Saveria Chemotti Saggio Massimo Carlotto tra auto
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Saveria Chemotti Saggio Massimo Carlotto tra auto
Massimo Carlotto: tra autobiografia, «reportage» e «noir» Saveria Chemotti: docente presso il Dipartimento di Italianistica dell'Università di Padova. Ha pubblicato saggi su Foscolo, il Romanticismo italiano ed europeo, la narrativa del primo Novecento, Antonio Gramsci, Tonino Guerra, Piero Sanavio, Giuseppe Berto e su numerosi altri autori e temi otto-novecenteschi. E' condirettore di "Studi Novecenteschi", rivista di storia della letteratura italiana e contemporanea. Il primo libro di Massimo Carlotto, Il fuggiasco183, ricostruisce con uno stile pacato, terso, senza piagnistei o recriminazioni, nessun moralismo d'accatto (un amarcord con passaggi di disincantata ironia e di imprevedibile autoironia), una tranche de vie drammatica, legata a uno dei casi giudiziari più intricati del secondo dopoguerra, rimasto famoso, appunto, come "caso Carlotto"184. Queste note autobiografiche non riguardano comunque il processo, ma raccontano come il sottoscritto abbia vissuto per alcuni anni una sua diretta conseguenza - la latitanza - e il ruolo che ha ricoperto negli ultimi mesi della vicenda giudiziaria. Le ho scritte senza prendermi troppo sul serio come sempre ho fatto in questi anni. E stata la mia difesa contro il sonno della ragione e la distrazione della provvidenza. (IF, 10-11) Le pagine raccontano la vita quotidiana e i comportamenti del «fuggiasco» in un flash-back che prende l'avvio dalla fine della sua latitanza, nel gennaio del 1985, quando viene arrestato in Messico. «Venduto» ai Federales dal suo avvocato Melvin Cervera Sanchez, dopo essere stato picchiato e torturato, egli viene espulso. Si consegna alle autorità giudiziarie italiane per scontare il residuo della pena e scopre che si erano scordate completamente di spiccare un mandato di cattura nei suoi confronti. Le avventure di questo «latitante per caso», fuggito dall'Italia nel 1982 dopo la sentenza della Conte di Cassazione che lo condannava a diciotto anni di reclusione per l'omicidio di Margherita Magello, una studentessa di 25 anni, un delitto di cui si è sempre proclamato innocente, iniziano con un biglietto di viaggio per Parigi acquistato alla stazione ferroviaria di Padova. Nella capitale francese, da sempre rifugio di esuli politici, può contare sull'amicizia e il sostegno di un'ampia comunità di esuli provenienti da disparati angoli della terra, greci, turchi, curdi, cileni, argentini, iraniani, molti italiani, e sull'amore di Alessandra, la ragazza che lo seguirà per lungo tempo, come una specie di 'vedova bianca', condividendo le sue traversie fino a scoppiare sotto il peso di un rapporto troppo gravoso e logorante. Egli impara prima di tutto a travestirsi, a cambiare identità, a scegliere il look adatto alle diverse situazioni, a evitare i controlli di polizia, a non destare sospetti nei vicini: il libro assomiglia, a tratti, a un prezioso manuale di istruzioni per latitanti impacciati... L'aspetto recitativo è fondamentale per il latitante, come per un attore sul palcoscenico. Quando quest'ultimo non vive bene la parte e non sa essere disinvolto sulla scena provoca negli spettatori un senso di fastidioso imbarazzo. Lo stesso vale per il latitante; il personaggio deve essere vissuto con grande naturalezza, altrimenti chi lo frequenta capisce che qualcosa non quadra. (IF, 42) 183 Roma, Edizioni e/o, 1994. Le citazioni, tratte dalla seconda edizione 1996, sono nel testo con la sigla IF Il libro è dedicato a Silvia Baraldini e i capitoli sono introdotti da versi tratti dall'opera teatrale Nessuno di L. Nattino e A. Catalano e dalle canzoni del Cantautore e compositore veneziano Stefano Maria Ricatti. 184 Mi è capitato di tutto dal 20 gennaio 1976, quando mi presentai ai Carabinieri per testimoniare su un delitto, al 7aprile1993, giorno in cui il Presidente della Repubblica ha deciso di chiudere il caso con un provvedimento di grazia». Così scrive l'autore nell'Introduzione (in, 10). In appendice, una Nota editoriale ricostruisce le tappe della sua vicenda giudiziaria. Lo osserviamo mentre si destreggia tra barbe finte, occhiali, abiti, accenti, e si trasforma in Bernard, un personaggio copiato dai film di Luis de Funès, prototipo dell'impiegato statale rassegnato e socialmente innocuo; in Gustave, una variante intellettuale con interessi artistici influenzata dai film sulla resistenza; in Alberto, uno psichiatra; in José, uno spagnolo esperto di guerriglia urbana; in Jason, un inglese esperto in computer. Sorridiamo, perfino, dinanzi alle sue traduzioni "politiche" dei dialoghi dei fotoromanzi italiani e agli interventi provvidenziali del «santo patrono dei latitanti per caso» Quando arriva in Messico, spinto da un entusiasmo ingenuo per il paese che aveva «ospitato Trockij, Vidali e la Modotti» (lE, 97), è già affetto da bulimia; la malattia, che si aggraverà progressivamente, è figlia di un vecchio trauma subito nelle carceri speciali di Cuneo nel 1977. Si stabilisce a Città del Messico, chiassosa, esaltante, dove tutto pare accadere nella più assoluta indifferenza, come se fosse ai confini della realtà: Questa demente megalopoli violentò a tal punto la mia coscienza e la mia fantasia da rendermi succube della sua folle quotidianità. Vivevo perennemente in uno stato di sbigottimento, tensione e paura. (lE, 98) La sinistra messicana, lacerata da una crisi atavica tra fazioni contrapposte, lo accoglie con benevolenza: torna all'Università, segue i corsi di storia sulla rivoluzione zapatista, diventa un entusiasta studioso di tradizioni popolari. Conosce Vlady, un pittore impegnato a valorizzare la tradizione culturale indigena della sua terra; un bizzarro pastore con cui avvia un commercio di pecore da macello e che gli offre disgustosi pranzi a base di armadillo; Odile, una francese dolce ed energica, moglie di un sindacalista messicano, distrutta dalla scomparsa di uno dei suoi figli, un maschietto di quattro anni, probabile vittima di qualche racket; Kioko, una ventenne giapponese che s'innamora di lui. Molte sono le persone che hanno lasciato una traccia profonda nella sua vita: un anarchico basco che si sente offeso dal film di Pontecorvo sull'attentato al ministro franchista Carrero Blanco; un dentista parigino che non lo denuncia; un tassista che io aiuta a sfuggire a un posto di blocco e, ancora, Lolo, un musicista cileno, malato terminale di cancro e fino all'ultimo indomito promotore di uno dei Comitati Internazionali sorti in sua difesa; Xavier, abbattuto in Honduras sull'uscio di casa; Tomàs, un cantautore guatemalteco obeso come lui; Belinda, un'amica peruviana incontrata nel quartiere di Pigalle e caduta combattendo tra i Tupac Amarù; Carmen, un 'infermiera colpita da un mortaio in Salvador mentre cerca di mettere in salvo due bambini, ma soprattutto Ramòn, il detenuto tedesco che in carcere gli insegna che «la latitanza è come il blues: uno stato dell'anima» (IF, 22). Carlotto costruisce per ognuno di loro un breve medaglione che racchiude la loro immagine e ce la restituisce con una levità venata di sincera commozione che pare forzare il pudore di queste pagine. Lettere sgualcite, passate per troppe tasche o voci distorte dall'eco delle te-lefonate intercontinentali: una data, la causa della morte. Ma sono i perché che a volte non capisco. Di quelle scelte maturate in esilio, così terribili, così coraggiose e forse così sbagliate. Ho il sospetto che spesso siano state dettate dal destino di essere sopravvissuti, di aver raggiunto la salvezza percorrendo strade lastricate di sangue, torture, galera, errori e tradimenti. Tornare era forse l'unico modo per chiudere i conti con il passato. Altro non so dire. (IF, 82) La scelta dell'esilio include il tormento della nostalgia, il desiderio di tornare in patria, i sensi di colpa per il sacrificio imposto alla famiglia, la rinuncia agli affetti, all'amore. La «grazia» segna la fine dei suoi «deliri di persecuzione», annulla la meticolosa preparazione del suicidio, ma non pone fine al senso di angoscia per quello che continuerà a vedere o a sentire attorno a lui. «Romanzo di formazione (e deformazione), di una vita costretta, per conoscere e continuare, a ordinarsi come un repertorio»185, questo libro miscela il reportage giornalistico al «giallo di pura fiction» e sembra anticipare il genere delle opere successive di Carlotto. Con "La verità dell'alligatore"186 egli inaugura, infatti, una serie di noir che coniugano insieme fantasia e realtà, avventura e senso del tempo vissuto, per «raccontare veramente come stanno le cose nelle ricche società occidentali, laddove, come scrissero cinquant'anni fa Horkheimer e Adorno, i rackets illegali e quelli legali si confondono, e la faccia dell'assassino e quella del governatore hanno gli stessi lineamenti».187 Evidenti i legami con la tradizione del romanzo poliziesco di Hammett e di Chandler (Il grande sonno è una frequente citazione assieme ai film di genere)188, ma anche con quella italiana, per la scrittura ironica e distaccata con cui fa emergere le dimensioni meschine della nostra provincia, l'attenzione per le periferie e per i personaggi marginali. Quando la vidi entrare, tailleur costoso e borsa rigida da professionista, capii subito che mi sarei perso parte del concerto di Cooper Terry che stava iniziando in quel momento. Solo il chiarore fioca irradiato dai tubi fluorescenti delle pubblicità delle varie marche di birra illuminava l'interno del locale in cui mi trovavo - il Noisebar Banale - uno scantinato trasformato nel club più frequentato di Padova, situato al Portello, quella zona della città un tempo gagliardo quartiere di malaffare, oggi popoloso rifugio-dormitorio per universitari fuori sede: ogni cinque portoni una pizzeria al trancio, dopo dieci una lavanderia a gettoni e ovunque cumuli di biciclette arrugginite, incatenate ai pali della segnaletica stradale. Detesto che qualcuno mi disturbi mentre ascolto del buon blues, ma allora capitava piuttosto di frequente. Tutti sapevano che fare il giro dei locali era l'unico modo per trovarmi: il mio nome non appariva sulla guida telefonica e nessuno conosceva il mio indirizzo. (VDA, 7) Così si presenta Marco Buratti, un investigatore che si è guadagnato la stima dei malavitosi scontando sette anni di galera per una condanna ingiusta, senza cedere alle lusinghe della riduzione 185 G. CAPITTA, Mandato di cattura, «Il manifesto», 22/2/1995. 186 Roma, Edizioni e/o, 1995. Le citazioni nel testo con la sigla VDA 187 G. DE CATALDO, Sul profondo Nord sangue nero, «La Gazzetta del Mezzogiorno», 26/11/1995. 188 Cfr. il saggio fondamentale di E. CHANDLER, La semplice arte del delitto, a cura di O. DEL BUONO, Milano, Feltrinelli, 1980. Importanti ricerche sono: TH. NARCEJAC, Il romanzo poliziesco, Milano Garzanti, 1977; La trama del delitto. Teoria e analisi del racconto poliziesco, a cura di E. CREMANTE e L. RAMBELLI, Parma, Pratiche, 1980; I. CROTn, La «detenction» della scrittura. Modello poliziesco ed attualizzazioni allotropiche nel romanzo del novecento, Padova, Antenore, 1983; 5. KRACAUER, Il romanzo poliziesco, Roma, Editori Riuniti, 1984; R. BARBOLINI, Il detective sublime. Sul romanzo poliziesco, Roma, Theoria, 1988, A. PIETROPAOLI, Ai confini del giallo. Teoria e analisi della narrativa gialla ed esogialla, Napoli, Esi, 1986, B. BINI, Il poliziesco, in Letteratura italiana, Storia e geografiniia. L'età contemporanea, vol. III, Torino, Einaudi, 1989, pp. 997-1026 (con ricca bibliografia). Cfr. inoltre AA.vv, Il romanzo poliziesco italiano da Gadda al Gruppo 13, a cura di M.H. CASPAR, «Narrativa» (Université Paris X, Centre de Recherches Italiennes), 1992, n. 2 e Nero italiano, in Altre storie. Inventario della nuova narrativa italiana fra anni '80 e '90, a cura di R. CARDONE, E GALATO, E PANZERI, Milano, Marcos y Marcos, 1996, pp. 141-149. di pena. Un «irriducibile» che un tempo faceva il cantante in un gruppo rock, gli «Old Red Alligators» da cui ha ripreso quel soprannome di «Alligatore» che sa di palude, ma anche di morso micidiale: non canta più, ma è rimasto un fanatico appassionato del blues che gli ha intaccato l'anima ed è il suo principale nutrimento e sostegno. Odia le armi, beve molto ed esclusivamente «calvadòs», In ricordo di una donna perduta in Francia, e sta sempre dalla parte dei perdenti per soddisfare un insaziabile, ossessivo, bisogno di giustizia che nasce dal trauma dell'ingiustizia subita. I suoi metodi e le sue alleanze sono poco ortodossi e ne fanno un detective "sui generis" che ha qualche innegabile consonanza con Phiipe Marlowe, il suo whisky, il suo cuore freddo e il suo odio per i compromessi, anche se l'Alligatore non cerca la verità dentro la lotta perenne tra il bene e il male. Molto più espliciti e riconoscibili sono infatti i riferimenti e le citazioni presi in prestito dalla storia vera di Carlotto, a partire dalla città dove è ambientata la vicenda. La donna elegante che io ha rintracciato al Banale è un avvocato difensore preoccupata per la scomparsa del suo cliente, Alberto Magagnin che, nonostante si proclami innocente, sta scontando una pena a diciotto anni di reclusione per l'omicidio di una donna e gode attualmente di un regime di semilibertà. L'Alligatore accetta l'incarico di rintracciare il "fuggiasco" e si fa aiutare nelle indagini da Beniamino Rossini, noto nell'ambiente come «il vecchio Rossini», personaggio simbolo della malavita milanese, specializzato in rapine a furgoni portavalori, conosciuto dietro le sbarre dell'isola di Pianosa: un vero duro, cinquant'anni ben portati e un fisico «alla Moser», baffetti alla Xavier Cugat, elegante, romantico, perennemente abbronzato. Fedele al rigido codice d'onore della mafia d'antan ormai in estinzione, disgustato dalla nuova malavita degli spacciatori, egli si è ritirato definitivamente a Punta Sabbioni dove pratica il contrabbando con la vicina Dalmazia. Insieme costituiscono una coppia stravagante, ma imbattibile, quando si tratta di sbrogliare intricate matasse. Dopo un secondo omicidio, di cui si accusa sempre il povero Magagnin, essi cercano informazioni battendo i bassifondi della città tra spacciatori, tossici e coatti, incontrando strani personaggi legati all'estremismo di sinistra come «Max la memoria» che ha un intero archivio di controinformazione costruito negli anni Settanta, ex brigatisti come Camillo Piron detto il Colonnello, una donna esperta di terrorismo culturale che si nasconde sotto il «multiple name» di Luther Blisset, ma anche analizzando, con l'acume sorvegliato degli esperti, le perizie anatomopatologiche e tossicologiche compiute sui cadaveri189. I metodi utilizzati per scoprire la verità non saranno sempre ortodossi e, alla fine, decideranno di servirsi del potere amplificativo dei mass media, fornendo il materiale di prima mano per gli articoli di un coraggioso giornalista, smascherando così un delitto che sembrava perfetto proprio perché un innocente era stato accusato al posto dei colpevoli. Con un movimento di ostentata verticalizzazione, dal basso verso l'alto, la pista tenderà a salire tutti i gradini della buona borghesia padovana dove il ricatto e la corruzione è norma di vita; avvocati, medici legali, industriali passati indenni attraverso gli scandali, prostitute di lusso, cocaina e hardcore, associazioni e club esclusivi, il più importante dei quali è quello dei Cavalieri dell'ordine di santa Costanza: Con la benedizione e la copertura, penso inconsapevole, di una parte del clero, questa struttura in realtà raccoglie tutto il marcio di questa città - da vecchi arnesi fascisti implicati in Gladio e varie trame nere, a esponenti corrotti del mondo politico, finanziario, giudiziario, militare - ed è a sua volta trasversale ad altre strutture, lobby o logge massoniche, anche estere.(VDA, 154) 189 Si veda, per esempio la ricostruzione della perizia sbagliata sulle macchie di sangue trovate addosso al presunto assassino (VDA, 118). Quando la trappola scatterà, dopo una lunga sequenza di morti e delitti, i due amici saranno costretti ad emigrare in Francia per sottrarsi alla vendetta dell'apparato politico ed economico messo sotto accusa. "Everyday I bave the blues" cantata dalla voce inconfondibile di B.B. King fa da sottofondo musicale alloro viaggio e a una pagina ritmata e vibrante di malinconia. Sarà ancora un raro disco di blues del 1956, "Last session di Blind Willie McTell", ricevuto in regalo al momento della fuga a Parigi, da un misterioso cliente che vive in Sardegna, a preannunciare, con un procedimento seriale, a incastro, la seconda avventura dell'Alligatore, Il mistero di mangiabarche190. La vicenda si svolge tra la Sardegna e la Corsica e parte da Cagliari, la città dove egli accetta l'incarico di rintracciare il figlio di un facoltoso principe del foro, latitante da cinque anni dopo una condanna per partecipazione a banda armata e finito ammazzato a Puerto Escondido per una partita di «maria». In realtà la ricerca del figlio funge da specchietto per allodole e serve a ingaggiarlo per sco-prire gli ispiratori di un complotto che ha accusato tre onesti avvoca-ti cagliaritani di traffico di stupefacenti e dell'omicidio di un collega, tale Giampaolo Siddi, che essi ritengono sia ancora vivo. Dopo due anni di carcere i tre, uno dei quali minato da un'incurabile leucemia, sono stati scagionati, ma sono decisi a ottenere giustizia. Certo, per una faccenda così rischiosa, hanno bisogno dell'intervento di un crociato, cioè quel genere di investigatore che si butta a capofitto nelle indagini o perché non ha niente da perdere o perché non ci sta del tutto con la testa. (MDM, 28) Questa volta l'Alligatore e il suo inseparabile Rossini si imbatteranno in una vera e propria banda criminale internazionale di eterogenea composizione: ex funzionari del Sisde trafficanti di droga protetti da una base Nato, delinquenti al servizio di agenti stranieri assoldati per destabiizzare i governi garantisti e i movimenti di opposizione, come il F.L.N.C., l'indipendentismo corso contro cui sì accaniscono con inaudita ferocia, avvocati corrotti, società finanziarie per lucrosi traffici illegali. Non manca neppure una crudele e perversa donna-killer, la bella dark-lady di nome Gina che seduce l'Alligatore. Tutti i malviventi della "società" utilizzano nomi di battaglia tratti da quelli del cast di un celebre film francese diretto nel 1926 da Abel Gance, un kolossal intitolato Napoléon. Ma al cinema Carlotto strizza spesso ironicamente l'occhio con riferimenti ai classici dell'azione, e soprattutto con il nome, autentico, dell'aiutante che i due soci scovano, ancora tra gli ex detenuti: Marlon Brundu. A cavallo di una vecchia Ducati duecinquanta, gialla e nera come una vespa, che sembrava appena uscita dalla fabbrica tanto era lucida, sedeva un quarantenne dai tratti somatici marcatamente mediterranei e vestito come Marlon Brando nel Selvaggio. Sulla schiena del giubbotto nero di cuoio, spiccava addirittura la scritta Black Rebels. (MDM, 53) Tra fughe e tradimenti, sospetti ed esecuzioni, torture e vendette cruente, morti ammazzati dati in pasto ai maiali, servizi segreti deviati, ambigui pentiti, incontri amorosi e scontri a fuoco, inserzioni misteriose su giornali di annunci economici gratuiti, un quiz radiofonico a premi, fiumi di «calvadòs» e sbornie colossali accompagnate da una strabiliante colonna sonora di pezzi blues, le tracce conducono i protagonisti fino allo scoglio dei misteri, battezzato «mangiabarche» per la sua conformazione (ha la dentatura di un mostro marino) e per la sua collocazione insidiosa. Le barche vi cozzavano, affondando regolarmente a picco nel mare, prima che fosse trasformato in faro. 190 Roma, Edizioni e/o, 1997. Il romanzo contiene nella prima parte una specie di riassunto della puntata precedente, in cui ripresenta i protagonisti, così come farà nel successivo libro della serie. Le citazioni nel testo con la sigla MMB. La soluzione degli enigmi e l'identificazione dei colpevoli lascia uno strascico di cicatrici nel cuore di Marco: una bellissima ballerina greca si offrirà di scacciare il fantasma di Gina, ma la sua mente è già rivolta a nuova avventura: «Stamattina ho telefonato a uno dei miei contatti in Veneto per sapere come sta andando un certo affare... Prima di chiudete ha detto che qualcuno sta allungando mance a tutti i camerieri dei locali della regione dove si suona blues: pare che voglia rintracciare un certo investigatore...». (MDM, 231) In questo libro, dalla calibrata sceneggiatura, i due personaggi principali acquistano una fisionomia più sfaccettata nei particolari, nei tic, nelle manie; si definisce con tratti nuovi l'anima blues di Marco Buratti, la sua vena malinconica e il suo sguardo ironico verso la realtà, la nostalgia per il sogno mai tramontato del '77, il suo senso sacro della giustizia e la sua marginalità. Anche il malavitoso oldstyle Rossini è meglio delineato, nel rito dei braccialetti d'oro che si infila al braccio sinistro come scalpi dopo vendette riuscite, nel meticoloso rituale dell'abbigliamento con capi esclusivi prima di ogni azione pericolosa, nella sua rigorosa conoscenza delle armi. Nessuno dei due è ridotto dentro uno schema di atteggiamenti macchiettistici, siamo di fronte a persone «in carne e ossa che non sono eroi, ma uomini comuni con un passato e un presente da sfidare con passione e ironia»191. Sullo sfondo, campeggia una Sardegna invernale spazzata dal «soffio freddo e secco di nord-ovest del maestrale», in cui i quartieri delle periferie sbucano con il loro squallore tra le rovine dell'ar-chitettura castigliana e il mare mosso ha riflessi vitrei. I noir di Carlotto si sviluppano sempre da errori giudiziari realmente accaduti, sono gialli d'azione non convenzionali che non disdegnano i colori dell'hard-boiled per descrivere il linguaggio e i comportamenti di un certo tipo di criminalità192. Raccontano l'epoca in cui viviamo e la loro fonte di ispirazione è sempre la cronaca della storia recente, le situazioni macroscopiche delle dinamiche politiche, economiche e culturali. Non c'è un criminale unico, ma un gruppo, una catena di malfattori, un'associazione a delinquere con una rete di interessi illeciti che può contare su connivenze e coperture che coinvolgono la stessa organizzazione istituzionale del potere. Per questo il detective Alligatore non è un rappresentante dell'ordine, ma un irregolare che, da inquisito, è diventato un inquirente trasgressivo per riuscire a districarsi tra le diverse con-getture e svelare la menzogna delle versioni ufficiali. Anche l'elemento di suspense poggia su una strategia inconsueta basata sul differimento e ha anche una forte dinamica extratestuale, volta cioè a prolungare l'accertamento della verità, disseminando il percorso di contro-informazioni, indirizzate alla sensibilità politica del lettore oltre che alla sua smania di conoscere la soluzione dell'intrigo. 191 Chandler usa questa espressione nel 1944, nel saggio già citato, per lanciare il suo atto di accusa teorico contro la vecchia formula del romanzo giallo; cinque anni dopo la pubblicazione de Il grande sonno. 192 Tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta il giallo ha avuto una forte rivalutazione. Chandler, Woolrich, Scerbanenco, la Highsmith vengono considerati scrittori a tutti gli effetti - Tondelli ne è appassionato sostenitore, per esempio - e si moltiplicano anche gli studi sull'importanza del genere in Gadda, Piovene e soprattutto in Sciascia che con la sua narrativa d'inchiesta ha offerto un'importante alternativa alle forme del romanzo medio. Cfr. S.TANI, Il romanzo di ritorno, cit., p. 73. Si fa strada inoltre una nuova generazione di giallisti che descrive soprattutto gli aspetti più marginali della società e della provincia, ma tende anche a rinnovare le formule stereotipate del modello. Basti ricordare i romanzi di Carlo Lucarelli e la sua predilezione per un'investigazione storica, da Carta bianca (1990) a Indagine non autorizzata (1993) ad Almost blue (1997) a L'isola dell'angelo caduto (1999); il teorema della fuga i Pino Cacucci, da Outland rock (1988) a Puerto Escondido (1990), le storie dalle cupe risonanze di M. Fois da Ferro recente (1992) a Meglio morti (1994) a Sempre caro (1998) a Gap (1999); il nero postmoderno di Tiziano Sclavi, l'inventore di Dylan Dog, in Dellamorte dellamore (1991), Nero (1992) e Non è successo niente (1998). Lo prova, al di là di ogni dubbio, l'ultimo romanzo del ciclo, Nessuna cortesia all'uscita193 , che prende il titolo da un detto che circolava ai tempi d ei pogrom, «quando salvarsi significava attraversare la porta del ghetto senza guardarsi indietro» (Ncu, 107). I nomi dei protagonisti, esclusi i due investigatori, sono ancora falsi, ma i fatti e i personaggi che si celano dietro questa scoperta finzione narrativa sono assolutamente veri: le cinque parti, più un epilogo, che compongono il libro sono introdotte, a mo' di epigrafe, da brani estratti dalla sentenza emessa il 14 dicembre 1996 dalla Corte d'Assise d'Appello di Venezia, prima sezione, e dai verbali stenotipici delle udienze del processo alla mala del Piovese o mafia del Brenta. L'Alligatore è tornato a casa, si è comperato un locale a pochi chilometri da Padova, dove si esibiscono raffinati gruppi blues scelti su consiglio dell'amico Blue-Jay Edoardo "Catfish" Fassio. Accanto a lui continua ad esserci il fido Beniamino Rossini, ora innamorato della bella Sylvie, una ballerina che si preoccupa di togliere dalla strada le nuove giovanissime prostitute albanesi. Ritroviamo anche «Max la memoria», il latitante abile analista di situazioni delittuose, e sua moglie la seducente Marielita194. Questa volta si tratta di salvare la vita a Pierluigi Barison detto Gigi Granseola, un malavitoso di medio livello e di mezza età che l'Alligatore ha conosciuto in galera e che gli chiede di fare da intermediario conciliatore presso Tristano Castelli, un giovane e potente boss, allievo di Totuccio Contorno quand'era al confino nel Veneto «ricco e pacioso», molto legato alla madre, famoso per i suoi slanci di generosità verso i poveri e gli handicappati e per il coraggio di affrontare le imprese più rischiose sempre in prima persona. Gigi è convinto che Castelli lo voglia eliminare come ha già fatto con altri sottoposti, alcuni fra i suoi esattori regolari. Il tentativo di intercedere presso Tristano non riesce e i "due soci" vengono addirittura arrestati per detenzione di droga da uno strano maresciallo che li obbliga a diventare informatori della polizia. Passo dopo passo, si imbattono in una serie di fatti di cronaca (effettivamente accaduti) a cui danno una comprensibile e sensata spiegazione: il furto della reliquia del mento del Santo, poi ritrovato, organizzato da Tristano per far uscire suo cugino di galera; la scoperta del cimitero della mala sugli argini di Legnaro lungo la strada per Piove di Sacco; il segreto patteggiamento tra la Magistratura e gli organi inquirenti con il giovane boss perché collabori con le istituzioni in veste di pentito, salvando il suo patrimonio, la vita sua e quella di alcuni fidati collaboratori, ma consegnando alla giustizia l'intero organigramma della banda. L'Alligatore e Rossini architettano un piano perfetto per mettere in difficoltà Castelli, incrinando i suoi rapporti con la mafia turca che lo rifornisce di droga; riescono anche a ricattare il magistrato che conduce il patteggiamento, con la minaccia di renderlo pubblico, imponendogli di salvare Max dalla lunga detenzione che lo aspetta e fornendogli il nome di un brigadiere corrotto che è sul libro paga di Tristano, ma perdono Marielita, uccisa in un conflitto a fuoco organizzato da alcuni luogotenenti del boss. Li inseguono e li eliminano uno dopo l'altro con spietatezza, senza rendersi conto di essere in realtà parte di un progetto più ampio con cui Castelli si libera dei piccoli calibri per riuscire a salvare il suo potere personale. I tempi sono cambiati, premono altre organizzazioni criminali e il prezzo per contrastarle è troppo alto. Per questo Tristano si adegua, tratta la resa come pentito, certo di rimanere ben poco in galera, nonostante la lunga catena di delitti di cui si è macchiato. L'epilogo vede l'arresto del boss a Torino dopo la sua fuga dal carcere di Padova e la cattura di centocinquanta affiliati alla sua banda. Li attenderà il processo di cui abbiamo ampi stralci. Il Veneto non rimarrà a lungo a secco di droga: le varie mafie e organizzazioni criminali straniere imporranno ben presto le loro regole dopo essersi divise il territorio italiano in zone d'influenza rigidamente protette. Inizia una nuova guerra per bande che è storia di questi giorni. 193 194 Roma, Edizioni e/o, 1999. Le citazioni nel testo con la sigla NCU. Anche in questo caso, una parte del primo capitolo serve come raccordo alle imprese precedenti e si dilunga sulla descrizione dei protagonisti. Max era apparso nel primo giallo della serie, La verità dell'Alligatore, cit. Il libro si chiude sull'Alligatore felice perché Max è uscito di galera dopo aver scontato solo un anno di pena; si è innamorato di Virna, la cassiera del suo bar, ma pensa già al prossimo impegno: «Un omicidio. Ufficialmente archiviato» (NCU, 216). Ancora un atto di giustizia ingiusta. Disponendo i fatti con metodo, in modo da tenere il lettore sempre in allerta, questo libro camuffa in realtà un reportage, è un giallo privo della tensione spasmodica della suspense classica, forse a causa di un coefficiente inferiore di inventività e di un linguaggio particolarmente scarno, ma soprattutto perché il vero "giallo" consiste nel riconoscere e rivelare la versione autentica, contestuale e non addomesticata, dei fatti e delle trame che li sottendono. Il romanzo noir di Carlotto diventa progressivamente, per la sua stessa essenza, un romanzo sulla polis, sulla politica, uno strumento di riflessione e di denuncia che non ha lo stile solenne del pampleth, ma quello più basso, referenziale, talvolta ruvido, delle conversazioni vivaci, intense e ironiche di due investigatori atipici e disincantati. Lo stesso spirito sembra compenetrare Le irregolari. Buenos Aires horror tour195, un libro in gran parte autobiografico, vivo, ricco e doloroso, basato su fatti e personaggi assolutamente veri, che racconta in modo completo, severo e documentato, la storia degli anni di terrore della dittatura argentina del generale Videla (1976-1982), la metodologia scientifica e strategica della desapariciòn, i campi di concentramento clandestini, le persecuzioni degli ebrei e degli oppositori politici, le torture, i massacri, la vicenda sinistra dei bambini strappati alle madri naturali per farne bottino di guerra. Il protagonista, verosimilmente lo stesso Carlotto, è arrivato a Buenos Aires da Santiago del Cile dove ha mantenuto la promessa fatta a una vecchia amica rivoluzionaria morta in esilio: nella piazza antistante il Palazzo della Moneda ha fatto risuonare tra lo stupore e l'irritazione dei militari, volume al massimo, la canzone che lei prediligeva, Fango di Ricky Gianco. Il viaggio in Argentina era nato con lo scopo di seguire le tracce del nonno, Guglielmo Carlotto, un anarchico vicentino «ribelle irascibile e sanguigno», emigrato agli inizi del secolo e tornato in patria per aprire un panificio a Padova, a due passi dalla Basilica di sant'Antonio. Si rifiutò sempre, categoricamente, di parlare dell'Argentina. Mogli e figli, nel corso della sua lunga vita, riuscirono solo a ricostruire da mezze frasi bofonchiate controvoglia, e con l'aggiunta di un pizzico abbondante di immaginazione, che aveva lavorato come scaricatore, panettiere e oste, e che i soldi per tornare in Italia li aveva trovati una notte sul pavimento in terra battuta della sua osteria. [...] I figli avevano sempre pensato che non volesse ricordare un periodo particolarmente duro della sua vita, fatto di esilio e stenti. Io, invece, immagino uno scenario completamente diverso, romantico e avventuroso: l'ambiente delle comuni anarchiche in Argentina a fine Ottocento. Anni di febbrile militanza in una terra ostile, solidarietà, clandestinità e... una delusione d'amore o politica che, alla fine, ha spinto il nonno a tornare in Italia. (LI, 21-23) Il mistero non verrà mai svelato e il fantasma del nonno si ripresenterà solo nei sogni del nipote che si trova invece a fare i conti con i vecchi frammenti della sua esperienza di esiliato («un tempo fuggivo per dare un senso alla mia vita») e con il suo inesorabile destino: «basta poco per cambiare il corso di una vita» (LI, 44). Basta attraversare la strada davanti all'albergo in cui è alloggiato per incontrare un gruppo di donne coraggiose, madri e nonne, le donne della Plaza de Mayo che ogni giovedì sfilano silenziose con il capo coperto da fazzoletti bianchi davanti alla Casa Rosada, la sede del governo argentino del presidente Alfonsin. Si battono contro l'omertà per conoscere la sorte toccata ai loro figli e per restituire ai loro nipoti quell'identità che è stata cancellata coi proposito di neu-tralizzare, di rendere innocuo, il gene della sovversione ereditato dai genitori, attraverso un'educazione impartita da sane famiglie borghesi, conniventi e compiacenti. Dalla favola del nonno all'incubo della realtà. Scopre così, per caso, che una di loro, combattiva e indomita, è Estela 195 Roma, Edizioni e/o, 1998. Le citazioni nel testo con la sigla LI. Carlotto, una sua lontana cugina la cui figlia Laura, una guerrigliera, nome di battaglia Rita, è stata orrendamente massacrata nel famigerato centro di detenzione La Cacha, dopo aver dato alla luce un bambino di nome Guido, di cui si sono subito perse le tracce, ma sicuramente adottato da qualche famiglia alleata del regime. Estela è decisa a ritrovarlo e ha fondato un'associazione di nonne, di abuelas, che hanno Costituito una banca di dati genetici dove le provette del loro sangue saranno conservate fino al 2050 per praticare test sul DNA, unico modo per accertare con sicurezza l'identità di figli o di nipoti rapiti e dispersi. Qualche risultato è stato raggiunto, una cinquantina di ragazzi sono stati ritrovati e riconsegnati ai superstiti delle loro famiglie. Estela è sicura che troverà Guido, ha il coraggio che nasce dal dolore; era una tranquilla madre di famiglia, una moglie, una maestra elementare, prima di trovarsi catapultata in un gorgo infernale che sembra senza fine. Ha visto sequestrare suo marito, gli altri tre figli costretti all'esilio, e si considera fortunata per aver potuto seppellire il corpo di sua figlia orrendamente massacrato; a molti altri non è stato concesso neppure questo. «Lo definiscono il tema del duelo, del lutto [...] Se una madre può stringere tra le braccia, seppellire e piangere il figlio assassinato, riesce a farsene una ragione e a vivere il lutto. Ma se il figlio è desaparecido, morto chissà come e sepolto chissà dove, allora la madre non riesce a razionalizzare il lutto e la vita è un dolore continuo... Seguimos luchando perché non abbiamo più paura. Possiamo fermarci solo con la morte. [...]» (LI, 42-43) Il viaggio si trasforma ben presto in una serie di allucinati «horror tours» compiuti a bordo di uno scalcinato autobus bianco e arancione che fila veloce nel traffico serale: Dal finestrino osservavo le insegne dei negozi ormai quasi tutti chiusi. Dopo un po' i colori dei neon si fusero in un'unica lunga scia infinita e Buenos Aires diventò una pellicola che scorreva veloce nel mio cervello. (LI, 16) Lo guida Santiago, un uomo di mezza età con gli occhi neri come la pece, che con la complicità del portiere d'albergo, Inociencio, lo convince a visitare i luoghi di una memoria straziata che non può essere soppressa: «Deve riannodare tutti i fili tra il passato e il presente, altrimenti il dolore di tutte le storie la schiaccerà. A Buenos Aires non è permesso perdersi.» (LI, 54) Tappa dopo tappa, un lungo calvario con stazioni di morte, egli attraversa la città, incontra i luoghi e i testimoni della violenza e della persecuzione che vagolano come cacciatori di fantasmi con le loro foto ingiallite, recitando a memoria la storia dei loro cari, ripetendo i loro nomi, le date, le circostanze, le scarne testimonianze, con puntigliosa ossessività, mai domi, mai rassegnati, mai scoraggiati dai ripetuti fallimenti delle loro ricerche, testardamente aggrappati a un'idea di giustizia, anche postuma. I fili si riannodano, compongono un patchwork ove ogni pezzo di stoffa ha un volto e una voce che imprigionano l'autore nel processo di riesumazione degli orrori, delle colpe e delle impunità: «colpe politiche, colpe ecclesiastiche. Carlotto non risparmia nulla delle vergognose realtà così presto accantonate, e si smarrisce in una ricerca non più sua, ma che appartiene - di fatto - alla sua stessa generazione»196 196 S. PENT, Conflitti. Desaparecidos e giustizia in una drammatica odissea di Massimo Carlotto, «Diario della settimana», 25/3/1998. Cfr. anche R. BULTRINI, Quando si ruba una vita, «La Repubblica», 9/3/1998; P. CARRANO, Nel nome deifigli perduti, «Anna», 4/5/ 1998; p. VENTURA, Mio nipote è vivo: lo ritroverò, «Gioia», 9/5/1998; 5. COPPA, Mio nipote desaparecido, «Grazia», 15/5/1998. «Mi sento già parte della storia dei Carlotto d'Argentina [... ]. E non solo per le enormità delle ingiustizie che hanno subito o per i lontani legami di sangue, ma perché è una storia della mia generazione... di figli ribelli e sognatori e di genitori disposti a condividerne il destino fino in fondo. È un passato che già mi appartiene...» (LI, 89) Nel passato le cicatrici si sovrappongono, individuali e collettive, ma dal pellegrinaggio dentro le atrocità nasce anche la ferma intenzione di non dimenticare e di non perdonare: «L'enormità della sconfitta della nostra generazione si misura proprio sul numero di promesse fatte e mai mantenute. [...] Anch'io dovrò trovare una specie di autobus [...] da portare in giro.» (LI, 90) La sua pagina avrà ruote veloci che attraverseranno l'Oceano, nei due sensi, per suscitare una mobilitazione internazionale, spingendo anche il governo italiano a costituirsi parte civile nel processo che si celebrerà contro i responsabili della scomparsa di cittadini di origine italiana. Questo libro è affilato e tagliente come una lama; racconta il massacro terribile degli oppositori e degli inermi senza lasciarsi sopraffare dall'enfasi e dal pathos: basta la «congestione»197 delle loro mani a penetrare nel nostro silenzio. Sarebbe ingiusto, però, se lo si considerasse soltanto un lungo lugubre elenco di desaparecidòs: il racconto, dal piglio sicuro e agile, e condotto con una scrittura incalzante ed espressiva, mista tra cronistoria e riflessione, resoconto serrato e fìction, che compone struggenti ritratti di donne e di ragazzi senza quiete, ma li mescola a improvvise apparizioni del nonno che balla con il protagonista un improbabile tango (LI, 94-95), al ricordo dell'antica tradizione contadina del "filò" (LI, 192), alle rivincite dissacranti compiute sulle tombe degli aguzzini e incornicia il finale che chiude il romanzo, circolarmente, con una nuova canzone, un'altra cerimonia, per onorare l'eredità che Inocencio gli ha affidato prima di partire: «Sono vecchio, senor e non ho più nessuno. Vorrei affidarle la memoria di mio figlio. Come tutti i desaparecidos, Victor Hugo non è né vivo, né morto.., vaga smarrito domandando perché... il giorno in cui ritroverà la strada avrà bisogno di qualcuno che gli ricordi chi era.» (LI, 190) Il 24 gennaio 1998 all'ingresso della famigerata ESMA (Escuela de Mecanica de la Armada), la scuola dei torturatori della Marina militare dove morirono migliaia di prigionieri politici, i cadaveri bruciati in grandi fosse comuni al limite di un campo da calcio, e diverse decine di bambini nati sul pavimento lurido delle celle vennero strappati dalle braccia delle madri per essere venduti o regalati, Ricky Gianco, Maurizio Camardi e Massimo Carlotto, con una chitarra e un sassofono, intonano una canzone scritta apposta per Victor Hugo. La voce e la musica violano gli spazi, invadono la lugubre caserma costringendo tutti ad ascoltare: Si te paso al lado levantate por favor hablame dulcemente como un tiempo yo sigo viviendo para no olvidarte y no perdono al capitan. (LI, 215) Il viaggio nato con un rito della memoria finisce allo stesso modo: i luoghi sono diversi, ma sono simboli indelebili della prevaricazione e della violenza, della ferocia di Caino. 197 Da Veglia di Giuseppe Ungaretti: «con la congestione / delle sue mani! penetrata / nel mio silenzio / ho scritto / lettere piene d'amore».