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rivista del
M E N S I L E N . 1 0 O T T O B R E 2 0 1 1 € 3,50
dal 1928
fondazione ente™
dello spettacolo
INTERVISTA
Harrison Ford
CATTIVO COWBOY
E PROSSIMO
INDIANA JONES 5
FUOCO A LIONE
IL CAPOLAVORO
DI PASTRONE
AL LUMIÈRE DI
THIERRY
FREMAUX
Steven sfida se stesso con
due film in uscita, il Tintin
dei fumetti e il sentimentale
War Horse. Sugli schermi
Usa a Natale
VENEZIA
IL PERSONAGGIO
Spielberg
ANIMATO
RITORNO CON EFFETTI SPECIALI PER LE
AVVENTURE DI TINTIN: IL SEGRETO DELL’UNICORNO.
IN ANTEPRIMA AL FESTIVAL DI ROMA
68
Edizione degna
di un Faust: voti,
glamour e dietro
le quinte
Poste Italiane SpA - Sped. in Abb. Post. - D.I. 353/2003
(conv. in L. 27.02.2004, n° 46), art. 1, comma 1, DCB Milano
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
Nuova serie - Anno 81 n. 10 ottobre 2011
In copertina Steven Spielberg
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DIRETTORE RESPONSABILE
Dario Edoardo Viganò
CAPOREDATTORE
Marina Sanna
Immagine e immaginazione
REDAZIONE
Gianluca Arnone, Federico Pontiggia, Valerio Sammarco
CONTATTI
[email protected]
PROGETTO GRAFICO
P.R.C. - Roma
ART DIRECTOR
Alessandro Palmieri
HANNO COLLABORATO
Alberto Barbera, Luca Barra, Angela Bosetto, Orio Caldiron,
Gabriele Carunchio, Gianluigi Ceccarelli, Karen Di Paola, Bruno
Fornara, Antonio Fucito, Shekhar Kapur, Miriam Mauti, Massimo
Monteleone, Franco Montini, Morando Morandini, Peppino
Ortoleva, Angela Prudenzi, Boris Sollazzo, Marco Spagnoli,
Chiara Supplizi, Caterina Taricano
REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE DI ROMA
N. 380 del 25 luglio 1986 Iscrizione al R.O.C. n. 15183 del 21/05/2007
STAMPA
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PRESIDENTE
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DIRETTORE
Antonio Urrata
UFFICIO STAMPA
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dedicato, Osservare
Venezia alle spalle, Roma alle porte. RdC
l’incanto di Denis
dedica ai due maggiori festival italiani ampio
spazio, facendo del primo un bilancio Brotto, edito dalla
corredato dalle schede di valutazione dei film
Fondazione Ente dello
in cartellone - e del secondo un discorso di
Spettacolo. Un viaggio
prospettiva, segnalandovi gli eventi più attesi
a 360 gradi nel cinema
della sesta edizione. In mezzo “Frontiere”,
di un irriducibile
manifestazione che ha debuttato a Bari,
difensore dell’arte e dell’umanesimo. Sokurov si
proponendo volti e testimonianze del melting
conferma artista senza compromessi, regalando
pot americano (la gemma era l’adattamento
alla Mostra e a tutti noi un’opera monumentale
realizzato da Tommy Lee Jones di Sunset
sulla corruzione, la rovina e la morte da cui
niente e nessuno si salva: “E’ importante allora
Limited di McCarthy). Piccolo festival, grande
– ricorda il regista – mantenere intatta almeno
qualità. Misurabile in termini di
una cosa: la propria anima”.
diversificazione della proposta.
Unica nel suo genere anche quella del
Quell’anima cercata, perduta o salvaguardata,
Lumière di Lione (servizio pag. 26), diretto da
anche dal cinema dei fratelli Dardenne, a cui
Thierry Fremaux e presieduto da Bertrand
Tavernier, incentrato sui film restaurati e quelli abbiamo conferito il Premio Bresson 2011. Luc e
Jean-Pierre venivano per la prima
introvabili, conservati nelle
volta in Laguna e non sorprende
cineteche del mondo. Chicca
l’abbiano fatto proprio per il
della terza edizione sarà la
Quando il cinema è al
riconoscimento intitolato al
proiezione del Fuoco,
servizio della verità:
maestro francese, “che ha
capolavoro del muto di
Aleksandr Sokurov e i
formato il nostro sguardo”. E che
Giovanni Pastrone, frutto della
ha insegnato loro la valorizzazione
collaborazione con Gabriele
fratelli Dardenne
di ogni dettaglio, la convinzione
D’Annunzio, nella versione
che solo il lavoro di messa in
restaurata dal Museo del
Cinema di Torino, ospite d’onore della kermesse. scena può rivelare lo splendore della verità del
reale, oltre la sua reificazione. Fino al
paradosso di “non realizzare immagini: perché
La difesa del cinema passa anche dai premi.
le immagini intrappolano le cose, intrappolano
Sacrosanto il Leone d’Oro alla carriera a
gli oggetti, intrappolano i corpi degli attori”.
Marco Bellocchio. Ineccepibile il Leone d’Oro
Bisogna allora rifiutarle? “No, liberarle dallo
al Faust di Aleksandr Sokurov, che ha vinto
stereotipo. Usando l’immaginazione oltre le
anche il Signis ed è stato nostro gradito ospite
immagini”.
al Lido, per la presentazione del volume a lui
COMUNICAZIONE E SVILUPPO
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7 agosto 1990, n. 250
ottobre 2011
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5
Regalati un momento
di relax.
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sommario
n. 10
otto bre 2011
SERVIZI
24 Lione, Fuoco e fiamme
Il capolavoro di Pastrone
restaurato e un omaggio al
Museo di Torino
32 Diavolo di una Mostra
Venezia 68 da ricordare.
Faust su tutti, tra ottimi
titoli e mondanità
46 Tommy senza Frontiere
FILM DEL MESE
52 This Must Be the Place
56 Melancholia
58 L’amore che resta
58 Il villaggio di cartone
60 Una separazione
62 Arrietty
62 Amici di letto
64 Tomboy
66 La pelle che abito
68 Ex: amici come prima!
68 Bar Sport
Lee Jones e Wes Geronimo Studi
al primo appuntamento
con la kermesse pugliese
PERSONAGGI
28 Fordissimo
Quasi 70 anni, Harrison corre
ancora. Cowboy contro gli alieni,
aspettando Indiana Jones 5
50 Deborah Kerr
La diva che mandò
all’aria le convenzioni dello
star system
COVER STORY
18 Steven vs. Spielberg
L’eterno fanciullo sfida se stesso:
Tintin e War Horse a braccetto,
il primo in anteprima a Roma.
Con 20’ dell’Hugo Cabret
di Scorsese
Charlotte Gainsbourg
e Kiefer Sutherland in
Melancholia
32
Gwyneth
Paltrow
Bellezza ed eleganza
da Contagion. In
passerella al Lido
FOTO: KAREN DI PAOLA
10
Morandini in pillole
Jean-Pierre Melville: per
non dimenticare
12
Circolazione
extracorporea
Film e piccolo schermo:
questione di brand
14
Glamorous
News e tendenze:
baci da Festival
16
La posta di Shekhar
Corruzione e politica:
India oggi
72
Dvd & Satellite
Habemus Papam,
Bertolucci e Rossellini in
Blu-ray
78
Borsa del cinema
L’ondata italiana a Venezia:
a chi giova?
80
Libri
Fincher, Truffaut e
l’immagine post 11/9
82
Colonne sonore
La magia di Pina 3D
23
Pierfrancesco
Favino
Ecco L’industriale di
Montaldo, con la
Crescentini sul tappeto
rosso della Capitale
pensieri e parole
Quello che gli altri non dicono: riflessioni a posteriori di
un critico DOC
MORANDINI in pillole
di Morando Morandini
Un silenzio – Su La Repubblica del 4 settembre esce un articolo di Paolo Mauri e una mezza dozzina di Vignette a colori di
Jean Bruller (1902-91), che nel 1926 pubblicò a sue spese il
manuale 21 ricette pratiche di morte violenta, ripubblicato in
Francia nel 1977 con integrazioni scritte 50 anni dopo in un’edizione firmata Vercors, tradotta in italiano nel 2011 da
Portaparole. Mauri riferisce che nel 1942 Bruller aveva pubblicato clandestinamente, con Les Editions de Minuit, da lui fondate, un racconto di 96 pagine, firmato Vercors: Le silence de
la mer di cui De Gaulle fece lanciare migliaia di copie col paracadute nella Francia occupata. Aggiunge che ne curò anche
una versione teatrale e che fu tradotto in molte lingue, diventando uno dei testi più noti sulla Resistenza ai tedeschi/nazisti.
Mauri non dice che nel 1947 Il silenzio del mare divenne il
primo film di Jean-Pierre Melville. Lo girò a sue spese in b/n
nella stessa casa e nei dintorni in cui Vercors/Bruller aveva
scritto il racconto, facendone un kammerspiel, un atto unico in
12 quadri, l’ultimo dei quali registrato in silenzio. I giovani critici francesi, poi cineasti della Nouvelle Vague, lo indicarono
come uno dei loro predecessori, mentre Sartre lo condannò
come reazionario, forse perché Vercors nella sua problematica
etica ed esistenziale si ispirava alle posizioni di Albert Camus
di cui era amico. Mauri non dice nemmeno che sino al 1985
Vercors continuò a pubblicare romanzi, testi teatrali e saggi tra
cui P.P.C. – Pur prende congé (1957) ironico e malinconico
addio al partito comunista cui era stato legato per 10 anni.
Tanto vale vivere - Mauri ha un merito, però: quello di citare, a
proposito di suicidi, una poesiola di Dorothy Parker che da
decenni mi è cara: “I rasoi fanno male/ I fiumi sono umidi/
L’acido lascia tracce/ E le pillole danno i crampi/ Le pistole
sono illegali/ I ceppi cedono/ Il gas ha una puzza orrenda/
Tanto vale vivere”.
Melville,
maestro del
“noir”, faceva
film soprattutto
per il pubblico,
non per i critici
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Rilanciare Melville – In Italia esistono almeno due critici competenti su Melville: Emanuela Martini e Mauro Gervasini. Nel
2008 il Torino Film Festival organizzò una personale del regista. Furono loro due a curarne il catalogo, pubblicato da Il
Castoro. Bisognerebbe ripeterla e farla circolare. Se preparata
come si deve, avrebbe
successo
perché
Melville faceva film
soprattutto per il pubblico, non per i critici.
E registi in voga come
Tarantino e John Woo
non hanno mai nascosto quel che hanno
imparato da lui.
ottobre 2011
FINE PEN(N)A MAI
VISIONI FORZATE E INDULTI
CRITICI
Come Faust nessuno mai: Leone di
Platino o Leonissimo d’Oro? STOP
Cannes che abbaia non morde. STOP
Roberto Silvestri sul Manifesto: “Faust ha
vinto tra gli applausi la Palma d’Oro di
Venezia 68”. STOP “Al film non serve lo
spettatore, è lo spettatore che ha bisogno
del film”: Sokurov fa le pentole ma non i
coperti. STOP Giancarlo Galan: “I film italiani sono i migliori”. Ed eravamo appena
al brindisi. STOP Terraferma : finché la
barca va, lascialo andare. STOP Shame:
coito ergo boom! STOP Cristina
Comencini: “Ha da passà ‘a nuttata”.
STOP Noli contundere Venezia. STOP
Laguna dixit: date a Müller gli anni che
diMostra. STOP Laguna ridixit: non si
piantano Baratta e burattini. STOP
Materia bigia: “Che scandalo il Leone a
Faust, non è cinema”.
ALMOST (IN)FAMOUS: DALLE
STALLE ALLE STARLETTE
Darren Aronofsky: “Terraferma sempre
in vetta nelle preferenze della giuria”.
Peccato stessimo a zero metri sul livello
del mare. #### Da Crialese alla
Comencini, il ritornello è il solito: gli italiani sono masochisti. Ma per come girano o per come criticano? ####
“Finalmente un ruolo all’altezza delle sue
ambizioni”: firmata Philippe Garrel, l’unica recensione che Monica non leggerà
mai. #### Riccardo Tozzi: “La psicologia
della Sala Darsena è figlia di Goebbels”. E
la Comencini della Riefenstahl? ####
Maria Luisa Agnese: “Ben messo
Fassbender”. Tranquilli, twittava di
Totoleone. #### Noi credevamo fosse un
Leone, invece era un Martone. ####
Super (8) Curzio Maltese: "Un altro giro
sulla giostra del 3D". Lui non è sceso.
Federico Pontiggia
A work of Acetate
Etienne Rey
Marseille, France
PO649
Persol.com
circolazione extracorporea
PELLICOLE INVISCHIATE
NELLE RETI
Fruizioni multiple nell’era della riproducibilità
a cura di Peppino Ortoleva
IL CINEMA SULLA TV A PAGAMENTO: DIFFERENTI
STRATEGIE PER SIGLARE UN PATTO CON LO SPETTATORE
Brand è una parola chiave della televisione contemporanea. Le identità di un programma, un canale, un pacchetto o una piattaforma sono elementi importanti, bussole che
guidano lo spettatore entro un contesto fatto di offerte sempre più caotiche e complesse. Così sempre più spesso le reti televisive, e soprattutto quelle digitali, più piccole e
tematiche, sia gratuite sia a pagamento, hanno bisogno di distinguersi, di emergere con
un marchio e una promessa il più possibile definiti, semplici, chiari.
Per offrire al pubblico un approdo certo, una fisionomia chiara, una
promessa forte. I canali dedicati al cinema e ai film, da questo punto
di vista, non fanno eccezione. Addirittura, talvolta, tracciano una linea
di avanguardia, con operazioni identitarie estremamente curate e di
successo, capaci di “reagire” con i film che mandano in onda, di integrarli e aggiungere loro valore. Prendiamo come esempio i canali a
pagamento, le reti di Sky e di Mediaset Premium. Qui si possono distinguere almeno tre strade, tre differenti strategie attraverso cui le
reti stabiliscono un “patto” con i loro spettatori.
Una prima promessa, tipica delle prime reti nei bouquet come Sky
Cinema 1 o Premium Cinema, è data dall’esclusiva, e ha a che fare
con la filiera distributiva: il palinsesto di tali reti è infarcito di titoli recenti, al loro primo passaggio televisivo un anno dopo la sala, e tanto
basta a definire questi spazi come un circuito di “prima visione” tv, a
prescindere dalla qualità dei film. Quella di genere è la seconda forma di “patto”, attraverso cui si ritagliano canali che trasmettono solo film di un certo tipo: nomi evocativi (e spesso labili, sfuggenti) come Comedy, Hits, Cult, Emotion,
Passion, Energy, Max e Classics si ricollegano (in)direttamente ad alcune macro-categorie di genere e alle attitudini di visione, cercando di spiegare (facendo perno su concetti e mood ritenuti autoevidenti) i criteri di selezione dei film e di programmazione del
canale.
Una terza promessa, infine, è quella fornita dagli studios di produzione, grandi marchi
internazionali che si trasformano in reti italiane: se quello di MGM Classics è il debole
recupero di una library a basso costo, ben più interessante è l’esperienza di Studio Universal, che
impagina ogni pellicola con elementi distintivi,
crea serie di film, recupera rarità, arricchisce il
palinsesto di contenuti extra su autori e attori e,
orientando la sua comunicazione sull’expertise
del brand, diventa “la tv del cinema di chi fa cinema”, sogno cinefilo al riparo dagli ascolti.
Ogni film, appena approdato sul piccolo schermo,
non entra così soltanto in un palinsesto, ma anche in un flusso di informazioni, identità e promesse legate al canale. E se da un lato ciò
permette lo sviluppo creativo di un linguaggio del cinema in tv, dall’altro un tale legame
rischia di uniformare l’offerta, dando uguale risalto a film di successo e a pellicole di
minor valore. Perché, sempre più spesso, la qualità dei film non basta. O talvolta, persino, non importa. Mentre quello che conta è una buona confezione.
LUCA BARRA
BRAND
Ogni titolo non entra
soltanto in un palinsesto,
ma in un flusso di
informazioni, identità
e promesse
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rivista del cinematografo
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ottobre 2011
glamorous
Ultimissime dal pianeta cinema: news e tendenze
Filippo Timi (Premio Mediaset
Premium) e Claudia Pandolfi;
nell'altra pagina: Monica
Bellucci e Louis Garrel;
John C. Reilly e Colin Firth con
le rispettive mogli, Alison
Dickey e Livia Uggioli
a cura di Gianluca Arnone
foto di Karen Di Paola
BACI RUBATI
C’è tutta una letteratura
sui baci: baci come
primule nel giardino
delle carezze (Verlaine);
morsi civilizzati
(Sbarbaro), monete
spicciole dell’amore
(Thaddeusz), baci di
Ulisse alla “petrosa
Itaca” (Foscolo). Il bacio,
eterno inventario di
poeti e mascalzoni,
amanti a amatori, può
segnare
indifferentemente
l’inizio di qualcosa (“Un
apostrofo rosa tra le
parole t’amo”, E.
Rostand) e la sua fine
(“Estremo saluto è il tuo
bacio”, A. Merini); può
essere “corto, durato
più di un lampo”, o
lungo e “più lontano”
(Solinas). Di baci è pieno
il cinema: mai dati, con
gli abbracci, primi e
ancora, per tutti o
rubati. Di baci (di Giuda)
vivono le buone novelle
e Novelle 2000, 3000.
Colti di sorpresa,
paparazzati, in
esclusiva. Ora
malinconici e romantici,
ora lascivi e degni di
scandalo. Ma sempre
veri. Al Lido abbiamo
scoperto invece una
nuova tipologia di baci. I
baci posati. Una specie
di teatrino del bacio
allestito per riempire i
giornali. Baci simulati,
baci plastici, baci offerti
all’obiettivo. Baci che
baciano i baci. Anche
questi in fondo baci
rubati. All’amore.
settembre 2011
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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La po s ta di S H EK H AR K AP U R
o
Pensieri in libertà: lo sguardo globale del cineasta indian
LA CLASSE MEDIA IN PIAZZA CONTRO LA CORRUZIONE DEI POLITICI, VERA E
PROPRIA EMERGENZA DEMOCRATICA. E’ IL MOMENTO DI CAMBIARE ROTTA
INFURIA IL DIBATTITO, forse più di un dibattito:
una rivoluzione. In India. Sul tavolo il rapporto tra
popolo, parlamento e governo democraticamente
eletto. Il movimento guidato da Anna Hazare, che
vorrebbe istituire rappresentanti della società
civile con facoltà di vigilare sull’operato dei
parlamentari, ha suggestionato molti e raccolto
un vasto seguito tra le classi istruite. Una classe
che finora si era accontentata di vedere migliorati
i propri standard di vita attraverso la crescita
economica. Una classe spesso accusata di non
andare nemmeno a votare, scende ora nelle
piazze per far sentire la sua
voce. Per protestare contro il
più grande cancro esistente
oggi in India: la corruzione.
Mentre governo ed economisti rivendicano i propri
meriti nello sviluppo economico, la gente sente di
essere stata derubata dei frutti della crescita.
Accusano i politici di aver sottratto all’India
denaro pubblico. Il governo è in allerta.
Impreparato alla sfida lanciata da cittadini
considerati fino ad oggi passivi. L’opposizione ha
scelto di appoggiare attivamente il movimento, ma
sembra più una mossa di convenienza. Sarà
disposta a limitare se stessa se dovesse formare il
nuovo governo?
Chiedi a qualsiasi indiano quale sia il maggiore
problema che ha dovuto affrontare in vita sua e ti
risponderà la corruzione. Ci tocca tutti, ogni
giorno. Abbiamo imparato a conviverci, ad
accettarla come fosse un elemento della nostra
cultura. L’abbiamo condonata, pensando che fosse
un effetto collaterale della nostra crescita
SOLDI SPORCHI
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rivista del cinematografo
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settembre 2011
economica. Ma i casi registrati tra le alte sfere del
governo stanno assumendo proporzioni che fanno
inorridire in una nazione dove metà della
popolazione vive sotto la soglia della povertà.
Ancor più della corruzione, colpisce l’arroganza
con cui la classe politica sta saccheggiando il
paese.
Tra la gente, c’è una totale perdita di fiducia nei
governanti. Un dato preoccupante. E’ l’inizio di una
crisi irreversibile del sistema democratico, come
taluni hanno suggerito? Direi di no. Probabilmente
è solo un’evoluzione della democrazia. Istituita dai
precedenti colonizzatori, la democrazia indiana è
stata fissata in una costituzione scritta per un
paese che al tempo contava 350 milioni di abitanti.
Nessuno poteva immaginare allora che la
popolazione sarebbe cresciuta toccando il
miliardo e passa di oggi. Con il 60% di questa sotto
i venticinque anni. Il sistema politico, sociale e
giudiziario indiano potrebbe non essere più
adeguato a una popolazione così giovane, aperta
all’iniziativa, tecnologicamente preparata. La
corruzione è il frutto di un sistema lento,
irresponsabile e antiquato, incapace di accettare
la sfida della modernità. Un sistema protetto da
quanti ne traggono benefici a costo di frustrare le
aspirazioni della gente. Hanno dimenticato che le
prime parole della costituzione indiana non sono
“Noi governo” o “ Noi parlamento”, bensì “Noi
popolo indiano”. I principi della democrazia non
possono essere cambiati, vero. Ma i sistemi che li
supportano devono poter essere modificati e
adattati alle circostanze nuove della storia.
(TRADUZIONE A CURA DI GIANLUCA ARNONE)
CINEMAUNDICI e RAI CINEMA
presentano
un film di
ERMANNO OLMI
il villaggio di cartone
MICHAEL LONSDALE RUTGER HAUER
ALESSANDRO HABER MASSIMO DE FRANCOVICH
prodotto da LUIGI MUSINI
una produzione CINEMAUNDICI in collaborazione con RAI CINEMA
in associazione con
EDISON SpA
con la collaborazione di
APULIA FILM COMMISSION
e REGIONE PUGLIA
e in associazione con
INTESA SANPAOLO SpA
musiche di SOFIA GUBAIDULINA
CINEMAUNDICI
Film riconosciuto di Interesse Artistico Culturale con il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali Direzione Generale per il Cinema
dal 7 ottobre al cinema
con il Patrocinio
dell'Alto Commissariato delle
Nazioni Unite per i Rifugiati Ufficio per il Sud Europa
COVER
La nuova sfida di
Spielberg è animata
e si chiama Tintin.
Ma non basta: il regista
ha in caldo anche
War Horse, nelle sale
Usa a Natale
di Gianluca Arnone
L’ETERNO
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rivista del cinematografo
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ottobre 2011
SEMBRA UN “SUICIDIO”, ma alla
Dreamworks e alla Disney la pensano
diversamente. In America Le avventure
di Tintin e War Horse, entrambi diretti da
Steven Spielberg, usciranno coevi: il 23 e
il 28 dicembre (in Italia Tintin il 28
ottobre, War Horse il 20 gennaio). Una
decisione storica, senza precedenti. Si
tratta di due film che, oltre a concorrere
nel medesimo periodo, si contenderanno
lo stesso pubblico: le famiglie. Le due
major assicurano: c’è abbastanza
domanda da arricchire entrambi. Di più.
Sono convinte ambedue di avere nelle
mani un prodotto che non teme
concorrenza. Bell’attestato di fiducia.
Nonostante l’ultimo decennio sia stato il
più altalenante della carriera di
Il regista Steven
Spielberg.
A sinistra Le avventure
di Tintin
FANCIULLO
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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COVER
cavalleria inglese. Finirà nelle mani dei
francesi, poi in quelle dei tedeschi,
passando in rassegna tutti i fronti della
battaglia. In attesa di ricongiungersi col
suo vecchio padroncino, Albert (Jeremy
Irvine). Tratto dal romanzo di Michael
Morpurgo (anche pièce), War Horse
combina cinema bellico e Black Beauty (il
romanzo di Anne Sewell). Morpurgo aveva
deciso di scrivere il libro dopo aver
scoperto l’eccidio dei cavalli durante la
prima guerra mondiale (ne morirono 10
milioni) e raccolto le testimonianze di
alcuni veterani che gli avevano raccontato
come i soldati spesso parlassero con loro,
Le avventure di
Tintin. A destra
War Horse
Spielberg: a parte il riuscito Prova a
prendermi, il remake de La guerra dei
mondi non ha convinto la critica, mentre
The Terminal e Munich sono stati un
mezzo fiasco al botteghino. Maggiori
soddisfazioni dall’ultimo Indiana Jones,
classico lavoro interlocutorio, desideroso
più di ritrovare antiche certezze che di
guadagnarsi il futuro. L’impressione è che
l’eterno bambino del cinema americano
abbia vissuto con disagio il clima post 11
settembre. Spiazzato dal brusco risveglio
di una nazione. Oggi l’America è anche più
scossa. Se l’attacco alle Torri poteva
essere archiviato come un incidente di
percorso, il declino dell’economia rischia
di macchiare il mito della superpotenza in
maniera indelebile. Con pesanti
ripercussioni sulle
strategie e gli
investimenti
dell’industria
cinematografica.
Diventa interessante
capire allora se e in che
modo Spielberg – che
di quell’industria è
sempre stato l’alfiere –
INQUADRA IL CODICE QR
riuscirà a rinegoziare il
CON IL TELEFONINO
PER VISUALIZZARE IL
proprio ruolo dentro
TRAILER DI TINTIN
uno scenario in
fibrillazione. Non di
rado i lavori del regista hanno anticipato
tendenze, ridisegnato l’immaginario,
ritrattato i confini tra spettacolo e
autorialità dentro il rigido perimetro
hollywoodiano. Tintin e War Horse
giocano sullo stesso tavolo ma con carte
diverse. Con il primo Spielberg debutta
nell’animazione e nella stereoscopia,
punta forte sul restyling estetico ma non
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rinuncia a un’ossatura narrativa
tradizionale, rileggendo un classico del
fumetto, Hergè. Tintin racconta le
avventure di un giovane reporter e del suo
cagnolino Milù, in giro per il mondo alla
ricerca di storie sensazionali, braccati da
personaggi improbabili, al centro di
misteriosi intrighi. Spielberg l’ha definito
l’Indiana Jones coi calzoni corti. Il film è
interpretato da Jamie Bell e Daniel Craig,
convertiti digitalmente grazie al motion
capture. Accanto all’artigiano Spielberg il
consulente tecnologico Peter Jackson.
Anche produttore, Jackson dirigerà i
prossimi due capitoli della trilogia. Dalle
proiezioni pilota in Francia trapela forte
entusiasmo attorno al progetto. Ma
Oltralpe sanno bene chi era Hergé, in
America no. Viceversa, War Horse sembra
più nelle corde di Spielberg. Il tema - la
guerra – è un’ossessione che torna e
ritorna nella sua filmografia. Per la prima
volta Spielberg racconta la grande guerra,
ed è un dettaglio fondamentale per la
messa in scena: significa privilegiare il
fattore umano su quello tecnologico (è un
conflitto che, cannoni a parte, prevede
ancora il corpo a corpo), ridurre il
rumore, mitigare lo splatter, organizzare
lo spazio (simile a una scacchiera,
geometrico, globale: a differenza del
montaggio a mitraglia del Soldato Ryan,
abbonda qui l’uso dei carrelli e dei totali),
spostare il focus dalle armi alla tecnica. Il
perno del film è un cavallo di nome Joey,
venduto da una famiglia di allevatori alla
convinti che capissero tutto. L’utilizzo del
cavallo, nella letteratura e nel cinema,
non è nuovo. La sensibilità di questo
animale è nota e usata spesso come
metafora dell’innocenza (ricordate la
cavallina di Delitto e Castigo?). Si capisce
perché Spielberg sia rimasto conquistato
dal soggetto: l’occhio umido, buono, del
cavallo è quello di E.T. L’alieno, l’altro, il
fanciullo che abbiamo dimenticato da
qualche parte. E’ l’occhio del vecchio
Spielberg, un’altra volta e di nuovo.
Rivolto a quel che resta del (suo) mondo,
dentro un cinema che sta cambiando. %
Le avventure di Tintin si vedranno alla
sesta edizione del festival di Roma
ASPETTANDO
il festival
THIS IS ROME
DA SPIELBERG A
Scorsese, DAL POLITICO STONE A GERE: HOLLYWOOD FA FESTA
SE VENEZIA HA LAVORATO BENE,
Roma non sta a guardare o, almeno, ci
prova. La corte serrata a Spielberg ha
dato i suoi frutti, e Le avventure di
Tintin non marcheranno visita alla
sesta edizione del Festival. Ma
Hollywood sbarca sul Tevere anche con
20 minuti dell’escursione nel 3D di
Martin Scorsese, Hugo Cabret, con la
stellina Chloe Moretz. Non è finita:
premio (il Marc’Aurelio alla carriera)
ufficiale e gentiluomo, Richard Gere
ritorna all’Auditorium non più cinofilo,
comunque fascinoso per nostalgiche
signore. I palati più politici, viceversa,
troveranno servizi e segreti in Untold
History of America di Oliver Stone o la
crisi finanziaria in Too Big to Fail di
Curtis Hanson, mentre i vampiri se la
vedranno con Breaking Dawn e i cinefili
con l’Extra-ordinario Michael Mann.
Il maestro Martin
Scorsese. A sinistra la
stellina Chloe Moretz
e Oliver Stone
22
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2011
Poi, cose di casa nostra: da Montaldo a
Pasolini, fino a un tourbillon di
papabili, da Avati a Mezzapesa,
passando per l’esordio alla regia di
Ivan Cotroneo, La kryptonite nella
borsa. Sperando che a Roma non tocchi
la parte di Superman.
FEDERICO PONTIGGIA
DIETRO IL
POTERE
TRA GLI ITALIANI ATTESI, L’ANTEPRIMA DELL’INDUSTRIALE DI
Montaldo, IN SALA A NOVEMBRE
È UNA TORINO LIVIDA e
invernale quella che fa da sfondo
a L’industriale, l’ultimo film di
Giuliano Montaldo che uscirà
nelle sale a novembre, dopo un
passaggio al festival di Roma.
Per la terza volta in Piemonte,
dopo Tiro al piccione (suo primo
film) e I demoni di San
Pietroburgo, il regista genovese
porta sugli schermi un thriller
d’altri tempi. Un giallo alla
Chabrol che ruota intorno alle
torbide vicende di una coppia
dell’alta borghesia torinese:
Laura e Nicola, che nel film
hanno rispettivamente i volti
di Carolina Crescentini e
Pierfrancesco Favino.
Attraverso loro Montaldo
racconta una città cinica e
indifferente: travolta, come
tante altre, dalla crisi
economica mondiale. Nicola,
a cui non è mai stato
perdonato di essere un
parvenu, si trova a dover
escogitare un modo per
Giuliano
salvare da solo l’azienda di
famiglia e, contemporaneamente,
il proprio matrimonio, messo a
dura prova dalla presenza di un
misterioso garagista straniero
(impersonato dall’attore rumeno
Eduard Gabia, già attore
protagonista di Cover Boy) che
corteggia la moglie. Ma è proprio
il rapporto che lega Nicola a
Laura a mettere in luce quello
che è il tema principale del film: il
potere. “I due personaggi
principali – ha sottolineato lo
stesso Montaldo - sono entrambi
sopraffatti dal potere. La loro
relazione lo conferma, essendo
fondata più che sui sentimenti, su una
competizione continua e sfibrante”.
Intorno ai due una classe dirigente
fredda e senza pietà che si spartisce,
avida, gli avanzi di una carcassa
ormai completamente depredata.
CATERINA TARICANO
Il regista Giuliano Montaldo sul set. A fianco
Carolina Crescentini e Pierfrancesco Favino.
Sopra una scena de L'industriale, in cartellone al
festival di Roma
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rivista del cinematografo
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eventi
SILENZIO DI
FUOCO
a cura di Marina Sanna
SILENZIO DI
Muti e non solo al festival di Lione di Thierry Fremaux. Che
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ottobre 2011
Il Fuoco di
Giovanni Pastrone,
capolavoro del muto
italiano, restaurato
al Lumière
FUOCO
rende omaggio al Museo di Torino
ottobre 2011
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
25
OMAGGIO MONUMENTALE: il Museo
Nazionale del Cinema di Torino ospite
d’onore al 3° Lumière, organizzato
dall’Institut Lumière di Lione. Il festival,
diretto da Thierry Fremaux e presieduto
da Bertrand Tavernier (3-9 ottobre
2011), presenta unicamente film
restaurati e copie rare conservate dalle
Cineteche di tutto il mondo. La novità è
che a partire da quest’anno, ciascuna
edizione del festival renderà omaggio ad
una Cineteca che si sia particolarmente
distinta nell’opera di valorizzazione
della memoria del cinema, con una
sezione apposita intitolata
“Cinémathèques invitées”.
Ad inaugurare la serie, proprio il Museo
del Cinema di Torino. “Gli archivi –
spiega Fremaux - svolgono un ruolo
fondamentale e non bisogna
dimenticare che sono stati loro a
incominciare questo lavoro immenso di
conservazione, e siamo particolarmente
felici di iniziare proprio con Torino. Per
la qualità e l’importanza delle sue
collezioni e l’insieme delle sue
numerose attività (pubblicazioni,
mostre, restauri e retrospettive), rivolte
a cinefili e al grande pubblico, che ne
fanno un modello esemplare da imitare
e seguire. Torino non è lontana da
Lione, e ci auguriamo che i lionesi si
rechino a visitare quel posto
meraviglioso che ospita il Museo. E devo
aggiungere che il direttore Alberto
Barbera è una persona preziosa per il
patrimonio europeo”. Oltre a una
mostra fotografica, l’omaggio
comprende la proiezione di tre film
restaurati, L’assassino e I giorni contati
di Elio Petri – quest’ultima in “prima”
assoluta - e uno dei capolavori di
Giovanni Pastrone, Il fuoco. Che il
UN CAPOLAVORO SENZA ETA’
Il mèlo di Pastrone e D’Annunzio torna fiammante a Lione
Musica per il muto. Dopo il post rock strumentale dei Giardini di Mirò, è il
pianista Thibaud Saby a confrontarsi con il restauro de Il Fuoco di Giovanni
Pastrone, suonando dal vivo al Lumière 2011 di Thierry Fremaux. Capolavoro
del muto italiano “riveduto e corretto” dal Museo del Cinema di Torino, Il
Fuoco (1915) è un melodramma intenso e – letteralmente - fiammeggiante,
frutto della collaborazione tra Pastrone e Gabriele d’Annunzio, interpretato da
due divi del tempo - la romana Pina Menichelli e il siciliano Febo Mari – e
suddiviso in tre capitoli: La favilla, La vampa, La cenere. Pastrone, nome d’arte
Piero Fosco, lo diresse un anno dopo Cabiria e la breve durata (55’) si spiega
anche con i tagli imposti dalla censura, particolarmente accanita negli anni
della guerra. Facile battuta, pochi minuti ma buoni: perché questo Fuoco
brucia ancora. Toccate con mano, anzi, con gli occhi.
F.P.
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2011
presidente Tavernier attende con
impazienza: “Non l’ho mai visto e
finalmente Barbera ce lo porta come un
regalo. Ammiro molto la costanza con
cui sta realizzando i restauri di Elio
Petri, la sua dedizione è formidabile”.
Il festival, nato nel 2009, oltre ad essere
una festa imperdibile per chi ama il
cinema, propone in ogni edizione
anteprime di grandi film del passato (da
segnalare I quattro cavalieri
dell’Apocalisse di Rex Ingram,
musicato dall’orchestra di Lione e
diretta da Ernst van Tiel; da non
perdere il capolavoro di Méliès, Le
Voyage dans la Lune), con ospiti illustri
(registi, attori, personalità del mondo
dello spettacolo), omaggi (William A.
Wellman, autore di famosi film
hollywoodiani, da Nemico pubblico a E’
nata una stella), attirando migliaia di
persone da tutta la Francia. Perché
come ama ripetere l’instancabile
Fremaux: “Il pubblico è intatto,
incontaminato, bisogna mostrargli belle
eventi
FOTO: KAREN DI PAOLA
Mastroianni
nell’Assassino di
Elio Petri, Alberto
Barbera e il premiato
Depardieu. Sotto
Salvo Randone ne
I giorni contati e
nella pagina accanto
Thierry Fremaux,
una scena de I giorni
contati e Bertrand
Tavernier
cose, e nel cinema ce ne sono
un’infinità. L’obiettivo è far vedere copie
restaurate di opere dimenticate agli
spettatori di oggi, come fanno Torino e
Bologna. Questo non significa solo film
muti: bisogna restituire la storia del
cinema recente alle giovani generazioni.
Noi lo facciamo invitando attori, attrici,
registi che vengono a parlare di questa
passione. E’ una manifestazione nata
per rendere omaggio a questa arte”.
Il Lumière assegna anche un Grand
Prix a un cineasta per l’insieme della
sua opera, inaugurato il primo anno da
Clint Eastwood, e l’anno passato
attribuito a Milos Forman (con la
versione integrale di Amadeus), che per
la gioia dei lionesi, andrà a un francese:
Gérard Depardieu. Dopo Dario Argento,
per gli appassionati del genere stavolta
l’appuntamento da non perdere è quello
con la biografia di Roger Corman, che
ha diretto fra l’altro La piccola bottega
degli orrori (girato in tre giorni), un
ciclo di lavori ispirati ad Edgar Allan
Poe, e Il pianeta del terrore. Ma ci
saranno anche Benicio Del Toro per
L’Ile nue di Kaneto Shindò, cineasta
giapponese di cui il divo è grande
ammiratore, Fatih Akin per La loi de la
frontiere di Lufti Akad, restaturato dalla
World Foundation di Scorsese e tanti
altri registi di fama internazionale.
Shekhar Kapur, i fratelli Dardenne,
Walter Salles, Stephen Frears, ognuno
con un film del cuore da raccontare. %
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intervista
Harrison Ford,
per la prima volta
bad guy in un
western: “Un
personaggio
interessante”
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FORD
CORRE
ANCORA
“Fossi un pilota, sarei già in pensione”.
Invece, a 70 anni Harrison
lotta tra Cowboys & Aliens:
“E’ il bello di questo mestiere”
di Miriam Mauti
FORSE NON HA NAVIGATO oltre i confini
di Orione, ma - con la frusta di Indiana
Jones o senza - ha attraversato gli
ultimi 40 anni di cinema americano,
combattendo Guerre stellari, nell’abito
grigio da Presunto innocente o
camminando sulle tegole parigine di
Frantic... e potremmo continuare il
gioco dei titoli per molto tempo. Ma
Harrison Ford non era mai stato il bad
guy di un film western. L’occasione
gliel’ha offerta Jon Favreau, regista di
Cowboys & Aliens, in uscita il 14 ottobre
in Italia, anche se Ford ci ha messo un
po’ a dire sì: “Diciamo che non capivo
dove volesse andare a parare il film,
con quel titolo. Dopo le prime dieci
pagine di sceneggiatura volevo lasciar
perdere, ma poi ho incontrato Favreau e
le cose sono cambiate. E fondamentale
è stato anche sapere che per il ruolo
principale Daniel Craig aveva detto sì.
Abbiamo due carriere diverse, ma è
stato molto facile lavorare insieme. E’
stato un piacere. E’ molto intelligente e
sa come raccontare la storia, lavora
duro, è professionale, disponibile. E poi
non avevo mai fatto un western e adoro
andare a cavallo, l’idea mi piaceva”.
I due si ritrovano nella città di
Absolution, nel 1875. Con saloon e
bulli in cinturone, come ogni western
che si rispetti, fin quando in quel
deserto del New Mexico atterrano gli
alieni. Le sembravano atmosfere
familiari? Tutto sommato qualcuno ha
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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intervista
definito Guerre Stellari un western
dello spazio...
No, cerco sempre di non portare
l’esperienza di un film in un altro,
ognuno è un progetto nuovo, una nuova
esperienza.
Tutti i film che ho fatto, da Presunto
Innocente a Una donna in carriera, da
K19 alla serie di Jack Ryan o A
proposito di Henry, hanno un’unica
cosa in comune: il mio lavoro duro per
creare il personaggio. C’è
un’espressione inglese che dice più o
meno: “Quello che c’è scritto sulla
scatola è ciò che c’è nella scatola”. Vale
anche per me. Io cerco di entrare in
connessione con i registi per fare buoni
film e non tradire le attese del pubblico.
Gli spettatori per me non sono fan, ma
clienti, che devono essere ben serviti.
lavora più con questo
genere?
Perché ho 69 anni.
Nessuno scrive
commedie con
protagonista un quasi
settantenne! Magari
me le proponessero,
ma penso che al
massimo dovrò
recitare la parte di un
uomo di 70 anni
l’anno prossimo e di
71 quello successivo...
La considero una cosa
positiva. E’ un vantaggio del mio lavoro,
ci saranno sempre parti di vecchietti da
recitare, no? Pensate se fossi stato un
pilota... A quest’ora sarei in pensione.
Ma come è successo che un falegname
è diventato un attore?
Ero un attore ben prima di essere un
falegname. Solo che non lo sapeva
nessuno. Ero arrivato a Los Angeles
dopo il college, dove avevo studiato
filosofia. Sapevo che non volevo un
lavoro normale, come i miei amici, e ho
scoperto che quando recitavo ero
impaurito e riuscivo a vincere la paura.
Amavo raccontare una storia. Non mi
accontentavo. Poi ho incontrato Sergio
Mendez che voleva gli costruissi uno
studio di
registrazione. Non mi
chiese se avevo
esperienza... E io non
glielo dissi. Per sei
mesi ho studiato
manuali di
falegnameria. Ho
costruito quello studio
e ho continuato a
lavorare per i ricchi di
Beverly Hills,
mantenendo la
famiglia. Poi
arrivarono American
Graffiti e La conversazione... E un
giorno mentre ero nell’ufficio di
Coppola entrò George Lucas: sono
diventato Han Solo. E nel frattempo le
cose che ho costruito sono ancora tutte
in piedi... Non male no?
Sarà Indiana Jones per la quinta volta?
Lucas dice che sta lavorando alla
sceneggiatura. Spero si sbrighi, non ho
molti altri anni da aspettare per quel
ruolo, ma è anche vero che se non c’è
una buona idea, il film non deve farsi.
Stranamente io con Lucas, da
protagonista, ho fatto solo Guerre
Stellari e con Spielberg Indiana Jones,
ma abbiamo relazioni forti, siamo
amici.
%
“IL QUINTO INDIANA JONES?
LUCAS CI STA LAVORANDO: SPERO SI SBRIGHI,
NON POSSO ASPETTARE MOLTO
PER QUEL RUOLO”
Almeno all’inizio del film, lei è il
cattivo...
Mi piace l’inizio da bad guy e poi
lo strizzare l’occhio al pubblico,
portandolo dalla tua parte. Il mio
colonnello Dolarhyde colpisce
prima il pubblico con un martello
sulla testa, entrando in scena
come un cattivo padre, poi però
evolve e arriva a parlare con suo
figlio spingendolo a crescere. E
poi c’è la relazione con Daniel
Craig, tutte opportunità per un
attore. Insomma, l’ho trovato un
personaggio interessante.
Cowboys & Aliens le dà anche la
possibilità di momenti da
commedia brillante. Perché non
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2011
venezia 68
Pregi e difetti di
un’ottima edizione,
con un verdetto
sorprendente e (quasi)
ineccepibile. Al russo
Aleksandr Sokurov
un Leone destinato
all’immortalità
di Marina Sanna
foto Karen Di Paola
VENEZIA
CHE
FAUST
Aleksandr Sokurov: cuor di Leone d’Oro. Pagina a
fianco, la madrina Vittoria Puccini; Guido Lombardi per
la miglior opera prima Là-Bas e le Coppe Volpi: Deanie
Yip e il Michael Fassbender Show
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2011
UN FILM COSÌ è destinato a restare
nella storia del cinema e a scolpire
nella memoria collettiva il nome del
suo autore: Aleksandr Sokurov. Artista,
intellettuale di grande spessore,
conosciuto da chi frequenta i festival
internazionali, a volte premiato, quasi
mai distribuito nelle sale. Non poteva
che essere Faust, il Leone d’Oro della
68ma Mostra di Venezia, al di là di ogni
compromesso immaginabile. E la giuria
appunto, attribuito ex aequo ai due
ragazzini protagonisti, peraltro
bravissimi e assenti dalla premiazione.
Magie dei festival, senza nulla togliere a
Emanuele Crialese, che invece ha
sbaragliato i pronostici del giorno
prima, vincendo il Gran Premio della
Giuria con il suo Terraferma.
Un palmarés quasi ineccepibile, un po’
strana l’Osella per la sceneggiatura al
greco Alps (lo svolgimento della storia
Himizu, straziante opera sul futuro
del Giappone post 11 marzo: dopo il
terremoto e lo tsunami
guidata dal regista Darren Aronofsky
(con gli italiani Mario Martone e Alba
Rohrwacher) ne ha fatti ben pochi,
distribuendo Leoni e Coppe in modo
talmente rigoroso, da meritare un
applauso. Resta un piccolo mistero,
quello del giapponese Sion Sono,
tornato in fretta e furia per la serata
conclusiva, per il suo Himizu, straziante
(disperata) opera sul futuro del
Giappone, post 11 marzo: ovvero dopo il
terremoto, lo tsunami e la catastrofe
nucleare.
Pensava forse a qualcosa di più
sostanzioso del riconoscimento per il
talento emergente, il Mastroianni
non è il punto di forza del film),
coraggioso invece il Leone d’Argento al
cinese People Mountain People Sea, il
film sorpresa della Mostra. Non solo
per il titolo svelato all’ultimo momento,
anche per la trama misteriosa e
crudelmente affascinante, che ognuno
ha interpretato a modo suo. Compreso
il regista Cai Shangjun. Attribuita a
furor di popolo la coppa Volpi a Michael
Fassbender per il controverso Shame
di Steve McQueen (ha spaccato la
critica in due) e stesso dicasi per la
Coppa alla sessantatreenne Deanie Yip
per un altro cinese, A Simple Life di
Ann Hui, che si è aggiudicato anche la
Buona
visione
A futura memoria: da The Exchange
a Kossakovsky, quando lo sguardo si
fa protagonista
di Valerio Sammarco
Che cosa chiede l’occhio dello
spettatore nel buio di una sala?
Soprattutto, durante una Mostra
d’Arte Cinematografica,
Internazionale? La risposta più
ovvia, scontata, è: ottimi film. Ma
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2011
Il Presidente
della Biennale
Paolo Baratta
Sfilata di premi: i fratelli
Dardenne, Jean Dujardin,
Kirsten Dunst e Maïwenn.
A sinistra Tilda Swinton,
rimasta a mani vuote
Sokurov vince con
Faust. A fianco, Sion
Sono col Mastroianni ai
suoi attori e Crialese,
col premio della giuria a
Terraferma
nostra La Navicella-Cinema. Racconto
malinconico di una domestica che va
incontro alla morte in una casa di
riposo e il suo rapporto con l’ultimo
datore di lavoro. E’ stata una Venezia da
ricordare, nel bene e nel male, come
vedrete dai voti che abbiamo assegnato
nelle pagine che seguono. In alcuni casi
con esiti inferiori alle aspettative (vedi
Todd Solondz con Dark Horse o
alle volte non basta. No, alle volte
l’occhio chiede di essere sorpreso,
costretto senza via di scampo ad
incartare per la memoria quello che
vede.
Può avvenire anche attraverso film
imperfetti, non può non accadere
quando è l’opera stessa a riflettere
sulla “visione”: la selezione ufficiale
del Festival di Venezia (tanto in
Concorso quanto Fuori, senza
dimenticare Orizzonti), in tal senso,
ha offerto più di qualche semplice
spunto. Si pensi al protagonista di
The Exchange, dell’israeliano Eran
Kolirin, al quale basta rientrare a
casa in un orario insolito per
smarcarsi dall’abituale “routine
d’osservazione”, o al fantastico Gary
Cronenberg con A Dangerous Method, o
peggio le Cime tempestose di Andrea
Arnold). Viceversa, Le idi di marzo di
Clooney, Carnage di Polansky, il
magnifico Killer Joe di Friedkin sono
stati persino superiori alle (nostre)
attese.
Un’edizione faticosa, per l’accavallarsi
delle proiezioni e degli eventi
concomitanti: in quanti hanno visto A
Oldman de La talpa, “spettatore”
chiamato a tornare sui suoi passi,
sui propri sguardi, per stanare la
spia doppiogiochista nel notevole
adattamento di Alfredson da Le
Carrè.
Per non parlare della giovane
mamma in Kotoko di Shinya
Tsukamoto (vincitore di Orizzonti),
schiava di un’impressionante
“schizofrenia” visiva, dei quattro
personaggi vendenti “amore” nel
teorico Alps di Yorgos Lanthimos,
improvvisati attori impegnati ad
aggirare la morte agli occhi di
inconsolabili committenti, o
l’eccesso di “visioni” che
caratterizza il multitasking 4:44
Last Day on Earth di Abel Ferrara.
Simple Life o 4:44 Last Day on Earth di
Abel Ferrara?, o si sono accorti che per
la prima volta i fratelli Dardenne hanno
messo piede a Venezia, per il più che
meritato premio Bresson? Il direttore
Marco Müller, di anno in anno, si
mostra sempre più generoso nella
programmazione: se dovesse essere
riconfermato non potrebbe lasciare
qualcosa agli altri festival?
%
Che aspetta la fine del tutto,
miraggio a lunga scadenza per
l’Heathcliff di Cime tempestose,
“riletto” anche visivamente da
Andrea Arnold e premiato per la
fotografia. Elemento imprescindibile
per il Faust di Sokurov – almeno una
zampa del Leone d’Oro va al
maestoso lavoro sulle luci di Bruno
Delbonnel – e per lo straordinario
Vivan las antipodas! (nella foto) di
Victor Kossakovsky, altro cineasta
(documentarista) russo che riesce
letteralmente a “piegare” il cinema,
capovolgendo il mondo, per
regalare allo sguardo l’impossibile,
un tramonto argentino e l’alba di
Shanghai. Uno sopra all’altro,
unisoni, indimenticabili.
%
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fondazione ente dello spettacolo
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GIOCO DI
George Clooney e Madonna:
ecco i veri divi della Mostra.
Vanesi e accattivanti
di Gianluca Arnone, foto Karen Di Paola
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SPECCHI
RE GEORGE e Lady
Madonna. Aristocrazia dello
spettacolo. L’uno maestro
di cerimonie, un po’
spaccone un po’ sornione.
Regala ironia e sorrisi, e
batoste a mai finire
(chiedete ai democratici,
chiedete alla Canalis).
Sembra l’orca da circo che
nasconde l’orca assassina.
L’altra è una corazzata rosa
tutta spigoli ed erotismo,
provocazioni e controllo.
Una predatrice affascinante
e terribile. Si specchiano e
fanno di vanità virtù, di ogni
gesto un calcolo, della vita
una finzione. Le apparenze
ingannano ma l’essenza è
quella: il business. A
Venezia si specchiano e si
riscoprono uguali. Vanesi e
accattivanti, acclamati e
perdenti: uno apre le danze
della Mostra e questa gli
chiude la porta in faccia.
Rispedito a casa, senza
premi. L’altra da regina del
pop si trasforma in regina
del flop, da macchina da
soldi a macchina da presa.
Dalle urla dei fan passa alle
pernacchie. Della critica.
Perché non di solo glamour
vive l’arte. Che, dopotutto,
non ha mai elargito fama e
denari a nessuno.
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venezia 68 i film
Il pagellido
Da 1 a 5: i nostri
voti ai film che ci
hanno deluso,
divertito ed
entusiasmato. In
pole position il
Faust, People
Mountain People
Sea e La talpa
4 A SIMPLE LIFE
Ah Tao è una vecchia signora che ha fatto la donna di
servizio per sessant’anni nella stessa famiglia.
Adesso sono andati tutti in America meno Roger che
è restato a Hong Kong dove lavora nel cinema. Ah Tao
viene ricoverata in ospedale, resta in parte
paralizzata, deve seguire la rieducazione, è Roger
che la aiuta, la va a trovare, cerca una sistemazione
per lei in una casa di riposo, la porta alla prima di un
suo film. Il rapporto tra i due è intenso, da nonna a
nipote. Arriva, questo legame, fino alla fine. E tutti e
due sanno che dovrà arrivare lì. Quel che conta è
arrivarci bene: festeggiando con tutta la famiglia
venuta apposta dall’America la quinta generazione
passata sotto gli occhi di Ah, oppure continuando a
prestare dei soldi (a fondo perduto…) a un ospite
della casa di riposo. Il film in molti momenti sembra
un documentario, tanto è tranquillamente vivo, anche
grazie a un attore come il glamouroso Andy Lau e a
un’attrice come Deanie Yip, premiata con la Coppa
Volpi.
B.F.
testi di Gianluca Arnone, Bruno Fornara, Federico Pontiggia, Valerio Sammarco, Marina Sanna foto di Karen Di Paola
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4 LE IDI DI MARZO
LIFE WITHOUT
PRINCIPLE
Un’analista finanziaria, un
malvivente, un impeccabile ispettore
di polizia: tutti alle prese col
saliscendi delle Borse e della
morale. L’hongkonghese Johnnie To
inquadra dreams that money can
buy, con un occhio al Kubrick di
Rapina a mano armata e due sulla
crisi globale. Ma senza colpo –
stilistico - ferire: è una Life ordinaria,
senza guizzi di camera, senza
sussulti poetici, senza, dunque,
troppa vitalità. Che dire, la crisi
fa male anche al cinema. F.P.
2
KILLER JOE
Tratto dalla pièce teatrale di Beau
Willimon (Farragut North), la quarta regia
di George Clooney - qui anche coprotagonista nel ruolo del governatore in
corsa per le primarie del partito
democratico - illumina il dietro le quinte
della politica, i machiavellismi, l’arte
della menzogna e i colpi di teatro che la
caratterizzano. La politica è finzione, i
candidati comparse, la regia - similitudine
autorizzata dallo stesso Clooney nel
momento in cui descrive il retrobottega
dei democratici come quello di uno studio
televisivo - delegata ai portavoce, veri
uomini nell’ombra della democrazia
americana. Il più astuto di loro si chiama
Stephen, e la sua metamorfosi - da
ingenuo idealista a cinico manovratore disegna la parabola stessa de Le idi di
marzo, che è insieme tragedia
shakespeariana e opera civile alla
Redford. Ryan Gosling è semplicemente
strepitoso, ottimi i comprimari (da
Seymour Hoffman a Paul Giamatti
passando per Evan Rachel Wood), sempre
più sorprendente il regista Clooney:
sciolto, asciutto, morale. In una parola,
classico.
G.A.
1 SHAME
L’ultimo Friedkin non è solo quella
scena già di culto (Gina Gershon in
ginocchio, davanti a McConaughey,
costretta a succhiare una coscia di
pollo): lì c’è il fuoco d'artificio di
un'opera che, tra noir e grottesco,
thriller e dark comedy, non si
preoccupa di destabilizzare il
pensiero "comune" e inquadra la
disfunzionalità di una famiglia con
violento distacco e sentito
divertimento. Anche grazie ad
un cast straordinario.
V.S.
4
Dopo Hunger, Steve McQueen torna
a dirigere Michael Fassbender
(Coppa Volpi), ed entrambi si
confermano all’altezza. Loro, non la
storia di un bello, bravo e infoiato a
NY: furba e ricattatoria, moralistica
e reazionaria, una discesa agli inferi
che mischia Eros e Onan, addiction
e Dio, nascondendo le vergogne
poetiche dietro la foglia di fico dello
stile. Shame on you!
F.P.
ottobre 2011
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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4
HIMIZU
“Non mollare, non mollare”. Urla
Chazawa a Sumida. L’ultima scena
straziante di Himizu, del giapponese
Sion Sono. Un vero post 11 marzo, ossia
girato dopo il terremoto e lo tsunami che
hanno costretto il regista a rimettere le
mani sulla sceneggiatura. La violenza e
le macerie del Giappone fanno da sfondo
alla storia di due quindicenni. L’unico
POULET AUX PRUNES
Messe da parte l’eleganza, la sobrietà,
e anche la durezza di Persepolis, la
coppia di disegnatrice e regista si dà al
fiabesco. Teheran, 1958. Un violinista
(Mathieu Amalric) vede il prestigioso
violino fatto a pezzi dalla moglie (Maria
de Medeiros). Prova a sostituirlo, ma
non è facile. Decide allora di lasciarsi
morire nel suo letto. In attesa
ripercorre la sua vita e la storia di un
amore perduto. Il film, per quanti sforzi
faccia, si accartoccia su se stesso e sui
propri arabeschi e allegorie.
2
B.F.
40
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2011
desiderio di Sumida è quello di essere
lasciato tranquillo. Soprattutto dai
genitori, che lo trascurano (la madre) o
lo riempiono di botte (il padre
alcolizzato). Come un muro di gomma,
assorbe insulti, calci e umiliazioni
cercando di portare avanti il noleggio di
barche di famiglia. Chazawa invece è
ricca, ha una bella casa e una madre
pazza. Cerca di distrarsi, aiutata dalla
cotta per il compagno di classe, Sumida
appunto, che invece non la ricambia.
Testarda come un mulo, lo aspetta, lo
aiuta nel noleggio delle barche e infine
lo guarisce dalla rabbia e la follia, che
esplodono inevitabilmente. Un’opera
difforme, a tratti insopportabile,
disperata e indimenticabile.
M.S.
THE EXCHANGE
1
4
W.E. [fuori concorso]
CARNAGE
(Quasi) un unico tempo senza ellissi che
fila via dritto dritto per 79’ che è quanto
dura il film. Lo spazio di un appartamento,
più corridoio con la porta dell’ascensore
che si apre ma non ci si entra mai. Ci
sono, a incorniciare il tempo del ring, un
inizio in piano sequenza con una lite tra
ragazzini, quattro genitori furiosi e un
finale con criceto (fondamentale nello
svolgimento del match). Regia perfetta di
Polanski, e non era facile, sempre pronta a
spostare l’occhio dove serve, sempre “al
tempo”. Uno spasso continuo.
B.F.
Riscoprire la propria esistenza, fino
ad osservarla dall’esterno, partendo
da un avvenimento fortuito: cambierà
tutto per Oded (Rotem Keinan),
perché a cambiare è la prospettiva, la
diversa angolazione con cui inizierà
ad osservare ogni cosa. E’ lo spunto
dell’opera seconda di Eran Kolirin,
che dopo La banda non abbandona
l’ironia ma tenta l’approdo ad un
cinema più concettuale, teorico, che
avrà bisogno di ulteriori verifiche. A
tratti inaccessibile, The Exchange
rischia di restare intrappolato nello
stesso esercizio (mentale, frutto di
una riflessione sui “non luoghi”
dello stesso regista) che ne ha
caratterizzato la genesi.
V.S.
3
La leggendaria storia di Edoardo
VIII e l’americana Wallis Simpson:
divorziata, non bella, il suo amore
fu inteso reato di lesa Maestà. Vi
pare che Madonna potesse
esimersi dal cancellare la
damnatio memoriae? Fotografia
leccata, regia iperconvenzionale,
dialoghi risibili e la sensazione
brutta del deja-vu, ma W.E. è suo o
piuttosto del co-sceneggiatore
Alek Keshishian? Fu lui a dirigere
A letto con Madonna e qui cita
pure il suo Amore e altri disastri,
da dove viene tutta la crew di W.E.!
Siamo buoni, al massimo
Madonna potrebbe sempre dire:
“L’abbiamo diretto W.E., pardon,
noi”.
F.P.
LÀ-BAS [sic]
A DANGEROUS
METHOD
Tratto dalla pièce di Christopher
Hampton, il triangolo tra Jung,
Freud e Sabina Spielrein è uno
sceneggiato tv paratattico e
tradizionale, afflitto da aulica
verbosità e legato a doppio filo al
genitore teatrale: un film di
Cronenberg? No, almeno se
intendiamo quello duro e puro de La
mosca e Inseparabili. Ma il peggio è
altrove: se Mortensen (Freud) e
Fassbender (Jung) recitano l’onesto
compitino, l’isterica Keira Knightley
fa di scucchia unica virtù. Altro che
metodo, caro David, urge TSO.
F.P.
2
Castel Volturno, 18/9/08, la
camorra fa strage di migranti. Poi
arriva la finzione, ma non direste:
Yssouf e Moses, Germain e Suad
sono strappati alla carta sporca
della cronaca. Con stile verità, il
deb Guido Lombardi dirige LàBas, dove “tutti sono stronzi” e
“Dio è bianco”. Gomorra virato in
nero, antropologia a mano
armata, darwinismo criminale:
imperfetto ma urgente, premio
Luigi De Laurentiis.
3
F.P.
ottobre 2011
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
41
ALPS
Infermiera, paramedico, ginnasta e
allenatore: quattro autori in cerca di un
personaggio, che a pagamento
rimpiazzano i cari estinti. Si chiamano
Alpi, perché possono sostituire tutti gli
altri monti, e non viceversa: accadrà il
contrario. Osella per lo script, Yorgos il
greco mixa verità e finzione,
metacinema e società dello spettacolo,
cultura pop e simulacro: salita
impervia, poetica mozzafiato.
4
F.P.
4 WILDE
SALOME
[fuori concorso]
Non è un film sulla messa in scena della
Salome di Wilde, né messa in scena
filmata. Pacino non desidera realizzare
una rappresentazione, ma filmare
questo desiderio. Wilde Salome –
bravissima Jessica Chastain – è work in
progress per forza e per scelta: racconta
lo scarto, la distanza necessaria tra
l’azione e l’intenzione del suo regista. Un
desiderio desiderante e inappagato. Che
ci lascia soddisfatti.
G.A.
5
LA TALPA
Chiamato a confrontarsi con l’omonimo
capolavoro di John Le Carrè, lo svedese
Tomas Alfredson (Lasciami entrare)
non solo riesce a smarcarsi dall’inutile
“traduzione” ma compie una sorta di
miracolo cinematografico,
trasformando una spy-story in un vero e
proprio trattato sulla visione. D’altronde
La talpa lo mette in chiaro sin dalla
prima sequenza, con quella veduta
dall’alto su Londra, che attraverso il
carrello indietro svela ai nostri occhi
che stanno osservando non “qualcosa”,
ma qualcuno che osserva: capirlo alla
42
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2011
fine del film, insieme all’epifania di
Smiley (Gary Oldman, fantastico),
potrebbe essere troppo tardi. Nessuna
concessione allo spettacolo, estetica
della sottrazione mirata a ritrovare il
senso più profondo di ogni singola
parola, di ogni inquadratura o
movimento di macchina: lo spettatore
deve compiere una scelta, scommettere
o meno sulla propria capacità
d’osservazione. Sorretto da un cast
pazzesco (tra gli altri Colin Firth, Tom
Hardy, John Hurt e Mark Strong), il film
sarà nelle sale a gennaio.
V.S.
5
FAUST
CUT [orizzonti]
Verità, arte e
intrattenimento. E’ il
cinema secondo Shuji,
protagonista di Cut. Ed
è il credo di Naderi, il
suo regista. Cut è un vertiginoso meccanismo
di sovrapposizioni e opposizioni: tra l’autore e
il personaggio, il cinema e la vita.
Un’operazione metalinguistica e personale
insieme, romantica e necrofila. Pessimista,
ma non rassegnato, Naderi si e ci chiede:
davvero il cinema come arte è morto
definitivamente? Il cineasta iraniano non
risponde, ma il suo è un grandissimo film.
Più chiaro di così...
G.A.
5
Chiude la tetralogia del potere un film-summa. Un trattato filosofico,
estetico. Un’opera oltre il cinema. Un lavoro che utilizza ogni risorsa
espressiva disponibile - dall’uso delle luci (giallognole, il colore della
decomposizione) alle dimensioni del quadro (formato 1:37, ovvero
piccolo, angusto), dalla prospettiva (deformata) ai dialoghi (letterari,
in tedesco), dalla tradizione pittorica (Altdorfer, Bosch, Dürer), a
quella letteraria (Goethe e Mann, Dostoevskij e Borges) - per dare
forma alla metafisica, qualcosa tra mente e mondo. Faust ci
schiaccia per terra e ci riporta su, in un doppio movimento
discensionale/ascensionale. E’ la storia della caduta più fetida e
della salita più dannosa (l’uomo che vorrebbe farsi Dio). L’albero
della vita al rovescio, dalle vette alle radici che scavano giù e più a
fondo. Faust è imbevuto di morte, sovraccarico di corpi, forme
putride, muffe. Faust è visione d’inferno. Ma Sokurov è dio dietro la
macchina da presa. In sala dal 26 ottobre.
G.A.
5 VIVAN LAS ANTIPODAS!
[fuori concorso]
Sinfonia-mondo che unisce 4 coppie di luoghi situati uno all’opposto
dell’altro: Victor Kossakovsky compie l’impresa con Vivan las antipodas!,
ridisegnando le coordinate spaziali, sferiche, del nostro pianeta.
Sfruttando location indimenticabili, il cineasta russo “piega” le latitudini
del racconto filmico: l’asse della mdp ruota come quello terrestre, il
tramonto argentino si sovrappone a specchio con l’alba cinese, la corsa
delle auto di Shanghai è seguita con un incredibile pianosequenza
“capovolto”, mentre un masso che da millenni sfida le intemperie sulle
montagne spagnole è giustapposto all’agonia di una balena spiaggiata in
Nuova Zelanda. L’eterno e la morte assumono le stesse sembianze,
Kossakovsky ne celebra la portata. Di una bellezza commovente.
V.S.
TEXAS KILLING FIELDS
Ami è la figlia di Michael Mann, ha girato il
primo film Morning nel 2001, adesso
torna con questo poliziesco drammatico,
dove siamo dentro un film di genere ma
anche smarriti lungo altre strade che
portano a paludi, campi deserti, posti
disastrati. La coppia di detective (Sam
Worthington e Jeffrey Dean Morgan) si
trova per le mani troppi casi di donne
violentate e mutilate. Rischia di fare quella
fine anche una ragazzina (Chloë Moretz).
In una scena si salta sulla sedia. Ci sono
errori e scompensi ma almeno il film
c’è, cupo, tragico, notturno.
B.F. 4
ottobre 2011
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venezia 68 i film
5 DARK HORSE
3
Storia di una giovane madre afflitta
da “sdoppiamento visivo”, Kotoko
(vincitore di Orizzonti) dà il meglio di
sé negli inserti “techno schizofrenici”
che caratterizzano da sempre la cifra
di Shinya Tsukamoto: il vertice si
raggiunge verso il finale, nello switch
tra realtà e immaginazione che porta
la donna a vedere la testa del figlio
spappolata da un colpo di fucile. Per il
resto, però, il film soffre alcune
cadute di ritmo, concede troppo alla
“poesia” e al canto (l’attrice è Cocco,
celebre artista giapponese), si
sfilaccia insieme all’esistenza della
protagonista, che taglia la propria
carne non per togliersi la vita, ma per
trarre conferma che il proprio corpo
desideri restare vivo: un po’ come
Tsukamoto, che attraverso lo scarto
di momenti di “ultracinema” chiede a
se stesso conferma di esistere
ancora.
V.S.
3
44
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2011
KOTOKO [orizzonti]
Alla galleria di disadattati,
cialtroni, pervertiti e perdenti
mancava il bamboccione.
Solondz vede e provvede
regalandoci un altro abominevole
ritratto americano. Protagonista
un trentenne obeso, accasato dai
genitori, perso nel suo mondo,
sogno in formato cliché nel
sogno di plastica della nazione,
vero bersaglio del film. Che è il
più diretto e accessibile tra quelli
del regista, ma non meno
apocalittico: Solondz mostra la
proverbiale mancanza di pietà,
sommerge i suoi personaggi di
ridicolo, sceglie i suoi attori alla
perfezione - bravi tutti: Justin
Bartha, Selma Blair, Mia Farrow
e Christopher Walken – gioca di
sponda tra paradosso e
reiterazione, costruisce un
ambiente-acquario allucinante,
lo congela. Con un sospetto di
programmaticità e di maniera
sconosciuto in passato, e una
trama drammaturgica talmente
esile da rischiare di spezzarsi
prima del finale.
G.A.
2
WUTHERING HEIGHTS
A parte alcune digressioni, Wuthering Heights di Andrea Arnold è
piuttosto fedele al romanzo di Emily Brontë. Il titolo evocativo,
Cime tempestose, racchiude una delle storie d’amore più tragiche
e crudeli mai raccontate. Armata di ambizione e cliché, Andrea
Arnold sceglie la strada sbagliata fin dall’inizio: l’eroe
appassionato e brutale, l’Heathcliff diventato Laurence Olivier
nell’immaginario collettivo, qui è per ragioni incomprensibili di
colore nero. Ma la vera disgrazia è che l’ossessione divorante che
lega Heathcliff e Catherine, oltre ogni vincolo e ostacolo terreno,
viene tradotta in paesaggi suggestivi e brutali, ripetuti all’infinito,
e la passione smisurata in violenza gratuita su oggetti, animali e
persone.
M.S.
5
PEOPLE MOUNTAIN
PEOPLE SEA
Dalla montagna alle miniere, Tie è
sulle tracce dell’assassino del
fratello. Lastricata da fascinose
inquadrature di spaesamento
antropico, (on) the road è l’inferno
chiamato Cina: povertà, corruzione,
violenza e condizioni di lavoro che
farebbero di Dickens cronaca
odierna. Fino ai tre quarti, l’opera
prima di Cai Shangjun è un ottimo
film a tesi sulla disumanizzazione
della Cina, e basta: quasi indifferente
all’oggetto, l’errare di Tie sembra il
vettore di un’analisi sociale
cartesiana. Ma quando va a fondo
nella miniera, ne riaffiora l’ineludibile
forza di uomo: Tie incorpora e
metabolizza la tesi, le dà nome e
cognome con una potenza espressiva
inaudita. La potenza del film: una
deflagrazione azzera i dubbi critici, e
trova il Leone d’Argento.
F.P.
ottobre 2011
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
45
fuoricampo
Voci dal
Wes Studi e Tommy
Lee Jones: volti e
testimonianze del
melting pot americano,
a Bari per la prima
edizione di Frontiere
(a cura di Marina Sanna)
Tommy Lee Jones
“ANDAI IN CITTÀ A STUDIARE, ma dimenticai come si
parlava Cherokee, e quando tornai, nessun parente mi
capiva, allora ho imparato di nuovo, ho reimparato a
parlare Cherokee, in order to survive!”. E’ la
testimonianza di Wes Studi, protagonista tra i più celebri
del cinema indipendente e hollywoodiano ( Balla coi lupi,
Geronimo, L’ultimo dei Mohicani, Avatar) sui native
american, cherokee impegnato nella difesa dei diritti, alla
46
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2011
E’ una parola che attira l’attenzione, frontiera.
Ricordo la canzone degli anni Cinquanta su Dave
Crockett, “King of the wild frontier”. Evocava immagini di
popoli di origine europea che civilizzavano e
cristianizzavano la parte occidentale degli Stati Uniti. Ora
accade il contrario, ma è sempre in riferimento al
“Manifest Destiny”, il principio del destino manifesto della
cultura della conquista di metà 800: l’idea che i popoli di
origine europea avessero la missione di controllare tutto il
nord America.
Un’altra parola per definire tutto questo è: imperialismo.
Quindi ci sono molti punti di vista riguardo la frontiera,
termine di molte sfaccettature. È un tema interessante da
un punto di vista letterario, è un tema interessante dal
punto di vista cinematografico, per esplorare l’idea di
confini. Sia che si tratti di una linea disegnata nella
sabbia o disegnata dal corso di un fiume, o che si trovi
da qualche parte, nel cuore o nella mente. Il termine è
davvero molto vasto. Spesso comporta, implica una lotta
sociale. La frontiera è anche una condizione mentale,
sentirsi sempre tra due estremi. È probabilmente questa
la definizione, è ciò che la mente stessa è. Ragione e
sentimento, non c’è l’una senza l’altro.
mondo
Wes Studi
prima edizione di Frontiere, con una sua lecture e il suo
ultimo film in anteprima europea The Only Good Indian
diretto da Derek Willmot.
“Non credo che l’America abbia perso il senso della
vita”, dice l’attore-regista Tommy Lee Jones, che a Bari
ha portato invece Sunset Limited, tratto dalla pièce di
Cormac McCarthy: “Non ci credo nemmeno per un
secondo. E se il mio paese ha bisogno di essere salvato,
Il popolo Cherokee ha una lunga storia legata all’idea di
frontiera. C’è qualcosa di misterioso sulle nostre origini, la
leggenda racconta che arrivammo tanto tempo fa da una terra
lontana popolata da uccelli parlanti e piccole creature pelose
dalle sembianze umane che vivevano negli alberi. Avevo visto
i paesi del terzo mondo nei miei viaggi in Vietnam e Asia sudorientale, ma vederne uno negli Stati Uniti era incredibile!
Ovunque c’era trambusto e persone che vivono in scatole di
cartone per strada! Alcuni avevano anche l’antenna di una
piccola televisione che sporgeva! Dovevo sembrare davvero
ingenuo! Andai a casa di un amico vicino a Hollywood...
Il mio primo film fuPowWow Highway, con un attore
sconosciuto di origini canadese-indiane di nome Gary Farmer.
Questo fu il mio ingresso nel misterioso mondo della
produzione cinematografica. Feci anche un provino e ottenni
la parte in un film televisivo che mi portò a Santa Fe, Nuovo
Messico, che sarebbe poi diventata la mia casa. Molte
pubblicità mi tennero a galla durante l’anno successivo, e poi
finalmente arrivò il mio momento e il film!
I provini per Balla coi lupi cominciarono alla fine dell’inverno e
a giugno di quell’anno ero sulla strada verso il Sud Dakota,
per recitare nella parte de ‘Il fiero Pawnee‘.
Nessun nome, ma... avevo un titolo!
ottobre 2011
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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fuoricampo
l’unico paese che può salvarlo è il mio
paese. Ci sono i documenti che lo
provano, le nostre intenzioni sono
chiare. Non sempre riusciamo nelle
nostre migliori intenzioni, ma le nostre
intenzioni sono a disposizione di
chiunque le legga. Certo che sono
preoccupato... Riguardo l’economia,
l’ambiente, la barriera corallina, gli
uccelli, i bambini. Sono preoccupato
per tutto. Ma l’America non ha perso se
stessa”. Due personaggi emblematici
dell’approccio multidisciplinare della
nuova manifestazione pugliese, con un
programma centrato su questioni
critiche: il lavoro, la scienza, la
legalità, la letteratura, la
comunicazione, l’amore, il
Mediterraneo, l’America. Le identità,
appunto. Abbiamo scelto brani, spunti
e conversazioni per raccontare
l’ambizioso progetto, ideato da Oscar
Iarussi e codiretto da Silvio Danese,
svoltosi in questi giorni a Bari (serate
“fusion” con concerti, letture,
performance al Teatro Petruzzelli e
l’Ex Palazzo delle Poste, storico edificio
realizzato nel 1931 da Roberto
Narducci, restaurato e inaugurato in
occasione diFrontiere, nel quale è
stata allestita la mostra fotografica “La
prima volta di Gianni Berengo Gardin,
Ferdinando Scianna, Olivo Barbieri”. %
“Non credo che l’America abbia perso il senso della vita, non ci credo
nemmeno per un secondo, e se il mio paese avesse bisogno di essere
salvato, l’unico paese che potrebbe salvarlo è il mio” Tommy Lee Jones
48
rivista del cinematografo
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ottobre 2011
DAL 14 OTTOBRE AL CINEMA
thismustbetheplace.yahoo.it
ritratti
Dalla svolta del 1953
a Un amore splendido:
commedia e melodramma,
musical e avventura,
ecco Deborah Kerr
di Orio Caldiron
DA QUI ALL’
ETERNITÀ
50
rivista del cinematografo
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ottobre 2011
L’affascinante Deborah
Kerr. In basso con
Cary Grant per
Un amore splendido
NON BISOGNA MAI FIDARSI DEI CLICHÉ.
Dopo tanti stereotipi, sul più bello la diva
cambia personaggio, mandando all’aria
le convenzioni dello star system.
Sensibile discreta elegante, la scozzese
Deborah Kerr – nasce a Helensburgh il 30
settembre 1921 e scompare a Suffolk il 6
ottobre 2007 – nel suo altalenante
percorso d’attrice sembra perfetta per le
suore, le lady, le governanti che lo
schermo le affida fino a che non s’incrina
lo strato di ghiaccio e si lascia tentare
dalla passione.
Nel cinema degli anni quaranta, dopo gli
inizi precocissimi nella danza e nel teatro,
si afferma in patria con Duello a Berlino
(1943) e Narciso nero (1947) come il
prototipo della bellezza britannica,
sospesa tra abbandoni romantici e
trattenute rimozioni. Se nei primi titoli del
lungo soggiorno hollywoodiano rischia di
far tappezzeria accanto a Clark Gable (I
trafficanti), Stanley Granger (Le miniere
di re Salomone), Robert Taylor (Quo
vadis?), Marlon Brando (Giulio Cesare), la
svolta decisiva della sua carriera risale a
Da qui all’eternità (1953), alla
“scandalosa” scena d’amore sulla
spiaggia hawaiana con Burt Lancaster,
dove la coinvolgente sensualità scioglie
l’algida aura british della diva dai capelli
rossi. Nei decenni successivi s’impone
per la versatilità con cui passa dalla
commedia al melodramma, dal musical
all’avventura nei suoi ruoli più
memorabili, che sono spesso i più
ambigui. Come la smaliziata vedova di Il
re ed io (1956) che conquista l’arcigno
sovrano del Siam, lo scatenato Yul
Brynner. La moglie del preside di Tè e
simpatia (1956) che si prende cura
dell’allievo sospetto gay, nel clima
soffocante del college. Suor Angela di
L’anima e la carne (1957) naufragata con
il marine Robert Mitchum in una
sperduta isola del Pacifico. La
complessata stilista di moda di Bonjour
tristesse (1957) che non sopporta il
tradimento di David Niven. La timida
zitella di Tavole separate (1958),
ossessionata dalla madre invadente. La
milady decaduta di L’erba del vicino è
sempre più verde (1960), pronta al colpo
di testa senza rinunciare alle buone
maniere. L’irreprensibile governante di
Suspense (1961), smarrita tra i fantasmi
osceni del castello. La delicata pittrice
masochista di La notte dell’iguana (1964)
messa al tappeto dalla strepitosa Ava
Gardner. La casalinga frustrata di I
temerari (1969) che sedici anni dopo
ritrova sulla propria strada Burt
Lancaster ma la scintilla non scocca.
Sta a sé Un amore splendido (1957),
struggente epopea della coppia alle prese
con il proprio destino. Deborah Kerr –
intensa, immateriale, recita come respira
– dopo la folgorazione del primo incontro
sulla nave ha un appuntamento con Cary
Grant tra sei mesi sull’Empire State
Building. Nella tipica commedia
neoromantica degli anni novanta come
Insonnia d’amore è il cult movie che, tra
un singhiozzo e l’altro, Meg Ryan vede e
rivede di continuo. Quasi un risarcimento
per le sei nomination e nessun Oscar,
tranne quello per la carriera assegnatole
nel 1994.
%
In quella struggente epopea della coppia, al
fianco di Cary Grant, recita come respira
ottobre 2011
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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OTTIMO
BUONO
SUFFICIENTE
MEDIOCRE
SCARSO
This Must
Catarsi e redenzione nel road-movie a stelle
e strisce di Paolo Sorrentino. Con Sean Penn in
stato di grazia
i film del mese
in uscita
SE IL CINEMA fosse un campionato di
calcio, si potrebbe dire che i film di
Sorrentino praticano una sorta di
personale e originalissima commistione
di contropiede all’italiana e inventività
carioca. Non un film che assomigli ad un
altro, se non per la comune, estenuata
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Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
ricerca stilistica e l’ansia di
esplorare, reiteratamente,
situazioni eccentriche e personaggi
estranei ad ogni verosimiglianza.
Colto ogni volta di sorpresa, lo
spettatore (in primis quello
professionale, notoriamente più rigido e
Paolo Sorrentino
Sean Penn, F. Mc Dormand
Drammatico, Colore
Medusa Film
120’
meno reattivo) precipita in uno stato di
stordimento prossimo all’inazione.
Be the Place
Il regista Paolo
Sorrentino
ottobre 2011
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
53
i film del mese
E’ successo anche stavolta, in maniera
forse ancora più evidente del solito:
forse per le notevoli aspettative generate
dal primo progetto in lingua inglese del
regista napoletano, decisamente
oversize rispetto agli scarni budget
nostrani. O, forse, per la barriera di un
idioma che i critici italiani frequentano
poco e male, risultando qui invece
essenziali sottigliezze e calembour
verbali non meno delle ardite acrobazie
imposte da Luca Bigazzi alla
mobilissima macchina da presa, o delle
raffinatezze interpretative di uno Sean
Penn semplicemente superlativo. Da cui
certi rimproveri, neppur troppo velati, di
sostanziale inconcludenza e riprovevole
mancanza di spessore, quando invece il
disegno è chiaro, almeno quanto le
strategie formali messe in atto da
Sorrentino (senza dimenticare gli assist
procuratigli da Umberto Contarello, cosceneggiatore in stato di grazia).
This Must Be the Place è in un certo
senso un racconto di catarsi e
redenzione come i suoi film precedenti,
ma è soprattutto un’ardita variazione sul
genere road movie ampiamente
debitrice della tradizione letteraria
picaresca. Ora, se c’è un elemento che
Nel film anche
Judd Hirsch. In
basso la giovane
Eve Hewson
contraddistingue quest’ultima, oltre alla
promiscuità dei toni e la prevalenza di
situazioni comiche e assurde calate in
una dimensione epica, è l’assoluta
orizzontalità del racconto. Sorrentino si
Stravagante negli episodi, orizzontale
nel racconto: nessuna inquadratura
lascia intuire la successiva
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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appropria di entrambi i principi formali,
comprimendo e annullando la profondità
presupposta dai temi del film (la tardiva
maturazione del protagonista e la
ricerca del vecchio nazista che ne aveva
umiliato il genitore) nella superficie,
quanto mai elegante e godibilissima, di
una narrazione che inanella un episodio
stravagante dopo l’altro, un incontro
ogni volta più strampalato e bizzarro del
precedente, fino ad apparire come il
risultato di una scommessa eccentrica
giocata dagli autori sulla pelle di noi
spettatori: non consentire mai che
un’inquadratura lasci intuire la
successiva, o una situazione appena
tratteggiata ne presupponga un’altra
secondo una logica di causa ed effetto.
In un film di soli partiti presi - come
imporre a Sean Penn di trascinarsi
dietro un incongruo trolley per tutto il
film, o di parlare in un irresistibile
falsetto al ralenti, che è una delle infinite
risorse esilaranti del film – ha poco
senso chiedersi se il finale sia discutibile
nella sua ostinata leggerezza, o quanto
colpevoli risultino le indulgenze
stilistiche a fronte della pesantezza di un
tema (l’Olocausto) che reclamerebbe un
diverso trattamento. Conviene invece
abbandonarsi senza riserve a questa
improbabile e disarmante odissea
americana, sulle tracce dell’Ulisse più
ingenuo e accattivante che si potesse
immaginare.
ALBERTO BARBERA
%
i film del mese
Melancholia
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
Kirsten Dunst, Charlotte Gainsbourg
Drammatico, Colore
Bim
Una depressione chiamata desiderio: la
cura planetaria di Lars von Trier è a regola d’arte
130’
IL MONDO FINISCE, ma non è la fine
del mondo per la bella e depressa
Kirsten Dunst: se il pianeta blu è una
pillola blu, purtroppo Lars von Trier non
l’ha mandata giù. Almeno a parole:
sproloqui antisionisti, antisraeliani e
antisemiti, e Melancholia suicidato
sull’altare del colore giornalistico, della
polemica cineapatica. Ridicolo, in ogni
caso, dichiarare Lars persona non grata
al festival di Cannes, ma torniamo al
film, che ci regala la meglio ouverture
della settima arte ultima scorsa: sulle
note del prologo wagneriano del
Tristano e Isotta, apre una sinfonia
meccanicamente al ralenti, un indice
immaginifico di quel che sarà, con una
sposa prigioniera, una madre e il suo
bambino che sprofondano in un campo
da golf, un pianeta blu e comunque
saturnino pronto a fagocitare la Terra.
56
in uscita
Lars von Trier
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2011
Tableaux vivants a bulino nella
memoria di Dürer, ma incisi nella
materia di cui sono fatti i sogni, quelli
terapeutici, quelli chimici: la reazione è
familiare, il ph fisiologico a
un’implosione autobiografica e
filmografica che ordina il caos delle
precedenti opere di Trier e si rassegna,
anzi, si consegna a una fine dolente e
curativa, ineluttabile ma non straziante,
Il regista Lars von Trier
come l’originaria ambivalenza del
pharmakon vuole. I reagenti di questa
soluzione insoluta sono gli attori:
magnifici Kiefer Sutherland (John),
Charlotte Rampling e William Hurt, e
soprattutto le due “sorelle coltelle”
Kirsten Dunst (Justine, protagonista del
primo movimento sinfonico: da
antologia la sua tintarella di “luna”) e
Charlotte Gainsbourg (Claire, secondo
movimento), tra cui Lars divide i suoi
Sussurri e grida, mutando mood:
glacialità pittorica, e poi realismo
emotivo. Fino alla confessione che
costa cara: control freak qual è, Trier
mette alla gogna la (im)possibilità del
controllo, sia sociale (il matrimonio di
Justine) che scientifico (i calcoli di
John). Rimane la rotta di collisione su
un’attesa senza sorprese,
melanconicamente – Justine – pronta a
tutto perché autoconcessa al niente. E
in medio stat Lars von Trier.
FEDERICO PONTIGGIA
%
MEDUSA FILM
PRESENTA
VENDÔME PICTURES PRESENTA UNA PRODUZIONE PLAYTONE UN FILM DI TOM HANKS TOM HANKS JULIA ROBERTS “LARRY CROWNE”
BRYAN CRANSTON CEDRIC THE ENTERTAINER TARAJI P. HENSON GUGU MBATHA-RAW WILMER VALDERRAMA PAM GRIER CASTING JEANNE McCARTHY, CSA
MUSICHE JAMES NEWTON HOWARD COSTUMI ALBERT WOLSKY MONTAGGIO ALAN CODY, A.C.E. SCENOGRAFIA VICTOR KEMPSTER DIRETTOREDELLAFOTOGRAFIA PHILIPPE ROUSSELOT, A.FC./ASC
COPRODUTTORE KATTERLI FRAUENFELDER PRODUTTORIESECUTIVI PHILIPPE ROUSSELET STEVEN SHARESHIAN JEB BRODY FABRICE GIANFERMI DAVID COATSWORTH
PRODOTTO DA TOM HANKS GARY GOETZMAN SCRITTO DA TOM HANKS E NIA VARDALOS DIRETTO DA TOM HANKS
DAL 28 OTTOBRE AL CINEMA
SOUNDTRACK AVAILABLE
ON RHINO
L’amore
che resta
Il villaggio di
cartone
Potere alla Parola: contro le istituzioni e
per l’Uomo, la pratica di vita di Ermanno Olmi
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
in sala
L’adolescenza
secondo Gus Van
Sant cambia registro: più sentimentale di
così si muore
NON È L’ENNESIMA VARIAZIONE sui temi abituali
dell’adolescenza. Ancora una volta, Gus Van Sant mette in
scena due sedicenni (Hopper e la Wasikowska), ma cambia
decisamente registro. In L’amore che resta lo sguardo si fa
più intimo, meno distaccato. Il grandangolo che includeva
nei precedenti la descrizione entomologica dell’ambiente
circostante, cede il passo ad un focale che stringe
sull’intimità dei due ragazzi diversamente provati
dall’esperienza della morte. Lui ha perso la voglia di
vivere, dopo esser stato in coma tre mesi per l’incidente
d’auto che ha ucciso i suoi genitori. A lei restano tre mesi di
vita, per il cancro che le divora il cervello. S’incontrano per
caso, s’innamorano e si aiutano a vicenda. Lei gli trasmette
la sua grande passione per la vita e gli uccelli, lui si offre di
aiutarla ad affrontare il grande passo. Fra una discreta
citazione di Shakespeare (Romeo e Giulietta) e una di
Truffaut (da Jules e Jim), Van Sant ci conduce all’inevitabile
conclusione. Un piccolo, grande film che riconcilia col
cinema, di una leggerezza ammirevole e appagante.
Coraggiosamente sentimentale e commovente. E, come se
non bastasse, sostenuto da una colonna sonora (di Danny
Elfman) di rara efficacia e sobrietà emotiva.
ALBERTO BARBERA
%
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
58
Gus Van Sant
Henry Hopper, Mia Wasikowska
Drammatico, Colore
Warner Bros. Italia
91’
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2011
Ermanno Olmi
Michael Lonsdale, Rutger Hauer
Drammatico, Colore
01 Distribution
87’
LE ISTITUZIONI COME GLI ZOMBIE, i migranti come gli
umani. Accerchiati in una chiesa sfitta, sentono gli elicotteri,
vedono le luci blu e le sagome inquietanti del Sistema, ma
sono al sicuro: non c’è più il crocefisso, ma Dio c’è. E c’è il
vecchio prete (Michael Lonsdale), che vede trasformarsi
quella chiesa ne Il villaggio di cartone, il cartone che scalda
l’Uomo. Già fuori concorso a Venezia, nel cast Rutger Hauer
23 anni dopo La leggenda del santo bevitore, Ermanno Olmi
apre all’accoglienza cristiana - ancor prima e più che
cattolica - con immagini caravaggesche ad alto voltaggio
simbolico, il potere alla Parola (al limite del didascalico) e
una pratica di vita nicciana, che tra istituzione e fede non ha
dubbi, tra incantare e dire non ha tentennamenti: dire
dell’uomo, senza voli pindarici, senza l’art pour l’art. Se si
rischia il discorso troppo diretto e l’apologo morale, la realtà
non esce mai di campo: tra i migranti, c’è spazio per la
suggestione terroristica, la cintura esplosiva del kamikaze.
Manicheismo a bada, dunque, rimane una lezione: non la
vita come il cinema, ma il cinema come la vita. Perché non ci
sono né migranti né stanziali, ma solo uomini. E sono tutti di
passaggio.
FEDERICO PONTIGGIA
%
in sala
i film del mese
Una separazione
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
Peyman Moaadi, Leila Hatami
Drammatico, Colore
Sacher Film
Dal ritratto di famiglia a quello di un paese:
ecco l’Iran a spirale di Farhadi. Capolavoro
123’
SISTEMATO PANAHI, il regime iraniano
dovrà fare i conti adesso con Asghar
Farhadi. Che è persino più pericoloso,
vista la capacità di dialogare con il
grande pubblico. Farhadi è abile nel
camuffare il dovere di critica dietro il
diritto (ancora tollerato, ma per
quanto?) di narrare storie
appassionanti e in apparenza neutrali
rispetto alla bagarre politica. Qualità
che era già emersa nel precedente A
proposito di Elly, dove la vacanza al
mare di un gruppo di amici finiva in
tragedia. Quel film si concludeva con
l’immagine di una macchina arenata
sulla spiaggia, simbolo neanche troppo
nascosto di un paese impantanato nelle
sabbie mobili delle proprie interne
lacerazioni. Con Una separazione Orso d’oro a Berlino, d’argento
all’intero cast - fa un ulteriore passo
60
anteprima
Asghar Farhadi
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2011
avanti. A partire dal percorso tortuoso
che porterà una coppia - Nader e Simin
- a dividersi, Farhadi disegna una
spirale la cui traiettoria si allarga
progressivamente ai temi della malattia
(il padre di Nader con l’Alzheimer),
delle classi (lo scarto, culturale ed
economico, tra la famiglia sfasciata e
quella della badante), della giustizia
(solerte ma inadeguata), della religione
Il regista Asghar Farhadi
(chiamata in ballo anche nelle più
elementari questioni pratiche), della
menzogna (praticata
sistematicamente). La separazione
finisce per espandersi – come un
cancro – a tutti i livelli della società
iraniana, perciò abbondano nel film
vetri rotti, pareti inclinate, muri divisori.
Fahradi sceglie di posizionare la mdp in
mezzo, nel cuore della frattura. Cambia
continuamente il punto di vista sulla
verità. Aderisce alla prospettiva di ogni
personaggio, mettendone a nudo
umanità, fragilità, bassezze. Addensa il
piano: di parole, gesti, sguardi terribili.
Lascia lievitare il reale, emergere la
metafora. Il quotidiano viene smosso, i
fatti intensificati, drammatizzati, infine
rimossi. Il film è un mulinello
emozionale veloce, implacabile. La sua
ruota dentata è l’Iran che gira, afferra,
dilania. Freneticamente immobile.
Dentro il vortice di un impasse.
GIANLUCA ARNONE
%
NANNI MORETTI E DOMENICO PROCACCI
PRESENTANO
MICHEL PICCOLI
IN
Habemus Papam
UN FILM DI
NANNI MORETTI
“UN FILM DI MASSIMA INTELLIGENZA
E LIBERTÀ.”
“UN’OPERA LIBERA, MATURA, FANTASIOSA.
GRAN FILM.”
Natalia Aspesi - La Repubblica
Fabio Ferzetti - Il Messaggero
“UN FILM MAGNIFICO, QUASI
UN MIRACOLO: COMICO
E SOLENNE AL TEMPO STESSO
CON UN MICHEL PICCOLI GRANDISSIMO.”
“UN CAPOLAVORO, IL PIÙ BEL FILM DEL SUO
AUTORE INSIEME A PALOMBELLA ROSSA.
MORETTI DIALOGA CON CECHOV, FELLINI,
LA COMMEDIA DELL’ARTE, HERMAN
MELVILLE, CON IL PAPA, CON FREUD.”
Alberto Crespi – L’Unità
“IL PIÙ BEL FILM ITALIANO DEGLI ULTIMI
ANNI. E’ UN’OPERA COMMOVENTE,
PROFONDA, COMICA, TENERA.”
Daria Bignardi – Vanity Fair
Stéphane Delorme – Cahiers du cinéma
“NANNI MORETTI METTE IN SCENA
MICHEL PICCOLI, BRILLANTE NEL RUOLO
DI UN UOMO SCHIACCIATO DAL PESO
DELLA SUA MISSIONE.”
Jean-Luc Douin – Le Monde
DAL 12 OTTOBRE IN DVD E BLURAY
Arrietty
Amici di
letto
Se il finale è già scritto, il piacere è arrivarci:
funziona la rom-com con Timberlake e la Kunis
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
Will Gluck
Mila Kunis, Justin Timberlake
Commedia, Colore
Warner Bros. Italia
109’
in uscita
Apologo
sulla paura e il desiderio
dell’altro: dallo studio Ghibli l’ennesimo
gioiellino
SI CHIAMANO RUBACCHIOTTI, ci somigliano, sono
microscopici, vivono trafugando le case degli esseri
umani. Che, peraltro, temono come la peste. In questo
ricambiati. Finché l’incontro tra due bambini dei due
mondi non cambierà le cose. Da uno script di Miyazaki, un
altro gioiellino dello Studio Ghibli diretto dall’esordiente
Hiromasa Yonebayashi. Tenero e struggente apologo sulla
definizione dell’altro, Arrietty è un viaggio di scoperta
visionario (affascina il modo in cui di-mostra la
specularità tra due universi che si credono paralleli),
leggero e profondamente emozionale, sospeso tra paura
e stupore, sospetto e desiderio: in gioco l’ottica dello
spettatore, chiamato a vedere quell’altro identico a noi
anche quando è diverso. Confronto che nell’utopia
miyazakiana - evidente il suo tocco - non può che
risolversi nell’assimilazione dell’alterità (anche
spazialmente: la casa degli esseri umani e quella dei
rubacchiotti non sono l’una sopra l’altra, ma l’una dentro
l’altra) e nella con-fusione di sguardi. Utopia congeniale
all’animazione che, tra i generi, è quella più votata a
reimpostare visioni e visuali del mondo. La morale? Per
guardare bene, guardare a fondo, guardarsi, non servono
gli occhiali. Cambia prospettiva.
GIANLUCA ARNONE
%
Regia
Genere
Distr.
Durata
62
Hiromasa Yonebayashi
Animazione, Colore
Lucky Red
90’
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2011
LA DOMANDA È SEMPRE LA STESSA: si può fare sesso
senza rovinare l’amicizia? Il dilemma questa volta interessa
Jamie e Dylan: lei una cacciatrice di teste, lui un editor che la
ragazza piazza addirittura a GQ. Entrambi escono da relazioni
disastrose e hanno un solo motto: niente nuovi amori, meglio
una bella amicizia. A farli diffidare pure il fatto di avere alle
spalle dolorose vicende familiari, infatti Dylan ha visto la
madre andarsene di casa e Jamie non ha mai saputo chi
fosse il padre. Con un tale retroterra persino Giulietta e
Romeo ci penserebbero due volte prima di sfiorarsi, ma non i
nostri eroi che sfidano il destino convinti di potersi divertire
tenendo a bada i sentimenti. Il finale è già scritto, ma non
compromette il piacere della visione perché certe commedie
funzionano proprio in quanto risapute, consistendo il
maggior piacere nello scoprire come si arriva al lieto fine. E
da questo punto di vista Amici di letto: istruzioni per l’uso non
delude e sfodera una sceneggiatura perfetta, dissacrante e
divertente, potendo inoltre contare sulla sfolgorante
presenza dei bravi Justin Timberlake e Mila Kunis nonché sui
panorami mozzafiato di New York e Los Angeles. Se si deve
sognare, e si è giovani, meglio farlo in grande.
ANGELA PRUDENZI
%
in uscita
European
Film
Awards
People’s Choice Award
THE EUROPEAN FILM ACADEMY vi invita a votare ai PEOPLE’S CHOICE
AWARD 2011 il vostro film europeo preferito. Potrete vincere un viaggio
per due persone agli European Film Awards a Berlino!
I NOMINATI SONO:
KONFERENZ DER TIERE
LES PETITS MOUCHOIRS
(Animals United)
(Little White Lies)
diretto da Reinhard Klooss & Holger Tappe
scritto da Oliver Huzly & Reinhard Klooss
scritto e diretto da Guillaume Canet
con François Cluzet, Marion Cotillard & Benoît Magimel
TAMBIEN LA LLUVIA
POTICHE – LA BELLA
STATUINA
(Even the Rain)
diretto da Icíar Bollaín
scritto da Paul Laverty
con Gael García Bernal, Luis Tosar & Karra Elejalde
IN UN MONDO
MIGLIORE (Hævnen)
diretto da Susanne Bier
scritto da Anders Thomas Jensen
con Mikael Persbrandt, Trine Dyrholm & Ulrich Thomsen
IL DISCORSO DEL RE
(The King’s Speech)
diretto da Tom Hooper
scritto da David Seidler
con Colin Firth, Geoffrey Rush & Helena Bonham Carter
VOTA ONLINE:
www.europeanfilmawards.eu
The European Film Academy
riunisce 2.500 addetti e
professionali europei con lo
scopo di promuovere la cultura
cinematografica continentale.
Il vincitore del People’s Choice
Award sarà ufficializzato da
European Film Academy ed EFA
Productions durante la cerimonia
di premiazione:
diretto da François Ozon
scritto da by Pierre Barillet, Jean-Pierre Grédy & François Ozon
con Catherine Deneuve, Gérard Depardieu & Fabrice Luchini
UNKNOWN – SENZA
IDENTITÀ
diretto da Jaume Collet-Serra
scritto da Oliver Butcher, Stephen Cornwell, Karl Gajdusek & Anthony
Peckham
con Liam Neeson, Diane Kruger & January Jones
BENVENUTI AL SUD
diretto da Luca Miniero
scritto da Massimo Gaudioso
con Claudio Bisio, Alessandro Siani, Angela Finocchiaro
THE 24th EUROPEAN FILM
AWARDS: 3 Dicembre 2011
livestream su www.europeanfilmawards.eu
Tutti i voti devono essere comunicati entro il 1° Novembre 2011. Il concorso è soggetto a
regolamento disponibile su richiesta da Ernst & Young GmbH.
i film del mese
Tomboy
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
Zoé Héran, Malonn Lévana
Drammatico, Colore
Teodora Film / Spazio Cinema
Céline Sciamma rilegge l’Io è un altro di
Rimbaud: una rivelazione infantile che sfiora il cuore
82’
MASCHIACCIO, anzi, no. 10 anni, un
trasloco e un nuovo quartiere parigino
da vivere con i genitori e la sorella più
piccola Jeanne: si chiama Laure (Zoé
Héran), ma per i nuovi amichetti elle
s’appelle Mickaël. Si veste e si pettina
come un maschiaccio (tomboy, in
inglese), gioca a calcio da Dio, mena le
mani: se per fare il bagno c’è del pongo
da infilare nel costumino, per coprire la
sua vera identità può contare su
Jeanne. Ci scappa anche un bacetto con
l’amica Lisa, ma l’inizio della scuola è
dietro l’angolo: che fare, come
continuare la “finzione”? Domande
buone per un piccolo grande film:
260mila spettatori in patria, Teddy
Award a Berlino e due premi al 26°
festival GLBT di Torino, è Tomboy della
francese Céline Sciamma, classe 1980.
Che manda a memoria l’Io è un altro di
64
in sala
Céline Sciamma
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2011
Rimbaud, affidandone onore e oneri a
Laure e al suo Mickaël chiamato
desiderio: esplorazione della
sessualità, ricerca dell’identità, libero
arbitrio, chi più ne ha più ne metta, ma
la misura non è mai colma, l’occhio
dello spettatore è il benvenuto, l’enfasi
– a parte qualche sbavatura di pongo e
qualche manicheismo parentale –
La regista Céline Sciamma
relegata nel fuoricampo e la
costruzione a tesi – seppur non del
tutto – scongiurata. E che dire dei
piccoli interpreti? Formidabili, su tutti
la Malonn Lévana di Jeanne, e diretti
con una levità magistrale dalla
Sciamma, che garantisce briglia sciolta
e fissa su pellicola espressioni e
smorfie, segreti, bugie e serietà, perché
si può essere seri – troppo? – a dieci
anni. Insomma, siamo anni luce distanti
dai bambini saputelli e troppo –
drammaturgicamente – pasciuti del
cinema italiano: i cugini ci danno
l’ennesima lezione infantile, ma non
drammatizziamo, è solo una questione
di poetica, al di là del gender e dell’età.
Tomboy sfiora il cuore, ibridando
sensibilità e leggerezza, introspezione
e geometrie relazionali, fino al primo
privilegio dell’uomo: dare un nome alle
cose, anzi, dare un nome a se stesso.
“Mi chiamo Laure”, e sono un altro.
FEDERICO PONTIGGIA
%
i film del mese
La pelle
che abito
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
Antonio Banderas, Elena Anaya
Thriller, Colore
Warner Bros. Italia
Non convince il Frankenstein rivisitato
di Almodóvar: un circolo vizioso
120’
DIRIGERE, SCRIVERE, anche solo
pensare La pelle che abito deve essere
stato difficile, complesso e forse anche
doloroso. Come lo è parlarne,
analizzarlo. Il Pedro Almodóvar raffinato
e velleitario esteta citazionista de Gli
abbracci spezzati, il matriarcale e
accogliente regista di Volver, qui lascia il
posto a un narratore implacabile di un
thriller che già sulla pagina scritta - il
film, infatti, è tratto dallo splendido
Tarantola di Thierry Jonquet (ed.
Einaudi) - appariva come un’impresa
titanica. Leggendo quel volume così
impegnativo, risulta chiaro perché abbia
attratto Pedro: c’è la reiterazione quasi
matematica de Gli abbracci spezzati, c’è
la passione repressa e depressa del suo
cinema migliore, c’è la scarnificazione,
anche e soprattutto fisica, della donna,
del femminino che tanto è centrale
66
in sala
Pedro Almodóvar
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2011
nell’etica e nella poetica almodovoriana.
Non a caso chiama a sé Antonio
Banderas, alle prese con un ruolo
impossibile che affronta con forza e
impegno, e Marisa Paredes, musa di
sempre. Persino Elena Anaya è, di fatto,
una Penelope Cruz da trasformare
chirurgicamente. E il finale è un guizzo
di quelli che solo Pedro può raccontare
con surreale credibilità. Eppure,
Il regista con Antonio Banderas
nonostante le tante premesse e
promesse, il film si accartoccia su se
stesso. Su quello stratagemma narrativo
che non possiamo raccontare senza fare
spoiler, su quel circolo vizioso di sensi di
colpa e vendette che aderisce alla storia
con scolastica precisione. Quasi come se
Almodóvar non fosse quel regista vitale
e persino selvaggio che conosciamo,
quel conoscitore di anime (in pena) ben
oltre l’orlo di una crisi di nervi, ma un
chirurgo plastico alla costante ricerca
della perfezione formale. Il protagonista
cuce pezzi di pelle, punisce e pulisce il
delitto e il colpevole di turno, perché non
accetta il suo ruolo di talentuoso
carnefice la cui affilatissima arma è
l’amore distruttivo e morboso. Quello
che esce fuori è uno strano e poco
riuscito incrocio tra Nip/Tuck e un
Frankenstein rivisitato, un possibile
capolavoro che si sgonfia come una
gomma bucata.
BORIS SOLLAZZO
%
Ex: amici
come prima!
Bar Sport
Arriva
sullo schermo il romanzo culto di
Benni. Ma Bisio & Co. non bastano per
restituirne la magia
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
in sala
Andamento
lento, con qualche battuta
azzeccata. Da Fausto Brizzi a Carlo Vanzina,
manca la ferocia
DA FAUSTO BRIZZI A CARLO VANZINA, cambiando storie
e protagonisti. A dare la continuità restano Alessandro
Gassman e Vincenzo Salemme, mentre la squadra
femminile è nuova di zecca: Teresa Mannino contro Liz
Solari (ex fiamma del neo marito Enrico Brignano), Tosca
D’Aquino (moglie rapace di Salemme) vs. Natasha
Stefanenko e Anna Foglietta, vittima del caso. Il fil rouge,
tra le vicende è che tutti, o quasi, sono “ex”. Personaggi
che dovrebbero riflettere l’attualità: il politico Salemme,
che da farmacista si ritrova al parlamento europeo,
pensando a come sfruttare la sua posizione di miracolato.
E invece durante un viaggio aereo incontra una donna che
gli fa cambiare vita (…). Andamento lento, con qualche
battuta azzeccata. Meno quelle sull’Italietta di oggi.
Quando Salemme si accorge che la bella bionda è un
primo ministro balcanico, mormora: “Sono andato a letto
con un premier, proprio come una escort” o “Da noi
cenare con un premier non fa notizia”. Far ridere è
impossibile, soprattutto se sono cose arcinote (e
Salemme non è Albanese). Per scalfire l’apatia dello
spettatore, bisogna essere molto più feroci, come ben
sapevano i grandi registi della commedia all’italiana.
MARINA SANNA
%
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
68
Carlo Vanzina
V. Salemme, A. Gassman
Commedia, Colore
01 Distribution
100’
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2011
Massimo Martelli
Giuseppe Battiston, Claudio Bisio
Commedia, Colore
01 Distribution
91’
“IL BAR SPORT è quello dove non può mancare un flipper,
un telefono a gettoni e soprattutto la Luisona, la brioche
paleolitica condannata ad un’esposizione perenne”. Punto di
riferimento, prima che punto di ritrovo, il Bar Sport
raccontato 35 anni fa da Stefano Benni spunta ora sul
grande schermo, insieme agli “ornamenti” di cui sopra e
agli immancabili professore, tennico (con due n, sì, qui
impersonato da Claudio Bisio), playboy (Teo Teocoli) e a tutte
le varie sfide, fandonie e leggende annesse (dal ciclista Pozzi
al portentoso calciatore Piva). Che attraverso il racconto per
immagini “rivivono” negli inserti animati curati da Giuseppe
Laganà, ma che inevitabilmente perdono il confronto con la
magia della parola, con le impennate di un romanzo che il
film di Martelli non riesce a restituire (non funzionano, ad
esempio, l’escamotage della voce narrante affidata a
Onassis, il proprietario del bar incarnato da Battiston, o le
due vecchiette interpretate da Angela Finocchiaro e Lunetta
Savino). Ma che, nonostante questo, nonostante la staticità
di un universo che le immagini rischiano di allontanare
dall’immaginazione, regala anche buoni momenti, come il
montaggio alternato sulle invenzioni del playboy e la realtà
di una triste serata.
VALERIO SAMMARCO
%
in uscita
Questo film ha la purezza
di un diamante
Afferma la possibilità di modellare
il mondo secondo le proprie pulsioni
Una maestria innata,
una meraviglia di sensibilità
Tutto funziona alla perfezione:
si applaude e se ne chiede ancora
L’identità sessuale come
gioco e convenzione
Un’emozionante riflessione sulla
libertà di scegliere la propria vita
Le Nouvel Observateur
Figaroscope
Cahiers du Cinéma
Télérama
Le Point
Le Monde
Teodora Film e
Spazio Cinema
presentano
BERLINO 2011
TEDDY AWARD
2 6 TO R I N O G L B T
F I L M F E S T I VA L
PREMIO DEL PUBBLICO
E DELLA GIURIA
un film di
Céline Sciamma
HOLD-UP FILMS & PRODUCTIONS presenta TOMBOY un film di CÉLINE SCIAMMA con ZOÉ HÉRAN, JEANNE DISSON, MALONN LÉVANA, SOPHIE CATTANI,
MATHIEU DEMY regia e sceneggiatura CÉLINE SCIAMMA produzione BÉNÉDICTE COUVREUR casting CHRISTEL BARAS direttore della fotografia CRYSTEL FOURNIER
suono BENJAMIN LAURENT, SEBASTIEN SAVINE montaggio JULIEN LACHERAY missaggio DANIEL SOBRINO assistente alla regia VALÉRIE ROUCHER
scenografia THOMAS GRÉZAUD direttrice di produzione GAËTANE JOSSE trucco MARIE LUISET una produzione HOLD UP FILMS in coproduzione con
ARTE FRANCE CINÉMA e LILIES FILMS con la partecipazione di CANAL + e ARTE FRANCE con il sostegno di RÉGION ILE-DE-FRANCE
in collaborazione con CNC in associazione con ARTE/COFINOVA6 e FILMS DISTRIBUTION
DAL 7 OTTOBRE AL CINEMA
: novità e bilanci
ra
atu
ter
let
e
a
tri
us
ind
a,
sic
mu
,
Homevideo
Jurassic
Park
Ultimate Trilogy: per la
prima volta in Blu-ray, con
oltre due ore di extra
DVD
Moretti e Ultimo
Tango a Parigi
Borsa del Cinema
Venezia ed esercizio:
pro e contro
Libri
Fincher, Truffaut e
Audrey Hepburn
Colonne sonore
Pina 3D, Drive e
Sorrentino
Telecomando
DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE
DVD
di Valerio Sammarco
In dvd e Blu-ray l’ultimo
Moretti: negli extra
backstage, fuori scena,
il cast, i ciak e la
presentazione a Cannes
Habemus
Papam
72
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2011
ACCOLTO CON FAVORE DA
critica e pubblico, ultimamente osannato in Francia –
nelle sale dopo il prestigioso
passaggio in Concorso anche
al Festival di Cannes – e tra
gli otto titoli italiani “autocandidati” per la prossima
corsa alla cinquina che punterà all’Oscar per il miglior
film straniero, Habemus Papam
di Nanni Moretti arriva in
homevideo nella duplice edizione dvd e Blu-ray Disc.
Ottima occasione per recuperare un film importante,
sospeso sulla domanda stessa che ne caratterizza l’origine e incentrato su quel senso
di inadeguatezza, tremendamente umano, che può colpire qualsiasi persona nel
momento in cui viene investita dal peso di un’enorme
responsabilità.
Ottima opportunità anche
per approfondire la visione,
grazie ai numerosi contenuti
speciali presenti in entrambe
le edizioni: dal backstage del
film (utile per riscoprire
anche l’enorme lavoro effettuato sulla ricostruzione degli
ambienti) al simpatico montaggio di tutti i “ciak”, dalle
varie situazioni “fuori scena”
alla spedizione durante il
festival di Cannes, fino alla
doverosa lente d’ingrandimento sul cast, straordinario
non solo per i due protagonisti (Michel Piccoli e lo stesso Moretti) ma anche per la
prova offerta dai vari Renato
Scarpa, il cardinale dato per
favorito alla vigilia del conclave, da Camillo Milli e da
Jerzy Stuhr, portavoce del
Vaticano costretto a dover
mediare tra l’insolita fuga del
Pontefice appena eletto e le
insistenti pressioni degli
organi di stampa internazionali, rimasti letteralmente “al
buio” dopo l’habemus papam
annunciato dal protodiacono
e l’immediata, pesante assenza sul balcone di piazza San
Pietro.
DISTR. 01 DISTRIBUTION
ottobre 2011
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
73
Telecomando
DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE
DVD
Laclassedeiclassici a cura di Bruno Fornara
Ultimo
Tango a
Parigi
40th Anniversary Edition
per il film “maledetto” di
Bertolucci: in doppio Blu-ray
REGIA Michael Powell e
Emeric Pressburger
CON Eric Portman,
Sheila Sim
GENERE Commedia (1944)
DISTR. CG Home Video
Un racconto di
Canterbury
È il 1944, anno di guerra.
L’anno prima, Powell e
Pressburger avevano diretto
uno dei loro capolavori, The Life
and Death of Colonel Blimp (nella
versione italiana ridotta Funerale
a Berlino). Era il primo film che
giravano per la loro casa di
produzione, The Archers. Un racconto di Canterbury prende il via da
una domanda di Pressburger:
“Perché non giriamo un film
sugli ideali per i quali stiamo
combattendo?”. Nel film la
guerra è lontana e la storia raccontata è molto singolare. Sulla
strada che porta a Canterbury,
si incontrano un soldato americano preoccupato che da
A pochi mesi dall’ottima edizione per celebrare i 35
anni di Novecento, la Dall’Angelo Pictures rende ancora
omaggio al cinema di Bernardo Bertolucci, stavolta con
la “40th Anniversary Edition” di Ultimo Tango a Parigi, film
“maledetto” del maestro parmense, disponibile sia in
dvd che in Blu-ray doppio disco. Oltre alla versione
integrale del film (129’) e al trailer originale – presenti
nel disco 1 – davvero interessante il lavoro fatto per i
contenuti speciali, ai quali è dedicato per intero il
secondo disco. Negli extra, un’intervista di 40’ con
Bertolucci, in cui racconta la genesi di Ultimo Tango e
svela molti retroscena sulla realizzazione del film, un
breve documentario sulla storica proiezione “illegale”
del film censurato, nel 1982, durante la rassegna “Ladri
di cinema” a Roma e, soprattutto, il doc “Once Upon a
Time: Last Tango in Paris”, realizzato da Serge July e
Bruno Nuytten nel 2004, per la prima volta disponibile
con i sottotitoli in italiano.
DISTR. DALL’ANGELO PICTURES
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rivista del cinematografo
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ottobre 2011
tempo non riceve lettere dalla
sua fidanzata, un sergente
inglese che faceva il pianista in
un cinema e una ragazza che
faceva la commessa e che si è
arruolata dopo che il suo fidanzato è morto in combattimento.
Si fermano in un villaggio dove
un personaggio misterioso, di
notte, butta della colla sui
capelli delle ragazze.
Risolveranno il caso, proseguiranno per Canterbury e i loro
voti verranno esauditi. La magia
della vecchia Inghilterra in un
film originale e divertente che
Powell definì “iconoclasta”. La
realtà, i sogni, i desideri. Un tale
che ha del miracoloso.
Fi lm in or bi ta
a cura di Federico Pontiggia
Edward Dmytryk
(Studio Universal)
Per la rassegna Edward Dmytryk: Un russo ad
Hollywood ogni lunedì alle 21.15: Hitler’s Children
(v.o. sott. it.), L’ombra del passato, Gli eroi del
Pacifico, Missione di morte e Odio implacabile.
L’agnellino con le trecce
(Diva)
Diva Universal co-produce il corto di Maurizio
Rigatti, interpretato tra gli altri da Nino Frassica,
testimonial dell’Associazione Sclerosi Tuberosa.
Prima nazionale il 27 ottobre alle 21.00.
Sidney Lumet
(Studio Universal)
Accompagnato dalle produzioni di On Air, omaggio allo scomparso regista: Quel pomeriggio di un
giorno da cani, Quinto potere, Power e Il mattino
dopo. Per non dimenticare un grande.
SARÀ DISPONIBILE dal 2 novembre “Jurassic Park Ultimate Trilogy”,
boxset da collezione che contiene i
tre capitoli della saga di Michael
Crichton portata sullo schermo da
Steven Spielberg (regista di Jurassic
Park e Il mondo perduto), per la
prima volta digitalizzati e rimasterizzati in alta definizione, con l’audio in 7.1 Surround (solo per la versione inglese). Oltre due ore di contenuti speciali, tra i quali gli inediti per l’edizione Blu-ray
“Ritorno a Jurassic Park” (doc in sei parti con interviste ai
membri del cast dei tre film, ai realizzatori ed a Steven
Spielberg), “Alba di una Nuova Era”, “Ricreare la preistoria”,
“Il prossimo stadio dell’evoluzione”, “Ricercando il mondo
perduto”, “Qualcosa è sopravvissuto”, “La terza avventura”.
DISTR. UNIVERSAL PICTURES HOME ENTERTAINMENT
Jurassic
Park Trilogy
La celebre saga per la prima volta in
alta definizione. Contenuti inediti
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Telecomando
DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE
DVD
Sci-Fi in HD
Source Code e
I guardiani del destino
Roma città
aperta
Il capolavoro di Rossellini
finalmente in DVD e in Blu-ray
PER LA PRIMA VOLTA IN DVD E IN BLU-RAY,
in edizione restaurata, Roma città aperta di
Roberto Rossellini. Lacuna colmata grazie al
lavoro effettuato dal “Progetto Rossellini”
(iniziativa di Cinecittà Luce, Cineteca di
Bologna, CSC-Cineteca Nazionale
e Coproduction Office), che porterà in homevideo 10 grandi film
del maestro, tra i quali Paisà e
Germania anno zero. Per quanto
riguarda gli extra presenti in Roma
città aperta, da segnalare le testimo-
nianze, tra gli altri, di Martin Scorsese,
Francois Truffaut, Ingrid Bergman, i fratelli
Taviani e Padre Fantuzzi, il cinegiornale Luce
“Perché Roma città aperta” e la Settimana Incom
“Questo è il nostro cinema”, un commento di
Citto Maselli sull’accoglienza dell’epoca e due
preziosi documenti: le prime tre pagine della
sceneggiatura e la segnalazione del Ministero
degli Interni richiedente l’eliminazione della
scena della fucilazione del sacerdote.
DISTR. FLAMINGO VIDEO
Futu ro in gioc o
Tokyo Game
Show 2011
Tutte le novità dalla fiera più
importante del mondo
Anche quest’anno il Tokyo Game Show 2011, la
fiera più importante al mondo legata ai videogiochi sviluppati in Giappone, pullulava di persone,
con diversi titoli che usciranno entro fine anno e
nel 2012 sul nostro mercato. Tra persone vestite
nelle più disparate maniere (i cosiddetti
Cosplayer) e tanto colore, a rubare la scena è
stata PlayStation Vita, la nuova console di Sony
che arriverà il prossimo marzo e che dispone di
tante caratteristiche innovative come il touch-
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screen anteriore e posteriore ed un bellissimo
schermo da 5 pollici, che permette di ottenere
una resa grafica mai vista su un dispositivo portatile. Qualche gioco da tenere sott’occhio?
Uncharted: Golden Abyss, Wipeout 2048 e Ruin.
Per saperne di più visitate www.multiplayer.it
ANTONIO FUCITO
Tra le novità
in Blu-ray di
questo
periodo,
segnaliamo
due titoli
interessanti,
freschi di
sala: da una
parte Source
Code di Duncan Jones,
all’opera seconda dopo il
fantastico Moon: 01
distribution lo propone
arricchito di extra, tra i quali
le interviste ai protagonisti
(Jake Gyllenhaal, Michelle
Monaghan e Vera Farmiga), e
approfondimenti su alcuni
aspetti del film (“Cos’è
source code?”, “Love Story”,
“Che faresti…”, “Obiettivo
Chicago”.
L’altro film è I guardiani del
destino (distr. Universal), dal
racconto di Philip K. Dick alla
rilettura di George Nolfi,
sceneggiatore della serie su
Jason Bourne, che ritrova
Matt Damon – affiancato da
Emily Blunt – impegnato
stavolta a cambiare le cose
in base ad alcuni “flash” che
riceve dal
futuro. Oltre
alle scene
eliminate, negli
extra
“Attraversare
New York”,
“Destinato ad
Essere” e
“Diventare
Elise”.
SCOMMETTI CON BETTER
E ACCENDI LO SPETTACOLO.
Telecomando
DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE
Borsa del cinema
di Franco Montini
Tutti in Mostra
FOTO: KAREN DI PAOLA
E’ il trend del Festival: accontentare gli italiani e togliere film
alla concorrenza (Roma). Ma a quale prezzo?
Scialla!, il film di Francesco Bruni, vincitore della sezione Controcampo italiano
alla Mostra di Venezia, arriverà in sala a
gennaio. Il rischio è che in quattro mesi
il ricordo delle unanimi, positive accoglienze ottenute dal film in laguna vada
inevitabilmente perduto ed anzi ad un
pubblico meno attento Scialla! possa
apparire semplicemente un film già vecchio. Distributori ed esercenti dovrebbe-
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ro sforzarsi di essere più elastici e
cogliere al volo certe occasioni; nel caso
del film di Bruni, visti gli esiti, sarebbe
stato il caso di azzardare, benché non
programmata, un’uscita immediata.
La Mostra di Venezia, come tutti i festival in genere, dovrebbe funzionare
come occasione e trampolino di lancio
per i film proposti in cartellone, ma è
inevitabile che quando le uscite in sala
vengono così procrastinate nel tempo, la
cosa non funzioni più. Su Venezia in
particolare, un po’ per responsabilità
della direzione della Mostra, un po’ per
esplicita, diretta volontà di produttori ed
autori, emerge ormai da tempo una contraddizione. Tutti vogliono essere presenti, la Mostra sembra voler accontentare tutti, forse anche per sottrarre film
alla concorrenza, ovvero al Festival di
Cast & Crew
di Marco Spagnoli
3D Made in Italy
Una terza dimensione low cost è possibile: Francesco Gasperoni
Roma, e il risultato è che,
quest’anno, circa un terzo
dei titoli presenti nelle
varie sezioni della Biennale
Cinema erano produzioni
nazionali. Le conseguenze
sono che, da un lato, le
uscite in sala non possono
avvenire contemporaneamente, subito dopo la conclusione del festival, e pertanto molti titoli arrivano
sul mercato solo dopo
molti mesi e dall’altro che
un numero eccessivo di
presenze italiane alla fine
rischia di penalizzare tutti,
oltre che far precipitare il
livello della qualità. Per un
film che, come Scialla!, è
riuscito ad ottenere una
Francesco Gasperoni è una figura quasi “rinascimentale”. Scienziato e regista, ha sviluppato un sistema 3D low cost che ha utilizzato
per il suo secondo film, il thriller Parking Lot,
in uscita questo mese.
Come ha progettato questo nuovo sistema
3D?
Sono partito da un’analisi accurata, quasi
ossessiva, dei sistemi 3D esistenti, cercando
di individuarne i pregi ed i difetti. Ho assistito
a varie dimostrazioni che avevano in comune
il costo eccessivo e la poca competenza.
Attraverso un computer, un tavolo da disegno
ed una scatola di Lego Technic, ho progettato
e realizzato un modello funzionante di una
macchina da ripresa stereoscopica efficiente.
L’ho costruito con metallo, parti di stativi e
telecamere in commercio.
Cosa la spinge a lavorare sulla tecnologia?
Le immagini si ottengono grazie alla tecnologia e, migliorando quella, migliorano anch’esse. Credo mi abbia mosso la stessa forza che
spingeva e spinge, ad esempio, i musicisti a
costruirsi nuovi strumenti per trovare nuovi
suoni e nuove armonie.
Che consiglio darebbe a chi vuole lavorare in
maniera analoga alla sua?
Per innovare è necessario rendersi indipendenti dal sistema in vigore, per poi rivoluzionarlo. Per questo ci siamo autofinanziati: io ed
Harriet MacMaster-Green (compagna nella
vita e nel lavoro) credevamo nel nostro progetto e grazie a questa nostra indipendenza
siamo riusciti a percorrere fino in fondo la
strada che ci avrebbe portato a realizzare il
primo film italiano girato in 3D.
Circa un terzo dei titoli presenti nelle varie
sezioni erano produzioni nazionali
certa visibilità, ci sono tanti altri film, la
maggioranza dei titoli per essere esatti,
che sono passati nell’assoluta indifferenza. In qualche caso, bisogna anche
aggiungere, che non meritavano affatto
attenzioni. Per essere molto espliciti,
come hanno rivelato del resto molti critici, buona parte dei titoli di Controcampo
italiano erano indegni di andare ad un
festival, qualsiasi festival, non solo a
Venezia.
Se essere in concorso significa assicurarsi un effetto promozionale, benché
rischioso, nel bene e nel male - vedi
quest’anno il giudizio eccessivamente
severo e ingiustamente negativo di cui
sono stati vittime Terraferma di Emanuele
Crialese e Quando la notte di Cristina
Comencini - per ciò che riguarda i film
delle sezioni parallele l’impressione è
che la presenza a Venezia valga la pena
solo in alcuni casi. Se si ha la garanzia
di un’uscita immediata, anche se poi
l’effetto promozionale non è mai sicuro,
come dimostrano quest’anno i primi dati
d’incasso dei film approdati in sala subito dopo la mostra o se si è in cerca di
una distribuzione. Ci sono film selezionati per Venezia che in realtà non hanno
alcuna garanzia di una futura uscita in
sala, per questi titoli la presenza alla
Mostra diventa allora un’occasione per
farsi conoscere, quanto meno dagli
addetti ai lavori, e poter convincere
qualche distributore all’acquisto.
box office (aggiornato al 26 settembre)
1 I Puffi ......................................................... € 6,146,111
2 L’alba del pianeta delle scimmie .......... € 1,230,595
3 Carnage ..................................................... € 2,017,682
4 La pelle che abito .................................... € 558,002
5 Ma come fa a far tutto? .......................... € 438,554
6 Super 8 ...................................................... € 2,980,232
7 Box Office 3D – Il film dei film ............... € 2,401,221
8 Niente da dichiarare? ............................. € 260,052
9 Kung Fu Panda 2 ...................................... €12,225,344
10 Crazy, Stupid, Love ................................. € 796,914
N.B. Le posizioni sono da riferirsi all’ultimo weekend preso in esame. Gli incassi sono complessivi
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Telecomando
DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE
Libri
The Social
Director
Da Seven a Facebook, fenomenologia
di un regista di culto. Ancora
la Hepburn, Charlot e war-movie
Fincher Club
Truffaut per sempre
È uno di quei pochi, ormai rari registi i cui lavori o si amano, o
si odiano. Nonostante l’indubbio talento, la sua
personalissima idea di cinema può risultare affascinante o
respingente. I film da lui diretti vengono solitamente definiti
come cinici, nichilisti, violenti, claustrofobici, disumanizzanti,
voyeuristici, ansiogeni, nevrotici e, soprattutto, difficili da
raccontare a parole. L’antologia critica The Fincher Network.
Fenomenologia di David Fincher (Bietti,
pagg. 120, € 14,00), curata da Roberto
Donati e Marcello Gagliani Caputo, sonda
la carriera di uno dei cineasti più
impenetrabili della Hollywood
contemporanea, le cui pellicole partono
da generi canonici (quali il thriller, la
fantascienza, il dramma) e li stravolgono a
tal punto da rendersi avulse da qualunque
classificazione.
Si può analizzare un film come se si stesse scrivendo
narrativa? Questo volume postumo di Ugo Casiraghi sembra
esserne la prova. Ventitrè capitoli (uno a pellicola, più uno
per i primi cortometraggi) strutturati come brevi racconti:
ecco l’approccio da lui scelto per esplorare l’universo
cinematografico di François Truffaut. Vivement Truffaut!
Cinema, libri, donne, amici, bambini (Lindau, pagg. 288,
€ 24,00) si aggiunge alla sterminata bibliografia sul maestro
francese, ma ha il pregio di rivolgersi,
senza distinzioni, sia ai suoi appassionati,
sia a chi vuole iniziare a conoscerlo. Per i
più nostalgici, sono presenti ben
quattordici recensioni d’epoca, inclusa
quella de I 400 colpi, scritta da Casiraghi a
Cannes nel 1959, quando Truffaut era
ancora “solo” un giovane critico passato
alla regia.
ANGELA BOSETTO
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ANGELA BOSETTO
Non solo storia
Il nome di Antonello Gerbi è associato per lo più ai suoi famosi
studi di storia, ma pochi sanno che in gioventù si interessò al
mondo della celluloide in maniera originale diventando uno
dei primi ad occuparsi di estetica del cinema quando ancora in
Italia la settima arte era considerata poco più che una moda
passeggera. Gianpiero Brunetta ha messo insieme i suoi
articoli (Preferisco Charlot – Scritti sul cinema, 1926-1933,
ed. Aragno, pagg. 132, € 10,00), pochi ma sufficienti a
delineare in maniera chiara il pensiero del
giovane Gerbi – appena ventiduenne nel
1926 – e la sua passione sconfinata per il
“cine”, che nei suoi articoli diventa un mezzo
attraverso il quale raggiungere il divino
giocando con l’essenza stessa del tempo,
perché “è solo al cinema che molti esseri
umani devono la rivelazione della bellezza, la
scoperta di un mondo più vero del reale”.
GABRIELE CARUNCHIO
Anniversario da Tiffany
Alzi la mano chi non ha mai sognato almeno una volta sulle
note di Moon River. Ora provate a immaginare Colazione da
Tiffany senza quella canzone, senza la regia di Blake Edwards
e, soprattutto, senza Audrey Hepburn. “Impossibile” direte.
Eppure, originariamente, nessuno di loro doveva farne parte.
In occasione del cinquantesimo anniversario del film, Sam
Wasson ci racconta la genesi di un classico, nato con l’intento
di commedia lievemente maliziosa e divenuto un simbolo del
femminismo, nonostante le sforbiciate
della censura e le polemiche di Truman
Capote, autore del romanzo, che
disconobbe la pellicola. Accurato nella
ricostruzione, spiritoso nello stile e
scorrevole nella forma, Colazione con
Audrey (Rizzoli, pagg. 252, € 17,90) è una
lettura frizzante come una coppa di
champagne.
ANGELA BOSETTO
Schermi di guerra
Strumento di critica sociale, semplice divertimento
patriottico o gigantesca macchina di propaganda?
Nonostante le intenzioni dei registi, non si può negare che,
ideologicamente, il cinema bellico statunitense sia sempre
stato legato a doppio filo con le campagne militari nelle quali
si trovava coinvolta la nazione, il che rende ancora più
difficile definirlo a livello critico. Per trovare la non facile
risposta, Stefano Alpini sceglie la strada
della sociologia visuale e, con Visioni di
guerra. La fabbrica del consenso nel
cinema hollywoodiano (Edizioni ETS, pagg.
186, € 18,00), costruisce un complesso
percorso analitico lungo un secolo di
conflitti trasposti su pellicola, partendo dai
melodrammi di Griffith e Ingram sino ad
arrivare agli sminatori della Bigelow e ai
“bastardi” di Tarantino.
ANGELA BOSETTO
Una questione
di sguardi
11/9/2001: dieci anni fa cambiava il mondo,
insieme alla percezione delle immagini
di Chiara Supplizi
Dieci anni fa, l’11 settembre 2001, il mondo assistette senza fiato al
reiterarsi ossessivo e sempre uguale della sequenza televisiva del
crollo delle Torri Gemelle. Nel tentativo di reagire all’orrore, furono
in molti a recitare come un mantra la frase “sembra un film”, aprendo la strada all’intuizione che in quel momento si stesse chiudendo
un’era e che anche il cinema dovesse essere coinvolto in una
profonda e radicale riscrittura della storia.
Dimitri Chimenti, Massimiliano Coviello e Francesco Zucconi, curatori di Sguardi incrociati. Cinema, testimonianza, memoria nel lavoro teorico di Marco Dinoi (Fondazione Ente dello Spettacolo, pagg.
276, € 14.90) riprendono il filo delle teorie raccolte in Lo sguardo e
l’evento, opera postuma di Dinoi, interrogandosi – proprio a partire
da questa sequenza televisiva così fondamentale
per il nostro tempo – sul ruolo dell’immagine e
sulla sua capacità di guidare lo spettatore verso
il ruolo di testimone. Il volume – in cui trovano
spazio innesti di pensiero e teorie eterogenee – è
un coro di voci teso a fornire una mappa, o quantomeno una guida, per destreggiarsi nel complesso percorso teorico tratteggiato nel libro di Dinoi,
lasciandoci riflettere sulle eco visibili e invisibili
dell’11 settembre sul cinema e spingendoci a ripensare l’«archivio di immagini del passato come D.Chimenti,
M. Coviello,
un doppiofondo continuamente convocabile in F. Zucconi (a cura di)
Sguardi incrociati.
seno al presente».
Cinema,
testimonianza,
memoria nel lavoro
teorico di Marco Dinoi
Ed. Fondazione Ente
dello Spettacolo
Pagg. 276 - € 14.90
Telecomando
DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE
di Gianluigi Ceccarelli
Colonne Sonore
Visti da vicino
Pina 3D
Soundtrack eterogenea e inafferrabile:
per restituire magicamente il volto di
una leggenda scomparsa
Piano, violino, archi incalzanti: Thom Hanreich tratteggia così, con rigore
malinconico e sfuggente, la
silhouette di una Pina
Bausch che torna in vita
nelle immagini in 3D dell’ultima regia di Wim Wenders.
Gli stessi strumenti tornano,
contaminati da un background elettronico, negli
altri brani dello score curati
dal popsinger e compositore tedesco, alla sua terza
collaborazione con Wenders
dopo Land of Plenty e Palermo
Shooting: Glasshouse regala una
variante alla Piazzolla rispetto all’overture, mentre
Rooftop raffredda il ritmo dilatandolo in un’atmosfera languida e sognante. Tied Down
porta quasi sullo stesso
piano elettronica e gli archi,
quell’ideale sintesi di classico e moderno che è l’essen-
za della danza della Bausch.
My One and Only Love, ballad di
rara bellezza, e Shake It guardano al passato e alla tradizione della musica popolare, come pure Os Meus Olhos
del chitarrista portoghese
Germano Rocha e la splendida La Prima Vez di Owain
Phyfe. Sorprendenti gli
Hazmat Modine, sospesi tra
folk e Tom Waits, come
pure il contributo del polistrumentista giapponese Jun
Miyake, che in Lillies of the
Valley ma soprattutto in All
Names evoca la Bausch usando le sue armi: destrutturando, attraversando i generi,
reinventandoli con naturalezza. L’intera soundtrack,
eterogenea e inafferrabile,
restituisce magicamente il
volto familiare, mai omologato, di una leggenda scomparsa.
Per tut ti i gus ti
a cura di Federico Pontiggia
Melancholia
Per Woody Allen
Wagner invogliava
a invadere la Polonia, per Lars von Trier è lo
spartito di una sinfonia depressiva: Tristan
und Isolde per la sublime ouverture, poi due
cine-movimenti al femminile.
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fondazione ente dello spettacolo
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Drive
L’autoradio suonava
I can’t fight this
feeling, ed ecco Drive. Figlio non immemore:
hyper hyper, e Cliff Martinez compone di
conseguenza. Spazio anche per College (A
Real Hero) e il Riz Ortolani di Oh My Love.
This Must Be the
Place
I Talking Heads
per titolo, Sean
Penn per rockstar, David Byrne in cammeo e
a firmare la colonna sonora: ma come suona
bene il Posto italo-americano di Sorrentino?
Per dirla con Byrne, You can like it.
© STUDIO UNIVERSAL è un canale di NBCUniversal
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