Le migrazioni nell`integrazione Euro Mediterranea: dal co

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Le migrazioni nell`integrazione Euro Mediterranea: dal co
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Le migrazioni nell’integrazione Euro Mediterranea:
dal co-sviluppo alla fortezza.
Andrea Stocchiero - CeSPI
1. Migrazioni e integrazione Euro Mediterranea
Dal punto di vista europeo è evidente l’interesse strategico per uno sviluppo del Mediterraneo ai fini
del mantenimento della sicurezza nella regione. Sviluppo e sicurezza sono i due concetti
fondamentali che legano l’Europa al Mediterraneo e sulla base dei quali viene compreso il
fenomeno migratorio. L’Unione Europea appoggia una politica di transizione dei paesi del
Mediterraneo meridionale (da ora paesi Med) verso l’ economia di mercato. Il Partenariato EuroMediterraneo è risultato centrato finora sulla creazione di un’area di libero scambio. In questa
prospettiva vi è un crescente (ma ancora insufficiente) sostegno pubblico alla ristrutturazione delle
imprese e alla formazione di una rete di protezione sociale per far fronte ai costi della transizione.
La politica economica dei paesi Med è rivolta ad incentivare gli investimenti esteri e a sostenere la
competitività delle imprese locali. Queste misure però sono ancora limitate: gli investimenti esteri
non hanno creato un sufficiente indotto sul tessuto produttivo e sociale locale, le azioni pubbliche
dirette a sostenere la competitività coprono soprattutto le unità produttive grandi, mentre quelle
rivolte alle piccole imprese raggiungono appena il 5% del mondo imprenditoriale. La
liberalizzazione prescrive la concorrenza come cura e stimolo più forte all’innovazione e alla
ristrutturazione produttiva. Ma ciò significa un alto costo in termini di fallimento delle unità
produttive più deboli con un aumento della disoccupazione e quindi della pressione migratoria nel
breve e medio periodo.
Questa politica si sta rivelando inefficace rispetto alle diverse velocità dei fenomeni sociali,
economici e politici del Mediterraneo. Gli squilibri sociali rimangono forti e la pressione migratoria
non è facilmente controllabile. La dinamica economica è ridotta e il mercato del lavoro locale non è
in grado di assorbire la crescita della forza lavoro1. Il processo politico verso una maggiore
democrazia e libertà procede con lentezza.
Tutto trova una evidenza nella significativa asimmetria tra flussi migratori e flussi economici. Alla
dinamica crescente delle migrazioni si contrappone una insufficiente interdipendenza economica.
Queste tendenze contrastano con la tesi di fondo della politica del Partenariato Euro-Mediterraneo
che mira a creare un’area di libera circolazione delle merci e dei capitali che in qualche modo sia
un’alternativa alla circolazione delle persone. Il circuito economico non è virtuoso e non riesce a
sostituire i flussi migratori. Non vi è integrazione ma una chiara dipendenza commerciale e
finanziaria dei paesi Med dall’Europa. La liberalizzazione economica non produce un nuovo
equilibrio, ma accentua gli squilibri, almeno nel breve e medio periodo (Tapinos, 1994 e 1996). La
scommessa sugli effetti positivi del libero mercato si sposta più nel lungo termine rispetto
all’urgenza delle dinamiche sociali.
Secondo il Partenariato un fattore chiave per produrre crescita ed occupazione è l’investimento
privato estero. Tuttavia è riscontrabile un sostanziale disinteresse delle imprese europee verso l’area
mediterranea. Non si registrano importanti flussi di investimenti diretti verso i paesi Med, il rischio
politico è ancora alto per operazioni a lungo termine, la competitività di questi paesi è scarsa e il
mercato locale è di piccole dimensioni2. La stessa classe locale di rentiers e di capitalisti non
investe nei propri paesi, ma mantiene all’estero un capitale stimato attorno ai 315 miliardi di dollari
(Economic Research Forum, 1998).
Nel caso italiano è evidente la scarsa rilevanza del processo di internazionalizzazione delle imprese
verso il Mediterraneo3, mentre i processi di delocalizzazione, sebbene interessanti come nel caso
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della Tunisia, sono limitati. Le relazioni economiche dell’Italia con questa area sono costituite da
rapporti commerciali a breve termine e da investimenti strategici nel settore energetico. Infine
l’aiuto pubblico italiano allo sviluppo non ha mostrato ancora un impatto significativo.
In questo quadro i flussi migratori e le rimesse, accanto al tradizionale commercio, sono
indubbiamente i circuiti più importanti che legano i paesi Med all’Europa. Le rimesse sono
indispensabili per sostenere la bilancia dei pagamenti dei paesi Med e in particolare per finanziarie
le importazioni dall’Europa, mentre gli investimenti diretti esteri delle imprese e l’aiuto
internazionale non sono sufficienti a compensare i deficit commerciali. Sembra quasi paradossale
rilevare la maggiore efficacia – per finanziare le economie dei paesi Med - di una politica che
accresca il flusso delle rimesse e che quindi preveda misure di maggiore apertura all’immigrazione.
I flussi di rimesse sono il più importante introito finanziario per i paesi Med, superano gli
investimenti esteri privati e la cooperazione internazionale (come si vedrà più avanti). Essi
rappresentano uno dei punti di forza soprattutto per lo sviluppo del settore privato, in particolare
della micro, piccola e media impresa (Boubakri, 1994).
D’altra parte, va tenuto conto che le rimesse danno luogo in misura maggiore a spese per consumi
piuttosto che a investimenti produttivi, e generano fenomeni inflazionistici e speculativi. Per questo
è importante un’azione pubblica da svolgere, sia nei paesi di origine dei flussi migratori, sia in
quelli di destinazione, per sostenere la qualificazione degli emigranti e appoggiarli nelle decisioni di
investimento. Un’azione che finora non è avvenuta e che quindi ha mancato di valorizzare sia la
prima leva finanziaria certa costituita dalle rimesse, lasciando importanti risorse ai canali informali
e in alcuni casi criminali, sia il flusso di conoscenze tacite dei migranti per lo sviluppo delle piccole
imprese locali.
Anche in Italia ci sono molti elementi per ritenere che gli immigrati sono economicamente
funzionali alla competitività delle nostre imprese e contribuiscono al bilancio statale e al
risanamento del sistema pensionistico.
Gli immigrati provenienti dal Mediterraneo sono tra le nazionalità più presenti in Italia e hanno la
tendenza a concentrarsi laddove esiste una crescente domanda di lavoro regolare e cioè nei distretti
industriali e nelle metropoli. Tra le prime dieci province di attrazione degli immigrati, vi sono le
aree di industrializzazione di piccole e medie imprese, oltre naturalmente alle aree metropolitane.
Ciò sta evidentemente ad indicare la funzionalità dell’immigrazione, come forza di lavoro flessibile,
allo sviluppo della piccola e media impresa italiana. Una funzione che in futuro non sarà più e solo
limitata a coprire le mansioni più umili o pericolose, non attraenti per il lavoratore italiano, ma che
probabilmente si evolverà verso qualificazioni a maggiore valore aggiunto nonostante i numerosi
ostacoli che si riscontrano nella mobilità professionale degli immigrati.
Così, altre analisi riconoscono che in futuro il ruolo degli immigrati sarà sempre di maggiore
supporto allo sviluppo socio-economico dell’Italia. Da un lato, il calo demografico e dall’altro, la
crisi del sistema pensionistico, possono trovare nuove risorse nell’immigrazione. Secondo dati
ufficiali, già oggi l’INPS incassa dagli immigrati extracomunitari oltre 2.500 miliardi di lire
all’anno che cresceranno in futuro contribuendo al finanziamento delle pensioni. A tal fine è
tuttavia essenziale sostenere la regolarizzazione ed elevare il valore aggiunto del lavoro degli
immigrati.
2. Rimesse e imprenditorialità
Un ruolo fondamentale, nel quadro dei fenomeni migratori, è quello delle rimesse. Queste
sostengono la bilancia dei pagamenti, il consumo ed il risparmio locale in vista anche della
realizzazione di investimenti in attività produttive e del ritorno nel paese di origine.
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Tra i motivi che spingono l’invio di rimesse verso i paesi di origine dell’emigrazione, risulta
fondamentale il legame familiare. Le rimesse vengono impiegate innanzitutto per il consumo, per
far fronte alle spese per l’educazione dei figli, per l’alloggio e solo in piccola parte per investimenti
(commercio alimentare, servizi di ristorazione, agricoltura, allevamento di ovini e bovini, piccole
attività manifatturiere). Nonostante ciò, vi sono dati che mettono in rilievo l’importanza delle
rimesse nella creazione di piccole, e a in alcuni casi anche di medie, imprese. Gli investimenti degli
emigrati hanno un importante impatto sullo sviluppo locale dei paesi mediterranei attraverso:
• La formazione di una base industriale costituita da piccole e medie imprese;
• La creazione o il rafforzamento di attività artigianali e di servizio;
• Il miglioramento e l’intensificazione delle attività agricole;
• La costruzione di alloggi in ambiente urbano e rurale e la nascita di nuove aree di insediamento
nelle città di medie e grandi dimensioni;
• La micro-urbanizzazione in aree rurali (Boubakri, 1994 e Lopez Garcia 1996).
Da questo punto di vista sembra siano necessarie nuove ricerche per verificare l’ipotesi comune
sulla scarsa rilevanza delle rimesse in termini di investimenti produttivi. Comunque, “sugli effetti
esercitati dalle rimesse sullo sviluppo delle aree d’origine, sembra emergere con chiarezza dagli
studi al riguardo che non è possibile formulare conclusioni generali valide per ogni situazione (…)
“soltanto un’analisi condotta caso per caso può permettere di valutarne la funzione e l’eventuale
incidenza rispetto a processi di sviluppo delle aree verso le quali sono diretti” (Mottura, 1999). In tal
senso si presenta una sintesi dei casi paese Albania, Egitto e Tunisia. Casi nei quali le rimesse
stanno giocando un ruolo diverso a causa principalmente dei differenti contesti locali.
I dati mostrano come le rimesse siano il flusso di valuta pregiata più importante per la bilancia dei
pagamenti albanese, rappresentando una percentuale sulle esportazioni di beni e servizi eccezionale,
153%, se comparata con quelle di altri paesi. Questo afflusso di risparmio si confronta con una
capacità produttiva domestica assai limitata. Di conseguenza la spesa delle rimesse si indirizza in
grandissima parte su beni e servizi importati. Ne deriva una forte “estroversione dell’economia, il
consumo locale è più alto del prodotto domestico, e la differenza è compensata dalle rimesse degli
emigrati e dall’aiuto internazionale (…) le rimesse non hanno stimolato la produzione locale, ma,
invece, sono state usate per l’importazione di beni di consumo, approfondendo quindi
l’estroversione dell’economia. Questa situazione fa si che anche parte della nuova generazione che
si trova ad affrontare un mercato del lavoro asfittico sia obbligata a emigrare. L’emigrazione in
questo caso stimola una ulteriore emigrazione” (Gedeshi, 2001).
Il sistema finanziario e bancario albanese è in via di profonda ristrutturazione, liberalizzazione e
privatizzazione. Attualmente non esiste una capacità istituzionale adeguata per lo sviluppo
dell’intermediazione finanziaria e il moltiplicatore monetario risulta sostanzialmente inesistente. Il
caso albanese mostra come attualmente non esistano le condizioni per un impatto positivo delle
rimesse. Risulta necessario creare un sistema finanziario e produttivo minimo che possa consentire
l’assorbimento delle rimesse evitando l’estroversione dell’economia.
In Tunisia le rimesse sono pari all’8,5% delle esportazioni di beni e servizi. Esse costituiscono un
importante flusso di valuta dopo le entrate per turismo e per le esportazioni del comparto tessile e
del cuoio. Dagli anni 70 ad oggi hanno ridotto la loro incidenza sul PIL, da una media superiore al
5% al 4% nel 1999. La trasformazione produttiva della Tunisia, sebbene tuttora in fase di
transizione, sembra offrire un quadro positivo per un utilizzo produttivo delle rimesse. A questo
riguardo “l’insieme dei progetti sostenuti durante il periodo 1993-1999 da tunisini emigrati
ammontano a 4.196 e a un investimento totale di circa 153 milioni di dinari con una creazione di
20.468 posti di lavoro, per una media di 599 progetti per anno. Questi progetti si ripartiscono per
settore di attività come segue: 323 progetti nell’agricoltura; 987 progetti nell’industria; 2.886
progetti nei servizi”(Office des Tunisiens a l’Entranger, 2000).
Ciononostante occorre ricordare che questi investimenti rappresentano solo il 2,7% dell’insieme
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delle rimesse e l’1,1% degli investimenti totali nell’industria. Predominano infatti gli investimenti
delle rimesse nel settore dei servizi (68,8% dei progetti realizzati). In generale i progetti sono
piccoli e a scarsa intensità di capitali. Più interessante invece è la generazione di occupazione che
nel periodo 1993-1998 ha raggiunto il 6,3% su scala nazionale.
Un dato maggiormente significativo viene da una indagine dell’Agenzia per la Promozione
dell’Industria tunisina relativa al campione delle 4.000 aziende più importanti del panorama
tunisino in termini di capacità produttiva: di queste, 136 sono state create da emigrati ed hanno
un’occupazione media di 61 addetti. Oltre il 50% di queste imprese opera nel settore
tessile/abbigliamento per il mercato estero e il 15% nel comparto meccanico-metallurgico per il
mercato locale. Inoltre, sono stati intervistati imprenditori ex-emigrati, i quali hanno evidenziato
l’importanza dell’esperienza lavorativa avuta nel paese di destinazione e dell’offerta di incentivi,
come elementi determinanti la scelta del settore di attività; l’interesse a beneficiare del regime offshore e ad avviare contratti di sub-fornitura con imprese estere.
Il sistema finanziario e bancario è in via di transizione verso una sua sostanziale liberalizzazione.
Negli anni ’90 sono sorte nuove istituzioni specializzate nel credito per il settore privato e la
diversificazione degli strumenti è di buon livello. Nel quadro tunisino gli effetti delle rimesse sullo
sviluppo sono positivi ma potenzialmente potrebbero essere ben superiori. Le condizioni necessarie
vi sono ma non sono sufficienti per un pieno dispiegamento degli investimenti finanziati con le
rimesse. Potrebbe essere allora definita una politica attiva importante per una canalizzazione
produttiva delle rimesse. Occorre creare istituzioni e strumenti adeguati.
Per quanto riguarda l’Egitto, le rimesse ufficiali (5,1 miliardi di dollari nel 1997) superano la somma
delle entrate da esportazioni di petrolio, turismo e tariffe per l’uso del canale di Suez (4,4 miliardi di
dollari) e coprono circa il 20% del valore delle importazioni. Alcune ricerche evidenziano
l’importanza delle rimesse per la crescita delle piccole imprese (Richards, 1991). Esse generano una
forte domanda per i prodotti delle piccole imprese e quindi stimolano la loro crescita, e sono in parte
impiegate per la creazione e il rafforzamento delle piccole imprese. In una indagine sul campo si è
rilevato come “il 35% dei proprietari di imprese manifatturiere siano stati in precedenza emigranti e
come abbiano utilizzato le loro rimesse come prima fonte di capitale per creare la propria impresa.
Inoltre, è importante notare, che una grande proporzione di queste piccole imprese sono
equipaggiate con i macchinari più avanzati.” (Meyer, 1989). Ciò significa che gli emigrati, oltre ad
impegnarsi in iniziative imprenditoriali, introducono anche innovazioni tecniche con possibili effetti
di diffusione nel contesto locale.
Quest’ultima nota permette di sottolineare l’importante funzione che svolgono gli emigrati come
veicolo di trasferimento di conoscenze acquisite nei paesi di accoglienza. Gli emigrati apprendono
nuove tecniche e forme di organizzazione e di concorrenza sui mercati avanzati e le portano con sé
quando ritornano nel paese di origine in modo definitivo o per periodi temporanei. Gli studi dei casi
paese evidenziano come le imprese costituite da ex emigrati siano tra quelle più innovative in
termini tecnologici e di approccio al mercato. Il trasferimento di queste conoscenze dovrebbe
tuttavia essere continuo e dovrebbe essere quindi facilitata la mobilità degli emigranti.
D’altra parte non esistono istituzioni e strumenti di intermediazione finanziaria specializzate nel
favorire l’allocazione delle rimesse verso progetti di investimento, così come programmi volti a
valorizzare le capacità dei migranti ai fini dello sviluppo locale. Come nel caso tunisino, si rileva
anche per l’Egitto l’esigenza di un intervento pubblico e privato per tradurre la grande potenzialità
offerta dalle rimesse in un importante effetto moltiplicatore del reddito.
3. Catene migratorie, transnazionalità e integrazione naturale
La valorizzazione dei migranti e delle loro risorse potrebbe costituire uno degli assi centrali di una
politica di co-sviluppo euro-mediterranea mirata alla crescita dei mercati e dell’occupazione locale
(CeSPI, 1998). Oltre il 90% del tessuto imprenditoriale di questi paesi è costituito da micro e
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piccole imprese. Ne deriva l’evidenza della necessità di partire dal rafforzamento e dalla crescita di
tale tessuto (CeSPI, 1999). Nel quadro delle politiche, ancora insufficienti, che si stanno adottando
per lo sviluppo della micro e piccola impresa, è possibile con un approccio territoriale identificare
alcune forze reali, sociali ed economiche, che possono essere i vettori della convergenza euromediterranea. La politica di cooperazione acquista maggiore impatto e sostenibilità se sostiene le
dinamiche “naturali” dell’integrazione. Dinamiche che sul versante dei Paesi Med poggiano sulle
micro e piccole imprese, sul versante italiano si rifanno alle forze che caratterizzano il nostro
sviluppo, i distretti industriali, e nel mezzo si possono fondare sulla connaturata transnazionalità dei
migranti.
Emerge un parallelo interessante tra le catene migratorie e le reti lunghe dell’internazionalizzazione
dei distretti industriali italiani (CeSPI, 2000). Lo studio delle migrazioni internazionali ha ormai da
tempo individuato l’esistenza di un legame indiscusso e continuo tra gli immigrati e i loro luoghi
d’origine. Questo legame si esprime nel formarsi di catene migratorie: l’emigrazione di un piccolo
gruppo verso una destinazione alimenta un flusso di familiari, conoscenti e compaesani verso quella
stessa destinazione, fino ad arrivare in certi casi ad una sorta di trasferimento di interi villaggi dai
paesi d’origine ai paesi di accoglienza. Le catene migratorie si strutturano anche attorno all’offerta
di lavoro in un determinato settore, l’immigrato già impiegato se ha conoscenza dell’esistenza di un
nuovo posto di lavoro inviterà in generale un suo familiare o un suo conoscente a raggiungerlo e lo
proporrà al datore di lavoro per coprire il posto vacante.
Così come i migranti seguono in modo cumulativo delle rotte prestabilite da alcuni pionieri
rafforzando le relazioni tra alcuni territori di origine e alcuni territori di destinazione, così
l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese italiane segue delle piste tracciate da alcune
imprese leader. Nel tempo queste imprese si coagulano e si installano in gruppi in determinati
territori dei paesi Med creando anch’esse rapporti più densi tra territori di origine e di destinazione.
Esistono alcuni casi di mobilità del capitale e del lavoro tra territori italiani e dei paesi Med ( in
particolare con Tunisia e Marocco nel settore del tessile-abbigliamento e delle calzature), che
stanno organizzando nuove divisioni internazionali della produzione, complementando i relativi
mercati del lavoro. A questo riguardo si vedrà più avanti come inizino a sperimentarsi anche
progetti di cooperazione per gestire i flussi migratori per motivi di lavoro.
Recenti ricerche evidenziano inoltre l’importanza della transnazionalità dei migranti(Grillo, 2001).
La compresenza di interessi e di legami sociali incoraggia la coesistenza di legami culturali e
affettivi con il paese d’origine e di nuovi legami che si sviluppano nel paese di accoglienza. Si
alimenta così un continuum di scambi tra i luoghi di arrivo e di partenza degli immigrati.
Il migrante può collegare tra loro le società locali dei paesi d’origine e di accoglienza, città e
villaggi e, come sottolinea O. Schmidt (1999) con riferimento agli immigrati marocchini in Italia,
minareti e campanili.
Tali scambi possono dar vita ad iniziative spontanee di vario genere, tra loro anche molto diverse:
tra queste possiamo infatti includere il piccolo commercio, in genere informale e illegale, di pezzi di
ricambio e beni (nuovi o usati ) di ogni genere poco disponibili sul mercato dei paesi d’origine
(importati e rivenduti nel paese d’origine dagli immigrati - detti trabendistes); la creazione di
piccole imprese nel paese di accoglienza che si basano su importazioni di prodotti dal paese
d’origine (è questo un caso di imprenditoria “etnica”) ed iniziative di cooperazione allo sviluppo
realizzate da gruppi informali. Esiste in materia una letteratura ormai consolidata nei paesi di più
vecchia immigrazione4. In Italia, si tratta di un campo di ricerca molto recente.
E’ interessante notare che O. Schmidt (1999), a partire da un’indagine sul campo tende a
classificare anche le attività imprenditoriali da lei recensite di singoli marocchini a Milano, che non
sembrerebbero avere vocazione transnazionale, come attività che hanno portata transnazionale
perché, l’eco dei successi personali arriva al paese d’origine e muta anche lì il prestigio sociale e le
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opportunità per l’emigrato, qualora decidesse di tornare (o di avviare attività imprenditorali di tipo
transnazionale).
A ciò si deve aggiungere una maggiore mobilità e circolarità dei flussi. I minori costi di trasporto e
la disponibilità delle nuove tecnologie di comunicazione facilitano e rendono più densi i rapporti. Si
incrementano i flussi di immigrazione temporanea (Badie e Wihtol de Wenden 1993), i movimenti
pendolari di andata e ritorno, favoriti dalla prossimità geografica. Questa mobilità risponde alla
maggiore domanda di flessibilità nel mercato del lavoro italiano ed è parte delle nuove dinamiche
internazionali. “Sebbene non sia possibile parlare di globalizzazione delle migrazioni, la crescente
diversità delle nazionalità dei migranti e dei canali utilizzati, così come la crescente proporzione dei
movimenti temporanei di lavoratori qualificati sul flusso totale, mostrano che le migrazioni stanno
attualmente avvenendo nel contesto della globalizzazione economica. L’interdipendenza tra paesi di
origine e di destinazione è più forte che in passato e il dibattito non è più centrato sull’impatto delle
migrazioni nei rispettivi paesi, ma è divenuto inseparabile dalle questioni dei diritti umani, dello
sviluppo politico ed economico dei paesi di origine, della coesione nazionale e del futuro del
welfare state nei paesi di accoglienza” (OECD, 2000).
Attraverso questa maggiore facilità alla transazionalità aumentano le possibilità potenziali di un
contributo positivo dei migranti allo sviluppo del proprio paese di origine.
La forte caratteristica territoriale delle migrazioni e dell’internazionalizzazione dei distretti
industriali chiama inoltre in causa il ruolo dei governi locali. Le Regioni, Province e Comuni
italiani sono chiamati a co-gestire questi fenomeni pena una subalternità che li può portare ad una
passiva amministrazione delle emergenze (i costi della delocalizzazione “selvaggia” e
dell’insufficiente integrazione dei migranti). Viceversa, i governi locali dovrebbero acquisire
capacità di concertazione e sostegno delle dinamiche di co-sviluppo, supportati da politiche
adeguate di livello nazionale e comunitario.
L’internazionalizzazione economica e le migrazioni producono dunque una regionalizzazione
“naturale” tra territori specifici, che potrebbe costituire uno degli assi portanti dell’integrazione
euro-mediterranea. Ma finora questo processo si è prodotto spontaneamente, al di là dei piani
politici, e le integrazioni naturali risultano comunque ancora poche e deboli.
4. Cooperazione decentrata, partenariati territoriali e flussi migratori
Il ruolo più importante della politica di cooperazione consiste nel catalizzare e appoggiare le forze
sociali e produttive verso dinamiche e su pratiche di forte impatto per l’integrazione sociale ed
economica. E a questo proposito la cooperazione tra soggetti dei territori del Nord e del Sud
armonizzata dalle rispettive autonomie locali (la cosiddetta cooperazione decentrata) presenta un
alto valore aggiunto.
Nel caso dei rapporti euro-mediterranei, la cooperazione decentrata può avere un ruolo molto
importante nel promuovere, sostenere e moltiplicare le integrazioni “naturali” suddette. Un sostegno
che però deve trovare un quadro e un appoggio a livello della cooperazione governativa italiana e
dell’Unione Europea. Non solo dal punto di vista finanziario, quanto soprattutto nella definizione di
nuove politiche con i paesi Med per un maggiore rafforzamento del tessuto delle micro e piccole
imprese, del deconcentramento e decentramento politico, del ruolo dei migranti.
Si potrebbe quindi concepire il Partenariato Euro-Mediterraneo come una infrastruttura politica
macro che potrebbe essere riempita da una pluralità di partenariati territoriali euro-mediterranei
fondati sulle integrazioni “naturali”. Facendo leva sulle risorse e capacità locali dei paesi Med
rafforzate dalle conoscenze e dalle capacità dei sistemi territoriali italiani ed europei.
Questi partenariati dovrebbero essere tuttavia rafforzati dal livello centrale su iniziative di
investimento locale in progetti produttivi, di creazione di reti di sicurezza sociale, di realizzazione
di infrastrutture essenziali. Si dovrebbero mobilitare maggiore risorse finanziare per offrire non solo
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assistenza tecnica quanto veri e propri investimenti per lo sviluppo.
E’ in questo quadro che dovrebbero essere considerate le iniziative di valorizzazione delle risorse e
delle capacità dei migranti, con una valutazione attenta delle condizioni di successo o di fallimento.
Come evidenziano Thomas Straubhaar e Phil Martin (2001), i risultati più positivi ai fini dello
sviluppo dei paesi di origine dei migranti e della creazione di occupazione vengono dalle politiche
commerciali e industriali. Molti dubbi sorgono invece sull’efficacia delle misure dirette
specificamente a valorizzare il ruolo dei migranti e volte a massimizzare le 3 R, ovvero gli effetti
delle Rimesse, dei Ritorni e dei Reclutamenti.
Ma le azioni sulle 3R possono avere maggiore impatto se concepite dentro partenariati e programmi
di cooperazione. Un progetto di ritorno a sé stante ha poche probabilità di successo. Se invece il
ritorno volontario risulta essere parte di un processo più complessivo di co-sviluppo, integrato in
altre azioni di investimento, allora i risultati possono essere positivi. Allo stesso modo, la
valorizzazione delle rimesse può avere un maggiore impatto sullo sviluppo locale dei paesi di
origine se integrata in programmi di rafforzamento delle iniziative di villaggio o in fondi di
investimento. Così, le iniziative di reclutamento dei migranti possono avere effetti positivi sui
luoghi di origine se sono concepite nel quadro di politiche per l’integrazione dei mercati del lavoro,
altrimenti producono fenomeni di brain e skill drain.
Recentemente anche la cooperazione decentrata delle Regioni e degli Enti Locali italiani ha iniziato
ad interrogarsi sulle possibilità di valorizzare le comunità di immigrati nel rapporto con i paesi di
origine. In tal senso, gli Enti Locali, in quanto istituzioni del territorio e quindi vicini alle
problematiche dell’immigrazione, rappresentano degli interlocutori privilegiati per la definizione e
il sostegno ad interventi innovativi e sperimentali di cooperazione con i paesi di origine. A tale
riguardo vi sono alcuni casi di programmi orientati al co-sviluppo e a sostenere le integrazioni
“naturali”. Questa linea di azione ha l’ambizione di offrire un quadro globale e integrato dei
possibili interventi che si situano tra cooperazione e immigrazione. Il governo dei flussi migratori e
la risposta ai diversi bisogni andrebbe infatti considerata in un’ottica di co-sviluppo tra paesi di
origine e di destinazione, e di integrazione regionale a livello euro-mediterraneo. A tale proposito
si rileva l’importanza del programma comunitario Interreg che intende favorire la cooperazione
interregionale e transfrontaliera per una gestione comune delle opportunità e dei vincoli allo
sviluppo. Questo programma prevede infatti la creazione di reti tra regioni europee con il
coinvolgimento di paesi terzi per affrontare in modo concertato problematiche e opportunità comuni
come, appunto, i flussi migratori.
Tutte le regione adriatiche hanno partecipato al progetto Intemigra che ha studiato le cause e gli
effetti sul proprio territorio delle migrazioni provenienti dall’area balcanica, individuando linee
programmatiche di intervento e sostenendo alcuni progetti pilota tra i quali uno di cooperazione
transfrontaliera. La definizione di modelli di intervento si è articolata su tre direttrici: assetti
territoriali; politiche sociali; mercato del lavoro e formazione professionale. Sono stati realizzati
alcuni progetti pilota nei seguenti settori: occupazione; investimenti produttivi e sviluppo delle
piccole e medie imprese; adeguamento urbano e rurale; inserimento sociale degli immigrati;
sviluppo della cooperazione transfrontaliera e interregionale. Il progetto pilota in quest’ultimo
settore è stato sostenuto dalla Regione Friuli Venezia Giulia, al fine di definire percorsi per
identificare risorse umane migranti qualificate in Albania, Macedonia e Montenegro da inserire nel
mercato del lavoro regionale e misure di internazionalizzazione delle aziende italiane che prevedano
anche forme di rientro imprenditoriale degli immigrati.
In questo quadro si situano anche i progetti di cooperazione allo sviluppo e cooperazione economica
che tra i loro fini cercano di assistere la creazione di occupazione nei Paesi di origine per ridurre, in
modo indiretto, la pressione migratoria. La Regione Piemonte sostiene un programma di
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cooperazione con la Regione marocchina di Chaouia-Ourdigha (da dove si registra la provenienza
della gran parte degli immigrati marocchini in Piemonte) nel campo dello sviluppo locale,
attraverso azioni di sostegno alla creazione d’impiego e creazione d’impresa. Con questa iniziativa
si vuole dimostrare come un ruolo sempre più decisivo può essere svolto dai poteri locali, che sono
in grado di adottare iniziative adeguate per controllare e coordinare i flussi migratori, in quanto
conoscono le realtà locali da cui nascono o arrivano. La Provincia e la Camera di Commercio di
Torino sostengono il “Programma pilota di promozione dello sviluppo delle aree tunisine di
emigrazione” promosso dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, e cofinanziato dal
Ministero Affari Esteri italiano. Questo programma pilota ha l’obiettivo di appoggiare lo sviluppo
economico locale della regione a forte pressione emigratoria di Kasserine in Tunisia, attraverso la
creazione di piccole imprese e imprese miste italo tunisine, la valorizzazione turistica di un sito
archeologico, per la generazione di occupazione. A tal fine si cercherà di coinvolgere anche la
comunità tunisina in Italia mobilitandone le risorse umane e finanziarie. Una attività riguarderà
anche la realizzazione di una campagna d’informazione sulla migrazione regolare.
Ma l’interesse maggiore delle Amministrazioni regionali e soprattutto delle forze imprenditoriali
riguarda la cooperazione per la gestione dei flussi per motivi di lavoro. Si fa riferimento in
particolare alla misura di reclutamento di forza lavoro migrante che risponda alle necessità dei
mercati locali italiani. A livello programmatico la Regione Veneto è quella che più sta teorizzando
la creazione di una politica integrata per definire il fabbisogno di personale immigrato e sostenere
una sua selezione e formazione per inserirlo nel mercato del lavoro locale. Questa Regione intende
giocare un ruolo attivo nei confronti del Governo per la concertazione delle quote di entrata di
immigrati per motivi di lavoro, mentre a livello più operativo sta finanziando alcuni progetti
speciali che privilegiano il “ritorno” di argentini, brasiliani e cileni con origini italiane per un loro
inserimento lavorativo in aziende venete.
Ai fini del reclutamento va anche una iniziativa finanziata dalla Regione Lombardia per studiare la
possibilità di agevolare l’incontro della domanda di lavoro locale con l’offerta di lavoro proveniente
dalla Tunisia. A sua volta la Regione Lazio ha già sostenuto un progetto operativo che ha visto la
formazione e selezione in Tunisia di circa 120 aspiranti emigranti e il loro successivo inserimento
nel mondo del lavoro italiano. Si è trattato di un’iniziativa di successo che si intende replicare in
altri paesi quali Albania e Romania.
Anche la Regione Emilia Romagna sta sostenendo un progetto di studio volto a definire la fattibilità
di una agenzia per la gestione dei flussi migratori per motivi di lavoro che, a differenza delle
iniziative precedenti, cerca di considerare anche le esigenze del mercato del lavoro dei Paesi di
origine (Marocco e Senegal in questo caso) e le possibili forme di pendolarismo, circolarità e
ritorno dei migranti. In tal caso si cerca di considerare il reclutamento come una parte di un
processo più complesso volto a favorire l’integrazione tra territori del Sud e del Nord e non solo
come una misura per rispondere ai fabbisogni di lavoro del mercato italiano.
Quest’ultimo approccio va nel senso di creare di partenariati territoriali internazionali per il cosviluppo nel cui ambito valorizzare le risorse e le capacità dei migranti. Si potrà puntare su progetti
di formazione di immigrati sulle gestione d’impresa, su temi economici trasversali, o su pratiche e
tecniche settoriali, per le quali esistono opportunità di investimento nei paesi di origine; su progetti
presentati da gruppi di medie imprese con interessi ad investire nei paesi di origine degli immigrati;
su progetti di formazione e di mobilità di immigrati come divulgatori tecnici, con legami con PMI
italiane produttrici di tecnologie appropriabili. Si potrebbe selezionare un gruppo di immigrati di
eccellenza per un programma specifico di formazione di agenti di sviluppo, e cioè di persone di alta
qualificazione capaci di conoscere i casi di cluster di piccole e medie imrpese nei paesi di origine,
di formulare linee di azione di sostegno a tali cluster e di coinvolgere ed organizzare immigrati ed
imprenditori, amministratori e sindacalisti dei distretti industriali in modo da supportare i
8
9
programmi di cooperazione decentrata. Si tratta quindi di “promuovere le risorse umane e
finanziarie e di incitare gli emigrati a prevedere più occasioni di ritorno nel paese di origine,
partecipare più attivamente ai progetti di creazione o rafforzamento di imprese e ad associarsi con
altri partner per promuovere lo sviluppo” (Garson, 1994).
Infine, riguardo la promozione di risorse finanziare, è evidente, come già sottolineato, la grande
potenzialità delle rimesse dei migranti per lo sviluppo dei paesi di origine. Anche in questo campo,
la cooperazione decentrata attraverso la formazione di partenariati territoriali internazionali per il
co-sviluppo, può giocare un ruolo importante. E’ un campo assolutamente sperimentale nel quale si
stanno muovendo alcune iniziative. Ad esempio si può citare un progetto innovativo sostenuto dalla
Regione Toscana e coordinato dalla ONG COSPE per la creazione di un sistema agevolato per
l’invio delle rimesse in Marocco e la distribuzione di microcredito a livello locale. Questo progetto
si fonda sulle relazioni esistenti tra la comunità di immigrati marocchini residente in provincia di
Livorno e la provincia di origine Khénifra, e vede il coinvolgimento del Monte dei Paschi di Siena
per la raccolta dei risparmi degli immigrati e istituzioni di microfinanza italiane e locali per
garantire la gestione del flusso di rimesse e la loro distribuzione attraverso una banca marocchina.
Altri spazi di opportunità per la cooperazione decentrata ai fini della valorizzazione delle rimesse
per lo sviluppo locale comprendono: il rafforzamento e la collaborazione con le associazioni di
migranti per lo sviluppo locale dei paesi di origine; il coinvolgimento del sistema bancario e in
particolare delle casse di credito cooperativo per le possibilità di assistenza tecnica e proposta di
prodotti di raccolta del risparmio e di impiego per canalizzare e utilizzare efficacemente le rimesse;
il collegamento con i sistemi di microfinanza e quindi il settore delle ONG impegnato nella
realizzazione di progetti di sviluppo; il coinvolgimento di sistemi di piccole e medie imprese per la
creazione di opportunità di investimento delle rimesse; la facilitazione di progetti di rientro; il
rafforzamento istituzionale delle Autonomie locali e agenzie per lo sviluppo locale nei paesi di
origine, per la creazione delle condizioni di contesto favorevoli al pieno dispiegamento del
moltiplicatore delle rimesse (e più in generale degli investimenti finanziari) e al riconoscimento del
ruolo dei migranti quali attori per lo sviluppo.
5. Dal co-sviluppo alla fortezza europea
Il Partenariato euromediterraneo è nato nel 1995 avendo tra i suoi obiettivi di lungo periodo, una
gestione più armoniosa, concordata ed efficace dei flussi migratori. Nella Comunicazione della
Commissione che sta all'origine del Partenariato si legge, per esempio, che "se le pressioni
migratorie non saranno opportunamente gestite grazie ad una attenta cooperazione con i paesi
interessati, è facile prevedere il rischio di attriti a scapito delle relazioni internazionali e delle
popolazioni immigrate stesse" (Commissione Europea, 1994).
Ma, fin dall'inizio, gli interessi dell’Unione Europea sono stati diversi da quelli dei paesi terzi
mediterranei. Per gli europei, l'unica vera priorità è di ottenere una maggiore cooperazione dagli
Stati di origine e di transito nella lotta all'immigrazione clandestina; per i paesi extra-UE, invece, si
tratta di tutelare le comunità emigrate e di preservare la vitale risorsa economica rappresentata dalle
rimesse. Le conclusioni della conferenza di Barcellona riflettono bene lo stato della discussione,
disarticolata in due livelli poco comunicanti: uno piuttosto generico, focalizzato sugli aspetti
positivi delle migrazioni transmediterranee; l'altro, tecnicamente più approfondito ma ugualmente
improduttivo, incentrato sulla lotta all'immigrazione clandestina. (Pastore, 2001).
Il compromesso sintetizzato si traduce in uno stallo che, per molti anni, le successive riunioni non
sono riuscite a superare. In occasione della Seconda Conferenza ministeriale euromediterranea
(Malta, 15-16 aprile 1997) e, poi, di nuovo, della riunione ministeriale di medio termine di Palermo
(3-4 giugno 1998), l'impegno a intensificare la cooperazione euromediterranea in materia migratoria
viene regolarmente e ritualmente reiterato. Ma, la povertà della riflessione preparatoria e la
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mancanza di coraggio politico dalle due parti precludono progressi sostanziali. Anche il successivo
vertice di Stoccarda (15-16 aprile 1999) si chiude senza risultati apprezzabili.
Ciononostante la rilevanza del fenomeno e le sue ripercussioni sull’opinione pubblica e sulle
sensibilità politiche hanno incoraggiato la ricerca di soluzioni innovative, tra le quali spicca
l'esperimento in corso di realizzazione, a partire dalla fine del 1998, ad opera del Gruppo ad alto
livello su asilo e migrazioni (High-Level Working Group on Asylum and Migration, noto con
l'acronimo inglese HLWG) (Pastore, 2000).
L'attività del HLWG ha uno stretto legame con la politica europea nei confronti delle migrazioni
transmediterranee, comprendendo due paesi rivieraschi (Albania e Marocco), che rappresentano
rispettivamente il più importante paese di emigrazione della regione (in termini relativi, cioè di
proporzione degli emigrati sulla popolazione totale) e il paese mediterraneo con il più alto numero
di cittadini residenti all'estero (dopo la Turchia), nonché quello con il più forte potenziale di
emigrazione ulteriore, in termini assoluti.
Il Gruppo ad alto livello ha prodotto sei Piani d'azione5 che cercano di adottare un approccio
comprensivo per la gestione dei flussi migratori, che tenga cioè conto dello sviluppo dei paesi di
origine e degli accordi di partenariato che legano l’Unione Europea a questi paesi. I flussi migratori
sono cioè considerati con riferimento al concetto di co-sviluppo e di integrazione sociale ed
economica. Essi sono privi di efficacia vincolante, intendono orientare e armonizzare l'azione
esterna delle istituzioni UE e degli Stati membri in materia migratoria nei confronti dei paesi
esaminati.
D’altra parte il fatto che essi siano stati predisposti unilateralmente, in assenza cioè di qualsiasi
consultazione con le autorità dei sei paesi considerati, ha generato una reazione di disappunto e di
temporanea chiusura, non del tutto ingiustificata da parte dei paesi di origine dei flussi. Il Gruppo ad
alto livello ha così annunciato l'intenzione di rimediare adottando una " … sincera partnership tra
l'Unione europea e i paesi oggetto dei Piani stessi. (…) La messa in opera dei Piani deve
comportare la definizione di impegni reciproci definiti di comune accordo"6. Nel caso particolare
del Marocco, questo nuovo orientamento si è tradotto nella proposta di creare, all'interno del quadro
istituzionale posto in essere dall'accordo di associazione UE-Marocco, un "Sottocomitato su
Immigrazione e Affari Sociali", il cui compito iniziale dovrebbe essere proprio quello di riformulare
il Piano d'azione del HLWG alla luce delle obiezioni di merito marocchine, facendone la base di
una cooperazione articolata e duratura.
Il HLWG ha inoltre espresso il suggerimento di finanziare progetti in materia di asilo e
immigrazione, aventi per oggetto attività di cooperazione tecnica, formazione, scambio di esperti,
seminari, utilizzando le risorse previste nel quadro finanziario MEDA II (2000-2006). Nel 2001 è
stata inoltre creata una nuova linea di finanziamento, B7-667, chiamata “cooperazione con i paesi
terzi nell’area delle migrazioni” che riguarda i paesi che sono stati finora oggetto dell’analisi del
High Level Working Group, ma che può comprendere anche altre regioni con cui l’UE ha rapporti
di partenariato. L’obiettivo è quello di influenzare i movimenti migratori attraverso la realizzazione
di azioni per: sostenere la capacità della Comunità e dei paesi partner a saper gestire i flussi
migratori e i sistemi di asilo; favorire i ritorni volontari nei paesi di origine e il rafforzamento della
capacità di questi paesi a far fronte agli impegni di riammissione presi con l’UE e i suoi paesi
membri; lottare contro il traffico e l’immigrazione illegale aiutando i paesi terzi a elaborare una
politica attiva. Tra le misure indicate vi sono: la cooperazione istituzionale e legislativa per la
determinazione e l’amministrazione dello status di rifugiati; il rafforzamento di sistemi di
informazione nei paesi di origine; la prevenzione e lotta dell’immigrazione illegale di gruppi
vulnerabili come i minori; la cooperazione per favorire le relazioni e gli scambi di esperienze dei
migranti con i loro paesi di origine; il ritorno di migranti con qualificazioni richieste nel mercato del
lavoro dei paesi di origine; la formazione e trasferimento di conoscenze, fornitura di materiale e
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altro per rafforzare i controlli di frontiera; il rafforzamento della capacità di controllo e rilevamento
di documenti falsificati. Il finanziamento della Commissione è stato pari a 10 milioni di euro nel
2001 e di 12,5 milioni di euro nel 2002.
Nel 1999 il Consiglio europeo di Tampere ha sancito l’approccio del co-sviluppo, stabilendo che
“l’Unione Europea ha bisogno di un approccio generale al fenomeno della migrazione che abbracci
le questioni connesse alla politica, ai diritti umani e allo sviluppo dei paesi e delle regioni di origine
e di transito. Ciò significa che occorre prevenire i conflitti e stabilizzare gli Stati democratici,
garantendo il rispetto dei diritti umani, in particolare quelli delle minoranze, delle donne e dei
bambini. A tal fine, l’Unione e gli Stati membri sono invitati a contribuire, nelle rispettive sfere di
competenza ai sensi dei trattati, a una maggiore coerenza delle politiche interne ed esterne
dell’Unione stessa. Un altro elemento fondamentale per il successo di queste politiche sarà il
partenariato con i paesi terzi interessati, nella prospettiva di promuovere lo sviluppo comune”7.
Nell’Aprile 2002 a Valencia la Va Conferenza Euro-Mediterranea dei Ministri degli Esteri ha
adottato un nuovo documento quadro per la realizzazione di un programma regionale nel campo
della giustizia, lotta al traffico di droga, al crimine organizzato, così come nella cooperazione per
l’integrazione sociale dei migranti, sulle migrazioni e il movimento delle persone8. Il Piano di
Azione di Valencia prevede inoltre la realizzazione di una Conferenza ministeriale sulle migrazioni
da tenersi nella seconda metà del 2003 e che dovrebbe includere temi quali la cooperazione con i
paesi di origine, l’integrazione sociale del lavoratori migranti e la gestione dei flussi migratori9.
Il nuovo documento quadro di cui sopra10 afferma che l’integrazione sociale dei migranti, le
migrazioni e il movimento delle persone sono di vitale importanza per il Partenariato EuroMediterraneo. Il suo sviluppo non può che essere facilitato dall’adozione di misure per promuovere
l’integrazione sociale degli immigrati e per combattere il razzismo e la xenofobia. Così come è
importante definire partenariati tra paesi di origine e di destinazione per promuovere il contributo
dei migranti allo sviluppo locale e regionale attraverso il commercio e gli investimenti. I paesi
devono infine combattere il traffico di esseri umani e le migrazioni illegali.
Per ognuno di questi tre capitoli sono indicate delle azioni da intraprendere che vanno dal
rafforzamento delle misure per l’inclusione sociale e il ricongiungimento famigliare al rispetto dei
diritti umani, dallo scambio di informazioni sui flussi alla possibilità di semplificare ed accelerare
l’emissione di visti, in particolare verso alcune categorie di persone, al miglioramento delle capacità
istituzionali nel trattamento delle domande di asilo e nella protezione dei rifugiati, dai meccanismi
per combattere il traffico di essere umani alla promozione di accordi di riammissione, alla creazione
di sistemi efficaci e moderni per controllare le frontiere. Questo documento si presenta quindi
abbastanza bilanciato tra obiettivi di sicurezza, solidarietà sociale e rispetto dei diritti umani, e cosviluppo, dovendo considerare le esigenze politiche sia dei paesi europei sia dei paesi MED
Ma, nel dibattito politico europeo sono sempre più evidenti soprattutto le preoccupazioni sulla
gestione dei flussi migratori al fine del loro controllo: la Conferenza Euro-Mediterranea di Valencia
ha associato significativamente le migrazioni ai problemi di traffico della droga e al crimine
organizzato. E nei mesi successivi il primo ministro spagnolo José Maria Aznar, ha proposto al
Consiglio europeo di Siviglia il condizionamento dell’aiuto pubblico allo sviluppo ai paesi di
origine ad un loro più concreto impegno nel controllo sui flussi di emigrazione. Questa posizione
sanzionatoria ed unilaterale non ha trovato consenso unanime tra i Paesi europei e ha suscitato la
diffidenza di alcuni paesi terzi. Si è definita una soluzione di compromesso che prevede una
valutazione sistematica delle relazioni con i paesi terzi che non cooperano nella lotta contro
l’immigrazione illegale, dei cui risultati si terrà conto nelle relazioni fra l’Unione Europea e gli Stati
membri e i paesi interessati, in tutti i settori pertinenti. In una seconda fase, se non si sarà ottenuto
alcun risultato ricorrendo ai meccanismi comunitari esistenti, il Consiglio potrà prendere atto,
all’unanimità, della mancanza ingiustificata di cooperazione da parte di un paese terzo nella
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gestione comune dei flussi migratori. In tal caso il Consiglio, conformemente alle norme dei trattati,
potrà adottare misure o assumere posizioni nel quadro della politica estera e di sicurezza comune e
delle altre politiche dell’Unione Europea. Queste misure sanzionatorie dovranno comunque essere
assunte nel rispetto degli impegni assunti dall’Unione e senza mettere in discussione gli obiettivi
della cooperazione allo sviluppo. Questo compromesso in sostanza boccia la proposta di
condizionare l’aiuto all’impegno dei Paesi di origine sul controllo dei flussi illegali ma apre la
possibilità di utilizzare altre non precisate misure di politica estera per far leva sui paesi di origine.
E’ dunque prevalente una lettura politica centrata sulle questioni di sicurezza e sui problemi interni
all’Unione. Così finora il lento processo di comunitarizzazione della politica sull’immigrazione è
avanzato sul versante della prevenzione e repressione dell’immigrazione illegale: evoluzione verso
un corpo europeo di polizia di frontiera; radicale riforma della politica comune dei visti;
rinnovamento e sviluppo dello Schengen Information System11. “L’agenda migratoria di Siviglia è
fortemente squilibrata sul versante di controllo e repressivo. Vi sono due blocchi fondamentali di
decisioni che hanno per oggetto quasi esclusivo (con l’eccezione, indubbiamente significativa, dei
provvedimenti in materia di ricongiungimento famigliare e di status dei lungo-residenti) temi che si
trovavano già al cuore della cooperazione intergovernativa in ambito Schengen. Si constata,
insomma, che, dopo anni di dibattiti su un approccio comprensivo e integrato alla politica
migratoria europea, gli obiettivi fondamentali degli esecutivi europei non sono sostanzialmente
mutati.” (Pastore, 2002).
La creazione di uno spazio di sicurezza interno all’Unione Europea non può che avere poco
successo quando nei paesi confinanti possono crescere fenomeni di traffico e crimine, di instabilità
politica e crisi economica e sociale. “Bisogna essere consapevoli che il tentativo di rendere
impermeabile un confine così configurato è destinato al fallimento, e può anzi aumentare
l’instabilità, distruggendo i legami economici e culturali tra Paesi vicini. Un approccio concertato e
coerente, che coinvolga tutte le politiche dell’Unione, è necessario per affrontare i complessi
problemi legati alla gestione del confine, sinora impropriamente trattati come fosse possibile
confinarli alle frontiere” (Ferrara, 2002). Ne deriva l’esigenza di rendere quanto più coerente la
politica sull’immigrazione alla politica estera e di cooperazione. Non basta delegare alla politica
estera e di cooperazione il compito di favorire lo sviluppo dei paesi terzi nella speranza che questo
aiuti a contenere i flussi migratori. Occorre che la stessa politica sull’immigrazione sia disegnata in
modo da considerare i suoi effetti sui paesi di origine, in una visione integrata e coerente tra politica
interna ed estera.
In conclusione la grande potenzialità delle migrazioni quale fenomeno naturale di integrazione
euromediterranea continua ad essere misconosciuta e osteggiata. I tentativi sperimentali condotti a
livello decentrato per la costruzione di partenariati territoriali rischiano di continuare ad essere
marginali e scarsamente efficaci date le condizioni politiche restrittive. Da un timido tentativo di
approccio comprensivo alla gestione dei flussi migratori, basato sul concetto del co-sviluppo, si è
passati recentemente alla ricostruzione di una fortezza europea fondata su un concetto egoistico e
miope di sicurezza.
Andrea Stocchiero è ricercatore del Centro Studi di Politica Internazionale e coordinatore assieme a
Ferruccio pastore del programma di studi MigraCtion, sostenuto dalla Compagnia di San Paolo, che
analizza le possibili relazioni esistenti tra politica di cooperazione allo sviluppo e politica di
gestione dei flussi migratori.
12
13
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1
Secondo l’Economic Research Forum del Cairo “il modesto tasso di crescita economica combinato con l’espansione
veloce della forza lavoro fa sì che la regione mostri i più alti tassi di disoccupazione al mondo. (…) Le proiezioni sulla
popolazione mostrano che le nuove entrate di forza lavoro aumenteranno di circa 8 milioni all’anno durante il periodo
1995-2010” (1998).
2
“I paesi del Medio Oriente e del Nord Africa appaiono esclusi dall’importante evoluzione che sta avendo luogo nello
scenario dei flussi di investimento a livello mondiale” (Economic Research Forum, 1998).
3
La ricerca Italia Multinazionale mostra dal 1986 al 1998 un modesto aumento della presenza di imprese italiane in
alcuni paesi del Mediterraneo (Turchia, Egitto, Marocco, Tunisia), che continua a rimanere la più bassa rispetto ad altre
regioni (CNEL, vari anni).
4
In Francia, ad esempio, sulle attività dei trabendistes e dell’imprenditoria etnica tra le due rive del mediterraneo, si
veda Cesari (1997); sulle iniziative informali di cooperazione allo sviluppo avviate da gruppi di immigrati provenienti
dai villaggi sulle rive del fiume Senegal (la coopération villageoise) si è sviluppata una vasta letteratura, a partire dai
lavori di Daum (1993) e Quiminal (1993) e grazie all’interesse dell’istituto di ricerche Panos per queste iniziative
5
I piani di azione riguardano Albania, Afghanistan, Iraq, Marocco, Somalia e Sri Lanka.
6
Si tratta del punto 55 del Rapporto presentato dal HLWG al Consiglio europeo di Nizza (7-9 dicembre 2000), allegato
alle Conclusioni della Presidenza (traduzione non ufficiale).
7
Consiglio Europeo di Tampere, 15 e 16 Ottobre 1999, Conclusioni della Presidenza.
8
Euromed Report, 26 Aprile 2002, Va Conferenza Euro-Mediterranea dei Ministri degli Esteri, Conclusioni della
Presidenza, Valencia 22-23 Aprile 2002.
9
Euromed Report, 26 Aprile 2002, Valencia Action Plan.
10
Euromed Report, Issue n. 44, 29 April 2002, “Regional cooperation programme in the field of justice, in combating
drugs, organised crime and terrorism as well as cooperation in the treatment of issues relating to the social integration of
migrants, migration and movement of people”.
11
Si vedano a tale proposito i bollettini di analisi sulle politiche migratorie in Europa, MigraCtion Europa, curati da
Ferruccio Pastore (scaricabili dal sito del CeSPI http:www.cespi.it). Il programma di ricerca MigraCtion è sostenuto
dalla Compagnia di San Paolo.
14