), ossia la relativa dimensione funzionale (sotto il profilo, cioè, causale e del complessivo senso dell’operazione contrattuale) e la corrispondente articolazione strutturale (sotto il profilo, cioè, sia del ruolo dei soggetti coinvolti, con inevitabili ricadute in ordine alle relative tecniche di tutela, sia delle relazioni negoziali tra gli stessi instaurate) (1). Il dato non contestato è invece rappresentato dalla comune considerazione del contratto di leasing come mezzo alternativo (2) “ai tradizionali modelli di acquisizione della disponibilità dei beni, nella misura in cui appare tecnica negoziale diversificata sia rispetto allo schema della appropriazione (immediata o preordinata) in via esclusiva (acquisizione del diritto reale di proprietà) sia rispetto allo schema della (mera) concessione in godimento (ossia acquisizione del diritto personale di godimento)” (3); in tal senso si è appropriatamente rilevato che l’operazione in esame “si colloca in qualche punto della zona intermedia fra quei due istituti che la tradizione giuridica dell’Europa continentale - e quindi, in particolare, la nostra - individua e qualifica, rispettivamente, come locazione e come vendita a rate con riserva della proprietà” (4). Peraltro, la stessa questione sottoposta all’intervento nomofilattico deve necessariamente essere circoscritta, in quanto del resto così rappresentata nel caso di specie oggetto della controversia, all’ipotesi in cui la prassi mercantile non abbia già risolto il problema della tutela diretta dell’utilizzatore nei confronti del fornitore o attraverso la stipulazione di atti (segnatamente il contratto di vendita) a cui partecipano tutte le parti (ossia concedente, utilizzatore e fornitore) con consequenziale disciplina delle relative relazioni negoziali (5) o attraverso l’inserimento nel contratto di leasing di clausole di trasferimento da parte del concedente e a favore dell’utilizzatore di tutti i diritti e le connesse azioni spettanti al primo nei confronti del fornitore del bene (6). Per quanto concerne l’aspetto strutturale l’orientamento condiviso dalle Sezioni Unite individua nel collegamento negoziale (tuttavia di natura non tecnica) la più appropriata rappresentazione del rapporto tra i due contratti (quello di leasing stipulato tra concedente e utilizzatore e quello di vendita stipulato tra concedente e fornitore), contraddistinto dall’incontrovertibile dato logico-giuridico che la stipulazione del contratto di vendita (tra concedente e fornitore) e la correlativa fornitura del bene (ad opera dello stesso fornitore direttamente a beneficio dell’utilizzatore) sono effettuate in funzione del contratto di leasing (stipulato tra concedente e utilizzatore); la compiuta attuazione di quest’ultimo negozio risiede proprio nell’acquisita disponibilità in godimento del bene da parte (1) Si tratta di un’impostazione che è ben presente nell’ordinanza di rimessione e che è stata fatta propria anche dalle Sezioni Unite. (2) In termini di negozio legalmente atipico sotto l’aspetto della assenza di specifica disciplina, quantunque noto al legislatore come nomen iuris riassuntivo di un certo assetto di interessi (sia nella terminologia anglosassone di leasing sia in quella corrispondente alla traduzione italiana, correntemente utilizzata, di locazione finanziaria). Indicativo, in tal senso, il richiamo da ultimo contenuto nella L. 28 dicembre 2015, n. 208, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (c.d. legge di stabilità 2016), il cui art. 1, commi 76-81, menziona l’introdotto contratto di locazione finanziaria di immobile da adibire ad abitazione principale; il già variegato panorama dei possibili sottotipi del contratto in questione si è dunque arricchito di una ulteriore variante, non essendo dubbio che la specificità del bene che ne forma oggetto (rispetto agli interessi da soddisfare) recherà con sé peculiari ordini di problemi (così come è accaduto per il leasing di godimento piuttosto che traslativo, mobiliare piuttosto che immobiliare, al consumo piuttosto che strumentale all’attività di impresa e via discorrendo). (3) Di Rosa, Autonomia contrattuale e attività di impresa, To- rino, 2010, 4. (4) G. Gabrielli, Sulla funzione del leasing, in Riv. dir. civ., 1979, II, 455; similmente, in precedenza, Ferrarini, La locazione finanziaria, Milano, 1977, 14. (5) Tipico, al riguardo, il contenuto dei formulari redatti per la stipula dei contratti di compravendita di beni immobili strumentali oggetto di locazione finanziaria, per la cui consultazione può visitarsi il sito dell’Associazione italiana leasing (ASSILEA) che si giova, per tale predisposizione negoziale, del supporto professionale del Consiglio Notarile di Milano; il relativo contenuto contrattuale è infatti articolato in maniera tale da assicurare all’utilizzatore piena tutela rispetto all’inadempimento del venditore, con il connesso riconoscimento della proponibilità diretta delle azioni ex contractu. (6) Superando così, in buona sostanza, una diversa prassi (di carattere limitativo) che, invece, tende ad escludere, a fronte della riconosciuta facoltà di azione dell’utilizzatore, il possibile pregiudizio alla titolarità del diritto di proprietà del bene in capo al concedente (derivante, in ipotesi, dall’esercizio da parte dell’utilizzatore dell’azione di risoluzione per inadempimento della vendita ai danni del fornitore), per il cui riscontro possono utilmente consultarsi i materiali riportati in appendice a De Nova, Nuovi contratti2, Torino, 2000 (rist.), 323 ss. La ricostruzione della complessiva operazione nel quadro decisorio 234 i Contratti 3/2016 Giurisprudenza I singoli contratti dell’utilizzatore a fronte dell’intervenuta acquisizione in titolarità da parte del concedente (per il tramite del contratto di vendita stipulato da quest’ultimo con il fornitore). Questa stretta correlazione negoziale (una sorta di circuito necessario) si traduce nella prassi (a testimonianza e conferma della ricostruzione sopra prospettata) in una peculiare organizzazione contenutistica delle relazioni contrattuali tra i soggetti coinvolti, per il tramite di una serie di clausole che spiegano il complessivo senso (economico e giuridico) dell’operazione in esame (mettendone dunque in evidenza la particolare caratterizzazione funzionale) e consequenzialmente definiscono (anche in termini distributivi) il piano dei rischi contrattuali, con un assetto la cui validità la giurisprudenza ha tendenzialmente riconosciuto (7). Il profilo strutturale è peraltro indubbiamente correlato alla dimensione causale del contratto di leasing, essendosi già al riguardo rilevato dalla prima giurisprudenza che “sotto l’aspetto economico il leasing nasce come procedimento di finanziamento degli investimenti produttivi, fondandosi sulla considerazione di base che, ai fini della produzione industriale, determinante non è la proprietà degli impianti o dei macchinari, ma la loro disponibilità” (8). La caratterizzazione finanziaria, che giustifica l’inserimento nell’àmbito del fenomeno creditizio (9) o addirittura implica una ricostruzione propriamente creditizia (10), va tuttavia correttamente interpretata alla stregua della funzione causale che “è, in senso lato, quella di agevolare le attività di impresa, finanziando in maniera indiretta l’utilizzazione di quei beni che appaiono indispensabili ai fini di un’efficace gestione economica” (11). Ne esce così rafforzata la convinzione, già peraltro manifestata da autorevole dottrina, che il leasing è un contratto di scambio (assicurato godimento del bene da parte del concedente a fronte del pagamento dei relativi canoni da parte dell’utilizzatore), la cui pur riconosciuta funzione di finanziamento non si traduce cioè in una struttura che lo faccia rientrare Il divisato interesse del concedente alla remunerazione del capitale investito nell’acquisto del bene concesso in godimento all’utilizzatore attraverso la programmata periodica riscossione dei canoni (secondo un ben preciso piano finanziario), unitamente alla riconosciuta funzione di mera garanzia della proprietà del bene in capo al concedente e alla necessaria strumentalità del contratto di vendita rispetto al contratto di leasing, consentono di comprendere la consolidata prassi negoziale che, a sua volta, fornisce conferma, come già detto, di quanto prospettato. Si assiste così, per un verso, all’inserimento nei formulari del contratto di leasing di clausole che addossano all’utilizzatore ogni rischio inerente il bene (la cui individuazione è peraltro rimessa in via esclusiva all’utilizzatore medesimo e che il concedente si obbliga ad acquistare), sia per mancata consegna sia per consegna difettosa, o di clausole che fanno gravare sull’utilizzatore i danni provocati a terzi dal bene e la stessa perdita o il perimento del bene (13); per altro verso, rispetto al contratto di vendita, oltre all’ipotesi (non infrequente) della partecipazione dell’utilizzatore, possono facilmente riscontrarsi a favore di quest’ultimo sia clausole di trasferimento di tutte le garanzie da parte del fornitore, sia clausole di estensione della garanzia prestata dal fornitore, oppure patti (intercorrenti tra concedente e fornitore) volti ad assicurare la piena operatività (anche) a favore dell’utilizzatore di tutte le garanzie derivanti dal contratto di vendita (14). (7) Tra le tante Cass. 2 agosto 1995, n. 8464, in Foro it., 1996, I, 164; Cass. 30 giugno 1998, n. 6412, in Foro it., I, 3082. (8) Trib. Milano 15 maggio 1978, in Giur. mer., 1979, 11. (9) Il riferimento è a G. Gabrielli, Sulla funzione del leasing, cit., 455. (10) In questo senso Munari, Leasing, in Enc. dir., Aggiornamento, VI, Milano, 2002, 660. (11) Bigliazzi Geri - Breccia - Busnelli - Natoli, Diritto civile, 3, Obbligazioni e contratti, Torino, 1989, 511. (12) Si tratta della posizione di De Nova, Nuovi contratti, cit., 271 s., il quale esclude la riconducibilità al mutuo e, più in generale, ai contratti di credito; similmente Luminoso, Il lea- sing, in I contratti tipici e atipici, in Trattato Iudica-Zatti, Milano, 1996, 378; ulteriori considerazioni al riguardo in Di Rosa, Autonomia contrattuale e attività di impresa, cit., 111 ss. (13) Per converso, e specularmente, come di recente statuito da Cass. 12 gennaio 2011, n. 534, in Guida dir., n. 8/2011, 74, con nota di Piselli, La posizione deve essere maggiormente tutelata se chi usa il bene è obbligato alla manutenzione, all’utilizzatore è riconosciuta la legittimazione ad agire per il risarcimento dei danni subiti da terzi, allorché egli sia tenuto alla manutenzione ordinaria e straordinaria del bene e a lui siano stati trasferiti tutti i rischi inerenti al bene medesimo. (14) Un compiuto quadro ricostruttivo delle clausole menzionate in testo (anche in rapporto alla relativa validità rispetto i Contratti 3/2016 nei contratti di credito (12). È proprio tuttavia sulla effettiva causa dell’operazione che sembrano manifestarsi le maggiori incertezze rispetto alla rappresentazione fornita dalla decisione che qui si annota, con inevitabili riflessi sugli individuati strumenti di tutela assicurabili all’utilizzatore in caso di inadempimento del fornitore del bene. Il ravvisato collegamento negoziale non tecnico 235 Giurisprudenza I singoli contratti Da questo complessivo quadro emerge, ad avviso delle Sezioni Unite, una chiara rappresentazione della posizione giuridica dei soggetti coinvolti, ciascuno dei quali si presenta come parte di contratti autonomi e distinti, giuridicamente dipendenti solo nei limiti in cui ciò corrisponde all’effettiva volontà delle parti secondo il predisposto contenuto negoziale (e dunque in tal senso collegati) (15); a fronte, cioè, del concedente (unico ad essere parte, a diverso titolo giuridico, di entrambi i contratti, sia quello di leasing sia quello di vendita), l’utilizzatore (parte del contratto di leasing) è estraneo formalmente (ossia terzo rispetto) al contratto di vendita, così come il fornitore (parte del contratto di vendita) è estraneo formalmente (ossia è terzo rispetto) al contratto di leasing. Pertanto la ravvisata trilateralità (che connota economicamente l’intera operazione) non può certamente tradursi (sul versante della relativa configurazione giuridica), come pure in passato accaduto, in termini di contratto unitario plurilaterale (16), difettando il conseguimento dello scopo comune quale caratteristica essenziale della categoria (17). Risulta del resto escluso un collegamento in senso tecnico (o propriamente detto) tra il contratto di leasing e il contratto di vendita riconducibile alla volontà dei contraenti (non precluso, in via di principio, dalla parziale diversità delle parti coinvolte nei due contratti). Tale collegamento, in termini generali, viene ritenuto ricorrere allorché le parti articolano (sia geneticamente sia funzionalmente o geneticamente e funzionalmente) la pluralità di contratti tra di loro intercorsi in maniera tale che questi si presentino in qualche modo correlati, nel senso che, per come risulta dallo specifico intento delle parti, senza peraltro alcuna specifica previsione ad opera delle stesse, il nesso di interdipendenza tra i contratti medesimi sia tale da escludere l’autosufficienza del contratto isolato (18); viene così ravvisato il fondamento del collegamento negoziale volontario nella causa concreta (19), dunque nell’interesse (concreto) che il contratto è diretto a realizzare (20). L’esclusione del collegamento negoziale (di tipo funzionale) tra il contratto di leasing e il contratto di vendita (21) ha la propria ragion d’essere (a fronte del ravvisato nesso oggettivo) nella ritenuta insussistenza del nesso soggettivo, ossia l’intenzione delle parti di collegare i diversi contratti in uno scopo comune, con la correlativa esclusione della ordinaria conseguenza che scaturisce dalla interdipendenza (reciproca o bilaterale) dei rapporti negoziali collegati, nel senso che le vicende dell’un rapporto si ripercuotono alla ampia disamina giurisprudenziale) può rinvenirsi già in De Nova, Il contratto di leasing, Milano, 1982, 92 ss.; Id., Nuovi contratti, cit., 283 ss.; diffusamente anche R. Clarizia, I contratti nuovi. Factoring. Locazione finanziaria, in Trattato Bessone, Torino, 1999, 139 ss.; Bussani, Contratti moderni. Factoring. Franchising. Leasing, in Trattato Sacco, Torino, 2004, 335 ss.; Buonocore, La locazione finanziaria, in Trattato Cicu-Messineo-Mengoni-Schlesinger, Milano, 2008, 155 ss. (15) Il tema (centrale) della attenta indagine sull’effettiva volontà delle parti era già ben presente, nella disamina generale del fenomeno, a R. Scognamiglio, Collegamento negoziale, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, 380 s., proprio al fine di evitare “i pericoli di una eccessiva estensione a questa stregua, e in difetto di un punto di riferimento sicuro, dei confini del collegamento volontario con tutte le conseguenze già descritte” (381), in ordine cioè all’incidenza delle vicende dell’uno rispetto all’altro negozio e viceversa. (16) Al riguardo, tra le ultime decisioni confermative di tale indirizzo ricostruttivo, Cass. 26 gennaio 2000, n. 854, in Giur. it., 2000, 1136, con nota di Barbiera, Vizi della cosa concessa in leasing e diritti dell’utilizzatore. (17) In tal senso De Nova, Nuovi contratti, cit., 280, richiamando il modello codicistico del contratto plurilaterale con comunione di scopo di cui all’art. 1420 c.c. (rispetto, altresì, alle conseguenze previste dagli ulteriori artt. 1446, 1459 e 1466 c.c.); diversamente Chindemi, Leasing di autovettura non immatricolata: diritti ed obblighi delle parti, in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 441, il quale ritiene che non sussistono “impedimenti giuridici di natura sistematica ostativi alla qualificazione del leasing quale contratto plurilaterale”, ovviamente senza comunione di scopo, sul presupposto cioè che la comunione di scopo possa caratterizzare, ma non esaurire, la tipologia dei contratti plurilaterali (che possono essere, dunque, con o sen- za comunione di scopo). In merito può essere utile ricordare l’autorevole posizione di Ascarelli, Contratto plurilaterale, ora in Studi in tema di contratti, Milano, 1952, 115, il quale già rilevava che “la funzione del contratto plurilaterale (…) non si esaurisce con l’esecuzione delle obbligazioni delle parti (come avviene negli altri contratti); l’esecuzione delle obbligazioni delle parti costituisce invece la premessa per un’attività ulteriore; la realizzazione di questa costituisce la finalità del contratto, questo corrisponde in sostanza a una organizzazione delle parti in ordine allo sviluppo di un’attività ulteriore”. (18) Nella trattatistica, senza alcuna pretesa di completezza, Bigliazzi Geri - Breccia - Busnelli - Natoli, Diritto civile, 1, II, Fatti e atti giuridici, Torino, 1987, 752 ss.; Sacco, La nozione del contratto, in Sacco-De Nova, Il contratto3, I, in Trattato Sacco, Torino, 2004, 84 ss.; Carusi, La disciplina della causa, in E. Gabrielli (a cura di), I contratti in generale2, I, in Trattato Rescigno-E. Gabrielli, Torino, 2006, 639 ss.; Galgano, Trattato di diritto civile3, II, Le obbligazioni in generale. Il contratto in generale. I singoli contratti, a cura di Zorzi Galgano, Padova, 2015, 250 ss. (19) Espressamente P. Troiano, Il collegamento contrattuale volontario, Roma, 1999, 29; in giurisprudenza Cass. 27 gennaio 1997, n. 827, in Foro it., 1997, I, 1142; sulla necessità, comunque, del requisito soggettivo Cass. 11 settembre 2014, n. 19161, in questa Rivista, 2014, 1025. (20) Sulla prospettiva unificatrice della causa concreta, di recente, Cass. 31 maggio 2013, n. 13861, in questa Rivista, 2013, 692. (21) Il collegamento si considera funzionale, come rilevato da C.M. Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto2, Milano, 2000, 481 s., in quanto risulta dalla unitarietà della funzione perseguita, che ricorre quando i diversi rapporti negoziali posti in essere tendono a realizzare un fine pratico unitario. 236 i Contratti 3/2016 Giurisprudenza I singoli contratti Esclusa la configurazione strutturale dell’operazione in esame come contratto unitario plurilaterale viene meno anche la prospettata proponibilità in via diretta delle azioni ex contractu da parte dell’utilizzatore (segnatamente l’azione di risoluzione del contratto di compravendita per inadempimento del fornitore, rispetto al quale l’utilizzatore è per l’appunto terzo) (26); peraltro, l’individuato e condiviso collegamento negoziale tra il contratto di vendita e il contratto di leasing, proprio per i limiti in precedenza evidenziati, non viene (comunque) ritenuto giuridicamente idoneo dalle Sezioni Unite a consentire il riconoscimento in capo all’utilizzatore della legittimazione all’esercizio dell’azione di risoluzione del contratto di vendita tra il fornitore e il concedente, in assenza di specifiche clausole contrattuali in tal senso. In buona sostanza il non ravvisato collegamento in senso tecnico non consente di eludere, secondo quanto avvertitamente statuito, la regola base in tema di effetti del contratto ai sensi dell’art. 1372 c.c., ossia il principio della relatività del contratto, per cui “è da escludersi che, in mancanza di diverso patto o di specifica disposizione normativa, colui che è stato parte del contratto di fornitura (l’utilizzatore) possa agire perché il contratto stesso sia risolto; incidendo in una res inter alios acta e sortendo, così, l’effetto di privare il concedente della proprietà del bene locato e, dunque, della garanzia riservatasi a fronte del pagamento dei canoni di locazione” (27). In questo senso, cioè, la evidenziata rilevanza unitaria, sotto il profilo economico, dell’operazione di leasing non consente di ritenere altrettanto sotto il profilo giuridico, essendosi in presenza di due contratti (la vendita e il leasing) ciascuno dei quali conserva la rispettiva distinzione (28). Una diversa conclusione potrebbe essere consentita solo laddove il legi- (22) In tal senso Cass. 2 luglio 1981, n. 4291, in Foro it., 1982, I, 467; similmente, da ultimo, Cass. 22 marzo 2013, n. 7255, in Guida dir., n. 22/2013, 62; Cass. 10 ottobre 2014, n. 21417, in Notariato, 2014, 636. (23) Analoghe considerazioni svolgevo in Di Rosa, Autonomia contrattuale e attività di impresa, cit., 29 ss., anche rispetto alla prospettata ricostruzione dell’operazione di sale and leaseback in termini di collegamento negoziale. (24) All’interno del rilevato nesso di interdipendenza unilaterale (di tipo necessario) tra la vendita e il leasing si rileva da G. Lener, Leasing, collegamento negoziale ed azione diretta dell’utilizzatore, in Foro it., 1998, I, 3083 ss., che la caducazione della prima non comporta, alla stregua delle scelte effettuate in concreto dall’autonomia privata con la traslazione convenzionale (c.d. inversione) dei rischi in capo all’utilizzatore, il venir meno del secondo, elidendosi pertanto l’effetto primario dell’affermato collegamento negoziale. (25) Esemplificando, se il bene oggetto della vendita non venisse assicurato alla disponibilità dell’utilizzatore è del tutto evidente che si realizzerebbe un’impossibilità di attuazione del rapporto di godimento (ovviamente nella configurazione del contratto di leasing in termini di rapporto di scambio) che non potrebbe non refluire sulla vendita stessa, senza necessità tuttavia di invocare il meccanismo del collegamento negoziale. Si tratta di una soluzione già prospettata dalla giurisprudenza, segnatamente (e non isolatamente, come si vedrà) Cass. 2 novembre 1998, n. 10926, in questa Rivista, 1999, 803 e in Foro it., 1998, I, 3081, con nota di G. Lener, Leasing, collegamento negoziale, cit., che, diversamente dalle decisioni precedenti, ha ritenuto invalida la clausola del contratto di leasing che fa gravare sull’utilizzatore il rischio della mancata consegna del bene per violazione del principio di esecuzione del contratto secondo buona fede, prospettando dubbi in merito alla derogabilità all’art. 1463 c.c. rispetto all’inadempimento per mancata consegna del bene oggetto della vendita e del leasing; un rilievo similare, tuttavia più chiaro e incisivo, si deve a G. D’Amico, Buona fede in contrahendo, in Riv. dir. priv., 2003, 349 s., nt. 41, il quale osserva che la nullità della clausola in esame si giustifica non per la violazione della buona fede ma per il contrasto con l’art. 1463 c.c., considerata per l’appunto norma inderogabile; analogamente Id., Credito al consumo e principio di relatività degli effetti contrattuali (considerazioni “inattuali” su collegamento negoziale e buona fede), in questa Rivista, 2013, 719 ss. (26) L’intima relazione tra la configurazione giuridica in termini di presupposto (contratto unitario plurilaterale) e la tecnica di tutela dell’utilizzatore in termini di conseguenza (esperibilità dell’azione di risoluzione) è ben presente, ad esempio, in Cass. 26 gennaio 2000, n. 854, cit., che postula peraltro il litisconsorzio necessario del concedente, onde evitare in buona sostanza che la giuridica posizione di questi possa essere modificata (nell’ipotesi di dichiarata risoluzione del contratto di vendita) in assenza di un formale coinvolgimento nel relativo giudizio. (27) Non è tuttavia chiaro se i giudici, laddove avessero ravvisato il collegamento in senso tecnico o proprio, avrebbero ritenuto superabile la regola della relatività del contratto. (28) Il tema dei rapporti tra collegamento negoziale e principio della relatività degli effetti contrattuali è oggetto della attenta disamina di G. D’Amico, Credito al consumo e principio di relatività degli effetti contrattuali, cit., 712 ss., il quale giustamente critica (rispetto alla specifica vicenda giudiziale analizzata) l’integrale sovrapposizione tra dato economico e dato giuridico, che conduce i giudici ad affermare (in quel caso di specie) che la risoluzione del contratto di finanziamento (a seguito dell’inadempimento del contratto di vendita) legittima il mutuante a richiedere la restituzione della somma mutuata, non al mutuatario, ma direttamente (ed esclusivamente) al venditore; infatti, nonostante il non dubitabile collegamento tra il contratto di finanziamento e il contratto di acquisto del bene, il principio di relatività degli effetti contrattuali risulterebbe superato “se si ammettesse (…) che il meccanismo delle restituzio- sull’altro e viceversa, condizionandone la validità e l’efficacia (a mente del noto brocardo simul stabunt simul cadent) (22). Al riguardo, infatti, non può revocarsi in dubbio che la patologia del contratto di leasing non può certo riverberarsi sul contratto di vendita (23), anche se diversamente sembrerebbe doversi ritenere per l’ipotesi inversa (24), secondo però una tecnica di disciplina estranea al fenomeno del collegamento negoziale (25). La esclusa proponibilità da parte dell’utilizzatore dell’azione di risoluzione i Contratti 3/2016 237 Giurisprudenza I singoli contratti slatore avesse espressamente previsto una simile possibilità, derogando cioè al principio sancìto dall’art. 1372 c.c. e permettendo così all’utilizzatore, terzo rispetto al contratto di vendita stipulato dal concedente con il fornitore, di proporre azione di risoluzione per inadempimento del venditore (fornitore del bene). Né a diversa conclusione i giudici ritengono di potere giungere attraverso la soluzione interpretativa, prospettata in termini dubitativi nell’ordinanza di rimessione (e peraltro costituente oggetto del quesito formulato), che, facendo leva sulla assimilata scissione delle posizioni di concedente, utilizzatore e fornitore in maniera corrispondente a quelle (rispettivamente) di mandatario, mandante e terzo nel mandato senza rappresentanza, richiama la previsione dell’art. 1705, comma 2, c.c. a tutela dei diritti del mandante (l’utilizzatore) nei confronti del terzo (fornitore) che ha contrattato con il mandatario (il concedente) (29). Giova al riguardo preliminarmente rilevare che la stessa configurabilità di un mandato senza rappresentanza ad acquistare, ritenuto sotteso alla operazione in esame a carico del concedente, il quale si impegnerebbe per l’appunto ad acquistare il bene presso il fornitore per conto dell’utilizzatore e in nome proprio, è stata criticata in ragione del fatto che “la proprietà del bene locato resta all’impresa di leasing” (30). Certo, non può dubitarsi che la permanenza (anche eventualmente definitiva) della titolarità del bene acquistato in capo al mandatario (ossia il concedente) collide, in sé, con la funzione programmatica del contratto di mandato senza rappresentanza, destinato cioè ad assicurare attraverso il peculiare congegno effettuale previsto dal legislatore nell’art. 1706 c.c. l’acquisizione a favore del mandante, reale dominus dell’affare (e per questo dispensatore preventivo, almeno normalmente e salvo patto contrario, dei mezzi necessari per l’esecuzione del mandato ex art. 1719 c.c., ossia l’esatto opposto di quanto accade strutturalmente laddove si ricorra alla locazione finanziaria) (31); singolare appare, inoltre, il riferimento al contratto di mandato in nome proprio, essendo ordinario il relativo utilizzo (sia pure non esclusivo) per rendere ignota (e comunque giuridicamente irrilevante) al terzo contraente la presenza del mandante, a differenza di quanto accade nella complessa operazione in esame in cui, all’opposto, l’utilizzatore (presunto mandante) conosce perfettamente (anzi sceglie egli stesso) il fornitore (presunto terzo che contrae con il mandatario) e il bene oggetto della programmata acqui- ni conseguenti alla risoluzione dei contratti “collegati” possa e debba avvenire secondo le modalità or ora richiamate” (717), come del resto poi disposto a seguito della riforma degli artt. 121 ss., D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, contenente il testo unico in materia bancaria e creditizia, il cui nuovo art. 125 quinquies, comma 2 prevede (tra l’altro) che “Il finanziatore ha il diritto di ripetere detto importo nei confronti del fornitore stesso”. L’impostazione criticata è ben presente alla stessa ordinanza di rimessione che richiama, proprio rispetto alle vicende scaturenti dai rapporti tra risoluzione del contratto di vendita per inadempimento del fornitore e consequenziale scioglimento del contratto di leasing, “la fattispecie limitrofa di collegamento negoziale tra compravendita e mutuo (di scopo) finalizzato all’acquisto”. Sull’evoluzione normativa in materia, alla luce delle modifiche imposte dalla disciplina comunitaria, può utilmente consultarsi, tra i vari contributi, il volume collettaneo La nuova disciplina europea del credito al consumo. La direttiva 2008/48/Ce relativa ai contratti di credito dei consumatori e il diritto italiano, a cura di G. De Cristofaro, Torino, 2009. (29) La scissione di posizioni di cui in testo è da tempo presa in considerazione, sia pure dubitativamente quanto all’àmbito di estensione in ordine alle conseguenze ricavabili in punto di tutela del mandante (nel caso di specie l’utilizzatore); possono, al riguardo, segnalarsi Cass. 2 novembre 1998, n. 10926, cit.; Cass. 12 marzo 2004, n. 5125, in Rep. Foro it., 2004, voce Intervento in causa e litisconsorzio, 1416, n. 13; Cass. 1° ottobre 2004, n. 19657, in Banca, borsa, tit. cred., 2005, II, 611; Cass. 5 settembre 2005, n. 17767, in Giust. civ., 2006, 289; Cass. 27 luglio 2006, n. 17145, in Dir. prat. soc., n. 20/2006, 70, con nota di Gaeta, Tutela sostanziale dell’utilizzatore di “leasing” finanziario; Cass. 16 novembre 2007, n. 23794, in Dir. prat. soc., n. 24/2008, 73, con nota di Gelfi, “Leasing” finanziario e legittimazione dell’utilizzatore e in Obbl. contr., 2008, 996, con nota di Cognolato, Ancora in tema di leasing, mandato ed azione diretta dell’utilizzatore (con una parziale novità?). (30) Buonocore, Leasing, in Noviss. Dig. it., IV, Torino, 1983, 803; critico anche Barbiera, Vizi della cosa concessa in leasing, cit., 1137, rispetto all’obbligo a contrarre del concedente; diversamente (ma in maniera non convincente) Cass. 2 ottobre 1998, n. 9785, in Giur. it., 1999, 1152, con nota (decisamente critica) di Rondelli, Perpetuum mobile: il leasing e la tutela diretta dell’utilizzatore, la quale, richiamando (tuttavia impropriamente per quel che interessa) l’insegnamento dottrinale sulla variabilità effettuale del mandato, al fine di giustificare la tutela ex art. 1705, comma 2, c.c. con riguardo all’esercizio dei diritti di credito acquisiti ritiene riconducibile la situazione in esame a quella scaturente da un mandato avente ad oggetto “la stipulazione di atti giuridici particolari, quali la stipulazione di prendere in locazione un bene o di conseguire un qualsiasi titolo personale di godimento di una cosa (…). Infatti, in questi casi si deve ritenere implicito o un consenso attuale del mandante e del mandatario alla cessione della locazione o del titolo di godimento personale a beneficio del mandante, oppure un impegno alla futura stipulazione di tale cessione” (1160). (31) Sul valore programmatico del contratto di mandato, alla cui stregua esaminare e giustificare il complesso delle peculiari disposizioni di cui agli artt. 1705, 1706 e 1707 c.c., sia consentito il rinvio a Di Rosa, Rappresentanza e gestione. Forma giuridica e realtà economica, Milano, 1997, 231 ss. Del resto lo stesso concedente mantiene comunque (ossia in ogni caso) la titolarità del bene acquistato nell’interesse dell’utilizzatore per tutto il periodo di durata del contratto di leasing; si dovrebbe pertanto ravvisare, a rigore, un mandato all’acquisto in funzione della mera concessione in godimento, rispetto cioè ad una situazione giuridica soggettiva diversa (in quanto di contenuto minore) rispetto a quella oggetto dell’acquisizione in ragione del mandato, salva peraltro l’eventuale successiva acquisizione in titolarità del bene da parte dell’utilizzatore-mandante in virtù dell’esercizio del diritto di opzione nei confronti del concedente-mandatario. 238 i Contratti 3/2016 Giurisprudenza I singoli contratti sizione (32). Il ricorso al mandato senza rappresentanza si palesa allora espediente non lineare e non del tutto condiviso dalle Sezioni Unite (33), senza trascurare che altre soluzioni (pure in precedenza prospettate) sarebbero potute risultare più appropriate, sia pure con qualche adattamento, quantunque non ritenute di rilievo e comunque estranee al caso oggetto della controversia (34). In ogni caso, pur ammettendo la sussistenza di un mandato senza rappresentanza, è proprio sugli strumenti di tutela che il mandante può far valere nei confronti del terzo a incentrarsi la questione, oggetto della rimessione alle Sezioni Unite, “concernente - con riguardo ai presupposti sostanziali e processuali di applicazione dell’articolo 1705, secondo comma, cod. civ. alla locazione finanziaria le azioni direttamente proponibili dall’utilizzatore nei confronti del venditore e, segnatamente, quella di risoluzione della vendita per inadempimento di quest’ultimo”. Ai sensi dell’art. 1705, comma 2, c.c., infatti, “il mandante, sostituendosi al mandatario, può esercitare i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato, salvo che ciò possa pregiudicare i diritti attribuiti al mandatario dalle disposizioni degli articoli che seguono”, rappresentando tale previsione una eccezione al principio indicato nel precedente comma 1, il quale esclude che i terzi abbiano rapporto alcuno con il mandante; la possibilità di tutela riconosciuta al mandante non comporta, tuttavia, che a questi sia consentito l’esercizio delle azioni contrattuali scaturenti dal regolamento di interessi disposto con il negozio gestorio (35), al fine cioè di fare valere la mancata attuazione del rapporto obbligatorio (con riferimento, ad esempio, alle azioni di annullamento, risoluzione, rescissione del contratto concluso dal mandatario con il terzo), proprio perché il mandante è terzo rispetto al rapporto esterno. Al riguardo, pur risultando dall’ordinanza di rimessione le perplessità in ordine alla confermata interpretazione restrittiva dell’art. 1705, comma 2, c.c. ad opera di precedente intervento nomofilattico e alla consequenziale limitativa trasposizione al contratto di leasing (36), le Sezioni Unite non si discostano (32) Del resto, secondo lo stesso modello normativo invocato a supporto, il mandante rimane (in maniera logicamente coerente) formalmente estraneo all’instaurata relazione tra mandatario in nome proprio e terzo contraente; proprio questo dato, nonostante il richiamato art. 1705, comma 2, c.c. costituisce, come a breve si avrà modo di verificare, un ostacolo decisivo al riconoscimento di tutele altre (e più incisive) a favore dell’utilizzatore-mandante. (33) In un passo della decisione si ha infatti modo di leggere che, a motivo della sussistenza di talune clausole nei formulari predisposti, il contratto di fornitura può essere configurato “alla stregua di un contratto produttivo di taluni effetti obbligatori a favore del terzo utilizzatore, senza la necessità di ipotizzare la presenza di un mandato implicito al contratto di leasing volto ad assicurare all’utilizzatore i diritti di azione riconosciuti dalla legge al mandante nel mandato senza rappresentanza (art. 1705, comma 2, c.c.)”. (34) Il riferimento è al contratto a favore di terzi rispetto a cui, mutuando lo schema dell’art. 1411 c.c., come rilevato da Barbiera, Vizi della cosa concessa in leasing, cit., 1137, “il contratto concluso dal concedente col fornitore verrebbe a configurarsi come contratto a favore di terzo (l’utilizzatore) con assunzione da parte del fornitore-promittente di obblighi verso l’utilizzatore svincolati dalle vicende del rapporto di base (il cosiddetto rapporto di provvista), intercorso tra esso fornitore e l’impresa di leasing”; analogamente A. Segreto, Una nuova proposta per la tutela dell’utilizzatore nel leasing finanziario, in Arch. civ., 1998, 260 ss., il quale inquadra il contratto di acquisto tra concedente e fornitore nello schema del contratto (parzialmente, ossia per la parte che riguarda il godimento) a favore di terzo, cioè l’utilizzatore. (35) In questi termini Carnevali, Mandato. I) Diritto civile, in Enc. giur., XIX, Roma, 1990, 5; analogamente Carpino, I contratti speciali. Il mandato, la commissione, la spedizione, in Trattato Bessone, XIV, Torino, 2007, 47 s.; identicamente, già in precedenza, Luminoso, Mandato, commissione, spedizione, in Trattato Cicu-Messineo-Mengoni, XXXII, Milano, 1984, 221 ss.; più di recente Calvo, La rilevanza esterna del mandato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 793 ss.; da ultimo Di Gregorio, Il mandato, II, Gli atti compiuti dal mandatario nei confronti dei terzi, in I contratti di collaborazione, a cura di Sirena, in Trattato Rescigno-E. Gabrielli, 16, Torino, 2011, 138. (36) La decisione richiamata è di Cass., SS.UU., 8 ottobre 2008, n. 24772, in Corr. giur., 2009, 691, con nota di Maffeis, Le azioni contrattuali nel mandato senza rappresentanza: interesse del mandante e affidamento del terzo e in Obbl. contr., 2009, 513, con nota di Longo, Affidamento del terzo nel mandato senza rappresentanza e unicità del fatto costitutivo quale presupposto dell’azione di arricchimento. Il tema, del resto, aveva suscitato un importante contrasto giurisprudenziale proprio con riferimento alla fattispecie del leasing finanziario, per i cui riferimenti dottrinali e giurisprudenziali può rinviarsi a Di Rosa, Il mandato, I, Artt. 1703-1709, in Comm. Schlesinger-Busnelli, Milano, 2012, sub art. 1705, 98 ss. La automatica trasposizione delle risultanze giudiziali nomofilattiche al contratto di leasing era stata revocata in dubbio dall’ordinanza di rimessione rilevandosi che “lontana dalle peculiarità del leasing appare la ratio ispiratrice della decisione delle SSUU; che non riposa nella tutela del mandante, e nemmeno in quella del mandatario, ma del terzo”, il quale ultimo si troverebbe esposto a interventi di soggetti estranei che incidono sulle sorti del contratto in assenza di un proprio espresso consenso; questo tipo di ostacolo, ad avviso dell’ordinanza di rimessione, non sembrerebbe conducente dal momento che nella locazione finanziaria “il rapporto (ancorché non unitario) viene purtuttavia ad instaurarsi ed a svolgersi nella piena consapevolezza e volontà di tutti e tre i contraenti; certamente incluso il venditore. Sicché non vi sarebbe motivo di parlare di cessione contrattuale senza consenso del contraente ceduto, ma soltanto di esposizione del terzo (anche senza una specifica previsione pattizia) ad una legittimazione non soltanto non aliena, ma addirittura coessenziale al contratto da lui stipulato”. In altra sede, ossia in Di Rosa, Il mandato, I, cit., sub art. 1705, 97 s., nt. 68, avevo già avuto modo di esprimere perplessità, a proposito della confermata interpretazione restrittiva dell’art. 1705, comma 2, c.c., in ordine al ritenuto pregiudizio che deriverebbe al terzo dall’eventuale riconoscimento di una tutela più ampia al mandante, soprattutto (come nella richiamata decisione del 2008) nel caso di fallimento del mandatario. i Contratti 3/2016 239 Giurisprudenza I singoli contratti affatto dalla posizione tradizionale, anche alla luce del ribadito principio della relatività degli effetti del contratto e, dunque, della ritenuta impraticabilità di azioni da parte di un soggetto, l’utilizzatore (mandante), estraneo al rapporto instauratosi con la vendita stipulata tra il concedente (mandatario) e il fornitore (terzo rispetto al mandato). Del resto la stessa interpretazione restrittiva dell’art. 1705, comma 2, c.c., che può peraltro ritenersi applicazione del principio di relatività degli effetti del contratto (nel senso che la disposta eccezione quanto all’esercizio dei diritti di credito da parte del mandante conferma la regola generale dell’assenza di rapporti tra soggetti che non sono parti del contratto), risulta conforme alla richiamata Convenzione di Ottawa sul leasing internazionale, adottata il 28 maggio 1988 e fatta propria dal nostro Paese con la legge di recepimento 14 luglio 1993, n. 259, riguardante appunto la ratifica ed esecuzione della Convenzione UNIDROIT sul leasing finanziario internazionale (37); il relativo art. 10 infatti, richiamato dalle Sezioni Unite a testimonianza della confermata distinzione tra il contratto di leasing e il contratto di vendita, senza alcun correlativa parifica delle figure del concedente e dell’utilizzatore nei loro rapporti con il fornitore, pur riconoscendo l’operatività degli obblighi contrattuali derivanti dal rapporto tra il concedente e il fornitore anche nei confronti dell’utilizzatore (tra l’altro per il profilo risarcitorio), esclude espressamente al comma 2 che l’utilizzatore possa risolvere il contratto di fornitura senza il consenso del concedente. Risulta così confermata la non automaticità della tutela diretta dell’utilizzatore (attraverso cioè l’azione di risoluzione per inadempimento) nei confronti del fornitore e la Una volta esclusa la proponibilità da parte dell’utilizzare dell’azione di risoluzione del contratto di vendita per inadempimento del fornitore e considerata altresì la prassi mercantile che, in virtù della predisposizione di apposite clausole, esonera il concedente da ogni responsabilità per vizi del bene, obbligando pertanto l’utilizzatore alla corresponsione dei canoni, resta pressante il problema di assicurare adeguata tutela a quest’ultimo rispetto al mancato o difettoso godimento del bene. Al riguardo le Sezioni Unite, rilevata la preponderante natura finanziaria dell’operazione e, dunque, l’indipendenza e autonomia dell’obbligazione del concedente rispetto a quella del fornitore, resa possibile dalle (37) In merito, tra tanti, R. Clarizia, La convenzione Unidroit sulla locazione finanziaria: analogie e differenze rispetto al modello italiano, in Riv. dir. impr., 1994, 27 ss. (38) In tal senso, del resto, la stessa giurisprudenza, ossia, tra le altre, Cass. 16 novembre 2007, n. 23794, cit., che riconosce all’utilizzatore la legittimazione ad agire nei confronti del fornitore per fare valere la pretesa all’adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguente sofferto ovvero al risarcimento del danno da inesatto adempimento del contratto medesimo, richiamandosi proprio allo schema di cui all’art. 1705, comma 2, c.c. (39) Al riguardo l’art. 125 quinquies, comma 3, D.Lgs. n. 385/1993 prevede solamente la possibilità per il consumatore di chiedere al finanziatore di agire per la risoluzione del contratto di fornitura, una volta inutilmente effettuata la costituzione in mora del fornitore, con la disposta successiva automatica risoluzione del contratto di locazione finanziaria una volta intervenuta la risoluzione del contratto di fornitura. Decisamente critica sia rispetto alla introdotta disciplina ad hoc per il leasing (di consumo e traslativo) sia rispetto allo specifico tipo di regolamentazione Gorgoni, Sui contratti di finanziamento dei consumatori, di cui al capo II titolo VI TUB, novellato dal titolo I del d.lg. n. 141 del 2010, in Giur. mer., 2011, 342 ss., che, alla luce della soluzione legislativa, ritiene probabile (da parte del legislatore) “la presa d’atto che la locazione finanziaria dà vita ad un’operazione la cui complessità strutturale non è colta per intero dal collegamento (che il legislatore non pensasse alla ricorrenza di un collegamento è dimostrato a contrario dal fatto che nel comma 1 dell’art. 125-quinquies si detta la differente disciplina applicabile ai contratti collegati” (343), rilevando altresì che la soluzione normativa non corrisponde (almeno nella sua interezza) ad alcuna delle tesi prospettate al riguardo nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale rispetto all’inadempimento del fornitore (ossia sostanziale autonomia dell’obbligazione del concedente rispetto a quella del fornitore se si ritiene di natura finanziaria la causa del contratto di leasing, invocabilità dell’art. 1463 c.c. se si opta per la causa di scambio, collegamento negoziale con riconosciuta tutela ex art. 1705, comma 2, c.c., discussa tuttavia in ordine al relativo àmbito di estensione); Ead., Spigolature su luci (poche) e ombre (molte) della nuova disciplina dei contratti di credito ai consumatori, in Resp. civ. prev., 2011, 774 s. 240 non appropriatezza del richiamo a tale ultimo disposto normativo (peraltro nel caso di specie non applicabile) per fondare (sulla base di una certa interpretazione dell’art. 1705, comma 2, c.c.) il riconoscimento all’utilizzatore di strumenti ai quali quest’ultimo non ha accesso neanche rispetto alla specifica disciplina di legge (dettata peraltro per il leasing internazionale) (38); così come, del resto, anche la disciplina dei contratti di credito collegati rispetto alla locazione finanziaria di cui al novellato D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, esclude, in caso di inadempimento del fornitore, che il consumatore-utilizzatore (ritenuto peraltro dalle stesse Sezioni Unite meritevole di maggiore protezione rispetto all’imprenditore-utilizzatore) possa agire per la risoluzione del contratto di fornitura (39). (Segue). I riconosciuti rimedi per i vizi del bene i Contratti 3/2016 Giurisprudenza I singoli contratti clausole sopra menzionate (40), confermano, in ogni caso, la già riconosciuta tutela risarcitoria all’utilizzatore nei confronti del fornitore per lesione del proprio credito (al godimento) nascente dal leasing, all’interno del cui quantum vengono ricompresi anche i canoni corrisposti al concedente in costanza di godimento del bene viziato. Quanto, invece, ai restanti profili viene introdotta una distinzione tra vizi immediatamente riconoscibili al momento della consegna (ipotesi alla quale va assimilata quella della ineseguita consegna) e vizi occulti o in mala fede taciuti dal venditore, emersi dunque successivamente alla consegna, richiamandosi il canone della buona fede in executivis ai sensi dell’art. 1375 c.c. quale regola integrativa della fattispecie contrattuale. In particolare, ciò servirebbe a fondare obblighi di informazione (dell’utilizzatore nei confronti del concedente) e di protezione (del concedente nei confronti dell’utilizzatore) onde assicurare un’appropriata realizzazione degli interessi sottesi all’intera operazione. Così, laddove l’utilizzatore abbia avuto modo di riscontrare all’atto della consegna vizi redibitori (ossia tali da rendere il bene non idoneo all’uso richiesto e pattuito) è tenuto a rifiutare la consegna medesima e a informare tempestivamente il concedente che, a sua volta, è obbligato a sospendere il pagamento del prezzo al fornitore ed esercitare nei confronti di questi (ricorrendone i presupposti) l’azione di risoluzione per inadempimento, alla quale segue necessariamente la risoluzione del contratto di leasing (in linea, peraltro, con la prospettata ricostruzione in termini di collegamento negoziale non tecnico). Viceversa, in ipotesi di vizi emersi successivamente alla consegna l’utilizzatore può agire nei confronti del fornitore per l’eliminazione dei vizi o la sostituzione del bene; anche in questo caso, tuttavia, la tempestiva informazione dell’utilizzatore obbliga il concedente ad agire nei confronti del fornitore per la risoluzione del contratto di vendita o per la riduzione del prezzo con consequenziale incidenza sul contratto di leasing. Le soluzioni prospettate dalle Sezioni Unite appaiono sostanzialmente confermare taluni indirizzi precedenti, sia per quanto riguarda la tutela risarcitoria sia in ordine a quella sostitutivo-ripristinatoria, già riconosciute in capo all’utilizzatore da dottrina e giurisprudenza per il tramite dell’applicazione dell’art. 1705, comma 2, c.c. o comunque a motivo del ritenuto sussistente collegamento negoziale (ampiamente in precedenza esaminati e su cui dunque non si tornerà); così come pure non nuova risulta la richiamata operatività della clausola generale di buona fede ex art. 1375 c.c. al fine di delineare reciproci obblighi comportamentali (41), su cui, invece, appare opportuno soffermarsi brevemente. Sullo sfondo, peraltro, resta espressamente esclusa l’applicabilità sia della già richiamata (peculiare) Convenzione di Ottawa sul leasing internazionale (42) sia della disciplina (speciale) della locazione finanziaria rispetto all’utilizzatore-consumatore (il leasing al consumo) di cui all’art. 125 quinquies, D.Lgs. n. 385/1993 (43). Quanto, allora, alla prescritta applicazione dell’art. 1375 c.c. deve preliminarmente convenirsi, in termini generali, con quella dottrina la quale ritiene che l’ambito problematico della buona fede in esame corrisponde “all’area della gestione della sfera individuale di un comportamento, in funzione della soddisfazione dell’interesse dell’altro, per quanto si discosti dalla programmazione contrattuale” (44), assicurando di conferire rilevanza giuridica ad una pretesa non pattiziamente regolata (45). In questo senso cioè la buona fede “si iscrive (e si risolve compiutamente) nella logica del principio pacta sunt servanda” (46), quale criterio (tuttavia) di sviluppo (e specificazione) del sistema di regole pro- (40) Della cui validità dunque le Sezioni Unite non sembrano dubitare; proprio per questo, come si avrà modo di evidenziare nel prosieguo, vengono riproposti (già noti) modelli di gestione del consequenziale rapporto tra concedente e utilizzatore rispetto alla posizione del fornitore (resosi inadempiente). (41) Il riferimento è alle decisioni di Cass. 6 giugno 2002, n. 8222, in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 435, con nota di Chindemi, Leasing di autovettura non immatricolata, cit., e di Cass. 29 aprile 2004, n. 8218, in questa Rivista, 2004, 1023, con nota di Addante, Dovere di collaborazione tra concedente ed utilizzatore nel leasing e clausole di traslazione del rischio; entrambe le vicende, peraltro, riguardano lo stesso specifico problema (autoveicolo consegnato ma non idoneo alla circolazione) esaminato nel giudizio nomofilattico (che equipara la fattispecie in esame a quelle della mancata consegna o della consegna rifiutata per la presenza di contestati vizi redibitori del bene). (42) Regolamentazione già peraltro ritenuta utile, nonostante la confermata non applicabilità, da Cass. 27 luglio 2006, n. 17145, cit. e Cass. 16 novembre 2007, n. 23794, cit., in quanto esempio di disciplina tipizzata dell’operazione di leasing. (43) Almeno secondo quanto espressamente risulta dalle indicazioni fornite dalle Sezioni Unite, ma su questo profilo si avrà modo di tornare a breve in testo. (44) M. Barcellona, Commento sub artt. 1374-1375, in Comm. Cendon, IV, 1, Torino, 1991, 624 s., riprendendo peraltro quanto dallo stesso sostenuto in Id., Un breve commento sull’integrazione del contratto, in Quadrimestre, 1988, 547 ss. (45) L’insegnamento è di Belfiore, La presupposizione, in Il contratto in generale, IV, in Trattato Bessone, XIII, Torino, 2003, 26, che peraltro ritiene ammissibile un risultato del genere solo ove “tale pretesa sia priva di autonomia rispetto all’interesse disciplinato in contratto e, perciò, si configuri come meramente strumentale-accessoria al soddisfacimento di quell’interesse”. (46) Belfiore, La presupposizione, cit., 28. i Contratti 3/2016 241 Giurisprudenza I singoli contratti prie dell’ordinamento pattizio. Ora, quantunque le prospettazioni sopra richiamate possano essere ritenute divergenti in ordine alla funzione assegnata alla buona fede (ruolo positivo), elemento comune è certamente rappresentato dalla condivisione di ciò che la buona fede non è o che, comunque, alla buona fede non compete (ruolo negativo), nel senso che essa certamente non introduce istanze etiche o solidaristiche che si sovrappongono ai valori dell’ordinamento (47). Tenuta ferma, dunque, questa impostazione ricostruttiva, occorre allora verificare in che misura il fondamento normativo al riguardo utilizzato dalle Sezioni Unite (ossia l’art. 1375 c.c.) risulti corrispondente alla (più appropriata) configurazione giuridica del contratto di leasing, proprio muovendo dall’idea (che è probabilmente quella condivisa, almeno sul piano formale, dalla decisione in esame rispetto all’id quod plerumque accidit) della (preminente) natura finanziaria in senso tecnico-giuridico dell’operazione in questione con integrale trasferimento del rischio in capo all’utilizzatore (48). Peraltro, a differenza di quanto ordinariamente previsto nella modulistica, che non estende all’utilizzatore la titolarità attiva del rapporto di fornitura, precludendo così, come già evidenziato, la legittimazione all’esperimento dell’azione di risoluzione del contratto di vendita per inadempimento del fornitore, in caso di rifiuto della consegna del bene (a motivo di vizi redibito- ri) i formulari (almeno di regola) impongono allo stesso utilizzatore non solo di contestare formalmente i vizi al fornitore ma altresì di informare di ciò anche il concedente (in ogni caso esente da responsabilità); in mancanza l’utilizzatore si troverà costretto a iniziare immediatamente il pagamento periodico dei canoni convenuti. Da questo tipo di previsione pattizia emerge pertanto una chiara relazione di corrispettività tra il pacifico godimento assicurato all’utilizzatore (in ragione dei controlli preventivi e successivi da quest’ultimo eseguiti e allo stesso convenzionalmente deputati) e l’obbligo del pagamento dei canoni, smentendosi così la caratterizzazione in chiave esclusivamente finanziaria dell’operazione (che presenta, invece, i tipici connotati del rapporto di scambio) e la stessa autonomia (assoluta) dell’obbligazione del concedente rispetto a quella del fornitore (49). Da altro punto di vista, tuttavia, deve rilevarsi che l’eventuale assenza di clausole del tenore sopra riportato (50) potrebbe aprire spazi per doverosi comportamenti finalizzati ad evitare, in buona sostanza, ingiustificati trasferimenti di ricchezza, ossia dal concedente al fornitore (al quale viene corrisposto il prezzo in assenza di assicurato godimento all’utilizzatore perché, nei casi estremi, il bene non è stato consegnato o, comunque, è stato legittimamente rifiutato) e dall’utilizzatore al concedente (al quale viene corrisposto il canone senza che il (47) In tal senso M. Barcellona, Commento, cit., 626; Id., Clausole generali e giustizia contrattuale. Equità e buona fede tra codice civile e diritto europeo, Torino, 2006, 173; Belfiore, La presupposizione, cit., 28, a cui avviso la buona fede è ben lungi dal costituire “un canale di ingresso di istanze etiche o solidaristiche in qualche modo riconducibili a formule della Costituzione”. (48) Si deve peraltro escludere, nella ricostruzione creditizia del contratto di leasing, che l’interesse al godimento (effettivo ed esente da vizi) del bene possa ritenersi un interesse non regolato in via pattizia; piuttosto, a rigore, l’interesse in esame è stato sicuramente tenuto presente dai contraenti per assicurarne l’indipendenza (o, recisamente, l’estraneità) dal contratto di leasing, in assenza altresì di peculiari clausole contrattuali attributive di forme di tutela (non conservative) all’utilizzatore rispetto al diverso contratto di vendita, dunque nei confronti del fornitore. Solo in questo senso, del resto, si comprende il passaggio della decisione nomofilattica in cui, a proposito della regolamentazione pattizia in tema di vizi del bene, si specifica che le clausole contrattuali di esenzione della responsabilità del concedente e di correlativo obbligo dell’utilizzatore di accertamento della conformità del bene in sede di consegna sono poste “a garanzia della separazione tra rischio finanziario e rischio operativo che sottende la vicenda economica in questione, la quale vuole che l’esecuzione del piano di ammortamento del credito sia indipendente da qualsiasi contestazione concernente la qualità e la conformità della fornitura. Ciò significa che, in forza di queste clausole, l’utilizzatore non può sospendere il pagamento dei canoni né ottenere la risoluzione del contratto di locazione”. (49) Su questo tipo di ragionamento si fondano peraltro tut- te quelle decisioni che, pur nella diversità di prospettiva, hanno comunque escluso in maniera condivisibile che l’autonomia negoziale dei privati possa trasformare il contratto di leasing in un’operazione assolutamente a rischio e pericolo dell’utilizzatore (ossia meramente creditizia), quale che sia la (ulteriore) funzione dell’operazione in esame (oltre quella cioè, connaturale, di godimento nella logica dello scambio), richiamando altresì l’applicabilità dell’art. 1579 c.c. alla locazione finanziaria. È questa la posizione, già in precedenza esplicitata, di Cass. 2 novembre 1998, n. 10926, cit., e ripresa, con argomentazioni di stretto rigore logico-argomentativo sia da Cass. 6 giugno 2002, n. 8222, cit. sia da Cass. 29 aprile 2004, n. 8218, cit., che tuttavia si erano arrestate alla definizione dei reciproci doveri comportamentali (ossia di concedente e utilizzatore rispetto al comportamento, inadempiente, del fornitore), ancorati alla buona fede in executivis, senza spingersi in ordine al consequenziale assetto di interessi da ciò risultante rispetto al contratto di vendita e al contratto di leasing. (50) Come nel caso di specie, in cui le Sezioni Unite hanno confermato la decisione dei giudici di appello che, nel respingere le domande di parte attrice (l’utilizzatore), aveva statuito la necessità di un’apposita pattuizione scritta per l’eventuale esonero di responsabilità del proprietario-concedente da ogni responsabilità per vizi della cosa (accertamento poi in via di fatto precluso dalla mancata produzione in giudizio del contratto di locazione finanziaria); emerge chiaramente, infatti, la preoccupazione che l’utilizzatore “in assenza di clausole contrattuali che (…) gli trasferiscano la posizione sostanziale del concedente rispetto ad ipotesi risolutive del contratto di fornitura (ipotesi che s’è verificata nella fattispecie in trattazione), rimanga sfornito di tutela, nell’inerzia del concedente”. 242 i Contratti 3/2016 Giurisprudenza I singoli contratti primo abbia avuto la possibilità di godere del bene che è l’oggetto del finanziato acquisto), rispondendo in questo senso al sistema di regole proprie dell’ordinamento (51); ciò in linea, del resto, con l’assetto di interessi meritevole di tutela che deve essere ravvisato anche in ordine a contratti non oggetto di compiuta, specifica, disciplina di legge (ossia legalmente non tipizzati). Da questo punto di vista, tuttavia (condivisa cioè l’esigenza di tutela dell’utilizzatore ma non l’apparato argomentativo a corredo), non può certamente ritenersi, come sembrano riconoscere le Sezioni Unite, che l’utilizzatore debba avvertire il concedente della mancata consegna del bene esclusivamente nell’interesse del titolare del bene (ossia per preservare le ragioni di questi), considerato che è proprio una tale comunicazione ad assicurare, a tutela dell’utilizzatore (secondo peraltro gli stessi giudici), l’operatività dell’obbligo da parte del concedente di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore (52). Correlativamente, se nel contratto di leasing (nel caso di specie finanziario, ma si tratta di rilievo valido per tutti i tipi di leasing) l’interesse fondante il senso della complessiva operazione è propriamente quello dell’utilizzatore a conseguire il godimento di un bene strumentale all’esercizio della propria attività di impresa o, comunque, professionale, dunque idoneo e funzionale (così per come peraltro descritto e richiesto dallo stesso utilizzatore) (53), gli invocati doveri di solidarietà e di pro- tezione che le Sezioni Unite pongono a carico del concedente verso l’utilizzatore, onde evitare che quest’ultimo subisca pregiudizi, sembrano avere poco a che fare con la buona fede in executivis. Delle due, infatti, l’una: o si riconosce al contratto di leasing finanziario una causa squisitamente creditizia e, allora, il problema delle clausole di inversione del rischio va affrontato in modo diverso e non certo attraverso il (salvifico) richiamo alla buona fede ex art. 1375 c.c., a cui nella sostanza viene affidato il compito di valutare la misura dell’operatività delle clausole medesime (ossia sino a che punto esse possono considerarsi giuridicamente rilevanti e condizionanti il comportamento contrattuale rispetto alle differenti condotte richieste); oppure, ritenuta più aderente la (decisiva) causa di scambio e valutata in questa logica la non meritevolezza delle clausole medesime (senza dovere ricorrere però alla buona fede), la mancata realizzazione dell’interesse sotteso (quello cioè al godimento del bene da parte dell’utilizzatore) porta con sé (e di per sé) meccanismi di automatica riallocazione del piano di rischi contrattuali inerenti alla complessa operazione in esame, proprio in ragione della causa concreta alla stessa riconosciuta (54). Così come dunque in precedenza era stato giustamente corretto il ricorso alla buona fede ex art. 1375 c.c., in quanto utilizzata come argomento per contrastare la validità delle clausole di inversione del rischio nel contratto di leasing (55), oggi, per (51) Prescindendosi qui anche dalla eventuale correlazione con la previsione dell’art. 1175 c.c., se, ovviamente, si aderisce alla differenziazione tra il criterio della correttezza ex art. 1175 c.c. e il criterio della buona fede ex art. 1375 c.c. e alla distinte sfere di competenza da assegnare a ciascuno di questi distinti criteri, secondo la prospettazione di Belfiore, La presupposizione, cit., 28 ss.; diversamente, sul punto, M. Barcellona, Clausole generali e giustizia contrattuale, cit., 164 s., a cui avviso può anche ritenersi, rispetto al dettato dell’art. 1375 c.c., che “la buona fede in esso prevista abbia valore anche ricognitivo del dovere di correttezza dell’art. 1175 c.c., e cioè che con esso il legislatore abbia inteso anche ribadire in sede contrattuale ciò che ha disposto nella sede più generale del rapporto obbligatorio”; in precedenza Di Majo, Obbligazioni e contratti, 2, L’adempimento dell’obbligazione, Bologna, 1993, 37, per il quale buona fede e correttezza sono (anche) sinonimi; Roppo, Il contratto2, in Trattato Iudica-Zatti, Milano, 465; sulle (comuni) applicazioni giurisprudenziali in ordine alle singole fattispecie contrattuali Macario, Esecuzione di buona fede, in Commentario E. Gabrielli, Dei contratti in generale (Artt. 1350-1386), II, a cura di Navarretta - Orestano, Torino, 2011, sub art. 1375, 760 ss. (52) Diversamente, ossia in assenza di conoscenza della contestazione, il concedente sarebbe tenuto a corrispondere il prezzo all’utilizzatore ma potrebbe legittimamente pretendere il pagamento dei canoni da parte dell’utilizzatore, che dunque resterebbe (almeno a questo stadio della vicenda) l’unico soggetto economicamente pregiudicato. Tale profilo, ossia la (più o meno realizzata) cooperazione tra concedente e utilizzatore, era stato preso in considerazione da Cass. 6 giugno 2002, n. 8222, cit. e da Cass. 29 aprile 2004, n. 8218, cit., per distribuire il relativo piano di rischi anche in rapporto (in particolare la seconda decisione) alla possibile applicazione dell’art. 1227 c.c., laddove entrambe le parti del contratto di leasing abbiano concorso a dare causa al danno derivante dall’inadempimento del fornitore, il cui esatto adempimento viene indicato come interesse comune. (53) Sul punto, chiaramente, C. Scognamiglio, Unità dell’operazione, buona fede e rilevanza in sede ermeneutica del comportamento delle parti, in Banca, borsa, tit. cred., 1998, II, 136 s.; nello stesso senso, in giurisprudenza, Cass. 2 novembre 1998, n. 10926, cit.; Cass. 6 giugno 2002, n. 8222, cit.; Cass. 29 aprile 2004, n. 8218, cit.; Cass. 27 luglio 2006, n. 17145, cit. (54) Si tratta, peraltro, di quanto espressamente riconosciuto dalle stesse decisioni alle quali le Sezioni Unite hanno fatto esplicito riferimento per fondare (almeno in parte) la propria scelta interpretativa, come Cass. 27 luglio 2006, n. 17145, cit., che, per l’appunto, individua nell’interesse al godimento del bene da parte dell’utilizzatore ciò che l’operazione negoziale è diretta a realizzare, costituendone la causa concreta, con specifica e autonoma rilevanza rispetto a quella, ritenuta parziale, dei singoli contratti (ossia il contratto di leasing e il contratto di vendita), che rimangono peraltro nella propria autonoma individualità giuridica; adesivamente, in precedenza, Cass. 2 novembre 1998, n. 10926, cit.; Cass. 6 giugno 2002, n. 8222, cit.; Cass. 29 aprile 2004, n. 8218, cit. (55) Il riferimento è alla posizione di G. D’Amico, Credito al i Contratti 3/2016 243 Giurisprudenza I singoli contratti converso, non può convenirsi con il richiamo alla buona fede in executivis per giustificare obblighi comportamentali reciproci, funzionali alla tutela delle contrapposte posizioni contrattuali, dovendosi piuttosto riconoscere la causa di scambio del contratto di leasing e trarre le appropriate conclusioni in punto di (molto più lineare) distribuzione dei rischi contrattuali a motivo della mancata attuazione del programma contrattuale per impossibilità sopravvenuta della prestazione (del concedente) ex art. 1463 c.c. (56). In realtà la stessa prospettazione delle Sezioni Unite in ordine alla tutela dell’utilizzatore per i vizi del bene sembra più indirizzata a ripercorrere, sia pure attraverso un percorso procedimentale differente, la soluzione fornita dal legislatore a proposito del leasing al consumo, quantunque la relativa applicazione sia stata esclusa (forse un po’ troppo sommariamente) in via di principio (57). Per un verso, infatti, il ravvisato obbligo comunicativo in capo all’utilizzatore (per il caso di mancata consegna o, comunque, di vizi redibitori che giustificano il rifiuto della consegna) in quanto connesso (in termini di presupposto) all’obbligo di esercizio dell’azione di risoluzione del contratto di fornitura da parte del concedente, non appare poi così differen- te dal meccanismo della richiesta dell’utilizzatoreconsumatore al concedente-finanziatore di agire per la risoluzione del contratto nei confronti del fornitore (cfr. art. 125 quinquies, comma 3, prima parte, D.Lgs. n. 385/1993); per altro verso, poi, almeno così sembra, alla obbligata sospensione del pagamento del prezzo nei confronti del fornitore inadempiente corrisponde la sospensione del pagamento dei canoni da parte dell’utilizzatore (altrimenti non si comprenderebbe il richiamato caso inverso del pagamento del prezzo non dovuto che non può essere posto a carico dell’utilizzatore), alla stessa stregua della normativamente disposta sospensione del pagamento dei canoni in caso di esercizio del diritto da parte dell’utilizzatore-consumatore di chiedere al finanziatore di agire nei confronti del fornitore inadempiente per la risoluzione del contratto di fornitura (cfr. art. 125 quinquies, comma 3, seconda parte, D.Lgs. n. 385/1993); per altro verso ancora, infine, è giudizialmente definito il rapporto tra intervenuta risoluzione del contratto di fornitura e successiva risoluzione del contratto di leasing, secondo peraltro quanto espressamente statuito dal legislatore (cfr. art. 125 quinquies, comma 3, terza parte, D.Lgs. n. 385/1993). consumo e principio di relatività degli effetti contrattuali, cit., 720 s.; in precedenza già M. Barcellona, Clausole generali e giustizia contrattuale, cit., 186 ss., commentando una decisione di legittimità sul punto (ossia Cass. 2 novembre 1998, n. 10926, cit.), ricollegava (nell’impostazione dei giudici) il problema della validità della clausola di inversione del rischio (oltre che al tema della derogabilità dell’art. 1463 c.c.) alla “coerenza di una diversa regolazione negoziale con lo schema dell’operazione di leasing” (187), non potendosi affidare alla buona fede dell’art. 1375 c.c. (pure dai giudici ivi richiamata) il giudizio di invalidità. (56) V., al riguardo, le riflessioni già sviluppate in precedenza alla nt. 25. (57) Ravvisata infatti la specialità della normativa richiamata non si comprende il senso della correlativamente disposta non applicabilità; anzi, il carattere della (soggettiva) internazionalità del leasing ivi disciplinato non sembra idoneo ad escludere la fondatezza dell’interrogativo in ordine, piuttosto, al richiamo di un individuato complesso di regole (per un assetto di interessi corrispondente) al fine di colmare, analogicamente, la lacuna in tema di tutela dell’utilizzatore del contratto di leasing (comunque finanziario). 244 i Contratti 3/2016