Mattino - 1 gennaio 2009
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Mattino - 1 gennaio 2009
Mattino - 1 gennaio 2009 Benedetto XVI e la pace in Palestina “C ari fratelli e sorelle, la Terrasanta, che nei giorni natalizi è al centro dei pensieri e degli affetti dei fedeli di ogni parte del mondo, è nuovamente sconvolta da uno scoppio di inaudita violenza. Sono profondamente addolorato per i morti, i feriti, i danni materiali, le sofferenze e le lacrime delle popolazioni vittime di questo tragico susseguirsi di attacchi e di rappresaglie. La patria terrena di Gesù non può continuare ad essere testimone di tanto spargimento di sangue, che si ripete senza fine! Imploro la fine di quella violenza, che è da condannare in ogni sua manifestazione, e il ripristino della tregua nella striscia di Gaza; chiedo un sussulto di umanità e di saggezza in tutti quelli che hanno responsabilità nella situazione, domando alla co- 2 munità internazionale di non lasciare nulla di intentato per aiutare israeliani e palestinesi ad uscire da questo vicolo cieco e a non rassegnarsi alla logica perversa dello scontro e della violenza, ma a privilegiare invece la via del dialogo e del negoziato. Affidiamo a Gesù, Principe della Pace, la nostra fervida preghiera per queste intenzioni e a Lui, a Maria e Giuseppe, diciamo: “O famiglia di Nazareth, esperta del soffrire, dona al mondo la pace. Donala oggi soprattutto alla Terrasanta!” Se vuoi la pace, O ggi, primo giorno dell’anno civile, parliamo di pace, celebriamo la pace, perché la pace è il bene sommo della civiltà, e perché al principio del nostro operare dobbiamo guardare al traguardo, al fine ultimo al quale esso vuole giungere. Oggi è il giorno dei programmi, il giorno dei propositi. Noi vogliamo essere padroni del tempo; lo vogliamo spendere bene. Vogliamo dare un senso alla nostra vita. La vita vale per il senso che noi le diamo, per la direzione che noi le imprimiamo; la meta, lo scopo a cui noi la rivolgiamo. Quale meta? Quale scopo? La pace. E la pace, che cosa è? Noi lo dicevamo: è il bene, che in questa vita presente, la vita temporale, comprende tutti gli altri, è l’ordine, il vero ordine, non soltanto quello della disciplina esteriore, ma l’ordine che fa stare bene tutti gli uomini e tutto l’uomo; un ordine che suppone che tutti abbiano ciò che serve alla vita, il cibo, l’abito, la casa, la scuola, il lavoro, il riposo, il rispetto, la sicurezza; anzi una società libera, concorde, ordinata, onorata d’intorno a sé; e di più cosciente del destino della vita, e perciò colta e soprattutto religiosa (perché la religione è la lampada della vita; essa, ed essa sola, se è la vera religione, qual è quella cristiana, ci dà luce, e ci rivela il senso della nostra esistenza, e ci offre i mezzi per vivere bene e per salvarci, anche oltre la fine del tempo che ci è dato per vivere). Si vede subito che la pace è una cosa assai bella, ma è una cosa difficile; tanto difficile e complessa, che alcuni la credono un sogno, un mito, una utopia. Noi invece diciamo che la pace è una cosa difficile, sì; difficilissima anzi; ma è una cosa possibile, una cosa doverosa. Il che vuol dire che bisogna lavorare molto per ottenere la pace. Non si raggiunge da sé. Non si mantiene da sé. Essa è frutto di grandi sforzi, di grandi programmi. E, prima di tutto, è frutto della giustizia: Se vuoi la pace, lavora per la giustizia. E facciamo attenzione: dobbiamo volerla tutti; tutti dobbiamo meritarla. Spesso noi pensiamo che a questo grande programma, quello di mettere ordine e pace nel mondo, di organizzare bene la società devono pensare coloro che dirigono il mondo e la società; certamente, ma non esclusivamente. La pace è un bene di tutti; e tutti dobbiamo collaborare per mantenerla, per farla progredire. E in qualche modo tutti e ciascuno in qualche misura, lo possiamo, lo dobbiamo...”. Vi è una giustizia del mio e del tuo, che è difesa dal famoso comandamento «non rubare». Nessuno vuol essere chiamato ladro. E vi è un’altra giustizia che riguarda la natura stessa dell’uomo; la giustizia, la quale vuole che ogni uomo sia trattato da uomo. Voi lo capite subito. Sono tutti eguali gli uomini? In sostanza, sì. Ogni uomo ha una sua dignità. Dignità inviolabile: guai a chi la tocca! piccolo o grande che sia, povero o ricco che sia! bianco o negro che sia! Ogni uomo ha una sua carica di diritti e di doveri, che gli meritano d’essere trattato come persona. Anzi noi cristiani diciamo che ogni uomo è nostro fratello. Dev’essere trattato come fratello, cioè amato: l’anno scorso, per la giornata della pace, abbiamo proprio meditato questa realtà: ogni uomo è nostro fratello. E possiamo anche dire di più: quanto più l’uomo è piccolo, povero, sofferente, indifeso, decaduto anche, e tanto più merita d’essere assistito, sollevato, curato, onorato! questo ce lo ha insegnato il Vangelo; ma anche chi non crede all’autorità del Vangelo intuisce che quella parola divina ha ragione: questa è la giustizia! questa è la via all’ordine, cioè al diritto e al dovere dell’uomo; qui è la giustizia, qui è la pace! DOSSIER AGENZIA FIDES 29.12.08 lavora per la giustizia 3 Medio Oriente Che forza contro gli inermi!… È proseguita per tutta la notte, con “diverse decine” di incursioni aeree, l’offensiva militare di Israele nella Striscia di Gaza: lo hanno riferito ufficiali di ‘Tsahal’ e fonti palestinesi, secondo le quali negli ultimi bombardamenti hanno perso la vita anche sei bambini. Anche questa notte, la maggior parte degli attacchi sembra essersi concentrata su Gaza City. Testimoni hanno riferito che almeno cinque missili hanno colpito l’Università islamica, un importante centro culturale dal quale oggi si alzano colonne di fumo nero; sempre nel capoluogo palestinese, in centro città, i caccia F-16 dell’aviazione israeliana hanno distrutto l’edificio sede del ministero degli Interni. Le incursioni, però, sono continuate anche nel nord 4 e nel sud della Striscia. I responsabili di un ospedale della città di Jabaliya hanno riferito che quattro bambine di una stessa famiglia, tra gli uno e i 12 anni, hanno perso la vita durante un bombardamento su una moschea. Due ragazzini sono stati uccisi nel corso di un raid nei pressi di Rafah, non lontano dal confine con l’Egitto. Secondo un bilancio diffuso questa mattina dal capo dei servizi di emergenza della Striscia, Muauiya Hussanein, l’offensiva iniziata sabato ha provocato almeno 310 vittime e 1420 feriti. Stragi che, in attesa di una grande manifestazione in programma oggi a Beirut, alimentano a livello internazionale le richieste di immediato cessate-il-fuoco. “La Cina – ha detto questa mattina a Pechino il vice-primo ministro Li Keqiang – è scioccata e seriamente preoccupata per le operazioni militari a Gaza, che hanno causato un gran numero di morti e feriti. (…) Il mondo teme per il processo di pace in Medio Oriente: ricorrere alla forza armata per le risolvere le differenze, soprattutto uccidere e ferire i civili, va contro questi sforzi”. Ieri Israele ha richiamato in servizio 6500 riservisti dell’esercito. Insieme con i movimenti di decine di blindati lungo la frontiera meridionale con la Striscia, questa misura accresce il timore di un’offensiva di terra nella regione palestinese. Ad accrescere la tensione è oggi anche la notizia della morte di un secondo israeliano colpito da un razzo lanciato dai militanti della Striscia: secondo i servizi di sicurezza israeliani, l’uomo è rimasto ucciso mentre era al lavoro in un cantiere edile nel centro di Ashkelon Medio Oriente “A mia figlia ‘Ala, che ha tre anni, dico che c’è una festa e che c’è gente che si diverte facendo scoppiare palloncini colorati”: Tamer al-Bahari, palestinese e operatore di un’organizzazione non governativa attiva a Gaza, non sa più cosa inventarsi per evitare che la figlia di tre anni si ammali di nuovo per la paura; raggiunto dalla MISNA nel corridoio della sua casa, alBahari racconta di attacchi di una violenza inaudita e mai conosciuta, di nuovi strumenti di guerra utilizzati dagli israeliani e della piccola ‘Ala che ieri lui stesso ha portato in ospedale perché aveva la febbre altissima. “Non è influenza né raffreddore è paura - aggiunge, mentre la cornetta si trasforma in nitida testimone di nuove esplosioni - i medici dicono che non è l’unico caso e che a causare la febbre sono i boati delle esplosioni, i vetri che vanno in frantumi, i rumori di questa guerra; mi resta avvinghiata tutto il giorno, non posso allontanarmi, la devo abbracciare in continuazione, farle sentire che le sono vicino”. A Gaza non ci sono solo i morti, ci sono anche gli effetti indiretti di ore ininterrotte di incursioni aeree e bombardamenti: “Stanno usando di tutto – continua ancora al-Bahari – ci bombardano dal mare con le navi, ci bombardano dal cielo con elicotteri, aerei, ci lanciano contro i loro carri armati; ci resta solo la speranza che tutto finisca presto”. Come la maggior parte dei palestinesi di Gaza, anche al-Bahari deve fare i conti con l’acqua e l’elettricità che mancano, e con le scorte alimentari che non bastano. “Possiamo restare chiusi in casa per altri due giorni - aggiunge - poi non avremo null’altro da mangiare; stiamo razionando tutto e cerco di tenere carica la batteria del mio telefono cellulare. Per ogni esplosione che sento provenire da nord chiamo il resto della mia famiglia che vive lì per sincerarmi che stiano bene. L’esercito israeliano ci sta inviando anche messaggi di vario tipo; sul mio telefono ne è arrivato uno in cui offrono 20 milioni di dollari per informazioni su Gilad Shalit, il soldato israeliano tenuto in ostaggio a Gaza”. Altre esplosioni; nel corridoio della sua casa la piccola ‘Ala si stringe al padre: “Ma lo sa il mondo cosa sta succedendo qui – si chiede Tamer – lo sanno che dall’alba di oggi non si sono mai fermati? Che non ci sono solo centinaia di morti, ma anche tante piccole ‘Ada, l’angoscia di tanti genitori? Lo sa il mondo che stiamo morendo?”. MISNA 26.12.08 ... e contro i bambini… 5 Mondo LA RELIGIONE SOSTEGNO I l Rapporto 2008 sulla libertà religiosa nel mondo, a cura dell’Associazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre, offre uno spaccato delle sofferenze per la fede di centinaia di milioni di persone. Anche AsiaNews ha contribuito a documentare le violazioni a questo diritto fondamentale che Benedetto XVI ha definito “pietra angolare” dei diritti umani. Scorrendo le pagine e seguendo ogni giorno gli avvenimenti dell’Asia attraverso la nostra agenzia ci accorgiamo di alcune elementi importanti: 1) le violazioni alla libertà religiosa avvengono sempre più per motivi di potere e in disprezzo allo sviluppo umano e sociale dell’uomo. In passato erano molto più frequenti le motivazioni del fondamentalismo fanatico che vuole annientare le altre comunità confessionali; il rifiuto di religioni (come il cristianesimo), legate a un passato coloniale; le motivazioni ideologiche marxiste, che volevano distruggere le religioni come “oppio del popolo”. Ora invece è chiaro che perfino in Cina o in Vietnam, la lotta contro le religioni è una lotta contro la libertà dell’uomo, la possibilità di esprimere il proprio pensiero e costruire ambiti di dialogo e di giustizia nella società. In Cina come in Vietnam, il Partito comunista ha perso ogni verve ideologica e cerca soltanto di salvarsi dal crollo imminente a causa dalla corruzione dei membri e dalle richieste di giustizia da parte di contadini espulsi dalle proprie terre, cittadini stanchi dell’inquinamento, testimoni di so- 6 prusi senza freno. Perfino le persecuzioni in India, pur con una forte dose di integralismo religioso indù, sono motivate dall’interesse di partiti politici e proprietari terrieri a mantenere come schiavi i tribali e i dalit che convertendosi al cristianesimo, si aprono a una nuova emancipazione sociale ed economica della loro vita. Da questo punto di vista ci si accorge che imbavagliare le religioni significa imbavagliare le voci che parlano di libertà, di espressione, di giustizia contro la corruzione; di sviluppo e di dignità. Le forze di potere che lottano contro la libertà religiosa vogliono Paesi chiusi, bloccati, senza sviluppo economico, per conservare i loro monopoli e interessi. 2) Va registrato nel mondo islamico un accento sempre più forte di distacco dal terrorismo fondamentalista. Ne è prova l’apertura di diverse chiese negli emirati arabi e in Kuwait; il dialogo fra Arabia saudita e Vaticano; la difesa dei cristiani da parte delle organizzazioni musulmane moderate in Indonesia. Perfino la sorte dei cristiani irakeni è divenuta tema di dibattito nei giornali del Medio Oriente: questi cristiani sono una fonte di cultura, di sviluppo, di internazionalità, capaci di dialogare con oriente ed occidente ed è un peccato perderli. 3) C’è un interesse crescente della società civile mondiale verso la libertà religiosa come base per costruire la pace. Basta pensare alle imponenti manifestazioni avvenute nel mondo a favore dei monaci birmani; di quelle contro la Cina e la sua repressione verso i monaci tibetani. Questa opinione pubblica mondiale ha potere di influenzare gli Stati “canaglia” della libertà religiosa, che alla fine temono solo questa. In Vietnam, grazie all’attenzione internazionale verso i cattolici di Hanoi, il governo della città non è riuscito a eliminare né la comu- ASIANEWS ONLINE 24.XI.08 DEI DIRITTI UMANI nità, né il suo vescovo. In India, anche se dopo un mese dai massacri e dalle distruzioni, il governo dell’Orissa ha dovuto aprire un’inchiesta sulle violenze contro i cristiani. La Cina stessa, pressata dalla società civile del mondo intero, ha dovuto riaprire i dialoghi con il Dalai Lama, fermi da anni. Per la popolazione civile del mondo è chiaro che la libertà religiosa è il catalizzatore delle altre libertà e la garanzia di ordine e di pace nella società. 4) C’è sempre meno interesse dei governi mondiali verso questo tema. L’incapacità a boicottare anche un solo giorno di Olimpiadi a Pechino, in nome della “partnership strategica” e dei contratti economici; la zoppicante e im- potente altalena verso il regime birmano; il silenzio verso le violenze in India mostrano che gli Stati sono presi sempre più solo dallo stretto interesse economico. La globalizzazione ha reso la società civile mondiale più solidale; la stessa ha reso i governi più succubi dell’economia. E noi temiamo che con la recessione planetaria a cui stiamo per assistere, il divario fra opinione pubblica e governi si allargherà di più. Questa situazione conferma l’importanza della nostra informazione, attenta alla sorte di cristiani, buddisti, musulmani, indù: un aiuto per l’opinione pubblica mondiale e per la pace nel mondo. Italia “L e economie industrializzate ed emergenti esercitano una pressione spaventosa sulle risorse naturali: dopo europei e nordamericani, a depredare l’Africa sono ora anche indiani e cinesi”. Andrea Masullo, presidente del comitato scientifico dell’associazione ‘Greenaccord’, dice alla MISNA che “il modello proposto dal Nord del mondo non è capace di risolvere i problemi”. Del complesso rapporto tra crescita della produzione, degrado ambientale e diffusione della povertà hanno discusso nella città di Viterbo 100 giornalisti provenienti soprattutto dall’Africa, dall’America Latina e dalle regioni più povere dell’Asia. Masullo dà il senso del forum di ‘Greenaccord’, intitolato ‘Ambiente e sviluppo per il Sud del mondo’. “Alcuni mesi fa – dice l’esperto - l’organizzazione non governativa World Wildlife Fund (Wwf) e il gruppo di studio dall’International Ecological Network hanno diffuso una speciale classifica fondata sull’impronta ecologica, un’u- nità di misura allo stesso tempo economica ed ambientale, che calcola l’erosione del capitale naturale provocato dai consumi individuali: Canada e Stati Uniti lasciano un segno sei volte più profondo rispetto ai paesi del Sud del mondo”. Secondo queste stime, il prelievo delle risorse naturali supera del 31% la capacità del pianeta di rigenerarsi. “La disponibilità di ricchezze si riduce e la crescita economica celebrata da tanti governi è in realtà impoverimento”. Dagli incontri di Viterbo, sono arrivate anche proposte per il futuro. “Bisogna – sostiene il presidente del comitato scientifico di ‘Greenaccord’ – utilizzare le risorse in modo più efficiente, superando l’idea che lo spreco sia il motore dello sviluppo”. Da un mondo grigio “che nasconde le disuguaglianze e umilia le differenze”, il messaggio dei giornalisti del Sud del mondo e degli esperti afferma che bisogna muoversi verso un mondo nel quale “soluzioni e culture originali siano considerate una ricchezza”. MISNA 28.11.08 La crescita che rende povero il mondo 7 Europa - Africa Manifestazione pacifica a Roma U na ricchezza per i vescovi africani ed europei: “Lo straniero non può essere visto come una minaccia o un problema, ma piuttosto (…) come un migrante o un rifugiato che dovrebbe essere accolto come un figlio di Dio, creato a sua immagine e somiglianza, e che per questo possiede dignità e diritti inalienabili”. A sottolinearlo sono i vescovi che nella città inglese di Liverpool hanno partecipato a un seminario del Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (Ccee) e del Simposio della Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam). Nel messaggio diffuso al termine dell’incontro, intitolato “Ero straniero e mi avete accolto. Le migrazioni, nuovo spazio di evangelizzazione e solidarietà”, si sottolinea il carattere ormai globale del fenomeno migratorio. “Siamo convinti – affermano i vescovi – che il migrante sia un’occasione della grazia divina e che porti con sé una 8 nuova ricchezza di cultura, spiritualità, intelligenza, comprensione, creatività e soprattutto umanità”. A segnare le riunioni di Liverpool, tra il 19 e il 23 novembre, è stata la riflessione sulle ragioni dell’“accoglienza” e della cura pastorale dei migranti. “Le Conferenze episcopali regionali e nazionali devono dare priorità allo studio di questo fenomeno – sottolineano i vescovi – con l’obiettivo di trovare le cause profonde delle migrazioni e in particolare dei flussi di rifugiati, esuli, richiedenti asilo e persone prive di cittadinanza. Ci si dovrebbe concentrare sui diritti umani e la dignità sociale di queste persone, che sono nostri fratelli e nostre sorelle, e delle loro famiglie, della loro identità e del loro patrimonio culturale, che non dovrebbero essere compromessi in alcun modo”. Al seminario di Liverpool è intervenuto anche monsignor Agostino Marchetto, segretario del Pontificio consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti. In apertura dei lavori, il presule ha sottolineato la necessità di un’adeguata formazione di sacerdoti, religiosi e laici, per far fronte ai “problemi sollevati dalla sollecitudine pastorale per i migranti”. INTERNAZIONALE 28.11.2008 Ero straniero e mi avete accolto Bolivia Vita missionaria D a 40 anni mi trovo in America Latina. Dopo i primi 5 anni (196872) in cui ho frequentato gli studi teologici all’Università Cattolica di Santiago e ho ricevuto il dono del Sacerdozio, ho svolto il mio ministero nel Cile (23 anni), in Argentina (10 anni) e ora, da 7, nella Bolivia, prima a Oruro e attualmente a Cochabamba. Mi sto domandando adesso, a modo di breve verifica, come ho fatto il “missionario” e se veramente lo sono stato. Ho rinchiuso il termine tra virgolette perché, quando sono partito da Monte Berico nel novembre del 1967, nella mia mente e immaginazione di giovane frate (avevo 22 anni) occupava il primo posto la figura tradizionale del “missionario”, quella che percorreva infinite strade piene di pericoli, di disagi e avventure varie per salvare anime, e non tanto, invece, quella del “missionario del vangelo vissuto e annunziato nel contatto giornaliero con tante persone e nel cuore di popoli e culture ricchi di grandi valori diversi dai miei, ma pur validi e chiari. Questo l’ho imparato più tardi: bellissimo! Il missionario è colui che si inserisce in mezzo alle grandi diversità di popoli per condividere fedelmente con loro la propria diversità arricchita dalla sua fede in Cristo e dalla coerenza con il vangelo imparato di lui. A me poi, senza cercarmelo né avermelo proposto, è toccato di vivere una forma di missione non del tutto comune, ma certamente di prima importanza. Durante 24 anni ho svolto il compito di formatore e guida (due termini che ho sempre sentiti più grandi di me) di giovani desiderosi di essere religiosi e sacerdoti; cileni, argentini, brasiliani , boliviani e peruviani, dai loro primi passi in questa meravigliosa avventura, fino quasi alla meta. E durante gli altri anni, pur preso da altri compiti, sono stato sempre attento ad accompagnare giovani, e ad incoraggiarli nel cammino della consacrazione della vita al Signore. Mi sento molto contento di questa “missione”, alla quale non avevo per nulla pensato quando partii per America Latina, e ringrazio il Signore che mi sia stata affidata senza averla cercata e nonostante le mie povertà e condizionamenti umani. Ma ne sono contento perché ho imparato moltissimo e, in certo senso, anche ho salvato la mia fede e approfondito i motivi della mia stessa vocazione. Credo personalmente che sono molti i giovani, ragazzi e ragazze, più di quelli che si possano contare nelle statistiche, che in qualche momento della loro vita, hanno sentito nell’intimo della loro coscienza, nella sincerità della loro ricerca e, direi senz’altro, nel dolore dei loro dubbi e disillusioni, l’ideale, puro e affascinante, di dedicare la propria vita a qualcuno per sempre. E per molti seguire Cristo è il grande ideale. Oggi, la nostra società anche in America Latina, si sta impoverendo sempre più di questi ideali; ne presenta invece, e diffonde con tutti i mezzi, molti altri ideali attraenti, più facili e raggiungibili, più comodi e redditizi, quelli che offrono di tutto, rapidamente e a buon mercato, e che, una volta raggiunti, quasi sempre ti tolgono tutto lasciandoti nel vuo- 9 Bolivia to o nella più inutile superficialità. È questa appunto la maggior difficoltà per i giovani che scelgono l’ideale della “vita per Cristo”: è come una lotta fra ciò che vale la pena, nell’impegno e fedeltà d’ogni giorno, e ciò che è facilmente raggiungibile, senza fatica, che poi passa veloce lasciando il vuoto. Mi vengono alla mente fra l’altro le due luminose parabole narrate da Matteo al capitolo 13 sul tesoro nascosto in un campo e la perla di gran valore. Purtroppo la vita superficiale e la banalizzazione dei grandi valori proclamati dal Vangelo sono entrati anche in tante famiglie e, bisogna pur dirlo, nella vita e nel modo di procedere anche di preti e religiosi, per diverse ragioni e con distinte giustificazioni. Mi domando se anche nella mia vita. Allora, com’è possibile sostenere il cammino di quei giovani e incoraggiare altri? Io so che il Signore fa sbocciare “fiori” dove noi non siamo capaci. Ho imparato a sentire la grave responsabilità di coltivare la vocazione nel cuore di giovani a me affidati, con rispetto, gioia e dedizione. E ho provato pure l’amarezza di non sentirmi all’altezza di tale compito. Credo 10 che i grandi ideali abbiano bisogno oggi di essere illustrati da grandi modelli. Si sa che la gioventù, oggi, si appassiona dietro a idoli di moda, quelli che si ergono e crollano rapidamente, perché vuoti, senza consistenza, fatti solo per il consumo. Nell’umiltà della vita dei miei genitori, confesso di aver trovato i modelli di fede e di fedeltà che mi aiutano ancor oggi; così pure nella saggezza e fiducia di persone che mi hanno accompagnato nel mio cammino. Impossibile dimenticarmi di tante altre persone che ho conosciuto in America Latina, gente povera di mezzi, ma con un cuore grande e generoso. Mi sembra di intravedere nei giovani d’oggi, anche in America Latina, l’entusiasmo, la passione e la voglia di raggiungere le mete grandi e belle indicate dal vangelo o attratti dalle grandi sfide lanciate dalla realtà sociale odierna. Ma sento anche che aspettano da noi adulti, da noi “maturi”, i segni chiari e convincenti della nostra fedeltà a Cristo in mezzo alla superficialità e all’ambiguità del mondo d’oggi. fr. Giuseppe Sartori, osm. Bolivia Armonia con la natura V i voglio parlare dell’avvento, ma non come tempo di attesa del natale, ma di avvento del Regno di Dio, un avvento che sia comunione e pace con la natura. Avvento ci ricorda che la terra e il sole, e tutto lo spazio, tutto è abitato da creature. Se entriamo in contatto con le tradizioni di altri popoli, queste creature fanno parte delle credenze del popolo, e tutti noi possiamo entrare in contatto con loro e farle partecipi del nostro lavoro per l’avvento del regno di Dio. Questo avvento avrà un tono speciale: la comunione con la natura. Tutto l’universo parla di Dio, e con tutta la creazione dobbiamo lodare il nato Bambino. Per questo invitiamo ogni persona, ogni famiglia a incontrarsi con Dio trascendente che si manifesta nella bellezza della natura, secondo l’insegnamento di Gesù Cristo, “ama il tuo prossimo come te stesso” e “amatevi come io ho amato voi”. Quando camminiamo in mezzo alla natura, che in Bolivia è straordinaria, dobbiamo prendere coscienza di tutti gli spiriti che la abitano, e che sono esistiti molto tempo prima dell’apparizione dell’essere umano. Leghiamoci a loro, parliamo con loro, meravigliamoci davanti alla bellezza che si manifesta nei laghi, nei fiumi, nei boschi, nelle montagne, all’interno delle miniere, nelle nubi… e allora la natura si sentirà felice e si volgerà a noi da amica, e ci darà in regalo, la vitalità, la freschezza, la gioia, la ispirazione poetica, la salute del corpo e dell’anima (pensiamo allo stupendo “Cantico delle Creature” di san Francesco!). Chiamiamoli questi spiriti, lo spirito dell’acqua con il suo eterno movimento, lo spirito della terra sempre fecondo, che vengano e portino aiuto a tut- ti quelli che lavorano per l’amore, per la luce e la pace, per l’avvento del regno di Dio sulla terra. E anche quando si va in rive ai laghi, indirizziamoci allo spirito dell’acqua che è vita, e diciamogli: “Tu puoi fare molto per il bene dell’umanità. Influisci su quanti vengono a visitarti e a tutti i pescatori, i barcaioli, i pastori di greggi, ispira il desiderio di migliorarsi nella vita. Tu tieni questo potere e se insisti, le persone alla fine ti ascoltano”. Da ora in poi, quando vai in mezzo alla natura, pensa a tutti gli esseri viventi che abitano le grotte, gli alberi, le sorgenti, i laghi, il sole a la luna: chiedi che vangano a partecipare alla venuta del regno di Dio sulla terra. Frey Hugo Hernán Vargas Servo di Maria 11 Bolivia Un saluto alla creazione L e nostre mani sono come antenne che hanno il potere di captare correnti, forze e qualcuno potrebbe dire “ma questa è magia!” “Si, è magia!”, tutto quello che facciamo è magia: i maghi sono coloro che sanno utilizzare le proprie mani per ricevere e lanciare forze, per trattenerle e orientarle, per ampliarle o diminuirle. Non c’è nulla di cui spaventarsi, perché è il Creatore che ha dato questo potere alle nostre mani. Se sapessimo osservare, si riconoscerebbe in alcuni gesti della vita quotidiana l’impronta di questo sapere millenario in relazione alle nostre mani e ai suoi poteri. Osserviamo in tutti i paesi, quando le persone si incontrano e si congedano, che fanno? Alzano il braccio per inviare un saluto, oppure si danno la mano. La mano allora tra gli uomini serve per prendere e lasciare. È per questo che si deve stare molto attenti a quello che si fa con la mano: se uno ti saluta è per fare bene, o per dare vicendevolmente qualcosa di buono; se uno invece saluta o da la mano meccanicamente, distratto, assente, è inutile, ma per quanti sono attenti, è un gesto estremamente significativo con il quale si può consolare, animare. Rendere vive le creature offrendo molto amore. È necessario che un saluto sia vera comunione, che sia forte, armonico e vivo. La mano non è solo un mezzo per entrare in comunione tra noi uomini, ma è anche un mezzo di comunione con la natura. Quando al mattino si apre la finestra o la porta di casa, abituiamoci a salutare tutta la natura, gli alberi, il cielo, il sole, alziamo la mano e diciamo “buon giorno” a tutta la creazione. Qualcuno potrà di- Fra Bernardino e fra Hugo. re “ma questo è utile? Serve a qualcosa?”. Si, serve per iniziare la giornata con un atto fondamentale, guardare alla fonte della vita, e allora la natura apparirà essa stessa aperta e offrirà la forza della sua armonia, della sua bellezza per tutta la giornata. È tempo di capire che c’è un lavoro da fare con il proprio pensiero, con l’amore, perché la natura si apra a noi. Quando vediamo i fiumi, i laghi, le montagne, indirizziamo loro un saluto con il cuore. Quando vediamo gli uccelli levarsi in volo, con la mano mandiamo loro un saluto: sentiremo nel nostro cuore un equilibrio nuovo, un’armonia che allontana tante oscurità e incomprensioni, semplicemente perché abbiamo deciso di essere in pace con tutti gli esseri viventi aprendoci all’amore e alla vita. Il giorno in cui impariamo mantenere una relazione cosciente con la Creazione, sentiremo anche la vita penetrare in noi. È un fatto di comunione universale e cosmica che si tradurrà in una nuova coscienza per l’uomo e per la donna. Auguri dalla comunità del Santuario della nostra Signora del Socavon, la Vergine ammantata di stelle, stella del mattina, madre della Vita vi benedica. Fray Hugo Hernán Vargas Bravo 12 Bolivia Inizia il pellegrinaggio M Ballerine - ballerini davanti alla Madonna. tradizionalmente sono quelli che vi partecipano per la prima volta; in una delle celebrazioni della giornata partecipano alla Messa e alla comunione. E danzatori entrano in ginocchio e cantando i loro inni alla Vergine del Socavon. Molti piangono, perché nonostante in questa occasione siano stati senza le bande musicali, desideravano giungere ai piedi della Vergine per offrire le loro danze per il Carnevale di Oruro. Gli oltre mille ballerini hanno dimostrato la loro fede e la loro devozione alla Vergine del Socavon promettendo di ballare per tre anni consecutivi nel Carnevale di Oruro. Nella città di Oruro, ogni prima domenica di novembre, inizia una delle attività maggiori della città con il primo raduno e l’apertura delle festività del Carnevale di Oruro 2009, anche se quest’anno, eccezionalmente, si è fatto la seconda domenica di novembre per rispetto alla tradizionale festa dei morti e di tutti i santi. LA PATRIA 10/11/2008. ille danzatori hanno dimostrato il loro amore alla Vergine del Socavon, patrona principale del Carnevale di Oruro, opera somma del Patrimonio orale e intangibile della umanità. La Vergine è venerata anche come la Vergine della candelora, che illumina il cammino felice di Oruro. In questo primo raduno ha pesato l’assenza delle bande musicali, ma l’incontro si è svolto normalmente, nonostante alcuni contrattempi a causa di ritardi, e con più entusiasmo di sempre, perché tutti si sforzarono di cantare e ballare, a sistemare gli altoparlanti per rimpiazzare i musicisti. Il primo raduno è un rituale che compiono i devoti danzatori di Oruro per la loro festa principale, e 13 Argentina È bello che i fratelli stiano insieme!... L’ 8 dicembre, festa dell’Immacolata, con un caldo da matti, abbiamo chiuso il mese di Maria. Al mattino ci fu la Messa in due paesetti: padre Bruno a El Rabón ed io a Tacuarendí. Alla sera p. Bruno è andato a Yaguareté. A San Antonio de Obligado hanno organizzato una “serenata alla Madonna”, perchè io non potevo stare contemporaneamente in due parti… Dicono che la serenata è riuscita molto bene. Io sono rimasto in parrocchia. Alle ore 20 i fedeli sono arrivati dai loro rispettivi quartieri con le loro Madonne. Io davo il benvenuto ad ogni gruppo. Faceva caldo forte, benché il sole stesse tramontando. La chiesa strapiena. Ho fatto una predica, applaudendo Dio infinitamente buono, che P. Nico con p. Roberto. sempre ci confonde con le sue meraviglie, tra cui la creazione di Maria. Applausi per Dio, applausi per la Madonna. Abbiamo anche applaudito Dio con l’applauso della pioggia, domandando la pioggia... E oggi è un giorno di pioggia, lenta però intensa. Il padre Roberto giovedì scorso, al momento di andare a dormire, è caduto e si è fratturato il bacino sulla sinistra. Ora sta in ospedale ad Avellaneda, a 100 km da qui. Per noi è un sacrificio enorme. In questo momento io sono solo in casa. Padre Bruno e Fra Adolfo stanno ad Avellaneda per tutte le pratiche necessarie. I nostri buoni amici laici e si turnano su e giù per assisterlo. Se riusciamo ad avere la protesi, giovedì dovrebbero operarlo. Cosa sarà di lui? Penso che sarà l’ultima breve tappa della sua vita: 68 anni! Chi è che non conosce p. Roberto a Las Toscas? Io l’ho sperimentato personalmente negli otto mesi di presenza. Quando esce, 14 tutti lo salutano, “Ciao Roberto, come stai? Come va la pesca? e il fiume?” Uomo retto, sensibile, colto, amante delle cose divine, della liturgia, della catechesi, rispettoso del pensiero degli altri e nello stesso tempo, fermo nelle sue idee. Nato ad Avellaneda, è quindi un buon conoscitore della realtà argentina, e in particolare dello Stato di Santa Fé. Da quasi due anni la sua salute è peggiorata con il Parkinson, l’Alzaimer, e la pressione sempre molto bassa, ha un cuore solido e giovanile con i suoi 68 anni. Nella nostra comunità è un regalo: lo cerchiamo molto, scherziamo insieme, ridiamo, lo aiutiamo in tutto, guardiamo con lui le partite di calcio, soprattutto quando gioca il River, accettiamo le sue battute. Roberto non ci pesa, e così deve essere, è nostro fratello. In questo ultimo periodo la sua testa funziona a suo modo: vede gente in camera, vede (solo lui) bambini che non vogliono tornare a casa; di certo questi sono pensieri della sua vita passata. A quanti lo visitano (e anche quando non c’è nessuno) parla del catechismo: Gesù Cristo, i sacramenti, la Vergine, il natale, la croce, la morte: predica a voce alta, celebra battesimi, matrimoni, funerali, ovviamente senza che ci sia alcuno presente. Quando parla non si fa capire bene, ma tutti i suoi discorsi ci dicono che è stato un buon pastore. In questi giorni mi emoziona vedere la preoccupazione dei fedeli, molti telefonano per avere notizie, e tutti si impegnano, facendo i turni, per assisterlo, sia per il tempo che sta in clinica che per quando sta in casa, giorno e notte. Non faccio nomi perché dovrei fare il nome di tutti, e sempre escluderei qualcuno. Tra tutti questi, ci sono i nostri cari amici infermieri e medici, perfino un neurologo da Resistencia è venuto a fargli visita. Grazie, Signore! Come sei buono con noi! E grazie, cari amici, a tutti voi che molto amate p. Roberto. Un giorno il Signore Gesù dirà “ero infermo, e siete venuti a visitarmi”. P. Nico Sartori, parroco Cile “Asado” per catechisti F in dall’inizio dell’anno mi sono trovato con circa 150 catechisti. Mai ne ho avuti cosí tanti negli anni in cui sono stato parroco, in Cile e in Bolivia. Eppure ne avrei bisogno ancor di più: sono oltre 600 i bambini con le rispettive mamme, che nei prossimi due anni frequenteranno il corso di preparazione alla prima Comunione, perciò necessitiamo di “animatrici di gruppi di bambini” e di “guide di gruppi di mamme”. Inoltre sono circa 400 i ragazzi del corso di due anni per la preparazione alla cresima e anche per loro abbiamo bisogno di “catechisti”. In realtà devo parlare di “catechiste”, di donne: sono il 95%, mentre i catechisti maschi sono il resto 5%. Noi uomini siamo sempre educati dalle donne: le mandiamo in avanguardia, mentre noi restiamo in retroguardia, per… difendere le spalle. Il fatto è che, vedendo questa grande gruppo di aiutanti mi sono proposto di offrire un premio. Quale? All’argentino piace mangiare “el asado”, la carne alla griglia, allo spiedo. Ecco perciò che verso la fine dell’anno catechistico ho buttato lì una parola: “Che ve ne pare se dopo le prime comunioni e le cresime vi regalo un asado”? “Scherza, Padre”? “Non scherzo”. “Da la parola”? “Parola d’onore del vostro parroco”. E naturalmente ho dovuto mantenere la promessa. La parrocchia offriva “el asado” e il pane; i catechisti ci mettevano il resto. Dove trovare i soldi per acquistare tanta carne e tanto pane? Ho bussato alle porte: un amico industriale mi ha regalato tutta la carne (80 chili) e un altro amico panettiere mi ha regalato tutto il pane. Altri quattro amici hanno preparato la festa. Arrivato il gran giorno, ci siamo trovati in chiesa per un momento di riflessione e preghiera. Letto il brano della lettera di san Paolo agli Efesini, ho parlato della dignità umana, della vocazione cristiana alla quale tutti siamo chiamati fin dal battesimo. Abbiamo pregato, cantato, ed ho terminato dicendo: “La celebrazione è finita. Adesso potete andare tutti a mangiare in pace a casa vostra”. La risata è stata generale. Nel gran capannone parrocchiale già era tutto pronto. Un profumo invitante attirava l’attenzione, l’appetito non mancava e, anche senza volerlo, tutti avevamo l’acquolina in bocca. In un momento ogni posto è stato occupato, e abbiamo incominciato a darci da fare. È stato bello vedere come ognuno apriva il proprio pacchetto per condividere con gli altri il cibo e le bibite che avevano portato. Gli uomini si incaricarono di servire la carne e il pane in tavola. Applausi, scherzi, risate. Purtroppo non erano tutti presenti, ne mancava circa un terzo, specialmente dai paesi vicini, ma fu molto bello lo stesso. Le finalità dell’incontro furono tre: ringraziare il Signore per l’anno di catechismo, condividere un’ora di gioia insieme e, da parte mia, riconoscere il gran servizio che tutte queste buone persone hanno prestato alla parrocchia. E aggiungiamo anche un’altra finalità: invogliarle a continuare a prestare il loro servizio anche il prossimo anno. Di passaggio, per la visita canonica, c’era pure mio fratello p. Giuseppe da Cochabamba in Bolivia, e anche lui si è goduto l’esperienza, che ho pensato ripetere il prossimo anno. Padre Nico, osm 15 Brasile Più voce ai poveri 16 governanti devono capire che occorre ascoltare di meno gli analisti del mercato e più gli esperti di questioni sociali” ha aggiunto Lula, esprimendo l’auspicio che Brasile e Italia arrivino con una posizione comune al vertice del G20 di Washington. “Abbiamo espresso una comune preoccupazione per l’attuale crisi finanziaria mondiale e concordato sulla necessità di dare al problema della stabilità dei mercati una soluzione condivisa” ha detto Napolitano, aggiungendo: “Sono certo che paesi emergenti come il Brasile possano dare un contributo significativo all’elaborazione di politiche concertate e incisive sul piano internazionale, alla definizione di nuove regole e anche di nuovi assetti istituzionali”. Il presidente italiano si è anche detto convinto “che sotto l’autorevole guida del presidente Lula, il Brasile continuerà ad essere punto di riferimento imprescindibile per una sempre più proficua collaborazione fra Europa e America Latina”. Lula è stato ricevuto da Benedetto XVI, dopo aver incontrato alti rappresentanti del mondo politico e industriale italiano. MISNA 11.11.08 “L’ attuale crisi rappresenta una straordinaria opportunità per riflettere sugli errori compiuti e creare un nuovo ordine mondiale in cui l’essere umano, il lavoratore, lo sviluppo, la produzione agricola e industriale siano il vero scopo dell’economia e non la speculazione finanziaria”. Ricevuto al Quirinale dal capo dello stato italiano Giorgio Napolitano, nel secondo giorno della sua visita ufficiale in Italia, il presidente Luis Inacio Lula da Silva ha sottolineato la necessità di “agire in modo coordinato di fronte alla turbolenza finanziaria globale” rivendicando “più voce e più diritto di voto” per i paesi poveri nei consessi internazionali. “I Messico Ricordi di vita F ra Andrea Maria Ponso, per 52 anni missionario in MesFra Andrea riceve il crocifisso. sico, era nato il 27 novembre 1925 a Lozzo Atestino in provincia di Padova. Ordinato sacerdote il 25 luglio 1950, e specializzatosi in teologia nel 1951 a Innsbruk (Austria), trascorse i primi anni del suo ministero sacerdotale nel convento di Pietralba (Bolzano). Nel 1956, nella basilica di Monte Berico, ricevette il Crocefisso di Missionario per partire verso le terre messicane. Giunto in Messico si stabilì in una piccola casa a Tigua, in El Paso Texas (USA). I primi tempi ha prestato i suoi servizi sacerdotali in varie parrocchie di El Paso e dintorni, fino a quando giunse il permesso di celebrare in un garage e poi in una piccola chiesetta intitolata alla Vergine Addolorata in El Paso. In seguito e per diversi anni, è stato parroco a Sant’Ignazio di El Paso, fino a quando nel 1965 i giovani studenti di teologia giunsero ad El Paso. Nel 1968 venne trasferito a Città di Messico, nella parrocchia della Divina Provvidenza dove rimase fino al 1973 quando venne destinato alla chiesa di Nostra Signora del Rosario in Ciudad Juarez, per poi far ritorno a El Paso nella parrocchia della B.V. Addolorata, dove ricoprì gli uffici di priore e parroco per diversi anni e dove rimase anche semplicemente come frate della comunità. Io sono stato con lui con i giovani professi teologi, dei quali io ero maestro formatore e lui era priore della comunità, prima che la nostra chiesa diventasse parrocchia nel 1977. La gente lo ricorda specialmente per la sua predicazione sempre basata sulla Sacra Scrittura ed esposta con chiarezza: è risaputo che passava gran parte della sua settima- na preparando le sue omelie e studiando Sacra Scrittura e Teologia. La sua vita fin dalla giovinezza è stata in qualche modo impostata sullo stile dei Servi di Maria dell’Austria, che tanto conosceva e ammirava, per aver completato i suoi studi in quei conventi dell’Ordine. È stato anche un esperto amministratore: la Provincia messicana dei Servi di Maria deve molto a lui e al padre Angelo Vedelago se da diverso tempo può vivere con una situazione economica ordinata. Padre Andrea è stato un vero Servo di Maria per lo stile di vita, per il grande amore verso l’Ordine, per la fedeltà al suo servizio e per la grande devozione verso la Vergine Maria. Negli ultimi anni in cui non poteva più leggere, lo si vedeva pregare continuamente con il rosario in mano e trascorrere molte ore al giorno in confessionale nel dialogo con la gente. Era molto interessato allo sviluppo del nostro Ordine, specialmente con le ultime aperture missionarie in Indonesia. Lo ricordo anche come un uomo ricco di umanità e, a parte certe apparenze, era generoso. Ricco ed esperto di umanità, conoscendo bene le strade della vita, sapeva consigliare e dare speranza. Nelle situazioni difficili, sapeva infondere calma e tranquillità. Gli ultimi anni della sua vita li passò da infermo, ma li ha affrontati con serena rassegnazione. Grazie Andrea, per il tuo bell’esempio di vita. Fr. Tomas M.Xotta Fra Andrea. 17 Aysén o scorso 26 agosto all’età di 95 anni è morto il p. Giuseppe Bellò Marcolin, religioso sacerdote Servo di Maria, lasciando molte tracce incancellabili nei luoghi dove visse la sua vocazione missionaria nella Regione dell’Aysén in Cile. Durante quasi 50 anni della sua vita, p. Josè (Giuseppe in italiano), come lo hanno chiamato sempre in Aysén, si è impegnato con la gente dell’Aysén educando ed evangelizzando. Fu il primo missionario che ha stabilito la sua presenza nel Baker, aprendo una scuola-famiglia per bambini e ragazzi e costruendo la prima chiesetta a Cochrane nel 1961. Dopo la sua morte, il confratello p. Vladimiro Memo, ne ha tracciato una breve profilo, affermando che “P. José si sentiva chiamato ad essere uomo di frontiera, fissando la sua presenza nei luoghi più lontani della missione, prima in Africa, poi in Bolivia e infine per quasi 50 anni in Aysén”. Puerto Aguirre fu il suo secondo impegno in Aysén, dove svolse il suo servizio per undici anni come parroco, insegnò inglese e religione nelle scuole e costruendo la chiesa di Estero Copa e la casa della dottrina cristiana di Puerto Aguirre, dando vita e for- 18 mando pazientemente le tre comunità cristiane dell’isola. “Furono anni difficili, ma p. Josè amava le sfide e sapeva affrontarle con fermezza e costanza” afferma p. Memo, che aggiunge “che come servo della santissima Vergine Maria, alimentava la sua vita di missionario con la preghiera frequente del Rosario, e che comunque pregava ogni giorno con i fedeli”. Il suo ultimo servizio pastorale lo prestò per ben 14 anni a Chile Chico, dove infaticabile costruì e sviluppò il centro pastorale al servizio della popolazione del lago General Carrera. Attorno all’immenso lago G. Carrera ha costruito una ad una le cappelle per il servizio religioso dei cristiani: Bahia Jara, Fachinal, Mallin Grande, Las Chacras. La sua ultima fatica è stata la ricostruzione del tetto della chiesa distrutto dal vulcano Hudson. Ritiratosi negli ultimi anni nella comunità dei Servi di Maria di Coyhaique, impiegò il suo tempo scrivendo e pubblicando le sue memorie raccolte in due libri: “Il progetto Baker” e “Esperienze di vita”. P. Josè ha amato questa terra di Aysén e ha voluto donarle la sua vita fino all’ultimo respiro. I suoi resti mortali riposano nella cripta della Cattedrale di Coihyque. Fra Josè e fra Bernardino. PUENTES DE AYSÉN - TRAD. F.P. L’ultimo addio al prete del popolo L Uganda Servi per sempre I l 20 dicembre 2008 fra Stephen Ggita e fra Francis Kawuki giovani frati ugandesi, hanno emesso la professione solenne nell’Ordine dei Servi di Maria, dopo il lungo periodo di preparazione e di studio durato circa nove anni. La celebrazione ben preparato e partecipata da un gran numero di sacerdoti, frati, suore e familiari dei frati professi, è stata seguita anche con intensa e gioiosa partecipazione dalla gente della Parrocchia di Kisoga. Il p. Giuseppe Xotta delegato del Priore provinciale, ha presieduto la celebrazione e ha ricevuto, a nome del Priore generale, i giovani fra Stephen e fra Francis, definitivamente nell’Ordine dei Servi di Santa Maria. Nello stesso giorno sr. Giuditta delle suore Mantellate Serve di Maria della comunità di Kisoga ha celebrato il giubileo della sua professione religiosa, il 50° anniversario della professione religiosa. fra Stephen e fra Francis con sr. Giuditta È stata una duplice celebrazione di gioia e festa durata tutto il giorno. Un cordiale ringraziamento da parte di tutti a sr. Giuditta per il prezioso servizio che svolge a Kisoga e nella Chiesa in Uganda. Preghiamo perché continui a godere buona salute e invochiamo su di Lei la benedizione di Dio. Jesu Doss 19 USA La casa della morte È possibile che la più grande democrazia del mondo, gli USA, che accoglie tra i suoi cittadini le razze di quasi tutto il mondo, le culture, le lingue e le religioni senza differenze sia anche tra le prime nazioni al mondo per condanne a morte? È una domanda legittima, soprattutto dopo la moratoria mondiale della pena di morte chiesta e votata all’ONU, e dopo l’elezione di Barak Obama a presidente degli Stati Uniti. Riprendiamo dall’agenzia Misna del 30.11.2008 l’intervista al religioso americano, cappellano delle carceri di Huntsville, e la riproponiamo ai nostri lettori. Aiutiamoci a riflettere sulla vita, ora che è appena trascorso il natale, perché anche da noi, in Italia, di fronte a certe azioni malvagie e violente, che indubbiamente devono essere punite, qualcuno, forte del consenso popolare, cavalcando l’irrazionalità emo- Guantamano. tiva della gente, invoca gravi azioni punitive, se non addirittura la pena di morte, per i trasgressori delle leggi. “Per 15 anni ho assistito agli ultimi istanti di vita di 95 condannati a morte nella prigione di Huntsville, in Texas” racconta il reverendo Carroll Pickett, cappellano della prigione di Huntsville dalla prima esecuzione nel dicembre 1982 fino alla fine di agosto 1995, in un’in- 20 tervista pubblicata dal quotidiano “Dallas Morning News”. Quindici anni durante i quali le idee del reverendo Pickett sono cambiate radicalmente: “All’inizio credevo che la pena di morte fosse giusta e necessaria; sono cresciuto in Texas, nel ‘selvaggio West’, dove pensi che sia normale, ma quando ho accompagnato la prima volta un condannato nella camera della morte per l’iniezione letale ho capito che non serve, né alla giustizia né alla morale”. Tutte le volte ha pregato insieme ai condannati, ascoltato le loro ultime parole e infine osservato come il liquido letale entrava nelle loro vene. “Al tempo della prima esecuzione, nel 1982, vivevo da solo e quando sono tornato a casa avevo bisogno di parlare... Ho preso un registratore e ho tirato fuori tutto quello che avevo dentro: da allora dopo ogni esecuzione ho sempre registrato quello che avevo visto, che mi avevano raccontato i condannati prima di morire”. I ricordi e le impressioni del reverendo Pickett poi sono diventate parte di un documentario, intitolato “Sulla porta della casa della morte”, nel quale si racconta il dramma della pena capitale attraverso lo sguardo di chi nel braccio della morte ci lavora, cappellani, assistenti sociali e guardie carcerarie: “Il sistema non funziona, le esecuzioni non fanno diminuire la criminalità e le sentenze sono applicate in modo ingiusto” prosegue padre Pickett. “Quando ho iniziato il servizio nella prigione di Huntsville non sapevo che mi sarei ritrovato nella camera della morte; non l’ho mai considerato un lavoro, perché non credo in un lavoro dove si uccide la gente: da allora, mi hanno sempre chiamato ‘cappellano della morte’, un giornale mi ha anche chiamato ‘angelo della morte’, ma sempre di morte”. Istria Testimone di Cristo D opo la solenne cerimonia di beatificazione di don Francesco Bonifacio alla quale abbiamo partecipato in tanti a san Giusto il 4 ottobre, dopo la commemorazione, un po’ in sordina, tenuta sabato 18 ottobre nel duomo di san Giorgio a Pirano, la cittadina dov’era nato, ecco la solenne celebrazione eucaristica di Grisignana a cui abbiamo partecipato sabato 15 novembre. Si susseguono dunque i festeggiamenti in onore del nuovo Beato, richiamando folle di fedeli, e non solo istriani. È un prete delle nostre terre, ma anche un martire della Chiesa universale, è una delle tante vittime delle foibe, ma anche prototipo di quanti hanno lasciato la vita tragicamente per l’odio dei fratelli e per coerenza con la propria fede. L’Azione Cattolica Italiana l’ha assunto come testimone; lo sente suo la gente croata che vive ora sulle terre dove ha esercitato il suo ministero sacerdotale fino al giorno della sparizione, quell’11 settembre 1946. Il duomo dedicato a san Vito si riempie come non mai in questo sabato novembrino che richiama l’estate di san Mar- tino. Il sole rende più smaglianti le case di questa cittadina, che può considerarsi la capitale istriana dell’arte, e rende più luminosa la chiesa. Alle 11 più di quaranta fra vescovi e sacerdoti, partendo dalla vicina chiesetta dei santi Cosma e Damiano, si avviano processionalmente verso il presbiterio dove staranno stretti stretti. Il giovane parroco, don Luka Pranjic, che aveva l’arduo compito di predisporre il tutto per un evento così straordinario accoglie ora il suo vescovo, mons. Ivan Milovan, il nostro, mons. Eugenio Ravignani, e altri due vescovi emeriti. Non poteva mancare mons. Giuseppe Rocco che in questa chiesa era giovane cappellano (come don Luka) quando accolse l’ultima confessione di don Francesco. Molti i fedeli venuti da Trieste con pullman o macchine private, per primi i dirigenti diocesani dell’Azione Cattolica e della Caritas di Trieste. Troppo piccola sarebbe stata la chiesina di Krasica, o Villa Gardossi, per contenere tutti i fedeli, ma anche il duomo di Grisignana si rivela insufficiente. Il rito si svolge armoniosamente nelle due lingue, croato e italiano; grande 21 Istria Grisignana: scorcio. commozione quando il coro di Grisignana, Tribano e Villa Gardossi, diretto dal maestro Gallo, intona l’inno a don Bonifacio composto da Marco Sofianopulo o il ‘Gloria’ in italiano. L’omelia è duplice: a quella in croato di mons. Ivan segue in italiano quella del vescovo Eugenio. Da entrambi viene ricostruita la vicenda terrena del beato Bonifacio, e viene ripercorso il sofferto iter per arrivare alla beatificazione. La sua memoria liturgica sarà sempre l’11 settembre, data della sua sparizione. “Siamo qui, dice mons. Ravignani, non solo per commemorare un sacerdote esemplare, ma anche per imparare da lui che cosa significa essere cristiani. Martirio non significa morire contro qualcuno, ma professare le propria fede. Le foibe di oggi si chiamano relativismo morale, indifferentismo, compromesso...”. Entrambi i vescovi auspicano che salga presto all’onore degli altari anche don Miro Bulesic, il prete croato ucciso nel 1947 anche lui “in odio alla fede”. Commovente il saluto del fratello Nino che vuol donare alla diocesi di Parenzo-Pola la cotta bianca e il crocifisso di don Francesco, custo- 22 diti con tanto amore dai familiari per tutto questi 62 anni. Nino è al centro delle attenzioni anche durante il pranzo che viene offerto generosamente a tutti nella sede della Comunità italiana di Crassiza. Il sole ci accarezza dolcemente mentre facciamo la fila per le ‘luganighe e i capuzi’ intrecciando discorsi in croato o in dialetto istro-veneto. Davanti a me c’è la nonna Radanich che mi fa vedere dove sorgeva la casa dei suoi, in cima al colle con una vista sul mare, e rievoca l’impressione fortissima dei suoi in quel settembre 1946 quando suonarono le campane delle cappellanie per quel giovane prete di 34 anni che a loro giovani parlava di preghiera dopo che lui stesso era stato in silenziosa adorazione dell’Eucaristia. Anche lei, come Nino e tutti noi, vorrebbe sapere dove giace il corpo straziato del martire in attesa della Risurrezione finale. Rita Corsi Grisignana: Duomo. Acqua 1-(settembre) Occorre organizzare al più presto una gestione efficiente delle risorse idriche, perché le riserve di acqua potabile sono a rischio: è il messaggio principale arrivato dal XIII Congresso mondiale sull’acqua che si conclude oggi a Montepellier, in Francia. Il segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale, Michel Jarraud, in un’intervista al quotidiano francese ‘Le Monde’ ha detto che “il passato non può più essere un indicatore affidabile: l’umanità deve rendersi conto dei mutamenti del clima, che hanno un’influenza fondamentale sul futuro delle risorse idriche”. La variabilità delle precipitazioni, secondo lo studioso, dovrebbe portare a una diminuzione della disponibilità di acqua, mentre la sua richiesta a livello mondiale è in aumento per la crescita demografica; allo stesso tempo, l’inquinamento sempre maggiore rappresenta il principale rischio per la qualità dell’acqua disponibile. Dall’incontro di Montpellier, al quale hanno partecipato più di 1300 delegati e che precede di qualche mese il Forum mondiale dell’acqua, previsto per marzo 2009 a Istanbul, è emersa una mappa delle aree critiche, dai fiumi africani all’irrigazione del riso in Cina, ai conflitti nati intorno alla gestione delle risorse idriche, che servirà a tracciare le linee guida della collaborazione internazionale sul tema 2-(settembre) “La situazione dell’acqua in America Latina è critica ed è strettamente collegata al processo demografico, alla crescita smisurata di alcune capitali, all’uso irrazionale di questa risorsa, all’eccessivo consumo quotidiano…I cambiamenti climatici, le migrazioni, l’inquinamento, l’espansione delle infrastrutture stanno alterando la terra e la sua dinamica e sono sfide che nessuna istituzione o paese possono affrontare da soli”. L’argentino Jorge Grandi, direttore dell’ufficio regionale per la scienza dell’Unesco (ente Onu per l’educazione, la scienza e la cultura), ha aperto nella sede del Mercosur (mercato comune dei paesi del Sudamerica) nella capitale uruguayana Montevideo la conferenza sul tema ‘Acqua e cambiamento globale’ in America Latina evidenziando la necessità di trovare “una posizione comune per la difesa delle risorse idriche della regione”. Organizzata dal Programma idrologico internazionale dell’Unesco, la conferenza riunirà fino a mercoledì i delegati dei paesi latinoamericani chiamati a stilare una ‘piattaforma d’azione’ per lo sfruttamento sostenibile del cosiddetto ‘oro blu’, in vista del V Forum mondiale dell’acqua, che si terrà in Turchia il prossimo anno. 3-(agosto) È l’Africa il continente più vulnerabile ai cambiamenti climatici, che causeranno nei prossimi anni un aumento globale delle temperature, una maggiore siccità nell’Africa occidentale subtropicale e una tendenza incerta delle precipitazioni nell’area tropicale: lo ha sostenuto Albdelkader Allali, vicepresidente del gruppo di esperti intergovernativo sull’evoluzione del clima (Giec), intervenendo in apertura dei lavori di una conferenza dedicata ai cambiamenti climatici a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso. Ad avvalorare queste conclusioni, uno studio di ricercatori tedeschi e africani secondo cui la stagione delle piogge in Africa è ritardata di un mese rispetto a 40 anni fa. Per gli stessi esperti, l’Africa conoscerà un forte riscaldamento e una notevole riduzione delle piogge nella parte subsahariana. La conferenza internazionale di Ouagadougou, organizzata da Burkina Faso, Marocco e Germania nell’ambito del progetto ‘Glowa’ (Cambiamento globale e ciclo idrologico) iniziato da Berlino nel 2000, mira a presentare i risultati di circa nove anni di ricerche sui cambiamenti climatici e il loro impatto sulle risorse idriche in Africa; si concluderà il 28 agosto. Secondo il Programma dell’Onu per l’ambiente (Unep), entro il 2020 tra 75 e 250 milioni di africani saranno esposti a una penuria di acqua. MISNA 5.10.08 Mondo 23 Uganda Trattore per Kisoga Il progetto “un trattore per Kisoga” ha lo scopo di contribuire all’autofinanziamento delle comunità della missione dell’Africa dell’Est. Il progetto, già proposto l’anno scorso, ha trovato qualche persona di buona volontà, ma quanto raccolto non basta (siamo arrivati a circa euro 5000,00). Noi rimaniamo fiduciosi, anche se siamo coscienti della realtà economica e sociale che stiamo attraversando. Scuola di Buenda Il villaggio di Buenda dista circa 15 chilometri dalla nostra comunità di Jinja. Ogni domenica celebriamo la Messa e aiutiamo i catechisti nel formare alla vita cristiana i bambini e gli adulti. La scuola, che raccoglie un centinaio di bambini, ha bisogno di essere sistemata (che almeno non piova dentro durante la stagione delle piogge!). Il desiderio di p. Tobias sarebbe quello di rifare il tetto di lamiera e di chiudere con delle pareti esterne le aule per aiutare i bambini, ma…mancano i soldi! Si cerca qualche sostenitore dell’iniziativa. I Frati Servi di Maria dell’Uganda Le offerte si fanno alla Posta con il Conto Corrente Postale N° 14519367 intestato a: PROVINCIA VENETA SERVI DI MARIA Viale Cialdini, 2 - 6100 VICENZA O alla propria banca tramite bonifico sul C.C. Bancario N° 2726 intestato a: SEGRETARIATO MISSIONI SERVI DI MARIA Via Cialdini, 2 - 36100 VICENZA presso: BANCO DI BRESCIA, filiale di Vicenza, Viale S. Lazzaro, 179 IBAN IT 75 CIN D ABI 03500 - CAB 11800 Indicare la causale del versamento: trattore per Kissoga / Scuola di Buenda Bimestrale di informazione e animazione missionaria dei frati Servi di Maria della Provincia di Lombardia e Veneto. www.missionimonteberico.it N. 1 - Gennaio/Febbraio 2009 - Anno LXXXV - Aut. Trib. Vicenza n° 150 del 18-12-1979 Corrispondente e amministratore: Polotto Francesco Direttore Responsabile: Giovanni Sessolo Redattori: Ganassin Eugenio, Sartori Domenico, Predonzani Bruno Recapito: Istituto Missioni Monte Berico - Viale E. Cialdini, 2 - 36100 Vicenza - Tel. 0444/559550 - Fax 0444/559557. Per invio di offerte usufruire del c.c.p. 14519367 intestato a: Provincia Veneta Ordine Servi di Maria “La Missione della Madonna”, Viale Cialdini, 2 - 36100 Vicenza - Stampa: Edizioni Zaltron, Vicenza - Tel. 0444/505542 Questo periodico è associato all’USPI Unione Stampa Periodica Italiana Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Vicenza Contiene inserto redazionale