Clicca per scaricare il pdf - Associazione di Valutazione Italiana

Transcript

Clicca per scaricare il pdf - Associazione di Valutazione Italiana
novembre-dicembre 2013, n. 3
ASSOCIAZIONE ITALIANA DI VALUTAZIONE
SOMMARIO
Mita Marra, Costruiamo insieme il “mosaico formativo” AIV; Barbara Befani,
Valutazione d’impatto: metodi rigorosi al di là del controfattuale; Gabriele
Tomei, I tasselli della formazione AIV; Fabrizio Tenna, Il Registro dei soci
professionisti: nuovi criteri e vecchie sfide; Gianluca Braga, Indicazioni per i
percorsi di apprendimento di aspiranti valutatori e valutatrici;
CALL FOR PAPERS XVII CONGRESSO & NEWS
Costruiamo insieme il “mosaico formativo” AIV ...
Idee per una cultura della valutazione
Mita Marra - Presidente Associazione Italiana di Valutazione
Il dibattito sulla professione del valutatore
nella nostra associazione si è finora
sviluppato lungo due direttrici separate,
che presentano, però, molteplici punti di
contatto e potenziali sinergie. Da un lato,
il valutatore è l’esperto di metodi e
tecniche e la revisione tra pari è un
processo di professionalizzazione e
accreditamento
condiviso e accettato
internazionalmente. Dall’altro il valutatore
è un professionista, con una missione
eticamente pubblica, immerso in un
mercato e in un complesso mondo
professionale, amministrativo e politico.
La competenza metodologica non è
l’unica metrica capace di generare e
validare le sue credenziali. In entrambi gli
ambiti delineati, il percorso di
affermazione culturale, economica, e
socio-politica della professione del
valutatore è una vicenda su cui AIV ha
offerto un contributo significativo. Sul
primo versante, l’associazione si è
impegnata ad arricchire e diversificare i
profili formativi universitari e postuniversitari, come puntualizza Tomei in
questo numero. Ha contribuito a suscitare
il confronto tra metodi e approcci,
tentando di superare l’asfittica guerra tra i
paradigmi positivisti e non, quantitativisti
e qualitativisti. L’attuale direttivo sposa
senza riserve una posizione pluralista,
aperta al confronto e al dialogo
epistemologico senza alcun dogmatismo.
S u l s e c o n d o ve r s a n t e, l a n o s t r a
associazione è impegnata ad accrescere la
presenza, all’interno delle strutture di
1
valutazione dello Stato, di esperti
valutatori sensibili alle esigenze politiche e
amministrative del nostro tempo. Il
rapporto con la pubblica amministrazione
è per noi un terreno di azione prioritario,
ove a p p re n d e re d a i p o l i t i c i , d a i
committenti, dai manager e dagli stessi
valutatori che condividono le proprie
esperienze di lavoro con e per le
amministrazioni locali, regionali, centrali e
comunitarie.
Il nostro obiettivo è di mettere a punto
non un programma, ma un mosaico
for mativ o composito e sfaccettato,
sviluppando sia temi specifici -- ad es. la
valutazione delle pari opportunità o la
misurazione della performance nella PA -sia questioni di metodo -- ad es. il disegno
della ricerca valutativa o la valutazione
basata sulla teoria del programma. Stiamo
lavorando per dar vita ad attività
formative che contribuiscano a creare e
rafforzare le competenze dei valutatori.
In questo numero, il contributo di Barbara
Befani (Institute of Development Studies University of Sussex e European
Evaluation Society) propone altri approcci
“rigorosi” oltre l’analisi controfattuale per
la valutazione d’impatto.
Segue il
contributo critico di Gabriele Tomei
(Università di Pisa e membro del Direttivo
AIV) che ripercorre il cammino non
sempre lineare della formazione AIV
finora realizzata. Fabrizio Tenna,
coordinatore del Comitato Esecutivo Soci
Professionisti (CESP) dà conto del
dibattito interno al Registro AIV teso a
riformulare i criteri di accesso al Registro
stesso. Chiude la newsletter il contributo
di Gianluca Braga, membro del direttivo
A I V, va l u t at o re e fo r m at o re ch e
problematizza il tema della formazione
per adulti-valutatori. Braga accorda
particolare importanza alla relazione
dialettica tra apprendimento formale e
informale. E’, infatti, nell’interazione tra
sapere tacito e conoscenza codificata che
nel tempo si costruiscono le competenze
professionali specifiche al fine di far
funzionare meglio prog rammi e
istituzioni. E tale dialettica è, appunto, il
modus operandi della formazione targata
AIV.
Torneremo a confrontarci su questo tema
in occasione del prossimo Congresso (v.
Call for papers allegata) e in un futuro
seminario dedicato al tema delle
competenze. Intanto, il prossimo numero
4 della newsletter si occuperà della
valutazione delle performance della
giustizia italiana. In questo ambito, la
valutazione può offrire un
importantissimo contributo utile a
riformulare processi, ridisegnare funzioni,
m e t t e r e i n c o l l e g a m e n t o fi g u r e
professionali, spostando parte
del potere decisionale a livelli più bassi
della gerarchia istituzionale.
Invitiamo i lettori ad intervenire con
commenti agli articoli e a suggerire
approfondimenti ai temi trattati. Per
proporre contributi scrivete a:
[email protected]
novembre-dicembre 2013, n. 3
Valutazione d’impatto:
metodi rigorosi al di là
del controfattuale
Barbara Befani - Research Fellow,
Institute of Development Studies University of Sussex e European
Evaluation
Society
(EES)
([email protected])
Nel 2011, a pochi giorni dal mio
approdo oltremanica, mando una breve
email ad Elliot Stern, col quale avevo da
poco finito di lavorare alla valutazione
esterna dell’UNESCO, dicendogli più o
meno “ciao, sono emigrata, da una
settimana vivo a Londra e non torno più
in Italia”. Lui mi chiama al telefono
dopo pochi minuti, proponendomi di
lavorare con lui a un’offerta per una
ricerca che suonava estremamente
interessante: un’esplorazione di metodi e
disegni di ricerca, in uso nelle scienze
sociali, che potessero essere adatti e
adattati alla valutazione d’impatto delle
politiche di sviluppo. Il bando, privato e
limitato a otto possibili team leader, era
segno di una nuova volontà da parte del
Dipartimento per le politiche sviluppo
del governo inglese (DFID, l’ex ufficio
per l’amministrazione delle colonie
dell’impero britannico...!!) di risolvere
una situazione paradossale, che vedeva i
metodi ritenuti “rigorosi” essere adatti a
una minima percentuale dei progetti e
programmi finanziati dal dipartimento,
stimata intorno al 5%. DFID voleva
capire se veramente doveva smettere di
fare il 95% delle cose che faceva perché
non erano valutabili in maniera
rigorosa, oppure perdere reputazione
per non saper valutare quello che
faceva, o se magari c’era una terza via.
Il nostro compito era esplorare questa
terza via: capire se era possibile valutare
in maniera rigorosa l’impatto di progetti
e programmi complessi, che non è
possibile valutare con metodi
sperimentali o basati sul controfattuale.
La collaborazione nata quel giorno, a
cui hanno partecipato anche John
Mayne, Nicoletta Stame, Kim Forss e
Rick Davies, insieme a una schiera di
advisors sparsi per il mondo, è diventata
un rapporto, uscito nel 2012 e divenuto
noto come “Stern paper” o anche
“options paper”, che ha avuto una
notevole diffusione ed è stato citato un
po’ ovunque si parli di valutazione
d’impatto (per avere un’idea basta
cercare su google DFID impact
2
evaluation, o anche solo DFID
evaluation e lo si troverà ai primissimi
posti del ranking dei risultati di ricerca).
Tutto ciò con grande sorpresa degli
autori: pensavamo fosse decente ma
avvertivamo un che di “unfinished
business”, un che di non risolto. Era un
rapporto che apriva un vaso di pandora,
più che fornire delle risposte operative;
un tentativo di aprire le menti, piuttosto
che offrire degli strumenti ad uso e
consumo della comunità di valutazione.
E’ stata una piacevole sor presa
constatare quanto fosse alta la domanda
per nuovi concetti, nuovi approcci di
filosofia della scienza, nuove categorie
interpretative e nuovi strumenti di
pensiero; ma sapevamo che sarebbe
arrivato presto il momento in cui un
seguito pratico e operativo sarebbe
apparso necessario. Quello che non
sapevamo è che il rapporto sarebbe stato
considerato un punto di riferimento per
l’innovazione globale nella valutazione
d’impatto, come dimostra la volontà di
DFID di finanziare un nuovo Centro
d’Eccellenza, dell’ordine di 20 milioni di
sterline per i primi cinque anni, guidato
dagli sviluppi intellettuali del nostro
rapporto.
Cosa c’è di tanto speciale in questo
rapporto? Cominciamo con le
infor mazioni di base: il titolo è
“broadening the range of designs and
methods for impact evaluations”, e si
propone di ampliare la gamma di
opzioni disponibili, in termini di disegno
e metodi, per la valutazione d’impatto.
Comincia col demolire il mito che
esistano metodi superiori sempre e
comunque, e introduce il concetto di
“appropriatezza” dei metodi.
Appropriatezza a cosa? L’idea centrale è
che 1) diversi metodi sono necessari per
rispondere a diverse domande di
valutazione d’impatto e 2) diversi
metodi si adattano meg lio ag li
“attributes” di questi programmi, ovvero
alle caratteristiche dell’intervento, che
possono riguardare sia il tipo di
programma che le condizioni di
implementazione.
Ad esempio, le domande di valutazione
d’impatto non sono solo del tipo
“quanto è l’effetto netto del
programma”, ma anche “che tipo di
differenza ha fatto il programma”,
“come e perché il programma ha fatto la
differenza” e “avrà il programma lo
stesso effetto altrove”? Questa parte è
stata sviluppata da Elliot insieme a me,
John Mayne e la nostra advisor Nancy
Cartwright, la quale in quel periodo
stava scrivendo un libro (EvidenceBased Policy, 2012) in cui sostiene che
l’approccio sperimentale serve soltanto a
rispondere alla domanda “did it work
here” (ha funzionato qui?) ma è inutile
per capire se il programma funzionerà
altrove (will it work elsewhere /
elsewhen?). Questo perché l’approccio
sperimentale non offre informazioni sui
“fattori di supporto” che hanno
permesso al programma di funzionare.
Il programma funzionerà nel contesto B
solo se i “fattori di supporto” che gli
hanno permesso di funzionare nel
contesto A sono egualmente presenti nel
contesto B. E questo il controfattuale
non ce lo dice.
Altra domanda a cui il controfattuale
non risponde è “come e perché ha
funzionato”, mentre il concetto più
generale del “fare la differenza”
permette di cogliere le differenze
qualitative che possono essere state
ottenute grazie al programma, che gli
approcci sperimentali non
necessariamente colgono, essendo tesi a
misurare una differenza quantitativa su
un indicatore prestabilito.
Dietro a queste diverse domande di
valutazione c’è il concetto di inferenza
causale, intesa in senso ampio, come
viene utilizzata nelle scienze sociali e
nella filosofia della scienza: mentre
scrivevo la mia appendice sui modelli di
inferenza causale mi chiedevo, ma se
nelle scienze sociali esiste una pluralità
di modelli e di modi di attribuire cause
ad effetti, perché nella valutazione
d’impatto ne deve esistere solo uno?
Veramente siamo così fighi e speciali?
Sembra impossibile a quanti vanno
vendendo il controfattuale come
l’UNICO modo di fare inferenza e
attribuire cause ad effetti, ma nella
scienza esistono almeno tre modelli
alternativi. Uno, basato sulla regolarità
di Hume, è compatibile coi metodi
quantitativi e gli approcci quasisperimentali come la regressione. Ma gli
altri due sono molto più radicalmente
diversi: sia gli approcci basati sulla
regolarità di Hume che il controfattuale
di John Stuart Mill (Mill lo chiamava “il
metodo della differenza”, the method of
difference) sono modelli in cui si cerca di
associare UN effetto con UNA causa.
Sono modelli che Pawson chiama
“successionist” o sequenziali. Quello
produce questo; questo è prodotto da
quello. La realtà dovrebbe essere
semplice e lineare, e se non è così non la
valutiamo. Gli altri due approcci invece,
uno basato sui meccanismi (genetico) e
novembre-dicembre 2013, n. 3
uno “configurazionale” o “multiplocongiunturale” analizzano non una
singola causa, ma un insieme di cause
che agiscono come un pacchetto, una
combinazione, per produrre l’effetto.
Diversi pacchetti posso produrre lo
stesso effetto; e lo stesso intervento può
produrre l’effetto o meno a seconda del
contesto, o di quali altre cause si trovano
n e l p a c c h e t t o. I n a l t r e p a ro l e
l’intervento è solo una causa in mezzo a
un pacchetto, e non è isolabile nel senso
di produrre un effetto residuo. La base
matematica di questo approccio non è
l’analisi, coi suoi intorni e numeri reali,
bensì la teoria degli insiemi, coi suoi
concetti di unione, intersezione,
negazione. Il che porta a specificare se
la causa è necessaria, o sufficiente,
oppure né necessaria né sufficiente.
Nell’analisi controfattuale spesso si dà
per scontato che l’intervento sia
necessario e sufficiente, o almeno
sufficiente. Ma esistono cause che sono
soltanto necessarie, e altre ancora che
non sono né necessarie né sufficienti, e
sono pur sempre cause... un intervento
può essere sufficiente a produrre un
effetto, ma non necessario (l’effetto può
essere prodotto anche senza
l’intervento); oppure può essere
necessario (non riesco mai a produrre
l’effetto senza l’intervento) ma non
sufficiente, perché ha bisogno di altri
fattori per produr re l’ef fetto (i
supporting factors di Nancy); ma nella
maggior parte dei casi non è né
necessario né sufficiente, e se siamo
fortunati è una “INUS cause”, ovvero
una parte necessaria di un pacchetto
sufficiente (non basta da solo a produrre
l’effetto, l’effetto in generale può essere
prodotto anche senza, ma in un
contesto molto specifico è necessario
perché il contesto da solo senza
l’intervento non produce mai l’effetto).
Quindi la questione dell’attribuzione
causale è molto più complessa di come
spesso si cerca di venderla, e il
controfattuale risulta adeguato per una
minoranza di programmi categorizzabili
come “semplici”, e caratterizzati da un
rapporto lineare e diretto tra causa ed
effetto. Cosa facciamo negli altri casi,
quando i programmi sono complicati o
complessi? Il paper offre una serie di
opzioni disponibili, e una serie di
caratteristiche degli interventi che
hanno un ruolo nell’indicare la pista da
seguire.
Le caratteristiche degli interventi che
hanno un ruolo nella scelta dei metodi
sono:
3
1. arco temporale in cui si producono
gli effetti (breve, medio o lungo
periodo);
2. grado di conoscenza della traiettoria
di cambiamento (è lineare? Veloce?
S i d eve p e g g i o r a re p r i m a d i
migliorare? Si migliora all’inizio ma
non è sostenibile?);
3. chiarezza nell’identificazione degli
effetti, compresi quelli intermedi
4. sovrapposizione ad altri interventi
con obiettivi simili
5. combinazione di attività multiple e
diverse messe in atto per raggiungere
un obiettivo
6. implementazione di uno stesso
programma in contesti diversi
7. erogazione indiretta (ad esempio
attraverso l’istituzione di un fondo o
di una struttura amministrativa
semiautonoma)
I metodi disponibili sono molti, alcuni
relativamente recenti ma or mai
consolidati nella pratica accademica di
scienze sociali: ad esempio studi di caso
e metodi di sintesi basati sulla
comparazione sistematica di studi di
caso (es. la QCA); contribution analysis,
impact pathway analysis, process
tracing, social simulation, systems
thinking e i vari approcci informati dalla
complexity science.
Il paper è come un menu di un grosso
ristorante, ma non ci sono piatti del
giorno o consigli dello chef. Introduce e
giustifica il concetto di “ristorazione à la
carte”; ma non ordina nulla per
nessuno. Sta ad ogni valutatore, in base
al mandato specifico di valutazione,
scegliere la combinazione di metodi e
approcci che meglio si adatta alle
caratteristiche dell’intervento e alle
domande di valutazione. Quali sono i
pranzi migliori, magari quelli più
completi o più facili da digerire o quelli
che offrono il miglior rapporto qualitàprezzo; o ancora quelli migliori in base
alla stagione, si scoprirà nel tempo:
quando il lavoro di tutti i valutatori che
oggi utilizzano questa logica pluralistica
e multidisciplinare di appropriatezza, e
applicano gli ultimi sviluppi
metodologici delle scienze sociali alla
valutazione, si consoliderà. Il mio
istituto e il nuovo Centro di Eccellenza
che DFID sta mettendo in cantiere
cercheranno di stimolare, consolidare e
diffondere questo tipo di ricerca; per
cui, se siete interessati agli sviluppi,
restate sintonizzati sui canali
d’oltremanica.
Riferimenti bibliografici
Stern, E., Stame, N., Mayne, J., Forss,
K., Davis, R., Befani, B., (2012)
Broadening the Space of Designs and
Methods for Impact Evaluation, Report
of a Study Commissioned by the
Department for International
Development, Working Paper No. 38,
Department for International
Development, UK.
I tasselli della
formazione AIV
Gabriele Tomei - Università degli Studi di
Pisa ([email protected])
Come ha recentemente ribadito
Claudio Bezzi, la valutazione è una
disciplina che nonostante la sua più che
trentennale storia ancora non riesce ad
affermarsi come pratica “normale”
all’interno della pubblica
amministrazione italiana. Gran parte
della responsabilità deve essere
attribuita alle rigidità del sistema
istituzionale italiano che da un lato ha
introdotto la valutazione in molti campi
delle politiche pubbliche del paese (es.
istruzione, ricerca, pubblica
amministrazione) procedendo ad
istituzionalizzare agenzie tecniche
specializzate (INVALSI, ANVUR,
CIVIT-ARAN) ma che dall’altro la ha
inter pretata come una attività
esclusivamente di tipo burocraticogestionale. Qualche elemento di
responsabilità per l’arretratezza della
cultura valutativa italiana (dice sempre
Bezzi) è però da addebitare anche alla
comunità dei valutatori che, “sebbene
molto cresciuta (e ringiovanita nds) negli
anni, propone ancora metodi incerti e
poco originali, si adagia sul disinteresse
d e l l ’ a m m i n i s t r a z i o n e e p ro p i n a
valutazioni scarsamente utili e meno
ancora utilizzabili”.
L’AIV è impegnata fin dalla sua
costituzione (nel 1997) sul fronte della
formazione culturale e professionale dei
valutatori. Il primo sforzo sistematico è
stato organizzato attraverso le famose
“scuole AIV”: esperienze fondamentali
per molti valutatori che hanno potuto
apprendere o aggiornare competenze
specifiche attraverso la partecipazione a
corsi monografici brevi (generalmente
tra i due giorni e la settimana). Ma il
carattere necessariamente specialistico
ed occasionale delle scuole ha spinto
AIV ad affiancare a quelle una proposta
formativa più articolate e sistematica,
novembre-dicembre 2013, n. 3
4
attivando collaborazioni con alcune
Università impegnate sul tema per
utilizzare la loro crescente attività di
ricerca come base per
l’istituzionalizzazione di un’offerta
diffusa di corsi curricolari di metodi e
tecniche della valutazione delle
politiche pubbliche. In occasione del
Congresso AIV di Napoli (2008)
alcune Univer sità si assunsero
l’impegno di sviluppare una offerta
formativa che fosse incardinata nei
curricula universitari di terzo livello
(master). Da questo impegno sono nati
i Master in Valutazione di Pisa (2010),
Catania (2011), Genova e Sassari
(2012), Venezia (2013) che in occasione
del Congresso di Bari (2012) hanno
deliberato di intraprendere un
percorso di avvicinamento in vista
della elaborazione una proposta
unitaria a carattere nazionale. I master
hanno garantito una offerta formativa
di base incentrata su cinque assi
tematici: un primo asse di
fondamentali (sociologia, economia,
statistica, ecc.), tre di carattere teoricometodologico (analisi dei processi
decisionali e della programmazione
strategica nella PA, teoria della
valutazione, metodologia e tecniche
della ricerca valutativa); il quarto di
carattere sostantivo e variabile a
seconda delle sedi del master
(valutazione delle politiche sociali a
Pisa e Genova; valutazione dello
sviluppo territoriale a Catania;
valutazione delle politiche sanitarie a
Venezia). Attraverso questi master gli
allievi possono sviluppare una solida
formazione di base di carattere teorico
e tecnico-metodologico. Tuttavia, per
quanto fondamentale ed
imprescindibile, questo risultato
ancora non basta per rilanciare una
cultura valutativa all’altezza delle sfide
che il nostro Paese richiederebbe.
I soci professionisti di AIV (CESP)
hanno da tempo avviato una riflessione
sulle competenze necessarie allo
svolgimento delle diverse attività
relative alla ricerca valutativa,
evidenziando bisogni integrativi
rispetto ai contenuti della formazione
teorica e metodologica fornita dai
master e dagli altri strumenti di alta
fo r m a z i o n e a c c a d e m i c a ( c o r s i ,
seminari, ecc.). I percorsi universitari
forniscono infatti strumenti teorici e
metodologie per analizzare e
comprendere i diversi contesti che
esprimono il bisogno/la domanda di
valutazione e per elaborare piani di
v a l u t a z i o n e . Tu t t a v i a i c o r s i
universitari fanno strutturalmente
fatica ad affiancare alla formazione
d’aula degli adeguati percorsi di work
experience e non sono in grado di
offrire una formazione applicativa nel
campo della gestione della ricerca
valutativa (management, gestione
gruppi, comunicazione interna, ecc.) e
della predisposizione e comunicazione
pubblica della sua documentazione
finale. Inoltre la scelta di privilegiare la
formazione iniziale non si presta a
rispondere ai bisogni di
aggiornamento dei professionisti che
invece richiedono aggiornamenti più
puntuali ed approfonditi.
Per promuovere la for mazione
culturale e professionale dei valutatori
oggi è necessario integrare tutte queste
proposte all’interno di un disegno
organico ma pluralistico, nel quale agli
attuali strumenti diretti alla
formazione di base in ingresso (master
e corsi di alta formazione esistenti) si
vadano ag giungere percor si di
aggiornamento più brevi e specialistici
(scuole AIV, seminari) e confronti di
esperienze tra pari all’interno di
comunità di pratiche (laboratori) ai
quali possano accedere i valutatori in
base al proprio grado di esperienza e
bisogno, in una logica di formazione
c o n t i nu a e p e r s o n a l i z z at a . L a
formazione seguirà così un percorso a
“mosaico”, fatto di tasselli che ciascun
valutatore potrà combinare a seconda
dei propri punti di partenza, delle
competenze e delle esperienze
maturate, degli interessi e delle
aspettative di crescita culturale e
professionale.
Il nuovo direttivo AIV si è impegnato
ad impostare un disegno di questo tipo
in collaborazione con le Università, il
CESP ed i gruppi tematici e nei
prossimi mesi inviterà i soggetti
interessati ad un primo momento di
confronto seminariale nel quale
ragionare sulla strategia generale di
questa proposta.
Il Registro dei soci
professionisti: nuovi
criteri e vecchie sfide
Fabrizio Tenna - Coordinatore Comitato
Esecutivo dei Soci Professionisti (CESP)AIV, consulente di Agriconsulting
([email protected])
A un convegno a cui mi è capitato di
partecipare, alla fine di ottobre, mi
sono confrontato con un collega, un
professionista che da anni coordina
servizi di valutazione indipendente su
programmi regionali cofinanziati dalla
UE. Un collega che è stato per anni
dentro AIV e poi ha deciso di non
iscriversi più.
Stavo cercando di raccontargli
dell'esperienza del Registro e di ciò
c h e A I V vo r r e b b e f a r e p e r i
professionisti, ma più andavo avanti e
più vedevo in lui crescere un
sentimento ostile. Tanto che ad un
certo punto mi sono fermato e gli ho
chiesto se ci fosse qualcosa che lo
contrariava. Si è riversato sulla nostra
discussione senza lasciare una
possibilità di replica come un fiume
che ha rotto gli argini. Il nocciolo della
sua invettiva può essere circoscritto a
due questioni: da una parte
sottolineava la debolezza di
un'operazione di stampo “albesco”, in
questa fase storica, alla luce di tutti i
fattori degenerativi che connotano gli
Albi; dall'altra stigmatizzava la
presunzione da parte di AIV di poter
stabilire chi sia un professionista e chi
no.
Il titolo di questo articolo è figlio di
quella discussione. Vuole raccontare ai
soci e ai non soci la nostra proposta
sfidando anche diffidenze e pregiudizi;
sentimenti diffusi nella comunità
umana e dunque anche nei valutatori,
non solo in quelli che si incontrano ai
convegni.
Come Coordinamento dei soci
professionisti (CESP) abbiamo da
poche settimane articolato una nuova
proposta per l'accesso al Registro che
presto circolerà all'interno di AIV, la
proposta poggia su criteri che
delineano un nuovo sistema volontario
di “registrazione” della professionalità.
La proposta cerca di fare tesoro
dell’esperienza maturata in questi
primi anni di gestione del Registro
cercando di trovare un equilibrio tra la
pratica della valutazione (l’esercizio
della professione) e il possesso delle
competenze adeguate per esercitarla
(la professionalità).
Ci è subito apparso chiaro che una
rivisitazione dei criteri - attualmente
incentrati su una soglia di sei mesi
l’anno impiegati in attività di
valutazione - non potesse essere slegata
dalla “missione” del Registro. I criteri
definiscono non solo cosa deve
“possedere” chi è dentro, ma anche il
come, attraverso quale meccanismo e
il perché, qual è lo scopo.
COSA: il socio professionista deve
possedere una professionalità maturata
novembre-dicembre 2013, n. 3
nell'arco della carriera professionale in
attività di valutazione.
COME: il socio professionista deve
dimostrare il possesso delle competenze
attraverso un sistema di autovalutazione
(competenze legate al profilo di
valutatore professionista presentato
all'ultimo Congresso di Milano e in corso
di pubblicazione all'interno del Libro
Bianco sulla valutazione). Le
competenze sono sapere in azione e
dunque presuppongono un esercizio
professionale delle capacità acquisite.
PERCHE': perché vuole ottenere il
riconoscimento sociale di una
professione “atipica”, perché vuole fare
parte di una comunità di valutatori che
ha valori comuni (codice etico) e che sia
in g rado di far crescere la sua
professionalità (formazione-tutoraggio),
perché il riconoscimento professionale
possa avere anche un ritorno sul mercato
(pensiamo ai giovani, ai free lance e alle
barriere poste all'ingresso della nostra
professione).
Pensiamo dunque - rispondendo
idealmente al collega del convegno - che
non è nostra intenzione creare un albo.
L'AIV non è interessata ad
un'operazione del genere. Non è nostra
intenzione creare una barriera in entrata
al mercato né creare uno spartiacque tra
professionisti riconosciuti
dall'Associazione e altri professionisti che
non gravitano nell'orbita AIV. Crediamo
invece che sia quanto mai necessario, in
questa fase, rilanciare sul terreno del
professionismo un'iniziativa che abbia
una finalità culturale: sia verso chi farà
parte del Registro sia verso chi non si
5
riconosce nella professione pur facendo
parte di organismi che hanno nella loro
“ragione sociale” la parola valutazione.
Riteniamo infatti che se AIV riuscisse a
costruire un Registro pieno di contenuti,
credibile e trasparente nel meccanismo
di selezione, tale operazione potrebbe
essere rivolta ad un'ampia platea di
soggetti ed istituzioni che si cimentano
con la valutazione; proponendosi non
come un soggetto che fa accreditamento
ma come soggetto che si fa garante della
professionalità dei soci.
L'adesione al Registro sarà su base
volontaria e chi deciderà di entrare si
troverà all'interno di una comunità di
soggetti che condividono valori ed
esperienze e che perseguono la crescita
continua di capacità che si potranno
tradurre, se applicate, in nuove
competenze.
I nuovi criteri sono incentrati sulle
competenze del socio professionista: il
socio che esercita con continuità le
proprie competenze nell'ambito di
attività di valutazione riconducibili a
quelle previste dall'articolo 1 del nostro
Statuto. Con questo approccio il
meccanismo di accesso al Registro non
prevede più una verifica del “monte ore”
raggiunto in attività di valutazione ma
“certifica” il possesso delle competenze
necessarie a essere un professionista. La
valutazione può essere infatti un'attività
svolta saltuariamente e non con
continuità nel corso dell'anno (o degli
anni). Basarsi esclusivamente sui mesi/
uomo per stabilire chi è professionista e
chi no, ha di fatto circoscritto il Registro
a un quarantina di soggetti; un numero
che è rimasto stabile in quest’ultimo
biennio (il primo CESP è stato eletto al
Congresso di Trento del 2011).
Il socio che intende accedere al Registro
deve dunque dimostrare di possedere
competenze acquisite nel corso della
propria vita professionale. Per stabilire il
minimo di competenze per accedere al
Registro abbiamo previsto un percorso in
cui chi fa domanda di accesso sintetizza
gli elementi salienti della sua attività
professionale e valuta come e quanti di
questi lavori lo abbiano “obbligato” a
dispiegare la propria conoscenza.
Alla fine di questo percorso il candidato
sulla base delle competenze che pensa di
aver acquisito decide in quale profilo di
“valutatore professionista” riconoscersi.
Al momento abbiamo previsto quattro
profili: il metodologico, il coordinatore,
l’esperto settoriale e l'analista. L’analista
è il profilo minimo per accedere al
Registro.
La scelta di prevedere profili differenti
consente da un lato di allargare la platea
dei possibili professionisti agli junior
della valutazione o a chi lavora dentro
organismi che fanno valutazione in team
(Nuclei e OIV), e dall'altro consente di
costruire moduli di aggiornamento
professionale diversificati per profilo di
competenza.
Prevediamo inoltre che lo status di socio
professionista, a differenza degli albi, sia
soggetto a una verifica periodica (segua
la durata del mandato del Direttivo) al
fine di avere a disposizione un orizzonte
temporale più ampio per crescere come
comunità di pratica. Ricordiamo che il
novembre-dicembre 2013, n. 3
meccanismo attuale prevede una
verifica annuale dei requisiti.
In quest'ultimo anno altre associazioni
di valutazione
- ci riferiamo
all’Associazione di valutazione del
Regno Unito e a quella Europea stanno ragionando su un sistema di
standard e di meccanismi di gestione
per registrare i valutatori professionisti.
La nostra proposta dovrà
necessariamente cogliere alcuni
elementi previsti dalla normativa
nazionale in materia di professioni non
regolamentate (ad esempio il tema della
formazione obbligatoria) e dall’altro
creare un ponte con gli altri modelli
internazionali per puntare ad un
registro di valutatori professionisti
europei. L’obiettivo è quello di trovare
un denominatore comune che consenta
ai nostri soci professionisti di confluire
automaticamente (attraverso il nostro
modello di selezione) all’interno del
Registro europeo.
L’obiettivo che ci siamo posti è di
arrivare al prossimo congresso annuale
con una proposta che sia di tutta
l ’ A s s o c i a z i o n e. N e l l e p ro s s i m e
settimane il documento del CESP verrà
messo a disposizione dell’Associazione
affinché possa essere migliorato e
integrato con l’apporto di tutte e tutti.
Indicazioni per i
percorsi di
apprendimento di
aspiranti valutatori e
valutatrici
Gianluca Braga - Direttivo AIV, valutatore
([email protected])
6
Si potrebbe introdurre qualsiasi
contributo sul tema della valutazione
affermando – senza particolari timori
di smentita – che la valutazione sia
professione giovane. Che, ad esempio,
in Italia l’Associazione Italiana di
Valutazione vede la luce soltanto nel
1997; ma che anche la relativamente
più longeva American Evaluation
Association tiene la sua prima
Evaluation Conference solo nel 1986.
Una tale prolusione suonerebbe più che
altro come alibi; mettere le mani avanti
a fronte di qualsiasi critica possa venir
avanzata.
Per quanto giovane, ogni professione ha
bisogno di alcune chiarezze: cosa fa (il
valutatore, la valutatrice), perché lo fa
(quali obiettivi, quali i vantaggi che
procura) e come si fa (metodi, tecniche,
prassi della valutazione), sono elementi
chiave per raccontarsi al mondo.
Potremmo soprassedere, almeno
all’inizio, su quando e dove si debba
fare valutazione (“dall’inizio alla fine” e
“un po’ ovunque” potrebbero essere
buone approssimazioni). Ma per
rispondere alla domanda “chi è il
valutatore, chi è la valutatrice”, è
obbligatorio dare chiare e univoche
risposte a tutte le macro-domande
proposte. Occorre definire il profilo
professionale.
Valutatori quasi per caso?
Ad oggi non si può affermare che
esista, in Italia, un percorso formativo
strutturato che consenta ad uno
studente neo-laureato di formarsi alla
professione del valutatore. In questa
stessa Newsletter, Gabriele Tomei
ricorda come nel corso di questi anni
siano state realizzate edizioni di Master
in tema di valutazione e interessanti
edizioni di Scuole Estive; sporadici
eventi formativi sono stati e sono
proposti ogni anno da varie
organizzazioni. Ma un percorso
standard, consolidato, che abiliti alla
professione di valutatore non esiste.
Ciononostante esiste – presso AIV – un
Registro che censisce una quarantina di
soci professionisti; colleghi che
dimostrano di lavorare prevalentemente
e con continuità come valutatori e
valutatrici. Costoro sono da considerare
solo una parte del sistema-valutazione,
che è composto da un numero non
precisato di persone che svolgono
saltuariamente l’attività di valutatore
(ad esempio, circa 80 furono
inizialmente le domande di adesione al
Registro), e da coloro che fanno ricerca
e insegnano valutazione presso scuole e
Università, o che lavorano presso
organismi che hanno compiti valutativi
(gli iscritti, per anno, all’AIV viaggiano
attorno ai 250; e sarebbe interessante
verificare quante per sone sono
transitate nel corso degli anni in quanto
“fiancheggiatrici”: non credo possano
essere inferiori al migliaio di persone).
La valutazione è dunque a tutti gli
effetti una professione, con un percorso
formativo non (ancora) codificato. Non
è la sola professione in tale condizione
ed è, anzi, in buona compagnia.
Amministratori di Condominio,
interpreti e traduttori, bibliotecari,
psicomotricisti, progettisti d’interni
sono altrettante professioni “non
regolamentate”, che hanno però
beneficiato delle recenti normative
(Decreto Legislativo 206/07 e Legge
4/2013) e hanno fatto richiesta presso il
Ministero per ottenere il
riconoscimento dei requisiti specifici a
tutela della professione e, in ultima
analisi, dei suoi beneficiari.
Questo è un punto decisivo: riconoscere
una disciplina ed elevarla al rango di
professione consente non soltanto di
codificarne il mandato e le competenze
necessarie a svolgerla, ma permette di
individuare dei criteri di qualità
dell’operare che sono a garanzia di
tutti, in particolare dei beneficiari e
clienti.
Da garanzia verso l’esterno, a chiarezza per
chi sta dentro
Avere un quadro complessivo della
professione del valutatore e della
valutatrice significa dunque codificarne
una serie di aspetti. Il mandato, si
diceva, ma anche gli ambiti di impiego
e le prassi tipiche. In altri termini, si
tratta di individuare le “competenze”
professionali, intese sia nell’accezione
del “cosa compete” a chi si occupa di
valutazione, sia degli apprendimenti
necessari a gestire nel modo più
corretto (“competente”) tale mandato.
Definire le competenze necessarie a
svolgere una professione consente
peraltro di strutturare non solo percorsi
formativi coerenti, ma anche sistemi
più generali di offerta formativa; dove
possano trovare collocazione proposte
ampie ed esaurienti, ma dove vi sia
spazio anche per iniziative specifiche,
facilmente localizzabili all’interno del
cor pus disciplinare complessivo.
Consente una sorta – insomma – di
geog rafia della professione che
permette di individuare la posizione e
le principali caratteristiche dei
continenti-valutazione, ma anche di
sapere in quale relazione ogni singolo
stato-competenza, regione-conoscenza,
villag gio-abilità stanno rispetto
all’intero pianeta.
…Ma chi sei: Mandrake?!? Apprendere le
competenze di una professione vasta, complessa
e talvolta imprevedibile
Il Comitato Esecutivo dei Soci
Professionisti (CESP) sta, da qualche
tempo, lavorando su un’interessante
p r o p o s t a d i d e fi n i z i o n e d e l l e
competenze valutative e su una scheda
di autovalutazione di tali competenze.
Un passaggio che consentirà un salto in
avanti rispetto all’identità di valutatore
e valutatrice, spostando la questione
novembre-dicembre 2013, n. 3
dalla quantità di tempo impiegato per
for marsi e lavorare, alla
documentazione di competenze
professionali specifiche.
Quando si legge un ruolo professionale
attraverso competenze, la sensazione
che spesso si prova è di impotenza di
fronte all’immenso. Che siano richieste
troppe “qualità” e che noi non saremo
in grado di far fronte a tante e tali
richieste.
I colleghi che mi staranno leggendo –
se mai avranno la pazienza di farlo –
staranno pensando che ho travisato il
senso del loro importante lavoro. Ma la
mia intenzione non è quella di
screditarne il valore, che riconosco
pienamente (un “catalogo di
competenze” deve per forza essere
completo), ma di sottolineare come
anche la formazione si trova ad
affrontare un compito che può
sembrare immane: aiutare l’aspirante
valutatore/trice a fabbricare e
organizzare i tantissimi “mattoncini di
competenza” necessari a svolgere il
proprio lavoro.
Una reazione istintiva rischia di essere
distruttiva: “non può essere così; è
sbagliato il modo con cui si è scelto di
procedere”. Capita spesso di sentire
frasi di questo genere. La strategia che
personalmente ritengo più interessante
per arginare questo senso
d’inadeguatezza è invece un’altra:
pensare che il valutatore e la
valutatrice non siano professioni
solitarie. Per quanto molti oggi
7
lavorino come singoli professionisti, si
trovano comunque coinvolti in contesti
professionali che li obbligano ad
integrarsi con altre persone, con altre
professionalità e con ruoli diversi.
L’ideale sarebbe poter costituire dei
veri e propri “team di valutazione”,
dove vengano assemblate le
competenze necessarie a governare i
processi, ad impostare una corretta
metodologia di lavoro, a maneggiare i
contenuti dell’oggetto da valutare e a
condurre correttamente tutte le attività
di ricerca sociale previste.
A questo punto, qualsiasi griglia
esaustiva di competenze valutative sarà
da riferire ad un intero gruppo di
persone; all’interno del quale potremo
trovare una nostra collocazione e
specificità, fornendo un contributo
competente e specifico e avvalendoci
della collaborazione degli altri. In
questa logica, potremo anche andare a
costruire il nostro percorso formativo,
scegliendo le competenze che più ci
“assomigliano” e che rappresentano il
nostro modo di (voler) essere valutatori
e valutatrici.
Due questioni sulla formazione
Non riesco a concludere un contributo
sul tema della formazione allo sviluppo
di competenze valutative senza porre
un paio di condizioni necessarie e non
eludibili che derivano dalle scienze
for mative e, in particolare,
dall’approccio più “esperienziale” e
vicino alla formazione alle professioni.
Primo: occorre affrontare il problema
di come si apprendono le competenze
valutative, non di come si insegnano.
La differenza potrebbe sembrare
minima, salvo leggere il secondo
postulato ed essere disponibili a portare
fino in fondo queste premesse.
Secondo: le occasioni di
apprendimento sono prevalentemente
legate a contesti non formali (non a
scuola, per intenderci); e sono spesso
anche non intenzionali, occasionali.
Pensando a dove abbiamo appreso a
fare il nostro lavoro, solo in parte ci
verranno in mente lezioni ascoltate in
Università o libri specifici letti; più
spesso ricorderemo una discussione
con un collega esperto, un lavoro che
abbiamo fatto e che ha funzionato
bene (o male), un modo di fare che
abbiamo potuto notare. D’altronde,
viviamo 24 ore al giorno per 7 giorni
alla settimana, mentre riusciamo a
frequentare corsi per poche ore al
mese; se non utilizzassimo l’esperienza
quotidiana come fonte di
apprendimento e ci limitassimo alla
sola formazione canonica,
perderemmo un enorme potenziale di
apprendimento. E, giustamente, non ci
comportiamo così.
Ma, se vogliamo dirla con Oscar
Wilde: “l’esperienza è il tipo di
insegnante più difficile: prima ti fa
l’esame, poi ti spiega la lezione”. Non
sempre i fatti che accadono diventano
esperienza e apprendimento. Perché
ciò accada, occorre essere presenti,
novembre-dicembre 2013, n. 3
essere consapevoli del nostro esistere in quel
momento, in quella situazione. Occorre
esercitare attivamente delle funzioni
metacognitive; produrre dei cambiamenti,
attività, pensiero.
Piergiorgio Reggio, nel suo libro “Il Quarto
Sapere”, indica quattro principali
movimenti quali condizioni per produrre
processi di apprendimento, a partire dalle
esperienze del quotidiano: dirigere
l’attenzione verso un oggetto, o un obiettivo
di sviluppo personale; osservare il
fenomeno che ci interessa, il fatto che
accade e il nostro reagire ad esso;
trasformare l’esperienza e integrarla nei
nostri schemi di comprensione del mondo;
generare forme di cambiamento del nostro
pensare e del nostro comportamento.
A questo punto sarà più evidente come la
formazione debba ripensarsi, per porsi
efficacemente a servizio dell’apprendimento
di competenze professionali da parte del
valutatore e della valutatrice. Dovrà
abbandonare sempre più spesso schemi
tradizionali e rassicuranti - la lezione - e
sviluppare invece forme di
accompagnamento alla crescita
professionale: comunità di pratiche, peer
education, supervisione metodologica,
affiancamenti, stage e tirocini, tutoring e
mentoring. Che possono sembrare oggetti
astrusi e non è certo questa la sede per
definirli; ma spero possano dare conto
d e l l a d i ve r s a “ p ro s p e t t i v a ” d e l l a
for mazione rispetto ai processi di
apprendimento delle persone: porsi a
servizio della persona stessa e della sua
capacità di farsi influenzare positivamente
dalle esperienze Proviamo una sintesi
Riassumendo: nell’ottica del pensare ad un
sistema formativo per la professione di
valutatore e valutatrice - azione inevitabile
per dare a tale professione il suo corretto
valore - occorre operare uno sforzo di
definizione delle competenze di ruolo.
Sapere cosa fa la valutazione, come si fa e
perché, significa poter definire anche chi sia
il valutatore e la valutatrice. Descrivendone
le competenze necessarie.
Le competenze saranno necessariamente
troppe; ma non andranno intese come
traguardo individuale obbligato, ma come
mappa per costruire gruppi di lavoro e
percorsi di crescita personali.
Percorsi che – pur intenzionali e progettati –
devono vedere il soggetto che apprende alla
guida del proprio percorso di sviluppo
professionale. Lasciando a formatori e
formatrici il compito di accompagnare da
fuori, di facilitare percorsi di
apprendimento.
Idee per una cultura
della valutazione
8
XVII Congresso nazionale
Associazione Italiana di Valutazione - AIV
Dipartimento di Scienze Politiche, Università di Napoli “Federico II”
10 - 11 aprile 2014
Per una cultura della valutazione:
competenze professionali, pratiche democratiche e trasformazioni
federaliste
in Italia e in Europa
CALL FOR PAPERS
Le recenti pressioni europee per il rigore nei conti pubblici rendono ancora più cogente la
valutazione delle politiche e dei programmi di spesa per assicurare un più efficiente utilizzo
delle risorse collettive e un migliore benessere sociale. Eppure, nonostante i reiterati sforzi tesi
ad istituzionalizzare la verifica dell’impatto degli investimenti pubblici e del rendimento
amministrativo, la valutazione incontra tuttora barriere burocratiche, culturali e politiche. Sia in
Italia che nell’ambito dell’Unione Europea, è tuttora flebile il legame tra le pratiche valutative e
i processi di spending review e più in generale le modalità di apprendimento organizzativo e di
esercizio della responsabilità politico-amministrativa nella sfera pubblica democratica.
Il XVII Congresso dell’Associazione Italiana di Valutazione intende sviluppare il tema della
cultura della valutazione come (i) contenuto di competenze professionali da formare e
coltivare nel tempo, (ii) pratiche organizzative che garantiscono efficienza e democraticità
delle istituzioni, (iii) esercizio della responsabilità pubblica in un sistema istituzionale
decentrato sensibile alle autonomie locali nell’ambito dell’Unione Europea.
I contributi potranno sviluppare i seguenti temi:
- Spending review, programmi anticorruzione e misurazione delle performance
- Politica e governance della valutazione dei Programmi di Coesione europea
- La professione del valutatore in Italia e in Europa: formazione, credenziali e dinamiche di
mercato a confronto
- Complessità e integrazione dei metodi e degli approcci valutativi
- Metodi e approcci per la valutazione dell’eguaglianza di genere
- Welfare di comunità
- Cooperazione internazionale
- Smart city, rigenerazione urbana e sviluppo locale nella valutazione
- Valutazione e scuola
- La valutazione delle carriere, della didattica universitaria e della produzione scientifica
- Politica e valutazione
Gli abstract sono soggetti a valutazione anonima da parte del Comitato scientifico nominato
dal direttivo dell’AIV e dal Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Napoli “Federico
II” che comunicherà l’accettazione entro il 10 marzo 2014. I criteri di valutazione dei contributi
sono i seguenti: 1. Rilevanza dei contenuti rispetto ai temi congressuali; 2. Chiarezza
dell’obiettivo e dei sub-obiettivi; 3. Chiarezza della metodologia; 4. Originalità rispetto ai
paradigmi ed alle metodologie disciplinari consolidate e innovatività delle tesi discusse e/o
delle soluzioni operative proposte sulla base di adeguata argomentazione. Eventuali contributi
eccellenti potranno essere menzionati nel corso del Congresso e, successivamente, proposti
per la pubblicazione nella RIV, qualora rispondano agli standard di qualità scientifica della
rivista. Tutti i contributi accettati al congresso saranno postati sul sito valutazioneitaliana.it
CONDIZIONI DI PARTECIPAZIONE
Tutti possono proporre dei contributi in forma di abstract, relazioni e proposte di sessioni.
Gli abstract vanno inviati entro e non oltre il 10 febbraio 2014 all’indirizzo di email:
[email protected], titolando l’oggetto come segue: “Contributo al XXVII
Congresso AIV”.
Oltre ad indicare il nome e il cognome dell’autore/autori e la relativa affiliazione, l’abstract di non
più di 1000 parole, specificherà se trattasi di:
- contributo teorico/metodologico
- rapporto di valutazione
- lavoro di ricerca
CALENDARIO DELLE SCADENZE
Apertura call for paper
!
2 dicembre 2013
Deadline per la presentazione degli abstract
10 febbraio 2014
Comunicazione degli abstract accettati
Invio dei paper ai coordinatori di sessione ! !
!
COMITATO SCIENTIFICO/ORGANIZZATORE
Maria Carmela Agodi (Università di Napoli)
Claudio Bezzi (Valutatore indipendente)
Stefano Cima (Fondazione Cariplo, Milano)
Vito Conzimu (Regione Sardegna)
Luca De Luca Picione (Università di Napoli)
Daniele Bondonio (Università di Torino)
Vincenzo Lorenzini (Valutatore indipendente)
Mita Marra (Università di Salerno)
Francesco Mazzeo Rinaldi (Università di Catania)
Erica Melloni (IRS - Istituto di Ricerche Sociali, Milano)
Marco Musella (Università di Napoli)
Domenico Piccolo (Università di Napoli)
Mauro Palumbo (Università di Genova)
Carlo Pennisi (Università di Catania)
Giancarlo Ragozini (Università di Napoli)
Serafina Pastore (Università di Bari)
Nicoletta Stame (Università Sapienza di Roma)
Gabriele Tomei (Università di Pisa)
Alberto Vergani (Valutatore indipendente)
Armando Vittoria (Università di Napoli)
SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
Segreteria AIV
Tel. 081.2452273 - Fax 081.7648924
[email protected]
http://www.valutazioneitaliana.it
!!
10 marzo 2014
!
30 marzo 2014
NEWS
Il 10 dicembre si terrà a Genova il seminario, organizzato dal GT AIV Valutazione PA e
Performance e Regione Liguria, dal titolo: “La valutazione della performance ed il ruolo degli
organismi indipendenti di valutazione. Opportunità e prospettive.” In un contesto di profonda
crisi di sistema, la valutazione della perfomance assume un rilievo determinante nel disegno
di rinnovamento della funzione pubblica. Quali sono le criticità da affrontare e le opportunità
da cogliere per le Pubbliche Amministrazioni anche in relazione al crescente ruolo degli
Organismi Indipendenti di Valutazione? Ne discuteranno Vincenzo Lorenzini, Luca Nervi,
Daniela Congiu e Mita Marra.
Il 12 dicembre si terrà a Firenze il seminario di studio e confronto, organizzato dal GT AIV
Valutazione delle Pari Opportunità e ANCI Regione Toscana, dal titolo: "Accountability e
valutazione delle Pari Opportunità negli enti pubblici italiani: bilanci di genere e ricerche
valutative" con Catina Balotta, Monica Andriolo e Mita Marra.
E’ stato appena pubblicato da Franco Angeli il primo e-book della Collana Valutazione diretta
da Mauro Palumbo. Il volume “Prove di valutazione. Il Libro Bianco della valutazione in Italia”
è a cura di Alberto Vergani, con i contributi di: Carlo Pennisi e Emanuela Reale sul tema della
valutazione dell’università e della ricerca; Andrea Naldini, politiche di coesione; Mauro
Palumbo, Michela Freddano, Emanuela Bonini, Sara Mori, Anna Siri, istruzione; Ugo De
Ambrogio, politiche sociali; Marilia Maci, Alessio Saponaro, Paolo Ugolini, sanità; Simona
Cristiano, Vincenzo Fucilli, Alessandro Monteleone, sviluppo rurale; Mita Marra e Flavia
Pesce, pari opportunità di genere; Daniela Baldini, competenze; Catina Balotta, Elena
Righetti, Renato Turbati, Iacopo Caropreso, la professione di valutatore. Infine, il volume
presenta una prima ricognizione della percezione del mercato della valutazione in Italia da
parte di un campione di socie e soci AIV.
Per associarsi ad AIV, le quote d’iscrizione sono:
-100,00 euro, soci ordinari
-50,00 euro, soci giovani, a norma di Statuto e Regolamento sotto i 30 anni di età e i
dottorandi (senza limiti di età), iscritti ai Master patrocinati AIV.
-150,00 euro,"soci amici dell’AIV
Effettuare il pagamento della quota"associativa tramite bonifico bancario versando la
quota associativa sul c/c di Banca Prossima"
IBAN"IT 41 L033 5901 6001 0000 0062 397
Importante!!! Nella causale del bonifico specificare"il proprio"nome e cognome
"
11