Mattino - 1 gennaio 2009

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Mattino - 1 gennaio 2009
Mattino - 1 gennaio 2009
Benedetto
XVI
e la pace
in
Palestina
“C
ari fratelli e sorelle, la Terrasanta, che nei giorni natalizi è al centro dei pensieri e degli affetti dei fedeli di ogni
parte del mondo, è nuovamente sconvolta da uno scoppio di inaudita violenza. Sono profondamente addolorato per i morti, i feriti, i danni materiali, le sofferenze e le lacrime delle popolazioni vittime di questo tragico susseguirsi di attacchi e di rappresaglie. La patria terrena di Gesù
non può continuare ad essere testimone di tanto spargimento di sangue, che si ripete senza fine! Imploro la fine di quella violenza, che è
da condannare in ogni sua manifestazione, e il ripristino della tregua
nella striscia di Gaza; chiedo un sussulto di umanità e di saggezza in tutti quelli che hanno responsabilità
nella situazione, domando alla co-
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munità internazionale di non lasciare nulla di intentato per aiutare israeliani e palestinesi ad uscire da questo vicolo cieco e a non rassegnarsi
alla logica perversa dello scontro e
della violenza, ma a privilegiare invece la via del dialogo e del negoziato. Affidiamo a Gesù, Principe della Pace, la nostra fervida preghiera
per queste intenzioni e a Lui, a Maria e Giuseppe, diciamo: “O famiglia
di Nazareth, esperta del soffrire, dona al mondo la pace. Donala oggi
soprattutto alla Terrasanta!”
Se vuoi la pace,
O
ggi, primo giorno dell’anno civile, parliamo di pace, celebriamo la pace, perché la pace è il
bene sommo della civiltà, e perché al
principio del nostro operare dobbiamo
guardare al traguardo, al fine ultimo al
quale esso vuole giungere. Oggi è il
giorno dei programmi, il giorno dei
propositi. Noi vogliamo essere padroni
del tempo; lo vogliamo spendere bene.
Vogliamo dare un senso alla nostra vita.
La vita vale per il senso che noi le diamo, per la direzione che noi le imprimiamo; la meta, lo scopo a cui noi la rivolgiamo. Quale meta? Quale scopo?
La pace. E la pace, che cosa è? Noi lo
dicevamo: è il bene, che in questa vita
presente, la vita temporale, comprende
tutti gli altri, è l’ordine, il vero ordine,
non soltanto quello della disciplina esteriore, ma l’ordine che fa stare bene tutti gli uomini e tutto l’uomo; un ordine
che suppone che tutti abbiano ciò che
serve alla vita, il cibo, l’abito, la casa, la
scuola, il lavoro, il riposo, il rispetto, la
sicurezza; anzi una società libera, concorde, ordinata, onorata d’intorno a sé;
e di più cosciente del destino della vita,
e perciò colta e soprattutto religiosa
(perché la religione è la lampada della
vita; essa, ed essa sola, se è la vera religione, qual è quella cristiana, ci dà luce, e ci rivela il senso della nostra esistenza, e ci offre i mezzi per vivere bene e per salvarci, anche oltre la fine del
tempo che ci è dato per vivere). Si vede
subito che la pace è una cosa assai bella, ma è una cosa difficile; tanto difficile e complessa, che alcuni la credono
un sogno, un mito, una utopia. Noi invece diciamo
che la pace
è una cosa
difficile, sì;
difficilissima
anzi; ma è
una
cosa
possibile,
una cosa doverosa. Il che
vuol dire che bisogna lavorare molto
per ottenere la pace. Non si raggiunge
da sé. Non si mantiene da sé. Essa è
frutto di grandi sforzi, di grandi programmi. E, prima di tutto, è frutto della giustizia: Se vuoi la pace, lavora per
la giustizia. E facciamo attenzione: dobbiamo volerla tutti; tutti dobbiamo meritarla. Spesso noi pensiamo che a questo grande programma, quello di mettere ordine e pace nel mondo, di organizzare bene la società devono pensare
coloro che dirigono il mondo e la società; certamente, ma non esclusivamente.
La pace è un bene di tutti; e tutti dobbiamo collaborare per mantenerla, per
farla progredire. E in qualche modo
tutti e ciascuno in qualche misura, lo
possiamo, lo dobbiamo...”. Vi è una giustizia del mio e del tuo, che è difesa dal
famoso comandamento «non rubare».
Nessuno vuol essere chiamato ladro. E
vi è un’altra giustizia che riguarda la
natura stessa dell’uomo; la giustizia, la
quale vuole che ogni uomo sia trattato
da uomo. Voi lo capite subito. Sono tutti eguali gli uomini? In sostanza, sì. Ogni
uomo ha una sua dignità. Dignità inviolabile: guai a chi la tocca! piccolo o
grande che sia, povero o ricco che sia!
bianco o negro che sia! Ogni uomo ha
una sua carica di diritti e di doveri, che
gli meritano d’essere trattato come persona. Anzi noi cristiani diciamo che ogni
uomo è nostro fratello. Dev’essere trattato come fratello, cioè amato: l’anno
scorso, per la giornata della pace, abbiamo proprio meditato questa realtà:
ogni uomo è nostro fratello. E possiamo anche dire di più: quanto più l’uomo è piccolo, povero, sofferente, indifeso, decaduto anche, e tanto più merita d’essere assistito, sollevato, curato,
onorato! questo ce lo ha insegnato il
Vangelo; ma anche chi non crede all’autorità del Vangelo intuisce che quella parola divina ha ragione: questa è la
giustizia! questa è la via all’ordine, cioè
al diritto e al dovere dell’uomo; qui è
la giustizia, qui è la pace!
DOSSIER AGENZIA FIDES 29.12.08
lavora per la giustizia
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Medio Oriente
Che forza
contro
gli inermi!…
È proseguita per tutta la notte, con
“diverse decine” di incursioni aeree,
l’offensiva militare di Israele nella Striscia di Gaza: lo hanno riferito ufficiali di ‘Tsahal’ e fonti palestinesi, secondo le quali negli ultimi bombardamenti hanno perso la vita anche
sei bambini. Anche questa notte, la
maggior parte degli attacchi sembra
essersi concentrata su Gaza City. Testimoni hanno riferito che almeno
cinque missili hanno colpito l’Università islamica, un importante centro
culturale dal quale oggi si alzano colonne di fumo nero; sempre nel capoluogo palestinese, in centro città, i
caccia F-16 dell’aviazione israeliana
hanno distrutto l’edificio sede del ministero degli Interni. Le incursioni,
però, sono continuate anche nel nord
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e nel sud della Striscia. I responsabili
di un ospedale della città di Jabaliya
hanno riferito che quattro bambine
di una stessa famiglia, tra gli uno e i
12 anni, hanno perso la vita durante
un bombardamento su una moschea.
Due ragazzini sono stati uccisi nel corso di un raid nei pressi di Rafah, non
lontano dal confine con l’Egitto. Secondo un bilancio diffuso questa mattina dal capo dei servizi di emergenza della Striscia, Muauiya Hussanein,
l’offensiva iniziata sabato ha provocato almeno 310 vittime e 1420 feriti.
Stragi che, in attesa di una grande
manifestazione in programma oggi a
Beirut, alimentano a livello internazionale le richieste di immediato cessate-il-fuoco. “La Cina – ha detto questa mattina a Pechino il vice-primo
ministro Li Keqiang – è scioccata e
seriamente preoccupata per le operazioni militari a Gaza, che hanno causato un gran numero di morti e feriti. (…) Il mondo teme per il processo di pace in Medio Oriente: ricorrere alla forza armata per le risolvere le
differenze, soprattutto uccidere e ferire i civili, va contro questi
sforzi”. Ieri Israele ha richiamato in servizio 6500 riservisti dell’esercito. Insieme con
i movimenti di decine di blindati lungo la frontiera meridionale con la Striscia, questa misura accresce il timore
di un’offensiva di terra nella
regione palestinese. Ad accrescere la tensione è oggi
anche la notizia della morte
di un secondo israeliano colpito da un razzo lanciato dai
militanti della Striscia: secondo i servizi di sicurezza
israeliani, l’uomo è rimasto
ucciso mentre era al lavoro
in un cantiere edile nel centro di Ashkelon
Medio Oriente
“A mia figlia ‘Ala, che ha tre anni, dico che c’è una festa e che c’è gente
che si diverte facendo scoppiare palloncini colorati”: Tamer al-Bahari, palestinese e operatore di un’organizzazione non governativa attiva a Gaza,
non sa più cosa inventarsi per evitare
che la figlia di tre anni si ammali di
nuovo per la paura; raggiunto dalla
MISNA nel corridoio della sua casa, alBahari racconta di attacchi di una violenza inaudita e mai conosciuta, di
nuovi strumenti di guerra utilizzati
dagli israeliani e della piccola ‘Ala
che ieri lui stesso ha portato in ospedale perché aveva la febbre altissima.
“Non è influenza né raffreddore è
paura - aggiunge, mentre la cornetta
si trasforma in nitida testimone di nuove esplosioni - i medici dicono che
non è l’unico caso e che a causare la
febbre sono i boati delle esplosioni, i
vetri che vanno in frantumi, i rumori
di questa guerra; mi resta avvinghiata
tutto il giorno, non posso allontanarmi, la devo abbracciare in continuazione, farle sentire che le sono vicino”. A Gaza non ci sono solo i morti,
ci sono anche gli effetti indiretti di
ore ininterrotte di incursioni aeree e
bombardamenti: “Stanno usando di
tutto – continua ancora al-Bahari – ci
bombardano dal mare con le navi, ci
bombardano dal cielo con elicotteri,
aerei, ci lanciano contro i loro carri
armati; ci resta solo la speranza che
tutto finisca presto”. Come la maggior parte dei palestinesi di Gaza, anche al-Bahari deve fare i conti con
l’acqua e l’elettricità che mancano, e
con le scorte alimentari che non bastano. “Possiamo restare chiusi in casa per altri due giorni - aggiunge - poi
non avremo null’altro da mangiare;
stiamo razionando tutto e cerco di tenere carica la batteria del mio telefono cellulare. Per ogni esplosione che
sento provenire da nord chiamo il resto della mia famiglia che vive lì per
sincerarmi che stiano bene. L’esercito israeliano ci sta inviando anche messaggi di vario tipo; sul mio telefono
ne è arrivato uno in cui offrono 20
milioni di dollari per informazioni su
Gilad Shalit, il soldato israeliano tenuto in ostaggio a Gaza”. Altre esplosioni; nel corridoio della sua casa la
piccola ‘Ala si stringe al padre: “Ma
lo sa il mondo cosa sta succedendo
qui – si chiede Tamer – lo sanno che
dall’alba di oggi non si sono mai fermati? Che non ci sono solo centinaia
di morti, ma anche tante piccole ‘Ada,
l’angoscia di tanti genitori? Lo sa il
mondo che stiamo morendo?”.
MISNA 26.12.08
... e contro
i bambini…
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Mondo
LA RELIGIONE SOSTEGNO
I
l Rapporto 2008 sulla libertà religiosa nel mondo, a cura dell’Associazione pontificia Aiuto alla Chiesa che
soffre, offre uno spaccato delle sofferenze per la fede di centinaia di milioni
di persone. Anche AsiaNews ha contribuito a documentare le violazioni a questo diritto fondamentale che Benedetto
XVI ha definito “pietra angolare” dei
diritti umani. Scorrendo le pagine e seguendo ogni giorno gli avvenimenti dell’Asia attraverso
la nostra agenzia ci accorgiamo di alcune
elementi importanti: 1) le violazioni alla libertà
religiosa avvengono sempre più
per motivi di potere
e in disprezzo allo
sviluppo umano e
sociale dell’uomo.
In passato erano molto più frequenti le motivazioni
del fondamentalismo fanatico che vuole annientare le altre comunità confessionali; il rifiuto di religioni (come il
cristianesimo), legate a un passato coloniale; le motivazioni ideologiche marxiste, che volevano distruggere le religioni come “oppio del popolo”. Ora invece è chiaro che perfino in Cina o in
Vietnam, la lotta contro le religioni è
una lotta contro la libertà dell’uomo, la
possibilità di esprimere il proprio pensiero e costruire ambiti di dialogo e di
giustizia nella società. In Cina come in
Vietnam, il Partito comunista ha perso
ogni verve ideologica e cerca soltanto
di salvarsi dal crollo imminente a causa
dalla corruzione dei membri e dalle richieste di giustizia da parte di contadini
espulsi dalle proprie terre, cittadini stanchi dell’inquinamento, testimoni di so-
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prusi senza freno. Perfino le persecuzioni in India, pur con una forte dose
di integralismo religioso indù, sono motivate dall’interesse di partiti politici e
proprietari terrieri a mantenere come
schiavi i tribali e i dalit che convertendosi al cristianesimo, si aprono a una
nuova emancipazione sociale ed economica della loro vita. Da questo punto di
vista ci si accorge che imbavagliare le
religioni significa imbavagliare le voci
che parlano di libertà, di espressione,
di giustizia contro la corruzione; di sviluppo e di dignità. Le forze di potere
che lottano contro la libertà religiosa
vogliono Paesi chiusi, bloccati, senza sviluppo economico, per conservare i loro
monopoli e interessi. 2) Va registrato nel
mondo islamico un accento sempre più forte
di distacco dal terrorismo fondamentalista.
Ne è prova l’apertura di diverse chiese
negli emirati arabi e in Kuwait; il dialogo fra Arabia saudita e Vaticano; la difesa dei cristiani da parte delle organizzazioni musulmane moderate in Indonesia. Perfino la sorte dei cristiani irakeni è divenuta tema di dibattito nei giornali del Medio Oriente: questi cristiani
sono una fonte di cultura, di sviluppo,
di internazionalità, capaci di dialogare
con oriente ed occidente ed è un peccato perderli.
3) C’è un interesse crescente della società
civile mondiale verso la libertà religiosa come
base per costruire la pace. Basta pensare alle imponenti manifestazioni avvenute
nel mondo a favore dei monaci birmani; di quelle contro la Cina e la sua repressione verso i monaci tibetani. Questa opinione pubblica mondiale ha potere di influenzare gli Stati “canaglia”
della libertà religiosa, che alla fine temono solo questa. In Vietnam, grazie
all’attenzione internazionale verso i cattolici di Hanoi, il governo della città
non è riuscito a eliminare né la comu-
ASIANEWS ONLINE 24.XI.08
DEI DIRITTI UMANI
nità, né il suo vescovo. In India, anche
se dopo un mese dai massacri e dalle
distruzioni, il governo dell’Orissa ha dovuto aprire un’inchiesta sulle violenze
contro i cristiani. La Cina stessa, pressata dalla società civile del mondo intero,
ha dovuto riaprire i dialoghi con il Dalai Lama, fermi da anni. Per la popolazione civile del mondo è chiaro che la
libertà religiosa è il catalizzatore delle
altre libertà e la garanzia di ordine e di
pace nella società. 4) C’è sempre meno interesse dei governi mondiali verso questo tema.
L’incapacità a boicottare anche un solo
giorno di Olimpiadi a Pechino, in nome della “partnership strategica” e dei
contratti economici; la zoppicante e im-
potente altalena verso il regime birmano; il silenzio verso le violenze in India
mostrano che gli Stati sono presi sempre più solo dallo stretto interesse economico. La globalizzazione ha reso la
società civile mondiale più solidale; la
stessa ha reso i governi più succubi dell’economia. E noi temiamo che con la
recessione planetaria a cui stiamo per
assistere, il divario fra opinione pubblica e governi si allargherà di più.
Questa situazione conferma l’importanza della nostra informazione, attenta alla sorte di cristiani, buddisti, musulmani, indù: un aiuto per l’opinione
pubblica mondiale e per la pace nel
mondo.
Italia
“L
e economie industrializzate ed
emergenti esercitano una pressione spaventosa sulle risorse
naturali: dopo europei e nordamericani, a depredare l’Africa sono ora anche indiani e cinesi”. Andrea Masullo,
presidente del comitato scientifico dell’associazione ‘Greenaccord’, dice alla MISNA
che “il modello proposto dal
Nord del mondo non è capace di risolvere i problemi”. Del complesso rapporto tra crescita della produzione, degrado ambientale
e diffusione della povertà
hanno discusso nella città di
Viterbo 100 giornalisti provenienti soprattutto dall’Africa, dall’America Latina e dalle regioni più povere dell’Asia. Masullo dà il senso del forum di
‘Greenaccord’, intitolato ‘Ambiente e
sviluppo per il Sud del mondo’. “Alcuni mesi fa – dice l’esperto - l’organizzazione non governativa World Wildlife Fund (Wwf) e il gruppo di studio
dall’International Ecological Network
hanno diffuso una speciale classifica
fondata sull’impronta ecologica, un’u-
nità di misura allo stesso tempo economica ed ambientale, che calcola l’erosione del capitale naturale provocato dai consumi individuali: Canada e
Stati Uniti lasciano un segno sei volte
più profondo rispetto ai paesi del Sud
del mondo”. Secondo queste
stime, il prelievo delle risorse
naturali supera del 31% la capacità del pianeta di rigenerarsi. “La disponibilità di ricchezze si riduce e la crescita
economica celebrata da tanti
governi è in realtà impoverimento”. Dagli incontri di Viterbo, sono arrivate anche proposte per il futuro. “Bisogna
– sostiene il presidente del comitato
scientifico di ‘Greenaccord’ – utilizzare le risorse in modo più efficiente,
superando l’idea che lo spreco sia il
motore dello sviluppo”. Da un mondo
grigio “che nasconde le disuguaglianze e umilia le differenze”, il messaggio
dei giornalisti del Sud del mondo e
degli esperti afferma che bisogna muoversi verso un mondo nel quale “soluzioni e culture originali siano considerate una ricchezza”.
MISNA 28.11.08
La crescita
che rende povero il mondo
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Europa - Africa
Manifestazione pacifica a Roma
U
na ricchezza per i vescovi africani ed europei: “Lo straniero
non può essere visto come una
minaccia o un problema, ma piuttosto
(…) come un migrante o un rifugiato
che dovrebbe essere accolto come un
figlio di Dio, creato a sua immagine e
somiglianza, e che per questo possiede dignità e diritti inalienabili”. A sottolinearlo sono i vescovi che nella città
inglese di Liverpool hanno partecipato a un seminario del Consiglio delle
conferenze episcopali d’Europa (Ccee)
e del Simposio della Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam).
Nel messaggio diffuso al termine dell’incontro, intitolato “Ero straniero e
mi avete accolto. Le migrazioni, nuovo spazio di evangelizzazione e solidarietà”, si sottolinea il carattere ormai
globale del fenomeno migratorio. “Siamo convinti – affermano i vescovi –
che il migrante sia un’occasione della
grazia divina e che porti con sé una
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nuova ricchezza di cultura, spiritualità,
intelligenza, comprensione, creatività
e soprattutto umanità”. A segnare le
riunioni di Liverpool, tra il 19 e il 23
novembre, è stata la riflessione sulle
ragioni dell’“accoglienza” e della cura
pastorale dei migranti. “Le Conferenze episcopali regionali e nazionali devono dare priorità allo studio di questo fenomeno – sottolineano i vescovi
– con l’obiettivo di trovare le cause
profonde delle migrazioni e in particolare dei flussi di rifugiati, esuli, richiedenti asilo e persone prive di cittadinanza. Ci si dovrebbe concentrare
sui diritti umani e la dignità sociale di
queste persone, che sono nostri fratelli e nostre sorelle, e delle loro famiglie, della loro identità e del loro patrimonio culturale, che non dovrebbero essere compromessi in alcun modo”. Al seminario di Liverpool è intervenuto anche monsignor Agostino Marchetto, segretario del Pontificio consiglio della Pastorale per i migranti e gli
itineranti. In apertura dei lavori, il presule ha sottolineato la necessità di un’adeguata formazione di sacerdoti, religiosi e laici, per far fronte ai “problemi sollevati dalla sollecitudine pastorale per i migranti”.
INTERNAZIONALE 28.11.2008
Ero straniero
e mi avete accolto
Bolivia
Vita
missionaria
D
a 40 anni mi trovo in America
Latina. Dopo i primi 5 anni (196872) in cui ho frequentato gli studi teologici all’Università Cattolica di
Santiago e ho ricevuto il dono del Sacerdozio, ho svolto il mio ministero nel
Cile (23 anni), in Argentina (10 anni)
e ora, da 7, nella Bolivia, prima a Oruro e attualmente a Cochabamba. Mi sto
domandando adesso, a modo di breve
verifica, come ho fatto il “missionario”
e se veramente lo sono stato. Ho rinchiuso il termine tra virgolette perché,
quando sono partito da Monte Berico
nel novembre del 1967, nella mia mente e immaginazione di giovane frate
(avevo 22 anni) occupava il primo posto la figura tradizionale del “missionario”, quella che percorreva infinite strade piene di pericoli, di disagi e avventure varie per salvare anime, e non tanto, invece, quella del “missionario del
vangelo vissuto e annunziato nel contatto giornaliero con tante persone e
nel cuore di popoli e culture ricchi di
grandi valori diversi dai miei, ma pur
validi e chiari. Questo l’ho imparato
più tardi: bellissimo! Il missionario è
colui che si inserisce in mezzo alle grandi diversità di popoli per condividere
fedelmente con loro la propria diversità arricchita dalla sua fede in Cristo e
dalla coerenza con il vangelo imparato
di lui. A me poi, senza cercarmelo né
avermelo proposto, è toccato di vivere
una forma di missione non del tutto
comune, ma certamente di prima importanza. Durante 24 anni ho svolto il
compito di formatore e guida (due termini che ho sempre sentiti più grandi
di me) di giovani desiderosi di essere
religiosi e sacerdoti; cileni, argentini,
brasiliani , boliviani e peruviani, dai loro primi passi in questa meravigliosa
avventura, fino quasi alla meta. E durante gli altri anni, pur preso da altri
compiti, sono stato sempre attento ad
accompagnare giovani, e ad incoraggiarli nel cammino della consacrazione
della vita al Signore. Mi sento molto
contento di questa “missione”, alla quale non avevo per nulla pensato quando
partii per America Latina, e ringrazio il
Signore che mi sia stata affidata senza
averla cercata e nonostante le mie povertà e condizionamenti umani. Ma ne
sono contento perché ho imparato moltissimo e, in certo senso, anche ho salvato la mia fede e approfondito i motivi della mia stessa vocazione. Credo personalmente che sono molti i giovani,
ragazzi e ragazze, più di quelli che si
possano contare nelle statistiche, che
in qualche momento della loro vita,
hanno sentito nell’intimo della loro coscienza, nella sincerità della loro ricerca e, direi senz’altro, nel dolore dei loro dubbi e disillusioni, l’ideale, puro e
affascinante, di dedicare la propria vita
a qualcuno per sempre. E per molti seguire Cristo è il grande ideale. Oggi, la
nostra società anche in America Latina, si sta impoverendo sempre più di
questi ideali; ne presenta invece, e diffonde con tutti i mezzi, molti altri ideali
attraenti, più facili e raggiungibili, più
comodi e redditizi, quelli che offrono
di tutto, rapidamente e a buon mercato, e che, una volta raggiunti, quasi sempre ti tolgono tutto lasciandoti nel vuo-
9
Bolivia
to o nella più inutile superficialità. È
questa appunto la maggior difficoltà
per i giovani che scelgono l’ideale della “vita per Cristo”: è come una lotta
fra ciò che vale la pena, nell’impegno
e fedeltà d’ogni giorno, e ciò che è facilmente raggiungibile, senza fatica, che
poi passa veloce lasciando il vuoto. Mi
vengono alla mente fra l’altro le due
luminose parabole narrate da Matteo
al capitolo 13 sul tesoro nascosto in un
campo e la perla di gran valore. Purtroppo la vita superficiale e la banalizzazione dei grandi valori proclamati dal
Vangelo sono entrati anche in tante famiglie e, bisogna pur dirlo, nella vita e
nel modo di procedere anche di preti
e religiosi, per diverse ragioni e con distinte giustificazioni. Mi domando se
anche nella mia vita. Allora, com’è possibile sostenere il cammino di quei giovani e incoraggiare altri? Io so che il Signore fa sbocciare “fiori” dove noi non
siamo capaci. Ho imparato a sentire la
grave responsabilità di coltivare la vocazione nel cuore di giovani a me affidati, con rispetto, gioia e dedizione. E ho
provato pure l’amarezza di non sentirmi all’altezza di tale compito. Credo
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che i grandi ideali abbiano bisogno oggi di essere illustrati da grandi modelli.
Si sa che la gioventù, oggi, si appassiona dietro a idoli di moda, quelli che si
ergono e crollano rapidamente, perché
vuoti, senza consistenza, fatti solo per il
consumo. Nell’umiltà della vita dei miei
genitori, confesso di aver trovato i modelli di fede e di fedeltà che mi aiutano ancor oggi; così pure nella saggezza
e fiducia di persone che mi hanno accompagnato nel mio cammino. Impossibile dimenticarmi di tante altre persone che ho conosciuto in America Latina, gente povera di mezzi, ma con un
cuore grande e generoso. Mi sembra di
intravedere nei giovani d’oggi, anche
in America Latina, l’entusiasmo, la passione e la voglia di raggiungere le mete grandi e belle indicate dal vangelo o
attratti dalle grandi sfide lanciate dalla
realtà sociale odierna. Ma sento anche
che aspettano da noi adulti, da noi “maturi”, i segni chiari e convincenti della
nostra fedeltà a Cristo in mezzo alla superficialità e all’ambiguità del mondo
d’oggi.
fr. Giuseppe Sartori, osm.
Bolivia
Armonia con la natura
V
i voglio parlare dell’avvento, ma
non come tempo di attesa del
natale, ma di avvento del Regno
di Dio, un avvento che sia comunione
e pace con la natura. Avvento ci ricorda che la terra e il sole, e tutto lo spazio, tutto è abitato da creature. Se entriamo in contatto con le tradizioni di
altri popoli, queste creature fanno parte delle credenze del popolo, e tutti
noi possiamo entrare in contatto con
loro e farle partecipi del nostro lavoro
per l’avvento del regno di Dio. Questo
avvento avrà un tono speciale: la comunione con la natura. Tutto l’universo parla di Dio, e con tutta la creazione dobbiamo lodare il nato Bambino.
Per questo invitiamo ogni persona, ogni
famiglia a incontrarsi con Dio trascendente che si manifesta nella bellezza
della natura, secondo l’insegnamento
di Gesù Cristo, “ama il tuo prossimo
come te stesso” e “amatevi come io ho
amato voi”.
Quando camminiamo in mezzo alla natura, che in Bolivia è straordinaria, dobbiamo prendere coscienza di tutti gli
spiriti che la abitano, e che sono esistiti molto tempo prima dell’apparizione dell’essere umano. Leghiamoci a
loro, parliamo con loro, meravigliamoci davanti alla bellezza che si manifesta nei laghi, nei fiumi, nei boschi, nelle montagne, all’interno delle miniere, nelle nubi… e allora la natura si
sentirà felice e si volgerà a noi da amica, e ci darà in regalo, la vitalità, la freschezza, la gioia, la ispirazione poetica, la salute del corpo e dell’anima
(pensiamo allo stupendo “Cantico delle Creature” di san Francesco!).
Chiamiamoli questi spiriti, lo spirito
dell’acqua con il suo eterno movimento, lo spirito della terra sempre fecondo, che vengano e portino aiuto a tut-
ti quelli che lavorano per l’amore, per
la luce e la pace, per l’avvento del regno di Dio sulla terra. E anche quando si va in rive ai laghi, indirizziamoci
allo spirito dell’acqua che è vita, e diciamogli: “Tu puoi fare molto per il
bene dell’umanità.
Influisci su quanti vengono a visitarti
e a tutti i pescatori, i barcaioli, i pastori di greggi, ispira il desiderio di
migliorarsi nella vita. Tu tieni questo
potere e se insisti, le persone alla fine
ti ascoltano”. Da ora in poi, quando
vai in mezzo alla natura, pensa a tutti
gli esseri viventi che abitano le grotte,
gli alberi, le sorgenti, i laghi, il sole a
la luna: chiedi che vangano a partecipare alla venuta del regno di Dio sulla terra.
Frey Hugo Hernán Vargas
Servo di Maria
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Bolivia
Un saluto alla creazione
L
e nostre mani sono come antenne
che hanno il potere di captare
correnti, forze e qualcuno potrebbe
dire “ma questa è magia!”
“Si, è magia!”, tutto quello che facciamo
è magia: i maghi sono coloro che sanno utilizzare le proprie mani per ricevere e lanciare forze, per trattenerle e
orientarle, per ampliarle o diminuirle.
Non c’è nulla di cui spaventarsi, perché è il Creatore che ha dato questo
potere alle nostre mani. Se sapessimo
osservare, si riconoscerebbe in alcuni
gesti della vita quotidiana l’impronta di
questo sapere millenario in relazione
alle nostre mani e ai suoi poteri. Osserviamo in tutti i paesi, quando le persone si incontrano e si congedano, che
fanno? Alzano il braccio per inviare un
saluto, oppure si danno la mano. La
mano allora tra gli uomini serve per
prendere e lasciare. È per questo che si
deve stare molto attenti a quello che si
fa con la mano: se uno ti saluta è per
fare bene, o per dare vicendevolmente
qualcosa di buono; se uno invece saluta o da la mano meccanicamente, distratto, assente, è inutile, ma per quanti
sono attenti, è un gesto estremamente
significativo con il quale si può consolare, animare. Rendere vive le creature
offrendo molto amore. È necessario che
un saluto sia vera comunione, che sia
forte, armonico e vivo. La mano non è
solo un mezzo per entrare in comunione tra noi uomini, ma è anche un
mezzo di comunione con la natura.
Quando al mattino si apre la finestra o
la porta di casa, abituiamoci a salutare
tutta la natura, gli alberi, il cielo, il sole,
alziamo la mano e diciamo “buon giorno”
a tutta la creazione. Qualcuno potrà di-
Fra Bernardino e fra Hugo.
re “ma questo è utile? Serve a qualcosa?”. Si, serve per iniziare la giornata
con un atto fondamentale, guardare alla fonte della vita, e allora la natura apparirà essa stessa aperta e offrirà la forza
della sua armonia, della sua bellezza
per tutta la giornata. È tempo di capire
che c’è un lavoro da fare con il proprio pensiero, con l’amore, perché la
natura si apra a noi. Quando vediamo i
fiumi, i laghi, le montagne, indirizziamo loro un saluto con il cuore. Quando vediamo gli uccelli levarsi in volo,
con la mano mandiamo loro un saluto:
sentiremo nel nostro cuore un equilibrio nuovo, un’armonia che allontana
tante oscurità e incomprensioni, semplicemente perché abbiamo deciso di
essere in pace con tutti gli esseri viventi aprendoci all’amore e alla vita. Il giorno
in cui impariamo mantenere una relazione cosciente con la Creazione, sentiremo anche la vita penetrare in noi.
È un fatto di comunione universale e
cosmica che si tradurrà in una nuova
coscienza per l’uomo e per la donna.
Auguri dalla comunità del Santuario
della nostra Signora del Socavon, la
Vergine ammantata di stelle, stella del
mattina, madre della Vita vi benedica.
Fray Hugo Hernán Vargas Bravo
12
Bolivia
Inizia il pellegrinaggio
M
Ballerine - ballerini davanti alla Madonna.
tradizionalmente sono quelli che vi
partecipano per la prima volta; in una
delle celebrazioni della giornata partecipano alla Messa e alla comunione.
E danzatori entrano in ginocchio e
cantando i loro inni alla Vergine del
Socavon. Molti piangono, perché nonostante in questa occasione siano stati senza le bande musicali, desideravano giungere ai piedi della Vergine per
offrire le loro danze per il Carnevale
di Oruro. Gli oltre mille ballerini hanno dimostrato la loro fede e la loro
devozione alla Vergine del Socavon promettendo di ballare per tre anni consecutivi nel Carnevale di Oruro. Nella
città di Oruro, ogni prima domenica
di novembre, inizia una delle attività
maggiori della città con il primo raduno e l’apertura delle festività del Carnevale di Oruro 2009, anche se quest’anno, eccezionalmente, si è fatto la
seconda domenica di novembre per
rispetto alla tradizionale festa dei morti e di tutti i santi.
LA PATRIA 10/11/2008.
ille danzatori hanno dimostrato il loro amore alla Vergine
del Socavon, patrona principale del Carnevale di Oruro, opera
somma del Patrimonio orale e intangibile della umanità. La Vergine è venerata anche come la Vergine della
candelora, che illumina il cammino felice di Oruro. In questo primo raduno
ha pesato l’assenza delle bande musicali, ma l’incontro si è svolto normalmente, nonostante alcuni contrattempi a causa di ritardi, e con più entusiasmo di sempre, perché tutti si sforzarono di cantare e ballare, a sistemare gli altoparlanti per rimpiazzare i
musicisti. Il primo raduno è un rituale
che compiono i devoti danzatori di
Oruro per la loro festa principale, e
13
Argentina
È bello che i fratelli
stiano insieme!...
L’
8 dicembre, festa dell’Immacolata,
con un caldo da matti, abbiamo chiuso il mese di Maria. Al mattino ci fu
la Messa in due paesetti: padre Bruno a
El Rabón ed io a Tacuarendí. Alla sera p.
Bruno è andato a Yaguareté. A San Antonio
de Obligado hanno organizzato una “serenata
alla Madonna”, perchè
io non potevo stare contemporaneamente in
due parti… Dicono che
la serenata è riuscita molto bene. Io sono rimasto in parrocchia. Alle
ore 20 i fedeli sono arrivati dai loro rispettivi
quartieri con le loro Madonne. Io davo il benvenuto ad ogni gruppo.
Faceva caldo forte, benché il sole stesse tramontando. La chiesa strapiena. Ho fatto una predica, applaudendo Dio
infinitamente buono, che
P. Nico con p. Roberto.
sempre ci confonde con
le sue meraviglie, tra cui la creazione di
Maria. Applausi per Dio, applausi per la
Madonna. Abbiamo anche applaudito Dio
con l’applauso della pioggia, domandando la pioggia... E oggi è un giorno di pioggia, lenta però intensa.
Il padre Roberto giovedì scorso, al momento di andare a dormire, è caduto e si
è fratturato il bacino sulla sinistra. Ora
sta in ospedale ad Avellaneda, a 100 km
da qui. Per noi è un sacrificio enorme. In
questo momento io sono solo in casa. Padre Bruno e Fra Adolfo stanno ad Avellaneda per tutte le pratiche necessarie. I
nostri buoni amici laici e si turnano su e
giù per assisterlo. Se riusciamo ad avere
la protesi, giovedì dovrebbero operarlo.
Cosa sarà di lui? Penso che sarà l’ultima
breve tappa della sua vita: 68 anni! Chi è
che non conosce p. Roberto a Las Toscas?
Io l’ho sperimentato personalmente negli otto mesi di presenza. Quando esce,
14
tutti lo salutano, “Ciao Roberto, come
stai? Come va la pesca? e il fiume?” Uomo retto, sensibile, colto, amante delle
cose divine, della liturgia, della catechesi,
rispettoso del pensiero degli altri e nello
stesso tempo, fermo nelle sue idee. Nato
ad Avellaneda, è quindi un buon conoscitore della realtà argentina, e in particolare dello Stato di Santa Fé. Da quasi
due anni la sua salute è peggiorata con il
Parkinson, l’Alzaimer, e la pressione sempre molto bassa, ha un cuore solido e giovanile con i suoi 68 anni. Nella nostra comunità è un regalo: lo cerchiamo molto,
scherziamo insieme, ridiamo, lo aiutiamo
in tutto, guardiamo con lui le partite di
calcio, soprattutto quando gioca il River,
accettiamo le sue battute. Roberto non ci
pesa, e così deve essere, è nostro fratello.
In questo ultimo periodo la sua testa funziona a suo modo: vede gente in camera,
vede (solo lui) bambini che non vogliono
tornare a casa; di certo questi sono pensieri della sua vita passata. A quanti lo visitano (e anche quando non c’è nessuno) parla del catechismo: Gesù Cristo, i
sacramenti, la Vergine, il natale, la croce,
la morte: predica a voce alta, celebra battesimi, matrimoni, funerali, ovviamente
senza che ci sia alcuno presente. Quando
parla non si fa capire bene, ma tutti i suoi
discorsi ci dicono che è stato un buon pastore. In questi giorni mi emoziona vedere la preoccupazione dei fedeli, molti telefonano per avere notizie, e tutti si impegnano, facendo i turni, per assisterlo,
sia per il tempo che sta in clinica che per
quando sta in casa, giorno e notte. Non
faccio nomi perché dovrei fare il nome di
tutti, e sempre escluderei qualcuno. Tra
tutti questi, ci sono i nostri cari amici infermieri e medici, perfino un neurologo
da Resistencia è venuto a fargli visita. Grazie, Signore! Come sei buono con noi! E
grazie, cari amici, a tutti voi che molto
amate p. Roberto. Un giorno il Signore
Gesù dirà “ero infermo, e siete venuti a
visitarmi”.
P. Nico Sartori, parroco
Cile
“Asado” per catechisti
F
in dall’inizio dell’anno mi sono
trovato con circa 150 catechisti.
Mai ne ho avuti cosí tanti negli anni in cui sono stato parroco, in Cile e
in Bolivia. Eppure ne avrei bisogno ancor di più: sono oltre 600 i bambini con
le rispettive mamme, che nei prossimi
due anni frequenteranno il corso di
preparazione alla prima Comunione,
perciò necessitiamo di “animatrici di
gruppi di bambini” e di “guide di gruppi di mamme”. Inoltre sono circa 400 i
ragazzi del corso di due anni per la preparazione alla cresima e anche per loro
abbiamo bisogno di “catechisti”. In realtà
devo parlare di “catechiste”, di donne:
sono il 95%, mentre i catechisti maschi
sono il resto 5%. Noi uomini siamo sempre educati dalle donne: le mandiamo
in avanguardia, mentre noi restiamo in
retroguardia, per… difendere le spalle.
Il fatto è che, vedendo questa grande
gruppo di aiutanti mi sono proposto di
offrire un premio. Quale? All’argentino piace mangiare “el asado”, la carne
alla griglia, allo spiedo. Ecco perciò che
verso la fine dell’anno catechistico ho
buttato lì una parola: “Che ve ne pare se
dopo le prime comunioni e le cresime vi regalo un asado”? “Scherza, Padre”? “Non
scherzo”. “Da la parola”? “Parola d’onore
del vostro parroco”. E naturalmente ho
dovuto mantenere la promessa. La parrocchia offriva “el asado” e il pane; i
catechisti ci
mettevano il
resto.
Dove trovare i
soldi per acquistare tanta
carne e tanto
pane? Ho bussato alle porte: un amico
industriale mi
ha regalato
tutta la carne
(80 chili) e un
altro amico panettiere
mi ha regalato tutto il
pane. Altri quattro amici hanno preparato la
festa. Arrivato il gran
giorno, ci siamo trovati in chiesa per un momento di riflessione e
preghiera. Letto il brano della lettera
di san Paolo agli Efesini, ho parlato della dignità umana, della vocazione cristiana alla quale tutti siamo chiamati
fin dal battesimo. Abbiamo pregato, cantato, ed ho terminato dicendo: “La celebrazione è finita. Adesso potete andare tutti a mangiare in pace a casa vostra”. La risata è stata generale. Nel gran
capannone parrocchiale già era tutto
pronto. Un profumo invitante attirava
l’attenzione, l’appetito non mancava e,
anche senza volerlo, tutti avevamo l’acquolina in bocca. In un momento ogni
posto è stato occupato, e abbiamo incominciato a darci da fare. È stato bello vedere come ognuno apriva il proprio pacchetto per condividere con gli
altri il cibo e le bibite che avevano portato. Gli uomini si incaricarono di servire la carne e il pane in tavola. Applausi, scherzi, risate. Purtroppo non
erano tutti presenti, ne mancava circa
un terzo, specialmente dai paesi vicini,
ma fu molto bello lo stesso. Le finalità
dell’incontro furono tre: ringraziare il
Signore per l’anno di catechismo, condividere un’ora di gioia insieme e, da
parte mia, riconoscere il gran servizio
che tutte queste buone persone hanno
prestato alla parrocchia. E aggiungiamo anche un’altra finalità: invogliarle
a continuare a prestare il loro servizio
anche il prossimo anno. Di passaggio,
per la visita canonica, c’era pure mio
fratello p. Giuseppe da Cochabamba in
Bolivia, e anche lui si è goduto l’esperienza, che ho pensato ripetere il prossimo anno.
Padre Nico, osm
15
Brasile
Più voce ai poveri
16
governanti devono capire che occorre ascoltare di meno gli analisti del
mercato e più gli esperti di questioni
sociali” ha aggiunto Lula, esprimendo l’auspicio che Brasile e Italia arrivino con una posizione comune al
vertice del G20 di Washington.
“Abbiamo espresso una comune preoccupazione per l’attuale crisi finanziaria mondiale e concordato sulla necessità di dare al problema della stabilità dei mercati una soluzione condivisa” ha detto Napolitano, aggiungendo: “Sono certo che paesi emergenti come il Brasile possano dare
un contributo significativo all’elaborazione di politiche concertate e incisive sul piano internazionale, alla
definizione di nuove regole e anche
di nuovi assetti istituzionali”.
Il presidente italiano si è anche detto
convinto “che sotto l’autorevole guida del presidente Lula, il Brasile continuerà ad essere punto di riferimento imprescindibile per una sempre
più proficua collaborazione fra Europa e America Latina”.
Lula è stato ricevuto da Benedetto
XVI, dopo aver incontrato alti rappresentanti del mondo politico e industriale italiano.
MISNA 11.11.08
“L’
attuale crisi rappresenta una
straordinaria opportunità per
riflettere sugli errori compiuti e creare un nuovo ordine mondiale in cui l’essere umano, il lavoratore, lo sviluppo, la produzione agricola e industriale siano il vero scopo
dell’economia e non la speculazione
finanziaria”.
Ricevuto al Quirinale dal capo dello
stato italiano Giorgio Napolitano, nel
secondo giorno della sua visita ufficiale in Italia, il presidente Luis Inacio Lula da Silva ha sottolineato la
necessità di “agire in modo coordinato di fronte alla turbolenza finanziaria globale” rivendicando “più voce e più diritto di voto” per i paesi
poveri nei consessi internazionali. “I
Messico
Ricordi
di vita
F
ra Andrea
Maria
Ponso, per 52
anni missionario in MesFra Andrea riceve il crocifisso.
sico, era nato il 27 novembre 1925 a Lozzo Atestino
in provincia di Padova. Ordinato sacerdote il 25 luglio 1950, e specializzatosi
in teologia nel 1951 a Innsbruk (Austria), trascorse i primi anni del suo ministero sacerdotale nel convento di Pietralba (Bolzano). Nel 1956, nella basilica di Monte Berico, ricevette il Crocefisso di Missionario per partire verso le terre messicane. Giunto in Messico si stabilì in una piccola casa a Tigua, in El Paso Texas (USA). I primi tempi ha prestato i suoi servizi sacerdotali in varie
parrocchie di El Paso e dintorni, fino a
quando giunse il permesso di celebrare
in un garage e poi in una piccola chiesetta intitolata alla Vergine Addolorata
in El Paso. In seguito e per diversi anni,
è stato parroco a Sant’Ignazio di El Paso, fino a quando nel 1965 i giovani studenti di teologia giunsero ad El Paso.
Nel 1968 venne trasferito a Città di Messico, nella parrocchia della Divina Provvidenza dove rimase fino al 1973 quando venne destinato alla chiesa di Nostra
Signora del Rosario in Ciudad Juarez,
per poi far ritorno a El Paso nella parrocchia della B.V. Addolorata, dove ricoprì gli uffici di priore e parroco per
diversi anni e dove rimase anche semplicemente come frate della comunità.
Io sono stato con lui con i giovani professi teologi, dei quali io ero maestro
formatore e lui era priore della comunità, prima che la nostra chiesa diventasse parrocchia nel 1977. La gente lo
ricorda specialmente per la sua predicazione sempre basata sulla Sacra Scrittura ed esposta con chiarezza: è risaputo
che passava gran parte della sua settima-
na preparando le sue omelie e studiando Sacra Scrittura e Teologia. La sua vita fin dalla giovinezza è stata in qualche
modo impostata sullo stile dei Servi di
Maria dell’Austria, che tanto conosceva
e ammirava, per aver completato i suoi
studi in quei conventi dell’Ordine. È stato anche un esperto amministratore: la
Provincia messicana dei Servi di Maria
deve molto a lui e al padre Angelo Vedelago se da diverso tempo può vivere
con una situazione economica ordinata.
Padre Andrea è stato un vero Servo di
Maria per lo stile di vita, per il grande
amore verso l’Ordine, per la fedeltà al
suo servizio e per la grande devozione
verso la Vergine Maria. Negli ultimi anni in cui non poteva più leggere, lo si
vedeva pregare continuamente con il rosario in mano e trascorrere molte ore al
giorno in confessionale nel dialogo con
la gente. Era molto interessato allo sviluppo del nostro Ordine, specialmente
con le ultime aperture missionarie in Indonesia. Lo ricordo anche come un uomo ricco di umanità e, a parte certe apparenze, era generoso. Ricco ed esperto
di umanità, conoscendo bene le strade
della vita, sapeva
consigliare e dare speranza. Nelle situazioni difficili,
sapeva
infondere calma
e tranquillità. Gli
ultimi anni della
sua vita li passò
da infermo, ma li
ha affrontati con
serena rassegnazione. Grazie Andrea, per il tuo
bell’esempio di vita.
Fr. Tomas M.Xotta
Fra Andrea.
17
Aysén
o scorso 26 agosto all’età di 95
anni è morto il p. Giuseppe Bellò
Marcolin, religioso sacerdote Servo di Maria, lasciando molte tracce incancellabili nei luoghi dove visse la sua
vocazione missionaria nella Regione dell’Aysén in Cile. Durante quasi 50 anni
della sua vita, p. Josè (Giuseppe in italiano), come lo hanno chiamato sempre in Aysén, si è impegnato con la gente dell’Aysén educando ed evangelizzando. Fu il primo missionario che ha
stabilito la sua presenza nel Baker, aprendo una scuola-famiglia per bambini e
ragazzi e costruendo la prima chiesetta
a Cochrane nel 1961. Dopo la sua morte, il confratello p. Vladimiro Memo,
ne ha tracciato una breve profilo, affermando che “P. José si sentiva chiamato ad essere uomo di frontiera, fissando la sua presenza nei luoghi più
lontani della missione, prima in Africa,
poi in Bolivia e infine per quasi 50 anni in Aysén”. Puerto Aguirre fu il suo
secondo impegno in Aysén, dove svolse
il suo servizio per undici anni come
parroco, insegnò inglese e religione nelle scuole e costruendo la chiesa di Estero Copa e la casa della dottrina cristiana di Puerto Aguirre, dando vita e for-
18
mando pazientemente le tre comunità
cristiane dell’isola. “Furono anni difficili, ma p. Josè amava le sfide e sapeva
affrontarle con fermezza e costanza” afferma p. Memo, che aggiunge “che come servo della santissima Vergine Maria, alimentava la sua vita di missionario con la preghiera frequente del Rosario, e che comunque pregava ogni
giorno con i fedeli”. Il suo ultimo servizio pastorale lo prestò per ben 14 anni a Chile Chico, dove infaticabile costruì e sviluppò il centro pastorale al
servizio della popolazione del lago General Carrera. Attorno all’immenso lago G. Carrera ha costruito una ad una
le cappelle per il servizio religioso dei
cristiani: Bahia Jara, Fachinal, Mallin
Grande, Las Chacras. La sua ultima fatica è stata la ricostruzione del tetto della chiesa distrutto dal vulcano Hudson.
Ritiratosi negli ultimi anni nella comunità dei Servi di Maria di Coyhaique,
impiegò il suo tempo scrivendo e pubblicando le sue memorie raccolte in
due libri: “Il progetto Baker” e “Esperienze di vita”. P. Josè ha amato questa
terra di Aysén e ha voluto donarle la
sua vita fino all’ultimo respiro. I suoi
resti mortali riposano nella cripta della
Cattedrale di Coihyque.
Fra Josè e fra Bernardino.
PUENTES DE AYSÉN - TRAD. F.P.
L’ultimo addio
al prete del popolo
L
Uganda
Servi per sempre
I
l 20 dicembre 2008
fra Stephen Ggita e
fra Francis Kawuki
giovani frati ugandesi,
hanno emesso la professione solenne nell’Ordine dei Servi di Maria, dopo il lungo periodo di
preparazione e di studio
durato circa nove anni.
La celebrazione ben preparato e partecipata da
un gran numero di sacerdoti, frati, suore e familiari dei frati professi,
è stata seguita anche con
intensa e gioiosa partecipazione dalla gente della Parrocchia di Kisoga.
Il p. Giuseppe Xotta delegato del Priore provinciale, ha presieduto la celebrazione e
ha ricevuto, a nome del Priore generale, i giovani fra Stephen e fra Francis, definitivamente nell’Ordine dei
Servi di Santa Maria.
Nello stesso giorno sr. Giuditta delle
suore Mantellate Serve di Maria della
comunità di Kisoga ha celebrato il
giubileo della sua professione religiosa, il 50° anniversario della professione religiosa.
fra Stephen e fra Francis con sr. Giuditta
È stata una duplice celebrazione di
gioia e festa durata tutto il giorno.
Un cordiale ringraziamento da parte
di tutti a sr. Giuditta per il prezioso
servizio che svolge a Kisoga e nella
Chiesa in Uganda.
Preghiamo perché continui a godere
buona salute e invochiamo su di Lei
la benedizione di Dio.
Jesu Doss
19
USA
La casa della morte
È
possibile che la più grande democrazia del mondo, gli USA, che
accoglie tra i suoi cittadini le razze di quasi tutto il mondo, le culture, le
lingue e le religioni senza differenze sia
anche tra le prime nazioni al mondo
per condanne a morte? È una domanda legittima, soprattutto dopo la moratoria mondiale della pena di morte chiesta e votata all’ONU, e dopo l’elezione
di Barak Obama a presidente degli Stati Uniti. Riprendiamo dall’agenzia Misna del 30.11.2008 l’intervista al religioso americano, cappellano delle carceri
di Huntsville, e la riproponiamo ai nostri lettori. Aiutiamoci a riflettere sulla
vita, ora che è appena trascorso il natale, perché anche da noi, in Italia, di
fronte a certe azioni malvagie e violente, che indubbiamente devono essere
punite, qualcuno, forte del consenso
popolare, cavalcando l’irrazionalità emo-
Guantamano.
tiva della gente, invoca gravi azioni punitive, se non addirittura la pena di morte, per i trasgressori delle leggi.
“Per 15 anni ho assistito agli ultimi istanti di vita di 95 condannati a morte nella prigione di Huntsville, in Texas” racconta il reverendo Carroll Pickett, cappellano della prigione di Huntsville dalla prima esecuzione nel dicembre 1982
fino alla fine di agosto 1995, in un’in-
20
tervista pubblicata dal
quotidiano “Dallas Morning News”. Quindici anni durante i quali le idee
del reverendo Pickett sono cambiate radicalmente: “All’inizio credevo che
la pena di morte fosse giusta e necessaria; sono cresciuto in Texas,
nel ‘selvaggio West’, dove pensi che sia
normale, ma quando ho accompagnato la prima volta un condannato nella
camera della morte per l’iniezione letale ho capito che non serve, né alla
giustizia né alla morale”. Tutte le volte
ha pregato insieme ai condannati, ascoltato le loro ultime parole e infine osservato come il liquido letale entrava
nelle loro vene. “Al tempo della prima
esecuzione, nel 1982, vivevo da solo e
quando sono tornato a casa avevo bisogno di parlare... Ho preso un registratore e ho tirato fuori tutto quello che
avevo dentro: da allora dopo ogni esecuzione ho sempre registrato quello
che avevo visto, che mi avevano raccontato i condannati prima di morire”.
I ricordi e le impressioni del reverendo
Pickett poi sono diventate parte di un
documentario, intitolato “Sulla porta
della casa della morte”, nel quale si racconta il dramma della pena capitale attraverso lo sguardo di chi nel braccio
della morte ci lavora, cappellani, assistenti sociali e guardie carcerarie: “Il sistema non funziona, le esecuzioni non
fanno diminuire la criminalità e le sentenze sono applicate in modo ingiusto”
prosegue padre Pickett. “Quando ho
iniziato il servizio nella prigione di Huntsville non sapevo che mi sarei ritrovato
nella camera della morte; non l’ho mai
considerato un lavoro, perché non credo in un lavoro dove si uccide la gente:
da allora, mi hanno sempre chiamato
‘cappellano della morte’, un giornale
mi ha anche chiamato ‘angelo della
morte’, ma sempre di morte”.
Istria
Testimone di Cristo
D
opo la solenne cerimonia di
beatificazione di don Francesco Bonifacio alla quale abbiamo partecipato in tanti a san Giusto
il 4 ottobre, dopo la commemorazione, un po’ in sordina, tenuta sabato
18 ottobre nel duomo di san Giorgio
a Pirano, la cittadina dov’era nato,
ecco la solenne celebrazione eucaristica di Grisignana a cui abbiamo partecipato sabato 15 novembre.
Si susseguono dunque i festeggiamenti
in onore del nuovo Beato, richiamando folle di fedeli, e non solo istriani.
È un prete delle nostre terre, ma anche un martire della Chiesa universale, è una delle tante vittime delle foibe, ma anche prototipo di quanti hanno lasciato la vita tragicamente per
l’odio dei fratelli e per coerenza con
la propria fede.
L’Azione Cattolica Italiana l’ha assunto come testimone; lo sente suo la
gente croata che vive ora sulle terre
dove ha esercitato il suo ministero sacerdotale fino al giorno della sparizione, quell’11 settembre 1946. Il duomo dedicato a san Vito si riempie come non mai in questo sabato novembrino che richiama l’estate di san Mar-
tino. Il sole rende più smaglianti le
case di questa cittadina, che può considerarsi la capitale istriana dell’arte,
e rende più luminosa la chiesa. Alle
11 più di quaranta fra vescovi e sacerdoti, partendo dalla vicina chiesetta dei santi Cosma e Damiano, si avviano processionalmente verso il presbiterio dove staranno stretti stretti.
Il giovane parroco, don Luka Pranjic,
che aveva l’arduo compito di predisporre il tutto per un evento così straordinario accoglie ora il suo vescovo,
mons. Ivan Milovan, il nostro, mons.
Eugenio Ravignani, e altri due vescovi emeriti. Non poteva mancare mons.
Giuseppe Rocco che in questa chiesa
era giovane cappellano (come don
Luka) quando accolse l’ultima confessione di don Francesco. Molti i fedeli venuti da Trieste con pullman o
macchine private, per primi i dirigenti
diocesani dell’Azione Cattolica e della Caritas di Trieste. Troppo piccola
sarebbe stata la chiesina di Krasica, o
Villa Gardossi, per contenere tutti i
fedeli, ma anche il duomo di Grisignana si rivela insufficiente.
Il rito si svolge armoniosamente nelle
due lingue, croato e italiano; grande
21
Istria
Grisignana: scorcio.
commozione quando il coro di Grisignana, Tribano e Villa Gardossi, diretto dal maestro Gallo, intona l’inno
a don Bonifacio composto da Marco
Sofianopulo o il ‘Gloria’ in italiano.
L’omelia è duplice: a quella in croato
di mons. Ivan segue in italiano quella
del vescovo Eugenio. Da entrambi viene ricostruita la vicenda terrena del
beato Bonifacio, e viene ripercorso il
sofferto iter per arrivare alla beatificazione.
La sua memoria liturgica sarà sempre
l’11 settembre, data della sua sparizione. “Siamo qui, dice mons. Ravignani, non solo per commemorare
un sacerdote esemplare, ma anche
per imparare da lui che cosa significa
essere cristiani. Martirio non significa
morire contro qualcuno, ma professare le propria fede.
Le foibe di oggi si chiamano relativismo morale, indifferentismo, compromesso...”.
Entrambi i vescovi auspicano che salga presto all’onore degli altari anche
don Miro Bulesic, il prete croato ucciso nel 1947 anche lui “in odio alla
fede”. Commovente il saluto del fratello Nino che vuol donare alla diocesi di Parenzo-Pola la cotta bianca e
il crocifisso di don Francesco, custo-
22
diti con tanto amore dai familiari per
tutto questi 62 anni. Nino è al centro
delle attenzioni anche durante il pranzo che viene offerto generosamente a
tutti nella sede della Comunità italiana di Crassiza.
Il sole ci accarezza dolcemente mentre facciamo la fila per le ‘luganighe
e i capuzi’ intrecciando discorsi in
croato o in dialetto istro-veneto.
Davanti a me c’è la nonna Radanich
che mi fa vedere dove sorgeva la casa
dei suoi, in cima al colle con una vista sul mare, e rievoca l’impressione
fortissima dei suoi in quel settembre
1946 quando suonarono le campane
delle cappellanie per quel giovane
prete di 34 anni che a loro giovani
parlava di preghiera dopo che lui stesso era stato in silenziosa adorazione
dell’Eucaristia.
Anche lei, come Nino e tutti noi, vorrebbe sapere dove giace il corpo straziato del martire in attesa della Risurrezione finale.
Rita Corsi
Grisignana: Duomo.
Acqua
1-(settembre) Occorre organizzare al più presto una gestione efficiente delle risorse idriche, perché le riserve di acqua potabile sono
a rischio: è il messaggio principale arrivato
dal XIII Congresso mondiale sull’acqua che
si conclude oggi a Montepellier, in Francia.
Il segretario generale dell’Organizzazione
meteorologica mondiale, Michel Jarraud, in
un’intervista al quotidiano francese ‘Le Monde’ ha detto che “il passato non può più essere un indicatore affidabile: l’umanità deve
rendersi conto dei mutamenti del clima, che
hanno un’influenza fondamentale sul futuro
delle risorse idriche”. La variabilità delle precipitazioni, secondo lo studioso, dovrebbe
portare a una diminuzione della disponibilità di acqua, mentre la sua richiesta a livello
mondiale è in aumento per la crescita demografica; allo stesso tempo, l’inquinamento sempre maggiore rappresenta il principale rischio per la qualità dell’acqua disponibile. Dall’incontro di Montpellier, al quale hanno partecipato più di 1300 delegati e che
precede di qualche mese il Forum mondiale
dell’acqua, previsto per marzo 2009 a Istanbul, è emersa una mappa delle aree critiche,
dai fiumi africani all’irrigazione del riso in
Cina, ai conflitti nati intorno alla gestione
delle risorse idriche, che servirà a tracciare
le linee guida della collaborazione internazionale sul tema
2-(settembre) “La situazione dell’acqua in
America Latina è critica ed è strettamente
collegata al processo demografico, alla crescita smisurata di alcune capitali, all’uso irrazionale di questa risorsa, all’eccessivo consumo quotidiano…I cambiamenti climatici, le
migrazioni, l’inquinamento, l’espansione delle infrastrutture stanno alterando la terra e
la sua dinamica
e sono sfide che
nessuna istituzione o paese
possono affrontare da soli”.
L’argentino Jorge Grandi, direttore dell’ufficio regionale
per la scienza dell’Unesco (ente Onu per l’educazione, la scienza e la cultura), ha aperto
nella sede del Mercosur (mercato comune
dei paesi del Sudamerica) nella capitale uruguayana Montevideo la conferenza sul tema
‘Acqua e cambiamento globale’ in America
Latina evidenziando la necessità di trovare
“una posizione comune per la difesa delle risorse idriche della regione”. Organizzata dal
Programma idrologico internazionale dell’Unesco, la conferenza riunirà fino a mercoledì i delegati dei paesi latinoamericani
chiamati a stilare una ‘piattaforma d’azione’
per lo sfruttamento sostenibile del cosiddetto ‘oro blu’, in vista del V Forum mondiale
dell’acqua, che si terrà in Turchia il prossimo anno.
3-(agosto) È l’Africa il continente più vulnerabile ai cambiamenti climatici, che causeranno nei prossimi anni un aumento globale delle temperature, una maggiore siccità
nell’Africa occidentale subtropicale e una
tendenza incerta delle precipitazioni nell’area tropicale: lo ha sostenuto Albdelkader
Allali, vicepresidente del gruppo di esperti
intergovernativo sull’evoluzione del clima
(Giec), intervenendo in apertura dei lavori
di una conferenza dedicata ai cambiamenti
climatici a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso. Ad avvalorare queste conclusioni,
uno studio di ricercatori tedeschi e africani
secondo cui la stagione delle piogge in Africa è ritardata di un mese rispetto a 40 anni
fa. Per gli stessi esperti, l’Africa conoscerà
un forte riscaldamento e una notevole riduzione delle piogge nella parte subsahariana.
La conferenza internazionale di Ouagadougou, organizzata da Burkina Faso, Marocco
e Germania nell’ambito del progetto ‘Glowa’
(Cambiamento globale e ciclo idrologico)
iniziato da Berlino nel 2000, mira a presentare i risultati di circa nove anni di ricerche
sui cambiamenti climatici e il loro impatto
sulle risorse idriche in Africa; si concluderà
il 28 agosto. Secondo il Programma dell’Onu per l’ambiente (Unep), entro il 2020 tra
75 e 250 milioni di africani saranno esposti a
una penuria di acqua.
MISNA 5.10.08
Mondo
23
Uganda
Trattore
per Kisoga
Il progetto “un trattore per Kisoga” ha lo scopo di contribuire all’autofinanziamento delle
comunità della missione dell’Africa dell’Est. Il progetto, già proposto l’anno scorso, ha trovato qualche persona di buona volontà,
ma quanto raccolto non basta (siamo arrivati a circa euro 5000,00). Noi rimaniamo fiduciosi, anche se siamo coscienti della realtà economica e sociale
che stiamo attraversando.
Scuola di Buenda
Il villaggio di Buenda dista circa 15 chilometri dalla nostra comunità di Jinja. Ogni
domenica celebriamo la Messa e aiutiamo i
catechisti nel formare alla vita cristiana i
bambini e gli adulti. La scuola, che raccoglie un centinaio di bambini, ha bisogno di
essere sistemata (che almeno non piova dentro durante la stagione delle piogge!). Il
desiderio di p. Tobias sarebbe quello di rifare il tetto di lamiera e di
chiudere con delle pareti esterne le aule per aiutare i bambini,
ma…mancano i soldi! Si cerca qualche sostenitore dell’iniziativa.
I Frati Servi di Maria dell’Uganda
Le offerte si fanno alla Posta con il Conto Corrente Postale N° 14519367
intestato a: PROVINCIA VENETA SERVI DI MARIA
Viale Cialdini, 2 - 6100 VICENZA
O alla propria banca tramite bonifico sul C.C. Bancario N° 2726
intestato a: SEGRETARIATO MISSIONI SERVI DI MARIA
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Bimestrale di informazione
e animazione missionaria
dei frati Servi di Maria
della Provincia di Lombardia
e Veneto.
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N. 1 - Gennaio/Febbraio 2009 - Anno LXXXV - Aut. Trib. Vicenza n° 150 del 18-12-1979
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