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rivista del M E N S I L E N . 1 0 O T T O B R E 2 0 1 1 € 3,50 dal 1928 fondazione ente™ dello spettacolo INTERVISTA Harrison Ford CATTIVO COWBOY E PROSSIMO INDIANA JONES 5 FUOCO A LIONE IL CAPOLAVORO DI PASTRONE AL LUMIÈRE DI THIERRY FREMAUX Steven sfida se stesso con due film in uscita, il Tintin dei fumetti e il sentimentale War Horse. Sugli schermi Usa a Natale VENEZIA IL PERSONAGGIO Spielberg ANIMATO RITORNO CON EFFETTI SPECIALI PER LE AVVENTURE DI TINTIN: IL SEGRETO DELL’UNICORNO. IN ANTEPRIMA AL FESTIVAL DI ROMA 68 Edizione degna di un Faust: voti, glamour e dietro le quinte Poste Italiane SpA - Sped. in Abb. Post. - D.I. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004, n° 46), art. 1, comma 1, DCB Milano rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo Nuova serie - Anno 81 n. 10 ottobre 2011 In copertina Steven Spielberg Segui l’Ente dello Spettacolo anche su FACEBOOK Fondazione Ente dello Spettacolo: www.fbook.me/entespettacolo Tertio Millennio Film Fest: www.fbook.me/tertiomillenniofilmfest YOUTUBE www.youtube.com/EnteSpettacolo TWITTER www.twitter.com/entespettacolo pun ti di vi st a Segui la Rivista del Cinematografo su FACEBOOK Cinematografo.it: www.fbook.me/cinematografo Rivista del Cinematografo: www.fbook.me/rivistadelcinematografo DIRETTORE RESPONSABILE Dario Edoardo Viganò CAPOREDATTORE Marina Sanna Immagine e immaginazione REDAZIONE Gianluca Arnone, Federico Pontiggia, Valerio Sammarco CONTATTI [email protected] PROGETTO GRAFICO P.R.C. - Roma ART DIRECTOR Alessandro Palmieri HANNO COLLABORATO Alberto Barbera, Luca Barra, Angela Bosetto, Orio Caldiron, Gabriele Carunchio, Gianluigi Ceccarelli, Karen Di Paola, Bruno Fornara, Antonio Fucito, Shekhar Kapur, Miriam Mauti, Massimo Monteleone, Franco Montini, Morando Morandini, Peppino Ortoleva, Angela Prudenzi, Boris Sollazzo, Marco Spagnoli, Chiara Supplizi, Caterina Taricano REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE DI ROMA N. 380 del 25 luglio 1986 Iscrizione al R.O.C. n. 15183 del 21/05/2007 STAMPA Tipografia STR Press S.r.l. - Via Carpi 19 - 00040 Pomezia (RM) Finita di stampare nel mese di settembre 2011 MARKETING E ADVERTISING Eureka! S.r.l. - Via L. Soderini, 47 - 20146 Milano Tel./Fax: 02-45497366 - Cell. 335-5428.710 e-mail: [email protected] DISTRIBUTORE ESCLUSIVO ME.PE. MILANO ABBONAMENTI ABBONAMENTO PER L’ITALIA (10 numeri) 30,00 euro ABBONAMENTO PER L’ESTERO (10 numeri) 110 euro SERVIZIO CORTESIA S.A.V.E. Srl, Fiano Romano (RM) tel. 0765.452243 Fax 0765.452201 [email protected]. PROPRIETA’ ED EDITORE PRESIDENTE Dario Edoardo Viganò DIRETTORE Antonio Urrata UFFICIO STAMPA [email protected] dedicato, Osservare Venezia alle spalle, Roma alle porte. RdC l’incanto di Denis dedica ai due maggiori festival italiani ampio spazio, facendo del primo un bilancio Brotto, edito dalla corredato dalle schede di valutazione dei film Fondazione Ente dello in cartellone - e del secondo un discorso di Spettacolo. Un viaggio prospettiva, segnalandovi gli eventi più attesi a 360 gradi nel cinema della sesta edizione. In mezzo “Frontiere”, di un irriducibile manifestazione che ha debuttato a Bari, difensore dell’arte e dell’umanesimo. Sokurov si proponendo volti e testimonianze del melting conferma artista senza compromessi, regalando pot americano (la gemma era l’adattamento alla Mostra e a tutti noi un’opera monumentale realizzato da Tommy Lee Jones di Sunset sulla corruzione, la rovina e la morte da cui niente e nessuno si salva: “E’ importante allora Limited di McCarthy). Piccolo festival, grande – ricorda il regista – mantenere intatta almeno qualità. Misurabile in termini di una cosa: la propria anima”. diversificazione della proposta. Unica nel suo genere anche quella del Quell’anima cercata, perduta o salvaguardata, Lumière di Lione (servizio pag. 26), diretto da anche dal cinema dei fratelli Dardenne, a cui Thierry Fremaux e presieduto da Bertrand Tavernier, incentrato sui film restaurati e quelli abbiamo conferito il Premio Bresson 2011. Luc e Jean-Pierre venivano per la prima introvabili, conservati nelle volta in Laguna e non sorprende cineteche del mondo. Chicca l’abbiano fatto proprio per il della terza edizione sarà la Quando il cinema è al riconoscimento intitolato al proiezione del Fuoco, servizio della verità: maestro francese, “che ha capolavoro del muto di Aleksandr Sokurov e i formato il nostro sguardo”. E che Giovanni Pastrone, frutto della ha insegnato loro la valorizzazione collaborazione con Gabriele fratelli Dardenne di ogni dettaglio, la convinzione D’Annunzio, nella versione che solo il lavoro di messa in restaurata dal Museo del Cinema di Torino, ospite d’onore della kermesse. scena può rivelare lo splendore della verità del reale, oltre la sua reificazione. Fino al paradosso di “non realizzare immagini: perché La difesa del cinema passa anche dai premi. le immagini intrappolano le cose, intrappolano Sacrosanto il Leone d’Oro alla carriera a gli oggetti, intrappolano i corpi degli attori”. Marco Bellocchio. Ineccepibile il Leone d’Oro Bisogna allora rifiutarle? “No, liberarle dallo al Faust di Aleksandr Sokurov, che ha vinto stereotipo. Usando l’immaginazione oltre le anche il Signis ed è stato nostro gradito ospite immagini”. al Lido, per la presentazione del volume a lui COMUNICAZIONE E SVILUPPO Franco Conta - [email protected] COORDINAMENTO SEGRETERIA Marisa Meoni - [email protected] DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE Via G. Palombini, 6 - 00165 Roma - Tel. 06.96.519.200 Fax 06.96.519.220 - [email protected] Associato all’USPI Unione Stampa - Periodica Italiana Iniziativa realizzata con il contributo della Direzione Generale Cinema - Ministero per i Beni e le Attività Culturali La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250 ottobre 2011 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 5 Regalati un momento di relax. Su Samsung Movies noleggi o acquisti il tuo film preferito. Maggiori informazioni su http://movies.it.samsungapps.com Tra le Nuvole è disponibile per l’acquisto su Samsung Movies Up in the Air - © TM and Copyright 2010 by Paramount Pictures. All Rights Reserved. sommario n. 10 otto bre 2011 SERVIZI 24 Lione, Fuoco e fiamme Il capolavoro di Pastrone restaurato e un omaggio al Museo di Torino 32 Diavolo di una Mostra Venezia 68 da ricordare. Faust su tutti, tra ottimi titoli e mondanità 46 Tommy senza Frontiere FILM DEL MESE 52 This Must Be the Place 56 Melancholia 58 L’amore che resta 58 Il villaggio di cartone 60 Una separazione 62 Arrietty 62 Amici di letto 64 Tomboy 66 La pelle che abito 68 Ex: amici come prima! 68 Bar Sport Lee Jones e Wes Geronimo Studi al primo appuntamento con la kermesse pugliese PERSONAGGI 28 Fordissimo Quasi 70 anni, Harrison corre ancora. Cowboy contro gli alieni, aspettando Indiana Jones 5 50 Deborah Kerr La diva che mandò all’aria le convenzioni dello star system COVER STORY 18 Steven vs. Spielberg L’eterno fanciullo sfida se stesso: Tintin e War Horse a braccetto, il primo in anteprima a Roma. Con 20’ dell’Hugo Cabret di Scorsese Charlotte Gainsbourg e Kiefer Sutherland in Melancholia 32 Gwyneth Paltrow Bellezza ed eleganza da Contagion. In passerella al Lido FOTO: KAREN DI PAOLA 10 Morandini in pillole Jean-Pierre Melville: per non dimenticare 12 Circolazione extracorporea Film e piccolo schermo: questione di brand 14 Glamorous News e tendenze: baci da Festival 16 La posta di Shekhar Corruzione e politica: India oggi 72 Dvd & Satellite Habemus Papam, Bertolucci e Rossellini in Blu-ray 78 Borsa del cinema L’ondata italiana a Venezia: a chi giova? 80 Libri Fincher, Truffaut e l’immagine post 11/9 82 Colonne sonore La magia di Pina 3D 23 Pierfrancesco Favino Ecco L’industriale di Montaldo, con la Crescentini sul tappeto rosso della Capitale pensieri e parole Quello che gli altri non dicono: riflessioni a posteriori di un critico DOC MORANDINI in pillole di Morando Morandini Un silenzio – Su La Repubblica del 4 settembre esce un articolo di Paolo Mauri e una mezza dozzina di Vignette a colori di Jean Bruller (1902-91), che nel 1926 pubblicò a sue spese il manuale 21 ricette pratiche di morte violenta, ripubblicato in Francia nel 1977 con integrazioni scritte 50 anni dopo in un’edizione firmata Vercors, tradotta in italiano nel 2011 da Portaparole. Mauri riferisce che nel 1942 Bruller aveva pubblicato clandestinamente, con Les Editions de Minuit, da lui fondate, un racconto di 96 pagine, firmato Vercors: Le silence de la mer di cui De Gaulle fece lanciare migliaia di copie col paracadute nella Francia occupata. Aggiunge che ne curò anche una versione teatrale e che fu tradotto in molte lingue, diventando uno dei testi più noti sulla Resistenza ai tedeschi/nazisti. Mauri non dice che nel 1947 Il silenzio del mare divenne il primo film di Jean-Pierre Melville. Lo girò a sue spese in b/n nella stessa casa e nei dintorni in cui Vercors/Bruller aveva scritto il racconto, facendone un kammerspiel, un atto unico in 12 quadri, l’ultimo dei quali registrato in silenzio. I giovani critici francesi, poi cineasti della Nouvelle Vague, lo indicarono come uno dei loro predecessori, mentre Sartre lo condannò come reazionario, forse perché Vercors nella sua problematica etica ed esistenziale si ispirava alle posizioni di Albert Camus di cui era amico. Mauri non dice nemmeno che sino al 1985 Vercors continuò a pubblicare romanzi, testi teatrali e saggi tra cui P.P.C. – Pur prende congé (1957) ironico e malinconico addio al partito comunista cui era stato legato per 10 anni. Tanto vale vivere - Mauri ha un merito, però: quello di citare, a proposito di suicidi, una poesiola di Dorothy Parker che da decenni mi è cara: “I rasoi fanno male/ I fiumi sono umidi/ L’acido lascia tracce/ E le pillole danno i crampi/ Le pistole sono illegali/ I ceppi cedono/ Il gas ha una puzza orrenda/ Tanto vale vivere”. Melville, maestro del “noir”, faceva film soprattutto per il pubblico, non per i critici 10 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo Rilanciare Melville – In Italia esistono almeno due critici competenti su Melville: Emanuela Martini e Mauro Gervasini. Nel 2008 il Torino Film Festival organizzò una personale del regista. Furono loro due a curarne il catalogo, pubblicato da Il Castoro. Bisognerebbe ripeterla e farla circolare. Se preparata come si deve, avrebbe successo perché Melville faceva film soprattutto per il pubblico, non per i critici. E registi in voga come Tarantino e John Woo non hanno mai nascosto quel che hanno imparato da lui. ottobre 2011 FINE PEN(N)A MAI VISIONI FORZATE E INDULTI CRITICI Come Faust nessuno mai: Leone di Platino o Leonissimo d’Oro? STOP Cannes che abbaia non morde. STOP Roberto Silvestri sul Manifesto: “Faust ha vinto tra gli applausi la Palma d’Oro di Venezia 68”. STOP “Al film non serve lo spettatore, è lo spettatore che ha bisogno del film”: Sokurov fa le pentole ma non i coperti. STOP Giancarlo Galan: “I film italiani sono i migliori”. Ed eravamo appena al brindisi. STOP Terraferma : finché la barca va, lascialo andare. STOP Shame: coito ergo boom! STOP Cristina Comencini: “Ha da passà ‘a nuttata”. STOP Noli contundere Venezia. STOP Laguna dixit: date a Müller gli anni che diMostra. STOP Laguna ridixit: non si piantano Baratta e burattini. STOP Materia bigia: “Che scandalo il Leone a Faust, non è cinema”. ALMOST (IN)FAMOUS: DALLE STALLE ALLE STARLETTE Darren Aronofsky: “Terraferma sempre in vetta nelle preferenze della giuria”. Peccato stessimo a zero metri sul livello del mare. #### Da Crialese alla Comencini, il ritornello è il solito: gli italiani sono masochisti. Ma per come girano o per come criticano? #### “Finalmente un ruolo all’altezza delle sue ambizioni”: firmata Philippe Garrel, l’unica recensione che Monica non leggerà mai. #### Riccardo Tozzi: “La psicologia della Sala Darsena è figlia di Goebbels”. E la Comencini della Riefenstahl? #### Maria Luisa Agnese: “Ben messo Fassbender”. Tranquilli, twittava di Totoleone. #### Noi credevamo fosse un Leone, invece era un Martone. #### Super (8) Curzio Maltese: "Un altro giro sulla giostra del 3D". Lui non è sceso. Federico Pontiggia A work of Acetate Etienne Rey Marseille, France PO649 Persol.com circolazione extracorporea PELLICOLE INVISCHIATE NELLE RETI Fruizioni multiple nell’era della riproducibilità a cura di Peppino Ortoleva IL CINEMA SULLA TV A PAGAMENTO: DIFFERENTI STRATEGIE PER SIGLARE UN PATTO CON LO SPETTATORE Brand è una parola chiave della televisione contemporanea. Le identità di un programma, un canale, un pacchetto o una piattaforma sono elementi importanti, bussole che guidano lo spettatore entro un contesto fatto di offerte sempre più caotiche e complesse. Così sempre più spesso le reti televisive, e soprattutto quelle digitali, più piccole e tematiche, sia gratuite sia a pagamento, hanno bisogno di distinguersi, di emergere con un marchio e una promessa il più possibile definiti, semplici, chiari. Per offrire al pubblico un approdo certo, una fisionomia chiara, una promessa forte. I canali dedicati al cinema e ai film, da questo punto di vista, non fanno eccezione. Addirittura, talvolta, tracciano una linea di avanguardia, con operazioni identitarie estremamente curate e di successo, capaci di “reagire” con i film che mandano in onda, di integrarli e aggiungere loro valore. Prendiamo come esempio i canali a pagamento, le reti di Sky e di Mediaset Premium. Qui si possono distinguere almeno tre strade, tre differenti strategie attraverso cui le reti stabiliscono un “patto” con i loro spettatori. Una prima promessa, tipica delle prime reti nei bouquet come Sky Cinema 1 o Premium Cinema, è data dall’esclusiva, e ha a che fare con la filiera distributiva: il palinsesto di tali reti è infarcito di titoli recenti, al loro primo passaggio televisivo un anno dopo la sala, e tanto basta a definire questi spazi come un circuito di “prima visione” tv, a prescindere dalla qualità dei film. Quella di genere è la seconda forma di “patto”, attraverso cui si ritagliano canali che trasmettono solo film di un certo tipo: nomi evocativi (e spesso labili, sfuggenti) come Comedy, Hits, Cult, Emotion, Passion, Energy, Max e Classics si ricollegano (in)direttamente ad alcune macro-categorie di genere e alle attitudini di visione, cercando di spiegare (facendo perno su concetti e mood ritenuti autoevidenti) i criteri di selezione dei film e di programmazione del canale. Una terza promessa, infine, è quella fornita dagli studios di produzione, grandi marchi internazionali che si trasformano in reti italiane: se quello di MGM Classics è il debole recupero di una library a basso costo, ben più interessante è l’esperienza di Studio Universal, che impagina ogni pellicola con elementi distintivi, crea serie di film, recupera rarità, arricchisce il palinsesto di contenuti extra su autori e attori e, orientando la sua comunicazione sull’expertise del brand, diventa “la tv del cinema di chi fa cinema”, sogno cinefilo al riparo dagli ascolti. Ogni film, appena approdato sul piccolo schermo, non entra così soltanto in un palinsesto, ma anche in un flusso di informazioni, identità e promesse legate al canale. E se da un lato ciò permette lo sviluppo creativo di un linguaggio del cinema in tv, dall’altro un tale legame rischia di uniformare l’offerta, dando uguale risalto a film di successo e a pellicole di minor valore. Perché, sempre più spesso, la qualità dei film non basta. O talvolta, persino, non importa. Mentre quello che conta è una buona confezione. LUCA BARRA BRAND Ogni titolo non entra soltanto in un palinsesto, ma in un flusso di informazioni, identità e promesse 12 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 glamorous Ultimissime dal pianeta cinema: news e tendenze Filippo Timi (Premio Mediaset Premium) e Claudia Pandolfi; nell'altra pagina: Monica Bellucci e Louis Garrel; John C. Reilly e Colin Firth con le rispettive mogli, Alison Dickey e Livia Uggioli a cura di Gianluca Arnone foto di Karen Di Paola BACI RUBATI C’è tutta una letteratura sui baci: baci come primule nel giardino delle carezze (Verlaine); morsi civilizzati (Sbarbaro), monete spicciole dell’amore (Thaddeusz), baci di Ulisse alla “petrosa Itaca” (Foscolo). Il bacio, eterno inventario di poeti e mascalzoni, amanti a amatori, può segnare indifferentemente l’inizio di qualcosa (“Un apostrofo rosa tra le parole t’amo”, E. Rostand) e la sua fine (“Estremo saluto è il tuo bacio”, A. Merini); può essere “corto, durato più di un lampo”, o lungo e “più lontano” (Solinas). Di baci è pieno il cinema: mai dati, con gli abbracci, primi e ancora, per tutti o rubati. Di baci (di Giuda) vivono le buone novelle e Novelle 2000, 3000. Colti di sorpresa, paparazzati, in esclusiva. Ora malinconici e romantici, ora lascivi e degni di scandalo. Ma sempre veri. Al Lido abbiamo scoperto invece una nuova tipologia di baci. I baci posati. Una specie di teatrino del bacio allestito per riempire i giornali. Baci simulati, baci plastici, baci offerti all’obiettivo. Baci che baciano i baci. Anche questi in fondo baci rubati. All’amore. settembre 2011 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 15 La po s ta di S H EK H AR K AP U R o Pensieri in libertà: lo sguardo globale del cineasta indian LA CLASSE MEDIA IN PIAZZA CONTRO LA CORRUZIONE DEI POLITICI, VERA E PROPRIA EMERGENZA DEMOCRATICA. E’ IL MOMENTO DI CAMBIARE ROTTA INFURIA IL DIBATTITO, forse più di un dibattito: una rivoluzione. In India. Sul tavolo il rapporto tra popolo, parlamento e governo democraticamente eletto. Il movimento guidato da Anna Hazare, che vorrebbe istituire rappresentanti della società civile con facoltà di vigilare sull’operato dei parlamentari, ha suggestionato molti e raccolto un vasto seguito tra le classi istruite. Una classe che finora si era accontentata di vedere migliorati i propri standard di vita attraverso la crescita economica. Una classe spesso accusata di non andare nemmeno a votare, scende ora nelle piazze per far sentire la sua voce. Per protestare contro il più grande cancro esistente oggi in India: la corruzione. Mentre governo ed economisti rivendicano i propri meriti nello sviluppo economico, la gente sente di essere stata derubata dei frutti della crescita. Accusano i politici di aver sottratto all’India denaro pubblico. Il governo è in allerta. Impreparato alla sfida lanciata da cittadini considerati fino ad oggi passivi. L’opposizione ha scelto di appoggiare attivamente il movimento, ma sembra più una mossa di convenienza. Sarà disposta a limitare se stessa se dovesse formare il nuovo governo? Chiedi a qualsiasi indiano quale sia il maggiore problema che ha dovuto affrontare in vita sua e ti risponderà la corruzione. Ci tocca tutti, ogni giorno. Abbiamo imparato a conviverci, ad accettarla come fosse un elemento della nostra cultura. L’abbiamo condonata, pensando che fosse un effetto collaterale della nostra crescita SOLDI SPORCHI 2 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo settembre 2011 economica. Ma i casi registrati tra le alte sfere del governo stanno assumendo proporzioni che fanno inorridire in una nazione dove metà della popolazione vive sotto la soglia della povertà. Ancor più della corruzione, colpisce l’arroganza con cui la classe politica sta saccheggiando il paese. Tra la gente, c’è una totale perdita di fiducia nei governanti. Un dato preoccupante. E’ l’inizio di una crisi irreversibile del sistema democratico, come taluni hanno suggerito? Direi di no. Probabilmente è solo un’evoluzione della democrazia. Istituita dai precedenti colonizzatori, la democrazia indiana è stata fissata in una costituzione scritta per un paese che al tempo contava 350 milioni di abitanti. Nessuno poteva immaginare allora che la popolazione sarebbe cresciuta toccando il miliardo e passa di oggi. Con il 60% di questa sotto i venticinque anni. Il sistema politico, sociale e giudiziario indiano potrebbe non essere più adeguato a una popolazione così giovane, aperta all’iniziativa, tecnologicamente preparata. La corruzione è il frutto di un sistema lento, irresponsabile e antiquato, incapace di accettare la sfida della modernità. Un sistema protetto da quanti ne traggono benefici a costo di frustrare le aspirazioni della gente. Hanno dimenticato che le prime parole della costituzione indiana non sono “Noi governo” o “ Noi parlamento”, bensì “Noi popolo indiano”. I principi della democrazia non possono essere cambiati, vero. Ma i sistemi che li supportano devono poter essere modificati e adattati alle circostanze nuove della storia. (TRADUZIONE A CURA DI GIANLUCA ARNONE) CINEMAUNDICI e RAI CINEMA presentano un film di ERMANNO OLMI il villaggio di cartone MICHAEL LONSDALE RUTGER HAUER ALESSANDRO HABER MASSIMO DE FRANCOVICH prodotto da LUIGI MUSINI una produzione CINEMAUNDICI in collaborazione con RAI CINEMA in associazione con EDISON SpA con la collaborazione di APULIA FILM COMMISSION e REGIONE PUGLIA e in associazione con INTESA SANPAOLO SpA musiche di SOFIA GUBAIDULINA CINEMAUNDICI Film riconosciuto di Interesse Artistico Culturale con il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali Direzione Generale per il Cinema dal 7 ottobre al cinema con il Patrocinio dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati Ufficio per il Sud Europa COVER La nuova sfida di Spielberg è animata e si chiama Tintin. Ma non basta: il regista ha in caldo anche War Horse, nelle sale Usa a Natale di Gianluca Arnone L’ETERNO 18 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 SEMBRA UN “SUICIDIO”, ma alla Dreamworks e alla Disney la pensano diversamente. In America Le avventure di Tintin e War Horse, entrambi diretti da Steven Spielberg, usciranno coevi: il 23 e il 28 dicembre (in Italia Tintin il 28 ottobre, War Horse il 20 gennaio). Una decisione storica, senza precedenti. Si tratta di due film che, oltre a concorrere nel medesimo periodo, si contenderanno lo stesso pubblico: le famiglie. Le due major assicurano: c’è abbastanza domanda da arricchire entrambi. Di più. Sono convinte ambedue di avere nelle mani un prodotto che non teme concorrenza. Bell’attestato di fiducia. Nonostante l’ultimo decennio sia stato il più altalenante della carriera di Il regista Steven Spielberg. A sinistra Le avventure di Tintin FANCIULLO ottobre 2011 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 19 COVER cavalleria inglese. Finirà nelle mani dei francesi, poi in quelle dei tedeschi, passando in rassegna tutti i fronti della battaglia. In attesa di ricongiungersi col suo vecchio padroncino, Albert (Jeremy Irvine). Tratto dal romanzo di Michael Morpurgo (anche pièce), War Horse combina cinema bellico e Black Beauty (il romanzo di Anne Sewell). Morpurgo aveva deciso di scrivere il libro dopo aver scoperto l’eccidio dei cavalli durante la prima guerra mondiale (ne morirono 10 milioni) e raccolto le testimonianze di alcuni veterani che gli avevano raccontato come i soldati spesso parlassero con loro, Le avventure di Tintin. A destra War Horse Spielberg: a parte il riuscito Prova a prendermi, il remake de La guerra dei mondi non ha convinto la critica, mentre The Terminal e Munich sono stati un mezzo fiasco al botteghino. Maggiori soddisfazioni dall’ultimo Indiana Jones, classico lavoro interlocutorio, desideroso più di ritrovare antiche certezze che di guadagnarsi il futuro. L’impressione è che l’eterno bambino del cinema americano abbia vissuto con disagio il clima post 11 settembre. Spiazzato dal brusco risveglio di una nazione. Oggi l’America è anche più scossa. Se l’attacco alle Torri poteva essere archiviato come un incidente di percorso, il declino dell’economia rischia di macchiare il mito della superpotenza in maniera indelebile. Con pesanti ripercussioni sulle strategie e gli investimenti dell’industria cinematografica. Diventa interessante capire allora se e in che modo Spielberg – che di quell’industria è sempre stato l’alfiere – INQUADRA IL CODICE QR riuscirà a rinegoziare il CON IL TELEFONINO PER VISUALIZZARE IL proprio ruolo dentro TRAILER DI TINTIN uno scenario in fibrillazione. Non di rado i lavori del regista hanno anticipato tendenze, ridisegnato l’immaginario, ritrattato i confini tra spettacolo e autorialità dentro il rigido perimetro hollywoodiano. Tintin e War Horse giocano sullo stesso tavolo ma con carte diverse. Con il primo Spielberg debutta nell’animazione e nella stereoscopia, punta forte sul restyling estetico ma non 20 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 rinuncia a un’ossatura narrativa tradizionale, rileggendo un classico del fumetto, Hergè. Tintin racconta le avventure di un giovane reporter e del suo cagnolino Milù, in giro per il mondo alla ricerca di storie sensazionali, braccati da personaggi improbabili, al centro di misteriosi intrighi. Spielberg l’ha definito l’Indiana Jones coi calzoni corti. Il film è interpretato da Jamie Bell e Daniel Craig, convertiti digitalmente grazie al motion capture. Accanto all’artigiano Spielberg il consulente tecnologico Peter Jackson. Anche produttore, Jackson dirigerà i prossimi due capitoli della trilogia. Dalle proiezioni pilota in Francia trapela forte entusiasmo attorno al progetto. Ma Oltralpe sanno bene chi era Hergé, in America no. Viceversa, War Horse sembra più nelle corde di Spielberg. Il tema - la guerra – è un’ossessione che torna e ritorna nella sua filmografia. Per la prima volta Spielberg racconta la grande guerra, ed è un dettaglio fondamentale per la messa in scena: significa privilegiare il fattore umano su quello tecnologico (è un conflitto che, cannoni a parte, prevede ancora il corpo a corpo), ridurre il rumore, mitigare lo splatter, organizzare lo spazio (simile a una scacchiera, geometrico, globale: a differenza del montaggio a mitraglia del Soldato Ryan, abbonda qui l’uso dei carrelli e dei totali), spostare il focus dalle armi alla tecnica. Il perno del film è un cavallo di nome Joey, venduto da una famiglia di allevatori alla convinti che capissero tutto. L’utilizzo del cavallo, nella letteratura e nel cinema, non è nuovo. La sensibilità di questo animale è nota e usata spesso come metafora dell’innocenza (ricordate la cavallina di Delitto e Castigo?). Si capisce perché Spielberg sia rimasto conquistato dal soggetto: l’occhio umido, buono, del cavallo è quello di E.T. L’alieno, l’altro, il fanciullo che abbiamo dimenticato da qualche parte. E’ l’occhio del vecchio Spielberg, un’altra volta e di nuovo. Rivolto a quel che resta del (suo) mondo, dentro un cinema che sta cambiando. % Le avventure di Tintin si vedranno alla sesta edizione del festival di Roma ASPETTANDO il festival THIS IS ROME DA SPIELBERG A Scorsese, DAL POLITICO STONE A GERE: HOLLYWOOD FA FESTA SE VENEZIA HA LAVORATO BENE, Roma non sta a guardare o, almeno, ci prova. La corte serrata a Spielberg ha dato i suoi frutti, e Le avventure di Tintin non marcheranno visita alla sesta edizione del Festival. Ma Hollywood sbarca sul Tevere anche con 20 minuti dell’escursione nel 3D di Martin Scorsese, Hugo Cabret, con la stellina Chloe Moretz. Non è finita: premio (il Marc’Aurelio alla carriera) ufficiale e gentiluomo, Richard Gere ritorna all’Auditorium non più cinofilo, comunque fascinoso per nostalgiche signore. I palati più politici, viceversa, troveranno servizi e segreti in Untold History of America di Oliver Stone o la crisi finanziaria in Too Big to Fail di Curtis Hanson, mentre i vampiri se la vedranno con Breaking Dawn e i cinefili con l’Extra-ordinario Michael Mann. Il maestro Martin Scorsese. A sinistra la stellina Chloe Moretz e Oliver Stone 22 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 Poi, cose di casa nostra: da Montaldo a Pasolini, fino a un tourbillon di papabili, da Avati a Mezzapesa, passando per l’esordio alla regia di Ivan Cotroneo, La kryptonite nella borsa. Sperando che a Roma non tocchi la parte di Superman. FEDERICO PONTIGGIA DIETRO IL POTERE TRA GLI ITALIANI ATTESI, L’ANTEPRIMA DELL’INDUSTRIALE DI Montaldo, IN SALA A NOVEMBRE È UNA TORINO LIVIDA e invernale quella che fa da sfondo a L’industriale, l’ultimo film di Giuliano Montaldo che uscirà nelle sale a novembre, dopo un passaggio al festival di Roma. Per la terza volta in Piemonte, dopo Tiro al piccione (suo primo film) e I demoni di San Pietroburgo, il regista genovese porta sugli schermi un thriller d’altri tempi. Un giallo alla Chabrol che ruota intorno alle torbide vicende di una coppia dell’alta borghesia torinese: Laura e Nicola, che nel film hanno rispettivamente i volti di Carolina Crescentini e Pierfrancesco Favino. Attraverso loro Montaldo racconta una città cinica e indifferente: travolta, come tante altre, dalla crisi economica mondiale. Nicola, a cui non è mai stato perdonato di essere un parvenu, si trova a dover escogitare un modo per Giuliano salvare da solo l’azienda di famiglia e, contemporaneamente, il proprio matrimonio, messo a dura prova dalla presenza di un misterioso garagista straniero (impersonato dall’attore rumeno Eduard Gabia, già attore protagonista di Cover Boy) che corteggia la moglie. Ma è proprio il rapporto che lega Nicola a Laura a mettere in luce quello che è il tema principale del film: il potere. “I due personaggi principali – ha sottolineato lo stesso Montaldo - sono entrambi sopraffatti dal potere. La loro relazione lo conferma, essendo fondata più che sui sentimenti, su una competizione continua e sfibrante”. Intorno ai due una classe dirigente fredda e senza pietà che si spartisce, avida, gli avanzi di una carcassa ormai completamente depredata. CATERINA TARICANO Il regista Giuliano Montaldo sul set. A fianco Carolina Crescentini e Pierfrancesco Favino. Sopra una scena de L'industriale, in cartellone al festival di Roma ottobre 2011 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 23 eventi SILENZIO DI FUOCO a cura di Marina Sanna SILENZIO DI Muti e non solo al festival di Lione di Thierry Fremaux. Che 24 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 Il Fuoco di Giovanni Pastrone, capolavoro del muto italiano, restaurato al Lumière FUOCO rende omaggio al Museo di Torino ottobre 2011 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 25 OMAGGIO MONUMENTALE: il Museo Nazionale del Cinema di Torino ospite d’onore al 3° Lumière, organizzato dall’Institut Lumière di Lione. Il festival, diretto da Thierry Fremaux e presieduto da Bertrand Tavernier (3-9 ottobre 2011), presenta unicamente film restaurati e copie rare conservate dalle Cineteche di tutto il mondo. La novità è che a partire da quest’anno, ciascuna edizione del festival renderà omaggio ad una Cineteca che si sia particolarmente distinta nell’opera di valorizzazione della memoria del cinema, con una sezione apposita intitolata “Cinémathèques invitées”. Ad inaugurare la serie, proprio il Museo del Cinema di Torino. “Gli archivi – spiega Fremaux - svolgono un ruolo fondamentale e non bisogna dimenticare che sono stati loro a incominciare questo lavoro immenso di conservazione, e siamo particolarmente felici di iniziare proprio con Torino. Per la qualità e l’importanza delle sue collezioni e l’insieme delle sue numerose attività (pubblicazioni, mostre, restauri e retrospettive), rivolte a cinefili e al grande pubblico, che ne fanno un modello esemplare da imitare e seguire. Torino non è lontana da Lione, e ci auguriamo che i lionesi si rechino a visitare quel posto meraviglioso che ospita il Museo. E devo aggiungere che il direttore Alberto Barbera è una persona preziosa per il patrimonio europeo”. Oltre a una mostra fotografica, l’omaggio comprende la proiezione di tre film restaurati, L’assassino e I giorni contati di Elio Petri – quest’ultima in “prima” assoluta - e uno dei capolavori di Giovanni Pastrone, Il fuoco. Che il UN CAPOLAVORO SENZA ETA’ Il mèlo di Pastrone e D’Annunzio torna fiammante a Lione Musica per il muto. Dopo il post rock strumentale dei Giardini di Mirò, è il pianista Thibaud Saby a confrontarsi con il restauro de Il Fuoco di Giovanni Pastrone, suonando dal vivo al Lumière 2011 di Thierry Fremaux. Capolavoro del muto italiano “riveduto e corretto” dal Museo del Cinema di Torino, Il Fuoco (1915) è un melodramma intenso e – letteralmente - fiammeggiante, frutto della collaborazione tra Pastrone e Gabriele d’Annunzio, interpretato da due divi del tempo - la romana Pina Menichelli e il siciliano Febo Mari – e suddiviso in tre capitoli: La favilla, La vampa, La cenere. Pastrone, nome d’arte Piero Fosco, lo diresse un anno dopo Cabiria e la breve durata (55’) si spiega anche con i tagli imposti dalla censura, particolarmente accanita negli anni della guerra. Facile battuta, pochi minuti ma buoni: perché questo Fuoco brucia ancora. Toccate con mano, anzi, con gli occhi. F.P. 26 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 presidente Tavernier attende con impazienza: “Non l’ho mai visto e finalmente Barbera ce lo porta come un regalo. Ammiro molto la costanza con cui sta realizzando i restauri di Elio Petri, la sua dedizione è formidabile”. Il festival, nato nel 2009, oltre ad essere una festa imperdibile per chi ama il cinema, propone in ogni edizione anteprime di grandi film del passato (da segnalare I quattro cavalieri dell’Apocalisse di Rex Ingram, musicato dall’orchestra di Lione e diretta da Ernst van Tiel; da non perdere il capolavoro di Méliès, Le Voyage dans la Lune), con ospiti illustri (registi, attori, personalità del mondo dello spettacolo), omaggi (William A. Wellman, autore di famosi film hollywoodiani, da Nemico pubblico a E’ nata una stella), attirando migliaia di persone da tutta la Francia. Perché come ama ripetere l’instancabile Fremaux: “Il pubblico è intatto, incontaminato, bisogna mostrargli belle eventi FOTO: KAREN DI PAOLA Mastroianni nell’Assassino di Elio Petri, Alberto Barbera e il premiato Depardieu. Sotto Salvo Randone ne I giorni contati e nella pagina accanto Thierry Fremaux, una scena de I giorni contati e Bertrand Tavernier cose, e nel cinema ce ne sono un’infinità. L’obiettivo è far vedere copie restaurate di opere dimenticate agli spettatori di oggi, come fanno Torino e Bologna. Questo non significa solo film muti: bisogna restituire la storia del cinema recente alle giovani generazioni. Noi lo facciamo invitando attori, attrici, registi che vengono a parlare di questa passione. E’ una manifestazione nata per rendere omaggio a questa arte”. Il Lumière assegna anche un Grand Prix a un cineasta per l’insieme della sua opera, inaugurato il primo anno da Clint Eastwood, e l’anno passato attribuito a Milos Forman (con la versione integrale di Amadeus), che per la gioia dei lionesi, andrà a un francese: Gérard Depardieu. Dopo Dario Argento, per gli appassionati del genere stavolta l’appuntamento da non perdere è quello con la biografia di Roger Corman, che ha diretto fra l’altro La piccola bottega degli orrori (girato in tre giorni), un ciclo di lavori ispirati ad Edgar Allan Poe, e Il pianeta del terrore. Ma ci saranno anche Benicio Del Toro per L’Ile nue di Kaneto Shindò, cineasta giapponese di cui il divo è grande ammiratore, Fatih Akin per La loi de la frontiere di Lufti Akad, restaturato dalla World Foundation di Scorsese e tanti altri registi di fama internazionale. Shekhar Kapur, i fratelli Dardenne, Walter Salles, Stephen Frears, ognuno con un film del cuore da raccontare. % ottobre 2011 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 27 intervista Harrison Ford, per la prima volta bad guy in un western: “Un personaggio interessante” 28 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 FORD CORRE ANCORA “Fossi un pilota, sarei già in pensione”. Invece, a 70 anni Harrison lotta tra Cowboys & Aliens: “E’ il bello di questo mestiere” di Miriam Mauti FORSE NON HA NAVIGATO oltre i confini di Orione, ma - con la frusta di Indiana Jones o senza - ha attraversato gli ultimi 40 anni di cinema americano, combattendo Guerre stellari, nell’abito grigio da Presunto innocente o camminando sulle tegole parigine di Frantic... e potremmo continuare il gioco dei titoli per molto tempo. Ma Harrison Ford non era mai stato il bad guy di un film western. L’occasione gliel’ha offerta Jon Favreau, regista di Cowboys & Aliens, in uscita il 14 ottobre in Italia, anche se Ford ci ha messo un po’ a dire sì: “Diciamo che non capivo dove volesse andare a parare il film, con quel titolo. Dopo le prime dieci pagine di sceneggiatura volevo lasciar perdere, ma poi ho incontrato Favreau e le cose sono cambiate. E fondamentale è stato anche sapere che per il ruolo principale Daniel Craig aveva detto sì. Abbiamo due carriere diverse, ma è stato molto facile lavorare insieme. E’ stato un piacere. E’ molto intelligente e sa come raccontare la storia, lavora duro, è professionale, disponibile. E poi non avevo mai fatto un western e adoro andare a cavallo, l’idea mi piaceva”. I due si ritrovano nella città di Absolution, nel 1875. Con saloon e bulli in cinturone, come ogni western che si rispetti, fin quando in quel deserto del New Mexico atterrano gli alieni. Le sembravano atmosfere familiari? Tutto sommato qualcuno ha ottobre 2011 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 29 intervista definito Guerre Stellari un western dello spazio... No, cerco sempre di non portare l’esperienza di un film in un altro, ognuno è un progetto nuovo, una nuova esperienza. Tutti i film che ho fatto, da Presunto Innocente a Una donna in carriera, da K19 alla serie di Jack Ryan o A proposito di Henry, hanno un’unica cosa in comune: il mio lavoro duro per creare il personaggio. C’è un’espressione inglese che dice più o meno: “Quello che c’è scritto sulla scatola è ciò che c’è nella scatola”. Vale anche per me. Io cerco di entrare in connessione con i registi per fare buoni film e non tradire le attese del pubblico. Gli spettatori per me non sono fan, ma clienti, che devono essere ben serviti. lavora più con questo genere? Perché ho 69 anni. Nessuno scrive commedie con protagonista un quasi settantenne! Magari me le proponessero, ma penso che al massimo dovrò recitare la parte di un uomo di 70 anni l’anno prossimo e di 71 quello successivo... La considero una cosa positiva. E’ un vantaggio del mio lavoro, ci saranno sempre parti di vecchietti da recitare, no? Pensate se fossi stato un pilota... A quest’ora sarei in pensione. Ma come è successo che un falegname è diventato un attore? Ero un attore ben prima di essere un falegname. Solo che non lo sapeva nessuno. Ero arrivato a Los Angeles dopo il college, dove avevo studiato filosofia. Sapevo che non volevo un lavoro normale, come i miei amici, e ho scoperto che quando recitavo ero impaurito e riuscivo a vincere la paura. Amavo raccontare una storia. Non mi accontentavo. Poi ho incontrato Sergio Mendez che voleva gli costruissi uno studio di registrazione. Non mi chiese se avevo esperienza... E io non glielo dissi. Per sei mesi ho studiato manuali di falegnameria. Ho costruito quello studio e ho continuato a lavorare per i ricchi di Beverly Hills, mantenendo la famiglia. Poi arrivarono American Graffiti e La conversazione... E un giorno mentre ero nell’ufficio di Coppola entrò George Lucas: sono diventato Han Solo. E nel frattempo le cose che ho costruito sono ancora tutte in piedi... Non male no? Sarà Indiana Jones per la quinta volta? Lucas dice che sta lavorando alla sceneggiatura. Spero si sbrighi, non ho molti altri anni da aspettare per quel ruolo, ma è anche vero che se non c’è una buona idea, il film non deve farsi. Stranamente io con Lucas, da protagonista, ho fatto solo Guerre Stellari e con Spielberg Indiana Jones, ma abbiamo relazioni forti, siamo amici. % “IL QUINTO INDIANA JONES? LUCAS CI STA LAVORANDO: SPERO SI SBRIGHI, NON POSSO ASPETTARE MOLTO PER QUEL RUOLO” Almeno all’inizio del film, lei è il cattivo... Mi piace l’inizio da bad guy e poi lo strizzare l’occhio al pubblico, portandolo dalla tua parte. Il mio colonnello Dolarhyde colpisce prima il pubblico con un martello sulla testa, entrando in scena come un cattivo padre, poi però evolve e arriva a parlare con suo figlio spingendolo a crescere. E poi c’è la relazione con Daniel Craig, tutte opportunità per un attore. Insomma, l’ho trovato un personaggio interessante. Cowboys & Aliens le dà anche la possibilità di momenti da commedia brillante. Perché non 30 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 venezia 68 Pregi e difetti di un’ottima edizione, con un verdetto sorprendente e (quasi) ineccepibile. Al russo Aleksandr Sokurov un Leone destinato all’immortalità di Marina Sanna foto Karen Di Paola VENEZIA CHE FAUST Aleksandr Sokurov: cuor di Leone d’Oro. Pagina a fianco, la madrina Vittoria Puccini; Guido Lombardi per la miglior opera prima Là-Bas e le Coppe Volpi: Deanie Yip e il Michael Fassbender Show 32 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 UN FILM COSÌ è destinato a restare nella storia del cinema e a scolpire nella memoria collettiva il nome del suo autore: Aleksandr Sokurov. Artista, intellettuale di grande spessore, conosciuto da chi frequenta i festival internazionali, a volte premiato, quasi mai distribuito nelle sale. Non poteva che essere Faust, il Leone d’Oro della 68ma Mostra di Venezia, al di là di ogni compromesso immaginabile. E la giuria appunto, attribuito ex aequo ai due ragazzini protagonisti, peraltro bravissimi e assenti dalla premiazione. Magie dei festival, senza nulla togliere a Emanuele Crialese, che invece ha sbaragliato i pronostici del giorno prima, vincendo il Gran Premio della Giuria con il suo Terraferma. Un palmarés quasi ineccepibile, un po’ strana l’Osella per la sceneggiatura al greco Alps (lo svolgimento della storia Himizu, straziante opera sul futuro del Giappone post 11 marzo: dopo il terremoto e lo tsunami guidata dal regista Darren Aronofsky (con gli italiani Mario Martone e Alba Rohrwacher) ne ha fatti ben pochi, distribuendo Leoni e Coppe in modo talmente rigoroso, da meritare un applauso. Resta un piccolo mistero, quello del giapponese Sion Sono, tornato in fretta e furia per la serata conclusiva, per il suo Himizu, straziante (disperata) opera sul futuro del Giappone, post 11 marzo: ovvero dopo il terremoto, lo tsunami e la catastrofe nucleare. Pensava forse a qualcosa di più sostanzioso del riconoscimento per il talento emergente, il Mastroianni non è il punto di forza del film), coraggioso invece il Leone d’Argento al cinese People Mountain People Sea, il film sorpresa della Mostra. Non solo per il titolo svelato all’ultimo momento, anche per la trama misteriosa e crudelmente affascinante, che ognuno ha interpretato a modo suo. Compreso il regista Cai Shangjun. Attribuita a furor di popolo la coppa Volpi a Michael Fassbender per il controverso Shame di Steve McQueen (ha spaccato la critica in due) e stesso dicasi per la Coppa alla sessantatreenne Deanie Yip per un altro cinese, A Simple Life di Ann Hui, che si è aggiudicato anche la Buona visione A futura memoria: da The Exchange a Kossakovsky, quando lo sguardo si fa protagonista di Valerio Sammarco Che cosa chiede l’occhio dello spettatore nel buio di una sala? Soprattutto, durante una Mostra d’Arte Cinematografica, Internazionale? La risposta più ovvia, scontata, è: ottimi film. Ma 34 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 Il Presidente della Biennale Paolo Baratta Sfilata di premi: i fratelli Dardenne, Jean Dujardin, Kirsten Dunst e Maïwenn. A sinistra Tilda Swinton, rimasta a mani vuote Sokurov vince con Faust. A fianco, Sion Sono col Mastroianni ai suoi attori e Crialese, col premio della giuria a Terraferma nostra La Navicella-Cinema. Racconto malinconico di una domestica che va incontro alla morte in una casa di riposo e il suo rapporto con l’ultimo datore di lavoro. E’ stata una Venezia da ricordare, nel bene e nel male, come vedrete dai voti che abbiamo assegnato nelle pagine che seguono. In alcuni casi con esiti inferiori alle aspettative (vedi Todd Solondz con Dark Horse o alle volte non basta. No, alle volte l’occhio chiede di essere sorpreso, costretto senza via di scampo ad incartare per la memoria quello che vede. Può avvenire anche attraverso film imperfetti, non può non accadere quando è l’opera stessa a riflettere sulla “visione”: la selezione ufficiale del Festival di Venezia (tanto in Concorso quanto Fuori, senza dimenticare Orizzonti), in tal senso, ha offerto più di qualche semplice spunto. Si pensi al protagonista di The Exchange, dell’israeliano Eran Kolirin, al quale basta rientrare a casa in un orario insolito per smarcarsi dall’abituale “routine d’osservazione”, o al fantastico Gary Cronenberg con A Dangerous Method, o peggio le Cime tempestose di Andrea Arnold). Viceversa, Le idi di marzo di Clooney, Carnage di Polansky, il magnifico Killer Joe di Friedkin sono stati persino superiori alle (nostre) attese. Un’edizione faticosa, per l’accavallarsi delle proiezioni e degli eventi concomitanti: in quanti hanno visto A Oldman de La talpa, “spettatore” chiamato a tornare sui suoi passi, sui propri sguardi, per stanare la spia doppiogiochista nel notevole adattamento di Alfredson da Le Carrè. Per non parlare della giovane mamma in Kotoko di Shinya Tsukamoto (vincitore di Orizzonti), schiava di un’impressionante “schizofrenia” visiva, dei quattro personaggi vendenti “amore” nel teorico Alps di Yorgos Lanthimos, improvvisati attori impegnati ad aggirare la morte agli occhi di inconsolabili committenti, o l’eccesso di “visioni” che caratterizza il multitasking 4:44 Last Day on Earth di Abel Ferrara. Simple Life o 4:44 Last Day on Earth di Abel Ferrara?, o si sono accorti che per la prima volta i fratelli Dardenne hanno messo piede a Venezia, per il più che meritato premio Bresson? Il direttore Marco Müller, di anno in anno, si mostra sempre più generoso nella programmazione: se dovesse essere riconfermato non potrebbe lasciare qualcosa agli altri festival? % Che aspetta la fine del tutto, miraggio a lunga scadenza per l’Heathcliff di Cime tempestose, “riletto” anche visivamente da Andrea Arnold e premiato per la fotografia. Elemento imprescindibile per il Faust di Sokurov – almeno una zampa del Leone d’Oro va al maestoso lavoro sulle luci di Bruno Delbonnel – e per lo straordinario Vivan las antipodas! (nella foto) di Victor Kossakovsky, altro cineasta (documentarista) russo che riesce letteralmente a “piegare” il cinema, capovolgendo il mondo, per regalare allo sguardo l’impossibile, un tramonto argentino e l’alba di Shanghai. Uno sopra all’altro, unisoni, indimenticabili. % ottobre 2011 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 35 GIOCO DI George Clooney e Madonna: ecco i veri divi della Mostra. Vanesi e accattivanti di Gianluca Arnone, foto Karen Di Paola 36 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 SPECCHI RE GEORGE e Lady Madonna. Aristocrazia dello spettacolo. L’uno maestro di cerimonie, un po’ spaccone un po’ sornione. Regala ironia e sorrisi, e batoste a mai finire (chiedete ai democratici, chiedete alla Canalis). Sembra l’orca da circo che nasconde l’orca assassina. L’altra è una corazzata rosa tutta spigoli ed erotismo, provocazioni e controllo. Una predatrice affascinante e terribile. Si specchiano e fanno di vanità virtù, di ogni gesto un calcolo, della vita una finzione. Le apparenze ingannano ma l’essenza è quella: il business. A Venezia si specchiano e si riscoprono uguali. Vanesi e accattivanti, acclamati e perdenti: uno apre le danze della Mostra e questa gli chiude la porta in faccia. Rispedito a casa, senza premi. L’altra da regina del pop si trasforma in regina del flop, da macchina da soldi a macchina da presa. Dalle urla dei fan passa alle pernacchie. Della critica. Perché non di solo glamour vive l’arte. Che, dopotutto, non ha mai elargito fama e denari a nessuno. ottobre 2011 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 37 venezia 68 i film Il pagellido Da 1 a 5: i nostri voti ai film che ci hanno deluso, divertito ed entusiasmato. In pole position il Faust, People Mountain People Sea e La talpa 4 A SIMPLE LIFE Ah Tao è una vecchia signora che ha fatto la donna di servizio per sessant’anni nella stessa famiglia. Adesso sono andati tutti in America meno Roger che è restato a Hong Kong dove lavora nel cinema. Ah Tao viene ricoverata in ospedale, resta in parte paralizzata, deve seguire la rieducazione, è Roger che la aiuta, la va a trovare, cerca una sistemazione per lei in una casa di riposo, la porta alla prima di un suo film. Il rapporto tra i due è intenso, da nonna a nipote. Arriva, questo legame, fino alla fine. E tutti e due sanno che dovrà arrivare lì. Quel che conta è arrivarci bene: festeggiando con tutta la famiglia venuta apposta dall’America la quinta generazione passata sotto gli occhi di Ah, oppure continuando a prestare dei soldi (a fondo perduto…) a un ospite della casa di riposo. Il film in molti momenti sembra un documentario, tanto è tranquillamente vivo, anche grazie a un attore come il glamouroso Andy Lau e a un’attrice come Deanie Yip, premiata con la Coppa Volpi. B.F. testi di Gianluca Arnone, Bruno Fornara, Federico Pontiggia, Valerio Sammarco, Marina Sanna foto di Karen Di Paola 38 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 4 LE IDI DI MARZO LIFE WITHOUT PRINCIPLE Un’analista finanziaria, un malvivente, un impeccabile ispettore di polizia: tutti alle prese col saliscendi delle Borse e della morale. L’hongkonghese Johnnie To inquadra dreams that money can buy, con un occhio al Kubrick di Rapina a mano armata e due sulla crisi globale. Ma senza colpo – stilistico - ferire: è una Life ordinaria, senza guizzi di camera, senza sussulti poetici, senza, dunque, troppa vitalità. Che dire, la crisi fa male anche al cinema. F.P. 2 KILLER JOE Tratto dalla pièce teatrale di Beau Willimon (Farragut North), la quarta regia di George Clooney - qui anche coprotagonista nel ruolo del governatore in corsa per le primarie del partito democratico - illumina il dietro le quinte della politica, i machiavellismi, l’arte della menzogna e i colpi di teatro che la caratterizzano. La politica è finzione, i candidati comparse, la regia - similitudine autorizzata dallo stesso Clooney nel momento in cui descrive il retrobottega dei democratici come quello di uno studio televisivo - delegata ai portavoce, veri uomini nell’ombra della democrazia americana. Il più astuto di loro si chiama Stephen, e la sua metamorfosi - da ingenuo idealista a cinico manovratore disegna la parabola stessa de Le idi di marzo, che è insieme tragedia shakespeariana e opera civile alla Redford. Ryan Gosling è semplicemente strepitoso, ottimi i comprimari (da Seymour Hoffman a Paul Giamatti passando per Evan Rachel Wood), sempre più sorprendente il regista Clooney: sciolto, asciutto, morale. In una parola, classico. G.A. 1 SHAME L’ultimo Friedkin non è solo quella scena già di culto (Gina Gershon in ginocchio, davanti a McConaughey, costretta a succhiare una coscia di pollo): lì c’è il fuoco d'artificio di un'opera che, tra noir e grottesco, thriller e dark comedy, non si preoccupa di destabilizzare il pensiero "comune" e inquadra la disfunzionalità di una famiglia con violento distacco e sentito divertimento. Anche grazie ad un cast straordinario. V.S. 4 Dopo Hunger, Steve McQueen torna a dirigere Michael Fassbender (Coppa Volpi), ed entrambi si confermano all’altezza. Loro, non la storia di un bello, bravo e infoiato a NY: furba e ricattatoria, moralistica e reazionaria, una discesa agli inferi che mischia Eros e Onan, addiction e Dio, nascondendo le vergogne poetiche dietro la foglia di fico dello stile. Shame on you! F.P. ottobre 2011 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 39 4 HIMIZU “Non mollare, non mollare”. Urla Chazawa a Sumida. L’ultima scena straziante di Himizu, del giapponese Sion Sono. Un vero post 11 marzo, ossia girato dopo il terremoto e lo tsunami che hanno costretto il regista a rimettere le mani sulla sceneggiatura. La violenza e le macerie del Giappone fanno da sfondo alla storia di due quindicenni. L’unico POULET AUX PRUNES Messe da parte l’eleganza, la sobrietà, e anche la durezza di Persepolis, la coppia di disegnatrice e regista si dà al fiabesco. Teheran, 1958. Un violinista (Mathieu Amalric) vede il prestigioso violino fatto a pezzi dalla moglie (Maria de Medeiros). Prova a sostituirlo, ma non è facile. Decide allora di lasciarsi morire nel suo letto. In attesa ripercorre la sua vita e la storia di un amore perduto. Il film, per quanti sforzi faccia, si accartoccia su se stesso e sui propri arabeschi e allegorie. 2 B.F. 40 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 desiderio di Sumida è quello di essere lasciato tranquillo. Soprattutto dai genitori, che lo trascurano (la madre) o lo riempiono di botte (il padre alcolizzato). Come un muro di gomma, assorbe insulti, calci e umiliazioni cercando di portare avanti il noleggio di barche di famiglia. Chazawa invece è ricca, ha una bella casa e una madre pazza. Cerca di distrarsi, aiutata dalla cotta per il compagno di classe, Sumida appunto, che invece non la ricambia. Testarda come un mulo, lo aspetta, lo aiuta nel noleggio delle barche e infine lo guarisce dalla rabbia e la follia, che esplodono inevitabilmente. Un’opera difforme, a tratti insopportabile, disperata e indimenticabile. M.S. THE EXCHANGE 1 4 W.E. [fuori concorso] CARNAGE (Quasi) un unico tempo senza ellissi che fila via dritto dritto per 79’ che è quanto dura il film. Lo spazio di un appartamento, più corridoio con la porta dell’ascensore che si apre ma non ci si entra mai. Ci sono, a incorniciare il tempo del ring, un inizio in piano sequenza con una lite tra ragazzini, quattro genitori furiosi e un finale con criceto (fondamentale nello svolgimento del match). Regia perfetta di Polanski, e non era facile, sempre pronta a spostare l’occhio dove serve, sempre “al tempo”. Uno spasso continuo. B.F. Riscoprire la propria esistenza, fino ad osservarla dall’esterno, partendo da un avvenimento fortuito: cambierà tutto per Oded (Rotem Keinan), perché a cambiare è la prospettiva, la diversa angolazione con cui inizierà ad osservare ogni cosa. E’ lo spunto dell’opera seconda di Eran Kolirin, che dopo La banda non abbandona l’ironia ma tenta l’approdo ad un cinema più concettuale, teorico, che avrà bisogno di ulteriori verifiche. A tratti inaccessibile, The Exchange rischia di restare intrappolato nello stesso esercizio (mentale, frutto di una riflessione sui “non luoghi” dello stesso regista) che ne ha caratterizzato la genesi. V.S. 3 La leggendaria storia di Edoardo VIII e l’americana Wallis Simpson: divorziata, non bella, il suo amore fu inteso reato di lesa Maestà. Vi pare che Madonna potesse esimersi dal cancellare la damnatio memoriae? Fotografia leccata, regia iperconvenzionale, dialoghi risibili e la sensazione brutta del deja-vu, ma W.E. è suo o piuttosto del co-sceneggiatore Alek Keshishian? Fu lui a dirigere A letto con Madonna e qui cita pure il suo Amore e altri disastri, da dove viene tutta la crew di W.E.! Siamo buoni, al massimo Madonna potrebbe sempre dire: “L’abbiamo diretto W.E., pardon, noi”. F.P. LÀ-BAS [sic] A DANGEROUS METHOD Tratto dalla pièce di Christopher Hampton, il triangolo tra Jung, Freud e Sabina Spielrein è uno sceneggiato tv paratattico e tradizionale, afflitto da aulica verbosità e legato a doppio filo al genitore teatrale: un film di Cronenberg? No, almeno se intendiamo quello duro e puro de La mosca e Inseparabili. Ma il peggio è altrove: se Mortensen (Freud) e Fassbender (Jung) recitano l’onesto compitino, l’isterica Keira Knightley fa di scucchia unica virtù. Altro che metodo, caro David, urge TSO. F.P. 2 Castel Volturno, 18/9/08, la camorra fa strage di migranti. Poi arriva la finzione, ma non direste: Yssouf e Moses, Germain e Suad sono strappati alla carta sporca della cronaca. Con stile verità, il deb Guido Lombardi dirige LàBas, dove “tutti sono stronzi” e “Dio è bianco”. Gomorra virato in nero, antropologia a mano armata, darwinismo criminale: imperfetto ma urgente, premio Luigi De Laurentiis. 3 F.P. ottobre 2011 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 41 ALPS Infermiera, paramedico, ginnasta e allenatore: quattro autori in cerca di un personaggio, che a pagamento rimpiazzano i cari estinti. Si chiamano Alpi, perché possono sostituire tutti gli altri monti, e non viceversa: accadrà il contrario. Osella per lo script, Yorgos il greco mixa verità e finzione, metacinema e società dello spettacolo, cultura pop e simulacro: salita impervia, poetica mozzafiato. 4 F.P. 4 WILDE SALOME [fuori concorso] Non è un film sulla messa in scena della Salome di Wilde, né messa in scena filmata. Pacino non desidera realizzare una rappresentazione, ma filmare questo desiderio. Wilde Salome – bravissima Jessica Chastain – è work in progress per forza e per scelta: racconta lo scarto, la distanza necessaria tra l’azione e l’intenzione del suo regista. Un desiderio desiderante e inappagato. Che ci lascia soddisfatti. G.A. 5 LA TALPA Chiamato a confrontarsi con l’omonimo capolavoro di John Le Carrè, lo svedese Tomas Alfredson (Lasciami entrare) non solo riesce a smarcarsi dall’inutile “traduzione” ma compie una sorta di miracolo cinematografico, trasformando una spy-story in un vero e proprio trattato sulla visione. D’altronde La talpa lo mette in chiaro sin dalla prima sequenza, con quella veduta dall’alto su Londra, che attraverso il carrello indietro svela ai nostri occhi che stanno osservando non “qualcosa”, ma qualcuno che osserva: capirlo alla 42 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 fine del film, insieme all’epifania di Smiley (Gary Oldman, fantastico), potrebbe essere troppo tardi. Nessuna concessione allo spettacolo, estetica della sottrazione mirata a ritrovare il senso più profondo di ogni singola parola, di ogni inquadratura o movimento di macchina: lo spettatore deve compiere una scelta, scommettere o meno sulla propria capacità d’osservazione. Sorretto da un cast pazzesco (tra gli altri Colin Firth, Tom Hardy, John Hurt e Mark Strong), il film sarà nelle sale a gennaio. V.S. 5 FAUST CUT [orizzonti] Verità, arte e intrattenimento. E’ il cinema secondo Shuji, protagonista di Cut. Ed è il credo di Naderi, il suo regista. Cut è un vertiginoso meccanismo di sovrapposizioni e opposizioni: tra l’autore e il personaggio, il cinema e la vita. Un’operazione metalinguistica e personale insieme, romantica e necrofila. Pessimista, ma non rassegnato, Naderi si e ci chiede: davvero il cinema come arte è morto definitivamente? Il cineasta iraniano non risponde, ma il suo è un grandissimo film. Più chiaro di così... G.A. 5 Chiude la tetralogia del potere un film-summa. Un trattato filosofico, estetico. Un’opera oltre il cinema. Un lavoro che utilizza ogni risorsa espressiva disponibile - dall’uso delle luci (giallognole, il colore della decomposizione) alle dimensioni del quadro (formato 1:37, ovvero piccolo, angusto), dalla prospettiva (deformata) ai dialoghi (letterari, in tedesco), dalla tradizione pittorica (Altdorfer, Bosch, Dürer), a quella letteraria (Goethe e Mann, Dostoevskij e Borges) - per dare forma alla metafisica, qualcosa tra mente e mondo. Faust ci schiaccia per terra e ci riporta su, in un doppio movimento discensionale/ascensionale. E’ la storia della caduta più fetida e della salita più dannosa (l’uomo che vorrebbe farsi Dio). L’albero della vita al rovescio, dalle vette alle radici che scavano giù e più a fondo. Faust è imbevuto di morte, sovraccarico di corpi, forme putride, muffe. Faust è visione d’inferno. Ma Sokurov è dio dietro la macchina da presa. In sala dal 26 ottobre. G.A. 5 VIVAN LAS ANTIPODAS! [fuori concorso] Sinfonia-mondo che unisce 4 coppie di luoghi situati uno all’opposto dell’altro: Victor Kossakovsky compie l’impresa con Vivan las antipodas!, ridisegnando le coordinate spaziali, sferiche, del nostro pianeta. Sfruttando location indimenticabili, il cineasta russo “piega” le latitudini del racconto filmico: l’asse della mdp ruota come quello terrestre, il tramonto argentino si sovrappone a specchio con l’alba cinese, la corsa delle auto di Shanghai è seguita con un incredibile pianosequenza “capovolto”, mentre un masso che da millenni sfida le intemperie sulle montagne spagnole è giustapposto all’agonia di una balena spiaggiata in Nuova Zelanda. L’eterno e la morte assumono le stesse sembianze, Kossakovsky ne celebra la portata. Di una bellezza commovente. V.S. TEXAS KILLING FIELDS Ami è la figlia di Michael Mann, ha girato il primo film Morning nel 2001, adesso torna con questo poliziesco drammatico, dove siamo dentro un film di genere ma anche smarriti lungo altre strade che portano a paludi, campi deserti, posti disastrati. La coppia di detective (Sam Worthington e Jeffrey Dean Morgan) si trova per le mani troppi casi di donne violentate e mutilate. Rischia di fare quella fine anche una ragazzina (Chloë Moretz). In una scena si salta sulla sedia. Ci sono errori e scompensi ma almeno il film c’è, cupo, tragico, notturno. B.F. 4 ottobre 2011 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 43 venezia 68 i film 5 DARK HORSE 3 Storia di una giovane madre afflitta da “sdoppiamento visivo”, Kotoko (vincitore di Orizzonti) dà il meglio di sé negli inserti “techno schizofrenici” che caratterizzano da sempre la cifra di Shinya Tsukamoto: il vertice si raggiunge verso il finale, nello switch tra realtà e immaginazione che porta la donna a vedere la testa del figlio spappolata da un colpo di fucile. Per il resto, però, il film soffre alcune cadute di ritmo, concede troppo alla “poesia” e al canto (l’attrice è Cocco, celebre artista giapponese), si sfilaccia insieme all’esistenza della protagonista, che taglia la propria carne non per togliersi la vita, ma per trarre conferma che il proprio corpo desideri restare vivo: un po’ come Tsukamoto, che attraverso lo scarto di momenti di “ultracinema” chiede a se stesso conferma di esistere ancora. V.S. 3 44 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 KOTOKO [orizzonti] Alla galleria di disadattati, cialtroni, pervertiti e perdenti mancava il bamboccione. Solondz vede e provvede regalandoci un altro abominevole ritratto americano. Protagonista un trentenne obeso, accasato dai genitori, perso nel suo mondo, sogno in formato cliché nel sogno di plastica della nazione, vero bersaglio del film. Che è il più diretto e accessibile tra quelli del regista, ma non meno apocalittico: Solondz mostra la proverbiale mancanza di pietà, sommerge i suoi personaggi di ridicolo, sceglie i suoi attori alla perfezione - bravi tutti: Justin Bartha, Selma Blair, Mia Farrow e Christopher Walken – gioca di sponda tra paradosso e reiterazione, costruisce un ambiente-acquario allucinante, lo congela. Con un sospetto di programmaticità e di maniera sconosciuto in passato, e una trama drammaturgica talmente esile da rischiare di spezzarsi prima del finale. G.A. 2 WUTHERING HEIGHTS A parte alcune digressioni, Wuthering Heights di Andrea Arnold è piuttosto fedele al romanzo di Emily Brontë. Il titolo evocativo, Cime tempestose, racchiude una delle storie d’amore più tragiche e crudeli mai raccontate. Armata di ambizione e cliché, Andrea Arnold sceglie la strada sbagliata fin dall’inizio: l’eroe appassionato e brutale, l’Heathcliff diventato Laurence Olivier nell’immaginario collettivo, qui è per ragioni incomprensibili di colore nero. Ma la vera disgrazia è che l’ossessione divorante che lega Heathcliff e Catherine, oltre ogni vincolo e ostacolo terreno, viene tradotta in paesaggi suggestivi e brutali, ripetuti all’infinito, e la passione smisurata in violenza gratuita su oggetti, animali e persone. M.S. 5 PEOPLE MOUNTAIN PEOPLE SEA Dalla montagna alle miniere, Tie è sulle tracce dell’assassino del fratello. Lastricata da fascinose inquadrature di spaesamento antropico, (on) the road è l’inferno chiamato Cina: povertà, corruzione, violenza e condizioni di lavoro che farebbero di Dickens cronaca odierna. Fino ai tre quarti, l’opera prima di Cai Shangjun è un ottimo film a tesi sulla disumanizzazione della Cina, e basta: quasi indifferente all’oggetto, l’errare di Tie sembra il vettore di un’analisi sociale cartesiana. Ma quando va a fondo nella miniera, ne riaffiora l’ineludibile forza di uomo: Tie incorpora e metabolizza la tesi, le dà nome e cognome con una potenza espressiva inaudita. La potenza del film: una deflagrazione azzera i dubbi critici, e trova il Leone d’Argento. F.P. ottobre 2011 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 45 fuoricampo Voci dal Wes Studi e Tommy Lee Jones: volti e testimonianze del melting pot americano, a Bari per la prima edizione di Frontiere (a cura di Marina Sanna) Tommy Lee Jones “ANDAI IN CITTÀ A STUDIARE, ma dimenticai come si parlava Cherokee, e quando tornai, nessun parente mi capiva, allora ho imparato di nuovo, ho reimparato a parlare Cherokee, in order to survive!”. E’ la testimonianza di Wes Studi, protagonista tra i più celebri del cinema indipendente e hollywoodiano ( Balla coi lupi, Geronimo, L’ultimo dei Mohicani, Avatar) sui native american, cherokee impegnato nella difesa dei diritti, alla 46 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 E’ una parola che attira l’attenzione, frontiera. Ricordo la canzone degli anni Cinquanta su Dave Crockett, “King of the wild frontier”. Evocava immagini di popoli di origine europea che civilizzavano e cristianizzavano la parte occidentale degli Stati Uniti. Ora accade il contrario, ma è sempre in riferimento al “Manifest Destiny”, il principio del destino manifesto della cultura della conquista di metà 800: l’idea che i popoli di origine europea avessero la missione di controllare tutto il nord America. Un’altra parola per definire tutto questo è: imperialismo. Quindi ci sono molti punti di vista riguardo la frontiera, termine di molte sfaccettature. È un tema interessante da un punto di vista letterario, è un tema interessante dal punto di vista cinematografico, per esplorare l’idea di confini. Sia che si tratti di una linea disegnata nella sabbia o disegnata dal corso di un fiume, o che si trovi da qualche parte, nel cuore o nella mente. Il termine è davvero molto vasto. Spesso comporta, implica una lotta sociale. La frontiera è anche una condizione mentale, sentirsi sempre tra due estremi. È probabilmente questa la definizione, è ciò che la mente stessa è. Ragione e sentimento, non c’è l’una senza l’altro. mondo Wes Studi prima edizione di Frontiere, con una sua lecture e il suo ultimo film in anteprima europea The Only Good Indian diretto da Derek Willmot. “Non credo che l’America abbia perso il senso della vita”, dice l’attore-regista Tommy Lee Jones, che a Bari ha portato invece Sunset Limited, tratto dalla pièce di Cormac McCarthy: “Non ci credo nemmeno per un secondo. E se il mio paese ha bisogno di essere salvato, Il popolo Cherokee ha una lunga storia legata all’idea di frontiera. C’è qualcosa di misterioso sulle nostre origini, la leggenda racconta che arrivammo tanto tempo fa da una terra lontana popolata da uccelli parlanti e piccole creature pelose dalle sembianze umane che vivevano negli alberi. Avevo visto i paesi del terzo mondo nei miei viaggi in Vietnam e Asia sudorientale, ma vederne uno negli Stati Uniti era incredibile! Ovunque c’era trambusto e persone che vivono in scatole di cartone per strada! Alcuni avevano anche l’antenna di una piccola televisione che sporgeva! Dovevo sembrare davvero ingenuo! Andai a casa di un amico vicino a Hollywood... Il mio primo film fuPowWow Highway, con un attore sconosciuto di origini canadese-indiane di nome Gary Farmer. Questo fu il mio ingresso nel misterioso mondo della produzione cinematografica. Feci anche un provino e ottenni la parte in un film televisivo che mi portò a Santa Fe, Nuovo Messico, che sarebbe poi diventata la mia casa. Molte pubblicità mi tennero a galla durante l’anno successivo, e poi finalmente arrivò il mio momento e il film! I provini per Balla coi lupi cominciarono alla fine dell’inverno e a giugno di quell’anno ero sulla strada verso il Sud Dakota, per recitare nella parte de ‘Il fiero Pawnee‘. Nessun nome, ma... avevo un titolo! ottobre 2011 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 47 fuoricampo l’unico paese che può salvarlo è il mio paese. Ci sono i documenti che lo provano, le nostre intenzioni sono chiare. Non sempre riusciamo nelle nostre migliori intenzioni, ma le nostre intenzioni sono a disposizione di chiunque le legga. Certo che sono preoccupato... Riguardo l’economia, l’ambiente, la barriera corallina, gli uccelli, i bambini. Sono preoccupato per tutto. Ma l’America non ha perso se stessa”. Due personaggi emblematici dell’approccio multidisciplinare della nuova manifestazione pugliese, con un programma centrato su questioni critiche: il lavoro, la scienza, la legalità, la letteratura, la comunicazione, l’amore, il Mediterraneo, l’America. Le identità, appunto. Abbiamo scelto brani, spunti e conversazioni per raccontare l’ambizioso progetto, ideato da Oscar Iarussi e codiretto da Silvio Danese, svoltosi in questi giorni a Bari (serate “fusion” con concerti, letture, performance al Teatro Petruzzelli e l’Ex Palazzo delle Poste, storico edificio realizzato nel 1931 da Roberto Narducci, restaurato e inaugurato in occasione diFrontiere, nel quale è stata allestita la mostra fotografica “La prima volta di Gianni Berengo Gardin, Ferdinando Scianna, Olivo Barbieri”. % “Non credo che l’America abbia perso il senso della vita, non ci credo nemmeno per un secondo, e se il mio paese avesse bisogno di essere salvato, l’unico paese che potrebbe salvarlo è il mio” Tommy Lee Jones 48 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 DAL 14 OTTOBRE AL CINEMA thismustbetheplace.yahoo.it ritratti Dalla svolta del 1953 a Un amore splendido: commedia e melodramma, musical e avventura, ecco Deborah Kerr di Orio Caldiron DA QUI ALL’ ETERNITÀ 50 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 L’affascinante Deborah Kerr. In basso con Cary Grant per Un amore splendido NON BISOGNA MAI FIDARSI DEI CLICHÉ. Dopo tanti stereotipi, sul più bello la diva cambia personaggio, mandando all’aria le convenzioni dello star system. Sensibile discreta elegante, la scozzese Deborah Kerr – nasce a Helensburgh il 30 settembre 1921 e scompare a Suffolk il 6 ottobre 2007 – nel suo altalenante percorso d’attrice sembra perfetta per le suore, le lady, le governanti che lo schermo le affida fino a che non s’incrina lo strato di ghiaccio e si lascia tentare dalla passione. Nel cinema degli anni quaranta, dopo gli inizi precocissimi nella danza e nel teatro, si afferma in patria con Duello a Berlino (1943) e Narciso nero (1947) come il prototipo della bellezza britannica, sospesa tra abbandoni romantici e trattenute rimozioni. Se nei primi titoli del lungo soggiorno hollywoodiano rischia di far tappezzeria accanto a Clark Gable (I trafficanti), Stanley Granger (Le miniere di re Salomone), Robert Taylor (Quo vadis?), Marlon Brando (Giulio Cesare), la svolta decisiva della sua carriera risale a Da qui all’eternità (1953), alla “scandalosa” scena d’amore sulla spiaggia hawaiana con Burt Lancaster, dove la coinvolgente sensualità scioglie l’algida aura british della diva dai capelli rossi. Nei decenni successivi s’impone per la versatilità con cui passa dalla commedia al melodramma, dal musical all’avventura nei suoi ruoli più memorabili, che sono spesso i più ambigui. Come la smaliziata vedova di Il re ed io (1956) che conquista l’arcigno sovrano del Siam, lo scatenato Yul Brynner. La moglie del preside di Tè e simpatia (1956) che si prende cura dell’allievo sospetto gay, nel clima soffocante del college. Suor Angela di L’anima e la carne (1957) naufragata con il marine Robert Mitchum in una sperduta isola del Pacifico. La complessata stilista di moda di Bonjour tristesse (1957) che non sopporta il tradimento di David Niven. La timida zitella di Tavole separate (1958), ossessionata dalla madre invadente. La milady decaduta di L’erba del vicino è sempre più verde (1960), pronta al colpo di testa senza rinunciare alle buone maniere. L’irreprensibile governante di Suspense (1961), smarrita tra i fantasmi osceni del castello. La delicata pittrice masochista di La notte dell’iguana (1964) messa al tappeto dalla strepitosa Ava Gardner. La casalinga frustrata di I temerari (1969) che sedici anni dopo ritrova sulla propria strada Burt Lancaster ma la scintilla non scocca. Sta a sé Un amore splendido (1957), struggente epopea della coppia alle prese con il proprio destino. Deborah Kerr – intensa, immateriale, recita come respira – dopo la folgorazione del primo incontro sulla nave ha un appuntamento con Cary Grant tra sei mesi sull’Empire State Building. Nella tipica commedia neoromantica degli anni novanta come Insonnia d’amore è il cult movie che, tra un singhiozzo e l’altro, Meg Ryan vede e rivede di continuo. Quasi un risarcimento per le sei nomination e nessun Oscar, tranne quello per la carriera assegnatole nel 1994. % In quella struggente epopea della coppia, al fianco di Cary Grant, recita come respira ottobre 2011 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 51 OTTIMO BUONO SUFFICIENTE MEDIOCRE SCARSO This Must Catarsi e redenzione nel road-movie a stelle e strisce di Paolo Sorrentino. Con Sean Penn in stato di grazia i film del mese in uscita SE IL CINEMA fosse un campionato di calcio, si potrebbe dire che i film di Sorrentino praticano una sorta di personale e originalissima commistione di contropiede all’italiana e inventività carioca. Non un film che assomigli ad un altro, se non per la comune, estenuata 52 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 Regia Con Genere Distr. Durata ricerca stilistica e l’ansia di esplorare, reiteratamente, situazioni eccentriche e personaggi estranei ad ogni verosimiglianza. Colto ogni volta di sorpresa, lo spettatore (in primis quello professionale, notoriamente più rigido e Paolo Sorrentino Sean Penn, F. Mc Dormand Drammatico, Colore Medusa Film 120’ meno reattivo) precipita in uno stato di stordimento prossimo all’inazione. Be the Place Il regista Paolo Sorrentino ottobre 2011 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 53 i film del mese E’ successo anche stavolta, in maniera forse ancora più evidente del solito: forse per le notevoli aspettative generate dal primo progetto in lingua inglese del regista napoletano, decisamente oversize rispetto agli scarni budget nostrani. O, forse, per la barriera di un idioma che i critici italiani frequentano poco e male, risultando qui invece essenziali sottigliezze e calembour verbali non meno delle ardite acrobazie imposte da Luca Bigazzi alla mobilissima macchina da presa, o delle raffinatezze interpretative di uno Sean Penn semplicemente superlativo. Da cui certi rimproveri, neppur troppo velati, di sostanziale inconcludenza e riprovevole mancanza di spessore, quando invece il disegno è chiaro, almeno quanto le strategie formali messe in atto da Sorrentino (senza dimenticare gli assist procuratigli da Umberto Contarello, cosceneggiatore in stato di grazia). This Must Be the Place è in un certo senso un racconto di catarsi e redenzione come i suoi film precedenti, ma è soprattutto un’ardita variazione sul genere road movie ampiamente debitrice della tradizione letteraria picaresca. Ora, se c’è un elemento che Nel film anche Judd Hirsch. In basso la giovane Eve Hewson contraddistingue quest’ultima, oltre alla promiscuità dei toni e la prevalenza di situazioni comiche e assurde calate in una dimensione epica, è l’assoluta orizzontalità del racconto. Sorrentino si Stravagante negli episodi, orizzontale nel racconto: nessuna inquadratura lascia intuire la successiva 54 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 appropria di entrambi i principi formali, comprimendo e annullando la profondità presupposta dai temi del film (la tardiva maturazione del protagonista e la ricerca del vecchio nazista che ne aveva umiliato il genitore) nella superficie, quanto mai elegante e godibilissima, di una narrazione che inanella un episodio stravagante dopo l’altro, un incontro ogni volta più strampalato e bizzarro del precedente, fino ad apparire come il risultato di una scommessa eccentrica giocata dagli autori sulla pelle di noi spettatori: non consentire mai che un’inquadratura lasci intuire la successiva, o una situazione appena tratteggiata ne presupponga un’altra secondo una logica di causa ed effetto. In un film di soli partiti presi - come imporre a Sean Penn di trascinarsi dietro un incongruo trolley per tutto il film, o di parlare in un irresistibile falsetto al ralenti, che è una delle infinite risorse esilaranti del film – ha poco senso chiedersi se il finale sia discutibile nella sua ostinata leggerezza, o quanto colpevoli risultino le indulgenze stilistiche a fronte della pesantezza di un tema (l’Olocausto) che reclamerebbe un diverso trattamento. Conviene invece abbandonarsi senza riserve a questa improbabile e disarmante odissea americana, sulle tracce dell’Ulisse più ingenuo e accattivante che si potesse immaginare. ALBERTO BARBERA % i film del mese Melancholia Regia Con Genere Distr. Durata Kirsten Dunst, Charlotte Gainsbourg Drammatico, Colore Bim Una depressione chiamata desiderio: la cura planetaria di Lars von Trier è a regola d’arte 130’ IL MONDO FINISCE, ma non è la fine del mondo per la bella e depressa Kirsten Dunst: se il pianeta blu è una pillola blu, purtroppo Lars von Trier non l’ha mandata giù. Almeno a parole: sproloqui antisionisti, antisraeliani e antisemiti, e Melancholia suicidato sull’altare del colore giornalistico, della polemica cineapatica. Ridicolo, in ogni caso, dichiarare Lars persona non grata al festival di Cannes, ma torniamo al film, che ci regala la meglio ouverture della settima arte ultima scorsa: sulle note del prologo wagneriano del Tristano e Isotta, apre una sinfonia meccanicamente al ralenti, un indice immaginifico di quel che sarà, con una sposa prigioniera, una madre e il suo bambino che sprofondano in un campo da golf, un pianeta blu e comunque saturnino pronto a fagocitare la Terra. 56 in uscita Lars von Trier rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 Tableaux vivants a bulino nella memoria di Dürer, ma incisi nella materia di cui sono fatti i sogni, quelli terapeutici, quelli chimici: la reazione è familiare, il ph fisiologico a un’implosione autobiografica e filmografica che ordina il caos delle precedenti opere di Trier e si rassegna, anzi, si consegna a una fine dolente e curativa, ineluttabile ma non straziante, Il regista Lars von Trier come l’originaria ambivalenza del pharmakon vuole. I reagenti di questa soluzione insoluta sono gli attori: magnifici Kiefer Sutherland (John), Charlotte Rampling e William Hurt, e soprattutto le due “sorelle coltelle” Kirsten Dunst (Justine, protagonista del primo movimento sinfonico: da antologia la sua tintarella di “luna”) e Charlotte Gainsbourg (Claire, secondo movimento), tra cui Lars divide i suoi Sussurri e grida, mutando mood: glacialità pittorica, e poi realismo emotivo. Fino alla confessione che costa cara: control freak qual è, Trier mette alla gogna la (im)possibilità del controllo, sia sociale (il matrimonio di Justine) che scientifico (i calcoli di John). Rimane la rotta di collisione su un’attesa senza sorprese, melanconicamente – Justine – pronta a tutto perché autoconcessa al niente. E in medio stat Lars von Trier. FEDERICO PONTIGGIA % MEDUSA FILM PRESENTA VENDÔME PICTURES PRESENTA UNA PRODUZIONE PLAYTONE UN FILM DI TOM HANKS TOM HANKS JULIA ROBERTS “LARRY CROWNE” BRYAN CRANSTON CEDRIC THE ENTERTAINER TARAJI P. HENSON GUGU MBATHA-RAW WILMER VALDERRAMA PAM GRIER CASTING JEANNE McCARTHY, CSA MUSICHE JAMES NEWTON HOWARD COSTUMI ALBERT WOLSKY MONTAGGIO ALAN CODY, A.C.E. SCENOGRAFIA VICTOR KEMPSTER DIRETTOREDELLAFOTOGRAFIA PHILIPPE ROUSSELOT, A.FC./ASC COPRODUTTORE KATTERLI FRAUENFELDER PRODUTTORIESECUTIVI PHILIPPE ROUSSELET STEVEN SHARESHIAN JEB BRODY FABRICE GIANFERMI DAVID COATSWORTH PRODOTTO DA TOM HANKS GARY GOETZMAN SCRITTO DA TOM HANKS E NIA VARDALOS DIRETTO DA TOM HANKS DAL 28 OTTOBRE AL CINEMA SOUNDTRACK AVAILABLE ON RHINO L’amore che resta Il villaggio di cartone Potere alla Parola: contro le istituzioni e per l’Uomo, la pratica di vita di Ermanno Olmi Regia Con Genere Distr. Durata in sala L’adolescenza secondo Gus Van Sant cambia registro: più sentimentale di così si muore NON È L’ENNESIMA VARIAZIONE sui temi abituali dell’adolescenza. Ancora una volta, Gus Van Sant mette in scena due sedicenni (Hopper e la Wasikowska), ma cambia decisamente registro. In L’amore che resta lo sguardo si fa più intimo, meno distaccato. Il grandangolo che includeva nei precedenti la descrizione entomologica dell’ambiente circostante, cede il passo ad un focale che stringe sull’intimità dei due ragazzi diversamente provati dall’esperienza della morte. Lui ha perso la voglia di vivere, dopo esser stato in coma tre mesi per l’incidente d’auto che ha ucciso i suoi genitori. A lei restano tre mesi di vita, per il cancro che le divora il cervello. S’incontrano per caso, s’innamorano e si aiutano a vicenda. Lei gli trasmette la sua grande passione per la vita e gli uccelli, lui si offre di aiutarla ad affrontare il grande passo. Fra una discreta citazione di Shakespeare (Romeo e Giulietta) e una di Truffaut (da Jules e Jim), Van Sant ci conduce all’inevitabile conclusione. Un piccolo, grande film che riconcilia col cinema, di una leggerezza ammirevole e appagante. Coraggiosamente sentimentale e commovente. E, come se non bastasse, sostenuto da una colonna sonora (di Danny Elfman) di rara efficacia e sobrietà emotiva. ALBERTO BARBERA % Regia Con Genere Distr. Durata 58 Gus Van Sant Henry Hopper, Mia Wasikowska Drammatico, Colore Warner Bros. Italia 91’ rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 Ermanno Olmi Michael Lonsdale, Rutger Hauer Drammatico, Colore 01 Distribution 87’ LE ISTITUZIONI COME GLI ZOMBIE, i migranti come gli umani. Accerchiati in una chiesa sfitta, sentono gli elicotteri, vedono le luci blu e le sagome inquietanti del Sistema, ma sono al sicuro: non c’è più il crocefisso, ma Dio c’è. E c’è il vecchio prete (Michael Lonsdale), che vede trasformarsi quella chiesa ne Il villaggio di cartone, il cartone che scalda l’Uomo. Già fuori concorso a Venezia, nel cast Rutger Hauer 23 anni dopo La leggenda del santo bevitore, Ermanno Olmi apre all’accoglienza cristiana - ancor prima e più che cattolica - con immagini caravaggesche ad alto voltaggio simbolico, il potere alla Parola (al limite del didascalico) e una pratica di vita nicciana, che tra istituzione e fede non ha dubbi, tra incantare e dire non ha tentennamenti: dire dell’uomo, senza voli pindarici, senza l’art pour l’art. Se si rischia il discorso troppo diretto e l’apologo morale, la realtà non esce mai di campo: tra i migranti, c’è spazio per la suggestione terroristica, la cintura esplosiva del kamikaze. Manicheismo a bada, dunque, rimane una lezione: non la vita come il cinema, ma il cinema come la vita. Perché non ci sono né migranti né stanziali, ma solo uomini. E sono tutti di passaggio. FEDERICO PONTIGGIA % in sala i film del mese Una separazione Regia Con Genere Distr. Durata Peyman Moaadi, Leila Hatami Drammatico, Colore Sacher Film Dal ritratto di famiglia a quello di un paese: ecco l’Iran a spirale di Farhadi. Capolavoro 123’ SISTEMATO PANAHI, il regime iraniano dovrà fare i conti adesso con Asghar Farhadi. Che è persino più pericoloso, vista la capacità di dialogare con il grande pubblico. Farhadi è abile nel camuffare il dovere di critica dietro il diritto (ancora tollerato, ma per quanto?) di narrare storie appassionanti e in apparenza neutrali rispetto alla bagarre politica. Qualità che era già emersa nel precedente A proposito di Elly, dove la vacanza al mare di un gruppo di amici finiva in tragedia. Quel film si concludeva con l’immagine di una macchina arenata sulla spiaggia, simbolo neanche troppo nascosto di un paese impantanato nelle sabbie mobili delle proprie interne lacerazioni. Con Una separazione Orso d’oro a Berlino, d’argento all’intero cast - fa un ulteriore passo 60 anteprima Asghar Farhadi rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 avanti. A partire dal percorso tortuoso che porterà una coppia - Nader e Simin - a dividersi, Farhadi disegna una spirale la cui traiettoria si allarga progressivamente ai temi della malattia (il padre di Nader con l’Alzheimer), delle classi (lo scarto, culturale ed economico, tra la famiglia sfasciata e quella della badante), della giustizia (solerte ma inadeguata), della religione Il regista Asghar Farhadi (chiamata in ballo anche nelle più elementari questioni pratiche), della menzogna (praticata sistematicamente). La separazione finisce per espandersi – come un cancro – a tutti i livelli della società iraniana, perciò abbondano nel film vetri rotti, pareti inclinate, muri divisori. Fahradi sceglie di posizionare la mdp in mezzo, nel cuore della frattura. Cambia continuamente il punto di vista sulla verità. Aderisce alla prospettiva di ogni personaggio, mettendone a nudo umanità, fragilità, bassezze. Addensa il piano: di parole, gesti, sguardi terribili. Lascia lievitare il reale, emergere la metafora. Il quotidiano viene smosso, i fatti intensificati, drammatizzati, infine rimossi. Il film è un mulinello emozionale veloce, implacabile. La sua ruota dentata è l’Iran che gira, afferra, dilania. Freneticamente immobile. Dentro il vortice di un impasse. GIANLUCA ARNONE % NANNI MORETTI E DOMENICO PROCACCI PRESENTANO MICHEL PICCOLI IN Habemus Papam UN FILM DI NANNI MORETTI “UN FILM DI MASSIMA INTELLIGENZA E LIBERTÀ.” “UN’OPERA LIBERA, MATURA, FANTASIOSA. GRAN FILM.” Natalia Aspesi - La Repubblica Fabio Ferzetti - Il Messaggero “UN FILM MAGNIFICO, QUASI UN MIRACOLO: COMICO E SOLENNE AL TEMPO STESSO CON UN MICHEL PICCOLI GRANDISSIMO.” “UN CAPOLAVORO, IL PIÙ BEL FILM DEL SUO AUTORE INSIEME A PALOMBELLA ROSSA. MORETTI DIALOGA CON CECHOV, FELLINI, LA COMMEDIA DELL’ARTE, HERMAN MELVILLE, CON IL PAPA, CON FREUD.” Alberto Crespi – L’Unità “IL PIÙ BEL FILM ITALIANO DEGLI ULTIMI ANNI. E’ UN’OPERA COMMOVENTE, PROFONDA, COMICA, TENERA.” Daria Bignardi – Vanity Fair Stéphane Delorme – Cahiers du cinéma “NANNI MORETTI METTE IN SCENA MICHEL PICCOLI, BRILLANTE NEL RUOLO DI UN UOMO SCHIACCIATO DAL PESO DELLA SUA MISSIONE.” Jean-Luc Douin – Le Monde DAL 12 OTTOBRE IN DVD E BLURAY Arrietty Amici di letto Se il finale è già scritto, il piacere è arrivarci: funziona la rom-com con Timberlake e la Kunis Regia Con Genere Distr. Durata Will Gluck Mila Kunis, Justin Timberlake Commedia, Colore Warner Bros. Italia 109’ in uscita Apologo sulla paura e il desiderio dell’altro: dallo studio Ghibli l’ennesimo gioiellino SI CHIAMANO RUBACCHIOTTI, ci somigliano, sono microscopici, vivono trafugando le case degli esseri umani. Che, peraltro, temono come la peste. In questo ricambiati. Finché l’incontro tra due bambini dei due mondi non cambierà le cose. Da uno script di Miyazaki, un altro gioiellino dello Studio Ghibli diretto dall’esordiente Hiromasa Yonebayashi. Tenero e struggente apologo sulla definizione dell’altro, Arrietty è un viaggio di scoperta visionario (affascina il modo in cui di-mostra la specularità tra due universi che si credono paralleli), leggero e profondamente emozionale, sospeso tra paura e stupore, sospetto e desiderio: in gioco l’ottica dello spettatore, chiamato a vedere quell’altro identico a noi anche quando è diverso. Confronto che nell’utopia miyazakiana - evidente il suo tocco - non può che risolversi nell’assimilazione dell’alterità (anche spazialmente: la casa degli esseri umani e quella dei rubacchiotti non sono l’una sopra l’altra, ma l’una dentro l’altra) e nella con-fusione di sguardi. Utopia congeniale all’animazione che, tra i generi, è quella più votata a reimpostare visioni e visuali del mondo. La morale? Per guardare bene, guardare a fondo, guardarsi, non servono gli occhiali. Cambia prospettiva. GIANLUCA ARNONE % Regia Genere Distr. Durata 62 Hiromasa Yonebayashi Animazione, Colore Lucky Red 90’ rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 LA DOMANDA È SEMPRE LA STESSA: si può fare sesso senza rovinare l’amicizia? Il dilemma questa volta interessa Jamie e Dylan: lei una cacciatrice di teste, lui un editor che la ragazza piazza addirittura a GQ. Entrambi escono da relazioni disastrose e hanno un solo motto: niente nuovi amori, meglio una bella amicizia. A farli diffidare pure il fatto di avere alle spalle dolorose vicende familiari, infatti Dylan ha visto la madre andarsene di casa e Jamie non ha mai saputo chi fosse il padre. Con un tale retroterra persino Giulietta e Romeo ci penserebbero due volte prima di sfiorarsi, ma non i nostri eroi che sfidano il destino convinti di potersi divertire tenendo a bada i sentimenti. Il finale è già scritto, ma non compromette il piacere della visione perché certe commedie funzionano proprio in quanto risapute, consistendo il maggior piacere nello scoprire come si arriva al lieto fine. E da questo punto di vista Amici di letto: istruzioni per l’uso non delude e sfodera una sceneggiatura perfetta, dissacrante e divertente, potendo inoltre contare sulla sfolgorante presenza dei bravi Justin Timberlake e Mila Kunis nonché sui panorami mozzafiato di New York e Los Angeles. Se si deve sognare, e si è giovani, meglio farlo in grande. ANGELA PRUDENZI % in uscita European Film Awards People’s Choice Award THE EUROPEAN FILM ACADEMY vi invita a votare ai PEOPLE’S CHOICE AWARD 2011 il vostro film europeo preferito. Potrete vincere un viaggio per due persone agli European Film Awards a Berlino! I NOMINATI SONO: KONFERENZ DER TIERE LES PETITS MOUCHOIRS (Animals United) (Little White Lies) diretto da Reinhard Klooss & Holger Tappe scritto da Oliver Huzly & Reinhard Klooss scritto e diretto da Guillaume Canet con François Cluzet, Marion Cotillard & Benoît Magimel TAMBIEN LA LLUVIA POTICHE – LA BELLA STATUINA (Even the Rain) diretto da Icíar Bollaín scritto da Paul Laverty con Gael García Bernal, Luis Tosar & Karra Elejalde IN UN MONDO MIGLIORE (Hævnen) diretto da Susanne Bier scritto da Anders Thomas Jensen con Mikael Persbrandt, Trine Dyrholm & Ulrich Thomsen IL DISCORSO DEL RE (The King’s Speech) diretto da Tom Hooper scritto da David Seidler con Colin Firth, Geoffrey Rush & Helena Bonham Carter VOTA ONLINE: www.europeanfilmawards.eu The European Film Academy riunisce 2.500 addetti e professionali europei con lo scopo di promuovere la cultura cinematografica continentale. Il vincitore del People’s Choice Award sarà ufficializzato da European Film Academy ed EFA Productions durante la cerimonia di premiazione: diretto da François Ozon scritto da by Pierre Barillet, Jean-Pierre Grédy & François Ozon con Catherine Deneuve, Gérard Depardieu & Fabrice Luchini UNKNOWN – SENZA IDENTITÀ diretto da Jaume Collet-Serra scritto da Oliver Butcher, Stephen Cornwell, Karl Gajdusek & Anthony Peckham con Liam Neeson, Diane Kruger & January Jones BENVENUTI AL SUD diretto da Luca Miniero scritto da Massimo Gaudioso con Claudio Bisio, Alessandro Siani, Angela Finocchiaro THE 24th EUROPEAN FILM AWARDS: 3 Dicembre 2011 livestream su www.europeanfilmawards.eu Tutti i voti devono essere comunicati entro il 1° Novembre 2011. Il concorso è soggetto a regolamento disponibile su richiesta da Ernst & Young GmbH. i film del mese Tomboy Regia Con Genere Distr. Durata Zoé Héran, Malonn Lévana Drammatico, Colore Teodora Film / Spazio Cinema Céline Sciamma rilegge l’Io è un altro di Rimbaud: una rivelazione infantile che sfiora il cuore 82’ MASCHIACCIO, anzi, no. 10 anni, un trasloco e un nuovo quartiere parigino da vivere con i genitori e la sorella più piccola Jeanne: si chiama Laure (Zoé Héran), ma per i nuovi amichetti elle s’appelle Mickaël. Si veste e si pettina come un maschiaccio (tomboy, in inglese), gioca a calcio da Dio, mena le mani: se per fare il bagno c’è del pongo da infilare nel costumino, per coprire la sua vera identità può contare su Jeanne. Ci scappa anche un bacetto con l’amica Lisa, ma l’inizio della scuola è dietro l’angolo: che fare, come continuare la “finzione”? Domande buone per un piccolo grande film: 260mila spettatori in patria, Teddy Award a Berlino e due premi al 26° festival GLBT di Torino, è Tomboy della francese Céline Sciamma, classe 1980. Che manda a memoria l’Io è un altro di 64 in sala Céline Sciamma rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 Rimbaud, affidandone onore e oneri a Laure e al suo Mickaël chiamato desiderio: esplorazione della sessualità, ricerca dell’identità, libero arbitrio, chi più ne ha più ne metta, ma la misura non è mai colma, l’occhio dello spettatore è il benvenuto, l’enfasi – a parte qualche sbavatura di pongo e qualche manicheismo parentale – La regista Céline Sciamma relegata nel fuoricampo e la costruzione a tesi – seppur non del tutto – scongiurata. E che dire dei piccoli interpreti? Formidabili, su tutti la Malonn Lévana di Jeanne, e diretti con una levità magistrale dalla Sciamma, che garantisce briglia sciolta e fissa su pellicola espressioni e smorfie, segreti, bugie e serietà, perché si può essere seri – troppo? – a dieci anni. Insomma, siamo anni luce distanti dai bambini saputelli e troppo – drammaturgicamente – pasciuti del cinema italiano: i cugini ci danno l’ennesima lezione infantile, ma non drammatizziamo, è solo una questione di poetica, al di là del gender e dell’età. Tomboy sfiora il cuore, ibridando sensibilità e leggerezza, introspezione e geometrie relazionali, fino al primo privilegio dell’uomo: dare un nome alle cose, anzi, dare un nome a se stesso. “Mi chiamo Laure”, e sono un altro. FEDERICO PONTIGGIA % i film del mese La pelle che abito Regia Con Genere Distr. Durata Antonio Banderas, Elena Anaya Thriller, Colore Warner Bros. Italia Non convince il Frankenstein rivisitato di Almodóvar: un circolo vizioso 120’ DIRIGERE, SCRIVERE, anche solo pensare La pelle che abito deve essere stato difficile, complesso e forse anche doloroso. Come lo è parlarne, analizzarlo. Il Pedro Almodóvar raffinato e velleitario esteta citazionista de Gli abbracci spezzati, il matriarcale e accogliente regista di Volver, qui lascia il posto a un narratore implacabile di un thriller che già sulla pagina scritta - il film, infatti, è tratto dallo splendido Tarantola di Thierry Jonquet (ed. Einaudi) - appariva come un’impresa titanica. Leggendo quel volume così impegnativo, risulta chiaro perché abbia attratto Pedro: c’è la reiterazione quasi matematica de Gli abbracci spezzati, c’è la passione repressa e depressa del suo cinema migliore, c’è la scarnificazione, anche e soprattutto fisica, della donna, del femminino che tanto è centrale 66 in sala Pedro Almodóvar rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 nell’etica e nella poetica almodovoriana. Non a caso chiama a sé Antonio Banderas, alle prese con un ruolo impossibile che affronta con forza e impegno, e Marisa Paredes, musa di sempre. Persino Elena Anaya è, di fatto, una Penelope Cruz da trasformare chirurgicamente. E il finale è un guizzo di quelli che solo Pedro può raccontare con surreale credibilità. Eppure, Il regista con Antonio Banderas nonostante le tante premesse e promesse, il film si accartoccia su se stesso. Su quello stratagemma narrativo che non possiamo raccontare senza fare spoiler, su quel circolo vizioso di sensi di colpa e vendette che aderisce alla storia con scolastica precisione. Quasi come se Almodóvar non fosse quel regista vitale e persino selvaggio che conosciamo, quel conoscitore di anime (in pena) ben oltre l’orlo di una crisi di nervi, ma un chirurgo plastico alla costante ricerca della perfezione formale. Il protagonista cuce pezzi di pelle, punisce e pulisce il delitto e il colpevole di turno, perché non accetta il suo ruolo di talentuoso carnefice la cui affilatissima arma è l’amore distruttivo e morboso. Quello che esce fuori è uno strano e poco riuscito incrocio tra Nip/Tuck e un Frankenstein rivisitato, un possibile capolavoro che si sgonfia come una gomma bucata. BORIS SOLLAZZO % Ex: amici come prima! Bar Sport Arriva sullo schermo il romanzo culto di Benni. Ma Bisio & Co. non bastano per restituirne la magia Regia Con Genere Distr. Durata in sala Andamento lento, con qualche battuta azzeccata. Da Fausto Brizzi a Carlo Vanzina, manca la ferocia DA FAUSTO BRIZZI A CARLO VANZINA, cambiando storie e protagonisti. A dare la continuità restano Alessandro Gassman e Vincenzo Salemme, mentre la squadra femminile è nuova di zecca: Teresa Mannino contro Liz Solari (ex fiamma del neo marito Enrico Brignano), Tosca D’Aquino (moglie rapace di Salemme) vs. Natasha Stefanenko e Anna Foglietta, vittima del caso. Il fil rouge, tra le vicende è che tutti, o quasi, sono “ex”. Personaggi che dovrebbero riflettere l’attualità: il politico Salemme, che da farmacista si ritrova al parlamento europeo, pensando a come sfruttare la sua posizione di miracolato. E invece durante un viaggio aereo incontra una donna che gli fa cambiare vita (…). Andamento lento, con qualche battuta azzeccata. Meno quelle sull’Italietta di oggi. Quando Salemme si accorge che la bella bionda è un primo ministro balcanico, mormora: “Sono andato a letto con un premier, proprio come una escort” o “Da noi cenare con un premier non fa notizia”. Far ridere è impossibile, soprattutto se sono cose arcinote (e Salemme non è Albanese). Per scalfire l’apatia dello spettatore, bisogna essere molto più feroci, come ben sapevano i grandi registi della commedia all’italiana. MARINA SANNA % Regia Con Genere Distr. Durata 68 Carlo Vanzina V. Salemme, A. Gassman Commedia, Colore 01 Distribution 100’ rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 Massimo Martelli Giuseppe Battiston, Claudio Bisio Commedia, Colore 01 Distribution 91’ “IL BAR SPORT è quello dove non può mancare un flipper, un telefono a gettoni e soprattutto la Luisona, la brioche paleolitica condannata ad un’esposizione perenne”. Punto di riferimento, prima che punto di ritrovo, il Bar Sport raccontato 35 anni fa da Stefano Benni spunta ora sul grande schermo, insieme agli “ornamenti” di cui sopra e agli immancabili professore, tennico (con due n, sì, qui impersonato da Claudio Bisio), playboy (Teo Teocoli) e a tutte le varie sfide, fandonie e leggende annesse (dal ciclista Pozzi al portentoso calciatore Piva). Che attraverso il racconto per immagini “rivivono” negli inserti animati curati da Giuseppe Laganà, ma che inevitabilmente perdono il confronto con la magia della parola, con le impennate di un romanzo che il film di Martelli non riesce a restituire (non funzionano, ad esempio, l’escamotage della voce narrante affidata a Onassis, il proprietario del bar incarnato da Battiston, o le due vecchiette interpretate da Angela Finocchiaro e Lunetta Savino). Ma che, nonostante questo, nonostante la staticità di un universo che le immagini rischiano di allontanare dall’immaginazione, regala anche buoni momenti, come il montaggio alternato sulle invenzioni del playboy e la realtà di una triste serata. VALERIO SAMMARCO % in uscita Questo film ha la purezza di un diamante Afferma la possibilità di modellare il mondo secondo le proprie pulsioni Una maestria innata, una meraviglia di sensibilità Tutto funziona alla perfezione: si applaude e se ne chiede ancora L’identità sessuale come gioco e convenzione Un’emozionante riflessione sulla libertà di scegliere la propria vita Le Nouvel Observateur Figaroscope Cahiers du Cinéma Télérama Le Point Le Monde Teodora Film e Spazio Cinema presentano BERLINO 2011 TEDDY AWARD 2 6 TO R I N O G L B T F I L M F E S T I VA L PREMIO DEL PUBBLICO E DELLA GIURIA un film di Céline Sciamma HOLD-UP FILMS & PRODUCTIONS presenta TOMBOY un film di CÉLINE SCIAMMA con ZOÉ HÉRAN, JEANNE DISSON, MALONN LÉVANA, SOPHIE CATTANI, MATHIEU DEMY regia e sceneggiatura CÉLINE SCIAMMA produzione BÉNÉDICTE COUVREUR casting CHRISTEL BARAS direttore della fotografia CRYSTEL FOURNIER suono BENJAMIN LAURENT, SEBASTIEN SAVINE montaggio JULIEN LACHERAY missaggio DANIEL SOBRINO assistente alla regia VALÉRIE ROUCHER scenografia THOMAS GRÉZAUD direttrice di produzione GAËTANE JOSSE trucco MARIE LUISET una produzione HOLD UP FILMS in coproduzione con ARTE FRANCE CINÉMA e LILIES FILMS con la partecipazione di CANAL + e ARTE FRANCE con il sostegno di RÉGION ILE-DE-FRANCE in collaborazione con CNC in associazione con ARTE/COFINOVA6 e FILMS DISTRIBUTION DAL 7 OTTOBRE AL CINEMA : novità e bilanci ra atu ter let e a tri us ind a, sic mu , Homevideo Jurassic Park Ultimate Trilogy: per la prima volta in Blu-ray, con oltre due ore di extra DVD Moretti e Ultimo Tango a Parigi Borsa del Cinema Venezia ed esercizio: pro e contro Libri Fincher, Truffaut e Audrey Hepburn Colonne sonore Pina 3D, Drive e Sorrentino Telecomando DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE DVD di Valerio Sammarco In dvd e Blu-ray l’ultimo Moretti: negli extra backstage, fuori scena, il cast, i ciak e la presentazione a Cannes Habemus Papam 72 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 ACCOLTO CON FAVORE DA critica e pubblico, ultimamente osannato in Francia – nelle sale dopo il prestigioso passaggio in Concorso anche al Festival di Cannes – e tra gli otto titoli italiani “autocandidati” per la prossima corsa alla cinquina che punterà all’Oscar per il miglior film straniero, Habemus Papam di Nanni Moretti arriva in homevideo nella duplice edizione dvd e Blu-ray Disc. Ottima occasione per recuperare un film importante, sospeso sulla domanda stessa che ne caratterizza l’origine e incentrato su quel senso di inadeguatezza, tremendamente umano, che può colpire qualsiasi persona nel momento in cui viene investita dal peso di un’enorme responsabilità. Ottima opportunità anche per approfondire la visione, grazie ai numerosi contenuti speciali presenti in entrambe le edizioni: dal backstage del film (utile per riscoprire anche l’enorme lavoro effettuato sulla ricostruzione degli ambienti) al simpatico montaggio di tutti i “ciak”, dalle varie situazioni “fuori scena” alla spedizione durante il festival di Cannes, fino alla doverosa lente d’ingrandimento sul cast, straordinario non solo per i due protagonisti (Michel Piccoli e lo stesso Moretti) ma anche per la prova offerta dai vari Renato Scarpa, il cardinale dato per favorito alla vigilia del conclave, da Camillo Milli e da Jerzy Stuhr, portavoce del Vaticano costretto a dover mediare tra l’insolita fuga del Pontefice appena eletto e le insistenti pressioni degli organi di stampa internazionali, rimasti letteralmente “al buio” dopo l’habemus papam annunciato dal protodiacono e l’immediata, pesante assenza sul balcone di piazza San Pietro. DISTR. 01 DISTRIBUTION ottobre 2011 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 73 Telecomando DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE DVD Laclassedeiclassici a cura di Bruno Fornara Ultimo Tango a Parigi 40th Anniversary Edition per il film “maledetto” di Bertolucci: in doppio Blu-ray REGIA Michael Powell e Emeric Pressburger CON Eric Portman, Sheila Sim GENERE Commedia (1944) DISTR. CG Home Video Un racconto di Canterbury È il 1944, anno di guerra. L’anno prima, Powell e Pressburger avevano diretto uno dei loro capolavori, The Life and Death of Colonel Blimp (nella versione italiana ridotta Funerale a Berlino). Era il primo film che giravano per la loro casa di produzione, The Archers. Un racconto di Canterbury prende il via da una domanda di Pressburger: “Perché non giriamo un film sugli ideali per i quali stiamo combattendo?”. Nel film la guerra è lontana e la storia raccontata è molto singolare. Sulla strada che porta a Canterbury, si incontrano un soldato americano preoccupato che da A pochi mesi dall’ottima edizione per celebrare i 35 anni di Novecento, la Dall’Angelo Pictures rende ancora omaggio al cinema di Bernardo Bertolucci, stavolta con la “40th Anniversary Edition” di Ultimo Tango a Parigi, film “maledetto” del maestro parmense, disponibile sia in dvd che in Blu-ray doppio disco. Oltre alla versione integrale del film (129’) e al trailer originale – presenti nel disco 1 – davvero interessante il lavoro fatto per i contenuti speciali, ai quali è dedicato per intero il secondo disco. Negli extra, un’intervista di 40’ con Bertolucci, in cui racconta la genesi di Ultimo Tango e svela molti retroscena sulla realizzazione del film, un breve documentario sulla storica proiezione “illegale” del film censurato, nel 1982, durante la rassegna “Ladri di cinema” a Roma e, soprattutto, il doc “Once Upon a Time: Last Tango in Paris”, realizzato da Serge July e Bruno Nuytten nel 2004, per la prima volta disponibile con i sottotitoli in italiano. DISTR. DALL’ANGELO PICTURES 74 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 tempo non riceve lettere dalla sua fidanzata, un sergente inglese che faceva il pianista in un cinema e una ragazza che faceva la commessa e che si è arruolata dopo che il suo fidanzato è morto in combattimento. Si fermano in un villaggio dove un personaggio misterioso, di notte, butta della colla sui capelli delle ragazze. Risolveranno il caso, proseguiranno per Canterbury e i loro voti verranno esauditi. La magia della vecchia Inghilterra in un film originale e divertente che Powell definì “iconoclasta”. La realtà, i sogni, i desideri. Un tale che ha del miracoloso. Fi lm in or bi ta a cura di Federico Pontiggia Edward Dmytryk (Studio Universal) Per la rassegna Edward Dmytryk: Un russo ad Hollywood ogni lunedì alle 21.15: Hitler’s Children (v.o. sott. it.), L’ombra del passato, Gli eroi del Pacifico, Missione di morte e Odio implacabile. L’agnellino con le trecce (Diva) Diva Universal co-produce il corto di Maurizio Rigatti, interpretato tra gli altri da Nino Frassica, testimonial dell’Associazione Sclerosi Tuberosa. Prima nazionale il 27 ottobre alle 21.00. Sidney Lumet (Studio Universal) Accompagnato dalle produzioni di On Air, omaggio allo scomparso regista: Quel pomeriggio di un giorno da cani, Quinto potere, Power e Il mattino dopo. Per non dimenticare un grande. SARÀ DISPONIBILE dal 2 novembre “Jurassic Park Ultimate Trilogy”, boxset da collezione che contiene i tre capitoli della saga di Michael Crichton portata sullo schermo da Steven Spielberg (regista di Jurassic Park e Il mondo perduto), per la prima volta digitalizzati e rimasterizzati in alta definizione, con l’audio in 7.1 Surround (solo per la versione inglese). Oltre due ore di contenuti speciali, tra i quali gli inediti per l’edizione Blu-ray “Ritorno a Jurassic Park” (doc in sei parti con interviste ai membri del cast dei tre film, ai realizzatori ed a Steven Spielberg), “Alba di una Nuova Era”, “Ricreare la preistoria”, “Il prossimo stadio dell’evoluzione”, “Ricercando il mondo perduto”, “Qualcosa è sopravvissuto”, “La terza avventura”. DISTR. UNIVERSAL PICTURES HOME ENTERTAINMENT Jurassic Park Trilogy La celebre saga per la prima volta in alta definizione. Contenuti inediti ottobre 2011 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 75 Telecomando DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE DVD Sci-Fi in HD Source Code e I guardiani del destino Roma città aperta Il capolavoro di Rossellini finalmente in DVD e in Blu-ray PER LA PRIMA VOLTA IN DVD E IN BLU-RAY, in edizione restaurata, Roma città aperta di Roberto Rossellini. Lacuna colmata grazie al lavoro effettuato dal “Progetto Rossellini” (iniziativa di Cinecittà Luce, Cineteca di Bologna, CSC-Cineteca Nazionale e Coproduction Office), che porterà in homevideo 10 grandi film del maestro, tra i quali Paisà e Germania anno zero. Per quanto riguarda gli extra presenti in Roma città aperta, da segnalare le testimo- nianze, tra gli altri, di Martin Scorsese, Francois Truffaut, Ingrid Bergman, i fratelli Taviani e Padre Fantuzzi, il cinegiornale Luce “Perché Roma città aperta” e la Settimana Incom “Questo è il nostro cinema”, un commento di Citto Maselli sull’accoglienza dell’epoca e due preziosi documenti: le prime tre pagine della sceneggiatura e la segnalazione del Ministero degli Interni richiedente l’eliminazione della scena della fucilazione del sacerdote. DISTR. FLAMINGO VIDEO Futu ro in gioc o Tokyo Game Show 2011 Tutte le novità dalla fiera più importante del mondo Anche quest’anno il Tokyo Game Show 2011, la fiera più importante al mondo legata ai videogiochi sviluppati in Giappone, pullulava di persone, con diversi titoli che usciranno entro fine anno e nel 2012 sul nostro mercato. Tra persone vestite nelle più disparate maniere (i cosiddetti Cosplayer) e tanto colore, a rubare la scena è stata PlayStation Vita, la nuova console di Sony che arriverà il prossimo marzo e che dispone di tante caratteristiche innovative come il touch- 76 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 screen anteriore e posteriore ed un bellissimo schermo da 5 pollici, che permette di ottenere una resa grafica mai vista su un dispositivo portatile. Qualche gioco da tenere sott’occhio? Uncharted: Golden Abyss, Wipeout 2048 e Ruin. Per saperne di più visitate www.multiplayer.it ANTONIO FUCITO Tra le novità in Blu-ray di questo periodo, segnaliamo due titoli interessanti, freschi di sala: da una parte Source Code di Duncan Jones, all’opera seconda dopo il fantastico Moon: 01 distribution lo propone arricchito di extra, tra i quali le interviste ai protagonisti (Jake Gyllenhaal, Michelle Monaghan e Vera Farmiga), e approfondimenti su alcuni aspetti del film (“Cos’è source code?”, “Love Story”, “Che faresti…”, “Obiettivo Chicago”. L’altro film è I guardiani del destino (distr. Universal), dal racconto di Philip K. Dick alla rilettura di George Nolfi, sceneggiatore della serie su Jason Bourne, che ritrova Matt Damon – affiancato da Emily Blunt – impegnato stavolta a cambiare le cose in base ad alcuni “flash” che riceve dal futuro. Oltre alle scene eliminate, negli extra “Attraversare New York”, “Destinato ad Essere” e “Diventare Elise”. SCOMMETTI CON BETTER E ACCENDI LO SPETTACOLO. Telecomando DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE Borsa del cinema di Franco Montini Tutti in Mostra FOTO: KAREN DI PAOLA E’ il trend del Festival: accontentare gli italiani e togliere film alla concorrenza (Roma). Ma a quale prezzo? Scialla!, il film di Francesco Bruni, vincitore della sezione Controcampo italiano alla Mostra di Venezia, arriverà in sala a gennaio. Il rischio è che in quattro mesi il ricordo delle unanimi, positive accoglienze ottenute dal film in laguna vada inevitabilmente perduto ed anzi ad un pubblico meno attento Scialla! possa apparire semplicemente un film già vecchio. Distributori ed esercenti dovrebbe- 78 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 ro sforzarsi di essere più elastici e cogliere al volo certe occasioni; nel caso del film di Bruni, visti gli esiti, sarebbe stato il caso di azzardare, benché non programmata, un’uscita immediata. La Mostra di Venezia, come tutti i festival in genere, dovrebbe funzionare come occasione e trampolino di lancio per i film proposti in cartellone, ma è inevitabile che quando le uscite in sala vengono così procrastinate nel tempo, la cosa non funzioni più. Su Venezia in particolare, un po’ per responsabilità della direzione della Mostra, un po’ per esplicita, diretta volontà di produttori ed autori, emerge ormai da tempo una contraddizione. Tutti vogliono essere presenti, la Mostra sembra voler accontentare tutti, forse anche per sottrarre film alla concorrenza, ovvero al Festival di Cast & Crew di Marco Spagnoli 3D Made in Italy Una terza dimensione low cost è possibile: Francesco Gasperoni Roma, e il risultato è che, quest’anno, circa un terzo dei titoli presenti nelle varie sezioni della Biennale Cinema erano produzioni nazionali. Le conseguenze sono che, da un lato, le uscite in sala non possono avvenire contemporaneamente, subito dopo la conclusione del festival, e pertanto molti titoli arrivano sul mercato solo dopo molti mesi e dall’altro che un numero eccessivo di presenze italiane alla fine rischia di penalizzare tutti, oltre che far precipitare il livello della qualità. Per un film che, come Scialla!, è riuscito ad ottenere una Francesco Gasperoni è una figura quasi “rinascimentale”. Scienziato e regista, ha sviluppato un sistema 3D low cost che ha utilizzato per il suo secondo film, il thriller Parking Lot, in uscita questo mese. Come ha progettato questo nuovo sistema 3D? Sono partito da un’analisi accurata, quasi ossessiva, dei sistemi 3D esistenti, cercando di individuarne i pregi ed i difetti. Ho assistito a varie dimostrazioni che avevano in comune il costo eccessivo e la poca competenza. Attraverso un computer, un tavolo da disegno ed una scatola di Lego Technic, ho progettato e realizzato un modello funzionante di una macchina da ripresa stereoscopica efficiente. L’ho costruito con metallo, parti di stativi e telecamere in commercio. Cosa la spinge a lavorare sulla tecnologia? Le immagini si ottengono grazie alla tecnologia e, migliorando quella, migliorano anch’esse. Credo mi abbia mosso la stessa forza che spingeva e spinge, ad esempio, i musicisti a costruirsi nuovi strumenti per trovare nuovi suoni e nuove armonie. Che consiglio darebbe a chi vuole lavorare in maniera analoga alla sua? Per innovare è necessario rendersi indipendenti dal sistema in vigore, per poi rivoluzionarlo. Per questo ci siamo autofinanziati: io ed Harriet MacMaster-Green (compagna nella vita e nel lavoro) credevamo nel nostro progetto e grazie a questa nostra indipendenza siamo riusciti a percorrere fino in fondo la strada che ci avrebbe portato a realizzare il primo film italiano girato in 3D. Circa un terzo dei titoli presenti nelle varie sezioni erano produzioni nazionali certa visibilità, ci sono tanti altri film, la maggioranza dei titoli per essere esatti, che sono passati nell’assoluta indifferenza. In qualche caso, bisogna anche aggiungere, che non meritavano affatto attenzioni. Per essere molto espliciti, come hanno rivelato del resto molti critici, buona parte dei titoli di Controcampo italiano erano indegni di andare ad un festival, qualsiasi festival, non solo a Venezia. Se essere in concorso significa assicurarsi un effetto promozionale, benché rischioso, nel bene e nel male - vedi quest’anno il giudizio eccessivamente severo e ingiustamente negativo di cui sono stati vittime Terraferma di Emanuele Crialese e Quando la notte di Cristina Comencini - per ciò che riguarda i film delle sezioni parallele l’impressione è che la presenza a Venezia valga la pena solo in alcuni casi. Se si ha la garanzia di un’uscita immediata, anche se poi l’effetto promozionale non è mai sicuro, come dimostrano quest’anno i primi dati d’incasso dei film approdati in sala subito dopo la mostra o se si è in cerca di una distribuzione. Ci sono film selezionati per Venezia che in realtà non hanno alcuna garanzia di una futura uscita in sala, per questi titoli la presenza alla Mostra diventa allora un’occasione per farsi conoscere, quanto meno dagli addetti ai lavori, e poter convincere qualche distributore all’acquisto. box office (aggiornato al 26 settembre) 1 I Puffi ......................................................... € 6,146,111 2 L’alba del pianeta delle scimmie .......... € 1,230,595 3 Carnage ..................................................... € 2,017,682 4 La pelle che abito .................................... € 558,002 5 Ma come fa a far tutto? .......................... € 438,554 6 Super 8 ...................................................... € 2,980,232 7 Box Office 3D – Il film dei film ............... € 2,401,221 8 Niente da dichiarare? ............................. € 260,052 9 Kung Fu Panda 2 ...................................... €12,225,344 10 Crazy, Stupid, Love ................................. € 796,914 N.B. Le posizioni sono da riferirsi all’ultimo weekend preso in esame. Gli incassi sono complessivi ottobre 2011 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo 79 Telecomando DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE Libri The Social Director Da Seven a Facebook, fenomenologia di un regista di culto. Ancora la Hepburn, Charlot e war-movie Fincher Club Truffaut per sempre È uno di quei pochi, ormai rari registi i cui lavori o si amano, o si odiano. Nonostante l’indubbio talento, la sua personalissima idea di cinema può risultare affascinante o respingente. I film da lui diretti vengono solitamente definiti come cinici, nichilisti, violenti, claustrofobici, disumanizzanti, voyeuristici, ansiogeni, nevrotici e, soprattutto, difficili da raccontare a parole. L’antologia critica The Fincher Network. Fenomenologia di David Fincher (Bietti, pagg. 120, € 14,00), curata da Roberto Donati e Marcello Gagliani Caputo, sonda la carriera di uno dei cineasti più impenetrabili della Hollywood contemporanea, le cui pellicole partono da generi canonici (quali il thriller, la fantascienza, il dramma) e li stravolgono a tal punto da rendersi avulse da qualunque classificazione. Si può analizzare un film come se si stesse scrivendo narrativa? Questo volume postumo di Ugo Casiraghi sembra esserne la prova. Ventitrè capitoli (uno a pellicola, più uno per i primi cortometraggi) strutturati come brevi racconti: ecco l’approccio da lui scelto per esplorare l’universo cinematografico di François Truffaut. Vivement Truffaut! Cinema, libri, donne, amici, bambini (Lindau, pagg. 288, € 24,00) si aggiunge alla sterminata bibliografia sul maestro francese, ma ha il pregio di rivolgersi, senza distinzioni, sia ai suoi appassionati, sia a chi vuole iniziare a conoscerlo. Per i più nostalgici, sono presenti ben quattordici recensioni d’epoca, inclusa quella de I 400 colpi, scritta da Casiraghi a Cannes nel 1959, quando Truffaut era ancora “solo” un giovane critico passato alla regia. ANGELA BOSETTO 80 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 ANGELA BOSETTO Non solo storia Il nome di Antonello Gerbi è associato per lo più ai suoi famosi studi di storia, ma pochi sanno che in gioventù si interessò al mondo della celluloide in maniera originale diventando uno dei primi ad occuparsi di estetica del cinema quando ancora in Italia la settima arte era considerata poco più che una moda passeggera. Gianpiero Brunetta ha messo insieme i suoi articoli (Preferisco Charlot – Scritti sul cinema, 1926-1933, ed. Aragno, pagg. 132, € 10,00), pochi ma sufficienti a delineare in maniera chiara il pensiero del giovane Gerbi – appena ventiduenne nel 1926 – e la sua passione sconfinata per il “cine”, che nei suoi articoli diventa un mezzo attraverso il quale raggiungere il divino giocando con l’essenza stessa del tempo, perché “è solo al cinema che molti esseri umani devono la rivelazione della bellezza, la scoperta di un mondo più vero del reale”. GABRIELE CARUNCHIO Anniversario da Tiffany Alzi la mano chi non ha mai sognato almeno una volta sulle note di Moon River. Ora provate a immaginare Colazione da Tiffany senza quella canzone, senza la regia di Blake Edwards e, soprattutto, senza Audrey Hepburn. “Impossibile” direte. Eppure, originariamente, nessuno di loro doveva farne parte. In occasione del cinquantesimo anniversario del film, Sam Wasson ci racconta la genesi di un classico, nato con l’intento di commedia lievemente maliziosa e divenuto un simbolo del femminismo, nonostante le sforbiciate della censura e le polemiche di Truman Capote, autore del romanzo, che disconobbe la pellicola. Accurato nella ricostruzione, spiritoso nello stile e scorrevole nella forma, Colazione con Audrey (Rizzoli, pagg. 252, € 17,90) è una lettura frizzante come una coppa di champagne. ANGELA BOSETTO Schermi di guerra Strumento di critica sociale, semplice divertimento patriottico o gigantesca macchina di propaganda? Nonostante le intenzioni dei registi, non si può negare che, ideologicamente, il cinema bellico statunitense sia sempre stato legato a doppio filo con le campagne militari nelle quali si trovava coinvolta la nazione, il che rende ancora più difficile definirlo a livello critico. Per trovare la non facile risposta, Stefano Alpini sceglie la strada della sociologia visuale e, con Visioni di guerra. La fabbrica del consenso nel cinema hollywoodiano (Edizioni ETS, pagg. 186, € 18,00), costruisce un complesso percorso analitico lungo un secolo di conflitti trasposti su pellicola, partendo dai melodrammi di Griffith e Ingram sino ad arrivare agli sminatori della Bigelow e ai “bastardi” di Tarantino. ANGELA BOSETTO Una questione di sguardi 11/9/2001: dieci anni fa cambiava il mondo, insieme alla percezione delle immagini di Chiara Supplizi Dieci anni fa, l’11 settembre 2001, il mondo assistette senza fiato al reiterarsi ossessivo e sempre uguale della sequenza televisiva del crollo delle Torri Gemelle. Nel tentativo di reagire all’orrore, furono in molti a recitare come un mantra la frase “sembra un film”, aprendo la strada all’intuizione che in quel momento si stesse chiudendo un’era e che anche il cinema dovesse essere coinvolto in una profonda e radicale riscrittura della storia. Dimitri Chimenti, Massimiliano Coviello e Francesco Zucconi, curatori di Sguardi incrociati. Cinema, testimonianza, memoria nel lavoro teorico di Marco Dinoi (Fondazione Ente dello Spettacolo, pagg. 276, € 14.90) riprendono il filo delle teorie raccolte in Lo sguardo e l’evento, opera postuma di Dinoi, interrogandosi – proprio a partire da questa sequenza televisiva così fondamentale per il nostro tempo – sul ruolo dell’immagine e sulla sua capacità di guidare lo spettatore verso il ruolo di testimone. Il volume – in cui trovano spazio innesti di pensiero e teorie eterogenee – è un coro di voci teso a fornire una mappa, o quantomeno una guida, per destreggiarsi nel complesso percorso teorico tratteggiato nel libro di Dinoi, lasciandoci riflettere sulle eco visibili e invisibili dell’11 settembre sul cinema e spingendoci a ripensare l’«archivio di immagini del passato come D.Chimenti, M. Coviello, un doppiofondo continuamente convocabile in F. Zucconi (a cura di) Sguardi incrociati. seno al presente». Cinema, testimonianza, memoria nel lavoro teorico di Marco Dinoi Ed. Fondazione Ente dello Spettacolo Pagg. 276 - € 14.90 Telecomando DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE di Gianluigi Ceccarelli Colonne Sonore Visti da vicino Pina 3D Soundtrack eterogenea e inafferrabile: per restituire magicamente il volto di una leggenda scomparsa Piano, violino, archi incalzanti: Thom Hanreich tratteggia così, con rigore malinconico e sfuggente, la silhouette di una Pina Bausch che torna in vita nelle immagini in 3D dell’ultima regia di Wim Wenders. Gli stessi strumenti tornano, contaminati da un background elettronico, negli altri brani dello score curati dal popsinger e compositore tedesco, alla sua terza collaborazione con Wenders dopo Land of Plenty e Palermo Shooting: Glasshouse regala una variante alla Piazzolla rispetto all’overture, mentre Rooftop raffredda il ritmo dilatandolo in un’atmosfera languida e sognante. Tied Down porta quasi sullo stesso piano elettronica e gli archi, quell’ideale sintesi di classico e moderno che è l’essen- za della danza della Bausch. My One and Only Love, ballad di rara bellezza, e Shake It guardano al passato e alla tradizione della musica popolare, come pure Os Meus Olhos del chitarrista portoghese Germano Rocha e la splendida La Prima Vez di Owain Phyfe. Sorprendenti gli Hazmat Modine, sospesi tra folk e Tom Waits, come pure il contributo del polistrumentista giapponese Jun Miyake, che in Lillies of the Valley ma soprattutto in All Names evoca la Bausch usando le sue armi: destrutturando, attraversando i generi, reinventandoli con naturalezza. L’intera soundtrack, eterogenea e inafferrabile, restituisce magicamente il volto familiare, mai omologato, di una leggenda scomparsa. Per tut ti i gus ti a cura di Federico Pontiggia Melancholia Per Woody Allen Wagner invogliava a invadere la Polonia, per Lars von Trier è lo spartito di una sinfonia depressiva: Tristan und Isolde per la sublime ouverture, poi due cine-movimenti al femminile. 82 rivista del cinematografo fondazione ente dello spettacolo ottobre 2011 Drive L’autoradio suonava I can’t fight this feeling, ed ecco Drive. Figlio non immemore: hyper hyper, e Cliff Martinez compone di conseguenza. Spazio anche per College (A Real Hero) e il Riz Ortolani di Oh My Love. This Must Be the Place I Talking Heads per titolo, Sean Penn per rockstar, David Byrne in cammeo e a firmare la colonna sonora: ma come suona bene il Posto italo-americano di Sorrentino? Per dirla con Byrne, You can like it. © STUDIO UNIVERSAL è un canale di NBCUniversal *65:;<+06<50=,9:(303.9(5+,*05,4(;09,:;(+,5;96 *VU MPST KP]LYZP HS NPVYUV HWWYVMVUKPTLU[P ZWLJPHSP KVJ\TLU[HYP L KPL[YV SLX\PU[LuPTWVZZPIPSLUVU]LKLYLPUVNUP[YPNSPH\UVZX\HSVHMMHTH[V ^^^Z[\KPV\UP]LYZHSP[ 5VUWLYKLYL[\[[VSVZWL[[HJVSVKP4LKPHZL[7YLTP\T*OPHTH V]PZP[HPSZP[V^^^TLKPHZL[WYLTP\TP[ 0SJVZ[VKH[LSLMVUPHÄZZHuKPÁHSTPU\[VWPÁKPZJH[[VHSSHYPZWVZ[H0=(PUJS\ZH0JVZ[PKH[LSLMVUVJLSS\SHYL]HYPHUVPUM\UaPVULKLSNLZ[VYLKHJ\P]PLULLMML[[\H[HSHJOPHTH[H