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Prospettive in Pediatria Aprile-Giugno 2016 • Vol. 46 • N. 182 • Pp. 169-188 Tavola Rotonda Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) è affidato ai giovani: problemi, prospettive, proposte Napoli, 10-11 marzo 2016 Moderatore Generoso Andria Presidente Società Italiana Ricerca Pediatrica (SIRP), Direttore Prospettive in Pediatria Lo stato della ricerca di interesse pediatrico in Italia Giusy Ranucci Dottoranda di ricerca, Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Sezione di Pediatria, Università Federico II, Napoli La situazione “demografica” della pediatria di territorio, ospedaliera e accademica e le possibili linee di tendenza Silvano Bertelloni UO Pediatria Universitaria, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa La selezione di giovani interessati alla ricerca clinica nella Neuropsichiatria infantile Giovanni Cioni Ordinario di Neuropsichiatria infantile e Direttore della Scuola di Specializzazione di Neuropsichiatria Infantile, Università di Pisa Il reclutamento dei ricercatori clinici negli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico Angelo Ravelli Ordinario di Pediatria, Responsabile UOSD Centro di Reumatologia, IRCCS Istituto Giannina Gaslini, Genova Alessandro Aiuti Ordinario di Pediatria, Direttore dell’UO di Pediatria Immunoematologica, Ospedale San Raffaele, Milano Rapporti tra la ricerca specialistica in pediatria e la ricerca specialistica nella medicina dell’adulto Francesco Chiarelli Gianni Bona Direttore della Clinica Pediatrica, Università del Piemonte Orientale, Novara Il reclutamento nell’Università di giovani ricercatori dell’area pediatrica Claudio Pignata Associato di Pediatria, Responsabile UOC Immunologia pediatrica, Università Federico II, Napoli L’esperienza dell’Abilitazione Scientifica Nazionale per i settori scientifico-disciplinari pediatrici Paolo Paolucci Ordinario di Pediatria, Università di Modena e Reggio Emilia, Membro Comitato Pediatrico dell’EMA Andrea Biondi Direttore della Clinica Pediatrica e Pro-Rettore per l’Internazionalizzazione, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Milano I giovani e la ricerca clinica pediatrica: tra formazione e “frustrazione” un rapporto sempre più difficile Maurizio Mennini Gruppo di Lavoro Ricerca in Pediatria, Osservatorio Nazionale Specializzandi Pediatria Davide Vecchio Presidente Osservatorio Nazionale Specializzandi Pediatria, Università degli Studi di Palermo Finanziamento di progetti di ricerca per giovani ricercatori Raffaele Badolato Associato di Pediatria, Dipartimento di Scienze Cliniche e Sperimentali, Università degli Studi di Brescia Direttore della Clinica Pediatrica, Università G. D’Annunzio, Chieti Testimonianze Loredana Maria Marcovecchio Cambiamenti recenti e proposte per l’avvio alla ricerca clinica degli studenti di Medicina Cosimo Giannini Ricercatore universitario di Pediatria, Clinica Pediatrica, Università G. D’Annunzio, Chieti Dirigente medico, Dipartimento di Pediatria, Università G. D’Annunzio, Chieti Ricercatore universitario di Pediatria, Università Federico II, Napoli Dalla specializzazione alla ricerca: il percorso congiunto specializzazione-dottorato di ricerca e la proposta di percorso formativo (sub)specialistico in pediatria Giuseppe Saggese Presidente del Collegio Professori Universitari di Pediatria e della Conferenza Direttori Scuole di Specializzazione in Pediatria, Università di Pisa Antonietta Giannattasio Luigi Titomanlio Ordinario di Pediatria, Université Sorbonne Paris Cité, Direttore Urgenze Pediatriche, Ospedale Robert Debré, Parigi, Francia Considerazioni conclusive Armido Rubino Emerito di Pediatria, Università Federico II, Napoli 169 Tavola Rotonda Introduzione Generoso Andria La Tavola Rotonda di oggi ritorna sul tema della ricerca clinica, che è già stato affrontato in una precedente occasione con un’altra Tavola Rotonda, moderata da Fabio Sereni e pubblicata nel 2013 sul numero 169 di Prospettive in Pediatria, dal titolo “Ricerca traslazionale e ricerca clinica in pediatria”. Il focus della discussione di oggi non sarà concentrato sugli scarsi investimenti pubblici e privati in ricerca o sul fatto che i progetti vengono spesso finanziati senza rispettare criteri di qualità o criteri meritocratici. Il tema centrale sarà invece quello della difficoltà di reclutare giovani medici meritevoli e motivati a una carriera nella ricerca clinica, partendo dalla riflessione che senza i giovani le prospettive per la qualità anche dell’assistenza non possono che essere preoccupanti. I partecipanti a questa Tavola Rotonda sono gli autori di un Libro bianco che la Società Italiana di Ricerca Pediatrica (SIRP) sta per pubblicare con il titolo: “Il futuro della ricerca clinica (pediatrica). Problemi, prospettive, proposte” (Giannini Editore). Non a caso la parola “pediatrica” è inserita in una parentesi, perché si vuole sottolineare che il problema, di cui si discute nel Libro bianco della SIRP, è comune in realtà a tutta la medicina clinica. In campo internazionale è stata da tempo segnalata la progressiva diminuzione dei cosiddetti Physician Scientist, cioè medici che abbiano avuto nel corso della loro formazione un’esperienza di ricerca, eventualmente anche di base, e siano quindi in grado di coordinare gruppi di ricerca clinica, con il vantaggio, rispetto a PhD o a laureati di area biologica o biotecnologica, di una preparazione ed esperienza anche derivata dalla frequentazione con pazienti. Questa Tavola Rotonda vuole concentrarsi sulla radice del problema. Se giovani interessati alla ricerca clinica dopo la laurea in medicina non saranno attratti verso una carriera in istituzioni che sono dedicate all’attività scientifica, ineluttabilmente andremo incontro all’estinzione della ricerca clinica nel nostro Paese. Non a caso nel Libro bianco abbiamo parlato di “morte programmata” o “apoptosi” della ricerca clinica. Ma questa visione apparentemente catastrofica è sufficientemente giustificata dal contesto nel quale attualmente ci troviamo? È opportuno partire, quindi, da una panoramica sullo stato della ricerca di interesse pediatrico in Italia, che è affidata a Giusy Ranucci, giovane dottoranda di ricerca, in questo momento impegnata nel lavoro dell’Osservatorio della Ricerca Pediatrica Italiana, un’iniziativa della SIRP, che si propone appunto di monitorare nel tempo quanto viene prodotto nel nostro paese in termini di pubblicazioni scientifiche che trattano temi di interesse per la medicina dell’età evolutiva. 170 Lo stato della ricerca di interesse pediatrico in Italia Giusy Ranucci Prima di esporre alcuni risultati, vorrei chiarire che cosa s’intende per ricerca “pediatrica”. Da un lato ci riferiamo alla ricerca che ha come oggetto tematiche più o meno direttamente correlate con la pediatria e la promozione della salute dell’età evolutiva (che definiremo “ricerca di interesse pediatrico”) e, dall’altro lato, la ricerca promossa e coordinata da istituzioni e investigatori che appartengono al mondo pediatrico”. Quale strumento abbiamo usato per misurare la produttività scientifica nell’ambito della ricerca pediatrica? Alcuni anni fa, prima all’interno della SIP e più recentemente con la SIRP, abbiamo utilizzato l’Osservatorio della Ricerca Pediatrica Italiana (ORPI), con lo scopo di valutare innanzitutto il contributo di pediatri o anche non pediatri che però svolgano un ruolo leader nella conduzione e nel coordinamento della ricerca pubblicata. Abbiamo usato come metodologia l’esame di banche dati bibliometriche, in particolare PubMed, estraendo i lavori pubblicati da autori italiani che, come ho detto, avessero svolto il ruolo di coordinamento della ricerca, con l’esclusione, quindi, dei lavori in cui gruppi italiani erano stati solo collaboratori. La Tabella I offre i dati dei lavori di interesse pediatrico, in confronto con i lavori di ricercatori con affiliazione pediatrica, raccolti fino al 2013, in quanto fino a quell’anno i lavori scientifici presenti in PubMed riportavano soltanto l’affiliazione del primo autore, presumibilmente afferente all’istituzione che aveva coordinato la ricerca. Si nota la tendenza in aumento del numero dei lavori pediatrici pubblicati, che vale anche per tutte le aree scientifiche presenti in banca dati. Abbiamo poi cercato di effettuare anche una valutazione comparativa con altri paesi europei, la maggior parte dei quali paragonabili all’Italia dal punto di vista economico (ma non per investimenti in ricerca e sviluppo, per i quali il nostro Paese è al penultimo posto, subito prima della Grecia). Nonostante questo limite, l’Italia precede Olanda, Regno Unito, Spagna, Svezia, Francia e Germania per quanto riguarda la numerosità dei lavori, dopo aver corretto i dati per l’entità degli investimenti per ricerca e sviluppo, a parità di potere d’acquisto della moneta nell’anno di riferimento. In questa valutazione sulla numerosità dei lavori rispetto agli investimenti per la ricerca, l’Italia risulta in realtà al secondo posto, anche se prima dell’Italia si classifica la Grecia, dove evidentemente il numero di lavori censiti da PubMed risulta superiore a quello delle altre nazioni esaminate, se normalizzato in base alla scarsità dei fondi messi a disposizione per la ricerca in quel paese. Certo il criterio soltanto quantitativo per valutare la ricerca effettuata in un certo paese deve essere integrato con una valutazione anche della qualità dei lavori pubblicati. Per questo abbiamo preso Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) è affidato ai giovani: problemi, prospettive, proposte Tabella I. Numero di lavori “pediatrici”, normalizzato per la spesa in ricerca e sviluppo, pubblicati in alcuni paesi europei tra il 01/05/2013 e il 30/04/2014. N° totale lavori/spesa Lavori di interesse pediatrico/spesa Lavori di ricercatori pediatrici/spesa GR 3388 GR 344 GR 216 NL 1652 NL 200 I 118 I 1576 I 174 NL 110 E 1377 UK 128 UK 53 UK 1160 S 96 E 48 S 842 E 89 S 40 F 604 F 52 F 33 D 521 D 37 D 23 Gr: Grecia; NL: Paesi Bassi; I: Italia; E: Spagna; UK: Regno Unito; S: Svezia; F: Francia; D: Germania. a campione i lavori pubblicati nei vari paesi europei nel corso del mese di giugno 2013, sia da ricercatori non pediatri, ma su temi di interesse per la pediatria, sia da ricercatori operanti in istituzioni pediatriche. Abbiamo scelto come parametro di qualità l’impact factor (IF) di ogni lavoro che, pur non rappresentando un parametro assoluto di valutazione della qualità, è comunque da ritenersi in buona correlazione con essa (Tab. II). Certamente si può osservare che nella produzione di autori pediatri in alcune nazioni, come i Paesi Bassi e la Germania, è presente una quota maggiore di lavori pubblicati su riviste a più alto IF. Tuttavia, in questo panorama europeo l’Italia non appare molto distante da altri paesi che investono di più nel settore della ricerca. Generoso Andria Non è paradossale che l’Italia abbia una produttività scientifica buona, in senso quantitativo, ma anche dal punto di vista qualitativo, a fronte di scarsi investimenti e di bassi numeri di addetti alla ricerca nel nostro Paese? Giusy Ranucci È vero. Questo apparente paradosso fa sospettare che alla base deve esserci un “lavoro nero” di giovani precari (studenti, specializzanti, borsisti, eccetera), come avviene con l’”economia sommersa”. Da giovane precaria che crede nella ricerca clinica vorrei contribuire a lanciare un grido d’allarme, perché si interrompa l’esodo verso altri sbocchi professionali di Tabella II. Percentuale per range di I.F. dei lavori su temi di interesse pediatrico prodotti dalla ricerca europea tra il 01/05/2013 e il 30/04/2014. % Ricercatori NON Pediatri I UK D F E NL S GR IF = 0 30 32 20 10 19 19 23 38 IF = 0-1 6 5 11 17 6 1 2 9 IF = 1-3 34 35 25 27 30 35 45 29 IF = 3-5 17 15 24 28 29 34 20 19 IF = 5-10 7 10 12 14 12 7 6 5 IF > 10 6 3 8 4 4 4 4 - Ricercatori pediatri I UK D F E NL S GR 20 34 18 20 24 15 14 25 IF = 0 IF = 0-1 6 4 2 28 - 2 8 29 IF = 1-3 52 35 40 26 48 30 46 39 IF = 3-5 14 16 26 19 22 29 26 7 IF = 5-10 6 9 9 5 4 19 3 - IF > 10 2 2 3 2 1 5 3 - Gr: Grecia; NL: Paesi Bassi; I: Italia; E: Spagna; UK: Regno Unito; S: Svezia; F: Francia; D: Germania 171 Tavola Rotonda giovani motivati e meritevoli, indispensabili per mantenere anche la ricerca pediatrica agli attuali livelli medio-alti. Generoso Andria Mi sembra giusto che questa Tavola Rotonda sulla ricerca clinica pediatrica affidata ai giovani sia stata aperta da una giovane ricercatrice, che ha voluto concludere il suo intervento con un avvertimento: i giovani pediatri che vorrebbero impegnarsi nella ricerca clinica si stanno rendendo conto che è meglio orientarsi verso altri sbocchi di carriera, prima che sia troppo tardi. Se, però, ci riferiamo alla forza lavoro dei pediatri, dei chirurghi pediatri e dei neuropsichiatri infantili, sul territorio, negli ospedali e nell’università, vediamo qual è il trend complessivo e le proiezioni per il futuro. Silvano Bertelloni, in collaborazione con colleghi di varia provenienza nell’area pediatrica, ha condotto per il Libro bianco della SIRP un’indagine sulla situazione demografica della pediatria di territorio, ospedaliera, accademica. Lo pregherei di focalizzarsi nel suo intervento sui dati più significativi che mostrano la progressiva riduzione di pediatri operanti nelle varie aree, in relazione a quanto questo impatterà sul reclutamento di giovani per carriere scientifiche di ricerca clinica. La situazione “demografica” della pediatria di territorio, ospedaliera e accademica e le possibili linee di tendenza Silvano Bertelloni Per prima cosa vorrei sottolineare che la situazione della pediatria italiana è piuttosto variegata. In totale, il numero totale dei pediatri è abbastanza elevato, ma “frammentato”. Il “gruppo” più consistente è certamente rappresentato dalla pediatria di famiglia, che attualmente dispone di oltre 7500 specialisti, dei quali oltre 6100 raggiungeranno però l’età massima pensionabile tra il 2015 e 2030 e solo in parte potranno essere rimpiazzati dai nuovi specialisti, se i contratti delle scuole di specializzazione resteranno ai livelli attuali. La pediatria di famiglia ha al momento scarso impatto dal punto di vista della ricerca scientifica, anche a livello internazionale. Con l’attivazione dell’indirizzo in pediatria delle cure primarie della nuova scuola di specializzazione potrebbe aumentare il numero di professionisti interessati alla ricerca clinica, come dimostra l’iscrizione di numerosi pediatri di libera scelta negli elenchi dei medici accreditati a partecipare a sperimentazioni cliniche. La rete ospedaliera pediatrica è costituita da un numero relativamente elevato di unità operative: 422 nel 2013, contro un fabbisogno calcolato di circa 300 in base agli standard del Progetto obiettivo materno-in172 fantile del 2000. Tuttavia, in molte strutture ospedaliere pediatriche si ha una scarsità di personale, per cui vi è difficoltà a coprire adeguatamente le varie attività assistenziali, soprattutto per quanto riguarda le specialità pediatriche. L’elevato livello di attività, spesso inappropriato come nei Pronto Soccorsi pediatrici, aggravato dall’applicazione della normativa europea relativa all’orario di lavoro, non favorisce quindi in molti ospedali lo sviluppo di ottimali percorsi di ricerca. Venendo alla pediatria universitaria, che istituzionalmente dovrebbe promuovere la ricerca e favorire l’inserimento dei giovani Pediatrician Scientist, si deve considerare che l’organico del settore scientifico disciplinare di pediatria generale e specialistica (MED 38) è quantitativamente piccolo rispetto al numero totale dei pediatri [circa il 2%, cioè 313 strutturati al 31 dicembre 2015 (professori ordinari 54, professori associati 109, ricercatori 150)] e in progressivo decremento, secondo le proiezioni del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR). Dei circa 3000 neuropsichiatri dell’infanzia e dell’adolescenza, la componente universitaria (MED 39) comprende, al 31 dicembre 2015, 77 strutturati (professori ordinari 17; professori associati 21; ricercatori 39). Anche in questo settore disciplinare, è probabile un progressivo decremento, secondo le proiezioni del MIUR, in particolare per quanto riguarda il ruolo di ricercatore. Situazione analoga si ha per la chirurgia pediatrica (MED 20). In sintesi, il quadro complessivo attuale è quello di un elevato numero di pediatri e professionisti di area pediatrica, spesso operanti in contesti troppo piccoli o frammentati, che – oltre a non permettere il raggiungimento di standard qualitativamente adeguati e un’ottimale disponibilità di risorse specialistiche e tecnologiche avanzate per impostare adeguati percorsi di ricerca clinica – non hanno possibilità di formare e reclutare giovani Pediatrician Scientist in carriere di ricerca. A questo proposito, voglio ricordare che, sia in Italia sia a livello mondiale, è in costante aumento il numero di donne in pediatria. Le donne hanno “fisiologicamente” una maggiore difficoltà nel conciliare la carriera di ricerca e la famiglia, per esigenze legate alle gravidanze e alla maternità. Per restare all’università italiana, a fronte di una non grande differenza tra maschi e femmine nell’ambito di tutti i ruoli universitari pediatrici (maschi circa 55% e femmine circa 45%), a livello di professori ordinari gli uomini sono 87% e le donne solo il 13%. Considerando dunque che la stragrande maggioranza dei medici che oggi scelgono la pediatria sono donne, bisogna affrontare la gestione delle diseguaglianze legate al genere nei percorsi di carriera per medicoscienziato e, più in generale, anche gli squilibri economici esistenti tra i vari ambiti professionali. Generoso Andria Silvano Bertelloni ci ha presentato le linee di tendenza della “demografia” della pediatria italiana, da cui si Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) è affidato ai giovani: problemi, prospettive, proposte deduce che anche nei luoghi dove la ricerca clinica dovrebbe svolgersi “per dovere istituzionale” si può prevedere un calo degli addetti ai lavori, complicato da una scarsa attrattività avvertita dai giovani medici per i motivi che cercheremo di approfondire nel corso di questa Tavola rotonda. Tra questi ci segnala anche le difficoltà che le giovani pediatre incontrano per diseguaglianze di genere, che le indirizzano eventualmente verso altri sbocchi professionali. Nell’area pediatrica un ruolo importante è svolto dalla neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, che è autorevolmente rappresentata in questa tavola rotonda da Giovanni Cioni, a cui chiedo che cosa avviene nel suo settore per formare e reclutare ricercatori clinici. La selezione di giovani interessati alla ricerca clinica nella neuropsichiatria infantile Giovanni Cioni Vorrei fare una piccola premessa per sottolineare che il 21º secolo è descritto come il secolo del cervello e che le neuroscienze rappresentano un settore scientifico in continuo ed enorme sviluppo. Tutto questo è documentato da vari report internazionali, che documentano come il 16% della produzione scientifica mondiale è nel campo delle neuroscienze e che tali articoli sono stati citati il 14% in più di tutte le aree tematiche. Qual è la situazione della ricerca italiana, che pure è considerata globalmente di buona qualità, nell’ambito delle neuroscienze, come testimoniano i premi Nobel Camillo Golgi e Rita Levi Montalcini e neuroscienziati prestigiosi come Moruzzi e i suoi allievi? Passo quindi all’argomento più specifico della neuropsichiatria infantile e alle possibilità di formazionelavoro per i giovani medici interessati alla ricerca sanitaria nel settore. Anche per il nostro settore valgono ovviamente tutte le problematiche che saranno discusse in questa Tavola Rotonda circa la formazione alla ricerca del corso di laurea in medicina e chirurgia, alle limitate possibilità ai fini formativi per la ricerca offerte dalle scuole di specializzazione, per cui pochi specializzandi chiedono di far coincidere l’ultimo anno della scuola con il primo anno del dottorato e al numero molto limitato di ricercatori a tempo determinato di tipo A (solo 1) e di tipo B (solo 1), che fanno capire i limiti del settore scientifico disciplinare MED 39, relativamente alla ricerca universitaria. Che cosa può fare dunque oggi un giovane interessato alle neuroscienze cliniche dell’età evolutiva per presentare un progetto di ricerca a bandi di selezione su base competitiva? In ambito pubblico, la fonte di finanziamento principale della ricerca sanitaria in Italia è rappresentata dal Ministero della salute, attraverso i bandi di ricerca finalizzata, ma esiste ovviamente anche il MIUR, con i bandi PRIN e le Regioni. Ci sono poi fonti private non profit come AIRC, Telethon, ma anche le industrie farmaceutiche come privato for profit, benché il rapporto proporzionale tra finanziamento pubblico e privato alla ricerca sanitaria sia fortemente sbilanciato a favore del primo (due terzi verso un terzo). Nell’ambito del bandi pubblici del MIUR non c’è stato nessun vincitore per le neuroscienze dell’età evolutiva, né nei PRIN 2010-2012, né per il bando FIRB 2013 dedicato ai giovani. Molto più interessanti i dati relativi ai progetti di ricerca finalizzata del Ministero della salute. Dopo un rigoroso processo di selezione, sono risultati approvati 221 progetti su 13.000. Tra i progetti per giovani ricercatori risultati vincitori, 19 su 47 nell’area clinico-assistenziale erano riferiti a temi di neuroscienze, di cui due per neuroscienze dell’età evolutiva (a fronte di quattro per le altre aree pediatriche). Su 46 progetti biomedici vincitori, 13 erano nell’ambito delle neuroscienze, di cui due nel campo delle neuroscienze dell’età evolutiva (a fronte di tre per tutte le altre aree pediatriche). I risultati sono quindi buoni per le neuroscienze in generale, fortemente rappresentate anche nell’ambito della rete degli IRCCS, ma molto meno favorevoli per le neuroscienze dell’età evolutiva e quindi per progetti che potevano coinvolgere ricercatori formati nell’ambito della neuropsichiatria infantile. Tuttavia è da rilevare che sembra ancora peggiore la performance dei ricercatori appartenenti alle scienze pediatriche diverse dalle neuroscienze. In conclusione, tutta la medicina dell’età evolutiva, pediatria e neuropsichiatria infantile, ha bisogno grande di ricerca, per poter fare sempre meglio l’assistenza. È sempre più importante investire in Clinical Trial Center per la sperimentazione di terapie innovative. Per questo i giovani neuropsichiatri infantili o i giovani pediatri devono sempre meglio essere formati a diventare protagonisti di questi nuovi ambiti di ricerca clinica, senza trascurare il ruolo formativo di un’esperienza di ricerca anche in ambito preclinico, almeno per gli aspetti metodologici. È necessario che risorse vengano dedicate alla ricerca di tipo assistenziale, soprattutto quella destinata ai giovani, ma con particolare attenzione alle caratteristiche dei progetti da prevedere nei bandi, impedendo che l’indicazione del giovane ricercatore sia usata come “bandiera” all’interno di progetti gestiti di fatto da ricercatori senior. Desidero infine sottolineare che la ricerca clinica deve andare anche oltre le strutture di eccellenza scientifica e assistenziale e coinvolgere le strutture territoriali di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, con indispensabili collegamenti che saranno possibili solo attraverso la formazione dei giovani medici alla ricerca clinica nella scuola di specializzazione. Generoso Andria Abbiamo ascoltato da Giovanni Cioni una relazione da cui si evince che la ricerca nell’ambito delle 173 Tavola Rotonda neuroscienze, in particolare negli IRCCS, di cui fa parte anche la Stella Maris di Pisa, riesce forse a garantire maggiori stimoli per il coinvolgimento dei giovani, rispetto a quello che avviene nelle istituzioni universitarie che possono proporre progetti per i bandi di ricerca finalizzati della Sanità, ma solo se i proponenti sono universitari in convenzione con il SSN. Approfondiamo allora questo argomento con interventi di due professori universitari, Angelo Ravelli e Alessandro Aiuti, che operano rispettivamente in un IRCCS pubblico pediatrico come il Gaslini di Genova e in un IRCCS privato generalista, come il San Raffaele di Milano. A Ravelli comincerei a chiedere un chiarimento sull’Associazione degli Ospedali Pediatrici Italiani (AOPI). Il reclutamento dei ricercatori clinici negli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico Angelo Ravelli L’AOPI è una ONLUS creata nel 2005, a seguito di una libera e volontaria aggregazione, ed è composta dai direttori generali dei tre IRCCS pediatrici (Istituto Giannina Gaslini di Genova, Bambino Gesù di Roma e Burlo Garofolo di Trieste), degli ospedali Meyer di Firenze, S. Anna di Torino, Salesi di Ancona, Santobono di Napoli, Civico Di Cristina di Palermo, Vittore Buzzi di Milano e dei dipartimenti di pediatria dell’Ospedale di Padova e degli Spedali Civili di Brescia. Tuttavia la ricerca clinica è, per dovere istituzionale, particolarmente attiva nei tre IRCCS pediatrici, uno dei quali, l’Ospedale Bambino Gesù è privato, con maggiore flessibilità e autonomia di gestione, anche delle carriere. La ricerca clinica è poi ugualmente molto qualificata in ospedali pediatrici a cui afferiscono strutture pediatriche universitarie, così come nei dipartimenti pediatrici appartenenti ad aziende ospedaliero-universitarie (Padova e Brescia). Generoso Andria Qual è, ad esempio, l’offerta formativa e il possibile percorso di carriera di ricerca nel Gaslini? Angelo Ravelli Presso il Gaslini sono presenti tutte le specialità pediatriche, mediche e chirurgiche, accanto a cattedre universitarie convenzionate e a numerosi laboratori di ricerca. Gli ultimi due anni della scuola di specializzazione sono dedicati alla preparazione della tesi di specializzazione presso una delle strutture universitarie. Attraverso questo meccanismo, viene offerta allo specializzando l’opportunità di entrare in contatto con un ampio ventaglio di settori specialistici e di 174 maturare un interesse, clinico o scientifico, per una delle diverse superspecialità pediatriche, grazie anche al coinvolgimento dello specializzando nei progetti di ricerca in atto presso la divisione. Durante il corso di specializzazione viene consentita, agli specializzandi che ne fanno richiesta, l’effettuazione di stage presso ospedali esteri particolarmente qualificati, allo scopo di approfondire la propria esperienza in uno specifico ambito clinico o di condurre progetti di ricerca collaborativa con il Gaslini. Nel complesso, quindi, le attività formative garantiscono allo specializzando l’acquisizione degli elementi essenziali della metodologia di ricerca clinica e della capacità di sviluppare, presentare e discutere un proprio progetto scientifico. Dopo il conseguimento della specializzazione, al giovane pediatra interessato a proseguire l’attività di ricerca viene proposta un’ampia gamma di opzioni, sia in ambito universitario che ospedaliero. L’offerta universitaria è basata sull’assegnazione di un dottorato di ricerca, di durata triennale, oppure di un assegno di ricerca, di durata annuale, ma rinnovabile. Negli ultimi anni, la Direzione Scientifica del Gaslini ha attivato numerosi contratti di eccellenza, assegnati su base competitiva e meritocratica a giovani ricercatori dotati di pubblicazioni di prestigio e progetti competitivi. Grazie a queste opportunità, è stato possibile trattenere al Gaslini, almeno per alcuni anni, numerosi neo-specialisti, che hanno concorso in maniera determinante alla realizzazione di importanti studi e progetti di ricerca. Attingendo ai finanziamenti del 5 per mille o con lo stanziamento di fondi ad hoc da parte della rete PRINTO (Pediatric Rheumatology International Trials Organization), il cui centro direzionale ha sede presso il Gaslini, sono stati reclutati alcuni ricercatori universitari a tempo indeterminato o determinato. La difficoltà principale nel dare continuità all’impegno di un giovane che manifesti una “vocazione” per la ricerca è quella di offrirgli una situazione lavorativa ragionevolmente stabile, in particolare una posizione di ricercatore universitario. Questo sbocco di carriera rimane, infatti, estremamente difficile a causa della cronica carenza di punti organico per il reclutamento delle università italiane. L’arruolamento potrebbe essere facilitato dalla possibilità di reclutare nuovi ricercatori a tempo determinato a costo zero in termini di punti organico, qualora si reperissero fondi esterni sufficienti a coprire il costo del salario per il periodo triennale, senza pesare sui dipartimenti universitari, né in termini economici che di punti organico. Generoso Andria Adesso la parola ad Alessandro Aiuti, che ci presenta il modello di un IRCCS privato e non esclusivamente pediatrico, altrettanto noto per l’eccellenza nella ricerca medica. Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) è affidato ai giovani: problemi, prospettive, proposte Alessandro Aiuti L’IRCCS Ospedale San Raffaele è un ospedale multispecialistico ed è il primo IRCCS italiano per impact factor prodotto e per finanziamento ricevuto dal Ministero della salute. La ricerca scientifica del San Raffaele è organizzata secondo un modello nel quale le attività che si svolgono nei dipartimenti clinici sono embricate “a matrice” con le attività di ricerca scientifica che si svolgono presso le divisioni e i centri di ricerca. Il San Raffaele ospita 99 unità di ricerca di base e 84 gruppi di ricerca clinica, conta 13 scuole di specializzazione di area medica (tra cui la Scuola di Specializzazione in Pediatria). Il corso di dottorato di ricerca internazionale in medicina molecolare ha l’obiettivo di formare dottori di ricerca in grado di inserirsi proficuamente nei comparti della ricerca di base, clinica e industriale. Ha durata triennale, fruisce di un co-finanziamento da parte del MIUR e comprende 4 curricula: 1) fisiopatologia cellulare e molecolare; 2) immunologia e oncologia di base e applicata; 3) medicina clinica e sperimentale; 4) neuroscienze e neurologia sperimentale. Trasversale ai 4 curricula, è previsto un programma di terapia genica e cellulare. Il percorso di carriera di un giovane interessato alla ricerca si sviluppa inizialmente attraverso la specializzazione o il dottorato di ricerca, per poi transitare nel ruolo di post-doc e in un secondo tempo in quello di project leader. Il passo successivo è il passaggio a group leader, che può sfociare nel ruolo dirigenziale di capo Unità (head of unit). Le promozioni a group leader e head of unit vengono valutate e decise da un apposito comitato istituzionale (Committee for appointment and promotion) sulla base di criteri pubblici e condivisi. Generoso Andria Questo tipo di sviluppo delle carriere, basato su un modello internazionale, è consentito per lo status di IRCCS privato, che consente maggiori autonomie organizzative rispetto agli IRCCS pubblici? Alessandro Aiuti Certamente sì. Il modello del San Raffaele è, quindi, quello di un IRCCS privato che ha potuto definire offerte di carriera a giovani motivati per la ricerca clinica, produttivi e meritevoli, con maggiore flessibilità rispetto al reclutamento del personale negli IRCCS pubblici. Un esempio interessante di percorso di carriera nella ricerca presso il San Raffaele, peraltro in tema col contenuto di questo nostro Forum, è quello del Physician Scientist. I compiti di questa figura di ricercatore sono quelli di promuovere e implementare la ricerca traslazionale all’interno dell’istituzione di appartenenza, favorire l’integrazione tra ricerca e attività clinico- assistenziale e accelerare i processi di trasferimento dei risultati dalla ricerca di base alla ricerca clinica e viceversa. Il reclutamento del Physician Scientist avviene attraverso un bando aperto. I giovani ricercatori vengono reclutati presso il San Raffaele attraverso diverse modalità e privilegiando i vincitori dei bandi MIUR per giovani ricercatori, i vincitori dei bandi ERC di ricerca di base, gli assegnatari dei bandi di carriera Telethon da parte del Dulbecco Telethon Institute, gli assegnatari dei bandi di carriera AIRC e gli assegnatari di altri bandi individuali, ad esempio quelli dell’Associazione Fibrosi Cistica, FISM, AriSLA ecc. L’acquisizione di questi finanziamenti viene considerata di fondamentale importanza per la qualificazione del giovane ricercatore e può rappresentare il primo passo verso la sua indipendenza lavorativa e scientifica. Dal 2011 a oggi sono stati reclutati presso il San Raffaele 31 giovani ricercatori, grazie ai fondi della ricerca finalizzata e 9 ricercatori tramite i finanziamenti ERC. Generoso Andria Una delle caratteristiche della pediatria rispetto alla medicina dell’adulto è di aver conservato un approccio generalista e “olistico” verso il paziente. Tuttavia anche nella cosiddetta medicina dell’età evolutiva si sono progressivamente sviluppate le specialità rivolte a fasce d’età (neonatologia e adolescentologia), ma anche specialità d’organo e apparato, analogamente a quelle nate dalla medicina interna. Molte di queste specialità pediatriche sono estremamente attive nella ricerca clinica, anche se soffrono di un “complesso di inferiorità” nei confronti delle corrispondenti specialità della medicina dell’età adulta. Chiedo di chiarire questi rapporti tra specialisti omologhi, ma per fasce di età diverse, a Franco Chiarelli, professore di Pediatria e nello stesso tempo ricercatore clinico di statura internazionale nel campo della endocrinologia e diabetologia pediatrica. Rapporti tra la ricerca specialistica in pediatria e la ricerca specialistica nella medicina dell’adulto Francesco Chiarelli Un primo punto rilevante di discussione è rappresentato dal differente impatto che hanno le principali riviste scientifiche che si occupano di uno specifico settore della medicina dell’adulto, se confrontate con le riviste di ambito pediatrico, generali e specialistiche. Confrontando gli IF di alcune delle più diffuse riviste questa differenza appare evidente. La rivista pediatrica con più alto IF ha un valore di circa 7, mentre il 175 Tavola Rotonda valore medio delle riviste pediatriche è intorno a 3,5. Per quanto riguarda le riviste di medicina generale invece l’IF maggiore è quello del New England Journal of Medicine (55,873). Tale divario permane anche in campo specialistico (ad esempio il Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism ha un IF 10 volte superiore al Journal of Pediatric Endocrinology and Metabolism. Ma un gruppo che si occupa di ricerca pediatrica riesce a pubblicare su tali riviste non di settore? Generalmente, le pubblicazioni su riviste con alto IF (soprattutto trial clinici e studi sperimentali) presentano livelli di evidenza maggiori rispetto ai lavori pubblicati su riviste con IF più basso, come quelle pediatriche generaliste e specialistiche. Tuttavia le riviste cliniche ad alto IF pubblicano soltanto una parte dei lavori scientifici che vengono invece resi fruibili dalle riviste di pediatria generale, che hanno un IF più basso, ma che possono raggiungere un maggior numero di pediatri. Un settore molto attivo della ricerca scientifica è quello della sperimentazione di nuovi farmaci, indirizzati a gruppi di popolazione generale, e pediatrica in particolare, con specifiche condizioni morbose. Per la maggior parte, i farmaci attualmente disponibili sul mercato sono stati studiati e sperimentati quasi esclusivamente su pazienti adulti e sono spesso privi dell’autorizzazione per l’uso specifico nei bambini (uso off-label). Gli RCTs su popolazioni pediatriche vengono pubblicati soprattutto su riviste di pediatria generale (come Pediatrics) piuttosto che su general medical journals. Infine, il numero elevato di lavori diversi dagli RCTs (ad esempio, studi osservazionali ed epidemiologici) può fornire una spiegazione alternativa o suppletiva all’aumento di questo gap tra la ricerca in età adulta e quella in ambito pediatrico. L’Europa e gli Stati Uniti hanno emanato leggi e regole che incoraggiano le industrie farmaceutiche a investire una parte delle loro risorse nella ricerca sul paziente pediatrico, al fine di ottenere dati sull’efficacia, la sicurezza e i profili farmacocinetici e farmacodinamici dei nuovi agenti farmacologici. Ciò nonostante, a oggi non si evince una riduzione netta del gap con la produzione scientifica sull’adulto. Generoso Andria Una domanda finale a Francesco Chiarelli: quanto è importante per le specialità pediatriche mantenere alti livelli di qualità scientifica e quindi di qualità assistenziale per “contrastare” il rischio ricorrente che i bambini con problemi specialistici vengano indirizzati e curati dallo specialista dell’adulto? Francesco Chiarelli Certamente l’interazione tra ricerca clinica pediatrica e ricerca clinica nella medicina dell’adulto può generare o aumentare il rischio di invasione della medicina dell’adulto anche nell’assistenza dei bambini con 176 patologie specialistiche: tale rischio può essere prontamente prevenuto attraverso una ricerca scientifica sempre più ricca di contenuti e nuove evidenze, che permetta anche di stilare linee guida validate, al fine di limitare la generalizzazione degli interventi clinici sulla base delle evidenze disponibili sulla popolazione adulta. Inoltre sviluppare tali linee guida significa monitorare efficacemente le stesse evidenze scientifiche e individuare le aree di incertezza verso cui indirizzare la ricerca clinica, soprattutto nei settori specialistici della pediatria. La risposta ideale sarebbe rappresentata da un’agenzia nazionale per la ricerca clinica e l’appropriatezza, in modo da limitare l’ingerenza della ricerca condotta sugli adulti, rispetto a quella condotta in età pediatrica. Generoso Andria A questo punto è da ricordare il ruolo delle società scientifiche pediatriche per la promozione della ricerca clinica. Purtroppo Giovanni Corsello, presidente della SIP e della FIARPED (Federazione delle società e Associazioni pediatriche italiane), non ha potuto essere tra noi oggi, ma ci ha inviato le sue riflessioni (che appariranno nel Libro bianco della SIRP, in preparazione). Alcune linee lungo le quali si possono indirizzare interventi efficaci da parte delle società scientifiche possono essere, secondo Corsello, riassunte in: interventi di stimolo e di supporto verso giovani medici e ricercatori interessati a svolgere stage di ricerca in centri accreditati a livello nazionale e internazionale, attraverso borse o premi; corsi di formazione alla metodologia della ricerca scientifica; collaborazione e sinergia con le società scientifiche dell’area pediatrica dei vari paesi; pubblicazione di linee guida e di protocolli clinici in grado di favorire lo sviluppo di studi e di ricerche finalizzate; coordinamento per la costruzione di network tra enti e istituzioni interessati a mettere insieme casistiche e approcci diagnostici di laboratorio. Ritorniamo ora ai giovani e alla loro formazione. Nel titolo di questa Tavola Rotonda abbiamo voluto enfatizzare il messaggio che il futuro della ricerca clinica dipende dai giovani. Ma perché un giovane sia attratto e scopra un interesse o una vocazione per l’attività scientifica applicata alla medicina, deve avere contatti con questo mondo, incontrare ricercatori che lo motivino e poi convincersi che valga la pena di fare una scelta che comporta rischi, rispetto a sbocchi professionali più tranquilli e remunerativi. A Giannini che vive in una realtà come la Clinica pediatrica di Chieti, dove si insegna allo studente di medicina e si fa ricerca clinica, ho chiesto di illustrare che cosa è successo recentemente nel corso di laurea in medicina con alcune nuove normative nazionali che hanno di fatto reso difficile un’esperienza anche preliminare di ricerca per uno studente motivato. Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) è affidato ai giovani: problemi, prospettive, proposte Cambiamenti recenti e proposte per l’avvio alla ricerca clinica degli studenti di medicina Cosimo Giannini Ciò che si sta verificando è il progressivo allontanamento dei laureati in medicina e chirurgia dall’addestramento alla ricerca scientifica, le cui cause si potrebbero riassumere come segue: • la difficoltà a confrontarsi in maniera continuativa con la ricerca durante il corso di laurea magistrale in medicina e chirurgia; • la carenza di una proposta didattica che integri l’addestramento alla professione medica con quello alla ricerca; • la difficoltà a continuare il percorso formativo postlaurea con il corso di dottorato, che entra in competizione con lo svolgimento della scuola di specializzazione. Generoso Andria Quindi oggi nel corso di laurea in medicina è difficile “catturare”, come per il passato, uno studente che abbia voglia di essere coinvolto in un progetto di ricerca. Ma più tardi si verifica questo coinvolgimento, più difficile è reclutare un giovane verso un impegno in campo scientifico. Chiedo a Giannini che cosa si fa all’estero e si potrebbe fare in Italia per favorire presto, già durante il corso di laurea in medicina, questa esposizione all’attività di ricerca dello studente e naturalmente incanalarlo verso una possibile carriera accademica e scientifica. Cosimo Giannini Il programma MD-PhD (dall’inglese MD: Medical Doctor e dal latino PhD: Philosophiæ Doctor) è un percorso destinato a studenti in medicina fortemente motivati. Negli Stati Uniti è stato avviato negli anni ’50. Successivamente il Canada e anche alcuni paesi europei ed extra-europei hanno adottato nel corso degli anni il programma MD-PhD ricalcando, con piccole variazioni, il sistema americano e tra questi la Gran Bretagna, la Germania, la Svizzera, oltre all’Australia e Singapore. In Italia, il programma MD-PhD è stato sperimentato in un importante ateneo italiano, nell’Università degli Studi di Torino, e successivamente è stato parzialmente esteso anche ad altri atenei. Il percorso MD-PhD in Italia è oggi strutturato come percorso formativo aggiuntivo al corso di laurea in medicina e chirurgia, a partire dal 2° anno, e porta al conseguimento simultaneo della laurea in medicina e chirurgia e del certificato di alta qualificazione denominato “Diploma in Medicina Sperimentale”. Il programma MD-PhD ha essenzialmente l’obiettivo di preparare i futuri medici a operare nel punto d’in- contro tra la medicina clinica e la ricerca sperimentale. Pertanto il programma MD-PhD nasce dalla volontà di investire sulla formazione di medici con particolari capacità e potenzialità di guidare la transizione o la “traslazione” bench-to-bedside, che permetta in modo rapido di trasferire i risultati dal laboratorio al paziente, in quella che si definisce appunto “Medicina Traslazionale”. L’obiettivo didattico è istruire un gruppo ristretto di studenti di medicina e chirurgia, affinché sviluppino interesse e competenza alla ricerca e vengano motivati a continuare dopo la laurea il loro percorso formativo, con l’acquisizione del dottorato di ricerca. Questo programma preparerà giovani medici capaci di lavorare in scienze di base, traslazionali e cliniche, per incrementare conoscenze mirate allo sviluppo e all’applicazione di nuovi approcci di prevenzione, diagnosi e terapia. Il doppio percorso permette di acquisire competenze e crediti formativi per i corsi di dottorato di ricerca, che resta in ogni caso una scelta offerta ai diplomati e non un percorso obbligatorio. Come già accade in diverse realtà europee, per esempio in Germania, al fine di permettere una adeguata differenziazione degli studenti coinvolti in programmi MD-PhD, si dovrebbero stabilire due tipologie di lauree: (a) una più medica, con acquisizione del titolo di “Medico” e possibilità di ulteriori sbocchi verso attività specialistica-professionale; e (b) una più specifica “medico-scientifica”, con acquisizione del titolo di “Dottore in Medicina”, ma con maggiori sbocchi nel campo accademico-clinico e della ricerca. Tale processo dovrebbe essere cosi rivolto al potenziamento del valore della tesi di laurea degli studenti afferenti al programma MD-PhD, i quali, al termine del processo formativo acquisirebbero comunque il titolo di dottore in medicina. Al contrario, gli studenti direttamente coinvolti nel corso di laurea in medicina e chirurgia potrebbero proseguire il proprio corso di laurea senza elaborare una tesi di laurea al termine del corso e acquisire il titolo di medico. Tali variazioni permetterebbero un’adeguata differenziazione dei due percorsi formativi. Generoso Andria Rispetto al programma MD-PhD, che caratteristiche ha il cosiddetto “Percorso di Eccellenza” durante il corso di laurea? Cosimo Giannini Il percorso di eccellenza è un progetto nazionale italiano, che ha l’obiettivo di valorizzare la formazione di studenti iscritti al corso di laurea in medicina e chirurgia, meritevoli e interessati allo svolgimento di attività di ricerca clinica e/o di base. Per quanto riguarda, per esempio, l’Università degli Studi di Chieti “G. D’Annunzio”, il percorso di eccellenza è stato introdotto per la prima volta a partire dall’anno accademico 2013/2014. Si tratta di un percorso integrativo del corso di laurea 177 Tavola Rotonda in medicina e chirurgia e consiste in attività formative extra-curriculari e aggiuntive a quelle del corso di studio. Il percorso di eccellenza si avvicina ai programmi “MD-PhD” ma presenta, come valore aggiunto, una caratterizzazione specifica in ricerca clinica di tipo traslazionale. Rappresenta comunque un altro modello di percorso finalizzato a selezionare e “indirizzare” giovani studenti motivati verso possibili carriere di ricerca clinica. Generoso Andria Prendiamo in ogni caso atto che un percorso tipo MDPhD non si può introdurre rapidamente nel nostro ordinamento didattico. Allora questa “contaminazione” con la ricerca clinica è di fatto rimandata alla scuola di specializzazione. Giuseppe Saggese è il coordinatore della Conferenza dei direttori delle scuole di specializzazione di pediatria e negli anni ha profuso il suo impegno, condiviso dai docenti di pediatria, di definire il curriculum formativo dello specializzando, oggi omogeneo a quello adottato in Europa. Può Saggese illustrare che cosa è cambiato nella scuola di specializzazione, con particolare riferimento alle opportunità, per un certo numero di specializzandi motivati, di essere attivamente partecipi e collaboratori di progetti di ricerca? Dalla specializzazione alla ricerca: il percorso congiunto specializzazione-dottorato di ricerca e la proposta di percorso formativo (sub)specialistico in pediatria Giuseppe Saggese Il 4 febbraio 2015 è stato emanato il Decreto interministeriale di riordino delle scuole di specializzazione (DI n. 68). Il Decreto ha pienamente recepito la proposta di modifiche avanzate al MIUR e al CUN dalla Conferenza dei direttori delle scuole di specializzazione di pediatria in un documento presentato già nel 2012. Un primo importante risultato ottenuto è stato quello che, a fronte della diminuzione generale della durata delle scuole di specializzazione attuata dal MIUR, la durata della pediatria è stata mantenuta di 5 anni. Il curriculum di base (triennio) è destinato all’acquisizione di un bagaglio di saperi comuni che tutti i pediatri devono possedere, indipendentemente dalla collocazione professionale futura. Anche nella prima fase del triennio, lo specializzando frequentando durante le sue rotazioni i reparti specialistici, può iniziare a seguire progetti di studio e di ricerca clinica. 178 Durante il biennio (sub)specialistico, lo specializzando deve continuare la sua formazione in pediatria generale, neonatologia ed emergenza-urgenza. Lo specializzando che opta per un indirizzo (sub) specialistico ha sicuramente l’opportunità di svolgere un’attività di ricerca clinica, essere inserito in progetti di ricerca e partecipare alla stesura di pubblicazioni. Un’attività di ricerca clinica può essere svolta anche frequentando l’indirizzo delle cure primarie e delle cure secondarie ma, ovviamente, i settori (sub)specialistici rappresentano campi sicuramente appropriati per svolgere attività di ricerca. il Decreto sottolinea che la scuola può attivare gli indirizzi che essa “è in grado di offrire”. Questo implica che, nell’ambito delle singole scuole, si dovrà realizzare un processo di accreditamento, che idealmente non dovrebbe trattarsi di un auto-accreditamento. La Conferenza dei direttori delle scuole di specializzazione dovrà essere proattiva in questo senso, definendo dei criteri (strutture, casistica, personale strutturato dedicato, attività scientifica ecc.), in base ai quali una scuola possa attivare un determinato ambito specialistico. Naturalmente, si dovrà anche tenere conto del fabbisogno dei (sub) specialistici, che dovrà essere basato su criteri demografici ed epidemiologici, analogamente a quanto viene fatto negli Stati Uniti. Al fine di completare la formazione (sub)specialistica del pediatra, iniziata durante la scuola di specializzazione, la Conferenza dei direttori delle scuole di specializzazione, in sinergia con il Collegio dei Professori Universitari di Pediatria (COPUPE) e la Società Italiana di Pediatria (SIP), ha presentato al MIUR e al CUN una proposta di attivazione di un percorso formativo (sub)specialistico in pediatria, da effettuarsi dopo la scuola di specializzazione. Tale proposta è stata accettata e il progetto è ora in fase di attuazione. Lo scopo è quello di definire dei percorsi formativi (sub)specialistici, collegati in successione alla scuola di specializzazione, che vadano a integrare il biennio effettuato in una determinata (sub)specialità, in modo da completare la formazione (sub)specialistica, ottenendosi un diploma/certificazione di pediatra (sub) specialista in una delle branche della pediatria. Tali percorsi avrebbero la finalità di formare pediatri (sub) specialisti di alto livello, destinati a sbocchi professionali in ospedali pediatrici e centri di terzo livello. Anche per questo percorso (sub)specialistico successivo alla specializzazione dovrebbero naturalmente essere offerte opportunità di ricerca clinica qualificata. Generoso Andria Che cosa succede dopo la fine della specializzazione se un giovane pediatra vuole continuare a conciliare la sua formazione clinica con quella scientifica? A Gianni Bona, direttore della Clinica pediatrica di Novara, chiederei di valutare quello che, sempre negli ultimi anni, è avvenuto col dottorato di ricerca, cioè Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) è affidato ai giovani: problemi, prospettive, proposte con l’offerta formativa di eccellenza per un giovane che voglia avviarsi verso una carriera di ricerca clinica. Anche in questo campo è cambiato qualcosa? In meglio o in peggio? Gianni Bona La Legge n. 240 del 30 dicembre 2010, articolo 19, recita: “È consentita la frequenza congiunta del corso di specializzazione medica e del corso di dottorato di ricerca. In caso di frequenza congiunta, la durata del corso di dottorato è ridotta a un minimo di due anni”. Pur col vantaggio di una norma di legge che ne sancisce l’ufficialità, il percorso congiunto ha due limiti: il primo, costituito dalla difficoltà di avviare a una tipologia di PhD che non sempre, anzi quasi mai, ha una connotazione pediatrica, alla luce anche del recente riordino dei dottorati. Qualcosa è ora in cantiere per un percorso (sub)specialistico successivo al diploma di specializzazione? Sicuramente, se questo si realizzasse presto, rappresenterebbe un’altra occasione per conciliare la formazione in campo specialistico con una formazione al metodo scientifico, da applicare alla ricerca clinica. Il secondo limite è invece più difficilmente superabile ed è rappresentato dalla disparità di trattamento economico fra lo specializzando titolare di contratto e il borsista dottorando. Si può certo ovviare con assegni di ricerca o altra modalità, ma tutto ciò non favorisce certamente l’arruolamento. Per favorire l’attitudine alla ricerca, la frequenza di Master di II livello inerenti la ricerca clinica in ambito pediatrico non dovrebbe essere preclusa durante il percorso di dottorato, ma anzi incentivata, al fine di realizzare appieno il curriculum di alta formazione, a cui fa riferimento il DI n. 68 sul riordino delle scuole di specializzazione. Generoso Andria Supponiamo ora di vivere in un sistema che ha delineato percorsi formativi, dal corso di laurea, alla specializzazione, da un eventuale titolo di pediatra (sub) specialista al dottorato di ricerca. Sarebbe sufficiente, considerato il contesto del nostro Paese, del sistema universitario e di quello sanitario, ad attrarre un giovane medico, un giovane pediatra a intraprendere una carriera di ricerca clinica? Claudio Pignata è un immunologo clinico molto attivo in ricerca, che ha avuto negli anni continui contatti coi giovani, come coordinatore del corso integrato di pediatria e del dottorato di ricerca. A lui chiedo che cosa oggi, sempre a seguito della famosa legge di riforma 240/2010, offre l’Università a un giovane specialista che voglia perseguire una carriera accademica. Il reclutamento nell’Università di giovani ricercatori dell’area pediatrica Claudio Pignata Il problema del reclutamento ha molteplici risvolti: è evidentemente un problema di formazione del “giovane ricercatore”, di cronogramma del precariato in area biomedica, di legislazione ai sensi della legge di riforma universitaria 240/2010, con specifico riferimento ai requisiti per il reclutamento e la progressione in carriera universitaria dei giovani, di definizione di “profili di competenza” dei giovani ricercatori, che siano funzionali alle esigenze scientifiche delle diverse e numerose aree di ricerca di interesse pediatrico, e di incontro tra domanda e offerta. Alcuni anni orsono la SIRP ha promosso un’indagine conoscitiva tra i coordinatori di corsi di dottorato di area pediatrica con la finalità di acquisire informazioni sulla tipologia di studente che frequentava i corsi, sulla numerosità dei dottorandi di area pediatrica, sulla caratterizzazione in indirizzi scientifico-culturali dei corsi, sulla congruenza tra gli indirizzi e la robustezza scientifica delle aree culturali nel nostro Paese, in un periodo di analisi di 5 anni. Il risultato di tale indagine ha messo in luce significative criticità del sistema, solo in minima parte corrette dalla legge 240 di riordino del sistema universitario o, in alcuni casi, addirittura peggiorate. Tra le criticità più rilevanti va annoverata la congruenza solo parziale tra gli indirizzi dei dottorati e i punti di forza della ricerca pediatrica in Italia, essendo l’indirizzo spesso indice più della vocazione professionalizzante dei proponenti in quel dato sotto-settore, che dell’orientamento scientifico. Altra criticità importante è la non efficacia dell’istituto del dottorato nel promuovere il turn over dei docenti, a fronte di un considerevole numero di dottorandi iscritti ai corsi (328 in 5 anni, di cui il 58% di laureati in medicina). L’aspetto del turnover risulta addirittura aggravato dalla legge 240, in quanto essa prolunga ulteriormente la fase del reclutamento del giovane ricercatore di area medica, senza che l’acquisizione del titolo di dottore di ricerca abbia un valore definito nei processi di selezione. Accanto a queste criticità principali, nell’indagine SIRP venivano, inoltre, rilevate la mancanza di un network nazionale degli istituti di ricerca, che promuovesse l’offerta formativa orientata sulle reali esigenze scientifiche, in base ai punti di forza nella ricerca, e la scarsa o nulla pubblicizzazione dei profili formativi dei dottori, che ne valorizzasse la competenza e caratterizzazione scientifica nella fase di ingresso nel mercato del lavoro. Su tale punto è auspicio della SIRP che si attui un’indagine conoscitiva dei giovani che aspirano alla carriera accademica, su base volontaria e autocertificativa, che abbia la finalità di identificare su scala nazionale i candidati 179 Tavola Rotonda con maggiore competitività scientifica. Sarebbe auspicabile la creazione di una piattaforma digitale nel sito SIRP, che secondo il modello ESPR, permetta un censimento dei giovani aspiranti ricercatori e che ne valorizzi i profili formativi di competenza. La legge 240/2010, col percorso di ricercatore a tempo determinato di tipo A di 3+2 anni e di ricercatore, sempre a tempo determinato di tipo B di 3 anni, pone come condizione il superamento dell’abilitazione scientifica nazionale alla fine, intorno ai 38-40 anni, che potrebbe far decidere un pediatra, e ancor più una pediatra, sia pur motivata, a dirigersi verso differenti e più immediati sbocchi professionali. Generoso Andria Quali proposte Claudio Pignata suggerirebbe, quindi, per rendere l’Università più attrattiva? Claudio Pignata Sinteticamente, è indispensabile: • fornire a coloro che hanno forti motivazioni a intraprendere una carriera scientifica meccanismi per svolgere le attività di ricerca durante la fase di formazione pediatrica di base; • garantire allo studente/specializzando di acquisire le competenze necessarie per operare nell’ambito della ricerca, con la possibilità di fruire di corsi dedicati all’acquisizione di skill propedeutici alla formazione del giovane ricercatore; • favorire la transizione verso una carriera di medico-ricercatore, garantendo un riconoscimento dei meriti e delle potenzialità, che tenga conto della difficoltà di acquisire i parametri bibliometrici richiesti attualmente dall’abilitazione scientifica nazionale in giovane età. Generoso Andria Abbiamo visto che uno dei problemi che potrebbero scoraggiare un giovane dal continuare la sua attività clinica e scientifica nell’Università è costituito dalla difficoltà di superare l’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN) in tempo, prima o anche durante i tre anni previsti per il ruolo a tempo determinato di tipo B. Questa difficoltà rischia di vanificare uno dei punti innovativi della riforma universitaria, cioè della cosiddetta tenure track, col passaggio dal ruolo di ricercatore di tipo B a quello (a tempo indeterminato) di professore associato, atteso che si sia superata l’abilitazione. Questa è un’evenienza non comune a un’età inferiore ai 40 anni. Andrea Biondi e Paolo Paolucci sono stati commissari delle prime e uniche due tornate dell’ASN per la macroarea di pediatria generale, specialistica e neuropsichiatria infantile. Quale è stata la loro esperienza e quali indicazioni e proposte potrebbero essere avanzate per il futuro, considerando che a livello ministeriale si sta modificando qualcosa nelle norme finora vigenti? 180 Paolo Paolucci potrebbe illustrarci alcuni dati più significativi delle due tornate di ASN, anche in rapporto col tema di questa Tavola Rotonda? L’esperienza dell’Abilitazione Scientifica Nazionale per i settori scientifico-disciplinari pediatrici Paolo Paolucci Negli ultimi anni è stato implementato, per le università e le sue varie strutture, un sistema di valutazione dei risultati della ricerca scientifica da parte dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR), in termini soprattutto qualitativi, a cui si lega l’erogazione proporzionale di fondi ministeriali. Tutto questo dovrebbe creare un meccanismo virtuoso di premialità per le strutture produttive e di sanzioni, non solo economiche, per quelle meno attive, che si dovrebbe tradurre a cascata in una motivazione all’impegno di ricerca anche per il personale universitario. Purtroppo le valutazioni si riferiscono ai dati di alcuni anni addietro e gli effetti economici hanno, se li avranno, una latenza che incoraggia il lassismo, soprattutto per chi, nelle aree cliniche, ha interessi anche professionali esterni all’Università. Sempre la Legge 240/2010 ha previsto per gli aspiranti alla carriera accademica una nuova modalità di reclutamento del personale docente, basata sul raggiungimento del requisito dell’ASN. Tale valutazione viene svolta da commissioni nazionali e attesta la qualificazione scientifica dei candidati anche, ma non solo, in base al superamento di alcune soglie di parametri numerici definiti statisticamente per ogni settore scientifico disciplinare, parametri relativi a numero totale di pubblicazioni presenti in banche dati bibliometriche, numero complessivo di citazioni e H-index, corretti per età accademica, in modo da non penalizzare teoricamente i candidati più giovani. I dati più interessanti delle prime due tornate dell’ASN nel 2012 e 2013 sono, molto sinteticamente, i seguenti: • nell’ambito degli idonei di I fascia (69/147 concorrenti), circa il doppio degli idonei era già nei ruoli universitari, mentre gli altri ricoprivano incarichi prevalentemente come ospedalieri o all’interno di IRCCS; • nell’ambito degli idonei di II fascia (154/325 concorrenti), invece, circa il 60% aveva incarichi ospedalieri o all’interno di IRCCS. I dati indicano che, almeno da un punto di vista scientifico (obiettivo dell’ASN) il profilo “accademico”, rispettivamente il 32% come professori ordinari (PO) e il 57,8% come professori associati (PA), è oggi presente in diverse strutture di diagnosi e cura pediatriche al di fuori dell’Università. Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) è affidato ai giovani: problemi, prospettive, proposte Per quanto riguarda il genere dei candidati, emerge per gli idonei di I fascia la netta prevalenza di genere maschile (62/69, cioè 90%) mentre tra gli idonei di II fascia, persiste in minore misura la prevalenza di genere maschile (97/154, cioè 63%). A livello universitario emerge uno spazio minore per il genere femminile rispetto al maschile per quanto riguarda la I fascia, fatto per altro noto. La situazione appare sensibilmente migliore per quanto riguarda la II fascia, specie in ambito universitario, dato che potrebbe essere letto come la tendenza nel tempo a maggiori opportunità per le ricercatrici, verosimilmente più giovani. Al contrario, nell’ambito non universitario, o per scelta o per disponibilità, il genere femminile sembra ambire meno a sviluppare l’attività scientifica e di ricerca. Un altro dato di particolare interesse (anche se già noto per la popolazione dei docenti universitari italiani) riguarda l’età degli idonei. Il 91% degli idonei a I fascia ha un’età ≥ 47 anni, mentre solo il 9% ha un’età < 47 anni. I dati relativi all’età per la II fascia sono più incoraggianti di quelli per la I fascia. Infatti, circa il 60% degli idonei per la II fascia ha un’età ≥ 47 anni, mentre circa il 40% ha un’età < 47 anni. Quindi a livello di idonei a professore associato, cioè di persone più giovani, risulta la presenza di una qualificata attività di ricerca in candidati all’abilitazione che lavorano in IRCCS o in ospedali e non hanno un ruolo universitario. Mi sembra invece poco incoraggiante il dato, sempre tra gli idonei per professore associato, di una presenza di pediatre, che per motivi personali e familiari sarebbero potenzialmente più portate a rinunciare a una carriera scientifica rispetto ai maschi. Invito ora Andrea Biondi a chiudere con alcune considerazioni generali sull’esperienza e i risultati dell’ASN per l’area pediatrica. per accedere a un posto di ricercatore di tipo B con tenure track per il ruolo di professore associato. È fortemente auspicabile che le regole dell’ASN vengano attentamente riviste e tengano conto di quanto realisticamente un giovane riesce a raggiungere, anche con uno stage all’estero di qualche anno, in termini di numero di pubblicazioni e di citazioni dei suoi lavori. Verosimilmente, è ragionevole orientarsi piuttosto sui dieci anni di attività per raggiungere i titoli utili per l’idoneità, ma probabilmente, piuttosto che ai numeri e ai vari parametri bibliometrici, che tentano di “spaccare il capello in quattro”, a volte in modo del tutto ragionieristico, dovremmo guardare a quello che accade nel resto del mondo. Ad esempio, in un percorso virtuoso, il ruolo di Assistant Professor viene riconosciuto come primo step della carriera accademica, non necessariamente con titoli bibliometrici confrontabili con quelli richiesti dall’ASN per l’idoneità a professore associato. Ovviamente, questa prospettiva è attuabile in contesti in cui la ricerca e l’università sono considerate un investimento del e per il Paese, e risulta più facile di fatto selezionare i migliori, anche come conseguenza della mobilità dei docenti, che in Italia è assolutamente marginale. In conclusione l’ASN ha indubbiamente reso più trasparente un percorso di valutazione dell’idoneità scientifica dei candidati alla carriera universitaria, facendo emergere competenze e profili che non sarebbero mai stati giudicati idonei a questa carriera con le precedenti modalità concorsuali. Ciò si è tradotto in un virtuoso (anche se limitato) numero di “chiamate” di professori in diverse sedi accademiche. Resta, al contrario, il fatto che per la maggiore parte degli idonei “non universitari” l’ottenuta idoneità costituisce solo un titolo di merito e probabilmente non di opportunità. Andrea Biondi Generoso Andria Il dato dell’età che emerge, da quanto esposto da Paolo Paolucci, suggerisce almeno due aspetti da considerare: • coloro che hanno una più forte vocazione alla ricerca devono sottostare a una lunga “anticamera”, condizionata dalla mancanza di progettazione (chi fa cosa e perché), dalla pochezza delle risorse economiche e da sconcertanti dinamiche concorsuali universitarie dei decenni scorsi; • nel percorso della cosiddetta riforma Gelmini resta da verificare se i 5 anni previsti come ricercatore a tempo determinato di tipo A (magari dopo un dottorato o a conclusione della scuola di specializzazione) rendano possibile il raggiungimento dei titoli che nella ASN erano richiesti per idoneità alla II fascia e che rappresenta di fatto un pre-requisito Ho ripetuto più volte che il focus di questa Tavola Rotonda è rappresentato dai giovani, a cui a nostro parere, è affidato il destino della ricerca clinica, per evitare che si realizzi l’“apoptosi”. È quindi giusto a questo punto dare la parola ai protagonisti, cioè ai pediatri in formazione, dai quali speriamo escano fuori sempre nuove vocazioni verso una carriera scientifica e accademica. La SIRP ha stabilito una fruttuosa interazione con l’Osservatorio Nazionale Specializzandi di Pediatria (ONSP), che ha risposto con grande disponibilità a proposte di collaborazione. Tra queste cito innanzitutto due questionari distribuiti mediante diversi canali informatici (sito web, newsletter, profili dedicati sui social network) dell’ONSP e della SIRP tra gli specializzandi e pediatri, soprattutto di estrazione universitaria e ospedaliera. Maurizio Mennini, coordinatore del gruppo di lavoro “Ricerca in Pediatria” dell’ONSP, ci riassume i dati più Generoso Andria 181 Tavola Rotonda significativi anzitutto dell’indagine sull’interesse per la ricerca degli specializzandi. I giovani e la ricerca clinica pediatrica: tra formazione e “frustrazione” un rapporto sempre più difficile Maurizio Mennini I risultati delle due indagini dal titolo: “Indagine sul reclutamento di giovani laureati in una carriera di ricerca clinica nell’area pediatrica” e “L’apoptosi annunciata della ricerca clinica (pediatrica)”, sono integralmente riportati (per i quesiti schematizzabili in grafico) nel Libro bianco della SIRP in corso di stampa e accessibili in extenso alla sezione “questionari” del sito www.onsp. it. In totale sono stati ricevuti 312 questionari interamente compilati in ogni sezione, di cui 125 appartenenti alla prima indagine, 187 alla seconda. In entrambe, la risposta degli specialisti in formazione in pediatria è stata sempre la più ampia, con una partecipazione in percentuale pari, rispettivamente, a circa il 70 e il 50% degli intervistati. La quasi totalità degli intervistati (93,6%) ritiene che un periodo formativo nel settore della ricerca clinica o di base possa essere utile per un giovane medico, anche non intenzionato a intraprendere una carriera in un ateneo o in un’istituzione scientifica. Il 71,2% ha già avuto qualche esperienza di ricerca durante il percorso pre- o post-laurea e tali esperienze si sono svolte prevalentemente nel corso della specializzazione (61,4%) rispetto al periodo pre-laurea (43,2%). Solo il 64,5% dichiara, però, di essere riuscito nella pubblicazione di lavori in extenso. Il 61,6% è interessato a proseguire questo genere di attività, ma mentre il 21,6% afferma che non potrà proseguire, pur volendo, il 15,2% ha già deciso di abbandonare. Tra chi ritiene di non poter proseguire le motivazioni più indicate sono: nel 63,8% la scarsità in Italia di fondi pubblici e privati e nel 55,3% l’incertezza circa prospettive di lavoro stabile entro tempi accettabili e la mancanza di supporto nella struttura in cui si opera. Dato incontrovertibilmente positivo è invece quello che emerge dalle motivazioni che maggiormente spingono a perseguire questa passione: l’89% infatti dichiara in maniera convinta che la ricerca insegna una metodologia applicabile anche alla pratica clinica. Allo scopo di esplorare la reale percezione di un più ampio campione di operatori circa la difficoltà di reclutamento di giovani medici in una carriera di ricerca clinica e del conseguente rischio di una sua progressiva “estinzione”, è stata distribuita una seconda indagine, per la quale sono state registrate e analizzate 187 risposte complete (qualifiche: 47,8% specializzando in 182 pediatria, 29% già specialista in pediatria, 14% già specialista o specializzando in altre specialità, 8,6% dottorando e 0,5% dottore di ricerca in scienze pediatriche; Il 67,7% degli intervistati lavora attualmente presso una struttura universitaria, il 14% presso un IRCCS, il restante 18% ha un contratto presso un’azienda ospedaliera o opera nel territorio in attività diverse da quelle precedentemente elencate; solo il 19,9% dichiara di possedere un impiego a tempo indeterminato). Cito solo qualche dato più significativo di questa seconda indagine. Il 59,2% è scettico sull’efficacia della riorganizzazione della carriera universitaria con le due possibili figure di ricercatore in tipo A e tipo B e il 64% ritiene, inoltre, che l’abilitazione scientifica nazionale per professore associato richieda il superamento di mediane difficilmente raggiungibili entro i quarant’anni; mediane ritenute altresì non superabili anticipatamente anche con la permanenza in laboratori o centri qualificati di rilevanza nazionale e/o internazionale. Questo stato dei fatti suggerisce al 68,8% degli intervistati che sia facile prevedere che i soli giovani (anche se meritevoli e motivati) che possano permettersi di “rischiare” un investimento di almeno 10 anni di attività, siano quelli appartenenti a “famiglie” o “cordate” in grado di garantire una partecipazione “simbolica” a pubblicazioni del gruppo e un “appoggio” al momento del bando dei posti di ricercatore a tempo determinato. Nel periodo prelaurea la proposta che appare maggiormente condivisa (74,2% totalmente e 22,6% parzialmente) è l’esposizione precoce a un’attività di ricerca clinica allo scopo di far nascere, ovviamente in una minoranza di studenti o specializzandi, una “vocazione” prima dell’insorgenza di altre necessità che spingano a scegliere differenti sbocchi professionali. Anche una riorganizzazione e valorizzazione del periodo di tesi di laurea appare una possibile alternativa (favorevole il 69,4% del campione) al pari della costituzione di un percorso combinato del tipo MD/PhD a partire dal III-IV anno del corso di laurea in medicina (64,5%). Il 79,6% concorda sulla necessità di prevedere attività di ricerca nel core curriculum della scuola di specializzazione, specialmente nell’ultimo biennio negli indirizzi dedicati alle cure secondarie e alle specialità pediatriche, riconosciuti come potenzialmente più inclini a una formazione e coinvolgimento nella ricerca clinica. È opportuno sottolineare che il 94,6% riconosce l’importanza dell’attività dell’Osservatorio della Ricerca Pediatrica Italiana, promosso dalla SIRP, per il monitoraggio periodico dell’attività scientifica di interesse pediatrico, se svolta da gruppi italiani “leader” nelle ricerche. Il 96,2% sostiene, inoltre, che sia necessario promuovere e pubblicizzare attività di ricerca dei più giovani, anche attraverso l’istituzione di un albo dei giovani ricercatori e la costituzione di network tra dottorandi, dottori di ricerca e pediatri ricercatori ancora “precari”. Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) è affidato ai giovani: problemi, prospettive, proposte Generoso Andria Se questi sono molto sinteticamente le opinioni degli intervistati, in grande maggioranza giovani pediatri in formazione, chiedo a Davide Vecchio, presidente dell’ONSP un suo commento sul rapporto dei giovani e la ricerca clinica, che definisce tra formazione e “frustrazione”. Davide Vecchio Comincio con qualche domanda: possiamo permetterci di investire in ricerca clinica? Come illustrato nella relazione sulla demografia dei pediatri italiani, da 14.000 pediatri nel 2015 si prevedono, a causa di pensionamenti non compensati, al ritmo attuale, da nuovi ingressi, circa 9.000 pediatri. Saranno sufficienti a mantenere in vita il modello attuale dell’assistenza pediatrica come oggi lo conosciamo? Oggi la “stabilizzazione” nel mondo del lavoro per un giovane medico non avviene prima dei 35-40 anni. Per chi poi sceglie una carriera accademica, secondo il rapporto ANVUR 2013 si riesce ad accedere a un ruolo di professore associato, ovvero a una posizione a tempo indeterminato mediamente non prima di 45 anni. Vale la pena di rischiare? L’Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiana (ADI) ha calcolato che su circa 14.500 assegnisti di ricerca (di tutte le aree disciplinari) nel 2014 solo l’8% saranno reclutati come ricercatori a tempo determinato di tipo B e destinati a una posizione a tempo indeterminato nell’Università mentre il 92% saranno “espulsi” entro il 2020. Ma se si vuole rischiare, dove conviene farlo? L’ADI, secondo dati del MIUR, evidenzia non solo sperequazioni a livello territoriale, ma anche una forte concentrazione delle capacità di reclutamento in pochi poli a livello nazionale. L’offerta di dottorati di ricerca del XXX ciclo si presenta, ad esempio, fortemente concentrata in un gruppo ristretto di università e territori: • 10 università (e 8 città) ne garantiscono il 44%; • 7 regioni (una sola delle quali nel Sud Italia) coprono il 74,5% delle posizioni bandite. Inoltre esiste anche una forte concentrazione delle capacità di reclutamento in pochi poli a livello nazionale. Nel 2014, infatti: • il 49,1% dei bandi per assegni di ricerca è stato emanato nelle regioni settentrionali, il 36,5% al Centro e il 14,4% nel Mezzogiorno e nelle Isole; • le prime 10 università per reclutamento di nuovi RTD di tipo A detengono da sole il 54% dell’intero contingente nazionale di posizioni del 2014; • le prime 8 università per reclutamento di nuovi RTD di tipo B detengono da sole il 51% dell’intero contingente nazionale di posizioni del 2014. In conclusione, la “apoptosi”, cioè la “morte programmata” della ricerca clinica, appare ormai avviata e potrà essere fermata solo attraverso una sensibilizza- zione e mobilitazione di quanti, nell’Università, negli istituti di ricerca, nella classe politica e, non da ultimo, nell’opinione pubblica, hanno a cuore il destino della scienza e della cultura nel nostro Paese. Per questo, come ONSP, abbiamo dato il nostro contributo incondizionato all’iniziativa di sensibilizzazione avviata dalla SIRP, confidando in un momento di sintesi che non può essere più procrastinato. Generoso Andria Ringrazio ancora Davide Vecchio e i suoi eccellenti colleghi dell’ONSP per il grande lavoro svolto e do volentieri la parola a Raffaele Badolato, che ci espone altre iniziative SIRP, finalizzate alla ricerca clinica e ai giovani pediatri interessati Finanziamento di progetti di ricerca per giovani ricercatori Raffaele Badolato È spiacevole constatare che la ricerca scientifica italiana è afflitta da una condizione di cronico sottofinanziamento e che questa situazione si sia aggravata negli anni recenti. Nell’ambito della ricerca, la frammentazione delle competenze e lo scarso coordinamento tra università, enti di ricerca, Regioni e Ministero della salute, hanno contribuito a questa condizione di sottofinanziamento. Tuttavia, i dati dell’Osservatorio Nazionale della Ricerca Pediatrica, gestito dalla SIRP e illustrati da Giusy Ranucci, suggeriscono che negli anni passati molti ricercatori italiani abbiano prodotto un rilevante numero di lavori scientifici in ambito pediatrico. Questo suggerirebbe che se fossero disponibili adeguati investimenti di tipo economico ci si potrebbe attendere un significativo sviluppo della ricerca pediatrica in Italia. Per queste ragioni, sono convinto che un intervento che favorisca le carriere dei giovani ricercatori e docenti universitari sia indispensabile per evitare l’ulteriore depauperamento dell’Università italiana. Per fortuna, o forse per l’azione di convincimento svolta dai mezzi di informazione, sembrerebbe che si sia fatta strada la giusta convinzione dei legislatori e dei vari governi degli ultimi anni che occorra riservare una quota non marginale dei finanziamenti alle nuove leve della ricerca e dell’Università. Rivedendo i bandi dei progetti di ricerca indirizzati ai giovani, sembrerebbe che generalmente l’età limite per l’accesso a questi finanziamenti sia fissata in 40 anni, quando in altri paesi il limite è invece certamente più basso (Tab. III). Nell’ambito di questi finanziamenti è difficile evincere quanti di questi siano di ambito pediatrico e se siano potenzialmente in grado di favorire lo sviluppo di carriere scientifiche in questo settore, ma valutando solo 183 Tavola Rotonda Tabella III. Finanziamento Progetti finanziati Età € 53.520,612 55 < 40 anni My First AIRC Grant (MFAG) -- 51 < 40 anni Dulbecco Telethon Institute Career Award -- 2-5 Ricercatori senza posizione permanente, ma scoraggiati > 40 anni Fino a € 1.5 milioni - Da 2 a 7 dal completamento del PhD € 28 milioni 93 < 40 anni Sir - Scientific Independence of young Researchers ERC Starting Grant Giovani Ricercatori 2013 i titoli dei progetti, sembrerebbe che, fatta eccezione per quelli finanziati da Telethon, che sono spesso indirizzati su malattie di interesse pediatrico, gli altri programmi siano poco attenti alla medicina dell’età evolutiva. Il ridotto finanziamento ai progetti di interesse pediatrico lo si può dedurre anche dall’analisi del Fondi PRIN (Programma di Ricerca di Interesse Nazionale), che evidenzia come il numero dei progetti finanziati ai pediatri si sia andato riducendo nel tempo (da 14 nel 2006 a uno solo nei bandi 2010-11 e 2013). Un commento particolare meritano i grant dello European Research Council (ERC), anche per un importante riflesso sul reclutamento nell’Università di giovani meritevoli. Infatti la legislazione italiana prevede che i vincitori di finanziamenti ERC (starting grant) possano accedere direttamente al ruolo di professore associato attraverso l’intervento del MIUR. Si tratta di una misura con forte impatto sulla crescita dell’università. che potrebbe contribuire in misura significativa al rinnovamento dell’Università se le risorse degli atenei, finalizzate al reclutamento facessero riferimento in modo più preciso alle capacità dei ricercatori di ottenere fondi di ricerca. Visto che tra gli obiettivi statutari della SIRP vi è la promozione della “ricerca scientifica finalizzata alla protezione della salute in età evolutiva”, la nostra società vorrebbe lavorare al fine di favorire sia l’aumento delle risorse finalizzate alla ricerca pediatrica, sia a indirizzare i giovani pediatri a occuparsi di ricerca. La SIRP si candida, quindi, a diventare allo stesso tempo un punto di incontro tra le esigenze dei pazienti e gli interessi dei giovani ricercatori a sviluppare le proprie carriere in ambito pediatrico. Testimonianze Generoso Andria Per smentire, se ce ne fosse bisogno, l’impressione che le pediatre ricercatrici siano “costrette” a scegliere carriere professionali meglio conciliabili con l’organizzazione familiare, sono lieto di invitare due pediatre 184 ricercatrici a condividere con noi le loro esperienze e le loro scelte di vita, compresi i “rischi” che hanno accettato di correre per seguire la loro forte motivazione a un impegno non solo clinico, ma anche scientifico. Loredana Marcovecchio è ricercatore a tempo determinato di tipo B presso la Clinica pediatrica dell’Università degli Studi G. D’Annunzio, Chieti-Pescara. Sentiamo anzitutto quali sono state le tappe fondamentali del suo percorso formativo e di carriera. Loredana Marcovecchio Sintetizzo cronologicamente le mie scelte, che sono state in successione le seguenti: • iniziare con un dottorato di ricerca subito dopo la laurea in medicina, posticipando l’ingresso nella scuola di specializzazione in pediatria. Questa scelta è stata considerata “coraggiosa” (o “da incosciente”), perché poco remunerata e potenzialmente in grado di ritardare l’accesso al mondo del lavoro; • trascorrere un periodo formativo all’estero nel corso del dottorato, in un centro di eccellenza per la ricerca nell’ambito della endocrinologia e diabetologia pediatrica, presso l’Università di Cambridge (UK), dove poi sono tornata come post doc. Questa esperienza ha favorito la mia forte motivazione verso la ricerca ed è stata molto importante per la mia formazione; • entrare in specializzazione dopo il dottorato, con l’opportunità di trasferire le competenze acquisite durante la formazione alla ricerca in ambito clinico come, ad esempio, rigore e metodologia scientifici, capacità di utilizzare al meglio il proprio tempo, capacità di coordinare il lavoro di gruppo/équipe; • intraprendere con convinzione la strada verso una carriera accademica, nonostante le incertezze generate dai cambiamenti durante il percorso formativo, con particolare riferimento all’entrata in vigore della legge 240/2010, che ha eliminato la posizione di ricercatore a tempo indeterminato, e nonostante la carenza di fondi. Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) è affidato ai giovani: problemi, prospettive, proposte Generoso Andria La forte motivazione dimostrata nel seguire un percorso insolito, ma esemplare, come ha influenzato il giudizio sulla realtà italiana della ricerca accademica in campo clinico? Loredana Marcovecchio Penso che la carriera universitaria, che dovrebbe “generare” individui liberi e creativi, in Italia produca al contrario dipendenza, incertezza e servilismo. Ciò incide sfavorevolmente sulle scelte dei giovani laureati, che spesso rinunciano al sogno di una carriera accademica, propendendo realisticamente per professioni più remunerative. In particolare, per un giovane pediatra la prospettiva di una posizione ospedaliera è senz’altro più appealing in termini di remunerazione, ma anche di conciliazione con vita familiare e sociale. L’altro risvolto negativo del sistema universitario italiano è quello di sperimentare una costante “fuga di competenze”. I ricercatori vanno dove la ricerca ha maggiori finanziamenti, dove dà maggiore gratificazione, dove la remunerazione è più alta. Nell’ambiente accademico vi è poi una disparità di genere, con la presenza di una sola donna ogni tre ricercatori. Procedendo progressivamente nel percorso di formazione e nella carriera di ricerca la componente femminile tende a ridursi. Considerato che i giovani e il loro entusiasmo sono essenziali per l’avanzamento della ricerca, è importante promuovere e potenziare la ricerca nel nostro Paese, attraverso investimenti in formazione scientifica di giovani medici e aumentando le opportunità per coloro che desiderano impegnarsi nella ricerca medica. Inoltre, è fondamentale l’implementazione della “meritocrazia”. Manca ancora nel nostro Paese, in ambito universitario, un sistema che permetta di selezionare in base al merito e una politica in grado di dare vere opportunità a chi lo merita. Generoso Andria In poche parole l’entusiasmo di Loredana Marcovecchio per la ricerca clinica non le impedisce di rilevare le pecche del sistema universitario, ma auspica che il merito, a cominciare dal reclutamento di giovani motivati come lei, venga premiato. Perciò, in fondo, continua a impegnarsi con entusiasmo. Do adesso la parola a un’altra giovane ricercatrice pediatra, Antonietta Giannattasio, che ugualmente ha deciso di “rischiare”. Sentiamo la sua esperienza e le sue decisioni. Antonietta Giannattasio La mia “storia”, che definirei piuttosto “tortuosa”, è caratterizzata da un interesse per la ricerca fin dal periodo pre-laurea, quando ho incominciato a entrare nel mondo degli abstract, lavori scientifici, riviste internazionali, impact factor, studio retrospettivi, prospettici e database per la raccolta dati! Attualmente sono ricercatore a tempo determinato di tipo A presso l’Università Federico II, dove ho conseguito la laurea in medicina e chirurgia nel 2001 e la specializzazione in pediatria nel 2006. Nel corso dell’ultimo anno di specializzazione ho frequentato per 10 mesi i laboratori dell’Institute of Liver Studies del King’s College Hospital di Londra, facendo quindi anche un’esperienza di ricerca di base. Al termine della specializzazione la prima scelta (difficile): restare a Londra per il PhD (come concordato prima del rientro in Italia, per discutere la tesi di specializzazione) o tornare in Italia; ho optato per un dottorato di ricerca (senza borsa!) a Napoli presso l’Università Federico II, conseguito nel 2009. Nel 2011, dopo 4 anni di un contratto assistenziale di tipo libero-professionale presso il Centro di riferimento pediatrico per l’HIV della Federico II (mal retribuito, poco tutelato, con necessità di “integrare” con altre attività e conseguente meno tempo da dedicare alla ricerca) ho deciso di lasciare l’Università per un contratto ospedaliero a tempo determinato (avviso pubblico), trasferirmi in un’altra regione (Basilicata), abbandonare (forse) la ricerca. Nel 2014, dopo un breve periodo a Campobasso presso l’Università del Molise, ho vinto il concorso per RTD tipo A all’Università Federico II, rinunciando intanto anche a un trasferimento per mobilità dalla Basilicata all’ASL di Caserta (a pochi chilometri da casa!). Della mia storia personale (una delle tante) sono due i punti critici che voglio sottolineare: • la decisione di rientrare in Italia per il dottorato piuttosto che fare il PhD all’estero, preludio poi per restare probabilmente fuori Italia: ancora non so se questa scelta sia stata quella “giusta”… in fondo Londra non è poi così lontana da Napoli! In realtà la mia decisione è scaturita anche dal bisogno che io ho sempre avvertito di unire alla ricerca l’assistenza. Trascorrere alcuni anni dedicandomi esclusivamente alla ricerca di base probabilmente non era la soluzione adatta a me; • la decisione di ritornare all’Università dopo un’esperienza (che comunque mi ha formato e dato delle gratificazioni professionali) in Ospedale (che resta sempre il mio “paracadute” in caso di mancato rinnovo del contratto universitario), scelta ancora poco comprensibile da parte di familiari (che sono al di fuori dell’ambito medico) e amici/ colleghi (lo stipendio ospedaliero è decisamente più alto di quello di RTD, finito il turno si torna a casa, quindi più tempo da dedicare alla famiglia…). Scelta che per il momento non rinnego… (per il momento!). Generoso Andria Anche ad Antonietta Giannattasio chiedo un giudizio sull’Università italiana, che possa convincerla a per185 Tavola Rotonda severare e realizzare la sua vocazione per la ricerca clinica. Antonietta Giannattasio La capacità formativa dell’Università italiana è dimostrata dall’alta qualità della produzione scientifica nel nostro Paese e dal reclutamento di un elevato numero di studenti e ricercatori italiani all’estero. Il ricercatore universitario in Italia è, però, diventato un “precario. I ricercatori di tipo B, quelli relativamente più “stabili”, hanno avuto poco successo negli atenei anche per i seguenti motivi: essi prevedono l’inserimento nella programmazione di una più onerosa futura posizione di professore associato; i ricercatori a tempo indeterminato in servizio e in esaurimento vedono giustamente il percorso privilegiato degli RTD-B come una concorrenza sleale; infine il meccanismo della tenure track, popolare nel mondo anglosassone, qui da noi non è stato compreso appieno. Inoltre il RTD ha a disposizione un numero di anni decisamente più basso per conseguire un livello di produttività buono per rientrare negli indicatori previsti dalle abilitazioni nazionali. Non c’è da meravigliarsi se le scarse risorse economiche disponibili per i contratti di RTD e per le attività di ricerca in generale, le condizioni economiche migliori in altri paesi rispetto all’Italia, le prospettive di una più rapida e gratificante progressione di carriera, spingano ogni anno i ricercatori italiani ad abbandonare il nostro Paese e recarsi all’estero. In conclusione, le nostre università sono (malgrado tutto) una miniera d’oro di talenti frustrati da un sistema imballato, incapace di valorizzarli. Per ora continuo a sperare. Generoso Andria Abbiamo sentito le testimonianze di due ricercatrici, motivate e coraggiose, ma non per questo meno critiche nei confronti del sistema universitario in cui desiderano rimanere. Adesso invece do la parola a un pediatra che ha seguito la sua vocazione per la ricerca clinica, ma all’estero. Luigi Titomanlio, nonostante la giovane età (43 anni), è stato lo scorso anno nominato professore ordinario di pediatria nella prestigiosa Università Paris 7 - Sorbonne Paris Cité di Parigi, e primario universitario del reparto di urgenze pediatriche dell’ospedale Robert Debré, reparto tra i più grandi e rinomati in Europa, con 87.000 visite nel 2015, che rappresenta un fiore all’occhiello del sistema sanitario francese. A Luigi Titomanlio, che ha conseguito la laurea in medicina, la specializzazione in pediatria e il dottorato di ricerca presso l’Università Federico II, chiedo soprattutto un confronto tra il sistema francese e quello italiano nella selezione delle persone che raggiungono l’apice della carriera accademica e di quella ospedaliera. 186 Luigi Titomanlio In realtà ho terminato il dottorato in Francia sotto la guida del Prof. Philippe Evrard (neuropediatra), ho ottenuto una borsa post-dottorato nel laboratorio INSERM diretto dal Prof. Pierre Gressens e per la parte clinica ho ricevuto un contratto di Chef de Clinique (resident fellow), al fine di sviluppare la neuropediatria acuta nel reparto di urgenze pediatriche. Per la carriera accademica ho superato con successo tutte le prove che portano a un posto di ordinario. In Francia il numero di ordinari per tutte le discipline è quasi fisso anno per anno, poiché dipende dal Ministero, che attribuisce i posti di ordinario alle diverse facoltà, in base alle performance degli studenti agli esami nazionali, alle pubblicazioni e ai grant internazionali ottenuti. È poi il Consiglio di ogni facoltà a distribuire i posti di ordinario tra le varie discipline della facoltà. Nel sistema francese i candidati alla posizione accademica: 1) sono valutati da una commissione ospedaliera, che può mettere un veto, e che classifica alla fine tutti i candidati al posto di ordinario secondo l’interesse che rivestono per l’ospedale; 2) sono valutati da una commissione universitaria, che può mettere un veto, e che classifica tutti i candidati al posto di ordinario secondo l’interesse universitario che rivestono per la facoltà; 3) devono avere ottenuto un’abilitazione nazionale a dirigere delle ricerche (HDR), che richiede di aver svolto: un post-dottorato in un laboratorio di ricerca nazionale (con valutazione da parte di una commissione nazionale indipendente); 4) devono avere dei requisiti minimi, essenzialmente: essere stati Chef de Clinique per almeno 2 anni; avere un diploma nazionale per l’insegnamento; avere svolto una mobilità di 1 anno in una struttura indipendente dalla struttura di origine, di preferenza all’estero; avere pubblicato bene nella sottodisciplina, cioè avere un numero di punti minimo allo score francese SIGAPS. Il calcolo dei punti si basa sulla posizione dell’autore, sul numero di autori, sul tipo di pubblicazione e sul quartile di appartenenza della rivista nella sotto disciplina. L’H-index e gli altri indici sono valutati nell’ambito dell’ottenimento dell’HDR (punto 3); 5) dopo avere superato i punti precedenti, devono essere validati dal Consiglio nazionale dell’Università, sottosezione pediatrica, composto da professori ordinari, in due sessioni progressive ad anni diversi (pre-CNU e CNU); 6) infine, devono essere approvati dal Ministero della salute e dal Ministero dell’università, che raccolgono tutti i documenti delle differenti commissioni, e che hanno ovviamente diritto di veto, se giudicano il candidato non idoneo. Il futuro della ricerca clinica (pediatrica) è affidato ai giovani: problemi, prospettive, proposte Non dettaglierò la carriera per il primariato universitario, dirò solo che richiede anch’essa il passaggio di un numero significativo di commissioni, con lo scopo di non trovarsi un primario “buono solo a pubblicare” e incapace di gestire un’équipe (o il contrario). L’interesse della collettività resta in primo piano. Per concludere, in Francia ottenere un posto di professore ordinario e di primario universitario a una giovane età è possibile, anche per uno straniero senza “meriti non meritocratici” (forse non è italiano, ma si capisce). Quel che ho trovato utile nel sistema francese è il pre-orientamento: si identificano dei potenziali candidati a un posto universitario e si sostengono, affinché possano mostrare quel che valgono in realtà. Visto il numero di commissioni indipendenti, con diritto di veto e a difficoltà crescente, si selezionano all’inizio solo i candidati che hanno davvero un profilo universitario. Scegliere dei candidati su base non meritocratica espone il reparto, l’ospedale e la facoltà alla perdita di un posto di ordinario, che rappresenta un declassamento severo per la funzionalità di ciascuna di queste strutture. L’interesse comune prevale sull’interesse personale, poiché in caso contrario ci rimettono tutti, e nessuno è disposto a perdere. Una piccola nota linguistica. In francese l’equivalente della parola “meritocrazia” non esiste, perché non si concepisce una valutazione e una scelta da fare nell’interesse comune che non selezioni il migliore possibile. Generoso Andria Siamo al momento delle conclusioni. Armido Rubino è stato presidente della SIP e per ben due volte dell’EPA-UNEPSA, cioè dell’Unione delle Società Scientifiche Europee. Naturalmente devo anche ricordare che ha promosso la fondazione della SIRP, dalla cui iniziativa nasce anche questa Tavola Rotonda. Armido Rubino ha seguito i lavori con grande attenzione e vorrei affidare a lui alcune considerazioni conclusive sui contenuti di questo incontro. Considerazioni conclusive Armido Rubino Parto da un primo dato. L’Italia soffre di molti record negativi, nel quadro europeo, riguardo al sostegno, finanziario e normativo, alle attività di ricerca scientifica e alla formazione dei giovani alla ricerca. Accade tuttavia che la ricerca scientifica svolta dalle istituzioni pediatriche e, più in generale, la “ricerca scientifica di interesse pediatrico”, siano di buon livello e del tutto competitive se confrontate con gli altri paesi europei, inclusi quelli molto più fortunati dal punto di vista del sostegno alla ricerca scientifica. Purtroppo sono ben noti i dati negativi generali sul sistema universitario e della ricerca scientifica nel nostro Paese (istituzioni pediatriche incluse), relativamente sia alla cosiddetta “fuga dei cervelli” verso altri paesi, sia alla persistente insufficienza delle risorse e delle opportunità offerte ai giovani (in particolare i giovani medici) per una carriera accademica, sia alla persistente e generale scarsità di meritocrazia nei processi selettivi. La discussione che si è svolta qui ha posto al centro dell’attenzione il problema del reclutamento dei giovani medici per una carriera accademica nel nostro Paese, con particolare riferimento ai rapporti fra formazione alla ricerca scientifica, formazione alle attività assistenziali, prospettive di lavoro. Il tutto guardando in particolare al pediatra, con i suoi connotati specifici, ma anche come esemplificativo di un problema più generale. Dunque cosa fare? Cosa tentare di promuovere? Sembrano emergere due strade anche dagli eccellenti contributi ascoltati qui. La prima strada riguarda il “programma MD/PhD”, su cui si dovrebbe procedere anche in Italia. Si tratterà, nella fase propositiva, di mantenere saldamente la barra su una “formazione generale alla ricerca scientifica di interesse biomedico”, con un curriculum appropriato sia rispetto alle finalità di un’attività medicoassistenziale, sia a quella di ricerca scientifica di tipo biomedico. Ma per quanto riguarda la formazione alla ricerca scientifica di specifico interesse pediatrico, credo vadano anche perseguite le possibilità offerte dalle nuove norme riguardanti la specializzazione in pediatria, emanate circa un anno fa con apposito decreto ministeriale, secondo il modello comunemente indicato come “europeo” del triennio di pediatria generale, seguito dal biennio per le cure primarie o per le cure secondarie o una delle numerose specialità pediatriche. Si tratta di una opportunità che, se correttamente utilizzata, può produrre ottimi risultati per la formazione del pediatra ricercatore. Urge però un’azione decisa della comunità pediatrica, perché possano concretizzarsi le tre condizioni, peraltro enunciate da Giuseppe Saggese: • definizione della numerosità dei posti a livello nazionale, sulla base dei reali fabbisogni di salute pediatrica; • individuazione dei criteri, sulla base dei quali le singole sedi universitarie possano essere riconosciute per le attività formative relative alle specifiche specialità pediatriche, tra cui un’attività di ricerca scientifica documentata nella letteratura internazionale; • il rilascio, in allegato al titolo di specializzazione, di un “supplemento al diploma”, nel quale sia precisata l’avvenuta acquisizione del titolo di specialista in una determinata specialità pediatrica o viceversa nell’indirizzo di pediatria generale. Questo consentirebbe agli specializzandi degli anni quarto e quinto un’attività formativa che sarebbe al tempo stesso di tipo clinico e di tipo scientifico. Po187 Tavola Rotonda trebbe allora bastare solo un ulteriore anno di formazione alla ricerca per concorrere alle selezioni relative all’inquadramento nelle strutture di ricerca di interesse pediatrico, universitarie o ospedaliere. Tale ulteriore anno potrebbe essere costituito da una partecipazione abbreviata a un corso di dottorato (come è già consentito dalla normativa vigente) ovvero dalla partecipazione a corsi annuali di ricerca post-specialistica, se andasse a buon fine l’iniziativa proposta ai ministeri interessati su un percorso post-specializzazione. Vorrei, infine, sottolineare che la “fuga dei cervelli” dimostra anche che l’attuale sistema formativo italiano non sta poi tanto male, se innumerevoli esempi di giovani italiani, formatisi in Italia vanno a mietere successi e conseguire eccellenti situazioni lavorative in altri paesi. Tuttavia, fermo restando un ulteriore impegno per migliorare i processi formativi, occorrerebbe intervenire anche su altro. E quest’altro chiama in causa la politica nel Paese e l’accademia (quella universitaria in generale, quella medica e quella pediatrica in particolare). La politica di ogni colore che ha finora guidato il Paese è responsabile di una pluridecennale e persistente insufficienza di risorse destinate all’Università e al sistema della ricerca scientifica, sotto ogni aspetto e in particolare riguardo alla numerosità delle posizioni di docente e ricercatore. Basti un dato: abbiamo l’Università più anziana del mondo: dei 13.239 professori ordinari (pochi in assoluto rispetto ad altri paesi), nessuno ha meno di 35 anni e solo il 15% ha meno di 40 anni (A. Galdo, Ultimi, Torino, Einaudi, 2016). Ma occorre anche riconoscere che il male più grande e la colpa più grave nei confronti dei giovani di questo Paese vanno cercati nel campo delle valutazioni comparative fra più candidati da parte di quanti sono chiamati a giudicare. Fatte ovviamente salve le tante eccezioni, troppo spesso si dimentica che la funzione del docente universitario, in quanto maestro dei più giovani, è tutta nel formare il giovane medesimo al più alto livello qualitativo possibile e porlo nelle migliori condizioni culturali e pratiche per concorrere con successo nelle valutazioni comparative per l’accesso alle posizioni di docente o di ricercatore. Formazione in questo senso non significa e non deve giustificare alcuna illegittima protezione nei momenti valutativi: quando il docente è chiamato a svolgere funzioni giudicanti nelle valutazioni comparative per l’accesso di giovani alle posizioni di docente o ricercatore, il suo compito non può che essere uno: giudicare chi sia il (oppure i) più meritevole(i) fra i candidati, con la massima obiettività e onestà intellettuale. Si tratta quindi di ricondurre le cose alla sostanza corretta: i concorsi vanno banditi sulla base delle esigenze delle strutture, con modalità atte a promuovere la partecipazione di candidati nella misura più estesa possibile in ambiti nazionali e internazionali. Le successive valutazioni vanno svolte col solo obiettivo di scegliere il (o i) più meritevole(i) tra i candidati. Di questo dovrebbe trattarsi quando si invoca più meritocrazia nei concorsi: scindere la formazione degli allievi dalla politica delle scelte, che va fatta nell’interesse delle istituzioni. Solo così l’accesso alle posizioni disponibili da parte del grande numero di giovani italiani sparsi nella comunità scientifica in Italia e nel mondo diverrà davvero meritocratico. Maggiore impegno da parte dello Stato per creare opportunità di lavoro e maggiore credibilità dei meccanismi valutativi: sono questi gli strumenti per trattenere – o per far rientrare – i giovani nel sistema universitario e della ricerca scientifica nel nostro Paese. Generoso Andria Abbiamo affermato, nel titolo di questa Tavola Rotonda, che il futuro della ricerca clinica, non solo pediatrica, è affidato ai giovani. Armido Rubino auspica che i giovani possano riacquistare fiducia nel nostro “sistema Paese” a condizione che lo Stato crei per loro nuove opportunità di lavoro e che coloro che li valutano, nell’Università, ma non solo, seguano criteri rigorosamente “meritocratici”. Personalmente preferirei un paese in cui non si debba fare appello al rispetto della meritocrazia per i valutatori (nè appello all’onestà per gli amministratori della cosa pubblica). Preferirei un paese con delle regole che premino i meritevoli e gli onesti e sanzionino severamente le persone e le istituzioni che fanno scelte sbagliate o “familistiche” (nel mondo della ricerca, come in politica). Ma per approfondire questi temi occorrerebbe un’altra Tavola Rotonda. Concludiamo, intanto, la nostra discussione, ringraziando tutti i partecipanti e dicendo che non c’è più tempo da perdere, se si vuole evitare la “morte programmata” della ricerca clinica! A giugno 2016 è stato pubblicato il Libro bianco: “Il futuro della ricerca clinica (pediatrica). Problemi, prospettive, proposte” Giannini Editore, Napoli a cura della Società Italiana di Ricerca Pediatrica - SIRP Onlus Per informazioni: [email protected]; www.sirped.com 188