Relazione Geologica - Autorità di bacino campania centrale
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Relazione Geologica - Autorità di bacino campania centrale
INDICE I CONTESTI GEOMORFOLOGICI DEL TERRITORIO DELL’AUTORITÀ DI BACINO REGIONALE DELLA CAMPANIA CENTRALE ........................................................................................... 3 IL DISTRETTO VULCANICO DEI CAMPI FLEGREI CONTINENTALI ..................................................................... 3 1 INQUADRAMENTO GEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO-STRUTTURALE ....................................................................3 2 SCHEMA DI CIRCOLAZIONE IDRICA SOTTERRANEA.....................................................................................................6 IL DISTRETTO VULCANICO DEI CAMPI FLEGREI INSULARI: ISCHIA E PROCIDA ............................................ 7 3 INQUADRAMENTO GEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO-STRUTTURALE DELL’ISOLA DI ISCHIA ...............................7 4 INQUADRAMENTO GEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO-STRUTTURALE DELL’ISOLA DI PROCIDA.........................12 5 SCHEMA DI CIRCOLAZIONE IDRICA SOTTERRANEA DELL’ISOLA DI ISCHIA .............................................................14 IL COMPLESSO VULCANICO DEL SOMMA-VESUVIO ........................................................................................ 16 6 INQUADRAMENTO GEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO-STRUTTURALE DEL SOMMA-VESUVIO ............................16 7 SCHEMA DI CIRCOLAZIONE IDRICA SOTTERRANEA...................................................................................................22 LE DORSALI CARBONATICHE.............................................................................................................................. 25 8 INTRODUZIONE ..............................................................................................................................................................25 9 INQUADRAMENTO GEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO-STRUTTURALE DELLE DORSALI CARBONATICHE .............................................................................................................................................................26 10 SCHEMA DI CIRCOLAZIONE IDRICA SOTTERRANEA...................................................................................................43 LA PENISOLA SORRENTINA................................................................................................................................. 45 LA PIANA CAMPANA ............................................................................................................................................. 47 I BACINI IDROGRAFICI.............................................................................................................................. 48 CARTE GEOTEMATICHE DI BASE........................................................................................................... 49 LA PERICOLOSITA’ DA DISSESTO DI VERSANTE: CENNI SULLE METODOLOGIE APPLICATE NEI PSAI DELLE EX ADB SARNO E NORD-OCCIDENTALE............................................ 50 PERICOLOSITÀ GEOMORFOLOGICA................................................................................................................... 50 LE CARTE DI SUSCETTIBILITÀ – PSAI EX AUTORITÀ DI BACINO NORD-OCCIDENTALE ............................. 51 11 SUSCETTIBILITÀ ALL’INNESCO DEI FENOMENI FRANOSI...........................................................................................52 12 SUSCETTIBILITÀ ALL’INVASIONE DEI FENOMENI FRANOSI........................................................................................55 13 LA CARTA DELLA PERICOLOSITÀ RELATIVA (SUSCETTIBILITÀ) DA FRANA NEI DIVERSI CONTESTI GEOLOGICI .....................................................................................................................................................................60 LE CARTE DI SUSCETTIBILITÀ ALL’INNESCO – PSAI EX AUTORITÀ DI BACINO DEL SARNO .................... 63 14 SUSCETTIBILITÀ ALL’INNESCO DEI FENOMENI FRANOSI...........................................................................................64 15 SUSCETTIBILITÀ ALL’INVASIONE DEI FENOMENI FRANOSI........................................................................................67 16 CLASSI DI PERICOLOSITÀ GEOMORFOLOGICA NELL’EX AUTORITA’ DI BACINO DEL SARNO.................................69 IL RISCHIO DA FRANA NEI PSAI DELLE EX ADB SARNO E NORD - OCCIDENTALE ....................... 70 DEFINIZIONE DEL CONCETTO DI RISCHIO NEI PSAI EX ADB SARNO E NORD OCCIDENTALE. .................. 71 LA MATRICE E LA CARTOGRAFIA DEL RISCHIO DA FRANA NEL PSAI EX ADB NORD OCCIDENTALE....................................................................................................................................... 75 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA LA MATRICE E LA CARTOGRAFIA DEL RISCHIO DA FRANA NEL PSAI EX ADB SARNO ............................. 76 PROCEDURA DI OMOGENEIZZAZIONE DELLE CARTE DI PERICOLOSITÀ E RISCHIO DA FRANA – PSAI CAMPANIA CENTRALE................................................................................................... 78 DESCRIZIONE SINTETICA DEI CRITERI DI OMOGENEIZZAZIONE DELLE CARTE DI PERICOLOSITÀ.......... 79 MATRICE E CARTA DEL RISCHIO DA FRANA PSAI ADB CAMPANIA CENTRALE .......................................... 83 RISCHIO IDROGEOLOGICO PER FENOMENI DI SINKHOLE. ............................................................... 88 ASPETTI NORMATIVI ............................................................................................................................................. 88 CAVITÀ DI ORIGINE NATURALE ........................................................................................................................... 89 17 IL CASO DELLA CONCA DI FORINO .........................................................................................................................................90 18 INDAGINI E MONITORAGGIO ..................................................................................................................................................91 CAVITÀ DI ORIGINE ANTROPICA ......................................................................................................................... 92 IPOTESI DI NORMATIVA/INDIRIZZI PER LA PIANIFICAZIONE COMUNALE IN AREE CON NOTEVOLE - PRESENZA DI CAVITÀ ARTIFICIALI.............................................................................. 94 CONCLUSIONI ........................................................................................................................................................ 95 APPENDICE 1 - CARTE GEOTEMATICHE DI BASE 2 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA I CONTESTI GEOMORFOLOGICI DEL TERRITORIO DELL’AUTORITÀ DI BACINO REGIONALE DELLA CAMPANIA CENTRALE Nel territorio dell’Autorità di Bacino della Campania Centrale ricadono i seguenti grandi contesti geologico-strutturali: le aree vulcaniche del Somma-Vesuvio e dei Campi Flegrei continentali ed insulari; la Piana Campana; le dorsali carbonatiche appenniniche, la penisola Sorrentina e l’isola di Capri. IL DISTRETTO VULCANICO DEI CAMPI FLEGREI CONTINENTALI 1 INQUADRAMENTO GEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO-STRUTTURALE LE UNITÀ LITOSTRATIGRAFICHE Il territorio dei Campi Flegrei continentali è caratterizzato dalla presenza di depositi prevalentemente vulcanici e solo in piccola parte di depositi continentali (colluvioalluvionali) e marini. I depositi vulcanici sono nella quasi totalità prodotti dall’attività del sistema magmatico flegreo e, subordinatamente, da quello vesuviano. Si tratta prevalentemente di depositi piroclastici; colate e duomi lavici sono state prodotte solo in un numero limitato di eruzioni. Le piroclastici includono sia depositi da caduta che depositi di vari tipi di flusso piroclastico; questi ultimi, e in particolare quelli prodotti dalle eruzioni a più alta magnitudo, sono talvolta litificati per effetto di processi di trasformazione post-deposizionale (zeolitizzazione). Depositi di mare basso e di spiaggia ricorrono a varie altezze stratigrafiche e si rinvengono generalmente nel sottosuolo delle piane prossime alla linea di costa e, talora, dislocati a varie altezze per effetto delle deformazioni indotte dalla attività vulcano-tettonica. Dal punto di vista strutturale , l’elemento più importante è dato dalla caldera dei Campi Flegrei; essa costituisce una struttura complessa, risultante da due fasi principali di collasso, connesse alle eruzioni della Ignimbrite Campana e del Tufo Giallo Napoletano; quella più recente si è formata nel settore sud-occidentale della precedente ed è stata sede di una intensa attività vulcanica e vulcano-tettonica più recente. Le unità litostratigrafiche individuate nella Carta Geolitologica sono state suddivise in funzione del loro ambiente di deposizione, distinguendo i depositi degli apparati vulcanici da quelli sedimentatisi in ambiente continentale, marino e di transizione. In particolare, nella Carta Geolitologica, sono state riportate le seguenti unità litostratigrafiche: 1. Depositi vulcanici di età maggiore di 37.000 anni dal presente. Comprendono le lave [LVA] che affiorano tra la spiaggia di Acquamorta e Torregaveta, lungo i versanti occidentale e nordoccidentale di Cuma e a Punta Marmolite e depositi piroclastici [PA] che affiorano a Monte di Procida (sequenza di Monte Grillo), Soccavo (Tufi di Torre Franco) e Quarto. 3 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA 2. Formazione dell’Ignimbrite Campana [IC] – età 37.000 y.b.p. - deposito da flusso piroclastico costituito da una breccia poligenica con blocchi e scorie di dimensioni fino al metro di diametro [Ica], passante lateralmente e verticalmente a una facies di colore giallastro, a differente grado di litificazione e contenuto variabile in scorie grigio scure [Icb]; nella facies tufacea sono presenti talora strutture da degassazione. Alla formazione dell’Ignimbrite campana sono associati depositi da flusso piroclastico litoidi a tessitura eutassitica ricchi di scorie nerastre (Piperno – PPa) e depositi di brecce costituiti da pomici e scorie e, subordinatamente, frammenti di ossidiana e litici [PPb]. 3. Depositi vulcanici di età compresa tra 37.000 y.b.p. e 12.000 y.b.p. Comprendono: depositi da flusso piroclastico (Tufi biancastri stratificati, Tu-fi antichi della città di Napoli) da incoerenti a se-micoerenti a stratificazione incrociata e lamine a basso angolo [PFTa]; prodotti piroclastici da caduta [PFTb] e la formazione del Tufo Giallo Napoletano [TGN], deposito piroclastico di colore giallastro e grigiastro a struttura da massiva a stratoide, costituito da pomici, frammenti lavici e tufacei immersi in una matrice cineritica. Nella formazione del TGN vengono distinte una facies litoide [TGNa] e una facies incoerente [TGNb]. 4. Depositi vulcanici di età compresa tra 12.000 y.b.p. e il 1538 d.C. Comprendono: tufi gialli dell’attività flegrea recente (tufi del Gauro, Ar-chiaverno, Capo Miseno, Punta Epitaffio, Nisida e La Pietra) da semicoerenti [Tfa] a coerenti [TFb]; prodotti piroclastici sciolti dell’attività flegrea recente, distinti in depositi delle aree prossimali ai centri eruttivi [Psa], a struttura prevalentemente stratificata (stratificazione pianoparallela o ondulata) e depositi delle aree distali [PSb], nei quali prevalgono livelli ben selezionati di cineriti, pomici e frammenti litici; cupole laviche di Monte Olibano [LVRo] e della Caprara [LVRc]; depositi del terrazzo della Starza, costituiti da una successione di livelli di origine marina intercalati a depositi subaerei di origine vulcanica [ST]; prodotti dell’eruzione del Monte Nuovo, costituiti da un deposito basale da flusso piroclasticoda massivo a debolmente laminato [Mna] con, tetto, un livello di scorie da caduta [MNb] e, a chiudere la sequenza sul fianco meridionale del cratere, un deposito grossolano da scoria flow. 5. Depositi eluvio-colluviali [PSI1], depositi colluvio-alluvionali [PSI2] e detrito di versante, a granulometria prevalentemente fine [Dta] o grossolana, con blocchi e massi tufacei o lavici [Dtb]. 6. Depositi sabbiosi, sabbioso-limosi e limo-sabbiosi del sistema costiero-dunare [SPI]. 7. Depositi antropici, comprendenti terreni di bonifica, terreni di risulta derivanti da opere di escavazione e sbancamento, materiali di riempimento di discariche [da]. ASPETTI GEOMORFOLOGICI E STRUTTURALI La realizzazione della Carta Geomorfologica, è stata impostata seguendo gli standard proposti dal G.N.G.F.G. (1993) e dal Servizio Geologico Nazionale, e tenendo altresì conto degli indirizzi seguiti dal C.U.G.Ri. per le finalità precipue previste dal Piano Straordinario e valide anche per il Piano Stralcio (vedi peculiarità degli indicatori geomorfologici connessi alle zone di innesco e di accumulo degli eventi franosi che caratterizzano il territorio). Essa copre larga parte, ma non la totalità dell’area flegrea, non essendo state considerate le aree non soggette a condizioni di pericolosità di innesco, transito e invasione da frana. 4 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Lo studio geomorfologico ha permesso il riconoscimento di forme e processi legati a diversi agenti geomorfici nonchè alla influenza di altri fattori; di essi viene di seguito riportata la descrizione. FORME DI ORIGINE VULCANO-TETTONICA E STRUTTURALE L’aspetto rilevante di interesse morfologico è dato dalla presenza di versanti da moderatamente a fortemente acclivi di origine strutturale, connessi al verificarsi di fenomeni di collasso vulcano-tettonico. Tali versanti si impostano in rocce litoidi e in terreni piroclastici sciolti; in particolare, le creste tufacee che bordano la collina dei Camaldoli e la collina di Posillipo sono interessate da una intensa fratturazione che contribuisce ad isolare blocchi in precarie condizioni di equilibrio, spesso soggetti a fenomeni di crollo, i cui effetti sono testimoniati da numerosi massi presenti nelle aree pedemontane. Relativamente all’edificio calderico principale, vengono riportati nella carta geomorfologica i lembi della caldera flegrea. Altre morfologie strettamente associate alla attività vulcanica flegrea sono rappresentate dai duomi lavici (Monte Olibano, La Caprara) e dagli edifici vulcanici, in alcuni casi ancora ben conservati (Astroni, Cigliano, Solfatara, Averno, Fondi di Baia) con versanti interni ripidi e profilo concavo, e versanti esterni meno acclivi e profilo concavo-rettilineo, in altri casi meno conservati soprattutto per quanto riguarda gli edifici vulcanici soggetti alla azione erosiva del mare (vulcano di Miseno, vulcano di Baia ecc.). FORME, PROCESSI E DEPOSITI LEGATI ALLA AZIONE DELLE ACQUE CORRENTI SUPERFICIALI Sono stati cartografate le forme di erosione e accumulo quali: solchi da ruscellamento concentrato, alvei poco incisi, alvei da moderatamente a molto incisi, orli di scarpata, vallecole a conca, vallecole a fondo piatto, gomiti lungo aste fluviali a forte gradiente, soglie di valle sospesa, conoidi alluvionale attivo, poco o non reincisi, fascie di raccordo versantefondovalle di origine alluvio-colluviale o di origine fluvio-denudazionale, e settori di glacis alluvio-colluviale interessati da diffusi fenomeni di deiezione. FORME, PROCESSI E DEPOSITI DI VERSANTE DI ORIGINE GRAVITATIVA I fenomeni franosi riconosciuti nel territorio dei Campi Flegrei sono ascrivibili prevalentemente a scorrimenti traslativi, colate e frane complesse, quest’ultime rappresentate da crolli o scorrimenti traslativi evoluti in colate. Gli scorrimenti, gli scorrimenti-colata e le colate sono in larghissima parte di modesto volume, e si sono attivati lungo versanti ad inclinazione variabile, per lo più compresa tra 40° e 50° circa. Nel complesso, gli eventi di frana sono distribuiti in maniera abbastanza omogenea lungo tutte le aree di versante caratterizzate da elevata acclività e energia di rilievo spesso concentrati in corrispondenza degli orli di scarpata a controllo strutturale (vedi i versanti legati a fenomeni di collasso vulcano-tettonico). In corrispondenza delle pareti subverticali impostate in materiali litoidi di natura tufacea e lavica, sono frequenti fenomeni di crollo s.l. FORME E DEPOSITI DI ORIGINE MARINA. Le forme di origine marina maggiormente presenti nel territorio flegreo sono costituite dagli orli di falesia; vengono distinte, nella Carta Geomorfologica, gli orli di falesia attivi e quelli inattivi (paleo-falesie) e, ancora, quelli con o senza un controllo di tipo strutturale. 5 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Di particolare interesse, inoltre, ai fini della ricostruzione delle variazioni del livello del suolo, è l’elemento geomorfologico corrispondente al terrazzo della Starza, limitato verso mare da un versante acclive soggetto a una vivace dinamica morfologica. 2 SCHEMA DI CIRCOLAZIONE IDRICA SOTTERRANEA La circolazione idrica sotterranea dei Campi Flegrei, pur essendo localizzata nei livelli piroclastici a granulometria più grossolana, è da considerarsi unica per l’assenza di strati confinanti realmente continui; la falda di base risulta, pertanto, a grande scala, un solo corpo idrico, come testimoniato anche dai livelli piezometrici concordanti in pozzi drenanti a diverse profondità. Il disegno piezometrico dell’area flegrea s.l. (Ce-lico et al., 1991; CIRAM, 1998) indica che globalmente il flusso è diretto verso il mare a Sud e ad Ovest (Corniello e Nicotera, 1982) e verso i depositi della Piana Campana a Nord e a Nord-Est (Bellucci et al., 1990), mentre ad Est il recapito è verso il fosso di Volla. L’assetto piezometrico non rivela marcate diversità tra zone interne ed esterne rispetto ala caldera ed indica una scarsa correlazione con l’andamento della superficie topografica e con la rete idrografica superficiale (tranne locali direzioni di flusso verso i laghi di Lucrino, Averno e Fusaro). Anche nell’ambito delle piane di Toiano-Arco Felice, Bagnoli e Napoli Orientale, la piezometria non si dicosta dal disegno globale, essendo la falda molto prossima al piano campagna, con direzione di flusso perpendicolare alla linea di costa e i gradienti deboli. La falda è in gran parte a pelo libero, se si escludono quei settori dove le formazioni tufacee riescono a operare, per le loro condizioni giaciturali e tessiturali, azione di tamponamento a tetto (es. zona settentrionale flegrea, area a SE di Napoli). Le quote massime della falda si rinvengono nella zona di Marano – Calvizzano (circa 25 m s.l.m.); la profondità della falda è variabile da 0 a 400 metri e le differenziazioni tra i vari territori comunali sono a volte notevoli a causa dell’articolazione morfologica e in alcuni casi per i gradienti elevati. Nell’areale flegreo sono presenti solo due sorgenti “in quota”, date dalla sorgente Pisciarelli e dalla sorgente Calda. Entrambe testimoniano la presenza di una falda sospesa rispetto a quella di base, sostenuta inferiormente da livelli piroclastici a granulometria più fine o da piroclastiti rese meno permeabili dai processi di alterazione idrotermale (le due sorgenti sono ubicate sul versante esterno della Solfatara). I gradienti idraulici medi registrati per le acque sotterranee sono dell’ordine di alcune unità per mille, con aumenti fino al 1-2% in alcuni settori (es. a Nord di Pozzuoli – Arco Felice), attribuiti, sulla base anche di dati idrochimici e di bilancio ad apporti profondi di acque saline (Celico, 1991). Le acque sotterranee sono connesse a un circuito idrotermale, testimoniato dagli elevati gradienti geotermici dell’area (7.5° C /10 m nelle acque sotterranee di Rione Toiano: Ducci e Rippa, 1988) e dalla presenza di numerose sorgenti termominera-li, quali quelle dell’area di Arco Felice – Pozzuoli (Stufe di Nerone, Averno, Tempio di Se rapide, Terme la Salute, Terme Puteolane) della conca di Agnano (gruppo Apollo, gruppo Marte, gruppo Strudel, S. Germano) dell’area di Bagnoli (Cotroneo, Tricarico e Manganella) e dell’area di Napoli (Chiatamone, S. Lucia, ecc.). Il chimismo di queste acque è quindi influenzato dagli apporti fluidi profondi e, ad esclusione delle sorgenti di Agnano, dalla ingressione di acque marine. 6 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA IL DISTRETTO VULCANICO DEI CAMPI FLEGREI INSULARI: ISCHIA E PROCIDA 3 INQUADRAMENTO GEOLOGICO DELL’ISOLA DI ISCHIA E GEOMORFOLOGICO-STRUTTURALE Il Monte Epomeo rappresenta l’elemento “positivo” di maggior spicco dell’isola che si contrappone, ad oriente, alla depressione detta “Graben di Ischia” (Rittmann & Gottini, 1980; Gillot et al., 1982; Vezzoli, 1988), sede dell’attività vulcanica recente (<10.000 anni). Esso è delimitato da sistemi di faglie con direzioni prevalenti N-S, NW-SE, NE-SW ed E-W che gli conferiscono una forma poligonale (Vezzoli, 1988; Fusi et al., 1990; Orsi et al., 1991; Zuppetta et al., 1993). Oltre alle faglie bordiere dell’alto di Monte Epomeo sono da menzionare i due lineamenti tettonici ad andamento regionale con orientazione NW-SE e NE-SW (Vezzoli, 1988; Orsi et al., 1991; Zuppetta et al., 1993). Il primo, ubicato nel settore sud-occidentale dell’isola (Citara-S.Angelo), è chiaramente rilevabile da analisi aerofotogrammetriche, sebbene risulti sepolto da rocce vulcaniche più giovani di 50.000 anni e da accumuli detritici (Orsi et al., 1991). La seconda faglia regionale, con trend NE-SW, è ubicata nel settore sudorientale, dalla spiaggia di Carta Romana alla Marina dei Maronti, ed è ben definita da una netta scarpata che interessa rocce vulcaniche non più giovani di 75.000 anni (Orsi et al., 1991). L’attività vulcanica dell’isola d’Ischia ha avuto inizio prima di 150.000 anni, come testimoniato dalle rocce più antiche rilevate, e termina con la colata lavica dell’Arso nel 1302 d.C. LE UNITÀ LITOSTRATIGRAFICHE Il territorio dell’isola d’Ischia è caratterizzato per gran parte della sua estensione dalla presenza, in affioramento, di depositi detritici (Dfr) che rappresentano gli accumuli di fenomeni franosi legati a meccanismi del tipo debris flow (Johnson, 1970; Johnson & Rodine, 1984; Pierson & Costa, 1987; Costa, 1988) connessi all’attività vulcanotettonica associata alle fasi di surrezione di Monte Epomeo. I terreni attribuiti a questa unità litostratigrafica affiorano in tutto il settore centro-occidentale dell’isola e sono costituiti da depositi detritici generalmente ben cementati e/o addensati, di colore variabile dal beige al marrone, dal giallognolo al verdastro, che presentano una matrice prevalentemente sabbiosa con inclusi eterometrici (da millimetrici a metrici) ed eterogenei (tufi, lave, pomici, scorie, siltiti e marne). Sebbene in essi si possano riconoscere diverse associazioni litologiche e sedimentologiche (facies), nel complesso si possono considerare omogenei dal punto di vista delle caratteristiche litotecniche e comunque tali da poter essere accorpati in un’unica unità geolitologica. Frequenti sono le intercalazioni di depositi piroclastici e paleosuoli tra le diverse facies prima menzionate; inoltre, numerosi sono i massi di Tufo Verde che, con volumetrie fino a circa 8000 m3, si possono rinvenire all'interno di tali accumuli detritici, particolarmente nelle aree occidentale e settentrionale. Nella zona orientale del graben di Ischia, nel settore sud-occidentale ed in corrispondenza delle falesie affiorano, invece, piroclastiti saldate (tufi) ed incoerenti (DP1a,b – DP2a,b – DP3 – TCT - TFV - DPP – DP4) e depositi lavici (CL1 – CL2 – CLP - CLA). Le piroclastiti incoerenti sono generalmente costituite da brecce pomicee e scoriacee di caduta, con dimensioni da 7 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA centimetriche a decimetriche. Le pomici sono di colore biancastro o giallognolo e presentano un grado variabile di porfiricità e vescicolazione; sono associate a blocchi di scorie laviche, di colore dal grigio nerastro al rossastro, e di ossidiana. In alcuni casi (Formazione di Piano Liguori affiorante nel settore sud orientale dell’isola) le piroclastiti pomicee si alternano a livelli cineritici, talora prevalenti. Alle diverse formazioni piroclastiche si intercalano, a luoghi, paleosuoli che possono raggiungere il metro di spessore. In generale, i depositi si presentano in strati e banchi ed i livelli cineritici mostrano laminazione parallela ed incrociata a basso angolo, con strutture duniformi ed impronte da impatto. La giacitura è sub-orizzontale o debolmente inclinata (pendenze non superiori ai 35°). I depositi tufacei, ben litificati, rappresentano i prodotti di base surge e di fall e sono costituiti da tufo-brecce e tufi a lapilli pomicei, talora con intercalazioni di sottili livelli di scorie saldate. Essi si presentano in strati, con spessore variabile da pochi centimetri al metro, ed in banchi, di colore da beige a giallognolo a biancastro, con strutture da laminazione planare, incrociata a basso angolo e convoluta. La formazione del Tufo Verde (55.000 ybp; Vezzoli, 1988) rappresenta l’unità litologica più nota dell’isola d’Ischia e costituisce l’ossatura del rilievo di Monte Epomeo. In particolare, essa affiora nella sua facies litoide lungo le creste dei versanti settentrionali ed occidentali che si sviluppano a ridosso dei comuni di Casamicciola, Lacco Ameno, Forio e Serrara Fontana. Le analisi aerofoto-grammetriche hanno consentito di evidenziare come il deposito risulti dislocato da lineamenti strutturali con orientazioni prevalenti NE-SW e NW-SE che hanno causato il ribassamento a gradinata, verso nord-ovest, del pianoro delle Falanghe e del rilievo di Monte Nuovo. Il Tufo Verde rappresenta il prodotto di una importante eruzione che ha generato un deposito ignimbri-tico saldato di natura alcali-trachitica, di colore variabile dal verde smeraldo al verde grigiastro, con struttura massiva e costituito da abbondanti pomici porfiriche e da cristalli immersi in una matrice scarsamente vetrosa. La sua messa in posto fu, probabilmente, accompagnata da un collasso calderico in corrispondenza dell'area che attualmente rappresenta la parte centrale dell'isola (Chiesa et al., 1987; Barra et al., 1992; Orsi et al., 1987; 1993; 1996). I prodotti lavici, quelli affioranti nel settore orientale, oltre a costituire le colate laviche dell’Arso, di Rio Corbore e di Monte Rotaro, si rilevano lungo la fascia costiera ed in corrispondenza dei numerosi duomi lavici e centri eruttivi (Monte Trippodi, Costa Sparaina, Posta Lubrano, Monta-gnone-Maschiatta, Monte Rotaro). In particolare, i vari centri eruttivi sono associati all’attività più recente dell’isola (<10.000 anni) e si distribuiscono lungo una fascia che da Costa Sparaina arriva a Monte Rotaro, in corrispondenza di lineamenti tettonici orientati N-S che hanno condizionato la storia vulcanologica di questo settore. Nel settore occidentale, le lave affiorano lungo le porzioni basali delle falesie meridionali e del promontorio di Sant’Angelo e costituiscono il promontorio di Zaro e la parte basale di Monte Vico, a nord. Un ulteriore piccolo affioramento, inoltre, si trova nella Regione Bocca, dove il deposito si presenta intensamente fratturato e fumarolizzato. Nel complesso, tutti i corpi lavici sono costituiti da lave compatte di natura alcalitrachitica, di colore da grigio chiaro a grigio scuro, con cristalli centi-metrici di sanidino immersi in una matrice vetrosa. Talora verso l’alto gli “ammassi” presentano struttura scoriacea e, laddove 8 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA interessati da attività fumarolica o sottoposti ad intensa azione erosiva di tipo eolico, fortemente alterati. Nel settore centro settentrionale dell’isola sono presenti anche i depositi (DST) ascrivibili alla Formazione di Colle Jetto ed alle Tufiti di Monte Epomeo. I principali affioramenti dei terreni attribuiti alla formazione di Colle Jetto si rilevano nelle località di Cava Leccie, Buceto, Ietto e Campomanno, in un’area compresa tra l’abitato di Casamicciola, a nord, i rilievi di Monte Trippodi, ad est, e Monte Epomeo, ad ovest. Tale deposito è costituito da un’alternanza di siltiti biancastre con ceneri bianche di origine vulcanica ed arenarie giallognole. Ad est di Colle Jetto il deposito presenta una matrice calcarea con abbondanti fossili. Le tufiti di Monte Epomeo affiorano a sud-est della cresta di Monte Epomeo e sono costituite da una matrice siltosa di colore verde e giallastro contenente clasti millimetrici di cristalli di sanidino, pomici e lave. In letteratura (Vezzoli, 1988) sono state descritte, all’interno del deposito, strutture sedimentarie tipo laminazioni planari, incrociate e convolute, anche se notevolmente “disturbate”. Studi a carattere paleo-biogeografico (Barra et al., 1992) attribuiscono alla Formazione di Colle Jetto ed alle Tufiti di Monte Epomeo un’origine da sedimentazione in ambiente sottomarino corrispondente alla depressione calderica post-Tufo Verde formatasi nell’area centrale dell’isola. Sono, in ultimo, da ricordare i depositi eluvio-colluviali (PSI1), costituiti dai prodotti del rimaneggiamento di piroclastiti sciolte ed affioranti nelle aree depresse dei crateri di Campotese e Panza (nel settore sud occidentale), in quelli di Vateliero e Molara (nel settore sud orientale), oltre che nella depressione de “I Piani” e nelle aree pianeggianti prossime ai litorali (Casamicciola – Lacco Ameno – Ischia Porto). I terreni di riporto (da) sono costituiti, in particolare, da prodotti di discarica attualmente bonificati osservabili in corrispondenza di Punta Caruso (sul promontorio di Zaro) e nel cratere di Fondo d’Oglio, mentre in Cava Puzzillo, ad ovest di Monte Rotaro, sono presenti depositi di una vecchia discarica abbandonata e non bonificata. ASPETTI GEOMORFOLOGICI E STRUTTURALI L’assetto geomorfologico dell’isola d’Ischia, nel suo complesso, risulta strettamente connesso alla sua evoluzione vulcano-tettonica, che ha prodotto un articolato panorama di “forme”. Un’analisi più puntuale dell’origine di tali forme consente di sottolineare la presenza di: FORME DI ORIGINE VULCANO-TETTONICA E STRUTTURALE Le principali morfologie vulcaniche, strettamente associate alla particolare tipologia di attività eruttiva connessa a sua volta alle caratteristiche composizionali dei suoi prodotti, sono rappresentate da numerosi duomi lavici tipicamente mammellonari, prevalentemente rilevabili nel settore orientale del graben di Ischia, sede dell’attività recente (<10.000 anni); tuttavia, non mancano esempi di colate laviche sia affioranti, come quelle di Zaro (a NW), di Monte Rotaro (che va a costituire il promontorio del Castiglione, a nord) e dell’Arso (a NE), che sepolte, come quella di Rio Corbore. Numerose sono anche le forme crateriche come quelle di Vateliero, Molara e Nocelle, che nel settore sud-orientale si allineano lungo una direttrice NESW e quelle di Campotese e di Panza, nel settore sud-occidentale. Viceversa, a nord il cratere del Porto di Ischia rappresenta un classico esempio di cratere-lago (maar), di forma subcircolare localizzato in corrispondenza di un piccolo graben orientato NE-SW. 9 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Altro aspetto morfologico di rilevante interesse è la presenza di versanti subverticali a controllo strutturale strettamente connessi alla distribuzione dei lineamenti tettonici. Tali “pareti” si impostano sia su rocce lapidee (tufacee e laviche), variamente fratturate, che in terreni piroclastici sciolti. In particolare, le creste tufacee che bordano il rilievo di Monte Epomeo verso nord e verso ovest, sono interessate da una intensa fratturazione che contribuisce ad isolare blocchi in precarie condizioni di equilibrio e da cui si generano fenomeni di crollo s.l. Gli effetti sono testimoniati da numerosi massi con volumetrie anche di migliaia di metri cubi, osservabili nelle aree pedemontane sottostanti sino a mare (Mele & Del Prete, 1998). FORME DI ORIGINE MARINA. Il perimetro costiero dell’isola d’Ischia si sviluppa per una lunghezza di circa 36 km ed è costituito per il 70% da alte falesie attive, talora a controllo strutturale ed a luoghi interrotte da piccole spiagge sabbiose, che si impostano sia in depositi lavici e tufacei che nei depositi di debris flow. L’analisi aerofotogrammetrica ed i rilievi di campagna, inoltre, hanno permesso di individuare, soprattutto nel settore occidentale, la presenza di una paleofalesia (Del Prete & Mele, 1999) interrotta a luoghi dalle lobature generate dagli accumuli di debris flow che, spingendosi fino a mare (Mele & Del Prete, 1998), formano promontori collinari con modeste pendenze (10°). La suddetta paleofalesia, dall’andamento molto articolato, è totalmente sepolta dai depositi detritici di debris flow nel settore tra Zaro e Punta del Soccorso, mentre nel tratto a sud di Forio essa si imposta in depositi tufacei coincidendo, in parte, con l’attuale litorale. Altri relitti di paleofalesia sono presenti lungo il settore settentrionale dell’isola, nei pressi dell’abitato di Casamicciola, ed a sud della località Testaccio. Associati alle variazioni del livello di base, nonché alle dislocazioni di carattere tettonico (Borto-luzzi et al., 1983; Del Prete & Mele, 1999), sono le numerose forme terrazzate presenti lungo la fascia costiera. In particolare, si segnalano lungo la fascia costiera meridionale l’ampia superficie terrazzata della piana di Succhivo alla quota di 65 m s.l.m., che risulta dissecata in cinque lembi da profondi fossi d’incisione, e diversi ordini di superfici terrazzate tra le quote di 25 e 260m s.l.m., nell’immediata prossimità della fascia costiera dei Maronti. Alternate ai tratti di costa alta e/o talora ad essi associate sono presenti, inoltre, spiagge più o meno estese la cui ampiezza è variabile di anno in anno, per effetto di mareggiate di particolare intensità, come quelle di S. Francesco e di Citara ad ovest, quella dei Maronti a sud, quella di Carta Romana e la spiaggia dei Pescatori ad est, quelle degli Inglesi e del litorale di Casamicciola a nord. FORME E PROCESSI LEGATI ALLA AZIONE DELLE ACQUE SUPERFICIALI Il reticolo idrografico a carattere torrentizio dell’isola d’Ischia risulta di tipo dendritico e piuttosto sviluppato. Infatti, i fossi d’erosione che, in genere, incidono i depositi detritici semi-coerenti degli accumuli da debris flow, hanno generato forre profonde fino a 200m delimitate da scarpate sub verticali che arretrano oltre che per erosione fluvio-torrentizia anche per fenomeni di instabilità delle porzioni sommitali dei versanti. Sono, tuttavia, presenti anche aree interessate da fossi effimeri generalmente poco incisi e scarsamente gerarchizzati, che spesso si interrompono senza giungere a mare come nel Graben di Ischia, ad oriente, e nella piana di Forio, ad occidente. 10 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Il forte grado di antropizzazione ha, tuttavia, trasformato un gran numero di tali incisioni in “alvei-strada” che hanno completamente modificato il naturale andamento dei corsi d’acqua originari nelle zone pianeggianti e sub-pianeggianti ed, in alcuni casi, anche nei settori pedemontani e montani. Tra i bacini di maggior importanza nel settore centro meridionale dell’isola si individuano quello di Succhivo, ad ovest, e quelli di Cava Petrella, Cava Scura, Cava Acquara e Cava Terzano che, con andamento dendritico e sfociando sulla spiaggia dei Maronti, costituiscono nel complesso il “Bacino di Fontana”. Nel settore settentrionale dell’isola i principali bacini imbriferi individuati sono quello di Casamicciola (derivante dalla confluenza, in località Piazza Bagni, delle Cave di Buceto, Ervaniello o Fasaniello, Sinigallia e Celario) e quello de “La Rita”, derivante dalla confluenza, nella località omonima, di Cava Del Monaco e Cava La Rita. Tra le forme associate all’azione delle acque superficiali sono da ricordare, infine, valli sospese riconosciute sia da rilievi diretti che da analisi aerofotogrammetriche. Sede di deflussi idrici superficiali sono alcune conche endoreiche in corrispondenza dei fondi craterici di Campotese e Panza, a SW, di Vateliero e Molara, a SE, e di Fondo d’Oglio, a N, oltre alle depressioni morfologiche di Fiaiano, de I Piani, presso Barano, e di Cimmiento-rosso, in località Cuotto. Con riferimento alla idrografia dell’isola d’Ischia, è stata svolta un’analisi geo-morfica relativa ai bacini idrografici di Cava Petrella e di Cava Acquara, che ricadono nei territori comunali di Barano d’Ischia e di Serrara Fontana, sul versante meridionale di Monte Epomeo. Lo studio è stato finalizzato alla valutazione del deflusso torbido unitario medio annuo (Tu) ritenuto indicatore del grado di erodibilità dei terreni affioranti, oltre alla valutazione di parametri morfometrici quali densità di drenaggio, rapporti ed indici di biforcazione, indice e densità di anomalia gerarchica. La metodologia utilizzata è quella proposta dai geomorfologi americani (Horton, Strahler) e ripresa da Autori italiani (Avena et al., 1967; Ciccacci et al., 1980). Le risultanze di tale studio evidenziano un maggiore grado di erodibilità per il bacino di Cava Petrella (Tu = 10.497,49 tonn/kmq/anno) piuttosto che nel caso di Cava Acquara (1.389,72 tonn/kmq/anno). Altri processi di erosione ad opera prevalentemente delle acque dilavanti e del vento interessano, in particolar modo, i depositi detritici semi-coerenti degli accumuli da debris flow. Queste fenomenologie sono osservabili soprattutto lungo i versanti dei fossi d’erosione che dissecano il prisma. FORME, PROCESSI E DEPOSITI DI VERSANTE DI ORIGINE GRAVITATIVA sedimentario affiorante nel Bacino di Fontana, e localmente nell’area del Bacino di Succhivo. Le morfologie più frequenti sono i calanchi, le piramidi di terra e, talora, le marmitte eoliche. I fenomeni di instabilità di versante sono ascrivibili ad eventi di scorrimento rotazionale, colata traslativa, crollo s.l., crollo evolvente a colata, scorrimento rotazionale e traslativo evolvente a colata (Varnes, 1978; Hutchinson, 1988; Cruden & Varnes, 1996). In generale, essi si distribuiscono prevalentemente nei settori settentrionale, occidentale e centrale dell’isola, nonché lungo tutta la fascia costiera e rientrano in stati di attività variabili dall’attivo allo stabilizzato sia naturalmente che artificialmente. Si osserva una concentrazione di scorrimenti traslativi nelle porzioni alterate più superficiali dei depositi detritici da debris flow , in corrispondenza delle acclivi scarpate che delimitano le incisioni fluvio-torrentizie. Analoghe fenomenologie interessano le scarpate dei versanti planari del settore settentrionale di Monte 11 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Epomeo laddove affiorano depositi fumarolizzati ed alterati della Formazione di Colle Jetto, della Tufite di Monte Epomeo e del Tufo Verde. Invece, in corrispondenza delle pareti verticali o sub-verticali che si impostano in materiali lapidei di natura tufacea e lavica (in particolare, i versanti settentrionale ed occidentale di Monte Epomeo e le falesie costiere) si generano fenomeni di crollo s.l. che producono massi di dimensioni variabili (Arrigoni et al., 1995; Mele & Del Prete, 1999). Oltre alle forme appena descritte, sulla carta geomorfologica sono state riportate anche morfologie attribuite a processi di instabilità riconducibili a fenomeni di debris flow (Vezzoli, 1988; Fusi et al., 1990) corrispondenti a corpi detritici che, sotto forma di più o meno ampie lobature, si spingono fino alla costa dove talora appaiono bruscamente troncati dall’erosione del mare (Mele & Del Prete, 1998; Del Prete & Mele, 1999). Tali eventi hanno interessato i settori settentrionale, occidentale e centro-meridionale dell’isola durante le fasi di surrezione vulcano-tettonica del Monte Epomeo e, dunque, in concomitanza di vicende geodinamiche non confrontabili, per gli effetti ad esse connesse, con i processi morfoevolutivi significativi alla scala dei tempi umani. Forme da accumulo di detrito sono, infine, state cartografate alla base della Scarrupata di Barano, lungo la costa sud orientale, nella baia di S. Montano alla base del versante di Monte Vico e lungo la fascia di raccordo tra il pianoro delle Falanghe e il versante di Pietra dell’Acqua alimentati dalle retrostanti scarpate. Oltre ai fenomeni franosi, il territorio dell’isola d’Ischia è stato anche interessato in passato da alluvionamenti con elevato trasporto solido, come nell’ottobre del 1910 (Donzelli, 1910; Bordiga, 1914) ma anche più recentemente nel gennaio 1997, nel luglio 1999 e nel settembre 2001. Tali eventi hanno interessato, in particolare, la zona di Piazza Bagni, a Casamicciola, e di località La Rita, tra i territori comunali di Casamicciola e Lacco Ameno. Altre aree coinvolte sono quelle di Monterone e di Panza, a Forio, del centro di Fontana e della località Casabona, a Barano. Tali fenomeni, oltre ad essere associati alla presenza di un reticolo a regime torrentizio che incide litologie ad alto grado di erodibilità, sono ulteriormente amplificati dal forte grado di antropizzazione del territorio che ha comportato la trasformazione di numerose incisioni in alvei-strada ed alvei tombati mal dimensionati e mantenuti. (vedi Carta della Pericolosità da Fenomeni di Esondazione ed Alluvionamento e del Rischio Idraulico). 4 INQUADRAMENTO GEOLOGICO DELL’ISOLA DI PROCIDA E GEOMORFOLOGICO-STRUTTURALE Le isole vulcaniche di Procida e Vivara appartengono al distretto insulare dei Campi Flegrei e di Ischia. L’isola di Procida ha una lunghezza di circa 3Km ed è larga non più di 2Km. Dal punto di vista morfologico è caratterizzata dalla presenza di una spianata sommitale bordata da ripide falesie che culmina alla quota di 91 m s.l.m. in corrispondenza di Terra Murata; viceversa, l’isolotto di Vivara costituisce parte di un cratere che verso NE prosegue lungo il promontorio di S. Margherita Vecchia. L’assetto stratigrafico dell’isola di Procida si presenta molto articolato per l’intercalazione dei depositi locali e quelli degli adiacenti Campi Flegrei e dell’isola d’Ischia. 12 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA LE UNITÀ LITOSTRATIGRAFICHE Data la particolare morfologia dell’isola di Procida il rilevamento dell’assetto litostratigrafico è possibile soprattutto in corrispondenza delle ripide falesie del perimetro costiero. La successione basale è costituita dai prodotti associati ai vulcani di Vivara, Terra Murata e Pozzo Vecchio rappresentati da tufi gialli e grigi generalmente stratificati ed a luoghi fratturati e zeolitizzati. Nel caso del centro di Pozzo Vecchio la successione è costituita da lave e scorie di colore grigio scuro di natura alcalitrachitica della omonima formazione. Nel settore nord occidentale dell’isola affiorano i depositi pomicei e scoriacei della Formazione di Scotto San Carlo ed i depositi tufacei di colore grigiastro, costituiti da alternanze di livelli fini e grossolani con bombe e blocchi, della Formazione del Vulcano di Fiumicello.Nel settore nord orientale la successione affiorante è costituita dai tufi della Formazione di Terra Murata nelle sue due facies “gialla” e “grigia” su cui poggia la formazione breccioide di Punta della Lingua. Le successioni in questione sono chiuse verso l’alto dalla Formazione di Solchiaro e dalla Formazione di Fondi di Baia. La formazione di Solchiaro è costituita da prodotti emessi da un centro eruttivo il cui bordo craterico è riconoscibile, in parte, tra Punta Pizzaco e Punta Solchiaro. Essi sono rappresentati da una facies litoide, costituita da tufi gialli e grigi stratificati e da una facies incoerente formata da un’alternanza di lapilli scoriacei e ceneri con inclusi lavici e tufacei. Affiorano su tutta l’isola e si rinvengono anche sull’isolotto di Vivara. La Formazione di Fondi di Baia è stratigrafica-mente sovrapposta alla Formazione di Solchiaro ed è costituita da numerosi livelli cineritici e pomicei attribuibili ad eruzioni diverse (Di Girolamo e Stanzione, 1973; Rosi et al., 1988). Proprio quest’ultima formazione costituisce la coltre di copertura piroclastica incoerente poggiante in genere sul substrato tufaceo e che, in corrispondenza dei cigli delle falesie, è stata spesso coinvolta in fenomeni di crollo o, come nel caso tra Punta Pioppeto e Capo di Bove, di scorrimento-colata. Mediamente, gli spessori delle coperture piroclastiche sciolte sull’isola di Procida ricadono nella classe tra 1-2m e 2-5m; mentre, sull’isolotto di Vivara si riscontrano anche spessori di copertura ricadenti nella classe 5-20 metri. Relativamente all’isolotto di Vivara, a mantellare la omonima formazione si rinviene una successione costituita da alternanze di livelli piroclastico-pomicei e paleosuoli su cui poggiano la facies sciolta della Formazione di Solchiaro, i depositi di breccia, da surge e da caduta del Canale di Ischia Superiore, ed infine i depositi incoerenti della Formazione di Fondi di Baia. ASPETTI GEOMORFOLOGICI E STRUTTURALI L’isola di Procida è caratterizzata da una superficie spianata bordata da ripide falesie talora a controllo strutturale. Evidenti sono le forme crateriche nell’area di Pozzo Vecchio a nord, e di Punta Solchiaro e di Vivara a sud. Sono presenti spiagge di modesta profondità antistanti le falesie di Ciraccio e Ciracciello ad ovest, di Chiaia ad est e di Sancio Cattolico a nord. Su dette spiagge insistono le falesie tufacee interessate da numerosi fenomeni franosi di tipo “crollo” (Ducci & Napolitano, 1991; 1994). Solo lungo la falesia nord occidentale, tra Punta Pioppeto e Capo di Bove, sono stati 13 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA riconosciuti fenomeni di scorrimento traslativo della coltre piroclastica a copertura del basamento tufaceo (settembre 2001. 5 SCHEMA DI CIRCOLAZIONE IDRICA SOTTERRANEA DELL’ISOLA DI ISCHIA La complessità dello schema di circolazione idrica sotterranea dell’isola d’Ischia risulta strettamente connesso alla sua natura vulcanica ed alla complessità dei rapporti geometrici esistenti tra i diversi depositi. A tal proposito, l’estrema variabilità dei prodotti vulcanici eruttati, associata alle differenti modalità di messa in posto ed agli eventi vulcano-tettonici che li hanno interessati, hanno generato una composita sequenza di orizzonti permeabili per fessurazione e/o porosità intercalati a livelli poco o niente permeabili. Nel complesso l’isola d’Ischia è caratterizzata dalla presenza di una falda basale di acqua dolce che giace sull’acqua di mare, nell’ambito della quale, associati all’attività magmatica, si rinvengono interazioni con risalite di fluidi profondi lungo discontinuità tettoniche, zone con risalita di acque termali e, soprattutto lungo la fascia costiera, fenomeni di contaminazione marina (de Gennaro et al., 1984; Carapezza et al., 1988; Panichi et al., 1992; Corniello et al., 1994; Celico et al., 1999). La falda basale presenta, a grande scala, un andamento radiale il cui recapito finale è costituito dal mare. Tuttavia, un esame più dettagliato della morfologia della piezometrica consente di individuare aree con differente gradiente idraulico dovuto principalmente a variazioni di trasmissività dell’acquifero; solo in corrispondenza di alcune faglie si verifica una interruzione della continuità della falda di base. I gradienti idraulici più elevati (1-3%) si riscontrano generalmente lungo la fascia costiera settentrionale, sud-occidentale e meridionale dell’isola e sono per lo più associati a bassi valori di trasmissività dell’acquifero costituito, prevalentemente da depositi detritici da debris flow e tufacei; viceversa, nella zona del graben di Ischia si rinvengono valori di trasmissività più alti associati alla presenza di lave fratturate e depositi piroclastici sciolti. In particolare, laddove affiorano elevati spessori di depositi detritici da debris flow e depositi marini della Formazione di Colle Jetto e della Tufite di Monte Epomeo a tetto del Tufo Verde, si riscontra anche la presenza di falde superficiali nelle coltri di copertura a quote molto più alte della falda di base presente nel Tufo Verde. In queste zone, inoltre, la presenza di lineamenti tettonici interrompendo la continuità morfologica della piezometrica consente anche l’emergenza di alcune sorgenti come quelle di Piazza Bagni e La Rita. Sebbene il deflusso della falda avvenga in modo diffuso verso mare, non mancano sorgenti nell’entroterra anche se con portate limitate (<8 l/s) poste a quote che giungono fina a 450 m s.l.m. Alcune di queste sorgenti sono stagionali, mentre altre sono attive tutto l’anno con temperature variabili tra 15° e 80°C. Relativamente alla contaminazione della falda basale da parte dell’acqua marina, le aree maggiormente interessate corrispondono al graben di Ischia, ed alle aree della fascia costiera. L’attività vulcanica dell’area flegrea è articolata in cicli compresi nell’intervallo temporale compreso fra 150.000 (da oggi) all’eruzione del Monte Nuovo nel 1538. Tra i prodotti più diffusi sono noti quelli di età superiore ai 35.000 (Tufo Verde di Ischia), quello compreso fra 35.000 e 30.000 anni da oggi (Tufo Grigio Campano), quello compreso fra 18.000 e 10.000 anni da oggi (prodotti di Soccavo, di Solchiaro, Trentaremi e il Tufo Giallo Napoletano delle colline dei Camaldoli e di Posillipo), quelli compresi fra 10.000 da oggi al 14 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA 1538 (prodotti dei vulcani del Gauro, Miseno, Nisida Mofete e quelli dei più recenti vulcani di Baia, Fondi di Baia, Montagna Spaccata, San Martino, Agnano, Astroni, Averno, Solfatara). L’aspetto geomorfologico-strutturale è caratterizzato da forme di collasso vulcano-tettonico (pareti acclivi dei Camaldoli e di Posillipo) e da quelle riferibile all’attività prevalentemente esplosiva dei centri vulcanici dell’area centro-occidentale (edifici a forma conica con cratere centrale spesso acclive e un versante esterno a morfologia più dolce). Le tipologie di frane più presenti sono i crolli da pareti tufacee di origine strutturale e da erosione marina (falesie) e gli scorrimenti traslativi evoluti a colata in genere di volume modesto (rispetto a quelle delle dorsali carbonatiche). Diffusi sono anche i fenomeni di erosione e di accumulo localmente concentrati in presenza di un reticolo idrografico più pronunciato (versanti occidentali incombenti sulla Piana di Quarto; versanti settentrionali e orientali della Conca di Pianura; versanti settentrionali e orientali della Conca di Agnano). L’Isola d’Ischia ha una struttura assai complessa legata ad eventi eruttivi e vulcano-tettonici che si sono succeduti da 150.000 anni (da oggi, con relativi depositi affioranti nel settore SE e talora SW) al 1301 d.C.. Tra i quali: l’eruzione del Tufo Verde (55.000 anni da oggi) , il sollevamento del blocco tufaceo dell’Epomeo (33.000 anni da oggi), l’eruzione magatiche del settore SW (Campotese: 18.000 anni da oggi) e quelle più recenti concentrate ad oriente dell’Epomeo. Le forme più strettamente comune a fenomeni di instabilità e/o erosione sono quelle di origine marina (il perimetro costiero dell’isola, lungo quasi 36 km, è costituito per il 70% da falesie attive), e quelle di origine strutturale impostate spesso su rocce lapidee (lave e soprattutto tufi dei versanti settentrionale e occidentale dell’Epomeo). Altrove, e segnatamente nei settori settentrionale, centrale e occidentale dell’isola si osservano anche scorrimenti rotazionali e/o traslativi talora evolventi a colata (alcuni dei quali, Monte Vezzi, datati 2006). Sono da sottolineare infine gli importanti fenomeni di trasporto solido-alluvionamento che hanno coinvolto porzione degli abitati di Casamicciola, Lacco Ameno, Forio, Fontana, Barano sottesi a bacini caratterizzati da un reticolo di drenaggio particolarmente denso. L’Isola di Procida è caratterizzata da frequenti fenomeni di instabilità in corrispondenza dei costoni prospicienti il mare ove è possibile osservare i prodotti piroclastici e lavici eruttati da vulcani locali o provenienti dall’Isola d’Ischia e da Campi Flegrei. Tra i costoni più frequentemente colpiti da dissesti e spesso oggetto di interventi di sistemazione sono significativi quelli di Pozzo Vecchio, della spiaggia di Ciraccio e della Chiaia, di Terra Murata. 15 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA IL COMPLESSO VULCANICO DEL SOMMA-VESUVIO 6 INQUADRAMENTO GEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO-STRUTTURALE DEL SOMMA-VESUVIO STORIA ERUTTIVA DEL SOMMA-VESUVIO Il vulcanismo nell’area del Somma-Vesuvio è stato attivo a partire da 400.000 anni, come indicato dalla presenza di lave e tufi intercalati a sedimenti marini, carotati nella porzione sudorientale del vulcano ad una profondità di 1350 m (Santa-croce, 1987; Brocchini et al., 2001). I dati disponibili non ci consentono di definire se l’attività vulcanica era prodotta da un vulcano centrale o da attività fissurale. La successione di vulcaniti e sedimenti marini è ricoperta dall’Ignimbrite Campana (Barberi et al., 1978; Fisher et al., 1993), eruttata dai Campi Flegrei 37.000 anni fa, che determinò la quasi completa emersione della Piana Campana (Di Vito et al., 1998). L’accrescimento del Monte Somma cominciò subito dopo la deposizione dell’Ignimbrite Campana e fu determinato dal progressivo accumulo di lave e scorie prodotte da attività effusiva ed esplosiva di bassa energia. Tale attività ebbe luogo prevalentemente da un vent centrale e determinò l’accrescimento di un grosso apparato conico che raggiunse un’altezza stimata di circa 2000 m s.l.m. (Cioni et al., 1999). L’attività avvenne anche da bocche laterali allineate lungo faglie e fratture ed è testimoniata dalla presenza di dicchi esposti lungo la scarpata calderica e dalla presenza di coni di scorie lungo i versanti del vulcano e nelle piane circostanti. I depositi prodotti dall’attività del Monte Somma (LVS in carta geolitologica) sono costituiti da banchi lavici fratturati intercalati a spessi livelli di scorie a diverso grado di saldatura, attraversati da dicchi. La composizione varia da basalti a latiti (Santacroce, 1987). Essi affiorano lungo la parete interna settentrionale della caldera e sul fondo di numerose incisioni vallive del versante settentrionale del Monte Somma. La più vecchia eruzione pliniana avvenuta al Somma-Vesuvio (Fig. 1) è quella che ha prodotto le Pomici di Base (Arnò et al., 1987; Andronico et al., 1995; Bertagnini et al., 1998) che avvenne 18.300 anni fa e determinò l’inizio del collasso vulcano-tettonico del grosso cono del Monte Somma e la formazione della caldera (Cioni et al., 1999). I depositi di tale eruzione ricoprono in modo discontinuo le lave del Monte Somma (LVS in carta geolitologica). Dopo questa eruzione l’attività del vulcano è stata caratterizzata da altre 3 eruzioni pliniane, avvenute, 8.000 (Pomici di Mercato), 3.800 anni fa (Pomici di Avellino) e nel 79 d.C. (Pomici di Pompei), rispettivamente, da numerose eruzioni subpliniane, e fasi di attività di bassa energia a condotto aperto, con eruzioni stromboliane ed effusioni laviche. In particolare dopo l’eruzione delle Pomici di Base, avvenne una nuova fase effusiva, con lave tefritico-fonolitiche, afanitiche, e banchi di scorie (LVZ in carta geolito-logica) da attività stromboliana, in gran parte connessi con l’attività di apparati eccentrici ubicati lungo la linea di frattura del vallone San Severino-Zennillo (Ottaviano) ed iniziò una lunga fase di quiescenza, cui seguì, circa 16.000 anni fa, l’eru-zione subpliniana delle Pomici Verdoline (Arnò et al., 1987). Durante la lunga fase di quiescenza che seguì avvennero solo due eruzioni di bassa energia, di probabile origine vesuviana (VM1 e 2, Androni-co et al., 1995). 8.000 anni fa avvenne l’eruzione pliniana delle Pomici di Mercato (Arnò et al., 1987; Cioni et al., 1999). Tale eruzione è nota anche come eruzione di Ottaviano (Rolandi et al., 1993a). All’eruzione di Mercato seguì una nuova lunga fase di quiescenza interrotta da due eruzioni di bassa energia, che determinò la formazione dello spesso paleosuolo all’interno del quale sono presenti numerose tracce di utilizzazione antropica fino al Bronzo Antico, sul quale si deposero i prodotti dell’eruzione 16 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA pliniana delle Pomici di Avellino (3.800 anni B.P., Arnò et al., 1987; Rolandi et al., 1993b; Di Vito et al., 1999; Cioni et al., 1999). A questa eruzione seguirono almeno 8 eruzioni da stromboliane a subpliniane, i cui depositi sono distribuiti prevalentemente nel settore sudorientale del vulcano, alternate a brevi periodi di quiescenza, cui seguì una lunga stasi nell’attività del vulcano, di almeno sette secoli, che precedette l’eruzione pliniana del 79 d.C. (Pomici di Pompei – Lirer et al., 1973; 1997; Sigurdsson et al., 1985; Arnò et al., 1987; Cioni et al., 1999). L’eruzione fu seguita da due eruzioni subpliniane, avvenute nel 472 (Rosi e Santacroce, 1983) e nel 1631 d.C. (Rolandi et al., 1993c; Rosi et al., 1993) e da periodi di attività a condotto aperto, con eruzioni effusive ed esplosive di bassa energia (stromboliane). I periodi di attività a condotto aperto, citati per l’intervallo temporale 79 d.C.-1944, si verificarono tra il primo ed il terzo secolo d.C., tra il quinto e l’ottavo secolo d.C., tra il decimo ed il dodicesimo secolo d.C. e tra il 1631 ed il 1944 (Andronico et al., 1995; Cioni et al., 1999; Arrighi et al., 2001) e determinarono una gran produzione di lave che si sono ampiamente distribuite nei settori meridionali del vulcano e piroclastiti distribuite prevalentemente sui versanti orientali del vulcano. Le eruzioni pliniane sono state tutte generalmente caratterizzate da fasi di apertura freatomagmatica, cui seguirono fasi magmatiche con generazione di colonne eruttive che in alcuni casi hanno raggiunto l’altezza di 30 km, dalle quali si formarono depositi da caduta ad ampia distribuzione areale. Durante e successivamente alle fasi di colonna pliniana si formarono anche flussi e surge piroclastici, distribuiti sia sui fianchi del vulcano che nelle piane circostanti. In alcuni casi la distanza raggiunta da tali flussi ha superato 20 km. I volumi dei depositi pliniani da caduta variò tra 1.5 e 4.4 km3, mentre quello dei depositi da flusso tra 0.25 e 1 km3. Nelle aree prossimali ai depositi di alcune eruzioni pliniane sono associati spessi depositi di brecce prodotti durante le fasi di calderizzazione. Le fasi di quiescenza del vulcano che hanno preceduto le eruzioni pliniane sono durate da diversi secoli a vari millenni. Le eruzioni subpliniane del Vesuvio sono poco studiate se si escludono le eruzione del 1631 e del 472 (Rolandi et al., 1993c; Rosi et al., 1983; 1993). Esse alternarono fasi magmatiche, con generazione di colonne eruttive di altezza inferiore a 20 km, dalle quali si produssero depositi da caduta con distribuzione areale inferiore a quella dei depositi pliniani e flussi e surge piroclastici con distribuzione areale compresa entro 8-10 km dal vent. I depositi da caduta delle eruzioni pliniane e sub-pliniane sono distribuiti nelle aree ad est del vulcano con assi di dispersione compresi tra N50° e 150°, rispettivamente per le eruzioni di Avellino ePompei. Le aree coperte dai depositi da caduta delle eruzioni pliniane, di spessore superiore a 20 cm, sono comprese tra 2600 km2 e 1150 km2, stimati per le eruzioni delle Pomici di Base e di Mercato, rispettivamente, e tra 985 e 410 km2, per le eruzioni subpliniane del 472 e del 1631, rispettivamente. La deposizione dei prodotti da caduta delle eruzioni pliniane e subpliniane sui versanti appenninici ha generato spesse sequenze di livelli di ceneri e pomici separate da paleosuoli che ricoprono, in modo discontinuo le sequenze di rocce che costituiscono i rilievi appenninici. Le sequenze piroclastiche, nel tempo, sono state interessate da numerosi episodi di rimobilizzazione ad opera delle acque superficiali, con diffusa generazione di depositi 17 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA vulcanoclastici derivanti da alluvioni, flussi iper-concentrati e debris flows che hanno formato ai piedi dei versanti diverse generazioni di fan alluvionali (Sulpizio et al., 2000). I DEPOSITI DELLE ERUZIONI PLINIANE E SUBPLINIANE Di seguito si riportano le descrizioni e le caratteristiche principali, dal basso, dei depositi delle eruzioni pliniane e subpliniane del Somma-Vesuvio. Pomici di Base - depositi piroclastici da caduta, costituiti da lapilli pomicei da bianchi a grigi, afirici, cui seguono lapilli scoriacei, poco vescicolati, nerastri. Seguono livelli costituiti in prevalenza da frammenti lavici arrossati della dimensione dei lapilli. Tali depositi, distribuiti sui versanti occidentali del vulcano, sono sormontati da depositi cineritici massivi da flusso piroclastico. Sui versanti NW del vulcano ai depositi di tale eruzione è attribuibile anche una breccia piroclastica grossolana, il cui spessore osservabile è maggiore di 70 m, immersa in abbondante matrice cineritica. Pomici Verdoline - livelli di lapilli pomicei da caduta di colore marroncino-verdastro intercalati a livelli cineritici. Tali depositi sono distribuiti sui versanti nord-orientali del vulcano. Seguono depositi cineritici a laminazione incrociata e livelli cineritici massivi, rispettivamente da surge e flussi piroclastici. Pomici di Mercato - tre livelli di lapilli pomicei da caduta, bianchi, afirici, separati da depositi ceneri-tici bianco-rosati. Il terzo livello contiene una abbondante frazione litica nerastra di natura lavica. Tali depositi sono distribuiti principalmente sui versanti orientali del vulcano e sono sormontati da una serie di unità cineritiche prevalentemente massive, da flusso piroclastico, fortemente arricchite in frammenti litici grossolani. Tali depositi sono caratterizzati da elevata variazione di spessore e riempiono paleovalli. Pomici di Avellino - livello di lapilli pomicei da caduta bianchi cui seguono, in continuità, lapilli pomicei di colore grigio, entrambi porfirici per grossi cristalli di sanidino e pirosseno. Nella parte medio alta del livello si rileva un incremento della frazione litica, prevalentemente di origine carbonatica. Tale deposito è distribuito verso nord-est, in direzione di Avellino. Esso è sormontato da livelli e banchi ceneritici a laminazione ondulata ed incrociata e livelli decimetrici di ceneri pisolitiche coesive. I massimi spessori di tali ceneri si osservano lungo i versanti occidentali del vulcano. Pomici di Pompei - livelli di lapilli pomicei da caduta, distribuiti verso sud-est, in direzione di Pompei e non visibili, quindi sui versanti settentrionali del Monte Somma, ai quali si intercalano e seguono depositi massivi cineritici da flusso piroclastico e depositi cineritici a laminazione ondulata ed incrociata da surge piroclastici. I depositi da flusso piroclastico sono distribuiti in modo discontinuo su tutti i versanti dell’edificio vulcanico e spesso riempiono paleovalli. Pomici di Pollena - livelli di lapilli pomicei da caduta di colore grigio-verdastro a basso grado di vescicolazione, stratificati per contrasto granulometrico e distribuiti verso nord-est, cui seguono spessi depositi cineritici da massivi a laminati, ricchi di frammenti scoriacei scuri, da flusso piroclastico. I depositi dell’eruzione del 1631 - livelli di lapilli pomicei da caduta, poco vescicolati, di colore da grigio chiaro a scuro, distribuiti verso est, cui seguono depositi cineritici massivi da flusso piroclastico, ricchi in frammenti juvenili densi e litici, distribuiti preferenzialmente sui versanti meridionali del vulcano. 18 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA LE UNITÀ LITOSTRATIGRAFICHE Nella carta geolitologica le sequenze piroclastiche eruttate a partire da 18.000 ed affioranti lungo i versanti del Monte Somma sono state raggruppate in complessi a litologia relativamente omogenea. In tale elaborato, dal basso, sono stati distinti: 8. LVS Lave del Monte Somma: banchi lavici fratturati, dicchi e livelli di scorie saldate ben esposti lungo la parete interna della caldera e affioranti lungo alcune incisioni torrentizie e cave del versante settentrionale del Monte Somma. Composizione da basalti a latiti. Età > 18.000 anni. 9. LVZ Lave tefritico-fonolitiche, afanitiche, associate a banchi di scorie saldate e sciolte prodotte da attività stromboliana di apparati eccentrici ubicati lungo la struttura del Vallone S. Severino-Zennillo. Età 18-16.000 anni. 10. PCV Complesso costituito da alternanze di livelli piroclastici sciolti e paleosuoli: i livelli piroclastici sono eterometrici e costituiti da frammenti juvenili a vario grado di vescicolazione ed in minore misura da frammenti litici lavici, tufacei e carbonatici; sono generalmente ben classati e con scarsa matrice fine. I livelli sono generalmente in giacitura primaria, da caduta. I paleosuoli sono di spessore e maturità variabili, generalmente a matrice limoso-argillosa, di colore da marrone chiaro a scuro. Il complesso comprende i depositi da caduta delle eruzioni del Somma-Vesuvio di età compresa tra 18.000 anni dal presente al 472 d.C. (dal basso: Pomici di Base – età 18.000 anni dal presente, Pomici Verdoline – età 15.000 anni dal presente, Pomici di Mercato – età 8.000 anni dal presente, Pomici di Avellino – età 3.800 anni dal presente, Pomici di Pompei del 79 d.C., Pomici di Pollena del 472 d.C.). Alla sequenza sono intercalati i depositi da caduta delle eruzioni della caldera dei Campi Flegrei di Pomici Principali (età 10.370 anni dal presente) e di Agnano- Monte Spina (età 4.100 anni dal presente). Le differenze di spessore dei singoli livelli da caduta sono connessi alla differente dispersione dei depositi e, localmente, a fenomeni di erosione. In generale si osserva un notevole ispessimento sui versanti nord- orientali del vulcano, dove lo spessore totale dei livelli da caduta del complesso supera 16 m. 11. POV Complesso costituito da alternanze di depositi piroclastici in prevalenza massivi, a matrice prevalente, da sciolti e semi-coerenti, e subordinatamente laminati. I depositi contengono frammenti juvenili e litici di dimensioni ed in proporzioni molto variabili. I depositi sono, generalmente, in giacitura primaria, da flusso piroclastico. La parte prevalente di tale complesso è costituita dai depositi da flusso piroclastico dell’eruzione di Mercato (età 8.000 anni dal presente) che raggiungono spessori di 30 m, molto variabili lateralmente, per l’effetto, sullo scorrimento dei flussi, operato dalle morfologie preesistenti. Tali depositi, infatti, sono canalizzati in paleovalli e riempiono bassi morfologici preesistenti. Il complesso raggruppa anche i depositi da surge piroclastico dell’eruzione di Avellino (età 3.800 anni dal presente), quelli da flusso piroclastico dell’eruzione delle Pomici di Pompei del 79 d.C ed i depositi di breccia a matrice prevalente dell’eruzione delle Pomici di Base (età 18.000 anni dal presente). Sequenze rappresentative si possono osservare nelle cave di Traianello e Lagno Amendolare (Somma Vesuviana), mentre le brecce affiorano lungo l’alveo Molaro (Pollena). 12. PAV Complesso costituito da alternanze di depositi piroclastici fini, generalmente laminati e sciolti. Nelle sequenze prevalgono i depositi da surge piroclastici dell’eruzione delle Pomici di Avellino (età 3.800 anni dal presente), diffusi in 19 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA tutta l’area nordoccidentale del vulcano, costituiti da livelli di ceneri fini, pisolitiche, cui seguono livelli di ceneri da fini a grossolane a stratificazione da ondulata a incrociata. Questi depositi sui versanti nord-occidentali del vulcano possono raggiungere lo spessore di 10 m. Il complesso raggruppa anche i depositi cineritici massivi, ricchi in frammenti lavici, delle fasi finali dell’eruzione delle Pomici di Pompei del 79 d.C. 13. PPV Complesso costituito da alternanze di depositi a matrice cineritica prevalente, sia massivi che stratificazione incrociata, depositati in prevalenza da flussi e subordinatamente da surges piroclastici dell’eruzione delle Pomici di Pollena, del 472 d.C. I depositi da flusso piroclastico contendono abbondanti scorie scure da centimetriche a decimentriche e rari frammenti litici. Tali depositi sono ben esposti lungo la strada per S. Maria di Castello (Somma Vesuviana). I depositi da surge piroclastici hanno laminazione incrociata, scarso contenuto di frammenti juvenili e abbondanti litici. Il complesso è spesso chiuso verso l’alto da depositi di fango vacuolari. Successioni complete affiorano lungo l’alveo di Pollena Trocchia, dove parte dei depositi descritti sono parzialmente zeolitizzati. 14. L55, L70, L44 Rispettivamente lave delle eruzioni del 1855, del 1870-72 e del 1944, distribuite sui versanti occidentali del vulcano. 15. CQR e CNR Depositi di conoide detritico-alluvionale poco o non reincisa (CNR) o quiescente reincisa (CQR), la cui attività è fortemente ridotta dalla presenza di canali artificiali. 16. DFA Depositi vulcanoclastici dell’apron del Somma-Vesuvio: ghiaie e sabbie costituite da pomici e ceneri con frammenti lavici, tufacei e calcarei, da massivi a laminati, depositate da debris e hyperconcentrated flows e alluvioni. Sono intercalati localmente a paleosuoli e depositi piroclastici in posto sia da caduta che da flusso. Sono generalmente più giovani dell’eruzione del 1631. 17. da Depositi antropici: terreni di risulta derivanti dalla escavazione e/o dallo sbancamento di terreni in posto, terreni di riporto per opere stradali, riempimenti di ca; sono di natura terroso-detritica compattata e sono composti da elementi litoidi eterodimensionali inglobati in matrice argilloso-sabbiosa. Sono stati inoltre cartografati con simboli puntuali i depositi da debris e hyperconcentrated flows, osservati in trincea ed in affioramento, le cave, e con simboli lineari i contatti stratigrafici, le faglie e l’orlo calderico del Monte Somma. ASPETTI GEOMORFOLOGICI E STRUTTURALI Il Somma-Vesuvio è composto da un vecchio cono vulcanico di grosse dimensioni, il Monte Somma, troncato nella sua parte sommitale da una caldera, e da un cono più recente, il Vesuvio, cresciuto all’interno dell’area calderizzata durante l’eruzione del 79 d.C. La crescita del cono del Vesuvio ha avuto luogo durante periodi di attività persistente, di bassa energia, caratterizzati da condizioni di condotto aperto. Durante tali periodi l’accrescimento del cono è avvenuto in modo discontinuo ed è stato interrotto da fasi di allargamento del cratere e da minori collassi sommitali. L’ultimo periodo caratterizzato da tale tipo di attività è compreso tra il 1631 ed il 1944 (Andronico et al., 1995; Cioni t al., 1999; Arrighi et al., 2001). La caldera. La caldera ha una forma ellittica con asse maggiore, orientato est-ovest, di circa 5 km. Essa è una struttura complessa risultante da diver-si collassi, connessi alle diverse 20 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA eruzioni pliniane avvenute negli ultimi 20.000 anni, di cui l’ultimo è avvenuto durante l’eruzione del 79 d.C., che hanno progressivamente modificato ed allargato la struttura precedente. La porzione settentrionale del bordo della caldera è rappresentata da una scarpata ad alto angolo alta fino a 300 m, il cui bordo raggiunge la quota di circa 1000 m s.l.m. La porzione meridionale della caldera è completamente obliterata da lave che fin dall’epoca medievale ne hanno sormontato il bordo ed hanno coperto quasi completamente i versanti meridionali del vulcano fino al mare. La massima altezza di questo settore è inferiore a 700 m s.l.m. Il progressivo accumulo di lave all’interno dell’area calderizzata ha generato l’altopiano che connette il cono del Vesuvio con i versanti interni della caldera. I versanti. L’inclinazione dei versanti dell’apparato vulcanico varia progressivamente all’aumentare dell’altezza del vulcano da 6 a 40°. Un’ampia porzione dei versanti settentrionali ed orientali sono molto acclivi, mentre i versanti meridionali ed occidentali generalmente sono meno inclinati di 25°. Ai piedi dei versanti settentrionali è presente un’ampia fascia a debole pendenza di raccordo con la piana, definita apron (Sbrana et al., 1997) nel senso di Smith (1991), dove sono prevalenti i fenomeni di accumulo di depositi piroclastici sia primari che rimaneggiati. In tale area sono riconoscibili diverse generazioni di fans alluvionali, reincisi, la cui attività è stata fortemente ridotta dalla realizzazione di canali artificiali (Regi Lagni). I versanti settentrionali ed orientali del Monte Somma sono solcati da un fitto reticolo idrografico ad andamento esoreico-radiale sviluppato prevalentemente in rocce piroclastiche sciolte. Il suo andamento è localmente controllato da faglie ad andamento NE-SW e NWSE. Il sistema di drenaggio del cono del Vesuvio e dei versanti più giovani del vulcano, fino al mare, è anche di tipo esoreico-radiale, ma molto meno sviluppato. I versanti settentrionali ed orientali, dal punto di vista morfologico, sono la parte più evoluta del vulcano e, si raccordano verso valle con l’apron a circa 180-200 m s.l.m. Le numerose valli che li solcano sono profondamente incise ed articolate, particolarmente in corrispondenza dei depositi piroclastici sciolti o semicoerenti. Tali valli incise e attualmente spesso percorse da alveistrada, sono interessate dalla gran parte degli eventi franosi riconosciuti e classificabili come frane da scorrimento e subordinatamente da crollo. Versanti regolari a debole pendenza prodotti da prevalente deposizione di flussi piroclastici. Nell’area di raccordo tra i versanti del Monte Somma e la piana e spesso, allo sbocco degli assi di drenaggio sono state riconosciute forme simili fans, con pendenze variabili tra 6 e 20°. Tali corpi sono stati prodotti dalla deposizione di spessi depositi da flusso piroclastico e lahars di varie eruzioni, canalizzati lungo le aste di drenaggio. Il riempimento da parte dei flussi piroclastici di preesistenti valli ha più volte generato inversioni del rilievo originario con conseguente deviazione dell’andamento del reticolo idrografico. Tali corpi risultano incisi e caratterizzati da un reticolo idrografico localizzato e meno esteso rispetto al reticolo preesistente. Forme ben visibili sono state prodotte dalla deposizione dei flussi piroclastici dell’eruzione di Pollena (472 d.C.) in corrispondenza del paese di S. Anastasia, solcate da un reticolo idrografico decisamente immaturo. Lungo la porzione medio-bassa dei versanti del Somma sono presenti numerose cave prevalentemente per l’estrazione di rocce piroclastiche. Alcune di queste sono parzialmente o totalmente riempite da materiali di risulta e RSU. Quasi tutte hanno modificato profondamente l’andamento degli alvei preesistenti e sono caratterizzate da elevata instabilità per la presenza di alte pareti subverticali in rocce da sciolte a semicoerenti. 21 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA L’apron. La già citata fascia di raccordo tra i versanti del Somma e le piane circostanti del Sebeto, del Sarno e di Acerra-Nola, definita apron (Sbrana et al., 1997) ha debole pendenza (<6°) ed andamento grossolanamente circolare. Geneticamente e morfologicamente essa non ha le caratteristiche di una piana alluvionale in senso stretto, ma è più simile ai sistemi di conoide alluvionale (Blair e McPhearson, 1994). L’apron presenta una generale morfologia piatta con morbide ondulazioni che sono in alcuni casi legate alla presenza, nel sottosuolo, di antiche colate laviche e piccoli coni di scorie, spesso allineati, legati all’attività del Somma. Le forme più pronunciate si riconoscono tra Ottaviano e Palma Campania, dove sono ricoperte dai prodotti di caduta delle eruzioni esplosive degli ultimi 18.000 anni del Somma-Vesuvio. Da un punto di vista genetico questa superficie a bassa pendenza è il risultato della progressiva deposizione sia di prodotti vulcanici primari (depositi da caduta e/o da flusso piroclastico) sia, principalmente, dei prodotti di rimaneggiato degli stessi. Questi depositi rimaneggiati, che risultano dalla erosione e parziale smantellamento della parte sommitale dell’edificio vulcanico, hanno caratteristiche sedimentologiche che spesso permettono di interpretarli come trasportati e messi in posto da grosse colate di fango e detriti. La loro espansione a valle genera una serie di forme a ventaglio (conoidi molto appiattite) la cui sovrapposizione, migrazione successiva e coalescenza produce l’attuale aspetto dell’apron. Il reticolo idrografico presente sulla superficie dell’apron, è di tipo radiale esoreico ed è oggi completamente incanalato artificialmente. Questi canali sono parte del complesso sistema idraulico dei Regi Lagni. Per quanto oggi la superficie dell’apron sia intensamente coltivata e soggetta a notevole espansione urbanistica, i dati di superficie e del sottosuolo (trincee), riportati sulla carta geolitologica, hanno evidenziato una notevole frequenza di depositi alluvionali molto recenti, intercalati localmente a depositi da colate di fango, flussi iperconcentrati e debris flows, anche successivi ai depositi dell’eruzione del 1944. Nei fatti la casistica relativa ad eventi di trasporto solido e dunque, soprattutto di tipo idraulico di varia intensità, è molto ricca già a partire dal 1600 e fino agli anni ‘50 e ’80 (vedi Vallario, 2001 e referenze interne). I più recenti hanno interessato anche i comuni dei versanti del Monte Somma e sono datati 1955 (S. Sebastiano al Vesuvio), 1957 (S. Anastasia), 1956, 1962, 1966 (S. Giuseppe Vesuviano), 1985 (Ottaviano e S. Gennaro Vesuviano). Applicazioni dei criteri di analisi geomorfica quantitativa sono state fornite dalla Società vincitrice della gara per l’aggiudicazione delle attività di base relativamente ai bacini idrografici del Lagno di Trocchia e del Lagno Spirito Santo sul versante settentrionale del M. Somma. Lo studio è stato finalizzato alla valutazione del deflusso torbido unitario medio annuo (Tu) ritenuto indicatore del grado di erodibilità dei terreni affioranti, oltre alla valutazione di parametri morfometrici quali densità di drenaggio, rapporti ed indici di biforcazione, indice e densità di anomalia gerarchica. La metodologia utilizzata è quella proposta dai geomorfologi americani e ripresa da Autori italiani (Avena et al., 1967; Ciccacci et al., 1980). Le risultanze di tale studio hanno evidenziato rispettivamente valori del parametro Tu pari a 4532,17 T/km2/anno e 6785,07 T/km2/ anno. 7 SCHEMA DI CIRCOLAZIONE IDRICA SOTTERRANEA L’area vesuviana è caratterizzata dalla presenza di almeno due acquiferi, uno superficiale ed uno profondo (Celico et al., 1998). Il primo, a carattere locale, corrisponde alla struttura idrogeologica dell’apparato vulcanico, mentre il secondo corrisponde alla strutture carbonatiche sepolte, dove la circolazione idrica avviene in un settore molto più vasto. Di 22 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA seguito si discuterà solo l’acquifero superficiale. Quest’ultimo, a causa dei tipi di rocce che lo costituiscono, è caratterizzato da notevole permeabilità complessiva. Inoltre esso è notevolmente eterogeneo sia verticalmente che orizzontalmente per la presenza di numerose intercalazioni di lave a vario grado di fratturazione, livelli piroclastici da grossolani a fini e paleosuoli. La presenza di orizzonti a bassa permeabilità intercalati a quelli a permeabilità decisamente superiore e con giacitura generalmente concordante con l’andamento dei versanti del vulcano determina una circolazione idrica per falde sovrapposte che, a causa della scarsa continuità laterale degli orizzonti a minore permeabilità, convergono in un’unica falda di base. Tale falda ha un andamento pressoché radiale, modificato dalla presenza di alcuni spartiacque sotterranei, ed è caratterizzata da assi di deflusso verso il mare nei settori meridionale ed occidentale del vulcano, e verso le piane circostanti in quelli rimanenti. Le poche sorgenti perenni, presenti nei dintorni del vulcano, sono caratterizzate da modesti valori di portata. Quella di più alta quota è la sorgente Olivella, presente nel territorio del comune di Sant’Anastasia a circa 380 m s.l.m. Per quanto è stato possibile verificare non esistono significative correlazioni fra l’ubicazione delle zone di distacco delle varie frane censite e la presenza di pozzi o sorgenti. Il sistema vulcanico Somma-Vesuvio è compreso in quella che viene definita “provincia petrografica romano-campana”, costituita da un sistema vulcanico che si sviluppa lungo un allineamento orientato NO-SE (allineamento tosco-campano) comprendente più complessi e centri vulcanici. Il vulcanesimo di questa regione viene definito “finale”, perché si è esplicato durante le fasi tettoniche terminali dell’orogenesi appenninica, in un’area in cui le fasi compressive si erano già concluse e si era instaurata una tettonica essenzialmente verticale. Essa ha generato strutture tettoniche ad horst e graben, con faglie orientate prevalentemente NO-SE (andamento appenninico) e NE-SO (andamento tirrenico). Lo sprofondamento dello zoccolo tirrenico e le zone di intersezione tra le faglie hanno favorito l’ascesa del magma, che ha dato luogo ad un’attività vulcanica di tipo potassico. Ubicato nella conca napoletana, grande area di sprofondamento circondata dai rilievi calcarei mesozoici, il Somma-Vesuvio è uno strato-vulcano la cui parte più antica è rappresentata dal vulcano del Somma (1133 metri s.l.m.), nella cui caldera terminale sorge il Gran Cono del Vesuvio (1281 metri s.l.m.). I due edifici sono divisi da un avvallamento semicircolare noto come Valle del Gigante, sviluppato per circa 4 km e costituito dalle ripide pareti della caldera del Somma verso nord e dai fianchi del Vesuvio verso sud. Il vulcanismo del Somma-Vesuvio ha avuto probabilmente inizio circa 200.000 anni fa. Ancora prima dell’edificazione dell’attuale complesso vulcanico, nell’area vesuviana si verificarono varie eruzioni lineari di magmi lungo faglie e fratture, una delle quali diede origine all’Ignimbrite Campana. Successivamente, numerosi sprofondamenti nell’area dell’attuale Golfo di Napoli hanno favorito l’intrusione di magmi trachitici e la formazione di numerosi edifici vulcanici, oggi totalmente sepolti sotto i prodotti più recenti. Dopo una lunga sosta, l’attività riprese con eruzioni di lave e ceneri che costituirono l’edificio noto come Paleo Somma. Nel lungo ciclo eruttivo, il magma cambiò composizione (da trachitico a fonolitico a leucitico), diventando così più fluido. Pertanto, le successive eruzioni furono caratterizzate da una maggiore emissione di colate laviche, che costituirono un edificio di quasi 3.000 m di altezza. 23 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Periodi di attività si alternarono a lunghi periodo di stasi, nei quali i magmi acquistarono una composizione molto ricca in gas. Un nuovo ciclo di attività fu segnato dall’eruzione altamente esplosiva del 79 d.C., che seppellì Pompei, Ercolano, Stabia ed Oplonti sotto una coltre di piroclastiti spessa mediamente 7-8 metri, cancellando contemporaneamente ogni traccia della originaria superficie topografica. Dopo questa eruzione, la parte alta del vulcano sprofondò, dando origine alla caldera sommitale che raggiunse il diametro di 3.5 km. Si ritiene che il Gran Cono si sia sviluppato gradatamente dopo l’eruzione pliniana del 79 d.C., i cui prodotti attualmente ricoprono quelli del Somma in tutta la parte meridionale ed occidentale del complesso vulcanico. Dal 200 d.C. al 1347 si hanno notizia di circa 20 eruzioni; successivamente il condotto si ostruì fino all’eruzione di tipo pliniana del 1631. Da allora, si sono alternati periodi di attività persistente e periodi di stasi; l’ultima eruzione importante è stata quella del 1944. La quasi totalità delle lave del Somma è rappresentata da tefriti leucitiche basanitiche, caratterizzate dalla presenza di abbondante leucite ed augite e solo raramente di plagioclasio. Le lave e le piroclastiti del Vesuvio, invece, sono costituite da tefriti oliviniche leucitiche. Il Monte Somma è il “relitto” di un più antico edificio alto circa 2000 m formatosi a partire da 37.000 anni (da oggi) per accumuli successivi di prodotti effusivi (lave) ed esplosivi (ceneri, scorie, pomici). Esso è stato interessato da alternanza di fasi esplosive e di collassi calderici che hanno prodotto la “nascita” e la “crescita” del cono del Vesuvio. I versanti del Somma sono particolarmente acclivi (al di sopra delle quote 180-200 m.l.m.) e solcati da un fitto reticolo idrografico sviluppato soprattutto nella potente coltre piroclastica che ricopre corpi lavici più antichi. Molte di queste incisioni sono percorsi di alvei strada che talora raccolgono e convogliano i prodotti di frane da scorrimento-colata provenienti dai versanti. I suddetti versanti si raccordano con la piana circostante del Sebeto, del Sarno e di AcerraNola mediante una estesa fascia (apron) caratterizzata da deboli pendenze e costituita da accumuli di prodotti piroclastici da caduta e/o flusso piroclastico (in sede e/o rimaneggiati). Il reticolo idrografico che solca il versante settentrionale è attualmente incanalato artificialmente (sistema idraulico dei Regi Lagni) ed è caratterizzato dal ripetersi, già dal 1600, di eventi alluvionali che hanno interessato in particolare i Comuni di San Sebastiano, Sant’Anastasia, San Giuseppe Vesuviano, Ottaviano, San Gennaro Vesuviano. 24 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Carta geologica e distribuzione dei principali depositi da caduta del Somma- Vesuvio: 1) Lave e (2) depositi piroclastici prossimali del distretto del Somma-Vesuvio; 3) depositi piroclastici ed alluvionali; 4) flysch miocenici della Penisola sorrentina; 5) depositi terrigeni mio-pliocenici; 6) Calcari e dolomie mesozoici; 7) ubicazione di frana da colata rapida (singola), gruppo di frane (8). LE DORSALI CARBONATICHE 8 INTRODUZIONE L’intero settore orientale e parte di quello settentrionale del territorio dell’Autorità di Bacino è caratterizzato dalla presenza di massicci carbonatici con rilievi che raggiungono quote di circa 1600 m s.l.m. (Monti di Avella); essi sono costituiti da potenti monoclinali calcaree, sollevate per l’azione di faglie regionali attive durante il Plio-Quaternario che hanno interessato il bordo orientale della Piana Campana (Brancaccio & Cinque, 1988). Da sud a nord queste strutture sono rappresentate dalla dorsale di Monte Pizzo d’Alvano (1133 m s.l.m.), dai Monti di Lauro (M. Pizzone 1108 m s.l.m.), dai Monti di Avella (1598 m s.l.m.), dalla dorsale di Monte Fellino e dai Monti di Caserta (M. Paraturo 927 m s.l.m.). Gli alti strutturali calcarei sono separati da strette e lunghe valli tettoniche di importanza regionale (Valle Caudina, Valle del Clanio) solcate da aste torrentizie (Vallone Palata, Lagno di Avella, Lagno di Quindici). L’ossatura dei rilievi è costituita da calcari mesozoici prevalentemente giurassici e cretacici riferibili all’unità stratigrafico-strutturale dei Monti Picentini-Taburno (Bonardi et al., 1988). Sui terreni mesozoici sono conservati solo localmente piccoli lembi di flysch miocenici affioranti presso Forchia, Arpaia e Taurano. Molto più diffusi sono invece i depositi clastici quaternari, essenzialmente costituiti da brecce di versante, ghiaie di conoide e depositi alluvionali che riempiono le valli principali e ricoprono le zone di raccordo tra i versanti calcarei e le piane. Frequentemente sui versanti calcarei sono conservati alcuni metri di depositi piroclastici da caduta: essi sono riferibili a cineriti e livelli di pomici di provenienza prevalentemente vesuviana e di età tardo pleistocenica. La distribuzione delle piroclastiti non è omogenea e 25 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA segue gli originari assi di dispersione delle varie eruzioni vulcaniche. Generalmente, gli spessori riscontrati sui rilievi calcarei sono maggiori sui versanti settentrionali rispetto a quelli meridionali e maggiori sulle dorsali più meridionali rispetto a quelle settentrionali. Gli spessori maggiori sono stati riscontrati sul versante settentrionale di Monte Pizzo d’Alvano (5-7 m) e sono praticamente nulli sui versanti meridionali dei monti di Caserta. L’assetto geomorfologico è caratterizzato da versanti di faglia in genere ad elevata acclività (3035°) spesso incisi da corsi d’acqua susseguenti che, nelle zone di raccordo con le piane, hanno costruito più generazioni di conoidi. Le più antiche risultano sospese di pochi metri sugli attuali fondovalle, mentre quelle recenti ed ancora attive interessano spesso centri abitati (Avella, Quadrelle, Roccarainola, Quindici, Arpaia, Forchia ecc.). 9 INQUADRAMENTO GEOLOGICO E DELLE DORSALI CARBONATICHE GEOMORFOLOGICO-STRUTTURALE Le dorsali carbonatiche dei Monti di Avella-Monte Fellino e dei Monti di Durazzano e Caserta delimitano, con i loro spartiacque, il limite settentrionale dell’Autorità di Bacino. Su questi rilievi si impostano due importanti bacini imbriferi (T. Gaudo e T. Carmignano) che hanno recapito nell’asta principale dei Regi Lagni. Il bacino del Gaudo si sviluppa in gran parte sui monti di Avella e sulle propaggini settentrionali dei monti di Visciano; esso si suddivide in sottobacini, tutti a carattere torrentizio (da sud a nord sono quelli dei torrenti: Acqua-longa, Acquaserta, Clanio, Roccarainola e Sasso). Il bacino del Carmignano si imposta nella depressione strutturale di Arpaia e riceve piccole aste torrentizie che solcano il versante settentrionale dei Monti di Cancello- Monte Fellino e quello meridionale dei Monti di Durazzano-Moiano. Il bacino si imposta ai margini della grande depressione tettonica della Piana Campana, dove una serie di gradinate di faglia hanno sollevato le strutture carbonatiche da pochi metri a più di 1000 m s.l.m. Il suo limite segue lo spartiacque di due monoclinali calcaree allineate in direzione appenninica (NW-SE). La più meridionale si allunga per circa 12 km verso la Piana Campana e comprende le cime di M. Faitaldo (1067 m) , Pizzo d’Alvano (1133 m) e Monte S. Angelo (752 m). Quella settentrionale si estende, sempre in direzione appenninica per circa 15 chilometri e comprende le cime di M. Pizzone (1109 m), Pietra Maula (715 m); Monte Donico (634 m) e Monte Spraghera (473m). Questi ultimi rilievi separano il bacino dell’alveo di Quindici da quello dell’Acqualonga più a nord. Il solo settore sudoccidentale del Bacino è impostato, in piccola parte, sulle falde settentrionali del M. Somma. Il reticolo fluviale è costituito da un’asta principale, che nasce alle pendici del M. Faitaldo e da diverse aste poco gerarchizzate e ad alta pendenza, a carattere torrentizio, che si immettono nell’alveo di Quindici dopo percorsi molto brevi (dai 2 ai 4 km). Le più significative si trovano in sinistra orografica del bacino e nascono dalla dorsale di Pizzo d’Alvano, tra esse si ricordano i Valloni di San Francesco, Colafasulo, Cantarella, Troncito, Fontanella, dello Scarico. I terreni affioranti, fatta eccezione per il settore del M. Somma, sono prevalentemente costituiti da calcari mesozoici, da locali affioramenti di flysch, da depositi clastici e alluvionali prevalentemente di conoide. I depositi quaternari sono costituiti anche da prodotti vulcanici di origine vesuviana e flegrea. 26 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Dal punto di vista morfologico il bacino può essere diviso in diversi ambiti: - i versanti calcarei, generalmente ad elevata pendenza, legati ad antichi versanti di faglia modellati per erosione e carsismo; - i ripiani sommitali dei massicci calcarei legati ad antiche “paelosuperfici” ed ai piani tettonocarsici come Campo Somma; - le fasce di raccordo al fondovalle dei massicci carbonatici e del Monte Somma; - il settore a debole pendenza del medio corso del Lagno di Quindici, tra Lauro e Liveri; - il settore pianeggiante corrispondente al margine orientale della Piana Campana (area di Saviano, Scisciano, Nola, ecc.). L’assetto tettonico generale è caratterizzato da importanti faglie regionali, in gran parte sepolte dalle coltri alluvionali e piroclastiche che hanno ribassato porzioni della catena appenninica a gradinata verso il graben Campano. Le principali faglie sono quelle che delimitano il versante settentrionale di Pizzo d’Alvano ed il versante tra Moschiano e Marzano di Nola. Esse sono a loro volta “tagliate” da faglie trasversali, spesso con caratteri di trascorrenza, come quelle che delimitano i versanti strutturali di Palma Campania, di Casamarciano e Liveri. Una testimonianza dei movimenti tettonici subiti dalle strutture carbonatiche è data dalla dislocazione a varie quote degli stessi ordini di paleosuperfici e di versanti polifasici come ben evidente, ad esempio, a sud dell’abitato di Quindici. Nel complesso, lo studio geologico dell’area dei massicci carbonatici ha evidenziato che i vari sottobacini presentano caratteristiche talora molto diverse in termini di stratigrafia dei terreni di copertura e di elementi geomorfologici e frane. Per tale motivo si è preferito descriverli in paragrafi separati. BACINO DEL TORRENTE CARMIGNANO LE UNITÀ LITOSTRATIGRAFICHE Il Bacino del T. Carmignano delimita il settore nord-orientale del territorio dell’Autorità di Bacino, comprendendo gran parte della provincia di Caserta e spingendosi fino alla provincia di Benevento. Esso è suddivisibile in due ambiti litostratigrafici principali: le unità mesozoiche, costituenti il substrato carbonatico, e i depositi quaternari di natura vulcanica e detriticoalluvionale. Inoltre, localmente, si rinvengono esigui affioramenti di unità terrigene mioceniche (flysch). Il substrato mesozoico è costituito essenzialmente da calcari e dolomie di età giurassica e cretacica in contatto tra loro stratigraficamente o mediante linee tettoniche. Essi sono definiti e descritti nella legenda della Carta Geolitologica come CDO, CDA e CDL e vengono attribuiti in letteratura all’unità stratigrafica dei Monti Picentini-Taburno (Bonardi et al., 1988). I calcari giurassici (Dogger-Malm) del substrato ricoprono, per sovrascorrimento, un limitato lembo dell’unità litostrati-grafica arenaceo-calcareo-marnosa, indicata con la sigla UCP, rinvenuto nell’ambito del bacino del Carmignano solo tra gli abitati di Arpaia e Forchia. I depositi quaternari più antichi, presenti nell’area in oggetto, sono di natura vulcanica e sono rappresentati dalla Formazione dell’Ignimbrite Campana (IC), presente spesso anche in facies 27 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA massiva (PSa). Affioramenti di questi depositi si conservano, rispettivamente, in corrispondenza dell’abitato di Forchia e Maddaloni, dove si ritrovano alla base dei versanti. Depositi vulcanici di origine piroclastica in giacitura primaria ricoprono, invece, le antiche superfici sommitali dei rilievi o le piane carsiche (indicati in legenda come PSI 2) e si rinvengono, ad esempio, lungo il confine comunale tra Arpaia e Paolisi. I depositi vulcanici che hanno subito rimaneggiamento in ambiente alluvionale (indicati con la sigla PSI1) colmano essenzialmente la piana alluvionale, che si estende dal fondovalle del territorio di Arienzo fino alla confluenza con la Piana Campana. Depositi di conca endoreica (Dce in legenda), costituiti da limi e sabbie fini, colmano i pianori tettono-carsici presenti in corrispondenza dei confini comunali degli abitati di Roccarainola, Paolisi ed Arpaia. Tra i sedimenti clastici quaternari (in gran parte sepolti) si segnalano i depositi alluvionali che affiorano essenzialmente con conoidi presenti allo sbocco dei numerosi valloni che dissecano trasversalmente la valle principale. Lateralmente a questi corpi, ed interdigitati ad essi, si ritrovano depositi detritici molto diffusi nell’intero bacino, i quali formano ampie fasce di raccordo tra i versanti ed il fondovalle e vengono indicati in legenda con la sigla Dta. A ricoprire i rilievi dell’intero bacino in maniera disomogenea sono le coltri piroclastiche, delle quali vengono rappresentate la distribuzione areale e la classe di spessore nell’elaborato cartografico specifico, la “Carta delle Coperture”. Dall’analisi di tale elaborato relativo al bacino del Carmignano appare evidente la notevole variabilità nelle classi di spessore in relazione all’esposizione dei versanti. Questa differenza è marcata dal particolare orientamento EstOvest della valle principale, che si esplica in un diverso impatto dei processi erosivi nei confronti dei versanti esposti a Sud rispetto a quelli più “umidi” e ricchi di vegetazione rivolti a settentrione. In particolare, analizzando la Carta delle Coperture, appare evidente la differenza, per i comuni di Arienzo, Arpaia e Forchia, tra i versanti settentrionali rispetto a quelli meridionali; questi ultimi risultano caratterizzati da una classe di copertura piroclastica omogenea dallo spessore inferire ai 50 cm, che risulta interrotta da estesi affioramenti del substrato carbonatico (indicato in legenda con la sigla ca). La classe di spessore compresa tra 0.5 e 2 m si rinviene solo in corrispondenza di alcuni impluvi, come il Vallone delle Traverse ad Arienzo. Tale situazione si verifica anche per i versanti a monte degli abitati di Cervino e Santa Maria a Vico, anch’essi esposti a Sud. La classe di spessore compresa tra 0.5 e 2 m risulta, invece, predominante lungo i versanti settentrionali, dei quali quelli con morfologia più concava appaiono interessati anche da spessori maggiori (2 - 5 m) come nel comune di San Felice a Cancello. ASPETTI GEOMORFOLOGICI E STRUTTURALI La valle del Carmignano costituisce una depressione a controllo strutturale dettata dai principali sistemi tettonici che hanno interessato l’area in oggetto. La componente principale, collegata al regime compressivo, avrebbe originato la valle principale (in direzione Est-Ovest), mentre i successivi movimenti distensivi con andamento NW-SE avrebbe dettato la susseguenza di numerose valli tributarie secondo le principali linee tettoniche. Tra queste molto evidenti appaiono Vallone Tana dell’Orso ad Arienzo, Vallone S. Berardo ad Arpaia, il Valloncello a Forchia, Fosso Vittoria a Cervino, etc. Queste valli sono percorse da corsi d’acqua a carattere torrentizio che hanno dissecato i numerosi versanti di faglia generatisi per azione della tettonica quaternaria. Tali movimenti tettonici sono stati, inoltre, causa della dislocazione a diverse quote del paesaggio 28 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA subpianeggiante modellatosi durante le fasi di stasi tettoniche plioceniche (Brancaccio e Cinque 1988) per erosione carsica e fluviodenudazionale. Relitti di queste paleosuperfici si rinvengono in corrispondenza dello spartiacque orografico in località Le Traverse, Monte Burrano, Piana di Airola, che risultano sviluppati tra le quote 710 e 750 m. Alcune di queste piane orografiche hanno subito poi una evoluzione di tipo carsico (Piano Maggiore e Piano del Pozzo). Altri lembi di questi relitti morfologici sono ampiamente diffusi nell’ambito del bacino e rappresentano la testimonianza di movimenti tettonici verticali che li hanno dislocati a quote diverse con rigetti dell’ordine anche del centinaio di metri. Queste superfici piane si collegano al fondovalle tramite versanti molto acclivi, i quali risultano dall’erosione rettilineo-parallela di antichi specchi di faglia, testimoni dell’intensa attività della tettonica quaternaria. La forte componente tettonica è, inoltre, rappresentata dai numerosi corsi d’acqua susseguenti, che hanno dato origine a diverse confluenze fluviali a controllo strutturale (gomiti) derivanti dall’intersezione delle due componenti tettoniche principali, orientate NW-SE e NE-SW. Vengono riportati a titolo di esempio il Vallone Piano Grande, il Vallone Puntarelle ed il Vallone Tana dell’Orso. Questi valloni si raccordano al fondovalle attraverso una serie di conoidi alluvionali recenti, che rappresentano il risultato degli intensi processi erosivi esplicatisi nell’ambito dei diversi sottobacini soprattutto durante le fasi glaciali del tardo Quaternario. Molto spesso i conoidi alluvionali più sviluppati sono sede degli insediamenti urbani lungo il fondovalle, i quali vengono a trovarsi in situazioni di rischio in relazione alle possibili fasi di alimentazione da parte dei bacini a monte per fenomeni di alluvionamento. Centri abitati che sorgono su tipici conoidi alluvionali sono Arpaia, Forchia, Santa Maria a Vico, Arienzo e la frazione di Rosciano. Alla base dei versanti regolari, lateralmente ai conoidi alluvionali, sono presenti estese fasce detritiche di raccordo con la piana sviluppatesi per processi di erosione areale lungo i versanti, che vengono indicati sulla Carta geomorfologica con il simbolo generico di glacis eluviocolluviale. La presenza di una coltre piroclastica è determinante per l’innesco di frane del tipo colata rapida; in particolare, il versante settentrionale della Dorsale di Monte Fellino è stata interessata da numerosi fenomeni franosi in occasione dell’evento pluviometrico verificatosi il 5 maggio 1998. I suddetti fenomeni hanno mobilizzato spessori rilevanti delle coperture piroclastiche, dell’ordine di alcuni metri, investendo alcuni insediamenti e strutture ubicate nell’area pedemontana. Nel territorio di Forchia, le colate hanno mobi-lizzato una copertura più ridotta e pertanto sono caratterizzate da un minore sviluppo, arrestandosi nel letto degli alvei ove si erano incanalate. Così come riportato nella Carta geomorfologica,tracce di altri eventi franosi del tipo colata, verificatesi nei territori di Arienzo e Paolisi, conservano ancora una certa evidenza morfologica. Lungo i rilievi privi di coperture piroclastiche, in corrispondenza di ripidi salti di pendenza o di fronti di cave non più attive, sono diffusi i fenomeni di crollo, riportati nella carta geomorfologica nei comuni di Forchia (S.P. Forchia-Arienzo), Cervino (Messercola). MONTI DI DURAZZANO E CASERTA La dorsale dei Monti di Durazzano e Caserta si sviluppa lungo la congiungente le cime di Monte Serrone (431 m), Monte Calvi (529 m ) e Monte S. Michele (427 m) e, pur essendo 29 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA adiacente al Bacino del Carmignano, rappresenta un contesto da esso indipendente, legato dal punto di vista idrografico direttamente alla Piana Campana. La genesi della dorsale è sicuramente dettata da un controllo strutturale, particolarmente evidente dall’andamento in direzione appenninica NW-SE dei rilievi che la costituiscono, i quali sono formati da calcari di età cretacica (indicati in legenda come CDA e CDL) in contatto tra loro mediante linee di faglia orientate principalmente in direzione NE-SW. I suoi versanti si presentano particolarmente acclivi e risultano dissecati da impluvi di primo o secondo ordine gerarchico, che danno origine ad un pattern generale di tipo parallelo. Tali incisioni hanno un andamento rettilineo a regime effimero, perdendosi molto spesso nei depositi clastici presenti alla base dei versanti. I depositi di raccordo tra i versanti e la pianura vera e propria sono costituiti da detrito di versante di natura calcarea e materiale piroclastico rimaneggiato da processi di erosione che si esplicano sui versanti. Queste fasce di raccordo vengono riportate nella Carta geomorfologica con il simbolo di glacis di accumulo alluvio-colluviale. Il materiale clastico, allo sbocco degli impluvi, lascia il posto a conoidi alluvionali di limitata estensione, che riflettono l’elevata immaturità morfologica dei bacini che li alimentano. Laddove i processi di erosione dei corsi d’acqua non hanno consentito lo sviluppo di conoidi alluvionali, il glacis di accumulo è stato contrassegnato da un simbolo aggiuntivo, che indica possibili fenomeni di deiezione verificabili lungo le fasce di raccordo versante-fondovalle. I versanti di questa dorsale risultano quasi completamente privi di coltre piroclastica, la quale si è conservata essenzialmente in corrispondenza di concavità morfologiche o di linee di impluvio (valloni di Santa Barbara e di Staturano). Di conseguenza il substrato carbonatico risulta quasi totalmente affiorante e, per tale motivo, è stato sfruttato dall’uomo per attività estrattive, le quali costituiscono l’elemento antropico principale che caratterizza la morfologia generale della dorsale. Le aree di cava sono state rappresentate in Carta Geomorfologica e Geolitologica. Esse sono state riportate anche sulle carte di suscettibilità all’innesco di fenomeni franosi, con una simbologia particolare che fa riferimento alla verifica delle condizioni di stabilità dei fronti. Gli stessi areali di cava figurano anche nelle carte di suscettibilità all’invasione e nelle carte del rischio, nelle quali essi vengono definiti come zone in cui il livello di rischio potrà essere definito in base ad indagini di dettaglio. La mancanza di una coltre piroclastica spessa e continua si traduce in una diversa predisposizione del territorio all’innesco di fenomeni franosi. Infatti, lungo la dorsale in oggetto, la possibilità che si verifichino frane del tipo colata rapida è limitata a zone abbastanza ridotte, che coincidono spesso con valloni o con settori di versante a morfologia concava. Per tale motivo le frane maggiormente prevedibili sul territorio sono rappresentate da fenomeni di crollo riportati, così come le colate rapide, sulla Carta Geomorfologica. Ad incrementare la suscettibilità di quest’area a frane del tipo crollo in roccia, è la presenza diffusa sul territorio di fronti di cava, alcuni dei quali anche in stato di abbandono. Un esempio di situazioni del genere è fornito dalla presenza di crolli in corrispondenza della località Torre Inferiore nel territorio di Maddaloni, che risulta essere un tipico esempio di area di cava non più attiva. 30 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA IL VERSANTE MERIDIONALE DI MONTE FELLINO LE UNITÀ LITOSTRATIGRAFICHE La dorsale di Monte Fellino si estende con direzione Est – Ovest al margine settentrionale della Piana Campana, all’incirca compresa tra gli abitati di S. Felice a Cancello, Sasso e Cancello. Essa è costituita da una potente successione carbonatica meso-cenozoica appartenente all’unità stratigrafico-strutturale Monti Picentini-Taburno (Bonardi et al., 1988); di seguito, nella descrizione stratigrafica della successione, si farà riferimento alle denominazioni adottate nella legenda della Carta geolitologica. Pertanto, nell’ambito della successione carbonatica di età meso-cenozoica, che costituisce il “substrato carbonatico” dell’area, i terreni più antichi affioranti sono costituiti dai Calcari di Monte Fellino (età: Lias), cioè da calcari micritici, talora oncolitici, calcari dolomitici in strati medi e spessi, di colore dal grigio all’avana, con intercalate dolomie grigie. Sovente tale formazione si presenta fortemente fratturata e, localmente, cataclasizzata. I Calcari di Monte Fellino affiorano nel settore orientale della dorsale; la giacitura degli strati è rivolta, nel complesso, verso i quadranti orientali. Verso l’alto della successione stratigrafica, si passa a una successione calcarea e calcareodolomitica (CDO nella Carta geolitologica), comprendente calcareniti dolomitiche grigie a elementi olitici, doloareniti bianche e grigie a grana molto fine, calcareniti a grana medio fine laminate a elementi detritici e scheletrici, di età compresa tra il Dogger e il Malm. Sui calcari giurassici poggia la formazione dei Calcari di Avella (CDA nella Carta geolitologica) età: Berrasiano - Aptiano, costituiti da calcari avana chiaro generalmente ben stratificati, ai quali si intercalano calcari biomicritici. A tetto dei Calcari di Avella sono presenti i Calcari di Lauro (Aptiano-Santoniano, CDL nella Carta geolitologica), costituiti da calcari e calcari dolomitici di colore grigio, biancastro o avana, con frequenti intercalazioni di dolomie grigie. Lungo il settore inferiore del versante meridionale della dorsale di Monte Fellino sono presenti depositi sedimentari e vulcanoclastici di età quaternaria, clinostratificati, nell’ambito dei quali sono stati riconosciuti e descritti in bibliografia: - brecce di versante di età pleistocenica connesse alla degradazione, erosione e arretramento del versante di faglia; - livelli di sabbie litorali e puddinghe ben cementate, di ambiente marino, “sospesi” a quote comprese tra i 30 ed i 60 m s.l.m., riferite a due distinte fasi altopleistoceniche di sedimentazione in ambiente marino (risp. 126.000 anni da presente e 55.000 anni dal presente in Romano et al., 1994) e altrettante fasi di sollevamento della dorsale; - sequenza di ghiaie alluvionali, colluvioni e livelli piroclastici comprendenti i prodotti dell’eruzione delle “Pomici basali”(età circa 18.000 anni dal pre-sente), di Mercato (età 8.000 anni circa dal presente), di Avellino (età 3.700 anni dal presente). Nella parte medio alta del versante i depositi sedimentari si riducono fino ad annullarsi; le coperture vulcanoclastiche si presentano generalmente con esiguo spessore, inferiore a 0.5 m, fino a annullarsi del tutto nei settori maggiormente acclivi (cfr. Carta delle Coperture). 31 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA ASPETTI GEOMORFOLOGICI E STRUTTURALI L’assetto morfologico del versante meridionale risulta caratterizzato da versanti moderatamente acclivi a profilo concavo-rettilineo nel settore più occidentale (prossimo a S. Felice) dove culmina a 470 m s.l.m., e da versanti da ripidi a molto ripidi a profilo irregolare, talora convesso, nel settore orientale dove vengono raggiunte le quote più elevate (M. S.Angelo a Palomba 620 m s.l.m. e M. Fellino 668 m s.l.m.). Lungo le aree di versante sono diffuse forme connesse ai processi di dissoluzione carsica, tra le quali è evidente la dolina di sprofondamento ubicata in località Serra Valle. La continuità del profilo del versante è frequentemente interrotta, nel settore inferiore del versante, dalla presenza di aree di cava molto estese, con fronti di altezza pari a diverse decine di metri. Il settore di piana a ridosso della dorsale presenta un andamento morfologico regolare, debolmente ondulato, con quote comprese tra 35 e 55 m s.l.m.; il contrasto morfologico tra l’area di piana e la dorsale carbonatica è reso ancora più evidente dalla presenza di una fascia di raccordo pedemontana poco sviluppata. Numerose incisioni solcano le aree di versante; esse presentano sviluppo longitudinale modesto e risultano maggiormente approfondite quando impostate su lineamenti di origine strutturale. Una volta raggiunta la piana, le acque superficiali si infiltrano nel sottosuolo senza raggiungere il lagno di Avella. L’assetto strutturale si caratterizza per la presenza di: a) - una struttura a carattere compressivo, con direzione Nord-Sud circa e vergenza Ovest, interpretata come sovrascorrimento, che determina la sovrapposizione dei terreni appartenenti alla unità dei Calcari e Calcari dolomitici di età giurassica su quelli calcarei di età cretacica; b) - un sistema di faglie bordiere dirette, ad andamento appenninico, responsabili del sollevamento dell’horst della dorsale, sepolte nella piana da una potente sequenza di depositi vulcano-sedimentari di età quaternaria, e un sistema di faglie dirette a direzione prevalente Nord – Sud che determina la disarticolazione delle strutture suddette. Le testimonianze più evidenti delle vicende neo-tettoniche e climatiche pleistocenico/oloceniche sono rappresentate da depositi marini “sospesi” sul versante, a una quota di diverse decine di metri rispetto al livello attuale del mare, e da un glacis alluviocolluviale post-tirreniano al piede della dorsale, all’interno del quale si sono accumulati anche i depositi connessi alla attività vulcanica dei centri eruttivi flegrei e vesuviano. La dinamica morfologica più recente delle aree di versante è stata caratterizzata, nel complesso, da un’accentuata erosione delle coperture vulcanoclastiche accumulatesi sul versante meridionale, pertanto esse risultano confinate alle aree relativamente meno acclivi poste nel settore sommitale e nelle aree esposte verso i quadranti occidentali e orientali. In effetti le coperture piroclastiche sono oggi presenti in maniera limitata e con spessori inferiori a 50 cm; per tale motivo, non si segnalano lungo il versante meridionale della dorsale di M. Fellino fenomeni franosi rilevanti anche se l’assetto morfologico è marcato da acclività accentuate ed elevata energia di rilievo. Le frane verificatesi negli ultimi anni hanno interessato, in effetti, le coperture presenti nel settore mediano ed inferiore del versante. 32 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Infine, frane da crollo di limitate dimensioni interessano le balze rocciose presenti lungo il versante. Lungo il settore inferiore del versante meridionale della dorsale di M. Fellino sono presenti numerose cave in attività. La coltivazione delle cave avviene mediante abbattimento con esplosivo lungo gradoni, aventi altezza di 20 – 25 m, separati da “pedane” funzionali al passaggio dei mezzi meccanici larghe circa 10 m. La pendenza media dei fronti è di circa 60°; al piede del fronte è presente un ampio piazzale dove viene accumulato il materiale abbattuto, successivamente inviato all’impianto di frantumazione e classificazione. Nei confronti della dinamica morfologica, le aree di cava costituiscono un’unità morfologica con caratteristiche precipue. Infatti, relativamente alla suscettibilità all’inne-sco di frane da crollo, l’elevata acclività delle pareti nonché il metodo di coltivazione, possono costituire fattori di incremento della suscettibilità; per tale motivo le pareti di cava costituiscono settori ove effettuare studi di dettaglio al fine di verificare le condizioni di stabilità. Relativamente alle frane da colata che possono verificarsi nelle aree a monte delle cave, e, più in generale a fenomeni di ruscellamento e trasporto solido, le aree di cava possono costituire settori di possibile invasione. IL BACINO DEL LAGNO DI SASSO E IL BACINO DEL LAGNO DI ROCCARAINOLA LE UNITÀ LITOSTRATIGRAFICHE Il bacino del lagno di Sasso e il bacino del lagno di Roccarainola si estendono nel settore centromeridionale della dorsale Monti di Avella-Monte Fellino, dorsale che delimita a Nord- Est la PianaCampana. Essi sono costituiti da una potente successione carbonatica meso-cenozoica appartenente alla unità stratigrafico-strutturale Monti Picentini-Ta-burno (Bonardi et al., 1988). Sul substrato carbonatico poggiano in discordanza angolare, i depositi di copertura di età quaternaria. Di essi, i più antichi affiorano in sinistra orografica del lagno di Sasso, e sono costituiti dai Conglomerati e Brecce del T. Clanio e di Masseria Marchese (Di Vito et al., 1998). Tali depositi formano una potente sequenza di conglomerati a clasti carbonatici di dimensioni comprese tra il dm3 e il m3 con scarsa matrice e a cemento calcitico. Sui Conglomerati del T. Clanio e della Masseria Marchese poggia una articolata sequenza di depositi sedimentari e vulcanici. I primi comprendono depositi alluvionali antichi, rappresentati da ghiaie poligeniche in banchi e strati talvolta con matrice sabbioso-limosa, sabbie poligeniche e limi argillificati in strati di spessore decimetrico, con intercalati livelli di piroclastiti rimaneggiate, e depositi alluvionali recenti e attuali, rappresentati da sabbie e sabbie limose grigio chiare, ghiaie poligeniche a matrice sostenuta e con scarso cemento. I depositi vulcanici, intercalati a quelli alluvionali nelle aree di fondovalle, comprendono i prodotti delle eruzioni flegree e vesuviane. 33 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Tra essi, il più antico è costituito dalla formazione dell’Ignimbrite Campana, presente nel territorio del bacino del lagno di Sasso in affioramenti molto limitati (non cartografabili alla scala di restituzione della carta geolitologica). A tetto dell’I.C. sono presenti i prodotti delle eruzioni protostoriche del Somma Vesuvio (“Pomici di base” relative alla eruzione di Sarno, avvenuta circa 18.000 anni dal presente; eruzione delle Pomici Verdoline, avvenuta circa 15.000 anni dal presente; eruzione di Mercato – nota come eruzione di Ottaviano – età 8.000 anni dal presente; eruzione di Avellino, età 3.700 anni dal presente). Prodotti più recenti, sono quelli relativi alle eruzioni di Pollena (472 d. C.) e del 1631. I depositi piroclastici colmano le depressioni tettono-carsiche presenti sulla sommità dei rilievi e formano coperture pressoché continue sulle aree di versante. Gli spessori delle coperture vulcanoclastiche riscontrate nelle aree di versante del bacino del lagno di Sasso e del lagno di Roccarainola (cfr. Carta delle Coperture), sono talora rilevanti (compresi tra 2 e 5 m), e generalmente compresi tra 0.5 e 2 m. Soltanto lungo i settori maggiormente acclivi affiora il substrato carbonatico privo di coperture. ASPETTI GEOMORFOLOGICI E STRUTTURALI Il disegno del reticolo idrografico superficiale del bacino del lagno di Sasso presenta un pattern di tipo convergente, dato da corsi d’acqua di modesto sviluppo longitudinale (2-3 km) e basso ordine gerarchico (2° - 3° ordine) tra cui il Vallone Festola e il Lagno Agnone. Questi confluiscono in una asta principale, il lagno di Sasso, che prende il nome dal paese omonimo, a valle del quale il lagno si immette nel lagno di Avella. Il reticolo idrografico del bacino del lagno di Roccarainola presenta un pattern di tipo sub parallelo, con aste torrentizie, anche in questo caso, di modesto sviluppo longitudinale e basso ordine gerarchico, delle quali la principale è il Vallone delle Rane. Nel settore inferiore del tratto montano, il lagno di Roccarainola attraversa un’area di cava, all’interno della quale l’alveo è in parte confinato da argini in muratura, e in parte soggetto a frequenti modifiche e alterazioni per effetto delle attività in corso. L’assetto tettonico generale è caratterizzato dalla presenza di più sistemi di faglie dirette, tra i quali prevalgono quelli ad andamento “appenninico” e “antiappenninico” che determinano la disarticolazione del substrato carbonatico in blocchi, oltre che il generale ribassamento verso la piana, secondo un sistema a “gradinata”. Le fasi neotettoniche pleistoceniche hanno determinato, successivamente, lo smembramento di paleosuperfici e la creazione di versanti di faglia caratterizzati da rigetti di molte centinaia di metri, inclinazioni medie di 30° – 35°, il rinvigorirsi dei fenomeni di erosione, con conseguente accumulo di potenti depositi costituiti da brecce e conglomerati (unità di Masseria Marchese e T. Clanio) e l’ap-profondimento del reticolo fluviale. La dinamica morfologica attuale comprende fenomeni di erosione, trasporto e accumulo, le cui evidenze geomorfologiche sono date da alcuni conoidi alluvionali presenti in particolare in sinistra orografica del Lagno di Sasso, in località Materno; in questo settore fenomeni di rilevante intensità si sono avuti in concomitanza dell’evento pluviometrico della prima decade del mese di ottobre 2000. 34 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA La presenza di livelli di piroclastiti rimaneggiate all’interno dei depositi alluvionali costituisce indizio della età olocenica dei conoidi su alcuni dei quali sorgono centri abitati, come quelli di Sasso e Roccarainola. In corrispondenza del conoide di Sasso l’asta torrentizia risulta soggetta, in occasione degli eventi meteorici più intensi e/o prolungati, ad una dinamica fluviale ad alta energia, elevato trasporto solido e conseguenti fenomeni di esondazione dagli argini, mentre l’alimentazione del conoide di Roccarainola risulta in parte limitata per effetto dell’ampliamento della attività estrattiva presente a monte dell’abitato. Nella suddetta area di cava, l’elevata acclività delle pareti e il metodo di coltivazione possono costituire fattori di incremento della suscettibilità all’innesco di crolli. Per tale motivo le pareti di cava vengono definite come un settore ove effettuare studi di dettaglio al fine di verificare le condizioni di stabilità. Le frane da colata rapida presenti nel territorio del bacino del lagno di Sasso sono poco numerose; esse sono caratterizzate da dimensioni e spessori mobilizzati modesti, ad eccezione di quella attiva-tasi in località Costarelle (bacino del Lagno di Roccarainola), caratterizzata da un notevole sviluppo lineare (circa 2 Km), ancorchè da volumi mobilizzati ridotti. Relativamente alle frane da colata che possono verificarsi nelle aree a monte delle aree di cava, quest’ultime costituiscono settori di possibile invasione. I SOTTOBACINI DEI TORRENTI ACQUALONGA, ACQUASERTA E CLANIO LE UNITÀ LITOSTRATIGRAFICHE Il territorio corrispondente ai sottobacini dell’Acqualonga e dell’Acquaserta, che confluiscono nell’area pianeggiante nel torrente Sciminaro, è delimitato da rilievi collinari e montuosi le cui quote variano tra i circa 500 m s.l.m. di cima “Il Serrone”, nel territorio comunale di Sperone, ai circa 1100 m s.l.m. di Monte Cucuruzzo, nel comune di Mugnano del Cardinale, fino ai circa 1365 m s.l.m. di Toppola Grande, al confine tra Avella e Quadrelle. Viceversa, la valle del torrente Clanio è delimitata verso sud dai rilievi di Toppola Grande (1365 m s.l.m.) e Monte Campimma (670 m s.l.m.) e verso nord dalla dorsale carbonatica dei Monti di Avella che, con le cime di Croce Puntone (1490 m s.l.m.), Monte Ciesco Alto (1360 m s.l.m.), Monti di Avella (1599m s.l.m.), Tuppo Tuotolo (1220 m s.l.m.) e Monte Vallatrone (1515 m s.l.m.), corrisponde anche al confine nord-orientale del territorio di pertinenza dell’Autorità di Bacino. I rilievi si impostano nella successione carbonatica meso-cenozoica di piattaforma attribuita all’Unità litostratigrafia dei Monti Picentini-Taburno (Bonardi et al., 1988) e risultano attualmente interessati da una tettonica disgiuntiva (Patacca & Scandone, 1989). I terreni più alti stratigraficamente sono costituiti da calcari grigi, biancastri o avana, affioranti in strati e banchi nella gran parte dell’area di interesse. Questi terreni corrispondono ai “Calcari e calcari dolomitici di Lauro”della legenda della carta geolitologica ed hanno età Aptiano-Santoniano. Lungo i versanti che insistono sul bacino dell’Acquaserta e del Clanio, viceversa, affiorano anche depositi carbonatici denominati “Calcari di Avella”, di età Aptiano pp.-Berriasiano pp., costituiti da calcari di colore avana chiaro, ben stratificati. Tale successione litostratigrafica prosegue, verso il basso, con un’alternanza di dolomie cristalline grigie, calcari micritici e biomicritici. 35 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Infine, lungo il versante orientale di Campo Maggiore, nel comune di Mercogliano, e lungo i versanti ricadenti nel bacino del torrente Clanio affiorano i termini più bassi della successione carbonatica costituiti da calcareniti dolomitiche di colore grigio ad elementi oolitici di ambiente da intertidale a sublittorale del Dogger-Malm. A luoghi, lungo i versanti della valle del torrente Clanio affiorano depositi di età Pleistocene medio-inferiore costituiti da conglomerati e brecce, talora stratificati, ad elementi calcarei eterometrici immersi in una matrice calcareo-marnosa, con cemento calcitico, che rappresentano antichi glacis sollevati alle attuali quote da fasi tettoniche sin o postdeposizionali. Viceversa, nella zona sub pianeggiante compresa tra il torrente Clanio ed il centro abitato di Avella, affiorano depositi alluvionali terrazzati del Pleistocene superiore e depositi di conoide costituiti da ghiaie poligeniche, a luoghi con matrice sabbioso-limosa, sabbie limose e limi argillificati, da brecce calcaree, argille e piroclastiti rimaneggiate. Sovrapposti stratigraficamente all’unità carbonatica di piattaforma, su tutto il territorio dei sottobacini in esame, poggiano con contatti discordanti terreni di età Pleistocene superioreOlocene rappresentati da depositi detritici di versante, da depositi di conca endoreica (campi carsici di Campo Maggiore, Valle del Conte e Campo di Summonte-San Giovanni) e da depositi piroclastici indifferenziati e differenziati. I primi sono distinti in depositi prevalentemente rimaneggiati (PSI1), affioranti nelle piane alluvionali e nelle zone di fondovalle, e in depositi in giacitura primaria (PSI2), stratificati o massivi, costituiti da ceneri, pomici e lapilli affioranti soprattutto in corrispondenza delle spianate sospese e/o sommitali dei versanti, come l’esteso affioramento presente sul piano carsico di Visciano. I depositi piroclastici differenziati, non cartografati sulla carta geolitologica, sono rappresentati da sequenze piroclastiche attribuibili agli eventi vulcanici dell’attività del Somma-Vesuvio, e riferibili, in particolare, alle eruzioni di Mercato (8.000 anni fa) ed Avellino (3.700 anni fa), cui si intercalano paleo-suoli ben sviluppati e maturi. Tali successioni, nel lo-ro complesso, sono cartografate in dettaglio sulla carta delle coperture nell’ambito della quale sono state individuate quattro distinte classi di spessore, oltre ad aree con calcare affiorante (ca) e zone di denudamento per frana (ADF). Nello specifico, la coltre piroclastica fa registrare spessori ricadenti prevalentemente nella classe 2-5m, nel caso dei versanti relativi al bacino dell’Acqualonga, e nella classe 0,5-2m per i versanti relativi al sottobacino dell’Acquaserta; mentre, con riferimento all’area del torrente Clanio la coltre piroclastica fa registrare spessori ricadenti prevalentemente nella classe 0,5-2m e, subordinatamente, nella classe 2-5m. Sono da segnalare anche affioramenti della formazione dell’Ignimbrite Campana rilevabili, tra l’altro, lungo l’incisione dell’Acqualonga con spessori di circa 20-30 metri. A luoghi, sovrapposti alla formazione del Tufo Grigio Campano, affiorano spessori di pochi decimetri di depositi cineritici massivi, generalmente alterati, noti localmente come “Cretone” e “Durece” (PSa). Infine, tra i depositi olocenici si ricordano quelli alluvionali recenti ed attuali, costituiti da sabbie, sabbie limose e ghiaie poligeniche affioranti nelle aree di piana del torrente Sciminaro, derivato dalla confluenza tra il torrente Acqualonga ed il torrente Acquaserta, nonché depositi di conoide costituiti da sabbie, sabbie limose e ghiaie poligeniche affioranti nelle aree di piana corrispondenti, in particolare, agli abitati di Avella, Quadrelle e Mugnano del Cardinale. 36 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA ASPETTI GEOMORFOLOGICI E STRUTTURALI DEL SOTTO-BACINO DEI TORRENTI ACQUALONGA E ACQUASERTA Le incisioni in cui si impostano i torrenti Acqualonga ed Acquaserta sono impostate lungo lineamenti tettonici orientati in direzione SW-NE prevalente ed in cui confluiscono numerose incisioni laterali, le più significative delle quali sono rappresentate dal lagno di Trulo o Cantarelli e dal Vallone S. Michele, anch’essi a controllo strutturale ed orientati N-S ed E-W. L’attuale assetto morfostrutturale dell’area è il risultato delle vicende tettoniche plioquaternarie che hanno smembrato gli originari rilievi attraverso sistemi di faglie con direzioni preferenziali NW-SE e NE-SW. Relitti delle originarie morfologie sono rappresentati da lembi di paleosuperfici rilevabili sui versanti. Oltre alle paleosuperfici sommitali, risultato delle fasi di spianamento di origine carsica che hanno agito durante le fasi di surrezione della catena, sono presenti anche importanti campi carsici come quelli di Campo Maggiore, di Valle del Conte e di Visciano. I versanti fanno registrare pendenze mediamente di 30° e la loro evoluzione geomorfologica è avvenuta secondo meccanismi di “slope replace-ment”. Le zone di raccordo pedemontane sono caratterizzate dalla presenza di una fascia di glacis di accumulo di origine alluviocolluviale prodotta da processi denudazionali che hanno coinvolto i depositi della coltre piroclastica affiorante sui massicci carbonatici. Allo sbocco dei valloni a regime torrentizio nelle aree di piana sono evidenti morfologie e depositi associabili ad eventi alluvionali (conoidi) distinti in almeno due generazioni: - conoidi di prima generazione sono quelli più antichi, attualmente non più attivi e generalmente reincisi da eventi successivi. Sono costituiti da ghiaie ad elementi calcarei a spigoli sub-arrotondati a luoghi cementate, e le loro morfologie hanno pendenze del 10-15%; - conoidi di seconda generazione sono quelli recenti, ancora oggi attivabili da eventi alluvionali e generalmente costituiti da depositi sabbiosi e sabbioso limosi, tranne che nelle zone apicali dei corpi di conoide di maggiori dimensioni (come quelli in corrispondenza dell’abitato di Quadrelle, per il Vallone Acquaserta, ed in corrispondenza di Mugnano del Cardinale, allo sbocco del Vallone S. Michele) ove si rilevano soprattutto livelli grossolani (ghiaie calcaree con blocchi di dimensioni decimetriche). Inoltre, si sottolinea che in alcuni casi, (vedi il conoide cartografato allo sbocco del vallone di Fontana di Sperone), seppur considerati attivi in senso geologico, i corpi alluvionali sono da ritenere attualmente inattivi per le mutate condizioni di alimentazione, a seguito di modificazioni antropiche del territorio. In particolare, l’apertura di aree di cava in prossimità dello sbocco in piana dei valloni che li hanno alimentati, ha comportato l’intercet-tazione delle acque defluenti lungo le aste torrentizie, che risultano così raccolte nelle cave stesse. Sulla carta geomorfologica sono state ubicate anche le frane, sia come corpi cartografabili che come eventi non cartografabili. Esse sono state classificate secondo quanto riportato dalla letteratura ufficiale (Varnes, 1978; Cruden e Varnes 1996), sia per le tipologie che per lo stato di attività. Nell’area in esame le tipologie ricorrenti sono quelle delle colate rapide di fango e delle frane complesse del tipo scorrimento-colata. In entrambi i casi sono coinvolti i depositi delle coltri piroclastiche con spessori mobilitati generalmente inferiori al metro. Inoltre, le zone di distacco fanno mediamente registrare pendenze di 32°. Gli eventi franosi si innscano generalmente lungo i versanti che insistono sulle incisioni torrentizie che dissecano i rilievi carbonatici e lungo le quali si incanalano percorrendo anche distanze elevate. Laddove 37 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA invece sono presenti scarpate sub-verticali impostate nelle rocce calcaree sono state rilevate poche decine di frane da crollo che hanno coinvolto volumi limitati di roccia. Gran parte dei fenomeni franosi da colata rapida riconosciuti sono connessi principalmente agli eventi piovosi del maggio 1998 e del dicembre 1999. Si sottolinea, inoltre, che le frane cartografate come “da segnalazione”, ad esempio quelle presenti lungo i versanti di Bosco di Arciano e quelli settentrionali di Monte Faggeto, corrispondono a “tracce di eventi franosi” segnalate da Enti e come tali riprese in questo studio di dettaglio. ASPETTI GEOMORFOLOGICI E STRUTTURALI DEL SOTTO-BACINO DEL TORRENTE CLANIO La Valle del torrente Clanio si sviluppa in una depressione profondamente incisa, a controllo strutturale, con andamento E-W. I versanti che la bordano sono costituiti da versanti di faglia, evoluti secondo il modello di “slope replacement”, reincisi trasversalmente da numerosi impluvi torrentizi, in alcuni casi anche molto incisi, con basso grado di gerarchizzazione e da testate di ventaglio poco sviluppate. Sono state osservate, inoltre, anomalie del reticolo idrografico in corrispondenza delle quali il materiale di frana potrebbe abbandonare l’alveo (punti di crisi). I versanti in roccia hanno acclività medie di 3ذ, ma anche pareti sub-verticali a controllo strutturale e/o dovute a morfoselezione sulla cui sommità, o sospesi a mezza costa, sono presenti lembi relitti di antiche superfici di erosione a debole pendenza. Di rilievo la depressione carsica aperta di Campo di Summonte-San Giovanni in corrispondenza della quale si individua anche l’area di testata del torrente Clanio. Nelle zone di raccordo tra i versanti e la sottostante piana è presente una fascia di depositi eluvio-colluviali a costituire il glacis di accumulo. In particolare, nel settore pedemontano ad ovest del gomito del torrente Clanio, corrispondente alla località Cerreto-Campopiano, come conseguenza degli intensi eventi erosionali che hanno interessato i versanti è stata individuata una estesa fascia detritico-colluviale. Essa è costituita da materiale prevalentemente ghiaioso di varia granulometria, proveniente dalla disgregazione del complesso calcareo, e da una doppia generazione di conoidi, di età tardo Pleistocene – Olocene, di origine detriticopiroclastica ed alluvionale, incastrate tra loro (Di Vito et al., 1998). Una prima generazione di conoidi è costituita da ghiaie e blocchi carbonatici immersi in matrice piroclastica rimaneggiata, incisi nella zona apicale e sormontati da una seconda generazione di conoidi, tuttora attivi. Questi sono caratterizzati dalla netta prevalenza di materiale vulcanoclastico rispetto al materiale clastico carbonatico, il quale può raggiungere anche dimensioni decimetriche. Tuttavia, il principale e più esteso conoide attivo del sottobacino in questione è quello su cui si sviluppa l’abitato di Avella, in corrispondenza della confluenza del torrente Clanio nella antistante piana alluvionale. Marginalmente alle aree di conoide, inoltre, sono stati cartografati anche “settori di glacis alluvio-colluviali interessati da diffusi fenomeni di deiezione” testimonianti la presenza di fenomeni di trasporto solido da alluvionamento di moderata intensità. Le tipologie di frana individuate per l’area in esame, innescatesi prevalentemente in occasione degli eventi piovosi del maggio 1998 e del dicembre 1999, sono rappresentate da colate rapide di fango che hanno mobilizzato, per spessori inferiori al metro, le coltri piroclastiche affioranti sui versanti carbonatici, con pendenze nelle zone di distacco mediamente di 38°. Si tratta di eventi prevalentemente incanalati che, nel tratto montano del bacino trovano recapito 38 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA nella forra del torrente, mentre ad occidente del gomito del Clanio percorrono maggiori distanze favorite dalla presenza di una ampia zona pedemontana. Altre tipologie di frana sono rappresentate da crolli di blocchi di roccia calcarea da scarpate subverticali. Oltre ai fenomeni franosi, l’area del sottobacino del Clanio è stata anche interessata in passato da alluvionamenti con elevato trasporto solido. Come l’intero territorio della valle munianense, anche la porzione settentrionale dell’abita-to di Avella e la fascia pedemontana di località Cerreto-Campopiano subirono, infatti, gravi danni a causa delle intense piogge che riattivarono tutte le incisioni torrentizie. L’analisi della documentazione disponibile ha permesso di perimetrare le aree maggiormente colpite tanto che, con riferimento all’esteso conoide su cui si sviluppa l’abitato di Avella, è stato possibile isolare, come zona ancora suscettibile ad eventi alluvionali, solo la porzione settentrionale del corpo alluvionale, che si sviluppa in prossimità dell’alveo arginato del torrente Clanio; viceversa, la restante parte, che corrisponde alla quasi totalità del centro abitato, è da ritenersi non più attualmente riattivabile a causa delle modificazioni apportate dall’urbanizzato sugli originari assetti geomorfologici, così come evidenziato dalla Carta della Pericolosità da Fenomeni di Esondazione ed Alluvionamento (vedi cartografia del “Rischio Idraulico”). IL BACINO DEL VALLO DI LAURO LE UNITÀ LITOSTRATIGRAFICHE Le unità dei substrati “antichi” che affiorano prevalentemente nell’area del bacino di Quindici sono rappresentati in gran parte da calcari cretacici, generalmente ben stratificati (definiti in legenda come calcari di Lauro e appartenenti all’unità stratigraficostrutturale dei Monti Picentini Taburno - Bonardi et al., 1988). Si presentano di colore grigio avana, sono ricchi in Rudiste, localmente hanno intercalazioni di dolomie grigie. Tutti i principali rilievi sono costituiti da questi terreni il cui spessore (in affioramento) supera gli 800 m (M. Pizzo d’Alvano). Sui calcari, solo localmente, come nei pressi di Taurano, si conservano piccoli lembi di terreni miocenici, trasgressivi sul substrato mesozoico e costituiti da arenarie, peliti e calcari marnosi. Tra i terreni quaternari quelli più antichi sono rappresentati dal Tufo Grigio Campano, localmente affiorante presso Moschiano e Taurano, e da diffusi affioramenti di cineriti compatte, spesso associate all’Ignimbrite Campana, localmente definite “Cretone” e “Durece”. Tali depositi si presentano con spessori modesti e si ritrovano prevalentemente nelle zone di raccordo tra i massicci calcarei ed il fondovalle; inoltre essi sono di frequente reincisi da corsi d’acqua che alimentano conoidi recenti. I conoidi alluvionali sono presenti di più generazioni (almeno due) e, così come i depositi detritici di versante, affiorano diffusamente nella media e alta valle del Lagno di Quindici. In tutta l’area affiorano diffusamente depositi piroclastici di cui non si è potuto definire con la necessaria continuità e precisione (soprattutto per il limitato tempo a disposizione dei rilevatori) la specifica attribuzione vulcano-stratigrafica. Pertanto, i depositi sono stati sovente indicati come “piroclastiti indifferenziate” (PSI1 e PSI2). Nel primo caso, ci si è riferiti a deposti piroclastici prevalentemente rimaneggiati in ambiente alluvionale, che colmano i fondovalle e spesso le zone di raccordo con i versanti calcarei. Il complesso contrassegnato dalla sigla 39 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA PSI2 identifica invece depositi prevalentemente in giacitura primaria che hanno colmato piccoli bacini endoreici o ricoperto antiche paleosuperfici. Estesi affioramenti di PSI2 si segnalano sui piani carsici di Vallefredda, tra Moschiano e Bracigliano, e di Visciano, dove gli spessori superano i 10-15 m. Per quanto attiene ai depositi piroclastici in appoggio sui versanti carbonatici (vedi Carta delle coperture) può dirsi che questi identificano gli ambiti morfologici potenzialmente suscettibili a frane da colata rapida di fango. La legenda prevede quattro diverse classi di spessore (< 0.5m; tra 0.5 e 2 m; tra 2 e 5 m; tra 5 e 20 m); sono inoltre distinte le aree di affioramento del substrato calcareo (CA) e quelle in cui le coperture sono state mobilizzate da eventi franosi (ADF = area di denudamento per frane). Nell’ambito delle diverse classi di spessore sono stati evidenziati in corrispondenza di locali affioramenti diversi tipi di coperture (A, B, C, D, A-B, B-C, C-D), localmente caratterizzate dalla presenza di uno o più livelli di tefr pomicei. I depositi, in giacitura primaria o, come nelle zone di fondovalle, più spesso rimaneggiati, si riferiscono prevalentemente alle eruzioni dell’apparato del Somma- Vesuvio; si tratta, in particolare, delle seguenti eruzioni: “Pomici di Base” (eruzione di Sarno) avvenuta circa 18.000 anni fa; “Pomici Verdoline”, avvenuta circa 15.000 anni fa; “Mercato” (nota anche come eruzione di Ottaviano) avvenuta circa 8.000 anni fa, “Avellino” avvenuta circa 3.700 anni fa. I prodotti più recenti sono quelli delle eruzioni di Pollena (472 d.C.) e del 1631. I depositi che più frequentemente costituiscono le successioni piroclastiche a tetto del substrato sono relativi alle eruzioni di Mercato ed Avellino, con spessori che superano il metro per la prima e alcune decine di centimetri per i depositi di Avellino. I prodotti riferibili alle altre eruzioni affiorano con minore continuità soprattutto per effetto dei processi erosionali che li hanno interessati o a causa dell’originario esiguo spessore. I vari livelli attribuibili alle singole eruzioni sono di norma separati da paleosuoli generalmente ben sviluppati e maturi che a loro volta sfumano in depositi più grossolani in cui il rimaneggiamento e la rideposi-zione è prevalente rispetto alla sola umificazione. I depositi piroclastici primari sono costituiti da pomici e litici in diverse percentuali e con granulo-metria variabile verticalmente. La redazione della carta delle coperture in appoggio ai versanti carbonatici deriva dall’interpola-zione sia dei dati osservazionali sia di quelli desunti dalle prove penetrometriche e, talora, da scavi esplorativi. ASPETTI GEOMORFOLOGICI E STRUTTURALI Il Vallo di Lauro è una valle a controllo strutturale, allineata in direzione NW-SE, successivamente colmata da depositi alluvionali e piroclastici. Essa, nel settore nordoccidentale, confluisce nella Piana di Nola, mentre nel settore orientale si restringe e si biforca costituendo il recapito finale del sottobacino di Quindici e Moschiano. La sua genesi è legata a fasi tettoniche plio-qua-ternarie che hanno attivato faglie con direzione NW-SE ed E-W. Le scarpate di faglia e le incisioni susseguenti presenti lungo i versanti sottesi al Vallo hanno dato luogo, in taluni casi, a versanti che si raccordano con antiche superfici di spianamento (paleosuperfici) sospese di alcune centinaia di metri sopra gli attuali livelli di base. Tali paleosuperfici sono il risultato di più fasi di spianamento, proba40 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA bilmente di origine carsica e fluvio-carsica, che hanno agito con livelli di base via via più bassi durante le fasi della surrezione della catena. Quelle poste ad una quota di circa 850 m s.l.m. sono meglio conservate ed arealmente più diffuse. I versanti di faglia inscritti tra le paleosuperfici hanno pendenze che si tengono per lo più al di sotto dei 30° circa. L’erosione lineare attiva lungo questi versanti si manifesta quindi per lo più sotto forma di vallecole (gullies). Gli intensi ritmi di subsidenza nell’area del graben della Piana Campana avutisi durante il Pleisto-cene inferiore hanno generato, oltre alle scarpate di faglia bordiere allineate in senso appenninico (NW-SE), una locale riattivazione di faglie E-W. Ciò ha indotto un diffuso “ringiovanimento” dei versanti emergenti dalla Piana che furono intensamente dissecati dalle acque dilavanti dando vita ad impluvi molto incisi (valloni) talora a controllo strutturale (incisioni susseguenti). Tali processi morfoevolutivi hanno interessato anche i versanti sottesi al Vallo di Lauro in seguito alle già citate variazioni del livello di base (fasi neotettoniche e/o eustatiche). Questi processi, per lo più ancora attivi, sono ancora ben evidenti grazie ai depositi (conoidi alluvionali) ed alle forme (valloni) che essi hanno prodotto. L’evoluzione morfologica dei versanti, avvenuta secondo il noto meccanismo dell’arretramento rettilineo-parallelo di Lehmann, ha prodotto versanti di faglia con pendenze di circa 35° i quali risultano peraltro incisi da aste torrentizie (valloni) su cui incombono versanti con pendenze elevate. Nell’ambito delle pareti acclivi di origine strutturale o di morfoselezione sono state evidenziate quelle nelle quali sono presenti testimonianze di crolli. Contestualmente agli eventi erosionali che hanno interessato i versanti si è generata una estesa fascia di raccordo con il fondovalle (glacis deposizionale) costituita da depositi di conoidi la cui alimentazione è stata particolarmente intensa in corrispondenza dei valloni posti in sinistra orografica del Vallo di Lauro. Difatti l’aggradazione del Vallo deriva essenzialmente da tali apporti detritici e dalla loro ridistribuzione ad opera delle acque incanalate nel Vallo oltre che dall’accumulo dei prodotti piroclastici provenienti dal distretto vulcanico del SommaVesuvio. Le conoidi identificate e cartografate sono almeno di due generazioni: c) quelle più antiche (ad esempio la conoide di San Francesco, Pietra della Valle, nel comune di Quindici, ecc), accresciute durante il Pleistocene superiore (Würm), sono attualmente inattive come testimoniato dalla loro reincisione e, occasionalmente, spianamento. Esse sono costituite da corpi stratoidi di ghiaia calcarea a spigoli sub-arrotondati e talora cementata e presentano pendenze di circa 10-15 %. I settori apicali sono reincisi dai torrenti alimentatori. In tali reincisioni si incastrano gli apici delle conoidi di seconda generazione. d) quelle di II generazione (ad esempio Vallone Co-lafasulo, Vallone della Cantarella, Vallone di Pignano, in comuni di Quindici e Lauro) presentano pendenze più modeste e sono solo localmente incise, peraltro in misura limitata. Esse possono essere attribuite all’Olocene, come testimoniato dalla presenza di depositi piroclastici rimaneggiati ascrivibili alle eruzioni di Mercato ed Avellino. Mentre i conoidi di I generazione si sono accresciuti essenzialmente per fenomeni di debrisflow e debris avalanches, nei conoidi di II generazione la osservata scarsa presenza di 41 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA componente ghiaiosa induce a ritenere che essi si siano accresciuti per fenomeni di mud flow e debris flow, come peraltro evidenziato dalle risultanze delle indagini in sito (scavi esplorativi e/o sondaggi). La gran parte dei conoidi attivi interessa settori di centri abitati (Quindici, Moschiano, Domicella, Carbonara di Nola, Lauro, Pago del Vallo). Nella carta geomorfologica sono state altresì evidenziate le aree marginali ai conoidi definite come “settori di glacis alluvio-colluviali interessati da diffusi fenomeni di deiezione” i quali possono essere considerati testimonianze di fenomeni di trasporto solido da alluvionamento di moderata intensità. Nello specifico, con il termine “glacis” si devono intendere le aree a debole acclività sede di accumulo alluvionale e/o colluviale. Per quanto attiene alle frane, la cui ubicazione è riportata sulla carta geomorfologica, esse sono state distinte per tipologia e per stato di attività. Inoltre è stata fatta distinzione tra frane cartografabili e non, e per ognuna è stato indicato un numero di riferimento che rinvia all’apposito database. E’ il caso di ribadire (cap. I) che l’utilizzazione del termine “frana quiescente” deriva dalla definizione fornita dalla comunità scientifica (cfr. Canuti & Esu, 1995) e pertanto è stata applicata a tutte le frane che non hanno dato testimonianza di movimento nell’ultimo ciclo stagionale (all’incirca corrispondente all’ultimo anno). Dunque, anche gli importanti fenomeni verificatisi negli ultimi anni (ad esempio le frane di Quindici del 1996-1997 e maggio 1998) rientrano a pieno titolo nella categoria delle frane quiescenti e come tali sono riportati in carta. Le frane da crollo censite sono poche decine ed in genere hanno interessato volumetrie limitate (un esempio per tutte è dato del costone di Petra Maula in Comune di Taurano). Le frane da colata rapida di fango hanno interessato i versanti calcarei di tutto il territorio (Domicella, Pago, Marzano, Taurano e Palma Campania) con maggiori effetti nel Maggio 1998 soprattutto a Quindici e Moschiano, comuni peraltro coinvolti da analoghi fenomeni, pur se di “magnitudo” inferiore nel corso del 1997 (gennaio e novembre). Nel Vallo di Lauro l’evento del 5 maggio, descritto in diversi lavori scientifici (Del Prete et al., 1998; Calcaterra et al., 1999, 2000a, 2000b, de Riso et al., 1999) ha interessato soprattutto i comuni di Quindici e Lauro, nell’ambito dei quali sono stati censite oltre 300 frane del tipo scorrimento – colata rapida. Le frane hanno interessato quasi sempre spessori limitati di copertura piroclastica, nell’ordine del metro o anche inferiori. Anche se caratterizzato da spessori limitati nelle zone di distacco, il materiale franato è stato comunque in grado, nel suo movimento verso valle, di esercitare profonda erosione, asportando e trascinando, oltre ad ulteriori depositi piroclastici, blocchi rocciosi di alcuni metri cubi, quali quelli visibili sul conoide di S. Francesco, nei pressi dei resti della chiesa di S. Lucia. I volumi mobilizzati nel complesso sono stati stimati in circa 1.500.000 m3. La maggior parte dei fenomeni franosi si è verificata nel bacino idrografico del Vallone della Canta-rella, sui versanti del Lagno di Quindici e nel Vallone Colafasulo. Numerose frane sono inoltre avvenute nel Vallone Cisierno e nei rami idrografici di Pietre della Valle e del Vallone della Connola. Infine, ulte-riori eventi risultano distribuiti negli altri bacini idrografici del versante settentrionale di Pizzo d’Alvano. La quota massima di distacco dei fenomeni franosi varia tra i 1050 m s.l.m. ed i 250 m s.l.m. Gran parte delle frane (oltre il 70%) ha avuto innesco nella fascia altimetrica compresa tra i 550 e gli 850 m s.l.m. Per quanto concerne l’esposizione dei versanti su cui si sono sviluppate 42 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA le frane, si nota una netta concentrazione verso i quadranti settentrionali, che complessivamente racchiudono circa il 65% degli eventi. La forma planimetrica delle zone di distacco delle frane di Quindici è prevalentemente ad andamento allungato, di tipo lineare o, nel caso si sia verificato un allargamento nei limiti della frana verso valle, tendente ad una forma triangolare più o meno svasata. Nell’ambito delle frane di Quindici, i valori di acclività delle zone di distacco sono risultati compresi tra 56° e 13°. La massima concentrazione (oltre l’80%) si è verificata in un intervallo che va dai 31° ai 43° di acclività, con punte di circa il 30% tra i 37° ed i 39°. Altra nota d’interesse è data dalla sostanziale costanza dei valori di acclività pre e post-frana nelle zone di distacco, il che conferma che la coltre piroclastica ha per lo più assunto una giacitura “ereditata” dal substrato carbonatico. Più della metà delle zone di distacco ha avuto origine nei pressi di strade e sentieri montani: il distacco è per lo più avvenuto subito a valle del sentiero, o immediatamente a monte di questo. Minore è stato invece il ruolo svolto dalla presenza di cornici litologiche di morfoselezione (banconi calcarei, orli di terrazzi morfologici). 10 SCHEMA DI CIRCOLAZIONE IDRICA SOTTERRANEA I monti di Avella, Durazzano e Pizzo d’Alvano (in gran parte ricadenti nel territorio dell’Autorità di Bacino Nord Occidentale) si inseriscono in un articolato sistema orografico esteso dalla valle Caudina, a nord, fino alla depressione morfologica che accoglie il T. Solofrana a sud (Budetta et al., 1994 e annessa bibliografia). Si tratta di rilievi a litologia prevalentemente calcarea dotati di elevata permeabilità secondaria: l’infiltrazione efficace di origine meteorica è pertanto assai significativa (dell’ordine dei 290 milioni di m3/a) anche in ragione dell’elevato modulo pluviometrico medio locale (stimato in 1447 mm/a). L’assenza di significativi impermeabili intercalari fa sì che l’infiltrazione non si frazioni in senso verticale ad alimentare molte sorgenti distribuite a quote diverse lungo i versanti, ma concorra ad alimentare, in maniera prevalente, cospicue falde di base. Il recapito principale di queste ultime è rappresentato dalle sorgenti di Cancello e di Sarno, tutte affioranti alla quota di 30 m s.l.m. ed ubicate al piede dei rilievi verso la Piana Campana s.l. (Civita et al., 1970; Figg. 2-3). Tale situazione si deve all’azio-ne di soglia di permeabilità operata, rispetto ai rilievi, proprio dai depositi piroclastici ed alluvionali della Piana; il tamponamento non è tuttavia totale in quanto nell’ambito della sequenza detritico-piroclastica esistono, a più altezze, vari orizzonti che consentono una certa filtrazione e quindi un’alimentazione, da parte dell’acquifero carbonatico, del sottosuolo della Piana. Di qui l’accertata presenza, in quest’ultima, di falde idriche che tendono a livellarsi alla stessa quota della falda dei calcari. A differenza di quanto accade in corrispondenza della Piana, verso nord (zona della valle Caudina) le falde di base sono invece più efficacemente tamponate per la presenza di una tettonica compressiva (Civita et al., 1970; Budetta et al., 1994); lo stesso accade ad ovest, dove i rilievi carbonatici e le falde in essi accolte sono a contatto laterale con depositi arenaceo-argillosi assai poco permeabili. 43 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA In corrispondenza del T. Solofrana è presente una complessa situazione idrogeologica per la quale le sorgenti S. Marina di Lavorate e S. Mauro ricevono alimentazione non solo dai rilievi ma anche dalle contermini alluvioni del torrente, (Celico, 1983, Celico et al., 1991; de Riso & Ducci, 1992). L’alimentazione del gruppo sorgivo Labso e Lauro (più alto in quota) è infine legato anche all’inghiot-titoio della conca endoreica di Forino (Celico, 1983; Santo et al., 1998). ZONA CENTRO-OCCIDENTALE (PALMA CAMPANIA E COMUNI LIMITROF I- VERSO NORD) In questo settore la falda di base non dà origine a sorgenti (che sono invece più a sud-est nella zona di Sarno), ma attiva un travaso sotterraneo verso i depositi detritico - piroclastici della Piana Campana. I dati piezometrici rilevati nei pozzi in essa distribuiti indicano, in prossimità dei rilievi, valori dell’ordine di 30 m s.l.m. (quindi coerenti con le quote delle scaturigini di Sarno e Cancello; Figg. 2-3). E’verosimile poi (non si dispone infatti di misure dirette) che all’interno dei rilievi la piezometrica non sia molto più alta (s.l.m.) in relazione all’elevata permeabilità dei materiali carbonatici che formano l’ossatura di tali rilievi. Mancano nella zona di Palma Campania sorgenti a quote superiori rispetto alla falda di base; alcune sono invece presenti immediatamente ad ovest dell’abitato di Taurano. Si tratta di più scaturigini di ridotta portata (< 2 l/s) che effluiscono, in corrispondenza di incisioni sui versanti, in una fascia altimetrica tra i 200 ed i 270 m s.l.m. La sorgente più alta è alla base del pendio carbonatico al contatto calcari-piroclastiti, le altre vengono a giorno nell'ambito dell’affioramento piroclastico (laddove questo presenta spessori tra 2 e 5 m). La loro origine è verosimilmente da ricondurre a locali variazioni di permeabilità verticale nell’ambito dei carbonati del rilievo ed all’azione di tamponamento, più o meno efficace, esercitata dalla coltre piroclastica giustapposta ai versanti. Altre scaturigini di alta quota sono segnalate nel bacino dell’Acquaserta. ZONA CENTRO-ORIENTALE (MONTEFORTE IRPINO E COMUNI LIMITROFI - VERSO NORD) Anche qui la falda di base è molto profonda rispetto alla superficie topografica: i pochi dati disponibili (M.ti Isca e Faliesi a SW di Avellino) indicano infatti che essa non è stata rinvenuta fino alle profondità investigate (corrispondenti alla quota di circa 260 m s.l.m.). Sono poche le sorgenti presenti a quote maggiori e di portata comunque ridotta; appaiono quasi sempre localizzate in corrispondenza di alvei particolarmente incisi sulle pendici carbonatiche e la loro origine può ricondursi alle cause sopra riportate. Piccole sorgenti si osservano invece, numerose, alla base dei versanti carbonatici, laddove, marcato da una netta discontinuità morfologica, si ha il passaggio da questi terreni a forti spessori di più recenti materiali piroclastici. Anche in questo caso la venuta a giorno delle acque sotterranee è dovuta alla presenza di variazioni di permeabilità (non definibili o sorrette da limiti fisici) che consentono l'individuazione di modeste falde sospese nella verticale dei versanti. Ferme restando queste caratteristiche, a seconda del locale assetto geometrico tra i diversi materiali a contatto, le sorgenti possono ricadere nella classe delle sorgenti per limite di permeabilità od in quelle per soglia. ZONA DEI MONTI DI DURAZZANO Comprendono un sistema di limitata estensione (circa 60 km2) e quota max di poco inferiore agli 800 m s.l.m. contiguo alla struttura del Taburno (situato a NE), al gruppo Avella-Partenio 44 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA (ubicato a S) e ai M.ti di Caserta (posti a W). I dati litologi-co-strutturali, idrogeologici e idrochimici salienti sono descritti come di seguito riportati, in Budetta et al. 1994: faglie inverse sul bordo nord e nord-est ove i calcari mesozoici molto carsifìcati vengono a contatto con i terreni argilloso-arenacei delle Unità Irpine; situazioni analoghe lungo il bordo settentrionale della contigua e meridionale struttura di Avella da cui il gruppo Durazzano è separato dalla vallata di Arpaia-Cancello; gruppi sorgivi di un qualche rilievo sullo «spigolo» settentrionale della struttura (sorgenti di Razza-no-Viparelli a ridosso dell'alveo del F. Isclero con portate di alcune decine di litri/s); apprezzabili incrementi di portata lungo l'alveo del F. Isclero nel settore sotteso dalle citate sorgenti; falda cospicua nel substrato calcareo profondo della piana di Cancello-Arpaia (piezometrica a quota 35 m s.l.m.) ove è presente una importante batteria di pozzi pescanti nei calcari (loc. Ponte Tavano) e dalla quale si attinge una notevole portata; presumibile discontinuità idraulica fra la struttura del Taburno alimentante le sorgenti Fizzo e il substrato calcareo più meridionale rinvenuto nel sottosuolo profondo del F. Isclero a ovest di Pa-storano (ove non è stata individuata circolazione idrica fino ad una quota inferiore a quella del fronte delle Fizzo); caratteristiche chimiche e isotopiche delle acque della batteria di Ponte Tavano che indicano circuiti idrici poco profondi e quote del bacino di alimentazione congruenti con quelle della struttura (e comunque più basse di quelle delle strutture contigue). I dati di cui sopra hanno suggerito l'esistenza di un sufficiente isolamento della struttura da quelle contigue; il bilancio eseguito sulla estensione utile di 60 km2 ha condotto alla valutazione di una disponibilità potenziale di circa 30 milioni di m3/a (circa 1m3/s). Tale risorsa verrebbe preferenzialmente drenata dalla valle meridionale (batteria di ponte Tavano) e in misura più modesta dal settore settentrionale (sorgenti Viparelli-Razzano). LA PENISOLA SORRENTINA La Penisola Sorrentina è ubicata sul fianco occidentale della catena appenninica meridionale; essa costituisce una zona di alto strutturale, orientata ENE-OSO e quindi trasversale rispetto alla catena, che separa le depressioni del golfo di Napoli-Piana Campana e del golfo di Salerno-Piana Sele. Essa è costituita per la maggior parte da successioni sedimentarie marine di età mesozoico-cenozoica con localizzate e limitate coperture quaternarie in prevalenza continentali. Il substrato delle successioni mioceniche è formato da terreni del Cretacico superiore, costituiti prevalentemente da calcilutiti chiare in tipica facies di retroscogliera. Le successioni marine mesozoiche comprendono depositi calcareo-dolomitici di piattaforma carbonatica, prevalenti nel settore orientale della penisola, oltre che successioni terrigene mioceniche prevalenti nel settore occidentale. Nel complesso, la Penisola Sorrentina è rappresentabile come una estesa monoclinale immergente verso NO, ribassata verso SE da grandi faglie dirette. 45 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Le strutture tettoniche sono costituite da faglie inverse e sovrascorrimenti che coinvolgono la successione di avanfossa di età Miocenica. In una fase successiva, si imposta una tettonica trascorrente con prevalente direzione NO. Sulla base dello studio di Milia & Torrente (1999), si descrive sinteticamente l’assetto strutturale della Penisola Sorrentina. Le principali morfostrutture, estese per una lunghezza massima di circa 15 km, corrispondono a faglie trasversali ad alto angolo con rigetti stratigrafici dell’ordine di varie centinaia di metri. Il sistema di faglie più importante è orientato N120° ed esercita un controllo fondamentale sulla morfologia del rilievo, formando una successione di horst e graben con spaziatura pari a 1–2 km. Queste faglie sono responsabili anche della formazione della depressione di Sorrento e dell’alto strutturale Monte Faito-Monte San Michele; inoltre sono responsabili del controllo strutturale dei corsi d’acqua, che si impostano lungo direttrici NE-SO. Le faglie longitudinali alla penisola condizionano fortemente lo sviluppo della costa, determinando una evidente asimmetria del rilievo, con un versante amalfitano breve e ripido ed un versante sorrentino più esteso e meno angolato. Anche in questo caso, i sistemi di faglie condizionano fortemente lo sviluppo del reticolato idrografico. I corsi d’acqua ad andamento NO-SE che sfociano nel golfo di Napoli sono più lunghi e a minore pendenza, viceversa quelli che sfociano nel golfo di Salerno sono più brevi e più ripidi. Il principale lineamento longitudinale corrisponde alla faglia Schiazzano-Colli San Pietro, che attraversa l’intera penisola dal golfo di Napoli al golfo di Salerno, dislocando anche i depositi vulcanici tardo-quaternari. Gli studi strutturali della Penisola Sorrentina hanno permesso di riconoscere cinque fasi deformative responsabili dell’edificazione della penisola stessa. Una prima fase, di età Tortoniano-Pliocene inferiore, corrisponde ad una fase complessiva che ha generato una serie di pieghe, faglie e sovrascorrimenti nord-vergenti. Le successive tre fasi hanno tutte carattere distensivo. La prima di queste fasi, meccanicamente compatibile con un raccorciamento meridiano (N-S), causa la dislocazione delle successioni sovrascorse mediante una serie di faglie dirette. La seconda fase estensionale si sviluppa lungo faglie a direzione NO-SE, determinando la formazione di una serie di horst e graben trasversali alla penisola; tra questi, è compresa anche la Piana Campana. L’ultima fase estensionale si genera lungo strutture orientate NE-SO, che dislocano le faglie dirette della precedente fase originando depressioni trasversali rispetto alla catena (tra le quali il semi-graben del golfo di Napoli). Infine, l’ultima fase deformativa riconosciuta è di tipo trascorrente ed è riconducibile all’impostarsi di una zona di taglio semplice sinistro, orientata E-O (faglia Schiazzano-Colli San Pietro). Data la presenza di faglie sinistre recenti nel golfo di Napoli, è possibile ipotizzare che questa fase deformativa si sia sviluppata fino a tempi molto recenti. 46 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Colonne stratigrafiche e posizione del piano di rottura delle zona di innesco delle frane della Penisola Sorrentina-Monti Lattari. LA PIANA CAMPANA La Piana Campana costituisce la più ampia delle pianure costiere campane e occupa il fondo di una depressione strutturale delimitata da dorsali costituite da potenti successioni carbonatiche di età mesozoica sulle quali poggiano lembi della originaria copertura di sedimenti terrigeni miocenici. Questa depressione rappresenta la prosecuzione in terra del bacino marino del golfo di Napoli. Essa è allungata in direzione appenninica per circa 70 km ed è riempita di sedimenti epiclastici e vulcanici di età quaternaria che raggiungono spessori massimi perforati di 3000 metri. Si estende su una superficie di circa 1350 km2 con quote variabili dallo zero assoluto nei settori costieri ai 40/50 m s.l.m. delle fasce pedemontane dei rilievi carbonatici che la contornano (M.te Massico a Nord, M.ti Tifatini a Nord-Est, M.ti di Durazzano e di Avella-Partenio, M.ti di Sarno a Est, M.ti Lattari a Sud). La Piana corrisponde ad una depressione tettonica impostata su un originario piastrone carbonatico i cui margini affioranti sono i rilievi che attualmente la bordano (M. Massico, M. Maggiore, i Tifatini etc.). Lungo le fratture che hanno prodotto la depressione si è avuta, nel tempo, un’intensa attività vulcanica e si sono sviluppati importanti edifici vulcanici (Roccamonfina, Somma-Vesuvio); lungo le stesse fratture sono inoltre presenti sorgenti mineralizzate con alti tenori in CO2 (Sorg. di Triflisco e di Cancello al margine NE della Piana) e si rinvengono spesso acque termali (M. Massico al margine NW). I bordi della Piana sono delimitati da linee tettoniche di importanza regionale, orientate prevalentemente NO-SE e NE-SO, che danno origine a ripidi versanti di faglia alti fino a 1500 metri. Nella parte centrale del graben, i depositi mesozoici sono ribassati a gradinate lungo faglie dirette fino a profondità di circa 5.000 m. Lungo alcuni di questi sistemi di faglia si sono innescati il vulcanismo ischitano, flegreo e vesuviano i cui prodotti costituiscono il riempimento della depressione campana insieme alle coltri di sedimenti marini ed alluvionali. 47 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA I BACINI IDROGRAFICI Nel territorio dell’Autorità del Bacino della Campania Centrale si possono distinguere i seguenti bacini idrografici: e) il bacino del fiume Sarno, comprendente i sottobacini idrografici dei torrenti Solofrana, Cavaiola. Il fiume Sarno nasce alla base del massiccio calcareo omonimo, situato tra i monti Picentini, i monti Lattari ed il gruppo del Partenio, ad una quota di m 30 s.l.m.. Il corso principale, di circa 22 km di lunghezza, raccoglie le acque di un bacino imbrifero esteso per circa 440 kmq che interessa le province di Avellino, Napoli e Salerno. La rete idrografica del fiume Sarno si completa con i suoi affluenti principali che raccolgono il contributo della parte più interna del bacino: i torrenti Solofrana e Cavaiola, confluenti nell’Alveo Comune Nocerino in corrispondenza del comune di Nocera Inferiore; l’Alveo Comune Nocerino, affluente nel fiume Sarno nel comune di S. Marzano; i rii di Sarno, dalla cui confluenza si origina il corso principale del fiume Sarno (Rio Foce, Rio Palazzo, Rio S. Marino). Il torrente Solofrana sottende un bacino imbrifero di circa 130 kmq e si origina nella conca di Solofra dalla confluenza di una serie di valloni secondari. Le sue sorgenti sono completamente esaurite; attualmente, il torrente Solofrana è quasi interamente canalizzato, alimentato dagli scarichi delle concerie di Solofra. Il torrente Cavaiola, lungo circa 8 km, nasce dalla conca di Cava dei Tirreni e descrive un piccolo bacino di circa 86,60 kmq. Ormai quasi interamente cementificato, è quasi esclusivamente alimentato da scarichi urbani ed industriali. Oltre ai corsi d’acqua principali su descritti, il Bacino del fiume Sarno è interessato dalla presenza di una serie di fossi e valloni a regime prevalentemente torrentizio, numerosissimi caratterizzati da pendenze alquanto elevate; f) il bacino dei Regi Lagni è delimitato a nord dall’argine sinistro del fiume Volturno e dai monti Tifatini, a sud dai Campi Flegrei e dal massiccio Somma-Vesuvio e ad est dalle pendici dei monti Avella, sottende una superficie di circa 1300 kmq che, dal punto di vista morfologico, può essere suddivisa in un’area montana e pedemontana, dell’estensione di circa 550 kmq, caratterizzata da pendici piuttosto acclivi (i sottobacini di maggiore interesse sono quelli del torrente Boscofangone, del Gaudo, del Quindici, del lagno di Somma, di Spirito Santo, di Avella), e da una zona di pianura, estesa circa 750 kmq, caratterizzata dalla presenza del canale dei Regi Lagni, di lunghezza di circa 55 km, che costituisce in pratica l’unico recapito delle acque meteoriche provenienti dalle campagne attraversate e dalla maggior parte dei comuni presenti nell’area; g) il lago Patria: il lago, che ha un’estensione di circa 200 ha e profondità modesta (non superiore all’incirca a 1.50 m), sottende un bacino di circa 120 kmq. Gli afflussi al lago provengono essenzialmente dallo scarico della centrale idrovora Patria, dai canali Vico Patra - Cavone Amore, dal Canale Vessa e da alcune sorgenti; h) l’Alveo Camaldoli attraversa i territori comunali di Mugnano, Calvizzano e Qualiano, indi si affaccia sulla strada provinciale Ripuaria fino al ponte di Ferro, a partire dal quale lascia il vecchio tracciato che sfociava nell’emissario del lago Patria e, seguendo la strada provinciale di S. Maria al Pantano, attraversa con alveo pensile la zona di Licola fino al mare. La superficie complessiva del bacino è 48 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA di circa 70 kmq. L’alveo dei Camaldoli è ormai ad uso promiscuo, in gravi condizioni d’inquinamento, a causa d’immissioni di acque reflue civili ed industriali e dello sversamento incontrollato di rifiuti solidi e materiali di risulta, che talvolta determinano localmente pericolose situazioni di restringimento dell’alveo; i) i Campi Flegrei; j) il bacino di Volla: La piana di Volla, situata nella zona orientale di Napoli, era originariamente interessata da una copiosa circolazione idrica superficiale in gran parte alimentata da antiche sorgenti ormai prosciugate. L’antico F. Sebeto costituiva il recapito principale di tali deflussi. Gli interventi antropici degli ultimi decenni hanno determinato un grave stato di dissesto idrogeologico, cancellando di fatto la rete idrografica superficiale che risulta, oggi, praticamente irriconoscibile per le numerose deviazioni e gli interrimenti realizzati. Il bacino (esteso circa 20 kmq) è oggi attraversato ad ovest dal canale Sbauzone e, nell’area industriale orientale, dai fossi Volla, Cozzone e Reale che, parzialmente interrati e deviati, sversano nell’area portuale di Napoli (l’ex area dei Granili), ove un tempo sfociava l’alveo del Pollena. La piana di Volla, attualmente priva di una rete idrografica superficiale efficiente per lo smaltimento delle acque meteoriche, risulta soggetta a fenomeni d’allagamento, divenuti di recente più gravosi anche a seguito del cessato emungimento e della conseguente risalita della falda freatica, in precedenza utilizzata per scopi acquedottistici; k) i torrenti Vesuviani; l) la Penisola Sorrentina e l’Isola di Capri; m) I Bacini delle Isole Ischia e Procida. CARTE GEOTEMATICHE DI BASE Le carte geotematiche di base, utilizzate per il lavoro di omogeneizzazione dei due PSAI ex AdB sarno ed ex AdB nord occidentale, sono quelle redatte per i Piani previgenti, aggiornate tra il 2009-2011, in particolare: Carta geolitologica; Carta degli spessori della copertura piroclastica; Carta geomorfologica; Carta delle frane. In Appendice si riportano gli stralci descrittivi delle predette carte, ripresi dai suddetti Piani1 1 AdB NO della Campania – Aggiornamento PSAI adottato con Del. CI. n. 384 del 29/11/2010approvato dal C.R. il 24/11/2011( B.U.R.C. n. 74 del 5/12/2011), comprensivo revisione dei tematismi relativi al rischio idraulico ed al rischio frane. AdB Sarno – Aggiornamento PSAI adottato con Del. CI. n. 4 del 28/07/2011-approvato dal C.R. il 24/11/2011( B.U.R.C. n. 74 del 5/12/2011), comprensivo revisione ed implementazione relativi ai tematismi relativi al rischio frane con particolare riferimento all’uso del suolo come difesa” ed 49 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Per quanto riguarda il bacino del Sarno , occorre precisare che le carte geotematiche di base sono quelle mutuate dal precedente aggiornamento PSAI 2009-2011 realizzate in due fasi di lavoro: n) la prima riguardante le aree del salernitano e dell’ avellinese comprese nel territorio dell’ AdB Sarno, dove, dopo il 2002 , si sono verificati nuovi eventi franosi particolarmente significativi (cfr. la frana del marzo 2005 a Nocera Inferiore); o) la seconda, avviata successivamente, per la parte di territorio ricadente nel napoletano, a meno del cono del Vesuvio. Pertanto le carte di base vengono illustrate separatamente per i due ambiti territoriali, compresi nel territorio dell’ex AdB Sarno. LA PERICOLOSITA’ DA DISSESTO DI VERSANTE: CENNI SULLE METODOLOGIE APPLICATE NEI PSAI DELLE EX ADB SARNO E NORD-OCCIDENTALE PERICOLOSITÀ GEOMORFOLOGICA Le tipologie di instabilità di versante proposte nel Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico si possono ricondurre a: Rimobilizzazione, per trasporto in massa, di depositi superficiali, in genere di natura piroclastica, presenti sui versanti di rilievi montuosi. Questi franamenti evolvono in colate fangose rapide che si incanalano negli avvallamenti dei versanti e raggiungono i fondovalle con elevata capacità distruttiva. Frane in roccia e crolli che interessano in prevalenza le aree di affioramento di formazioni carbonatiche (calcari, dolomie, calcareniti, ecc.) e tufacee nelle zone fratturate e acclivi. Si tratta di frane meno prevedibili delle precedenti in quanto caratterizzate da delicatissimi equilibri che evolvono nel tempo, sia per fattori naturali (erosione costiera, alterazione, clastesi, bioturbazioni, incendi, ecc.) che antropici. In queste aree sono possibili anche trasporti in massa di detriti grossolani che hanno una mobilità minore rispetto alle colate di fango. Frane di scivolamento lento e deformazioni gravitative di versante che interessano in genere le aree con presenza di rocce terrigene e marnose fittamente stratificate. Benché meno pericolose delle precedenti possono provocare danni ingenti alle infrastrutture. La stabilità di suoli sciolti poggianti su una superficie inclinata di consistenza litoide è funzione principalmente dell’inclinazione della superficie, dello spessore dell’accumulo e delle caratteristiche meccaniche (angolo di attrito, coesione) della massa detritica. aggiornamento limitato ad alcune aree a valle di opere di mitigazione realizzate per il rischio idraulico. 50 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Lo spessore dell’accumulo è un parametro variabile nel tempo. In primo luogo per effetto dei fenomeni vulcanici eruttivi, con le successive deposizioni di strati di materiale piroclastico che ha coperto i rilievi che circondano il Vesuvio; l’episodio più noto è ovviamente quello del 79 d. C., ma sono numerosi i fenomeni eruttivi in era moderna e contemporanea e l’Ottocento, con ben 23 eruzioni, è stato tra i periodi di più intensa attività vulcanica. In secondo luogo per effetto dell’azione erosiva delle acque e del trasporto solido, che produce un impercettibile, ma continuo spostamento di masse terrose lungo le linee di massima pendenza dei rilievi, dai displuvi verso gli avvallamenti. Le caratteristiche meccaniche del terreno di copertura sono invece variabili con la presenza dell’acqua, che in condizioni di saturazione delle porosità del suolo riduce drasticamente coesione e attriti interni. E infatti tutti i fenomeni gravitativi violenti si verificano in concomitanza di precipitazioni intense o durature. Le colate rapide di fango sono fenomeni improvvisi e alla fase di primo distacco fa seguito una evoluzione in colata rapida che spesso si incanala, con elevate velocità, nei solchi vallivi o torrentizi. La massa in movimento tende ad aumentare di volume per l'assunzione, lungo il suo percorso, di materiali erosi dal letto e/o dai bordi dell’alveo. L'accumulo dei materiali di frana assume spesso l’aspetto di un conoide e si colloca nei solchi vallivi di maggior ordine gerarchico, ovvero al bordo dei rilievi nelle aree pedemontane, con sovrapposizione dei depositi di frana ai materiali alluvionali. Per le colate attuali di maggiore dimensione può in molti casi essere distinta la posizione topografica, mediante raccordo delle zone di distacco, di flusso (canale), di recapito o di accumulo dei materiali. La scarsa resistenza all'erosione dei materiali sabbioso-limosi delle coltri piroclastiche rende, viceversa, complesso il riconoscimento sui versanti degli eventi avvenuti nel passato. Da sottolineare, a tale riguardo, che l’elevato periodo di ritorno di tali fenomeni e la generale tendenza a rimuovere dalla memoria gli eventi del passato hanno favorito la intensa urbanizzazione delle aree di conoide obliterandone, talora, le evidenze morfologiche. In assenza di tracce o di “evidenze morfologiche dirette” il riferimento morfologico della franosità pregressa può, in genere, individuarsi nei depositi di conoidi detritico-fangose riconoscibili in affioramento nel tratto terminale delle aste torrentizie lungo la valle principale o nel tratto terminale dei valloni. Da osservare, infine, che in numerosi casi la possibilità di risalire a danni o eventi che hanno interessato alcune aree è affidata unicamente alla registrazione storica dell'evento. LE CARTE DI SUSCETTIBILITÀ – PSAI EX AUTORITÀ DI BACINO NORD-OCCIDENTALE La valutazione della pericolosità di un evento calamitoso è possibile solo a seguito di accurate indagini di rilevante impegno economico, che pongano in relazione l’intensità dell’evento con la sua periodicità. In altre parole, alla pericolosità può attribuirsi un valore numerico se è nota la relazione che intercorre tra il tempo di ritorno (T) dell’evento e l’intensità del fenomeno (funzione della velocità, del volume mobilitato, dell’energia, del tirante idrico ecc.). 51 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Per quanto attiene alla componente collegata agli aspetti geologici (in generale) è da evidenziare che si è sostituito il concetto di Pericolosità P (inteso come probabilità, in senso temporale e spaziale, di accadimento dell’evento) con quello di Suscettibilità o Pericolosità Relativa (intesa come previsione solo “spaziale”, tipologica, dell’intensità ed evoluzione del fenomeno franoso: Hartlèn & Viberg, 1988). Di fatto, i tipi di frana presenti sul territorio (di elevata intensità e soggetti per vari motivi a rapida cancellazione delle forme) rende oltremodo problematica la ricostruzione della franosità storica (e, quindi, la definizione dei tempi di ritorno). Il confronto incrociato, mediante GIS, dei vari “strati” di informazione corrispondenti alle carte di base (geologica, geomorfologia, delle coperture, dell’acclività, dell’uso del suolo) ha comportato la produzione di alcune centinaia di elaborati in scala 1:5.000, che a loro volta hanno condotto alla redazione di Carte di Suscettibilità all’innesco ed all’invasione da frana riferite ai contesti geologici rappresentativi del territorio (dorsali carbonatiche; area flegrea continentale ed insulare, area vesuviana). L’iter metodologico seguito viene sintetizzato nei paragrafi che seguono. 11 SUSCETTIBILITÀ ALL’INNESCO DEI FENOMENI FRANOSI Per la realizzazione della carta della suscettibilità all’innesco di frane da scorrimento-colata rapida nel territorio dell’Autorità si è partiti dall’esperienza condotta dal Servizio Geologico Nazionale all’indomani dell’evento del 5 maggio 1998 in Campania (Amanti et al., 1998) modificato in funzione dei diversi contesti geologici e geomorfologici considerati. Per quanto concerne la suscettibilità per frane in roccia (crolli e/o ribaltamenti), in considerazione dell’estensione dei fronti potenzialmente instabili e della difficoltà di procedere, come da metodologie consolidate, ad analisi strutturali puntuali, si è dato un peso prevalente all’assetto geostrutturale “in grande”, evidenziando le forme più significative (scarpate di origine erosionale e/o tettonica, falesie, fronti di cava) ed in particolare le balze rocciose ad elevata acclività, peraltro oggetto di rilevamenti singolari. Il metodo relativo agli scorrimenti-colate nei depositi piroclastici si basa sul calcolo della frequenza degli eventi franosi noti riguardo ad alcuni fattori territoriali che possono svolgere un ruolo di “controllo” nell’innesco di tali fenomeni. Nella formulazione proposta da Amanti et al. (1998), i parametri ritenuti significativi sono i seguenti: 1 T D I S L B , con: 52 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA I = suscettibilità all’innesco S = acclività dei versanti, T = spessore della coltre piroclastica D = distanza dalla linea di scorrimento delle acque superficiali L = uso del suolo B = ordine di bacino Le grandezze S, T e D sono frequenze percentuali e probabilità, mentre L e B sono state utilizzate come fattori peggiorativi (e quindi con valore uguale o superiore all’unità). Partendo dalla suddetta formulazione, si è proceduto alla verifica dell’effettiva incidenza dei parametri considerati da Amanti et al. (1998) come potenziali fattori predisponesti all’innesco di frane da scorrimento-colata, attraverso l’analisi statistica dei dati inizialmente disponibili per alcune aree particolarmente significative (dorsale di Avella e territorio di Quindici - Lauro per l’area dei massicci carbonatici; collina dei Camaldoli e versante settentrionale di Monte Epomeo per il distretto vulcanico flegreo). Sulla scorta di tali test, si è in un primo momento pervenuti alla seguente espressione: 1 T D I S LR , con: S = acclività dei versanti T = spessore della coltre piroclastica D = distanza da sentieri e strade montane L = uso del suolo R = distanza dagli orli di scarpate Per tali dati, che si riferiscono unicamente alle aree di coronamento delle colate, sono stati calcolati i dati statistici elementari (valore minimo, massimo, medio; deviazione standard), necessari alle successive elaborazioni. Per ciascun parametro si è altresì allestita la relativa carta tematica, da incrociare con quella recante l’ubicazione delle aree di coronamento delle frane. La carta delle pendenze e la carta di ubicazione delle scarpate sono state ricavate da un Modello Digitale del Terreno (DTM), con struttura matriciale con passo di 20 m. Nelle zone in 53 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA cui per motivi connessi alla risoluzione del DTM non si riuscivano ad estrarre in modo automatico le rotture di pendenza è stato necessario ricavarle da un’analisi geomorfologia, riportarle sulla cartografia di base e successivamente digitalizzarle. La carta-inventario delle aree di coronamento di frana e la carta delle pendenze sono state utilizzate per definire la pendenza nelle zone di distacco delle frane attraverso un’operazione di Map Algebra. Definita per ciascun coronamento la relativa pendenza, è stato elaborato un grafico che evidenziasse la loro distribuzione di frequenza. Questa, in analogia con quanto già rilevato in diversi contributi scientifici (tra cui quello già citato di Amanti et al., 1998), ben si approssima ad una distribuzione di tipo gaussiano. E’ stato pertanto possibile valutare l’incidenza del fattore pendenza sul potenziale innesco delle frane da scorrimento-colata attraverso la funzione di densità di probabilità 1 x 1 S e 2 2 2/2 . Avendo verificato che, almeno da un punto di vista statistico, la posizione delle scarpate non determinava sensibili modifiche nella zonazione delle aree suscettibili a franare, in quanto i dati di riferimento, essenzialmente di tipo geomorfologico, incidono in modo pressoché uniforme negli areali considerati, si è ritenuto di non includere tale fattore nella formulazione definitiva, che è risultata quindi così composta: 1 T D I S L Nelle aree vulcaniche l’espressione sopra indicata è stata modificata in relazione al diverso ruolo esercitato dai fattori T, D ed L A chiusura dell’iter come sopra descritto, si è operata la suddivisione della suscettibilità all’innesco (I) in tre classi, rispettivamente definite molto elevata, elevata e medio-moderata, prendendo in considerazione particolari valori di S, T, L. Per quanto riguarda il fattore S, sono stati assunti i valori corrispondenti a ± 3 (tra suscettibilità bassa e media) e ± (tra suscettibilità media ed elevata), con = valore medio e = deviazione standard; per il parametro T stato invece considerato il valore minimo, mentre per il parametro L è stato assunto il valore massimo. L’influenza della sismicità è stata valutata preliminarmente adottando un metodo suggerito dalla Comunità scientifica (curve di Keefer). I risultati ottenuti, che peraltro evidenziano 54 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA soprattutto l’incidenza degli eventi sismici sulle frane da crollo in roccia (non esiste infatti una casistica relativa alle frane per colata rapida), non forniscono un sostanziale contributo aggiuntivo alle indicazioni fornite dalla Legge sismica nazionale. Nel caso del territorio dell’Autorità la gran parte dei Comuni ricade nella 2a categoria sismica. Pertanto, la sismicità non costituisce un fattore discriminante ai fini della definizione del grado di suscettibilità. Dunque non se n’è tenuto conto. 12 SUSCETTIBILITÀ ALL’INVASIONE DEI FENOMENI FRANOSI La suscettibilità all’invasione per frane come quelle tipiche del territorio dell’AdB può ragionevolmente identificarsi nei due aspetti elementari della previsione della distanza di propagazione e dell’espansione areale del fenomeno franoso (Hartlèn & Viberg, 1988), essendo l’eventuale tendenza retrogressiva in qualche modo contemplata nell’analisi della suscettibilità all’innesco. In particolare, la previsione della distanza di propagazione è di fondamentale importanza per frane di crollo o di colate detritico-fangose, le quali possono, come noto, coprire grandi distanze. Le colate rapide del maggio ’98 anche in questo senso rappresentano un riferimento imprescindibile, essendosi raggiunte in quell’occasione distanze massime nell’ordine dei 3.500-4.000 m dal coronamento di alcune frane. Sia per i crolli che per le colate rapide esistono diversi metodi analitici adatti alla “simulazione” dei possibili percorsi dei corpi di frana. Nel caso dei crolli, la procedura più comunemente seguita è quella, di norma basata sull’osservazione della posizione di blocchi già franati, dell’analisi cinematica o dinamica delle possibili traiettorie dei blocchi, in funzione della loro forma e dimensione e delle caratteristiche morfologiche del pendio. Nel caso delle colate rapide un metodo già applicato in diversi contesti è quello delle linee di energia (noto anche come modello a slitta), originariamente proposto da Heim (1932) e successivamente ripreso da altri autori, ed in particolare da Sassa (1988). Tale metodo, basato sull’assunzione che tutta l’energia persa nel movimento è dissipata per attrito, richiede la stima dell’angolo di attrito apparente (funzione dell’angolo d’attrito dinamico del materiale) e delle pressioni neutre durante il moto. Altrettanto complessa è la previsione dell’espansione areale di un fenomeno franoso, importante nel caso di colate viscose di terra o di fenomeni di liquefazione (Canuti & Casagli, 1996). Tale previsione dipende infatti da un elevato numero di fattori (morfologia del versante, granulometria e contenuto d’acqua del materiale, parametri di resistenza al taglio, pressioni interstiziali, ecc.). Esistono al riguardo approcci analitici propri dell’ingegneria sia geotecnica 55 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA (Sassa, 1988) che idraulica (Takahashi, 1991), ed in entrambi i casi è indispensabile la conoscenza di parametri specifici dei materiali suscettibili di franare. La pericolosità di frane a cinematica rapida come crolli e colate detritico-fangose può essere stimata, in assenza di specifici ed affidabili dati geotecnici ed idraulici, su base geomorfologica, mediante la determinazione di alcuni parametri morfometrici elementari. Questo approccio fu per la prima volta introdotto nel 1932 da Heim che, analizzando alcune frane catastrofiche avvenute nell’Arco Alpino (stürzstroms o rock avalanches), definì il cosiddetto fahrböschung o angle of reach (traducibile come “angolo di portata o distanza”), ovvero l’angolo formato (rispetto all’orizzontale) dalla congiungente il punto posto a quota più alta della zona di distacco con il punto estremo raggiunto dalla massa franata. In seguito (Shrieve, 1968, Scheidegger, 1975) questo angolo è stato definito anche “coefficiente equivalente di attrito”. Nel corso degli anni, attraverso un numero ingente di studi, l’angolo di distanza è stato utilizzato per stimare la mobilità di numerosi tipi di frana (scorrimenti, colate di detrito e di terra, crolli, rock avalanches), inizialmente di volume imponente (milioni o decine di milioni di m3), in seguito anche di più modesta dimensione. Il volume mobilizzato è il parametro morfometrico più di frequente utilizzato in relazione con l’angolo di distanza, essendosi constatata, su un’ampia casistica, l’esistenza di una relazione di proporzionalità inversa (l’angolo diminuisce al crescere del volume). La relazione tra massima altezza verticale di caduta ed angolo di distanza è stato invece oggetto di studi controversi (es.: Skermer, 1985; Corominas, 1996). Le varie relazioni sperimentali sono state testate su un’ampia serie di contesti geologici e geomorfologici (Alpi, Pirenei, Montagne Rocciose, Cordigliera andina, estremo Oriente, ecc.), costituendo in molti casi un primo criterio di valutazione del potenziale d’invasione e quindi di pericolosità di frane rapide. Alcuni autori, tuttavia, suggeriscono di utilizzare un parametro differente, derivato dall’angolo di distanza: l’eccesso di distanza percorsa (Hsü, 1975) o l’eccesso relativo di distanza percorsa (Corominas, 1996). In entrambi i casi, si tratta di una stima dell’anomala mobilità di frane veloci, in relazione ad un dato standard, costituito, nei due casi, dal prodotto dell’altezza massima di caduta (H) per tan32°, dove quest’ultimo valore rappresenta l’angolo d’attrito “normale” per molti tipi di materiali. L’adozione di questo approccio non può però prescindere dall’evidenziare alcuni limiti, ad esempio insiti nel valutare il ruolo di ostacoli e deviazioni sulla mobilità delle frane (soprattutto le colate). E’ altresì il caso di ricordare gli altri fattori che condizionano la stessa mobilità, ovvero l’altezza della caduta, la regolarità del percorso, la dimensione della massa in movimento. 56 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Per quanto attiene specificamente l’iter seguito per il territorio dell’Autorità di Bacino, la procedura di elaborazione adottata parte dalla Carta di suscettibilità all’innesco, già trattata nel paragrafo precedente. Tale Carta viene utilizzata, in questa fase, per il tracciamento di sezioni topografiche, passanti per i principali valloni dei vari contesti, nonché per un numero significativo di versanti “planari”, ovvero privi di incisioni torrentizie di un certo rilievo, e per lo più coincidenti con le “faccette triangolari” della Carta geomorfologica. Contestualmente, si è proceduto alla determinazione dell’angolo di portata specifico per i vari contesti geologico-geomorfologici. In tal senso, si è operato tenendo conto della letteratura più recente disponibile sull’argomento, sui territori d’interesse, tra cui, in particolare Calcaterra et al. (1999), de Riso et al. (1999), Di Crescenzo & Santo (1999). La valutazione del suddetto angolo è stata condotta considerando esclusivamente i valori di H ed L, non potendo disporre dei valori di volumi mobilizzati per l’intera area di studio, scegliendo i più idonei valori rispettivamente per frane generate a monte di impluvi e/o valloni (e quindi passibili di incanalamento) e per frane lungo versanti planari. Tali valori sono stati utilizzati, in prima approssimazione, a partire dal punto di “Suscettibilità molto elevata all’innesco”, posto a quota più alta lungo le prescelte sezioni di calcolo. In presenza di settori di versante posti a monte del suddetto punto e classificati a “Suscettibilità elevata o media-moderata”, il primo calcolo è stato reiterato, al fine di determinare le corrispondenti aree di possibile invasione. In caso di pronunciate anomalie morfologiche lungo la sezione (concavo-convessità, tratti di versante planari che si raccordano ad incisioni, ecc.), i calcoli sono stati ulteriormente replicati. 57 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Al termine di tale fase, si sono quindi uniti i punti di massima invasione, corrispondenti ai diversi livelli di suscettibilità, ottenendo quindi degli areali “preliminari”. Questi ultimi sono stati successivamente controllati con una serie di dati, derivati dalla Carta geomorfologica, quali frane (e loro effettiva “impronta”), conoidi, glacis d’accumulo pedemontani, elementi antropici significativi (cave, vasche, rilevati), ecc. L’iniziale delimitazione è stata quindi ridefinita in modo da pervenire alla versione definitiva della Carta di suscettibilità all’invasione per frane da scorrimento-colata rapida. L’esplicitazione dell’intero iter metodologico seguito per la redazione della carta di pericolosità relativa (suscettibilità) da frana (innesco-transito-invasione) è visualizzata nelle tre figure seguenti (la distribuzione dei valori di acclività delle aree di distacco si riferisce al Vallo di Lauro). 58 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Per quanto attiene alle frane da crollo in rocce lapidee, la definizione del limite di massima invasione è affetto da margini di approssimazione connessi alla complessità oggettiva del tema, ma anche alla vastità dei fronti lapidei considerati. L’elemento di riferimento, di tipo areale, è mutuato essenzialmente dal rilevamento gemorfologico e riguarda in particolare la presenza o meno di blocchi franati, nei tratti a valle delle balze rocciose considerate (vedi zona di Taurano; collina dei Camaldoli e Monte Barbaro; versanti dell’Epomeo). In un’area singolare, rappresentativa del contesto carbonatico, il dato geomorfologico è stato confrontato con le risultanze di analisi di dettaglio relativa sia all’assetto strutturale del fronte, sia alle traiettorie percorse da un blocco di riferimento. Le risultanze dei dati acquisiti, con i limiti di approssimazione sopra riportati, sembrano indicare (tenuto conto delle dimensioni prevalenti dei blocchi e della lunghezza dei percorsi) che il limite massimo ricade, in un buon numero di casi, all’interno o al piede delle aree di versante. In tali casi, esso viene a coincidere, nelle condizioni più sfavorevoli, con la zona apicale delle aree a suscettibilità molto elevata all’invasione per frane da colata rapida. 59 di 96 PSAI AdB Campania Centrale 13 RELAZIONE GEOLOGICA LA CARTA DELLA PERICOLOSITÀ RELATIVA (SUSCETTIBILITÀ) DA FRANA NEI DIVERSI CONTESTI GEOLOGICI LE DORSALI CARBONATICHE MONTI DEL CASERTANO – VALLE SUESSOLA Per la definizione delle aree di invasione, i valori degli angoli di estensione adottati sono stati pari a 18°, per le frane incanalate, ed a 28° per le frane su versanti planari. Solo per il versante settentrionale della collina di San Felice a Cancello, conformemente a quanto già messo in atto nella precedente edizione del PAI, è stato adottato un valore pari a 21° per le frane su versante planare, in considerazione del particolare contesto geologico-geomorfologico e delle evidenze connesse a precedenti fenomeni franosi. L’utilizzo di un elevato numero di sezioni per l’applicazione dell’angle of reach ha permesso di ridefinire l’inviluppo dell’area di massima invasione. Grazie anche ad un congruo numero di sopralluoghi nelle aree pedemontane, l’aggiornamento ha comportato una riduzione delle aree di massima invasione soprattutto al piede del versante del Monte Tairano, nel Comune di Arpaia, e sulla collina del Castellotto nella frazione di Talanico a San Felice a Cancello. VALLO DI LAURO Al fine dell’individuazione delle aree di invasione, è stato incrementato in misura significativa il numero di sezioni lungo le quali è stato applicato il metodo dell’angle of reach. Ciò ha consentito di ottenere un inviluppo aggiornato delle aree di massima invasione, risultato al quale si è pervenuti adottando il valore di 28° per le frane su versanti planari, mentre per le frane incanalate si sono utilizzati il valore di 13°, per i versanti che insistono sul margine meridionale del Vallo di Lauro, e di 18° per quelli che insistono sul margine settentrionale. BAIANESE Per la determinazione delle aree di invasione sono stati confermati ed applicati, sulla base dei dati riferiti a frane storiche disponibili per l’area Baianese, gli stessi valori dell’angolo di estensione, e precisamente 18° per frane incanalate e 28° per frane attivabili lungo versanti planari. IL DISTRETTO VULCANICO DEI CAMPI FLEGREI: IL SETTORE CONTINENTALE Per la definizione delle aree di invasione, secondo il metodo dell’angle of reach, è stato adottato un unico valore, pari a 38°, valido sia per le frane incanalate che per quelle attivabili lungo versanti planari. Tale valore è diverso da quello utilizzato nella edizione del PAI 2002 (pari a 30°), in conseguenza della nuova Carta delle acclività e dell’introduzione dei nuovi fenomeni franosi occorsi a partire dal 2002. L’analisi statistica da cui è stato derivato il valore utilizzato è stata effettuata, infatti, su un numero molto più consistente di frane da scorrimento e scorrimento-colata (circa 500) distribuite, peraltro, su tutto il contesto geologicogeomorfologico dei Campi Flegrei. Al pari di quanto svolto per gli altri contesti, anche per i Campi Flegrei, ai fini della definizione dei punti di massima invasione, ci si è avvalsi di un elevato numero di sezioni di calcolo. La linea di inviluppo che ne è scaturita risulta più articolata e precisa oltre che più rispondente alla complessità geomorfologica del territorio flegreo. 60 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Anche per questo elaborato la fascia costiera è stata zonata facendo riferimento al lavoro nel frattempo già svolto in sede di Piano per la Difesa delle Coste. La metodologia adottata è strettamente correlata al diverso approccio utilizzato per realizzare, in tale ambito, la Carta della suscettibilità all’innesco. In particolare, l’area di possibile invasione è stata individuata mediante un approccio geomorfologico basato su osservazioni dirette di campo e su analisi di aerofotografie e di ortofoto di dettaglio. Al riguardo è da sottolineare che il potenziale di massima invasione da frana di norma supera la linea di costa, ricadendo in mare; ciò in virtù della limitata presenza di spiagge, peraltro di modesta ampiezza, al piede delle falesie. Queste ultime, inoltre, si presentano con altezze notevoli a tergo e dotate di caratteristiche litotecniche molto disomogenee. Si riscontrano infatti passaggi stratigrafici, spesso complessi ed alternati, di rocce da semicoerenti a sciolte. Tutto ciò rende suscettibili a frane anche e soprattutto quei settori posti in prossimità del ciglio superiore delle falesie, con l’aggravante di rendere più elevata la propensione all’invasione degli arenili. L’eventuale attivazione di frane in prossimità del ciglio delle falesie, inoltre, comporta una tendenza retrogressiva, esaltata dalla modesta resistenza che i depositi vulcanoclastici oppongono all’erosione. IL DISTRETTO VULCANICO DEI CAMPI FLEGREI: LE ISOLE DI ISCHIA E PROCIDA ISCHIA Al fine di ottenere un inviluppo aggiornato delle aree di massima invasione, anche per il territorio dell’isola d’Ischia sono state costruite numerosissime sezioni alle quali è stato applicato il metodo dell’angle of reach. Sulla base delle nuove informazioni disponibili è stata fatta una verifica del valore dell’angolo da applicare. In tal senso, hanno avuto un ruolo fondamentale i dati relativi alle citate frane di Monte di Vezzi del 2006 (23°; 23°; 24°; 26°), valori più bassi dei pochi precedentemente disponibili ad Ischia per frane della stessa tipologia (scorrimento-colata). Gli eventi di Monte di Vezzi rappresentano certamente una casistica ridotta rispetto alle oltre 200 frane note per l’isola d’Ischia, ma un’attenta analisi dell'assetto geologico-stratigrafico dell'Isola d'Ischia mostra una profonda differenza tra la porzione del settore orientale nota come Graben di Ischia ed il restante territorio isolano. Infatti, il versante settentrionale di Monte di Vezzi è caratterizzato da un substrato litoide (lave) ricoperto da depositi piroclastici sciolti. Tale assetto litostratigrafico si ritrova in numerose altre località all'interno del Graben di Ischia. Pertanto, sulla base di tale diffusa peculiarità litostratigrafica e dell'evento di Monte di Vezzi, si è ritenuto opportuno utilizzare un angolo di estensione pari a 25° per il Graben di Ischia, mantenendo invece inalterato il valore (32°) da utilizzare per il restante territorio isolano, congruente sia con i dati del PAI 2002, sia con gli eventi successivi, cartografati per la redazione del presente aggiornamento. PROCIDA La particolare conformazione dell’isola di Procida, che è sintetizzabile come un’ampia spianata sommitale bordata da ripide falesie in genere di modesta altezza (poche decine di metri), rende poco significativa l’elaborazione di Carte della suscettibilità mediante metodi standardizzati con l’ausilio di supporti informatici. 61 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Gli studi ed i rilievi svolti hanno evidenziato che le problematiche legate a fenomeni franosi per le isole di Procida e di Vivara sono confinate esclusivamente al perimetro costiero, salvo un piccolo e limitato settore a monte della strada litoranea in località Centane. Per tali motivazioni, la redazione della Carta della suscettibilità all’Innesco si è basata su una metodologia tesa all’individuazione delle caratteristiche geolitologiche e di tutti i fattori geomorfologici predisponenti all’innesco di frane. Sulla base dei numerosi dati di campagna (rilievi eseguiti su base cartografica in scala 1:2000 del Comune di Procida, messa a disposizione dall’AdB), sono stati individuati alcuni fattori, a loro volta utilizzati per la redazione della Carta della suscettibilità all’innesco: litologia, acclività, frane, stato di attività delle falesie, fenomeni erosivi e presenza di cavità al piede delle falesie, presenza di opere di sistemazione antropiche. In particolare, per quanto riguarda la litologia si è fatta distinzione tra versanti costituiti in prevalenza da formazioni litoidi (es.: depositi tufacei) e da terreni da sciolti ad addensati (es.: piroclastiti incoerenti). Per quanto riguarda l’acclività, si è individuato un valore discriminante rispetto all’innesco dei fenomeni franosi. Si è deciso di adottare un valore di 40°, in quanto la maggior parte delle frane rilevate si sono innescate da settori con acclività maggiore di 40°. Questo dato è stato determinato sovrapponendo la Carta-inventario dei fenomeni franosi alla Carta delle acclività, quest’ultima appositamente redatta in ambiente GIS. Le classi di suscettibilità sono state definite tenendo conto della presenza/assenza di frane sui versanti, della velocità/intensità delle frane, della litologia del versante e, più in generale, delle indicazioni sui processi geomorfologici attivi. L’esame congiunto della franosità storica ed attuale ha permesso di individuare tutti i settori che presentano problematiche connesse all’innesco di frane. Successivamente sono stati riconosciuti quei settori che, pur non caratterizzati da fenomeni in atto o pregressi, presentavano caratteristiche litologiche e geomorfologiche confrontabili con quelli interessati da frane. L’analisi geomorfologica dell’isola ha evidenziato che lunghi tratti dei cigli delle falesie mostrano segni di arretramento per fenomeni gravitativi, il che, a sua volta, potrebbe rappresentare una seria minaccia per infrastrutture ed insediamenti ubicati in prossimità dei cigli stessi. La suddetta circostanza ha reso necessario approfondimenti tesi alla valutazione del potenziale arretramento dei cigli delle falesie impostate nei diversi litotipi (depositi vulcanoclastici da semilitoidi a litoidi e da sciolti ad addensati). L’analisi di numerose frane che hanno interessato sia depositi tufacei che piroclastiti sciolte, nonché l’osservazione di foto aeree storiche, ha permesso di riconoscere, in molti casi, arretramenti recenti legati all’innesco di frane dell’ordine di 5-6 m per i tufi ed anche di 10 m nel caso di piroclastiti sciolte. Sulla base di tali evidenze ed adottando un criterio doverosamente cautelativo, si è ritenuto di inglobare nelle aree suscettibili a franare un buffer di 10 m a monte del ciglio di falesie in rocce lapidee e di 20 m nel caso di falesie in rocce sciolte, per le quali gli arretramenti devono ritenersi caratterizzati da velocità maggiori. Pertanto, come si evince dalla Carta della suscettibilità da frana, sono state cartografate come aree suscettibili all’innesco anche quelle poste a ridosso del ciglio delle falesie o di versanti molto acclivi (acclività maggiore di 40°). 62 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Questa procedura ha portato all’individuazione di tre classi di suscettibilità, delle quali la classe “a suscettibilità alta all’innesco di frana” comprende i settori territoriali che presentano fattori morfodinamici attivi quali: frane, fenomeni di arretramento del ciglio ed aree soggette a scalzamento al piede ad opera del mare. Sono stati cartografati in questa classe, inoltre, tutti gli ambiti geomorfologici che presentano acclività maggiore di 40° in rocce sia tenere che lapidee. In questi ambiti, infatti, è stata accertata la presenza di numerose frane, storiche e recenti, dotate di elevata velocità/intensità, costituite per lo più da crolli e scorrimenti-colate rapide. Le “aree a suscettibilità media all’innesco di frana” comprendono tutti i settori di falesia con acclività minore di 40° sia in materiali litoidi che sciolti, per i quali si sono rilevati i segni e gli indizi di dissesti potenziali riconducibili per lo più a frane da scorrimento e/o scorrimentocolata, non necessariamente veloci e, per tale motivo, dotate di minore intensità. La classe “a suscettibilità bassa all’innesco di frana” comprende quei settori ad acclività contenuta (15°-25°) che si rinvengono a monte del ciglio delle falesie con acclività maggiore di 40°, sia in materiali prevalentemente litoidi che in materiali sciolti o addensati. Bisogna infine precisare che, constatata l’ottima corrispondenza tra la base cartografica in scala 1:2000 e la situazione reale rilevata in campagna, allo scopo di non perdere la qualità ed il dettaglio dei rilievi eseguiti, le elaborazioni in ambiente GIS (Carta delle Acclività, overlay cartografici, Carta della suscettibilità all’innesco da frana) sono state realizzate utilizzando la suddetta Carta in scala 1:2000, del Comune di Procida, adattando il risultato finale alla CTR in scala 1:5000. IL COMPLESSO VULCANICO DEL SOMMA VESUVIO Per la definizione delle aree di invasione, secondo il metodo dell’angle of reach, il valore adottato è stato quello relativo alle frane incanalate, pari a 18°. L’utilizzo delle nuove sezioni per l’applicazione dell’angle of reach ha permesso di ottenere un inviluppo aggiornato per la definizione dell’area di massima invasione. Al termine di tale fase, l’inviluppo ottenuto è stato incrociato con una serie di informazioni quali frane e loro effettiva impronta, elementi antropici significativi (cave, vasche, rilevati stradali, ecc.), il che ha consentito, a sua volta, di ridefinire al meglio i limiti delle aree di invasione e di pervenire alla stesura finale della Carta della pericolosità relativa. Per effetto della riduzione della suscettibilità all’innesco, anche nell’elaborato conclusivo si è potuto notare un decremento degli areali classificati con pericolosità elevata. Tali areali sono per lo più concentrati nelle aree di displuvio tra le principali incisioni. LE CARTE DI SUSCETTIBILITÀ ALL’INNESCO – PSAI EX AUTORITÀ DI BACINO DEL SARNO Nel PSAI della ex Autorità di Bacino del Sarno sono state applicate due diverse metodologie di analisi per la determinazione della pericolosità (o suscettibilità) da frana, rispettivamente per i territori ricadenti in provincia di Napoli e per i territori ricadenti in provincia di Salerno e Avellino, in quanto i rispettivi studi sono stati sviluppati da due diverse strutture universitarie (portatrici di diverse scuole di pensiero nell’analisi dei fenomeni di colata rapida), entrambe operanti nell’ambito dello stesso soggetto (il CUGRI) affidatario dell’incarico di consulenza scientifica per la redazione del PSAI. 63 di 96 PSAI AdB Campania Centrale 14 RELAZIONE GEOLOGICA SUSCETTIBILITÀ ALL’INNESCO DEI FENOMENI FRANOSI La metodologia per la determinazione della suscettibilità all’innesco, nella porzione di territorio dell’Autorità ricadente in provincia di Napoli, è analoga a quella applicata per la ex AdB Nord Occidentale, ovvero derivata dall’incrocio in ambiente GIS delle stesse carte tematiche, con alcune modifiche alla relazione matematica che definisce l’indice di suscettibilità, apportate alla luce di una quantità maggiore di dati inerenti un territorio che comprende buona parte dei massicci carbonatici campani. La scelta dei fattori utili è scaturita dall’analisi geomorfologica di dettaglio compiuta su 172 fenomeni franosi avvenuti nell’ultimo decennio in Campania e per i quali si sono potuti misurare con buon precisione i parametri morfometrici più significativi (Di Crescenzo & Santo, 2005). Ai fini dell’analisi della predisposizione all’innesco di frane di colata rapida Sono stati considerati i seguenti parametri: p) S = acclività del versante q) T = spessore delle coperture piroclastiche r) C = sentieri e/o strade ubicati nei settori medio-alti dei versanti s) Sp = sorgenti o aree con sorgenti per lo più di orgine carsica t) Lme = impronte di antiche frane riconosciute anche da fotografie aeree u) Rc = cornici morfologiche in roccia v) L = impronte di frane censite L’acclività e lo spessore della coltre piroclastica sono stati calcolati mediante i metodi statistici di frequenza, così come buona parte degli altri parametri considerati come fattori peggiorativi per la stabilità. In particolare per quanto riguarda la pendenza si sottolinea l’appartenenza della maggior parte delle nicchie di distacco a classi di acclività comprese tra 35° e 45° . L’influenza delle cornici litologiche e dei sentieri è evidenziata da diversi Autori (Calcaterra et al, 1997; Brancaccio et al, 1999; Celico & Guadagno, 1998; Di Crescenzo & Santo, 1999; Guadagno et al, 2000; Ayalew L. & Yamagishi H., 2005). In particolare Di Crescenzo & Santo (2005 evidenziano che più di un centinaio di frane, sull’intero campione censito, si manifestano ad una distanza dai sentieri e dalle balze inferiore a 10 m. Un altro fattore molto importante è la presenza sul versante di antiche frane o tracce di frane. Infatti è noto che in alcune aree (M. Pendolo a Gragnano, Collina di S. Pantaleone, Tramonti, Vico Equense etc.) si assiste ad una ciclicità degli eventi franosi con periodi di ritorno in alcuni casi di pochi decenni (Migale & Milone, 1998; Del Prete & Mele, 1999; de Riso et al, 2004; Cascini et al., 2000). Per quanto riguarda le sorgenti è il caso di ricordare che durante i periodi di intense precipitazioni, si sono attivate sorgenti carsiche di alta quota impostate nei settori più fratturati dei calcari (Celico & Guadagno, 1998). Esse possono indurre travasi nella coltre piroclastica con effetti sfavorevoli sulla stabilità della coltre a causa dei forti gradienti in gioco e dei contrasti di permeabilità degli orizzonti eruttivi. La suscettibilità all’innesco (I) delle colate rapide di fango viene calcolata con una funzione che mette in relazione i fattori descritti precedentemente, tramite un Gis (Di Crescenzo et al., 2008): 64 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA I = S (2T + 1) (C+Sp+Lme+Rc+L+1) L’espressione, rispetto a quelle proposte da altri Autori (Amanti et al, 1998; Calcaterra et al, 2003), presenta alcune differenze che possono così essere sintetizzate: i fattori utilizzati sono stati incrementati con l’inserimento di altri ritenuti più significativi quali ad esempio la presenza di tagli antropici (sentieri e strade) e naturali (cornici litoidi), sorgenti e presenza di frane pregresse; la relazione matematica è stata rivista alla luce di una quantità ben maggiore di dati inerenti un territorio molto vasto (buona parte dei massicci carbonatici campani); Rispetto ai parametri contemplati nella relazione di Amanti et al., (1998) non è stato considerato quello relativo all’uso del suolo (L) tenendo conto di nostre precedenti esperienze scientifiche. Infatti si è constatato che gli inneschi avvengono sia in presenza di vegetazione di “alto fusto” che di “basso fusto” (macchia). Se si fa riferimento agli studi condotti per la redazione del PSAI dell’Autorità di Bacino Nord Occidentale (in particolare nei contesti dei massicci calcarei della zona di Lauro e dei Monti di Avella,) si può infatti osservare che le frane hanno interessato soprattutto versanti caratterizzati dalla presenza di boschi di latifoglie o di macchia mediterranea. Anche l’ordine gerarchico del bacino di appartenenza è sembrato poco significativo in quanto l’analisi dei bacini idrografici interessati dalle frane ha evidenziato che la maggior parte dei canali in cui esse si sono sviluppate presentano un ordine gerarchico che va da 1 a 2 (Cascini et al, 2000). Suscettibilità Classi di suscettibilità nulla I<1 basso 1<I<50 medio 50<I<150 alto 150<I<600 molto alto I>600 L’algoritmo proposto è stato testato in più aree campione (Di Crescenzo et al., 2008) e si è potuto constatare la corrispondenza fra l’ubicazione delle frane osservate e le aree classificate ad alta suscettibilità. Allo scopo di rendere la carta più leggibile, il valore dell’indice di suscettibilità è stato normalizzato, moltiplicato per 1000 e diviso in 5 differenti classi. Nei territori della ex AdB Sarno ricadenti in provincia di Salerno e Avellino, la suscettibilità all’innesco è stata determinata mediante l’applicazione del modello di stabilità distribuita Shalstab (Dietrich et al, 1992, 1994), che utilizza un modello idrologico per stimare l'altezza 65 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA relativa della falda sospesa, insieme ai parametri geotecnici e morfometrici nella formula del pendio indefinito. Secondo tale formulazione la condizione di innesco di un fenomeno franoso e' controllata da 6 parametri: w) parametri geomeccanici del terreno: coesione c, angolo di attrito φ’ e densita' relativa s x) inclinazione della superficie di rottura (che si assume coincida con la pendenza topografica e la direzione delle linee di deflusso ipodermico) y) altezza h della falda sospesa, e spessore di suolo z. Il modello idrologico stima in ogni punto del versante l'altezza relativa della falda (h/z), assumendo che tutta la "precipitazione efficace" q (risultato della precipitazione P), proveniente da monte, raggiunga il punto dato, e che la quantità d'acqua in ingresso sia equilibrata dalla quantità d'acqua in uscita (condizione di stato stazionario). Date queste condizioni di partenza, in ogni punto del versante l'altezza relativa della falda (h/z) è stimabile con la seguente espressione h/z = (q/T) (a/b) / sin dove q = tasso di alimentazione verticale alla falda, T = trasmissività del terreno, a/b = area di drenaggio unitaria. Questa relazione formalizza due concetti: la quota della falda e' tanto più elevata quanto maggiore è l'area sottesa a monte la quota della falda e' inversamente correlata al gradiente topografico Nell’ipotesi di coesione nulla, applicando la falda così definita al modello del pendio indefinito si ottiene la formula del modello Shalstab: q b s T= ∙ A ∙sen w tan 1 tan dove: z) q = precipitazione efficace [mm/giorno] aa) T = trasmissività del terreno [m2/giorno] bb) s = densità del suolo saturo [kg/m3] cc) w = densità dell’acqua [1 x 10-3 kg/m3] dd) = inclinazione del pendio ee) φ’ = angolo di attrito interno del suolo saturo ff) b = larghezza della cella elementare [m] 66 di 96 PSAI AdB Campania Centrale gg) RELAZIONE GEOLOGICA A = area del bacino contribuente a monte della cella [m2] L'equazione esprime la suscettività al dissesto in termini di un indice, il q/T critico, che e' il rapporto fra la "precipitazione efficace" q e la trasmissività T del terreno in un dato punto, necessario (a parita' di parametri geomeccanici) per innescare una frana. Un valore di q/T critico basso, significa che e' sufficiente una pioggia (q) modesta per innescare la frana, pertanto risulta piu' elevata la suscettivita' al dissesto. Al contrario, un valore di q/T critico elevato, significa che e' necessaria una pioggia (q) di intensita' superiore per innescare rottura; di conseguenza la suscettivita' al dissesto risulta piu' bassa. La suscettività all’innesco può essere definita con SHALSTAB per diversi valori della piovosità giornaliera. Ai fini della determinazione della pericolosità da frana nel PSAI, si è fatto riferimento ad un’altezza di pioggia corrispondente a 100 mm/giorno. 15 SUSCETTIBILITÀ ALL’INVASIONE DEI FENOMENI FRANOSI La metodologia per la determinazione della suscettibilità all’invasione, nella porzione di territorio ricadente in provincia di Napoli, è analoga a quella applicata per la ex AdB Nord Occidentale, ovvero utilizzando il metodo semi-quantitativo del reach angle (o angolo di estensione, originariamente fahrboschung; Heim, 1882; 1938), dato dal rapporto tra due grandezze: hh) H: dislivello misurato dalla quota di impostazione della nicchia di frana (qn) e la quota assoluta dell’unghia del cumulo di frana (qfc); ii) L: distanza orizzontale misurata a partire dal coronamento della nicchia di distacco fino all’unghia del cumulo di frana. In pratica quindi: Angolo di Estensione (y) = arctg H/L = arctg (qn-qfc)/L Il valore dell’angolo di estensione fu successivamente correlato da Shreve (1968) e da Scheidegger (1973) ai volumi delle frane analizzate, in particolare Hsù (1975; 1978) dimostra, sulla base di numerosi esperimenti, che esso diminuisce con l’aumentare del volume al di sopra del valore di 100.000 m3 mentre si mantiene costante per valori più bassi. Studi di dettaglio sui fattori che condizionano il runout hanno mostrato una correlazione lineare tra il volume e l’angolo di estensione per tutte la varie tipologie di frane già per volumi di 10 m 3 (Corominas,1997; Legros, 2002; Finlay et al., 1999). In particolare Corominas (1997) evidenzia come gli earth flows hanno una maggiore mobilità rispetto ai rock falls. Eisbacher (1979) conferma il legame esistente tra l’angle of reach e il volume del materiale franato e sottolinea al contempo il forte condizionamento dovuto all’altezza di caduta (Dai & Lee, 2002), alle anomalie topografiche, alla forma delle particelle costituenti la massa franata e alla presenza di vegetazione (Skermer 1983). Tra i ricercatori che hanno lavorato nei contesti appenninici campani si possono ricordare Aleotti et al. (2001) che evidenziano la correlazione esistente per le frane di Sarno tra la distanza di transito e il grado di evoluzione del bacino (o la sua struttura gerarchica) e calcolano l’equazione della linea di energia che individua la posizione della fascia altimetrica critica di innesco e quella di runout. 67 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Rolandi et al. (2001) assegnano, sulla base della distribuzione del rapporto H/L di alcune decine di frane dei vari contesti carbonatici campani, un valore del reach angle pari a circa 22° per le frane del tipo debris flows (assenza o subordinata presenza di acqua) e a 11° per quelle del tipo hyperconcentrated-flood flow (significativa presenza di acqua). Calcaterra et al., 2003 perimetrano le aree di invasione da frana per alcuni massicci carbonatici campani applicando i valori di angolo di reach calcolati su frane pregresse che avevano interessato i rilievi. Gli angoli risultavano più bassi per frane incanalate (mediamente compresi tra i 13°-20°) e più alti per frane su versanti regolari (25°- 30°) come evidenziato in de Riso et al., (2007). Infine, un’analisi statistica del rapporto H/L delle numerose frane verificatesi nei diversi contesti carbonatici della Campania (area flegrea, Penisola sorrentina, M.ti di Avella, Pizzo D’Alvano, ha evidenziato che in ambito flegreo e nella Penisola Sorrentina si riscontrano valori di angolo di reach più alti rispetto, ad esempio, alla zona di Pizzo d’Alvano, dove esiste un’ampia fascia di raccordo altimetrico tra il versante e la piana che ha favorito la propagazione delle colate. La suscettibilità da invasione nel PSAI della ex AdB Sarno, per i territori in provincia di Napoli, è stata valutata adottando valori del reach angle di 18° per le frane incanalate e di 28° per le frane su versanti regolari. Nei territori ricadenti in provincia di Salerno e Avellino la suscettibilità all’invasione è stata determinata su base geomorfologica, individuando la zona di invasione come la parte valliva di un ambito morfologico nel quale viene ricostruito uno scenario di franosità, ovvero localizzare uno o più eventi franosi per tutto il loro processo di sviluppo (innesco, transito e accumulo), prevedendo l’evoluzione futura sulla base dell’osservazione e dell’interpretazione di fenomeni già avvenuti. L’ambito morfologico è dunque inteso come “un tratto di pendio compreso tra la zona sommitale del rilievo (ad evoluzione morfologica completa) o crinale sommitale ed il fondovalle più prossimo a valle della frana considerata, limitato dai crinali morfologici secondari che delimitano i bordi del tratto di propagazione dalla frana, dove esistono e si esauriscono tutti i fattori che hanno concorso alle fenomenologie passate, che contribuiscono alla dinamica franosa degli eventi attivi ed attuali e in cui possono ritenersi altamente probabili ulteriori fenomeni”. Nel caso delle colate rapide di fango sono state considerate le aree di monte, sede di accumuli di materiali detritico-colluviali, che possono determinare ulteriori distacchi significativi ai fini della pericolosità; tali aree sono state completate verso valle dalla posizione della frana avvenuta, dalla segnalazione della zona di accumulo della frana e dell’area di probabile invasione interpretata sulla base dei depositi di cumulo di frana, ovvero di conoide detriticofangosa, con migliori evidenze morfologiche. Il grado di suscettibilità (e dunque il grado di pericolosità) da invasione viene definito secondo uno schema evolutivo di flusso che può sintetizzarsi nel modo seguente: partendo dalle aree di innesco con grado di suscettibilità S4 o S3 vengono collegati progressivamente, nel percorso da monte verso valle, gli elementi geomorfologici intercettati all’interno di un determinato ambito morfologico, trasmettendo a tali forme lo stesso grado di suscettibilità per transito ed invasione. 68 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Il risultato di questa procedura viene poi verificato e tarato in base alla stratigrafia dei depositi di fondovalle (ove riconoscibile), delimitando l’area di possibile invasione in una fascia compresa tra le aree di arrivo dei depositi di conoide detritico-alluvionale riconosciuti di età recente, storica e/o attuale ed un limite situato più a valle del precedente laddove sono presenti zone di invasione di conoidi detritico-alluvionali antiche e conoidi alluvionali recenti. Ai depositi di composizione prevalentemente detritico-alluvionale viene assegnata la classe di suscettibilità S4 (e dunque di pericolosità P4), mentre ai depositi di composizione prevalentemente alluvionale viene assegnata la classe di suscettibilità S3 (e dunque di pericolosità P3). 16 CLASSI DI PERICOLOSITÀ GEOMORFOLOGICA NELL’EX AUTORITA’ DI BACINO DEL SARNO Il Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico del Sarno fornisce la “Carta della Pericolosità” sviluppata attraverso i seguenti passi: Redazione dei tematismi di base, ossia topografia, geomorfologia, geologia e assetto strutturale, depositi di copertura sciolti, idrogeologia, uso del suolo e frane; Attribuzione di pesi a ciascuna classe rappresentata nei tematismi di base; Definizione delle classi di Suscettività; Redazione della Carta delle aree di possibile invasione da parte di colate rapide (o di crolli). Dalla sovrapposizione tra la Carta della suscettività a frana e dalla Carta delle aree di possibile invasione si è ottenuta la Carta della Pericolosità ove sono stati riconosciuti quattro livelli di pericolosità, così definiti: P1: Pericolosità bassa o trascurabile: Aree di ambito sub-pianeggiante, collinare o montuoso in cui si rilevano scarse o nulle evidenze di dissesto in atto o potenziali e scarsa o nulla dipendenza dagli effetti di fenomeni di dissesto presenti nelle aree adiacenti e nelle quali non si rilevano significativi fattori predisponenti al dissesto (acclività, spessori consistenti dei depositi sciolti delle coperture, caratteristiche strutturali del substrato roccioso, caratteristiche e contrasti di permeabilità, condizioni attuali di uso del suolo); P2: Pericolosità media: Aree caratterizzate da scarse evidenze di dissesto potenziale e dalla scarsa presenza di fattori predisponenti al dissesto (acclività, spessori consistenti dei depositi sciolti delle coperture, caratteristiche strutturali del substrato roccioso, caratteristiche e contrasti di permeabilità, condizioni attuali di uso del suolo) o dalla prossimità di aree interessate da dissesto; P3: Pericolosità elevata: Aree caratterizzate dalla presenza di dissesti quiescenti e/o inattivi, da limitate evidenze di fenomeni di dissesto potenziale o dalla concomitanza di fattori predisponenti al dissesto (acclività, spessori consistenti dei depositi sciolti delle coperture, caratteristiche strutturali del substrato roccioso, caratteristiche e contrasti di permeabilità, condizioni attuali di uso del suolo) o dalla prossimità di aree interessate da dissesti attivi o potenzialmente riattivabili; 69 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA P4: Pericolosità molto elevata: Aree caratterizzate dalla presenza di dissesti attivi, da fenomeni di dissesto attualmente quiescenti, ma con elevata probabilità di riattivazione, a seguito della presenza di evidenze manifeste di fenomeni di dissesto potenziali o dalla concomitanza di più fattori con caratteristiche fortemente predisponenti al dissesto (acclività, spessori consistenti dei depositi sciolti delle coperture, caratteristiche strutturali del substrato roccioso, caratteristiche e contrasti di permeabilità, condizioni attuali di uso del suolo). Comprendono, inoltre, settori di territorio prossimi ad aree interessate da dissesti attivi o potenzialmente riattivabili, aree di possibile transito o accumulo di flussi detritico - fangosi provenienti da dissesti innescatisi a monte e incanalati lungo direttrici delimitate dalla morfologia, oltre ad aree di possibile transito e/o recapito di materiali provenienti da dissesti di diversa tipologia, innescatisi a monte e anche non convogliati lungo direttrici delimitate dalla morfologia. IL RISCHIO DA FRANA NEI PSAI DELLE EX ADB SARNO E NORD OCCIDENTALE Il rischio idrogeologico è un termine sempre più diffuso a causa del crescente aumento di danni (e di vittime) che i fenomeni franosi e alluvionali stanno producendo nel mondo ed in particolare in Italia. Tale aumento è per lo più causato dall’aumento del “valore esposto” e non tanto da un reale incremento del numero e dell’intensità degli eventi. In seguito ai numerosi disastri verificatesi negli ultimi anni ed al riconoscimento della natura sociale di tali eventi, sono stati intrapresi programmi di ricerca, sia a livello nazionale che internazionale, mirati ad affrontare tali fenomeni con opportune opere di previsione e prevenzione. Uno dei temi più trattati dalla letteratura, e sul quale non c’è ancora una soluzione condivisa, è quello della metodologia per l’individuazione del “rischio” idrogeologico e delle sue componenti. In Italia, una punta avanzata nella ricerca in questo campo è il Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche (GNDCI), nel quale è attiva una linea di ricerca denominata “Previsione e Prevenzione di eventi Franosi a Grande Rischio”. In Francia si registrano forse i migliori risultati nel campo della previsione e prevenzione dei rischi. L’ultimo decennio del secolo (1990-2000) è stato designato dalla 42a Assemblea Generale delle Nazioni Unite come Decennio Internazionale per la Riduzione dei Disastri Naturali ed è stata istituita una Commissione per il censimento mondiale dei fenomeni franosi. Il Working Party on World Landslide Inventory (WP/WLI) dell’UNESCO è nata per creare una banca dati mondiale che dovrà costituire la base di riferimento per l’analisi della distribuzione delle frane. Tale gruppo ha quindi predisposto “metodi raccomandati” per la descrizione delle frane, schede per la rilevazione e glossari finalizzati ad uniformare la terminologia scientifica relativa. 70 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA In Italia , attraverso il Progetto AVI, commissionato dal Dipartimento della Protezione Civile al GNDCI del CNR, sono stati censiti tutti i territori del paese colpiti da frane e da inondazioni per il periodo 1918-1990. Gli eventi sono stati catalogati, mediante apposite schede, per ambiti regionali, aggiornati fino all’anno 2000. Permane, nonostante questi sforzi, una non condivisone ed incertezza relativa al significato di pericolosità, vulnerabilità e rischio, nonché alla valutazione dei parametri con cui tali valori possano essere quantificati. La protezione idrogeologica, così come affrontata con il Piano Straordinario ex lege 226/99, sembra contenere una certa rigidità e staticità ed evocare un atteggiamento vincolistico, fatto perlopiù di “divieti”, che è, in definitiva, l’atteggiamento comune alle numerose leggi, in tema di tutela e salvaguardia ambientale, attualmente vigenti nel nostro Paese. L’origine di questo tipo di approccio può essere ricercata in un uso sconsiderato delle risorse e, dunque, nel confronto tra lo stato attuale delle diverse utilizzazioni territoriali e la loro compatibilità con il carattere fisico dell’ambiente naturale. Tale confronto chiarisce, ma certo non giustifica, una politica ambientale permeata sostanzialmente da passività e scarsa flessibilità, che si è tradotta, nel corso degli ultimi anni, in sterili perimetrazione di aree rigidamente vincolate. Lo sforzo necessario da compiere dovrebbe concretizzarsi nel superamento di un atteggiamento vincolistico, che il più delle volte finisce per creare situazioni di stallo e di immobilità altrettanto pericolose di quelle di uso indiscriminato delle risorse, per adottare, invece, un approccio “attivo” di mitigazione e prevenzione del rischio legato alle dinamiche ambientali naturali/antropiche. Una riflessione sulla sostanza delle azioni di protezione idrogeologica conduce così a ritenere che queste oggi debbano essere orientate prevalentemente alla elaborazione di proposte che contengano, insieme alla ovvia identificazione delle cause e degli effetti del dissesto idrogeologico e alla perimetrazione delle aree effettivamente e/o potenzialmente soggette a tale dissesto, anche e soprattutto gli elementi necessari per la previsione e prevenzione degli eventi calamitosi. Lo strumento, se pur complesso, per quest’analisi si identifica nella valutazione del rischio, la cui assunzione presuppone una confluenza disciplinare di opinioni, criteri e consapevolezze, che consenta di progettare il “piano” non come “modello”, bensì come “processo”. La “processualità” è una scelta difficile perché parte dal presupposto che i fenomeni oggetto di studio non siano riconducibili a schemi predefiniti capaci di spiegarli in modo completo ed esaustivo, ma al contrario, siano interrelati ad una serie complessa di fattori che con la loro peculiarità caratterizzano contesti specifici e ogni volta differenziati. Quando si fa riferimento alla necessità di un piano “pertinente”, si intende sottolineare proprio l’esigenza di un modus pianificatorio che sia capace di relazionarsi alla peculiarità dei diversi contesti. DEFINIZIONE DEL CONCETTO DI RISCHIO NEI PSAI EX ADB SARNO E NORD OCCIDENTALE. Le considerazioni di carattere generale su riportate, così come la definizione del concetto di rischio sono comuni alle pianificazioni delle due ex Autorità di bacino. Il rischio (R) è definito come l’entità del danno atteso in una data area e in un certo intervallo di tempo in seguito al verificarsi di un particolare evento calamitoso. 71 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Per un dato elemento a rischio l’entità dei danni attesi è correlata a2: jj) • la pericolosità (P) ovvero la probabilità di occorrenza dell’evento calamitoso entro un certo intervallo di tempo ed in una zona tale da influenzare l’elemento a rischio; kk) • la vulnerabilità (V) ovvero il grado di perdita prodotto su un certo elemento o gruppo di elementi esposti a rischio risultante dal verificarsi dell’evento calamitoso temuto; ll) • il valore esposto (E) ovvero il valore (che può essere espresso in termini monetari o di numero o quantità di unità esposte) della popolazione, delle proprietà e delle attività economiche, inclusi i servizi pubblici, a rischio in una data area; mm) Il danno (D) è definito come il grado previsto di perdita, di persone e/o beni, a seguito di un particolare evento calamitoso, funzione sia del valore esposto che della vulnerabilità. Di conseguenza: R=P×E×V ovvero R=P×D dove D=E×V Dalle relazioni riportate discende che il rischio da associare ad un determinato evento calamitoso dipende dalla intensità e dalla probabilità di accadimento dell’evento, dal valore esposto degli elementi che con l’evento interagiscono e dalla loro vulnerabilità. 2 Nel rapporto UNESCO di VARNES & IAEG (1984) vengono date precise definizioni relative alle diverse componenti che concorrono nella determinazione del rischio di frana: a) Pericolosità (hazard H): probabilità che un fenomeno potenzialmente distruttivo si verifichi in un dato periodo di tempo ed in una data area. b) Elementi a rischio (element at risk E): popolazione, proprietà, attività economiche, inclusi i servizi pubblici etc., a rischio in una data area. c) Vulnerabilità (vulnerability V): grado di perdita prodotto su un certo elemento o gruppo di elementi esposti a rischio risultante dal verificarsi di un fenomeno naturale di una data intensità. E espressa in una scala da O (nessuna perdita) a i (perdita totale). d) Rischio specifico (specifìc Risk Rs): grado di perdita atteso quale conseguenza di un particolare fenomeno naturale. Può essere espresso dal prodotto di Hper V e) Rischio totale (total Risk R): atteso numero di perdite umane, feriti, danni alla proprietà, interruzione di attività economiche, in conseguenza di un particolare fenomeno naturale; il rischio totale è pertanto espresso dal prodotto: R=HVE=Rs E 72 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA La valutazione del rischio comporta non poche difficoltà per la complessità e l’articolazione delle azioni da svolgere ai fini di una adeguata quantificazione dei fattori che lo definiscono. E’, infatti, assai complicato giungere ad una parametrizzazione, in termini probabilistici, della pericolosità e della vulnerabilità e, in termini monetari, del valore esposto. Per lo stesso motivo, anche la mitigazione del rischio - che può essere attuata, a seconda dei casi, agendo su uno o più elementi tra quelli sopra riportati – risulta essere un’operazione molto complessa. In un ottica di semplificazione delle procedure, attesa la reale difficoltà di attribuire ad ogni singolo elemento e/o categoria di uso del suolo un valore specifico “numerico” i P.S.A.I hanno quindi definito delle “classi di danno”, accorpando categorie d’uso del territorio individuate nelle carte degli insediamenti e delle infrastrutture in “classi omogenee” per ciascuna delle quali si ipotizza un “livello di danno”. La perimetrazione delle aree a rischio è redatta sulla base delle conoscenze finora acquisite dalle Autorità di bacino. Al fine di mantenere aggiornato il quadro delle conoscenze sulle condizioni di rischio, i contenuti dei Piani sono aggiornati a cura delle Autorità di bacino, mediante specifiche procedure in base alle quali gli Enti locali interessati sono tenuti a comunicare all’Autorità di bacino i dati e le variazioni, sia in relazione allo stato di realizzazione delle opere programmate, sia in relazione al variare dei rischi del territorio. Sono individuate le seguenti classi di rischio idogeologico3: R1 – moderato, per il quale sono possibili danni sociali ed economici marginali; R2 – medio, per il quale sono possibili danni minori agli edifici e alle infrastrutture che non pregiudicano l’incolumità delle persone, l’agibilità degli edifici e lo svolgimento delle attività socioeconomiche; R3 – elevato, per il quale sono possibili problemi per l’incolumità delle persone, danni funzionali agli edifici e alle infrastrutture con conseguente inagibilità degli stessi e l’interruzione delle attività socio - economiche, danni al patrimonio culturale; R4 – molto elevato, per il quale sono possibili la perdita di vite umane e lesioni gravi alle persone, danni gravi agli edifici e alle infrastrutture, danni al patrimonio culturale, la distruzione di attività socio - economiche. I Piani individuano all’interno dell’ambito territoriale di riferimento, le aree interessate da fenomeni di dissesto idraulico e idrogeologico. Le aree sono distinte in relazione alle seguenti tipologie di fenomeni prevalenti, rispetto ai quali sono stati definiti i differenti livelli di pericolosità: 3 frane; D.P.C.M. 11 giugno 1998 n°180. 73 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA esondazione e dissesti morfologici di carattere torrentizio lungo le aste dei corsi d’acqua. Il valore del rischio sui territori di competenza delle due ex AdB Sarno e N.O. è stato desunto da una combinazione matriciale della pericolosità (da frana o idraulica) e del danno. Le matrici utilizzate per la definizione del rischio frana nei due PSAI costituiscono l’elemento che maggiormente li diversifica tra loro, unitamente al numero delle classi di pericolosità frana 4 e, in parte, alle metodologie di definizione della pericolosità. Il lavoro di omogeneizzazione ed aggiornamento dei due PSAI, finalizzato alla realizzazione di un'unica cartografia di pericolosità e rischio da frana per il territorio della Campania Centrale, è stato incentrato proprio sulla risoluzione delle problematiche scaturite dalle diverse combinazioni matriciali assunte per la definizione del rischio. Nel successivo Capitolo vengono illustrati i criteri adottati nel processo di omogeneizzazione, mentre di seguito si riportano le matrici utilizzate per la definizione del rischio nei PSAI relativi ai territori delle due ex AdB. 4 Approfondimenti sulla metodologia di definizione delle classi di pericolosità di frana nei PSAI ex AdB Sarno e N.O, sono riportati nel precedente paragrafo “Valutazione della pericolosità dei fenomeni franosi”. 74 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA LA MATRICE E LA CARTOGRAFIA DEL RISCHIO DA FRANA NEL PSAI EX ADB NORD - OCCIDENTALE Il PSAI – agg. 2011 per il territorio dell’ ex AdB Nord Occidentale, incrocia tre classi di pericolosità (relativa) da frana – P3-Elevata, P2-Media, P1-Bassa, con quattro classi di danno decrescente, da D4 – altissimo a D1 – basso. Il danno (D = E x V), funzione sia del valore esposto che della vulnerabilità, è stato definito assumendo in via cautelativa V = 1 , ovvero vulnerabilità massima, per ogni tipologia di bene esposto. In tale ipotesi, il danno D coincide con la classe di valore esposto E assegnata agli elementi potenzialmente interessati dai fenomeni franosi. I valori delle classi di rischio frana si ottengono dalla matrice riportata di seguito: Pn Rk = Pn × Dm P3 pericolosità elevata P2 Pericolosità media P1 Pericolosità bassa D4 – danno altissimo R4 R4 R3 D3- danno alto R4 R3 R2 D2- danno medio R3 R2 R1 D1- danno basso R2 R1 R1 Dm L’assegnazione della classe di valore esposto e, quindi , del danno, è stata fatta secondo gli indirizzi del D.P.C.M. 11 giugno 1998 n°180; in proposito è opportuno evidenziare che a tutte le aree protette (Parchi , SIC, ZPS etc..) è stato associato sempre un livello di danno alto o altissimo, a prescindere dalla presenza di insediamenti antropici. Un ulteriore aspetto distintivo del PSAI ex AdB N.O., significativo ai fini del processo di omogeneizzazione adottato, è costituito dalla combinazione matriciale tra la pericolosità frana denominata P1-Bassa e il Danno altissimo D4, che produce comunque un Rischio Elevato – R3, ovvero un rischio superiore a quello ritenuto “accettabile” secondo la definizione assunta nel Piano, comune anche al PSAI ex AdB Sarno. Le Norme di attuazione definiscono infatti come “Rischio accettabile” il “livello di rischio conseguente alla nuova realizzazione di opere e/o attività che non superi il valore di R2, secondo la definizione di cui al D.P.C.M. 29 settembre 1998, e tale che i costi che gravano sulla collettività per lo stato di rischio che si andrà a determinare siano minori dei benefici socioeconomici conseguiti dall’opera o dall’attività”. 75 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA La Carta del Rischio frana, risultato dell’applicazione della matrice riportata, è stata realizzata mediante l’intersezione della “pericolosità” con la “carta del danno”, quest’ultima elaborata a partire dalla cartografia CTR 2004 e dal mosaico degli strumenti urbanistici comunali. I criteri e le metodologie adottati hanno condotto ad una carta del rischio frana PSAI – agg. 2011 coincidente per buona parte del territorio con quella della pericolosità relativa (suscettibilità) da frana. LA MATRICE E LA CARTOGRAFIA DEL RISCHIO DA FRANA NEL PSAI EX ADB SARNO Il PSAI – agg. 2011 per il territorio dell’ ex AdB Sarno, incrocia quattro classi di pericolosità da frana P4 Molto elevata– P3-Elevata, P2-Media, P1-Bassa o trascurabile, con quattro classi di valore esposto , ovvero di danno decrescente, denominate ER1-Altissimo, ER3-alto, ER2medio, ER1-basso. Elementi a rischio Classe ER1 Elementi nn) Zone A (centri storici) oo) Zone B (zone di completamento) pp) Zone C (zone di espansione) qq) Zone D (produttive e commerciali) rr) Zone F1 e F2 (istruzione, attrezzature di interesse collettivo) ss) Edifici non precedenti aree compresi tt) Infrastrutture di trasporto autostrade e strade) nelle (ferrovie, ER2 uu) Elementi di infrastrutture a rete di interesse primario ER3 vv) Zone F3 (sport e tempo libero) ER4 ww) Zone E1, E2, E3 (zone agricole) PSAI ex AdB Sarno – agg. 2011:Tabella 4: Definizione degli elementi a rischio in ambito frane in cui: ER1 = danno altissimo, ER2 = danno alto, ER3 = danno medio, ER4 = danno basso. Il danno (D = E x V), anche in tal caso, è stato definito assumendo in via cautelativa V = 1 , ovvero vulnerabilità massima, per ogni tipologia di bene esposto. In tale ipotesi, il danno D coincide con la classe di valore esposto E assegnata agli elementi potenzialmente interessati dai fenomeni franosi. 76 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA La classificazione delle categorie di elementi a rischio adottata con il relativo Valore Esposto = Danno , è sintetizzata nella tabella sopra riportata. L’assegnazione della classe di valore esposto e, quindi , del danno è stata fatta secondo gli indirizzi del D.P.C.M. 11 giugno 1998 n°180; in proposito è opportuno evidenziare che, nel caso del PSAI ex AdB Sarno, le aree protette (Parchi , SIC, ZPS etc..) , dove non presenti insediamenti antropici, non sono state considerate esposte al danno massimo ma sono state equiparate alle Zone E – agricole. Tale diverso approccio nell’assegnazione di danno atteso rispetto al PSAI ex AdB N.O., ha determinato uno dei significativi temi di discussione in sede di omogeneizzazione. I valori delle classi di rischio frana si ottengono dalla matrice riportata nel seguito. P.S.A.I. ex AdB Sarno ( agg. 2011) – ALLEGATO H - Matrice per la determinazione del rischio da frana Il confronto con la matrice del rischio frana del PSAI ex AdB N.O., fa emergere con chiarezza una delle differenze principali tra i due Piani: le classi di pericolosità P2 - media e P1 - bassa, perimetrate per il bacino del Sarno , non danno mai luogo ad un rischio superiore a R2 , ovvero al livello massimo di rischio ritenuto “accettabile” secondo la definizione condivisa dai due PSAI5. 5 Si assume come “rischio accettabile” quel livello di rischio che verifica contemporaneamente le seguenti condizioni: f) il rischio determinato dall’intervento da eseguire sia non superiore al valore R2, secondo la definizione del D.P.C.M. 29 settembre 1998; g) l’opera o l’attività prevista abbiano prevalente interesse pubblico o sociale; 77 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA La Carta del Rischio frana-agg. 2011, risultato dell’applicazione della matrice riportata, è stata realizzata mediante l’intersezione della “pericolosità” con gli elementi soggetti a rischio estratti dalla cartografia CTR 2004, dalla carta degli insediamenti-ovvero del danno - PSAI 2002, integrati con i principali sistemi infrastrutturali (strade ferrovie, reti di servizio principali). In proposito è opportuno evidenziare che, nella procedura di intersezione non sono stati considerati “gli areali“ delle zone omogenee a diversa destinazione urbanistica presenti nella carta degli insediamenti redatta nel 2002, ma solo i singoli elementi (edifici, strade, etc…); tale criterio, è stato determinato sia dalla volontà di evidenziare con chiarezza le principali sedi di attività antropica esposti al rischio da frana – soprattutto R3 ed R4 – per i quali è necessaria l’attivazione di specifiche misure di protezione civile, sia da criticità di carattere tecnico legate alle diverse basi cartografiche utilizzate rispetto all’ originario PSAI 2002, non risolvibili in sede di aggiornamento PSAI 2011. Il programma delle attività infatti, in detta sede, prevedeva sostanzialmente solo un aggiornamento ed approfondimento della pericolosità da frana nelle aree soggette ai fenomeni di colate di fango, a partire dai nuovi eventi verificatisi dopo il 2002 fra cui la frana di Nocera Inferiore del marzo 2005. Il lavoro di totale sostituzione e rifazione delle carte degli insediamenti e del conseguente danno, ora realizzato in sede di omogeneizzazione, oltre a non essere compatibile con il programma di lavoro del 2009-2010, avrebbe comportato fra l’ altro la modifica delle carte del rischio idraulico, allora non oggetto di aggiornamento se non in aree limitate a seguito di studi specifici. Dai diversi approcci utilizzati ne è scaturito, fra l’altro, che i “dati numerici” relativi alle “superfici” esposte al rischio frana nei PSAI dei due territori delle ex AdB Sarno e N.O., non sono immediatamente comparabili. PROCEDURA DI PERICOLOSITÀ E CENTRALE OMOGENEIZZAZIONE DELLE CARTE DI RISCHIO DA FRANA – PSAI CAMPANIA Come si può evincere dalla descrizione dei paragrafi precedenti, le scelte strategiche di pianificazione e le metodologie applicate per la redazione delle carte di pericolosità nelle due ex Autorità di Bacino regionali presentano differenze a volte sostanziali, anche nell’ambito dell’Autorità del Sarno. Compito del gruppo di lavoro della S.T.O. dell’Autorità di Bacino della Campania Centrale è stato dunque quello di redigere una carta della pericolosità omogenea negli elementi h) i costi che gravano sulla collettività per lo stato di rischio che si andrà a determinare siano minori dei benefici conseguiti dall’intervento. Gli studi e le indagini necessari alle verifiche di cui al comma 1 sono riportati negli studi di compatibilità idraulica e idrogeologica di cui agli articoli 40 e 48, prendendo a riferimento le tabelle per la determinazione del rischio di cui all’Allegato H. 78 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA rappresentati e nella legenda interpretativa, cercando di uniformare i criteri anche in relazione alla strategia scelta per adeguare le Norme di Attuazione. La differenza più evidente tra le carte di pericolosità da frana delle due ex Autorità di Bacino è costituita dalla diversa articolazione delle classi di pericolosità. Il PSAI dell’ex AdB Nord Occidentale individua 3 classi di pericolosità: bassa (P1), media (P2) ed elevata (P3); il PSAI dell’ex AdB Sarno distingue 4 classi: bassa (P1), media (P2), elevata (P3) e molto elevata (P4). Al fine di uniformarsi anche alle altre Autorità operanti sul territorio della regione Campania, direttamente confinanti l’AdB Campania Centrale (Autorità regionale ed interregionale Campania Sud e Autorità nazionale Liri, Volturno-Garigliano), si è scelto di rappresentare tutta la carta di pericolosità su 4 livelli, ritenendo che, in base alle metodologie applicate, sarebbe stato coerente scalare di un livello verso l’alto le classi di pericolosità rappresentate nel PSAI della ex AdB Nord Occidentale. Contestualmente all’operazione di omogeneizzare le due cartografie, in alcuni casi le perimetrazioni sono state riviste in funzione dei criteri descritti nel paragrafo seguente. L’omogeneizzazione delle cartografie è stata condotta in parallelo con l’adeguamento delle norme di attuazione tra i PSAI delle due ex Autorità di Bacino, che presentano alcuni aspetti profondamente diversi, soprattutto per quanto concerne la determinazione del rischio indotto dall’incrocio della pericolosità con il valore esposto. Infatti la difficoltà principale, che ha condizionato la scelta dei criteri di equiparazione, consiste nella differente normativa di attuazione che disciplina gli interventi antropici sul territorio per le diverse classi di pericolosità, in relazione al livello di rischio indotto secondo le diverse matrici applicate nei due Piani. Fermo restando, il concetto di “rischio accettabile” fino al livello R2 – comune ad entrambi i PSAI – la combinazione matriciale per la determinazione del livello di rischio in base alla pericolosità è, come illustrato in dettaglio al precedente capitolo, profondamente diversa: nel PSAI ex AdB Sarno la trasformazione antropica di aree a pericolosità P1 e P2 dà luogo, rispettivamente, a livelli di rischio R1-moderato e R2-medio , contenuti entro la soglia di rischio accettabile; nel PSAI ex AdB Nord-Occidentale l’edificazione su aree P1-definite a pericolosità bassagià determina un rischio R3, superiore alla soglia di rischio ritenuta accettabile e quindi non consentita dalle norme di attuazione del Piano. DESCRIZIONE SINTETICA DEI CRITERI DI OMOGENEIZZAZIONE DELLE CARTE DI PERICOLOSITÀ È stato necessario pertanto individuare dei criteri che fossero coerenti con le impostazioni metodologiche finora applicate, e che consentissero di costruire una carta valida per tutto il territorio dell’AdB Campania Centrale, dove ad ogni classe di pericolosità corrispondesse univocamente uno stesso livello qualitativo di rischio a parità di classe di Valore Esposto e Danno e una specifica disciplina normativa. 79 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Nel corso della elaborazione del progetto di Piano, sono state quindi considerate e verificate molteplici ipotesi per ottimizzare l’omogeneizzazione finale degli aspetti legati alla pericolosità ed al rischio frana, anche attraverso l’applicazione dei diversi criteri prospettati ad ambiti significativi del territorio di bacino. Il lavoro di progressivo affinamento delle metodologie ha condotto alla procedura di seguito sintetizzata: Suddivisione in 4 classi di pericolosità anche per il territorio ex Nord-Occidentale, secondo il seguente prospetto sintetico: PSAI Nord-Occidentale PSAI Centrale P3 P4 P2 P3 P1 P3 P0 Campania P0/P1/P2 (aree non classificate) Lasciando sostanzialmente inalterate le perimetrazioni delle aree con pericolosità superiore alla soglia di trasformabilità (P3, P4 per il Sarno, P1, P2, P3 per il Nord-Occidentale), le sole aree con pericolosità inferiore vengono modificate sulla base di soglie di pendenza così individuate, tenendo conto della litologia affiorante e del fenomeno atteso: angolo pendio di Piroclastiti Rocce Flysch 0° < i ≤ 10° P0 P0 P0 10° > i ≤ 18° P1 P1 P1 18° < i ≤ 23° P2 P1 P1 23° < i ≤ 28° P3 P2 P2 28° < i ≤ 45° P4 P3 P3 i > 45° P4 P4 P4 Per le sole aree della ex AdB Sarno ricadenti in provincia di Salerno e Avellino, verifica della perimetrazione delle aree di invasione mediante l’applicazione del metodo del reach angle 80 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA (18° per le frane incanalate e 28° per le frane su versanti regolari), partendo dai punti di innesco già forniti dai consulenti scientifici in fase di redazione del PSAI. Eliminazione di piccole aree anomale, generatesi in alcuni casi nei PSAI previgenti con l’applicazione della procedura automatica di determinazione degli indici di suscettività, mediante verifiche puntuali basate su criteri cautelativi che tenessero contestualmente conto delle trasformazioni antropiche presenti. Acquisizione, in qualità di contributi conoscitivi, di puntuali studi di dettaglio, prodotti a supporto sia di proposte di riperimetrazione ai due vigenti PSAI, che di osservazioni al Progetto di Piano Stralcio dell’AdB Campania Centrale nell’ambito della Conferenza Programmatica ex art. 68 del D.Lgs. 152/2006. Relativamente al punto 2, nella procedura di omogeneizzazione semplificata è stato scelto l’indicatore pendenza in quanto, anche nei modelli applicati sui Piani attualmente vigenti, è il parametro che influisce in misura più significativa sul grado di pericolosità da frana. La soglia minima dei 28° per la classe di pericolosità P4 è stata scelta in coerenza con quanto già considerato, insieme ai consulenti scientifici durante la redazione del PSAI, al fine di meglio articolare i livelli di pericolosità nei territori posti a monte della “linea rossa” individuata dal Commissariato Emergenza Idrogeologica per i comuni colpiti dagli eventi del maggio 1998. Ai fini della determinazione del rischio indotto, viene applicata una matrice di intersezione tra pericolosità e danno analoga a quella dell’AdB Sarno riportata al successivo paragrafo . I risultati delle procedure descritte consistono essenzialmente in: xx) la sostanziale conferma delle perimetrazioni della pericolosità da frana per l’area Nord-Occidentale e dei relativi vincoli di trasformazione, con integrazione delle nuove aree P1- pericolosità bassa o trascurabile e P2-pericolosità media a partire dalle aree non classificate nel vigente PSAI, prevalentemente in corrispondenza di aree di versante intercluse in zone a maggiore pericolosità e/o di aree pedemontane; yy) la sostanziale conferma, nel bacino del Sarno, delle perimetrazioni delle aree a pericolosità più elevata (P4 e P3), con verifiche ed eventuali modifiche che hanno interessato prevalentemente i territori in provincia di Salerno e Avellino, finalizzate ad una maggiore uniformità dei criteri per la stima delle aree di invasione sull’intero territorio dell’AdB Campania Centrale; zz) la trasformazione parziale, per il solo bacino del Sarno delle attuali aree P2- pericolosità media e P1-pericolosità bassa o trascurabile, con alcuni incrementi di pericolosità sui versanti acclivi poco antropizzati ed alcune riclassificazioni delle aree pedemontane - prevalentemente da P2 a P1; aaa) la riduzione delle aree a pericolosità P1 nelle zone di fondovalle dei principali corsi d’acqua del bacino con conseguente individuazione di aree a pericolosità nulla in relazione ai fenomeni gravitativi di versante. La ricalibratura delle aree a minore pericolosità P1-P2 nel Bacino del Sarno, oltre ai criteri legati al modello delle pendenze, alla litologia e ai fenomeni attesi ha tenuto conto - con particolari approfondimenti nelle zone pedemontane e di fondo valle più intensamente 81 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA antropizzate - della franosità storica, dello astato di attività dei fenomeni e, infine, della presenza di elementi antropici topograficamente significativi. Stralci planimetrici della pericolosità da frana nel PSAI dell’ex AdB Sarno e del PSAI dell’AdB Regionale della Campania Centrale Stralci planimetrici della pericolosità frane nel PSAI dell’ex AdB Nord-Occidentale (1:10.000) e del PSAI dell’AdB Regionale della Campania Centrale (1:5000) 82 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Quadro di unione della carta della pericolosità del PSAI dell’AdB Regionale della Campania Centrale MATRICE E CARTA DEL RISCHIO DA FRANA PSAI ADB CAMPANIA CENTRALE L’individuazione delle aree a rischio da dissesto di versante del PSAI dell’ AdB Campania Centrale fa riferimento ai al concetto generale di rischio sintetizzato al precedente capitolo. La combinazione matriciale assunta è analoga a quella del vigente PSAI dell’ ex AdB Sarno, mentre la classificazione dei valori esposti , della vulnerabilità( sempore pari ad 1- vulnerabilità massima) e del conseguente danno potenziale è analoga a quella utilizzata nel previgente PSAI dell’ ex AdB Nord-occidentale e nell’ambito delle attività inerenti Piano di Gestione per il Rischio di Alluvioni – PGRA richiesto dalla c.d. Direttiva Alluvioni in base alle Linee Guida ISPRA (mappe di pericolosità e rischio da alluvioni di cui all'art. 6 del D.Lgs.49/2010, redatte a partire dai vigenti PSAI con i criteri di omogeneizzazione stabiliti in accordo tra tutte le Autorità di Bacino – nazionali – interregionali e regionali con il coordinamento dell’ AdB Liri-Volturno – Garigliano). 83 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA PSAI AdB Campania Centrale - Determinazione del rischio da frana I risultati dell’applicazione della nuova, comune matrice del rischio, hanno sostanzialmente confermato i livelli di rischio Molto Elevati ed Elevati di entrambi i Piani relativamente alle aree antropizzate e parzialmente ridefinito le aree a rischio medio e moderato R1 ed R2. Occorre evidenziare che, assumendo i valori di danno elevati anche per tutte le aree protette presenti sul territorio dell’ ex AdB Sarno che interessano le dorsali carbonatiche ed i Monti Lattari, il livello di rischio associato ai versanti non antropizzati appare in generale incrementato e sostanzialmente coincide la pericolosità. A corredo del Piano, al fine di focalizzare l’attenzione sugli insediamenti ed infrastrutture antropiche esposte a rischi a carattere idrogeologico più elevato, è stata elaborata, oltre le cartografie a rischio frana ed a rischio idraulico articolate nei quattro livelli di rischio, una carta di sintesi dei rischio molto elevato ed elevato da dissesto di versante e di quello derivante da fenomeni idraulici. 84 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA PSAI AdB Campania Centrale – Definizione degli elementi esposti, della vulnerabilità e del danno atteso in relazione ai fenomeni franosi 85 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Stralci planimetrici del rischio da frana nel PSAI dell’ex AdB Sarno e del PSAI dell’AdB Regionale della Campania Centrale Rischio da frana PSAI 2015 - Stralci planimetrici del rischio frane nel PSAI dell’ex AdB NordOccidentale e del PSAI dell’AdB Regionale della Campania Centrale 86 di 96 PSAI AdB Campania Centrale RELAZIONE GEOLOGICA Quadro di unione della carta del rischio del PSAI dell’AdB Regionale della Campania Centrale 87 di 96 PSAI AdB Campania Centrale Appendice alla RELAZIONE GEOLOGICA RISCHIO IDROGEOLOGICO PER FENOMENI DI SINKHOLE. ASPETTI NORMATIVI Nell’ambito dei fenomeni di dissesto idrogeologico che interessano alcune aree del territorio dell’AdB Campania Centrale si ritiene quanto mai opportuno segnalare, al fine di approfondirne la conoscenza, il rischio connesso ai cosiddetti “sinkhole”: fenomeni rappresentati da sprofondamenti improvvisi della superficie topografica, con apertura di voragini di forma generalmente circolare profonde anche decine di metri, che possono verificarsi anche in aree pianeggianti, senza evidenze morfologiche in superficie. Il panorama legislativo italiano sia a livello nazionale che regionale pur essendo abbastanza articolato ed approfondito in materia di prevenzione del rischio idrogeologico, anche relativamente a fenomeni di dissesto correlati principalmente a crisi sismiche, non comprende ancora uno strumento normativo specifico di riferimento in materia di rischio da sinkhole. In Campania, per esempio, a tutt’oggi non esiste una perimetrazione delle aree a rischio sinkhole, nonostante sia quelli di origine naturale che quelli di origine antropica siano alquanto frequenti soprattutto nelle aree più urbanizzate del territorio regionale. In questo contesto, quindi, la mitigazione viene sempre demandata a provvedimenti emergenziali a livello locale (ordinanze sindacali). Esiste, in effetti, una legge regionale (n. 38 del 26 maggio 1975) recante interventi straordinari in favore di alcuni comuni della provincia di Napoli interessati da ricorrenti fenomeni di dissesto del suolo. Questa legge, dettata principalmente da emergenze in territori interessati dalla presenza di cavità di origine antropica, enunciava già, seppur in maniera solo indicativa, un programma di interventi da attuare in quelle aree e l'obbligo di un approfondito studio geologico. Oltre a fornire indicazioni sulle diverse tipologie di indagine e intervento (dall'ispezione e rilievo topografico della cavità, al consolidamento, al riempimento, alla sistemazione delle reti di sottoservizi, etc.) la legge forniva anche alcune prescrizioni di carattere urbanistico, purtroppo spesso disattese. A seguito degli eventi di Forino del 2005 l'Autorità di Bacino del Sarno, nell'ambito dell'aggiornamento all'anno 2011 del PSAI, già segnalava la necessità di un approfondimento della problematica connessa ai sinkhole. A tal proposito, rifacendosi a quanto già noto in letteratura, individua le aree a rischio del suo territorio riportandone una prima zonazione. Si descrivono le principali cause predisponenti ed innescanti dei fenomeni presenti sul territorio evidenziando i diversi meccanismi di innesco a seconda dei diversi contesti geologici e si forniscono, infine, indicazioni sulle opportune campagne di indagine da realizzare nelle aree interessate dai fenomeni, quantomeno in fase di progettazione di opere di urbanizzazione. Nel PSAI dell’AdB Campania Centrale, l’articolo 17 delle Norme di attuazione richiama tali prescrizioni, facendo riferimento anche ad una “Carta dei sinkholes di origine naturale” ricavata dai dati del Settore Difesa del Suolo della Regione Campania. 88 di 96 PSAI AdB Campania Centrale Appendice alla RELAZIONE GEOLOGICA CAVITÀ DI ORIGINE NATURALE La letteratura sull’argomento indica che tali fenomeni sono dovuti ad una serie di cause, dove un ruolo importante assumono i processi di erosione dal basso, assimilati agli effetti meccanici che si realizzano quando il passaggio dell’acqua, abbondante e con pressione elevata, provoca l’erosione di materiale e la formazione di canalicoli e condotti tubolari lungo le linee di flusso. Questo fenomeno viene indicato nella letteratura anglosassone con il termine piping, con la conseguente definizione di piping sinkhole per gli sprofondamenti connessi ad una genesi di questo tipo. Per effetto del piping si determina, controllata da discontinuità presenti nel substrato roccioso, la genesi e la propagazione di una cavità all’interno del materiale di copertura. A partire dal tetto del substrato, il fenomeno procede verso l’alto fino a quando la copertura collassa dando luogo ad una voragine in superficie. Il collasso finale avviene solitamente ad una profondità di circa una trentina di metri dal piano campagna. I processi di piping avvengono solitamente in materiali che presentano una classe granulometrica corrispondente alle sabbie, anche se stratigraficamente alternate a terreni argillosi coesivi. La caratteristica morfologica dei piping sinkhole è data dalla planimetria sub-circolare e dalle pareti perfettamente verticali, con diametro e profondità che raggiungono le decine di metri. Nel territorio dell’AdB Campania Centrale le aree più esposte al rischio per fenomeni di sinkhole, come risulta dal censimento realizzato dal Settore Difesa del Suolo della Regione Campania nell’ambito della convenzione con il Dipartimento di Ingegneria Idraulica, Geotecnica e Ambientale dell’Università di Napoli Federico II, sono: la conca endoreica di Forino, dove nel giugno 2005 si è verificato uno sprofondamento circolare di diametro 15 metri e profondità 25 metri che ha interessato zone parzialmente urbanizzate, fortunatamente senza causare vittime umane; la zona pedemontana di Sarno (località Acqua Rossa-Lavorate), dove in un sinkhole del diametro di circa 200 m è stata realizzata una vasca per la laminazione delle piene alluvionali montane; la Penisola Sorrentina, in particolare la struttura di Monte Faito attraversata da importanti infrastrutture stradali e ferroviarie con lunghi percorsi in galleria, alcuni già in esercizio, altri oggetto di possibili interventi futuri; la dorsale dei monti di Avella e S. Felice a Cancello, dove sono presenti anche fenomeni carsici ipogei (complesso delle Grotte di San Michele) utilizzati dalle Amministrazioni locali a scopo turistico-ricreativo e per funzioni religiose. Le diverse aree interessate dalla presenza di fenomeni di sinkhole coinvolgono contesti geologici anche molto diversi fra loro, caratterizzati da peculiari aspetti geologico-stratigrafici ed idrogeologici, schematicamente riassunti nella tabella seguente: 89 di 96 PSAI AdB Campania Centrale CONTESTO GEOLOGICO BACINI INTERMONTANI PIANE ALLUVIONALI VERSANTI CARBONATICI 17 FATTORI PREDISPONENTI Depositi incoerenti in strati a differente permeabilità. Depositi sabbiosi soggetti a fenomeni di erosione sotterranea a causa della circolazione di acqua in pressione nel sottosuolo (suffosione) Appendice alla RELAZIONE GEOLOGICA FATTORI DI INNESCO Incremento del gradiente idraulico, circolazione idrica sotterranea in pressione, variazioni del livello di falda. Terremoti. Coperture di depositi alluvionali molto potenti (da decine a centinaia di metri) costituiti da sabbie, ghiaie e silt. Depositi incoerenti soggetti a liquefazione. Falda multlstrato spesso in pressione. Terremoti. Variazioni del livello della falda. Ammassi calcarei fortemente microcarsiflcati e/o con coalescenza di molte cavità carsiche di piccole dimensioni. Presenza di falde mineralizzate e/o sulfuree Qualità dell'ammasso da scadente e molto scadente Sviluppo di carsismo ipogenico per risalite di fluidi o per mixing tra acque dolci e acque marine. Terremoti. DIMENSIONI ESEMPI NEL TERRITORIO DELL’ADB CAMPANIA diametro massimo: 20 m; Conca di Forino profondità massima: 25 m diametro massimo: 200 m; Piana di Sarno profondità massima: 50 m diametro massimo 400 m profondità Penisola Sorrentina Monti di Avella – S. Felice a Cancello massima: 150 m IL CASO DELLA CONCA DI FORINO A seguito dell’evento di Forino del giugno 2005 è stato eseguito, dal Dipartimento di Ingegneria Geotecnica dell’Università Federico II di Napoli, uno studio con indagini in sito che hanno permesso di ricostruire la stratigrafia di sottosuolo (primi 50 metri di profondità), caratterizzata dalla presenza di un riempimento alluvionale di natura limosa-sabbiosa, poggiante su di un substrato poco permeabile (Ignimbrite Campana e flysch miocenici). È stata quindi esclusa la presenza di calcari e di vuoti carsici per almeno i primi 50 m di profondità. Nella conca di Forino sono stati censiti 8 sinkhole, alcuni recenti, altri più antichi e ormai completamente riempiti da materiale di riporto. Le perforazioni effettuate in asse ad alcuni di essi e l’osservazione diretta superficiale hanno evidenziato che i vuoti si sono formati a partire da circa 25 m di profondità e che hanno interessato i terreni sabbioso-limosi alluvionali. 90 di 96 PSAI AdB Campania Centrale Appendice alla RELAZIONE GEOLOGICA I sinkhole risultano allineati lungo la direzione di drenaggio preferenziale della falda presente nel corpo alluvionale e sono concentrati alla base del versante settentrionale di M. Romola che costituisce, quindi, il settore della piana più suscettibile a questi fenomeni. Il modello interpretativo risultato dallo studio dimostra che i vuoti si sono generati per fenomeni di erosione causati da una circolazione idrica sotterranea, attiva in concomitanza di periodi molto piovosi e caratterizzata, probabilmente, da moti turbolenti. Tale circolazione si instaura al contatto tra il materiale sabbioso-limoso ed i sottostanti strati poco permeabili (Ignimbrite Campana e flysch miocenici). È molto probabile che la circolazione idrica sotterranea sia alimentata anche da falde sospese ed in rete carsica presenti nei massicci carbonatici che circondano la piana. Per quanto riguarda l’erosione dei notevoli volumi asportati (alcune migliaia di metri cubi) è ipotizzabile che essi siano stati smaltiti da inghiottitoi sepolti, presenti lungo il margine orientale della conca endoreica e probabilmente collegati alle emergenze sorgive nella sottostante piana di Montoro. I risultati di questo studio rappresentano un primo importante contributo per successive ricerche mirate all’identificazione di altri vuoti sotterranei che potrebbero essere molto prossimi alla superficie topografica e creare, quindi, situazioni di alto rischio. Non si esclude pertanto che nel sottosuolo della piana di Forino siano presenti altri vuoti, non ancora noti perché profondi o perché non hanno ancora raggiunto la superficie topografica. In prima approssimazione, sulla scorta del censimento dei sinkhole effettuato e dell’assetto stratigrafico ed idrogeologico della piana di Forino, la fascia di territorio che è da ritenere più suscettibile all’innesco di nuovi sprofondamenti si allinea in corrispondenza della zona di drenaggio preferenziale della falda dell’acquifero piroclastico alluvionale. Tuttavia una zonazione più precisa non potrà che essere realizzata a valle di ulteriori indagini e soprattutto attraverso la definizione dello schema idrogeologico locale ed il monitoraggio della falda nell’acquifero alluvionale. È da sottolineare, infine, che il modello proposto per la conca di Forino rappresenta solo uno dei possibili meccanismi di innesco di sinkhole in aree alluvionali, in altri contesti ed in condizioni stratigrafiche ed idrogeologiche diverse non si escludono effetti della carsificazione in rocce solubili e, soprattutto, fenomeni di improvvisa liquefazione di corpi limoso-sabbiosi saturi il cui studio non può prescindere da un approccio anche di tipo geotecnico. L’eventualità del verificarsi di un sinkhole rappresenta dunque un problema da non sottovalutare nella gestione del rischio per la popolazione e per le infrastrutture presenti sul territorio, a causa della difficile localizzazione e previsione del fenomeno, di cui spesso non sono visibili in superficie evidenze morfologiche dei fattori predisponenti, 18 INDAGINI E MONITORAGGIO Al fine di dotare gli strumenti di pianificazione urbanistica del territorio del necessario supporto tecnico conoscitivo, è auspicabile che nei territori indiziati della formazione di sinkhole vengano programmate indagini specifiche volte alla ricostruzione del modello geologico del sottosuolo, che consentano di determinare l'idoneità o meno di un'area alle previsioni di piano. L’analisi del sottosuolo dovrebbe essere articolata attraverso le seguenti indagini conoscitive: 91 di 96 PSAI AdB Campania Centrale Appendice alla RELAZIONE GEOLOGICA sondaggi a carotaggio continuo, per la caratterizzazione stratigrafica e geotecnica del sottosuolo e individuazione di cavità sotterranee; indagini geofisiche (geoelettrica, tomografica e microgravimetrica) per l'individuazione di eventuali anomalie riconducibili alla presenza di vuoti sotterranei; immissione in falda di traccianti (studio dell’idrodinamica sotterranea); eventualmente indagini speleologiche, per il dimensionamento diretto dei vuoti sotterranei e la valutazione delle caratteristiche geomeccaniche in profondità. Una volta individuate le aree a rischio di sinkhole, si dovrebbe eseguire un’attività di monitoraggio consistente in: misure topografiche di precisione con l'installazione di mire ottiche. Queste ultime dovrebbero essere posizionate sui bordi del sinkhole, possibilmente in settori non interessati da altri fenomeni gravitativi in atto quali frane o detensionamenti, nelle aree immediatamente circostanti e nel fondo del sinkhole; monitoraggio costante dei livelli piezometrici; per le rocce lapidee si può prevedere l'installazione di fessurimetri o estensimetri a cavallo di fratture beanti, anche per il monitoraggio di microsismi che si potrebbero registrare durante le fasi evolutive dei sinkhole. Infine, oltre al monitoraggio sarebbe molto importante istruire la popolazione attraverso dei corsi di formazione. Gli abitanti, infatti, senza creare falsi allarmismi, dovrebbero essere in grado di riconoscere deformazioni del suolo, fratturazioní o altre evidenze che potrebbero verificarsi prima di uno sprofondamento e segnalarle alle Autorità competenti. Tali attività potrebbero costituire oggetto di uno specifico Piano Stralcio, realizzato direttamente dall’Autorità di Bacino o, quantomeno ed in previsione di ciò, potrebbero costituire oggetto di integrazioni progettuali per interventi puntuali di urbanizzazione ed infrastrutturazione. CAVITÀ DI ORIGINE ANTROPICA La presenza di cavità sotterranee di origine antropica rappresenta un grave rischio che interessa molti centri urbani nel territorio dell’AdB Campania Centrale, soprattutto in provincia di Napoli ed in particolare nei comuni dell’hinterland napoletano. La stabilità delle strutture urbane può essere infatti compromessa dalla presenza di vuoti sotterranei, assumendo tale fenomeno una gravità particolare in alcune aree del territorio dove il sottosuolo tufaceo è sede di una rete di cavità, eccezionalmente sviluppata, prodotta da secoli di attività estrattiva e di scavo. Ai fini della prevenzione dei rischi connessi, lo stato delle conoscenze è attualmente più dettagliato rispetto alle cavità di origine naturale. Il riferimento più significativo è costituito dagli studi eseguiti dal Centro Interdipartimentale di Ricerca Ambientale (C.I.R.AM.) dell’Università di Napoli Federico II, a partire dal 1998, nell’ambito di un progetto finanziato dalla Provincia di Napoli che ha portato alla costituzione di una banca dati di circa 2000 cavità presenti nel sottosuolo dei comuni del territorio provinciale. Con tale progetto, l'Amministrazione Provinciale ha inteso fornire un supporto all'adeguamento dello strumento urbanistico in quei comuni interessati dalla presenza di cavità sotterranee. 92 di 96 PSAI AdB Campania Centrale Appendice alla RELAZIONE GEOLOGICA Queste infatti, costituendo spesso causa o concausa di fenomeni di instabilità e di dissesto soprattutto nei centri abitati, vanno individuate e studiate preventivamente in sede di pianificazione territoriale prevedendo opportune misure all'edificazione e al recupero del patrimonio edilizio sovrastante. La maggior parte di queste cavità sono localizzate nei territori di quei comuni il cui sottosuolo è caratterizzato dalla presenza di potenti banchi tufacei. Il tufo infatti, per le sue proprietà fisiche e meccaniche, è stato nei secoli molto utilizzato per la costruzione di opere murarie, soprattutto murature portanti degli edifici ma anche con funzioni puramente di sostegno. La zona con il maggior numero di cavità censite è senz’altro la cerchia dei comuni a nord di Napoli. Qui il rischio connesso alle cavità artificiali è diffuso soprattutto perché la maggior parte delle cavità in questione sono sottoposte a centinaia di manufatti edilizi costruiti nel secolo scorso o addirittura di nuova edilizia conservativa o di neocostruzione, insistente sulla stessa superficie. Era solito infatti, soprattutto fino alla fine del 19° secolo, reperire in loco il materiale da costruzione per le murature portanti e gli inerti per la malta cementizia (lapilli e pozzolane). I proprietari di terreni per concessioni edilizie estraevano quindi dal "loro" sottosuolo tali materiali per costruirvi sopra, usandone successivamente le cavità come deposito e attività commerciali. Il bacino dei Regi Lagni è il settore del territorio provinciale più ricco in cavità sotterranee dopo quello ubicato a nord della città di Napoli. Nel sottosuolo tra i comuni di Nola e Cimitile sono presenti cunicoli di collegamento di epoca paleocristiana. Cavità sotterranee si ritrovano, quasi sempre legate all’attività estrattiva del tufo grigio, anche in tutti gli altri comuni di questo ambito territoriale. Nelle isole del golfo di Napoli, a causa della carenza di acque sorgive e di falde acquifere utilizzabili, le cavità note sono costituite soprattutto da cisterne utilizzate in passato per la raccolta dell'acqua piovana; nella maggior parte dei casi sono ubicate sotto le costruzioni da cui veniva prelevata l'acqua tramite un unico pozzo di accesso. Attualmente molte cisterne non sono più utilizzate per la raccolta dell'acqua ma costituiscono depositi, abitazioni e, dove la morfologia del territorio lo consente, sono utilizzate come garage per auto. Nell’area flegrea le cavità sono presenti solo nei comuni di Villaricca e Qualiano, dove sono utilizzate come cisterne, ed è stata riscontrata l'esistenza di molti pozzi di cui si è persa la memoria storica. I comuni di Pozzuoli e Bacoli, anche se caratterizzati da un centro storico con costruzioni in muratura di tufo, non presentano cavità nel sottosuolo poiché il tufo utilizzato per le costruzioni veniva prelevato dalle aree circostanti lungo i versanti dei rilievi vulcanici. In tali comuni sono presenti cisterne di epoca romana, colombaie ed ambienti abitativi posti al di sotto delle costruzioni attuali. La presenza di tali cavità "archeologiche" costituisce comunque un pericolo per la stabilità delle strutture su cui si poggiano le nuove costruzioni. Nella zona vesuviana, il comune di Torre del Greco è caratterizzato dalla presenza di cavità, in genere realizzate dai contadini per l'estrazione delle piroclastiti sciolte utilizzate per il ripristino del terreno vegetale ricoperto dalla lava nel corso delle eruzioni. Nel comune di Portici è stato ritrovato un cunicolo che unisce la Reggia con le vie del mare, utilizzato in passato come via di fuga dai regnanti. Nei comuni di Sant'Anastasia e Somma Vesuviana sono presenti tane di lapillo. Nei comuni della Penisola Sorrentina le cavità sono presenti in quei comuni dove i depositi vulcanici legati all'attività flegrea ed a quella vesuviana affiorano con spessori considerevoli. I 93 di 96 PSAI AdB Campania Centrale Appendice alla RELAZIONE GEOLOGICA comuni di Sorrento, Piano di Sorrento e Vico Equense sono caratterizzati da cavità in tufo realizzate nella falesia tufacea ed attualmente utilizzate come ricovero per le barche. Nelle zone di raccordo tra i rilievi dei monti Lattari e la Piana Campana (Gragnano, Lettere, Casola di Napoli) la presenza di cavità è legata all’attività estrattiva dei prodotti dell' attività vesuviana recente, come i depositi piroclastici da caduta dell'eruzione di Pompei del 79 d.C. e le sottostanti rocce tufacee dell'Ignimbrite Campana. IPOTESI DI NORMATIVA/INDIRIZZI PER LA PIANIFICAZIONE COMUNALE IN AREE CON NOTEVOLE - PRESENZA DI CAVITÀ ARTIFICIALI Tra i diversi soggetti, individualmente o contestualmente interessati, che a vario titolo hanno a che fare con le problematiche connesse al sottosuolo (Enti gestori di reti tecnologiche, Pubbliche amministrazioni, privati, etc..), ognuno ha un interesse diverso (tutela della pubblica incolumità, corretto funzionamento delle reti tecnologiche, utilizzazione di un bene di cui si è proprietari, etc.) ma nessuno di loro ha una esatta conoscenza del sottosuolo e delle relative interferenze circa la sua utilizzazione. Gli aspetti gestionali e manutentivi, quindi, risultano affrontati in maniera parziale e settoriale, lasciando ampi margini all'abbandono, al degrado e, di conseguenza, al potenziale rischio che potrebbe generarsi sia al soprassuolo che alle stesse reti allocate nelle cavità stesse. L'evoluzione della ricerca nel campo dello studio delle cavità artificiali, se negli ultimi anni ha portato a significativi risultati in merito alle metodologie di analisi, rilievo e catalogazione delle cavità, non ha ancora consentito, la costruzione di norme e regolamenti da inserire nella prassi ordinaria di pianificazione e gestione del territorio. Ai fini della predisposizione di indirizzi da fornire ai Comuni per la pianificazione in aree con notevole presenza di cavità (le cavità sono soprattutto concentrate nelle parti di più antica formazione dei centri abitati), si ritiene pertanto indispensabile che questi enti possano dotarsi di: un catasto completo delle cavità artificiali presenti nel sottosuolo del proprio territorio, in particolare di quello urbanizzato; una mappa completa e dettagliata delle reti tecnologiche, con la specificazione dell'epoca di realizzazione, dei materiali utilizzati, della quota del piano di posa, dello stato di manutenzione etc., al fine di valutarne il grado efficienza e di eventuale interferenza con le cavità artificiali; una normativa d'uso che contempli sia il corretto uso delle attività al soprassuolo, laddove risulta la presenza di cavità sotterranee, sia delle cavità stesse, in funzione della loro tipologia, accessibilità, interesse; un piano di manutenzione del sottosuolo urbano, finalizzato, ciclicamente, a verificarne la tenuta e/o la eventuale necessità di interventi più consistenti. 94 di 96 PSAI AdB Campania Centrale Appendice alla RELAZIONE GEOLOGICA CONCLUSIONI Gli studi condotti dalla Regione Campania e dalla Provincia di Napoli, rispettivamente per le cavità di origine naturale e di origine antropica, ha permesso di realizzare un primo inventario delle fenomenologie presenti sul territorio, portando all'identificazione di casi variamente distribuiti in differenti contesti geologici, geomorfologici e antropici. Il contributo derivato da questi primi censimenti ha comunque permesso di individuare alcune "macroaree", in cui i fenomeni risultano più diffusi e concentrati, ed aree di "attenzione" che risultano particolarmente suscettibili all'accadimento di questo tipo di eventi. Si tratta di aree abbastanza ben definite, caratterizzate da una numerosa presenza di fenomeni che in alcuni casi si sono ripetuti anche in tempi recenti con una certa frequenza (es. Forino), richiamate dall’AdB Campania Centrale in un apposito elaborato del PSAI denominato “Carta dei sinkholes di origine naturale”. La frequenza di accadimento in alcune aree pone seri problemi di pianificazione per le autorità locali in termini di rischio e suggerisce di includere, in aggiunta alla valutazione del rischio per altri fenomeni naturali, anche la valutazione del "rischio sinkhole" nei piani di Protezione Civile, attraverso appositi Piani Stralcio di bacino in relazione alla migliore conoscenza dei fenomeni per la mitigazione del rischio correlato, sia per i sinkholes di origine naturale che per quelli di origine antropica. Infatti, anche solo la presenza e l'identificazione di aree con fenomeni di sinkhole dovrebbe essere tenuta in considerazione in termini di pianificazione territoriale. Ad esempio, nel caso dei versanti carbonatici, la presenza di aree fortemente fratturate e carsificate può avere serie ripercussioni sulla costruzione di infrastrutture come strade o gallerie o anche sulla presenza di insediamenti abitativi. A tal proposito, peraltro, risulta di notevole supporto anche la correlazione alla banca dati del Catasto Grotte della Campania (Federazione Speleologica Campana, 2007) che, grazie al continuo aggiornamento legato alle attività di ricerca speleologica sul territorio, fornisce un prezioso patrimonio di informazioni sulla geografia dei vuoti nel sottosuolo e sugli assetti geologico strutturali ed idrogeologici dei contesti in cui si sviluppano. Analogamente, nel caso di quelle aree interessate da sinkhole in depositi incoerenti, come la conca endoreica di Forino, sono da prevedersi approfondimenti di maggiore dettaglio alla scala comunale soprattutto in previsione di una futura espansione urbanistica o in previsione di un’eventuale realizzazione di opere in sotterraneo. Particolare attenzione dovrà essere rivolta, infine, ai territori classificati ad alta sismicità dove in passato si sono già generati sinkhole di grandi dimensioni. _____________________ Bibliografia SANTO A., DEL PRETE S. (2010) e bibliografia correlata – “I sinkholes di origine naturale nel territorio campano”. Lavoro svolto nell’ambito della convenzione tra il Settore Difesa del Suolo della Regione Campania e il Dipartimento di Ingegneria Idraulica, Geotecnica e Ambientale dell’Università di Napoli Federico II: Censimento e catalogazione degli sprofondamenti legati a cause naturali (sinkholes) della Campania. 95 di 96 PSAI AdB Campania Centrale Appendice alla RELAZIONE GEOLOGICA DEL PRETE S., GIULIVO I., SANTO A. (2008) e bibliografia correlata – “Nuove ipotesi sulla formazione dei piping sinkhole in a<ree alluvionali: il caso della piana di Forino”. C.I.R.AM., Università degli Studi di Napoli Federico II (1998-2001) e bibliografia correlata – “Realizzazione di un database e indirizzi per la pianificazione nei comuni con elevata presenza di cavità artificiali nel sottosuolo”. Lavoro svolto nell’ambito della convenzione tra il C.I.R.AM. e la Provincia di Napoli: Analisi dell'ambiente fisico ed antropizzato, individuazione e definizione dei rischi naturali. 96 di 96 APPENDICE 1 - CARTE GEOTEMATICHE DI BASE Sommario 1.1 EX AUTORITÀ DI BACINO SARNO – AMBITO TERRITORIALE DEI COMUNI DI GRAGNANO, CASTELLAMMARE, CASOLA DI NAPOLI, PIMONTE, PALMA CAMPANIA, VICO EQUENSE, META, SORRENTO, MASSALUBRENSE, S. ANTONIO ABATE, LETTERE, S. AGNELLO, PIANO DI SORRENTO- ................................................................................................................................................... 3 1.2 EX AUTORITÀ DI BACINO SARNO-AMBITO TERRITORIALE DELLE PROVINCE DI AVELLINO E SALERNO ........................ 5 1.2.1 Substrato ...................................................................................................................................................5 1.2.2 Depositi di copertura ..................................................................................................................................8 1.2.3 Geomorfologia .........................................................................................................................................10 1.2.4 Franosità..................................................................................................................................................13 1.2.5 Pedologia.................................................................................................................................................18 1.3 EX AUTORITÀ DI BACINO NORD OCCIDENTALE- LE DORSALI CARBONATICHE -I MONTI DEL CASERTANO – VALLE SUESSOLA 21 1.3.1 Carta geolitologica ...................................................................................................................................21 1.3.2 Carta delle coperture ...............................................................................................................................21 1.3.3 Carta geomorfologica...............................................................................................................................21 1.3.4 Carta-inventario dei fenomeni franosi ......................................................................................................22 1.4 EX AUTORITÀ DI BACINO NORD-OCCIDENTALE - IL BACINO DEL VALLO DI LAURO ................................................... 22 1.4.1 Carta geolitologica ...................................................................................................................................23 1.4.2 Carta delle coperture ...............................................................................................................................23 1.4.3 Carta geomorfologica...............................................................................................................................23 1.4.4 Carta-inventario dei fenomeni franosi ......................................................................................................23 1.5 I RILIEVI DEL BAIANESE ................................................................................................................................. 23 1.5.1 Carta geolitologica ...................................................................................................................................24 1.5.2 Carta delle coperture ...............................................................................................................................24 1.5.3 Carta geomorfologica...............................................................................................................................24 Avella .....................................................................................................................................................................24 Mugnano del Cardinale ..........................................................................................................................................24 Quadrelle................................................................................................................................................................24 Roccarainola ..........................................................................................................................................................25 1.5.4 Carta-inventario dei fenomeni franosi ......................................................................................................25 1.6 IL DISTRETTO VULCANICO DEI CAMPI FLEGREI: IL SETTORE CONTINENTALE ......................................................... 25 1.6.1 Carta geolitologica ...................................................................................................................................25 1.6.2 Carta geomorfologica...............................................................................................................................25 1.6.3 Carta-inventario dei fenomeni franosi ......................................................................................................26 1.7 IL DISTRETTO VULCANICO DEI CAMPI FLEGREI: L’ ISOLA DI ISCHIA ...................................................................... 26 1.7.1 Carta geolitologica ...................................................................................................................................26 1.7.2 Carta geomorfologica...............................................................................................................................26 1.7.3 Carta-inventario dei fenomeni franosi ......................................................................................................26 1.8 IL DISTRETTO VULCANICO DEI CAMPI FLEGREI: L’ ISOLA DI PROCIDA .................................................................. 27 1.8.1 Carta geolitologica ...................................................................................................................................27 1.8.2 Carta delle coperture ...............................................................................................................................27 1.8.3 Carta geomorfologica...............................................................................................................................28 1.8.4 Carta-inventario dei fenomeni franosi ......................................................................................................28 1.9 IL COMPLESSO VULCANICO DEL SOMMA-VESUVIO ............................................................................................ 28 1.9.1 Carta geolitologica ...................................................................................................................................28 1.9.2 Carta delle coperture ...............................................................................................................................28 1.9.3 Carta geomorfologica...............................................................................................................................29 1.9.4 Carta-inventario dei fenomeni franosi ......................................................................................................29 1.1 EX AUTORITÀ DI BACINO SARNO – AMBITO TERRITORIALE DEI COMUNI DI GRAGNANO, CASTELLAMMARE, CASOLA DI NAPOLI, PIMONTE, PALMA CAMPANIA, VICO EQUENSE, META, SORRENTO, MASSALUBRENSE, S. ANTONIO ABATE, LETTERE, S. AGNELLO, PIANO DI SORRENTOI rilievi di campo sono stati effettuati su carte topografiche in scala 1:5000 e integrati da analisi accurate di foto aeree e ortofoto recenti. Ciò ha consentito di allestire 4 carte tematiche (carta geologica, carta geomorfologica, carta delle frane e carta degli spessori delle coperture piroclastiche) i cui elementi fondamentali sono stati poi opportunamente digitalizzati e georeferenziati in modo da poter essere trattati facilmente in ambito GIS (Arcgis 8.3). La carta geolitologica è stata realizzata tenendo conto della Cartografia Geologica dell'A.d.B. Sarno - Progetto CARG – 2003 rivisitato alla luce di un rilevamento geologico di campo (scala 1:5000) supportato sia dalla interpretazione di foto aeree (IGM volo 1998) e ortofoto (1998) che dalle risultanze di pubblicazioni recenti. La carta geomorfologica è stata elaborata prendendo come riferimento la legenda ad indirizzo applicativo proposta dal Gruppo Nazionale Geografia Fisica e Geomorfologica (1993). L’allestimento di tale carta ha tenuto conto dell’interpretazione di foto aeree (IGM volo 1998) e ortofoto (1998) e dei contributi scientifici (Migale e Milone, 1998; Del Prete & Mele, 1999; de Riso et alii, 2004). Nella carta delle frane sono stati rappresentati gli eventi di età accertata e quelli storici (nel secondo caso i limiti dell’area in frana ovviamente sono meno attendibili). Sono stati cartografati, infine, alcune tracce di frane la cui età non è nota e, con simbolo unico, vari piccoli dissesti non delimitabili alla scala della carta. La Carta degli spessori della copertura piroclastica è stata realizzata ex novo rispetto alla precedente elaborazione del 2002, effettuando un rilevamento geologico di base (scala 1:5000) supportato dalla interpretazione di foto aeree (IGM volo 1998) e di ortofoto (1998) nonché dall’analisi di pubblicazioni scientifiche (de Riso et alii, 2004). In questo modo nel territorio sono state distinte cinque classi di spessore delle coperture. Tutte le carte tematiche sono state digitalizzate mediante l’utilizzo dei programmi CAD per ottenere mappe con dati vettoriali. 3 di 29 Legenda della carta geomorfologica 4 di 29 Legenda della carta degli spessori E’ stata redatta inoltre, la Carta delle acclività mediante l’ausilio di un software (Arcgis) dotato di un apposito modulo per il calcolo della pendenza partendo dai valori altimetrici e da una rappresentazione digitale della morfologia del territorio (DTM). 1.2 EX AUTORITÀ DI BACINO SARNO-AMBITO TERRITORIALE DELLE PROVINCE DI AVELLINO E SALERNO 1.2.1 Substrato La cartografia del substrato geologico (Carta Geologica del Substrato, scala 1:5000) è stata derivata principalmente dagli elaborati più recenti e di maggior dettaglio disponibili al 2008 (Cartografia Geologica dell'AdB Sarno, scala 1:10.000 - Progetto CARG ed.2003), confrontati inoltre con la cartografia originale del SGN in scala 1:25.000. La rielaborazione è stata mirata alla distinzione e separazione tra i terreni del substrato e la coltre di copertura, ricostruendo, dove possibile, l’andamento dei limiti geologici e degli elementi strutturali “nascosti”, nella cartografia di riferimento, dai depositi di copertura. In alcuni casi i sopralluoghi di verifica, effettuati per “tarare” le rielaborazioni operate, hanno consentito di integrare gli elaborati di riferimento. Sono state riportate inoltre le principali sorgenti la cui ubicazione è stata derivata dalla cartografia topografica I.G.M. scala 1:25.000. La seguente descrizione di dettaglio delle litologie affioranti nell’area di studio fa riferimento alla Cartografia Geologica dell'AdB Sarno - Progetto CARG ed. 2003, messa a disposizione dalla STO AdB Sarno. DEPOSITI CONTINENTALI E VULCANICI QUATERNARI A) COMPLESSO ALLUVIONALE DI FONDOVALLE Alternanza di depositi continentali di natura sia vulcanica che alluvionale. I primi sono rappresentati essenzialmente da piroclastiti tardo quaternarie derivanti dall’attività degli apparati vulcanici del Somma Vesuvio, alterate, pedogenizzate e, a luoghi, rimaneggiate dalle acque correnti superficiali; 5 di 29 i secondi sono rappresentati da ghiaie, sabbie e limi derivanti dalla deposizione, ad opera delle acque correnti, dei sedimenti erosi dai bacini imbriferi di alimentazione. OLOCENE - PLEISTOCENE SUPERIORE. B) DEPOSITI DI CONCA ENDOREICA Limi e sabbie fini in strati lentiformi, gradati, con intercalati livelli detritici calcarei o pomicei in matrice limoso-siltosa di natura piroclastica e livelli piroclastici in giacitura primaria. OLOCENE PLEISTOCENE SUPERIORE; C) COMPLESSO DETRITICO - ALLUVIONALE DI PIEDIMONTE E PENDICE COLLINARE Depositi stratoidi eterometrici costituiti da alternanze di lenti e strati di ghiaie sabbiose addensate, a elementi carbonatici subangolari, in matrice sabbioso limosa, con livelli di materiale piroclastico. OLOCENE - PLEISTOCENE SUPERIORE; D) FORMAZIONE DELL’IGNIMBRITE CAMPANA Piroclastiti costituite alla base da pomici da caduta di colore grigio chiaro di spessore variabile tra 20 e 70 cm e successivamente da depositi da flusso piroclastico di colore grigio scuro, talora giallastro, con fessurazione colonnare, a diverso grado di saldatura e litificazione, con contenuto variabile in pomici grigio scure di dimensioni da centimetriche a decimetriche. Lo spessore varia da pochi metri ad alcune decine di metri; l’età radiometrica è di circa 37.000 anni. PLEISTOCENE SUPERIORE; E) BRECCE DI VERSANTE E CONGLOMERATI ANTICHI Brecce e conglomerati a vario grado di cementazione, a clasti carbonatici, con subordinata matrice; affioranti localmente in discordanza sulla successione carbonatica e sottostanti ai depositi piroclastici post-ignimbrite Campana. PLEISTOCENE SUPERIORE (?); F) CONGLOMERATI DI AGEROLA Depositi di conoide alluvionale e falde detritiche: conglomerati a clasti carbonatici subarrotondati di dimensioni comprese tra un centimetro e 15 cm, con scarsa matrice e con cemento calcitico. Brecce a clasti esclusivamente carbonatici di dimensioni variabili da pochi centimetri a circa un metro, con scarsa matrice, ben cementati e clinostratificati con pendenze di circa 35°. Questi depositi sono interessati da discontinuità di natura tettonica e non presentano livelli di materiale piroclastico. PLEISTOCENE SUPERIORE (?) - PLEISTOCENE INFERIORE. SUBSTRATO PRE-QUATERNARIO I) UNITÀ ARENACEO-CONGLOMERATICA DI CASTELLUCCIO Arenarie quarzoso-feldspatiche con frammenti litici a grana medio-grossolana, di colore marrone chiaro, talvolta decementate, di colore grigio scuro al taglio fresco, arenarie quarzoso micacee a grana fine. Paraconglomerati massivi e disorganizzati di colore marrone chiaro, mediamente cementati, ad elementi ciottolosi poligenici eterometrici, con abbondante matrice microconglomeratica ed arenitica; marne e calcari marnosi di colore grigio e avana in strati di spessore medio e di forma tabulare, pervasi da fratture con riempimento di calcite spatica, gradate, laminate. Talvolta è evidente l’amalgamazione degli strati. Tale successione poggia con contatto discordante sui calcari del Cretaceo superiore mediante brecce e conglomerati in matrice argilloso marnosa arrossata con elementi di natura arenacea e calcarea. TORTONIANO INFERIORE (?); II) FORMAZIONE DI CORLETO PERTICARA Marne, calcari marnosi, argille siltose e calcareniti di Serrone (Avellino). Marne da calcaree ad argillose e calcari marnosi di colore grigio, calcilutiti e rare calcareniti torbiditiche e calciruditi bioclastiche con alveoline e nummuliti, con frequenti intercalazioni sottili di argilliti policrome e arenarie grossolane litiche, arenarie micacee ed argille siltose. Argille marnose grigie, rossastre o verdognole, talora straterellate, con subordinate intercalazioni di calcareniti e calcilutiti torbiditiche in strati medi e sottili, calcari marnosi, marne silicifere di colore giallastro, bruno o verdognolo. MIOCENE INFERIORE (?) – PALEOGENE 6 di 29 1) CALCARI DI META Calcari e calcari dolomitici, ricchi di rudiste, di colore grigio biancastro o avana, in strati da spessi a medi, con frequenti intercalazioni di dolomie grigie. SANTONIANO – TURONIANO; Alternanza dl dolomie cristalline grigie, calcari micritici e biomicritici avana, grigi e marroni con rare intercalazioni di conglomerati con matrice marnosa verdastra. CENOMANIANO – APTIANO; 2) MARNE AD ORBITOLINE DEL FAITO Conglomerati a clasti calcarei e matrice marnosa verdastra passanti, sia lateralmente che verticalmente, a marne verdi e a calcari nodulari con tasche e spalmature marnose verdastre. Nella parte bassa: livello marnoso e a luoghi conglomeratico, di 2-3 metri di spessore, ricchissimo di orbitoline (“Livello ad orbitoline” Auct.). APTIANO; 3) CALCARI DI MOIANO Calcari avana chiaro a Requienidae, Ostreidae e resti di echinodermi, ben stratificati con strati da medi a spessi, ai quali si intercalano calcari biomicritici ricchi di Miliolidae. Localmente (Capo d’Orlando) calcilutiti sottilmente stratificate con resti di pesci, intercalate nella parte alta della successione. Verso il basso si passa ad un’alternanza di dolomie cristalline grigie, fetide, spesso laminate, calcari micritici grigi o marroni frequentemente laminati e con strutture tipo fenestrae, allineate parallelamente alla stratificazione; calcari biomicritici grigi o marroni. APTIANO – BERRIASIANO; 4) CALCARI OOLITITICI E DOLOMIE DI PIAZZA DI PANDOLA Calcareniti dolomitiche grigie ad elementi oolitici. Dolo-areniti bianche e grigie, a grana medio - fine in strati da spessi a molto spessi e con superfici di base piane; calcareniti a grana fine laminate ad elementi detritici e scheletrici (gasteropodi, spugne e briozoi) in strati tabulari da medi a spessi; calciruditi bianche, nodulari, ad oncoliti; calcilutiti bianche con nerinee, gasteropodi turriculati e frammenti di coralli; Le calcareniti sono segnate verso l’alto da lamine stromatolitiche, strutture di microcarsismo tipo fenestrae. MALM – DOGGER; 5) CALCARI A CLADOCOROPSIS Calcari e calcari dolomitici stratificati di colore variabile dal grigio al nero, raramente avana, fetidi, con abbondanti resti di Cladocoropsis mirabilis. In tutta l’unità sono presenti intercalazioni di dolomie fetide grigie grigio-scure. KIMMERIDGIANO – CALLOVIANO; 6) CALCARI OOLITICI Calcari e calcari dolomitici stratificati, di colore grigio, raramente avana o nocciola, frequentemente oolitici nelle parti inferiore e media, con intercalazioni di dolomie cristalline grigie. Nella parte basale sono presenti sottili intercalazioni di marne argillose grigio-verdastre. CALLOVIANO – TOARCIANO; 7) CALCARI A PALAEODASYCLADUS Calcari biomicritici, talora oncolitici, spesso dolomitici, a Palaeodasycladus mediterraneus, stratificati, di colore grigio, più raramente grigio scuro, avana o biancastro, spesso nerastro nella porzione sommitale, ai quali si intercalano frequentemente dolomie cristalline grigie. La parte più alta della successione presenta sottili intercalazioni di marne argillose grigio verdastre, in corrispondenza delle quali gli strati carbonatici, e talora anche le marne, si presentano ricchi di resti di molluschi di grandi dimensioni, frequentemente spatizzati (Facies a Lithyotis Auct.). TOARCIANO – HETTANGIANO; 8) CALCARI A LITHIOTIS Calcari di colore grigio con intercalazione di calcari dolomitici nerastri; calcari e calcari dolomitici in banchi distinti con bivalvi della “Facies a Lithiotis” di dimensioni fino e 40 cm. TOARCIANO; 9) DOLOMIE DI MAIORI Dolomie macrocristalline chiare, massive o mal stratificate. Nella parte bassa si presentano frequentemente conglomeratiche, con strutture microbialitiche, oncoliti, serpulidi, dasicladali e piccoli bivalvi. La parte alta, stratificata, presenta banchi separati da orizzonti stromatolitici 7 di 29 decimetrici, pisoidi rimaneggiati e livelli lenticolari ocracei-rossi marnosi. Le ultime decine di metri sono calcaree o calcareo-dolomitiche. HETTANGIANO NORICO; 10) DOLOMIE MASSIVE DI QUARANI Dolomie e dolomie calcaree (tipo tessiturale grainstone - packstone) grigio chiare di aspetto massivo. Nella porzione bassa dell’intervallo si presentano mal stratificate e con frammenti di selce. LIAS - TRIAS SUPERIORE; 11) CALCARI LISTATI Calcari dolomitici di colore grigio in strati da 3 a 30 cm spesso laminati, con livelli silicizzati localmente interessati da slump-breccia. LIAS - TRIAS SUPERIORE; 12) CALCARI LAMINATI DELLA SERRA DEL CAPELLO Calcari e subordinatamente calcari dolomitici di colore grigio scuro in strati da 5 a 30 cm con regolari livelli centimetrici e millimetrici di calcari marnosi e siltosi di colore chiaro. LIAS - TRIAS SUPERIORE; 13) DOLOMIE BIOCLASTICHE Dolomie con abbondanti resti spatizzati di gasteropodi, lamellibranchi e concrezioni algali di varie dimensioni. Dolomie laminate con occasionali livelli a serpulidi e livelli di brecce dolomitiche. TRIAS SUPERIORE; 14) DOLOMIE LAMINATE Dolomie e subordinatamente dolomie calcaree laminate di colore grigio scuro. Nella porzione medio alta della successione sono presenti rari livelli contenenti abbondanti resti di lamellibranchi e gasteropodi spatizzati. TRIAS SUPERIORE; 15) DOLOMIE NERE BITUMINOSE Dolomie e calcari dolomitici di colore dal nero al grigio chiaro, pravalentemente laminati, e in strati sottili (da 1 a 10 cm). Intercalazioni di argille fogliettate, ricche di materiale organico; subordinatamente marne giallastre ed argille grigie, rossastre, nere e giallastre. TRIAS SUPERIORE; 16) DOLOMIE A BANDE Dolomie e dolomie calcaree spesso stromatolitiche di colore dal grigio chiaro al grigio scuro organizzate in strati da pochi centimetri a oltre un metro talvolta con strutture di tipo tepee. TRIAS SUPERIORE; 1.2.2 Depositi di copertura Tali depositi costituiscono i sedimenti più superficiali di natura residuale, colluviale, piroclastica, detritica o alluvionale. Essi sono stati distinti, ai fini applicativi, in base alle loro caratteristiche litotecniche e genetiche (tipologia) valutando inoltre l’andamento degli spessori con le modalità illustrate nella Relazione Tecnica sulle Metodologie e sulle Procedure adottate, alla quale si fa riferimento. Data la mancanza di uno standard di riferimento consolidato nella letteratura scientifica, per la redazione della Carta delle Coperture piroclastiche (tipologia), è stata sviluppata la seguente specifica legenda relativa alle tipologie dei depositi di copertura: COPERTURE RESIDUALI SUOLO Suoli sabbioso limosi e limoso sabbiosi più o meno argillosi sviluppati, con spessori significativi, su depositi detritici di fondovalle e di piana alluvionale; conservati su superfici stabili subpianeggianti quali ripiani intermedi, glacis pedemontani, piane alluvionali, ecc. COPERTURE PIROCLASTICHE DI VERSANTE 8 di 29 Deposito vulcanico costituito da ceneri e sabbie con, in subordine, pomici e scorie. La parte superficiale presenta spesso argille di neoformazione da pedogenesi (Allofane e Imogolite). Il deposito è differenziabile per areali morfologici di deposizione: SU CRINALE E RIPIANO – Deposito da caduta in giacitura primaria, con livelli superficiali di suolo ben sviluppati. SU VERSANTE – Depositi generalmente in giacitura secondaria interessati da processi di tipo colluviale e dilavamento superficiale, particolarmente rimaneggiati nelle concavità morfologiche (PZB). SU BASE VERSANTE – Depositi in giacitura secondaria, con inclusi clasti carbonatici, derivanti dal progressivo accumulo, talora in concavità morfologiche (PBC), di materiale proveniente dal versante anche per fenomeni di colata rapida. ALTRE COPERTURE DI VERSANTE ALLUVIONI E DETRITI DI VALLECOLA MONTANA Depositi eterometrici sciolti, costituiti da ghiaie e ciottoli angolari e subangolari, di natura carbonatica con presenza, a luoghi, di matrice fine di natura piroclastica. COPERTURE DI PIEDIMONTE DETRITO DI FALDA. Depositi clastici eterometrici sciolti, costituiti prevalentemente da ciottoli e blocchi angolari, di natura carbonatica e con abbondante matrice ghiaioso sabbiosa. ALLUVIONI TORRENTIZIE. Depositi eterometrici sciolti, costituiti da ghiaie e ciottoli carbonatici subangolari e/o arrotondati, con scarsa matrice sabbiosa e presenza di blocchi, a luoghi fino al mezzo metro cubo. ALLUVIONI E DETRITI DI CONOIDE. Depositi stratoidi eterometrici costituiti da alternanze di lenti e strati di ghiaie sabbiose a elementi subangolari, sabbie limoso ghiaiose più o meno addensate e limi argilloso ghiaiosi. COPERTURE ALLUVIONALI ALLUVIONI FLUVIALI. Depositi a granulometria da grossolana a media costituiti prevalentemente da ghiaie più o meno sabbiose con lenti e orizzonti di sabbie limose e, a luoghi, di limi e argille. ALLUVIONI DI CONOIDE. Depositi stratoidi eterometrici costituiti da alternanze di lenti e strati di sabbie ghiaiose, limi sabbiosi debolmente ghiaiosi più o meno addensati e limi argillosi. COPERTURE ANTROPICHE MATERIALE DI RIPORTO Accumuli artificiali di materiali sciolti eterogenei ed eterometrici. La ricostruzione della distribuzione degli spessori dei depositi di copertura è stata elaborata a partire dalla raccolta dei dati disponibili dalla letteratura scientifica relativi alla diffusione dei depositi piroclastici da caduta derivanti dagli eventi eruttivi più significativi ai fini dello studio in oggetto. Tali dati sono stati trattati e aggregati per definire in via preliminare delle macroaree finalizzate alla stima degli spessori attesi (cfr. Relazione Tecnica sulle Metodologie e sulle Procedure adottate). Tale zonazione preliminare è stata derivata dalla sovrapposizione delle aree racchiuse dalle isopache dei 10 o dei 20 cm (in base ai dati disponibili) relative ai principali eventi eruttivi vesuviani (post 17.000 ybp). Lo sviluppo in contemporanea delle attività di rilevamento geomorfologico e delle coperture ha consentito inoltre di evidenziare una buona corrispondenza tra gli ambiti geomorfologici e le 9 di 29 tipologie e spessori delle coperture rilevate. Sulla base di tale correlazione è stato possibile procedere ad una spazializzazione dei dati di campagna supportata inoltre dalle risultanze degli studi e dei rilievi pedologici a campione, i quali hanno confermato tale modello (cfr. paragrafo 6). Per la redazione della Carta delle Coperture piroclastiche (spessore) sono state utilizzate le seguenti classi di spessore: - da 0.0 a 0.5 m - da 0.5 a 1.0 m Tali classi comprendono le seguenti condizioni giaciturali: Substrato affiorante o subaffiorante con depositi di copertura in lembi discontinui conservati in tasche e piccole concavità morfologiche (cfr. Fig. 4); Depositi arealmente continui e con spessori condizionati dalla morfologia sepolta del substrato che affiora solo puntualmente (cfr. Fig. 5). - da 1.0 a 2.0 m - da 2.0 a 3.0 m Tali classi comprendono depositi arealmente continui con spessori condizionati dall'assetto morfologico del substrato che affiora solo lungo superfici esposte naturali e/o antropiche. - da 3.0 a 4.0 m - da 4.0 a 5.0 m Tali classi comprendono depositi arealmente continui con spessori condizionati dall'assetto morfologico del substrato che affiora raramente e solo in piccoli lembi lungo superfici esposte naturali e/o antropiche. - da 5.0 a 10.0 m - >10.0 m Tali classi comprendono sia depositi arealmente continui con spessori condizionati dall'assetto morfologico del substrato non affiorante, sia i depositi delle zone pianeggianti o subpianeggianti di fondovalle e con substrato individuabile solo tramite indagini geognostiche in sito 1.2.3 Geomorfologia Gli elementi geomorfologici significativi dell’area sono stati indagati sia direttamente in fase di rilevamento che attraverso lo studio di aerofotografie. I parametri morfologici di base (elevazione, esposizione e pendenza) sono stati elaborati a partire da un DEM specificamente realizzato sulla base della Carta Tecnica Numerica Regione Campania in scala 1:5.000 (cfr. Carta dei parametri morfologici da DEM). L’elaborazione dei dati geomorfologici rilevati è stata espressa nella Carta geomorfologica finalizzata allo studio della franosità territoriale. Tale elaborato rappresenta le forme denudazionali e deposizionali legate alla evoluzione più o meno recente del territorio ed i processi che ne determinano il modellamento attuale. Le forme sono state distinte in base all’agente morfogenetico prevalente che le ha prodotte e/o le produce; in base ai meccanismi attraverso i quali lo stesso agente ha svolto la sua azione ed, infine, in base al loro stato di attività. Tale cartografia è stata realizzata a campitura areale completa, in modo da suddividere l’intero territorio in aree omogenee in base ai criteri suddetti. Esse sono state rappresentate secondo una legenda di dettaglio che tiene conto sia della letteratura consolidata esistente (Servizo Geologico Nazionale Quaderni Serie III volume IV "Carta geomorfologica d'Italia - 1:50.000 Guida al rilevamento" 1994, a cura del Gruppo di Lavoro per la Cartografia Geomorfologica), sia dei caratteri peculiari del territorio studiato. Le modalità di studio qui riassunte sono illustrate nella Relazione Tecnica sulle Metodologie e sulle Procedure adottate, alla quale si fa riferimento. I vari morfotipi sono stati raggruppati come segue: ▪ Unità morfologiche e forme associate di genesi complessa ▪ Forme a controllo lito-strutturale ▪ Forme di versante dovute alla gravita' ▪ Forme fluviali e di versante dovute al dilavamento 10 di 29 ▪ Forme antropiche Si riporta di seguito la legenda e relativa codifica informatica dei morfotipi rilevati: Codic Denominazione e AL Alveo fluviale o torrentizio Alveo fluviale o torrentizio in ALV approfondimento Codic e IGAL LEV Versante litostrutturale ALVS LPD Lembo di paleosuperficie deposizionale dislocato dalla tettonica MEV Versante di faglia evoluto PAL Piana alluvionale PCV Piazzale di cava PEV Versante di faglia poco evoluto RIC Ripiano intermedio collinare RIM Ripiano intermedio montuoso RIS Rilievo isolato RLV SCA SDP SFG Rilevato stradale o ferroviario Scarpata antropica Superficie a debole pendenza Scarpata di faglia SLL Sella SME SPE TCL TFA Scarpata morfologica evoluta Scarpata morfologica poco evoluta Scarpata di terrazzo o di erosione fluviale quiescente Talus detritico colluviale Terrazzo fluviale antico TFR Terrazzo fluviale recente. VCL VFCS Vallecola colluviale Vallecola a fondo concavo sospesa VFDC Versante fluvio_denudazionale bacino imbrifero collinare di VFDM Versante fluvio_denudazionale bacino imbrifero montano di VLP Vallecola a fondo piatto VLU Vallecola a U Alveo strada CV CVF Area rimodellata antropicamente Conoide alluvionale inattivo Conoide alluvionale quiescente Conoide colluviale Conoide detritico alluvionale attivo Conoide detritico alluvionale inattivo Conoide detritico alluvionale quiescente Cono detritico quiescente Crinale collinare Crinale montuoso Cresta o crinale molto serrato Canalone in roccia con scariche di detrito Cava Fossa di cava DIRP Discarica_riporto ARA CAI CAQ CCL CDA A CDAI CDA Q CDQ CRC CRM CRST CSD FCV FEV Fronte di cava Faccetta di scarpata tettonica Faccetta di erosione fluviale FFL antica FLDA Falda detritica attiva FLDQ Falda detritica quiescente Fianco di reincisione di FRCD conoide detritico alluvionale inattivo Frana (cumulo) o traccia di FRNC zona di invasione _ accumulo Frana (nicchia) o traccia di FRNN zona di distacco Frana (transito) o traccia di FRNT zona di transito STFQ Denominazione Imbocco di galleria 11 di 29 FS Forra o valle fluviale molto incisa Fosso FSS Fosso in approfondimento VSCF GLC A Glacis d'accumulo ZOB FRR VLV Vallecola a V VSC Vasca Versante o scarpata di degradazione soggetti a crolli e_o flussi detritici Zero Order Basin Di seguito si riporta il significato e la genesi dei principali morfotipi riconosciuti e cartografati: UNITÀ MORFOLOGICHE E FORME ASSOCIATE DI GENESI COMPLESSA Sono entità geomorfologiche di ordine “gerarchico” superiore la cui genesi è il risultato sia del condizionamento litologico-strutturale sia di successive fasi morfogenetiche. CRINALI MONTUOSI E COLLINARI: aree a debole pendenza ubicate in corrispondenza della culminazione orografica dei rilievi ed in alcuni casi interpretabili come residui di antiche superfici morfologiche. La presenza delle diverse discontinuità tettoniche quali faglie e macrofratture delimitano e dislocano le dorsali, in senso trasversale. RIPIANI: lembi di superfici morfologiche sub-pianeggianti o debolmente inclinate ubicate sia in posizione intermedia sui versanti sia lungo crinali. Tali forme possono sia essere riconducibili a fattori litologico-strutturali, quali dislocazioni tettoniche, assetto giaciturale del substrato, morfoselezione, ecc.; sia avere il significato di superfici di erosione o accumulo riferibili ad antichi livelli di base. VERSANTI FLUVIO-DENUDAZIONALI DI BACINI IMBRIFERI: sono legati sia all’erosione lineare legata all’approfondimento del reticolo idrografico sia ai processi di denudazione areale e di massa. Il loro grado di stabilità è direttamente legato alle condizioni litostratigrafiche sia dei depositi di copertura sia dei terreni del substrato. FORME A CONTROLLO LITO-STRUTTURALE Nell’area studiata i morfotipi a controllo litostrutturale più significativi, per le finalità del lavoro, sono rappresentati da: CRESTE O CRINALI MOLTO SERRATI: rappresentano aree di crinale assottigliate da processi erosivi che hanno interessato la parte alta dei versanti; spesso tali morfotipi sono interrotti da salti di pendenza legate sia a fattori strutturali sia a fattori litologici. VERSANTI LITOSTRUTTURALI: rappresentano areali dove i processi di erosione sono controllati principalmente dalla giacitura degli strati, dall’orientamento della fratturazione e dalla competenza dei litotipi affioranti. SCARPATE: rappresentano salti morfologici riconducibili principalmente a fenomeni di morfoselezione. Essi sono stati distinti in base al loro grado di evoluzione geomorfologica e rappresentano aree di innesco e alimentazione di crolli e flussi detritici. FORME DI VERSANTE DOVUTE ALLA GRAVITA' Le principali forme appartenenti a tale gruppo sono descritte nel paragrafo 5.2 relativo alla Franosità. FORME FLUVIALI E DI VERSANTE DOVUTE AL DILAVAMENTO ZOB (Zero Order Basins): Depressioni concave sviluppate in corrispondenza delle zone apicali delle testate d’impluvio di primo ordine gerarchico. Rappresentano aree di accumulo preferenziale di depositi, generalmente sciolti, di origine piroclastica e detritico-colluviale. CONOIDI E TALUS COLLUVIALI: rappresentano forme di accumulo, di pendice collinare e di piedimonte, originate da processi eluvio-colluviali. In particolare le prime sono situate allo sbocco 12 di 29 di impluvi di limitata estensione e bassa pendenza nei quali non è sviluppato un vero e proprio reticolo drenante. CONOIDI DETRITICO-ALLUVIONALI: rappresentano zone di invasione allo sbocco dei valloni montani, dove il gradiente topografico si riduce e i flussi provenienti dai versanti, dapprima incanalati, possono perdere velocità e capacità di trasporto, espandendosi e depositando materiali grossolani e fini con scarsissima selezione. CONOIDI ALLUVIONALI: sono forme di accumulo che si sviluppano allo sbocco dei corsi d’acqua in zone pianeggianti, o nel caso di affluenti, nel fondovalle del collettore principale. La deposizione è controllata dalla diminuzione di capacità di trasporto dei flussi idrici. TERRAZZI FLUVIALI: rappresentano il risultano di fasi di sovralluvionamento dei fondovalle alternate a fasi di approfondimento degli alvei fluviali. L’alternanza di tali fasi porta alla formazione di superfici subpianeggianti interrotte verso l’asse vallivo da scarpate morfologiche. La pericolosità geomorfologica è legata all’inondabilità dei terrazzi stessi. 1.2.4 Franosità La frequenza, l’entità e la tipologia dei fenomeni franosi rilevati sono condizionati fortemente dalla natura e dall’assetto strutturale dei terreni affioranti. Ai diversi ambiti morfostrutturali individuati corrisponde infatti una franosità caratteristica. L’area di affioramento del substrato carbonatico è caratterizzata da frane del tipo crollo, colata detritica e, laddove è presente una diffusa copertura piroclastica, colata rapida di fango. I crolli coinvolgono prevalentemente le scarpate in roccia situate a più altezze lungo i versanti mentre le colate si innescano prevalentemente, ma non solo, dalle concavità morfologiche che presentano significativi accumuli di depositi di copertura; in particolare, le colate detritiche possono costituire inoltre il meccanismo evolutivo di alcune frane di crollo. L’area di affioramento delle successioni terrigene è caratterizzato da frane di tipo scorrimento rotazionale e colata lenta; spesso i fenomeni riconosciuti sono misti: derivanti cioè dalla combinazione dei due tipi di movimento. In alcune concavità morfologiche caratterizzate dall’accumulo di depositi colluviali e, più spesso, a monte dei fenomeni franosi, sono riconoscibili movimenti lenti del tipo creep superficiale. Per la definizione delle tipologie di frana è stata adottata la classificazione di Cruden & Varnes (1994). Per quanto attiene lo stato di attività, per ciascuna tipologia di frana sono stati discriminati i fenomeni attivi, quiescenti ed inattivi, sulla base dei criteri già descritti nella Relazione Tecnica sulle Metodologie e sulle Procedure adottate, alla quale si fa riferimento. Si riporta di seguito la legenda e relativa codifica informatica della Carta Inventario delle frane, scala 1:5000: Codice Tipologia Denominazione Frana Zona o traccia di distacco di colata estremamente rapida di CERF1 fango Zona o traccia di transito di colata estremamente rapida di CERF2 fango Zona o traccia di accumulo di colata estremamente rapida di CERF3 fango Zona o traccia di distacco di colata estremamente rapida di CERD1 detrito Zona o traccia di transito di colata estremamente rapida di CERD2 detrito 13 di 29 ZTFDF Zona o traccia di accumulo di colata estremamente rapida di detrito Zona o traccia di transito di flussi detritici o fangosi incanalati ZTFIC Zona o traccia di transito di flussi iperconcentrati incanalati SCR1 Zona di distacco di scorrimento rotazionale SCR2 Zona di transito di scorrimento rotazionale SCR3 Zona di accumulo di scorrimento rotazionale CLL1 Zona di distacco di colata lenta CLL2 Zona di transito di colata lenta CLL3 Zona di accumulo di colata lenta Zona di distacco di frana complessa scorrimento rotazionale colata lenta Zona di transito di frana complessa scorrimento rotazionale colata lenta Zona di accumulo di frana complessa scorrimento rotazionale colata lenta Scarpata interessata da distacco di crolli e/o ribaltamenti CERD3 SCR_CLL1 SCR_CLL2 SCR_CLL3 DCRRB ACRRB ZCRFD Area di accumulo di crolli e/o ribaltamenti Area di versante interessata da distacco e transito di crolli e flussi detritici Si riporta di seguito la descrizione di dettaglio delle tipologie di frana rilevate: FRANE DI CROLLO: sono state individuate principalmente in corrispondenza di scarpate ad elevata acclività impostate in successioni lapidee. Esse sono caratterizzate dall’improvviso distacco di volumi estremamente variabili di roccia che, dapprima, si muovono in caduta libera e, successivamente, impattano al piede del pendio con ulteriori movimenti di rimbalzo e/o rotolio, proiettando i materiali di frana in aree la cui estensione è legata a diversi fattori, quali: il volume del materiale di primo distacco, la pendenza della zona di primo impatto, la morfologia dell’area di invasione. 14 di 29 Scarpata rocciosa a monte della frazione Casate (Solofra) Il collasso degli ammassi rocciosi avviene lungo piani di “debolezza”, rappresentati da fratture e giunti di strato, secondo tre principali modalità di base: scivolamenti planari (plane sliding), scivolamenti di cunei (wedge sliding), ribaltamenti (toppling). La dimensione e la forma dei blocchi varia notevolmente in funzione della spaziatura e orientamento delle discontinuità. Blocchi “a mensola” sul ciglio della scarpata sommitale 15 di 29 COLATE RAPIDE DI DETRITO: sono state riscontrate in corrispondenza di alcuni versanti carbonatici a morfologia accidentata, caratterizzati dalla presenza, nelle zone apicali, nelle testate di impluvio o lungo tratti di canale a forte acclività, di detriti di versante a granulometria grossolana. Tali materiali, dopo essere stati mobilizzati a seguito di un improvviso distacco, tendono ad invadere, sotto forma di “flussi” misti di acqua e detriti, le zone di piedimonte, dove possono raggiungere le aree di conoide o la falda detritica. COLATE RAPIDE DI FANGO: sono state riconosciute in corrispondenza dei versanti carbonatici con copertura piroclastica. Esse sono caratterizzate dalla mobilizzazione improvvisa di masse di materiale con alto contenuto d’acqua che, spostandosi verso valle ad elevata velocità, possono aumentare di volume per assimilazione, lungo il loro percorso, di materiali erosi direttamente dal versante o da preesistenti vallecole. Tali materiali possono raggiungere direttamente le aree di piedimonte a minore acclività esaurendo la loro energia, oppure possono incanalarsi lungo zone di deflusso già esistenti, talora raggiungendo le aree di conoide detritico alluvionale dove il materiale si espande ricoprendo superfici proporzionali alla massa mobilizzata. Per tali frane, così come per le colate detritiche precedentemente descritte, sono state distinte, laddove possibile, le zone di distacco, le zone di transito/alimentazione e le zone di accumulo. Ad ogni frana rilevata è stato inoltre attribuito un codice numerico identificativo (ID). Colata rapida incanalata nel V.ne Grotte (Forino) del 04/03/2005 - ID1885 SCORRIMENTI ROTAZIONALI: Sono stati individuati laddove le litologie del substrato sono rappresentate da terreni a comportamento geotecnico complesso. Essi si verificano per superamento della resistenza di taglio del terreno lungo superfici di neoformazione talora associate a superfici preesistenti (contatto tra materiali di copertura e substrato, contatto tra la porzione alterata e quella integra di un ammasso roccioso, ecc.). Tali frane presentano un aspetto morfologico tipico, più o meno riconoscibile in funzione dell’età e dello stato di attività, caratterizzato da una zona di distacco con scarpata principale ad andamento arcuato; un terrazzo di testa di frana talora ruotato in contropendenza rispetto all’andamento del versante; blocchi secondari delimitati da fessure longitudinali. Il materiale mobilizzato può 16 di 29 continuare il suo movimento, a seconda della natura litologica e del contenuto d’acqua, attraverso meccanismi di colata sia lenta che rapida, dando luogo a frane ad evoluzione complessa. Nella precedente figura è riportato un esempio relativo ad una frana del tipo scorrimento rotazionale ad evoluzione complessa (ID 1887), mobilizzatasi a seguito degli eventi pluviometrici del 04 - 05 marzo 2005 in località Peschiera nel comune di Forino (AV). Tale evento, dopo una prima mobilizzazione con l’apertura di scarpate di neoformazione e rigonfiamenti nel corpo di frana, non è evoluto in colata seppure le condizioni geomorfologiche ‘al contorno’ fossero “predisponenti”. Il permanere di una possibile evoluzione in colata del fenomeno suddetto conferisce alla zona di piede (a valle della quale è presente una abitazione) il carattere di “area di attenzione” in occasione di eventi pluviometrici intensi. Frana complessa di Loc. Peschiera (Forino) del 04/03/2005 - ID1887 COLATE LENTE: sono state individuate laddove sono presenti spessori significativi di depositi di copertura a comportamento plastico e/o terreni del substrato a prevalente litologia argillosomarnosa. Tali frane presentano una morfologia caratterizzata da tipiche ondulazioni della superficie topografica con raggio di curvatura da metrica a decametrica. Esse sono presenti soprattutto in forma complessa scorrimento – colata; a luoghi la fase di colamento può essere preceduta da una fase di deformazione lenta, tipo creep, della copertura colluviale a riempimento delle concavità morfologiche. CREEP: tali movimenti si sviluppano in prevalenza nelle coltri di copertura, soprattutto in corrispondenza di accumuli in concavità morfologiche. Essi si esplicano mediante la progressiva deformazione dei terreni interessati, la quale si esaurisce in genere a breve profondità, determinando, in superficie, tipiche ondulazioni con dimensioni da decimetriche a metriche. 17 di 29 1.2.5 Pedologia La coincidenza tra superfici geomorfologiche e distribuzione dei suoli è stata spiegata su basi scientifiche da vari autori (Daniel et al. 1971, Conacher & Dalrymple 1977, Birkeland 1984). Tale fatto ha aperto la strada a metodi rapidi ed economici di cartografia dei suoli su area vasta, non altrimenti realizzabili (si pensi che normalmente per fare una carta dei suoli occorre scavare dei profili o estrarre delle carote, per tutto lo spessore del suolo, in numero all’incirca di 2 per ogni cm 2 di carta topografica). Il concetto di “unità geomorfopedologica”, utilizzato nel presente lavoro, è stato inteso come “unità geomorfologica coperta da un suolo o da un’associazione definita di suoli, avente una determinata distribuzione geografica, e quindi mappabile, che può essere delineata su una carta in base alle corrispondenze tra morfotipi e ambiente pedogenetico”. Attraverso l’uso di tale concetto e delle metodologie ad esso correlate, è stato possibile sia programmare, a partire dagli studi geomorfologici, dei percorsi per i rilievi pedologici di campo, sia, soprattutto, procedere alla spazializzazione dei dati in zone difficilmente accessibili. Sulla base di tali premesse concettuali è stato condotto uno studio pedologico dei depositi di copertura dell’area di approfondimento di Nocera Inferiore, rilevando i suoli dei principali morfotipi riconosciuti dagli studi geomorfologici, rappresentativi della variabilità pedologica lungo i versanti montuosi e collinari. Sono stati selezionati 20 siti nei quali è stato effettuato un rilevamento dettagliato di campo mediante l’apertura di profili di suolo, descritti e campionati (cfr. Rapporto sulle indagini pedologiche) secondo le indicazioni contenute in: C.N.R. - Progetto Finalizzato Conservazione del Suolo - Sottoprogetto Dinamica dei Versanti - Pubblicazione n.11 “Guida alla descrizione del suolo”, ed. G. Sanesi - Firenze, 1977; FAO/ISRIC -1990 “Guidelines for soil profile description”. Al fine di valutare la variazione di alcune specifiche proprietà dei suoli (es.: proprietà andiche) in relazione alle diverse forme dei versanti, è stata inoltre effettuata, sui diversi orizzonti di suolo campionati, l’analisi del pH in NaF 1M con il metodo descritto da Blackmore et al., (1987). L’elaborazione dei dati rilevati è stata espressa nella Carta delle Unità Geomorfopedologiche della quale si riporta di seguito la relativa legenda: 1 Su_CRI SUOLI DEI CRINALI. Leptic Thaptovitric Andosols. Profilo tipo: P3. Suoli sabbioso franchi, poco profondi (60-100cm), con profilo tipo: “A-Bw-R”, talora: “A-Bw-C2Bwb-R. I limiti tra i vari orizzonti sono molto irregolari, a luoghi si rinvengono sacche di pomici in posizione primaria. Spesso l’orizzonte superficiale presenta scorie vulcaniche fino alla profondità di 10-20 cm., a maggiore profondità sono presenti esclusivamente pomici. 2 Su_SPIAN. SUOLI DELLE SPIANATE SOMMITALI. Pachic Thaptovitric Andosols (Thixotropic). Suoli limosi, molto profondi (>300 cm), con profilo tipo: “ A-AB-Bw-C-2Ab-2Bwb...”. I limiti tra gli orizzonti sono lineari, spesso si rinvengono livelli di piroclastiti in posizione primaria. Gli orizzonti “A” e “AB” sono molto sviluppati. 3 Su_VER_NORD SUOLI DEI VERSANTI ESPOSTI PREVALENTEMENTE A NORD (NORD, OVEST, NORD-OVEST). 18 di 29 3.1 SuVERN Suoli dei versanti regolari esposti prevalentemente a nord (nord e ovest). Mollic Thaptovitric Andosols (Thixotropic). Profilo tipo: P17 Suoli franco limosi, profondi (200- 300cm), talora con profilo ben differenziato “A-C-2BAb-2C3Bwb-4Bwb”. La pedostratigrafia tipo di questa unità è la più completa tra quelle osservate; in essa si riconoscono in alcuni casi suoli sviluppati su 3 diversi tipi di parent material vulcanici, ritrovati in posizione primaria. Al contatto tra i suoli descritti e il substrato carbonatico, si rinvengono suoli molto antichi, più duri, di spessore variabile, nei quali non si riscontrano proprietà andiche. 3.2 SuVERN_C Suoli dei versanti concavi e delle superfici a debole pendenza, esposti prevalentemente a nord (nord e ovest). Pachic Vitric Andosols (Thixotropic). Profilo tipo: P10 Suoli limosi, molto profondi (>300cm), con orizzonti “A” e “AB” ricchi in sostanza organica molto sviluppati, con copertura boschiva molto fitta. In questi suoli l’orizzonte A spesso supera i 100 cm di spessore. La pedostratigrafia tipo di questa unità è quella tipica dei depositi colluviali, con passaggi molto graduali tra i vari orizzonti, abbondanza di scheletro di natura vulcanica lungo tutto il profilo, e assenza di livelli di piroclastiti in posizione primaria. 3.3 Su_VERN_IMP Suoli dei versanti denudazionali dei bacini imbriferi, esposti prevalentemente a nord (nord e ovest). Vitric Andosols (Thixotropic). Suoli sabbioso franchi, molto profondi (>200 cm), con profilo tipo: “A-Bw1-Bw2-BC”. I suoli dei versanti denudazionali presentano caratteristiche tipiche dei depositi colluviali, con elevate quantità di scheletro e assenza di livelli di piroclastiti in posizione primaria. Rispetto ai suoli dei versanti concavi presentano un orizzonte A più sottile. 4 Su_VER_SUD SUOLI DEI VERSANTI ESPOSTI PREVALENTEMENTE A SUD (SUD, EST, SUD-EST). 4.1 Su_VERS Suoli dei versanti esposti prevalentemente a sud (sud e est). Leptic Vitric Andosols. Profilo tipo P18. Suoli sabbioso franchi, poco profondi (20-80cm), con profilo tipo: “A-Bw”, proprietà andiche depresse, generalmente poveri in sostanza organica. Di solito sono presenti su versanti sud aperti, di alta quota, molto ripidi e privi di copertura boschiva. 4.2 SuVERS_C Suoli dei versanti concavi e dei versanti a debole pendenza esposti prevalentemente a sud (sud e est). Vitric Andosols. Profilo tipo: P19. Suoli franco sabbiosi, moderatamente profondi (80-200 cm), con profilo tipo: “A-Bw1-Bw2”. Questi suoli presentano un orizzonte “A” più profondo e proprietà andiche più marcate rispetto ai suoli dei “versanti sud” descritti sopra. Generalmente sono presenti nelle aree concave dei versanti sud, su pendenze più moderate e con presenza di copertura boschiva, oppure lungo i versanti esposti a sud di bacini chiusi. 5 Su_VERER SUOLI DEI VERSANTI IN EROSIONE. Leptic Vitric Andosols. 19 di 29 Suoli sabbiosi, poco profondi (20-100cm), profilo tipo: “A-Bw”, presenti in prevalenza nelle aree di shoulder, ovvero di passaggio tra il sistema dei crinali e quello dei versanti, oppure in prossimità di versanti irregolari e accidentati. Queste aree sono caratterizzate da forma convessa, pendenza elevata e sono soggette ad un forte scorrimento superficiale con elevato dilavamento del suolo. 6 Su_DISC SUOLI DELLE AREE CON SUBSTRATO IN AFFIORAMENTO. Endoleptic Vitric Andosols. Suoli sabbioso franchi, molto sottili (10-50cm), con distribuzione discontinua. Questi suoli si conservano localmente in sacche e/o piccole depressioni morfologiche nelle aree di affioramento del substrato roccioso (es.: aree soggette a crolli e flussi detritici, creste e crinali in erosione, scarpate evolute). 7 Su_VALL SUOLI DEGLI ZERO ORDER BASINS E DELLE VALLECOLE COLLUVIALI. Pachic Vitric Andosols (Thixotropic). Profilo tipo: P14. Suoli molto profondi (>300cm), franco sabbiosi in superficie e franco-limosi in profondità, con orizzonti A molto sviluppati e ricchi in sostanza organica. Profilo tipo “A-AB-Bw” Questi suoli presentano una stratigrafia tipica dei depositi colluviali, con passaggi molto graduali tra i vari orizzonti, abbondanza di scheletro di natura vulcanica lungo tutto il profilo, e assenza di livelli di piroclastiti in posizione primaria. Spesso si riconoscono orizzonti di superficie relativamente spessi (50cm) ricchi in scheletro scoriaceo, e orizzonti di profondità ricchi in scheletro pomiceo. 8 Su_FRAN SUOLI DELLE AREE DI DISTACCO DI COLATA RAPIDA. Leptic Vitric Andosols (Thixotropic).Profilo tipo: P2. Suoli limoso argillosi, con profondità variabile (20-100 cm) in relazione all’età dell’evento franoso e alle dinamiche di refilling. Limiti molto irregolari tra gli orizzonti. 9 Su_FRAT SUOLI DELLE ZONE DI ALIMENTAZIONE E TRANSITO DELLE COLATE RAPIDE. Mollic Vitric Andosols (Thixotropic). Profilo tipo: P12 Suoli franco limosi, con profondità molto variabile (20-200 cm) in relazione all’età dell’evento franoso e alle dinamiche di refilling . Suoli ricchi in scheletro, con profilo tipo “A-Bw1-Bw2”. Pedostratigrafia tipica dei depositi colluviali, orizzonti “A” molto sviluppati e ricchi in sostanza organica. 10 Su_TAL SUOLI DELLE AREE PEDEMONTANE. Mollic Thaptovitric Andosols. Profilo tipo: P8 Suoli franco limosi, molto profondi (>300cm), ricchi in scheletro, con profilo tipo “A-Bw1-Bw2-Bw3”, talora “A-C-2Bwb…”. Suoli presenti alla base dei versanti (footslope) con pedostratigrafia tipica legata alle dinamiche colluviali e agli eventi di trasporto in massa. Sono sempre molto profondi e ben evoluti avendo a disposizione grandi quantità di acqua per i processi di pedogenesi. 11 Su_CON SUOLI DEI SISTEMI DEPOSIZIONALI DETRITICO ALLUVIONALI. Mollic Vitric Andosols (Skeletic). Profilo tipo: P20 Suoli sabbioso limosi, molto profondi (>500cm), ricchi in scheletro, con profilo tipo “A-Bw-C-2Ab2Bwb-2C-3A-3Bw-3C…” 20 di 29 1.3 EX AUTORITÀ DI BACINO NORD OCCIDENTALE- LE DORSALI CARBONATICHE -I MONTI DEL CASERTANO – VALLE SUESSOLA 1.3.1 Carta geolitologica La carta geolitologica contiene le informazioni standard della cartografia geologica ufficiale inerenti alla litologia ed agli aspetti strutturali, ma si distingue per un aspetto fondamentale, ovvero la rappresentazione planimetrica, nell’ambito delle dorsali carbonatiche, delle coperture (di origine vulcanica e detritico-colluviale) a tetto delle unità del substrato, distinte per classi di spessore (< 0.5 m; 0.5-2.0 m; 2.0-5.0 m; 5.0-20.0 m). Nella cartografia in scala 1:5.000, relativa alle aree vulcaniche, la differenziazione delle classi di spessore è prevista nel caso in cui lo spessore delle coperture non superi i 20 m, con individuazione di due sole classi di spessore ( 10 m, > 10 m). Le modifiche più significative apportate a questo tematismo nell’aggiornamento del PSAI 2011 hanno riguardato la delimitazione dei terreni affioranti nelle aree pedemontane. Tali modifiche, strettamente collegate anche a quelle introdotte nella cartografia geomorfologica, hanno riguardato i corpi di conoide ed i settori di glacis ad essi adiacenti. 1.3.2 Carta delle coperture La Carta delle coperture detritico-piroclastiche è stata oggetto innanzitutto di alcuni adattamenti, relativamente alla delimitazione delle varie classi di spessore, imposti dall’adozione della nuova cartografia di base. Inoltre, la disponibilità di alcuni studi di dettaglio depositati presso l’AdB, in uno con specifiche verifiche di campagna, ha consentito di aggiornare nel 2011 la Carta delle coperture, con particolare riguardo per i territori comunali di Santa Maria a Vico (bacino del Vallone Moiro e del Vallone Calzaretti) e di San Felice a Cancello (versante meridionale della collina di San Felice a Cancello). E’ da precisare al riguardo che, in taluni dei suddetti studi, si è riscontrata l’introduzione di una classe di spessore rappresentata da coperture discontinue di spessore compreso tra 0 e 0.5 m. Non essendo tale classe prevista nella legenda del vigente PAI, si è dovuto adottare un criterio che non alterasse l’unitarietà dell’impianto cartografico necessariamente valido per l’intero territorio di competenza dell’AdB. Pertanto, non essendo possibile desumere dai citati studi di dettaglio quei settori di versante ove il substrato fosse affiorante e quindi privo di coperture, si è ritenuto di dover confermare la classe di spessore già prevista nel vigente PAI (0 – 0.5 m), pur accogliendo le nuove e più precise perimetrazioni degli areali di pertinenza della nuova classe. 1.3.3 Carta geomorfologica La carta geomorfologica finalizzata al rischio di frana è stata impostata seguendo gli standard proposti dal GNG e dal Servizio Geologico Nazionale, ma tenendo altresì conto delle impostazioni seguite dal C.U.G.Ri. per le finalità precipue previste dal Piano Straordinario e valide anche per il Piano Stralcio (vedi peculiarità degli indicatori geomorfologici connessi alle zone di innesco e di accumulo degli eventi franosi che caratterizzano il territorio: crolli di rocce lapide; colate rapide in terreni piroclastici). Per le aree vulcaniche (Vesuvio e siti singolari dell’area Flegrea) l’impianto della cartografia geomorfologica in scala 1:5.000 ha previsto anche il ricorso ai metodi dell’analisi geomorfica quantitativa ai fini della stima del tasso di erosione di alcuni sottobacini. Per quanto attiene ai contesti caratterizzati da rocce lapidee e quindi all’individuazione degli indicatori utili ai fini della definizione dei meccanismi di innesco di frane da crollo e delle aree 21 di 29 d’invasione, nella carta geomorfologica in scala 1:5.000 si è proceduto all’individuazione di un congruo numero di siti singolari, ove sono stati effettuati studi geostrutturali di dettaglio. Nella Carta geomorfologica le modifiche più importanti apportate nell’aggiornamento del PSAI 2011 sono state quelle relative alla forma dei corpi di conoide, all’estensione dei corpi di glacis posti alla base dei versanti, nonché all’estensione delle numerose aree interessate da attività estrattiva (cave a cielo aperto). Per quanto riguarda i corpi di conoide detritico-alluvionale, i numerosi sopralluoghi effettuati, la realizzazione di nuove trincee e la consultazione di indagini pregresse allegate a progetti depositati presso l’AdB hanno permesso di ottenere una migliore delimitazione delle conoidi, consentendo altresì di differenziare in modo più accurato i settori relitti e quiescenti da quelli tuttora attivi. In tal senso, particolare attenzione è stata prestata, durante i nuovi rilevamenti alla verifica delle interferenze tra infrastrutture ed aree di conoide potenzialmente suscettibili di fenomeni di invasione/esondazione. Esemplificative, al riguardo, sono le modifiche apportate nell’ambito dei territori comunali di Maddaloni (riperimetrazione di alcune conoidi ed eliminazione dell’ampio corpo di conoide nella zona di piana tra il Monte Decoro e il Monte S. Michele) e di San Felice a Cancello (riduzione della conoide in contrada Talanico; cfr.§ 3.2), e nella fascia pedemontana della dorsale di Monte Tairano tra Arpaia e Santa Maria a Vico (riperimetrazione di alcune conoidi). Relativamente alla distribuzione ed estensione delle aree di cava, esse sono state aggiornate su base cartografica e pertanto, essendo strettamente associate all’epoca di realizzazione della cartografia di base (2004-2005) potrebbero, da un confronto odierno, presentare delle differenze soprattutto nel caso delle cave attive dal 2004 ad oggi. 1.3.4 Carta-inventario dei fenomeni franosi L’area di studio, nel periodo intercorso a partire dalla redazione del vigente PAI (2002), non è stata interessata da eventi franosi di particolare rilievo. Dai sopralluoghi di campagna e dalle segnalazioni da parte degli Enti sono emerse una piccola frana nel Comune di Caserta ed alcune frane di modesta entità verificatesi nel Vallone Moiro a Santa Maria a Vico. Nel caso della frana avvenuta a Caserta, si tratta di un modesto fenomeno di scorrimento-colata verificatosi in Via Giulia, le cui cause, come desunto anche dalla consultazione di relazioni tecniche redatte dal Comune e dal Genio Civile di Caserta, sono da ricondurre all’azione antropica. I corpi franosi cartografati nell’ambito del bacino del vallone Moiro a Santa Maria a Vico sono riconducibili a meccanismi da scorrimento traslativo, talora evoluto in colata, che hanno coinvolto le coperture piroclastiche, di spessore inferiore al metro, a copertura del basamento carbonatico. 1.4 EX AUTORITÀ DI BACINO NORD-OCCIDENTALE - IL BACINO DEL VALLO DI LAURO Anche nel caso del Vallo di Lauro l’aggiornamento del PAI si è basato su nuovi dati acquisiti in campagna, nonché su studi di dettaglio messi a disposizione dai Comuni a seguito dell’attività di concertazione avviata dall’AdB. Inoltre, è stata programmata ed eseguita, con attrezzature messe a disposizione dai Comuni, una campagna di indagini in sito speditive (trincee esplorative), con l’obiettivo di definire l’assetto stratigrafico e sedimentologico di alcuni settori pedemontani del Vallo di Lauro perimetrati, nell’ambito del PAI 2002, come “Aree suscettibili all’invasione di materiale detritico-fangoso, di incerta classificazione e perimetrazione da approfondire con studi di dettaglio”. I Comuni di Moschiano, Carbonara di Nola, Taurano e Liveri hanno dato disponibilità alla realizzazione delle trincee esplorative, mentre, pur se contattati dai tecnici dell’AdB, non è arrivata alcuna risposta dai Comuni di Quindici, Lauro, Domicella e Palma Campania. 22 di 29 1.4.1 Carta geolitologica La revisione della Carta geolitologica non ha comportato variazioni significative rispetto alla precedente edizione del PAI, ad eccezione di alcuni corpi di conoide, per i quali sono cambiate forma ed estensione. Tali modifiche sono state ereditate da quelle apportate alla Carta geomorfologica, cui si rimanda per i dettagli. 1.4.2 Carta delle coperture La Carta delle coperture detritico-piroclastiche ha subito limitate modifiche in seguito alle osservazioni eseguite durante i sopralluoghi effettuati sul territorio in esame. Nello specifico, lungo il versante meridionale di Pietra Maula, al confine tra i Comuni di Taurano, Lauro e Pago del Vallo di Lauro, ampi settori dell’area di versante sono risultati privi di depositi di copertura, mentre nella precedente edizione del PAI erano state riportate coperture afferenti a due classi di spessore (0.52.0 m e 2.0-5.0 m). Nello stesso ambito territoriale, le aree sommitali presentano coperture di spessore comprese tra 2.0-5.0 m e 5.0-20.0, al pari delle fasce di raccordo versante-fondovalle. Inoltre, un ampio settore del versante a Nord dell’abitato di Pago del Vallo di Lauro, ove nella precedente cartografia PAI erano state indicate coperture di spessore compreso tra 0.5 e 2.0 m, è stato riclassificato ed inserito nella classe <0.5 m. 1.4.3 Carta geomorfologica Per quanto attiene alla Carta geomorfologica, sono state apportate modifiche a forma ed estensione di alcuni corpi di conoide e, conseguentemente, all’estensione di settori di glacis alluvio-colluviale ad essi adiacenti. Più nello specifico, i dati acquisiti hanno consentito una migliore delimitazione di alcuni corpi di “conoide attivi poco o non reincisi” nei Comuni di Lauro (Vallone Troncito e Vallone di Pignano), Palma Campania, Domicella (Vallone Marini ed Alveo Ciullo Pisani), Carbonara di Nola (Vallone Coppola, Vallone dello Scarico e Fosso di Carbonara) e Pago del Vallo di Lauro (ad esempio Vallone del Volo). Inoltre, nel territorio comunale di Moschiano, i nuovi dati stratigrafici emersi dalle indagini in sito (nello specifico la trincea TM2) hanno consentito di cartografare una conoide allo sbocco di un impluvio posto a Nord-Ovest del Santuario la Carità, non rappresentato nella precedente edizione del PAI. 1.4.4 Carta-inventario dei fenomeni franosi La revisione della Carta-inventario dei fenomeni franosi non ha comportato variazioni rispetto alla precedente edizione del PAI. 1.5 I RILIEVI DEL BAIANESE In sede di aggiornamento della cartografia geotematica di base e derivata, la Carta geolitologica e la Carta-inventario dei fenomeni franosi non hanno subito significative modifiche rispetto alla precedente versione. Sensibili variazioni si sono registrate, invece, nella Carta geomorfologica, anche se circoscritte alle sole aree di conoide e nella Carta della pericolosità relativa che recepisce i cambiamenti apportati in tutti gli elaborati di base. 23 di 29 1.5.1 Carta geolitologica Non si segnalano dati che hanno determinato modifiche alle Unità di substrato riportate nella originaria cartografia del 2002, che perciò risulta immutata. Si registrano, invece, cambiamenti nei limiti e nella forma di alcuni delle conoidi oggetto di approfondimento. Tali modifiche trovano riscontro nella Carta geomorfologica dalla quale sono state recepite. 1.5.2 Carta delle coperture La Carta delle coperture registra alcuni cambiamenti derivanti o da studi redatti per differenti motivazioni (progetti per interventi, studi di compatibilità idrogeologica, studi di riperimetrazione) e trasmessi all’AdB, o da sopralluoghi all’uopo eseguiti in aree specifiche. Tali modifiche riguardano: - alcuni tratti dei versanti costituenti il bacino del vallone S. Michele/S. Pietro nel Comune di Mugnano del Cardinale; - piccoli tratti del versante di M.te Campimma ricadente nel Comune di Quadrelle; - limitati tratti del versante sud di M.te Fellino nel Comune di Roccarainola. 1.5.3 Carta geomorfologica Nella Carta geomorfologica si riscontrano cambiamenti solo nei limiti e nella forma di alcune conoidi oggetto di specifici studi di approfondimento. In questo caso le conoscenze acquisite mediante sopralluoghi e nuovi dati stratigrafici, in aggiunta alla disponibilità della base cartografica aggiornata, hanno permesso di definirne meglio lo stato di attività e l’impronta morfologica d’insieme; i nuovi dati stratigrafici si riferiscono ai soli Comuni di Quadrelle e Sirignano. Di seguito si segnalano le principali variazioni riferite a ciascun Comune. Avella La forma della conoide del Torrente Clanio, su cui è localizzato l’abitato, è pressocchè integralmente riconfermato, a meno di modeste variazioni dovute all’adattamento della forma della conoide alla nuova base topografica. È stata inoltre distinta, esclusivamente su base geomorfologica, una fascia distale della conoide rispetto ai settori apicali. È stata infine confermata la parte non riattivabile per modificazioni antropiche. Mugnano del Cardinale È stata ridimensionata la parte attiva della conoide sottesa dal Vallone S. Michele/S. Pietro. Tale variazione si giustifica con i lavori di sistemazione eseguiti nella parte apicale della conoide. Anche in questo caso è stata individuata, all’interno della conoide attiva, una parte apicale ed un settore distale. Quadrelle La parte attiva della conoide del T. Acquaserta, su cui è localizzato gran parte dell’abitato, è stata ridimensionata in prossimità dell’area apicale sia in sinistra che in destra idrografica, tenendo conto delle trincee esplorative messe a disposizione dal Comune. E’ stata inoltre 24 di 29 differenziata, nell’ambito della conoide attiva, una fascia distale dai settori apicali, anche in questo caso su base geomorfologica. Roccarainola La conoide minore su cui sorge l’abitato è stata riclassificata come quiescente. Quella di maggiore dimensione conserva il precedente limite tra settore non riattivabile per modificazioni antropiche e settore attivo; in quest’ultimo è stata distinta, su base geomorfologica, un’area apicale da una distale. Limitate variazioni, legate all’adattamento alla nuova cartografia di base, si riscontrano anche sulle conoidi relative ai diversi impluvi del versante sud di M.te Fellino. Anche in questo caso è stata distinta, su base geomorfologica, una fascia distale da una apicale. 1.5.4 Carta-inventario dei fenomeni franosi I cambiamenti nella Carta-inventario dei fenomeni franosi si limitano all’aggiunta di un nuovo evento franoso, peraltro di modesta entità, verificatosi nel Comune di Mugnano del Cardinale in tempi successivi alla realizzazione del precedente PAI. 1.6 IL DISTRETTO VULCANICO DEI CAMPI FLEGREI: IL SETTORE CONTINENTALE 1.6.1 Carta geolitologica La revisione della Carta geolitologica non ha comportato significative variazioni rispetto a quella della precedente edizione del PAI a cui si rimanda per il dettaglio inerente agli aspetti litologici, stratigrafici e strutturali. Le uniche modifiche di un certo rilievo si riferiscono alla delimitazione dei terreni affioranti nelle aree pedemontane, a seguito dell’acquisizione di dati derivanti da approfondimenti ed aggiornamenti trasmessi in questi anni all’AdB. Tali modifiche, strettamente collegate anche a quelle apportate sulla Carta geomorfologica, hanno riguardato essenzialmente alcuni corpi di conoide. 1.6.2 Carta geomorfologica Le modifiche apportate alla Carta geomorfologica si riferiscono essenzialmente alle aree pedemontane, con particolare riguardo per le conoidi. Alcune di queste sono state riviste sulla base di nuovi dati in possesso del DIGA, mentre un solo apparato di conoide (loc. Sartania, Comune di Napoli) è stato modificato sulla base di uno studio di approfondimento a carattere geologico-stratigrafico disponibile presso l’AdB. I numerosi sopralluoghi effettuati e l’analisi delle recenti ortofoto di dettaglio in possesso dell’AdB hanno permesso di raccogliere altre preziose informazioni, relative, in particolare, alle possibili interferenze tra infrastrutture e settori di conoide potenzialmente suscettibili a fenomeni di invasione da colata rapida e/o da alluvionamento. Al contempo sono state elaborate colonne stratigrafiche puntuali in corrispondenza di affioramenti o fronti di scavo, anche in riferimento ad indagini in sito per lo più pregresse ed allegate a progetti depositati presso l’AdB. Tale revisione ha comportato l’individuazione di alcune nuove conoidi, oltre ad una migliore delimitazione degli apparati già segnalati nel PAI 2002. Esemplificative in tal senso sono le modifiche apportate alla conoide in loc. Sartania (Napoli), la cui estensione è stata per buona parte 25 di 29 ridotta, ed alle numerose conoidi detritico-alluvionali, ancorché di limitata estensione, presenti nella parte occidentale e sud-orientale della Collina dei Camaldoli (Napoli). 1.6.3 Carta-inventario dei fenomeni franosi L’area di studio nel periodo intercorso dall’ultima redazione del PAI è stata interessata da numerosi eventi franosi. I sopralluoghi di campagna e nuove segnalazioni in possesso del DIGA e di altri Enti e la conseguente omogeneizzazione dei dati hanno portato ad una modifica dell’elaborato cartografico finale. A tal proposito si segnalano i numerosi dissesti verificatesi in contrada Cigliano (Pozzuoli) nel periodo compreso tra i mesi di febbraio e marzo del 2005. In particolare nei soli giorni 4-5 marzo 2005 si sono innescate lungo via Cigliano circa 60 fenomeni con volumi compresi tra pochi metri cubi ed alcune decine di metri cubi di prodotti detriticopiroclastici, con estensioni massime di circa 500 m2 . Sono state riconosciute frane riconducibili a diverse tipologie. Le più frequenti sono i crolli e gli scorrimenti traslativi con evoluzione in colata o in crollo, localizzati lungo le pareti ad elevata acclività presenti sui versanti laterali dei tratti stradali in trincea impostati essenzialmente in materiale piroclastico sciolto. Gran parte delle frane censite, pur avendo mobilitato modesti volumi di materiale, hanno raggiunto la sede stradale, causandone l’interruzione in più punti e costringendo l’Amministrazione comunale di Pozzuoli ad interventi di somma urgenza nei giorni immediatamente successivi all’evento. 1.7 IL DISTRETTO VULCANICO DEI CAMPI FLEGREI: L’ ISOLA DI ISCHIA 1.7.1 Carta geolitologica La revisione della Carta geolitologica non ha comportato rilevanti modifiche, legate alla disponibilità di nuovi dati, rispetto a quella della precedente edizione del PAI, a cui si rimanda per il dettaglio dell’assetto stratigrafico-strutturale. Le uniche modifiche hanno riguardato la delimitazione dei terreni affioranti lungo le aree costiere, in quanto, a causa dell’adozione della nuova base topografica, si evidenziavano palesi incongruenze lungo il perimetro isolano. Pertanto, si è dovuto procedere all’adattamento degli areali di pertinenza dei vari complessi geolitologici alla nuova base topografica, talora ricorrendo a controlli mirati sul territorio. 1.7.2 Carta geomorfologica La revisione della Carta geomorfologica rispetto alla precedente edizione PAI ha comportato soprattutto modifiche conseguenti al cambio di base topografica. Anche in questo caso, infatti, i tematismi presenti lungo il perimetro costiero sono stati adattati alla nuova cartografia utilizzata per l’aggiornamento. Per lo stesso motivo, alcune forme presenti nelle aree interne e già riportate nella precedente edizione sono state adattate alla morfologia del rilievo raffigurato dalla nuova base topografica. Le modifiche più importanti riguardano senza dubbio le frane, sia quelle “ereditate” dal PAI 2002 che i nuovi eventi franosi post-2002, le quali vengono riprese dalla Carta-inventario dei fenomeni franosi, alla quale si rimanda per i dettagli. 1.7.3 Carta-inventario dei fenomeni franosi Come detto in precedenza, il layer “frane” ereditato dalla Carta geomorfologica edizione 2002 mostrava rilevanti discrepanze di carattere morfologico rispetto alla nuova base topografica. Per questo motivo, è stato condotto un accurato rilievo geologico e geomorfologico di campo, che ha 26 di 29 avuto come fine la verifica dell’effettiva ubicazione delle frane riportate nel PAI 2002 rispetto alla nuova base topografica. Durante i rilievi è stato altresì cartografato un discreto numero di nuove frane, verosimilmente verificatesi successivamente alla redazione del PAI 2002. Dopo aver riposizionato gli eventi franosi del PAI 2002 sulla nuova cartografia ed aver rilevato le frane successive al 2002 (tra le quali meritano menzione gli eventi di Monte di Vezzi del 30 aprile 2006, che hanno causato la distruzione di un’abitazione e quattro vittime ), si è proceduto a migliorare la definizione di molti fenomeni franosi relitti che caratterizzano in particolare il territorio comunale di Forio, per alcuni dei quali è stato possibile indicare la datazione su base bibliografica. 1.8 IL DISTRETTO VULCANICO DEI CAMPI FLEGREI: L’ ISOLA DI PROCIDA 1.8.1 Carta geolitologica La revisione della Carta geolitologica non ha comportato variazioni di rilievo rispetto alla precedente edizione del PAI, a cui si rimanda per il dettaglio dell’assetto stratigrafico-strutturale. Analogamente a quanto già riportato per l’isola d’Ischia, le uniche modifiche hanno riguardato la delimitazione dei terreni affioranti lungo le aree costiere, in quanto, a causa del cambio della base topografica si evidenziavano palesi incongruenze lungo il perimetro costiero. Anche per Procida si è pertanto dovuto procedere all’adattamento degli areali di pertinenza dei vari complessi litologici alla nuova base topografica. 1.8.2 Carta delle coperture La Carta delle coperture detritico-piroclastiche non ha subìto modifiche rispetto alla precedente edizione del PAI, a cui si rimanda per il dettaglio. 27 di 29 1.8.3 Carta geomorfologica Per quanto attiene alla Carta Geomorfologica, non sono state apportate modifiche rispetto alla precedente edizione del PAI, a parte l’aggiunta delle nuove frane rilevate e di alcune frane rappresentate nel PAI 2002 come “non cartografabili” e che nell’attuale aggiornamento è stato invece possibile ridefinire con il loro contorno effettivo. 1.8.4 Carta-inventario dei fenomeni franosi Partendo dai dati preesistenti e relativi al PAI 2002, è stato condotto un accurato rilievo geologico e geomorfologico di campo, anche via mare, che ha avuto come scopo la verifica dell’ubicazione delle frane riportate nel PAI 2002 ed il loro eventuale riposizionamento, ove possibile, sulla nuova cartografia disponibile. Durante i rilievi è stato cartografato un discreto numero di nuove frane, presumibilmente verificatesi successivamente alla redazione del PAI 2002. In merito alle frane riportate nel PAI 2002 è da sottolineare che, sia per le loro dimensioni ridotte che per la scala di restituzione cartografica utilizzata all’epoca (1:5000), esse erano state riportate come frane “non cartografabili”, distinte per tipologia ed attività. Poiché in questa sede per i rilievi di campagna si è potuto disporre di una Carta topografica di maggiore dettaglio (1:2000), buona parte delle frane indicate sul PAI 2002 come puntuali, se ancora visibili, sono state rappresentate con il loro areale effettivo (forma poligonale). In tutti i casi in cui, invece, le frane non erano più riconoscibili, si è preferito indicare degli areali più o meno ampi in cui si sono riscontrati fenomeni gravitativi diffusi, peraltro seguendo in tal senso le indicazioni del Progetto IFFI. 1.9 IL COMPLESSO VULCANICO DEL SOMMA-VESUVIO 1.9.1 Carta geolitologica Non essendo state rilevate variazioni morfologiche significative tra la nuova base topografica del 2004 rispetto a quella adottata per il PAI edito nel 2002, la revisione della Carta geolitologica non ha comportato particolari modifiche rispetto a quella della precedente edizione del PAI, a cui si rimanda per il dettaglio dell’assetto stratigrafico-strutturale. Tra le poche variazioni, si segnalano quelle che hanno riguardato il riordino di alcune sigle del database associato al tematismo poligonale con particolare riferimento alle forme definite “Conoide alluvionale recente” (sigla originaria del database CAA) e “Conoide alluvionale attuale” (sigla CAR). È stato notato che le sigle appena citate del database differivano da quelle riportate nella legenda ufficiale (rispettivamente “CQR” e “CNR”): si è pertanto ritenuto opportuno procedere all’omogeneizzazione delle sigle tra database e legenda. Oltre al riordino delle sigle, sono state riscontrate anche delle discordanze relative allo stato di attività dei corpi di conoide rispetto alla precedente cartografia geomorfologica, discordanze che sono state uniformate. È stato infine corretto il tematismo lineare che individua i contatti stratigrafici tra le diverse litologie presenti. 1.9.2 Carta delle coperture Analogamente a quanto già illustrato per il precedente tematismo, è stato effettuato un controllo sul database associato ai diversi file (lineare, poligonale). Inoltre si è proceduto ad una verifica dei limiti delle varie classi di spessore rispetto alla nuova cartografia di base, che tuttavia non ha comportato variazioni rispetto alla precedente edizione. 28 di 29 1.9.3 Carta geomorfologica Anche in questo caso sono state corrette alcune sigle relative al database del tematismo poligonale. Sono stati inoltre verificati i limiti tra le diverse forme cartografate, limiti che in taluni casi non coincidevano con le effettive forme digitalizzate. 1.9.4 Carta-inventario dei fenomeni franosi L’area di studio nel periodo intercorso dall’ultima redazione del PAI non è stata interessata da eventi franosi significativi e pertanto non si riscontrano differenze rispetto all’edizione del 2002. 29 di 29