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Dallari Marco, Francucci Cristina, L’esperienza pedagogica dell’arte, La Nuova Italia Firenze 1998, pag. 160 Collana Didattica viva Recensione di Elena Ciresola – 15 marzo 2006 Abstract Marco Dallari, together with Cristina Francucci (teacher and pupil almost), design an possible didactic of the Art trough the woof of tree fundamental parts: 1. aestethic request 2. art’s request 3. education’s request. With to start from the phenomenological paradigm, that is very important for Dallari’s research, it’s taking the idea for to make, that comes true in the educational laboratory. Marco Dallari, insieme a Cristina Francucci (quasi maestro e allieva), disegnano una possibile didattica dell’arte attraverso la tramatura di tre elementi fondamentali: 1. l’istanza estetica 2. quella dell’arte 3. quella della pedagogia. A partire dal paradigma fenomenologico, che è portante alla ricerca di Dallari, si porta alla luce l’idea di un fare ermeneutico realizzantesi nel laboratorio didattico. Recensione Il progetto della pubblicazione è indicato da Dallari fin dalle prime righe: “consiste nell’individuazione di vie e strategie tese a familiarizzare i bambini di oggi con l’arte del loro tempo”. Centrale a questa idea è la struttura del laboratorio inteso come “sistema formativo integrato” insieme alla costruzione di una rete tra scuole e musei, intesi come luoghi laboratoriali per eccellenza. Procedo sintetizzando per punti gli assunti dei capitoli. I: LE RAGIONI DELL’ESTETICA Gli assunti crociani, partenza dell’analisi dallariana, relativamente all’estetica ribadiscono il carattere conoscitivo ma non pratico dell’arte. Contro questa teoria si schierano alcuni tra i più importanti filosofi italiani del secondo dopoguerra: Luigi Pareyson, Luciano Anceschi, Dino Formaggio, Gillo Dorfles e altri. Di qui l’attenzione per le poetiche, intese non come insiemi di regole normative ma come riflessione dell’artista sul proprio lavoro. Attraverso un concetto di opera in fieri, di opera come ricerca. Luciano Anceschi definisce simili il compito dell’estetica e il compito della pedagogia, intesa come forma attiva di critica. “Il compito dell’estetica è di cercare…una trama ricca, sottile, mobile, policroma che è come il tessuto connettivo in cui l’arte vive, si trasforma e continuamente si significa di nuovo, e la cui definizione non è una definizione statica, ma una definizione processuale.” A questa idea è collegato poi la scelta dallariana dell’argomento estetico, non tanto inteso come senso del bello, ma come emozione e conoscenza che deriva dall’emozione, attraverso il sentimento dello stupore. Conseguenza di questo sistema di relazioni è la procedura laboratoriale che diventa necessaria per il bambino, poiché il bello non è distinto dal buono, dal piacevole, dal vissuto ed esperito come positivo. 1 Nel laboratorio ci si può impossessare delle categorie riconoscibili e condivisibili dell’opera, ripercorrendo e ri-vivivendo in maniera attiva l’opera (non copiando). Conclude il capitolo proponendo un nuovo rapporto pedagogia-estetica, definendo strategie d’uso con arti, materiali e linguaggi dell’arte “come occasione didattica atta a favorire il conseguimento di un atteggiamento estetico, che possa uscire dall’ambito della funzione artistica per estendersi ad ogni possibile altro da sé.”(pag 23) L’opera-oggetto deve essere seduttiva nel senso primario del termine, cioè deve attirare l’attenzione, come oggetto divergente, più che come oggetto buono-bello. La nuova importanza del circolo ermeneutica conclude questa prima parte: Dallari la intende come possibilità “di affermare la superiorità dell’idea di comprensione su quella di spiegazione, e di ribadire come comprendere non sia mai un’operazione passiva, ma attiva, un laboratorio del pensare, quanto meno, se non del proprio fare.” (pag.32) Da qui l’importante sviluppo successivo: “Il paradigma fenomenologico e la concezione ermeneutica all’interno della quale nasce la figura del circolo ermeneutico sanciscono dunque la centralità metodologica del processo che è di per sé un non-centro”.(pag.34) La relazione che trae dal citare Jauss fa ritornare il circolo al nuovo concetto di estetica, separato dal senso del bello: estetica come “esperienza dell’arte, …per cui prassi estetica che sta al fondamento di tutte le manifestazioni dell’arte in quanto produttiva, ricettiva, comunicativa”. (pag 34) Quale obiettivo allora? La concezione estetica diventa quindi, per i fenomenologi come Dallari, progetto esistenziale, “in riferimento al quale l’esperienza estetica costituisce non solo un paradigma di ricezione e di conoscenza, ma anche un paradigma di senso ed è dunque capace di costituirsi come vettore valoriale” (pag. 35) II: LE RAGIONI DELL’ARTE La partenza di questo capitolo, binario parallelo al primo, è un’analisi dei significati dell’arte, attraverso le posizioni di ♦ Dino Formaggio (arte è tutto ciò che nei diversi luoghi e nei diversi tempi gli uomini chiamano arte) ♦ Edmond Husserl (funzione metamorfosante esercitata dall’arte) ♦ Umberto Eco (con una definizione di arte intesa come fare, allontanandosi dalla definizione crociana di un’arte come sentimento) ♦ Luigi Pareyson (arte come ars e techne, fare con trasformazione della materia, con un parallelismo significativo tra la componente sociale, storica, culturale dell’esperienza artistica, e quella tra l’arte intesa come una Weltanschaung)) ♦ Ernst Cassirer (con la sua azione simbolica dell’arte, concependo il fare artistico come un processo di creazione di forme simboliche dei sentimenti umani ♦ Erwin Panofsky (teoria iconologica, per cui la descrizione dell’opera è sempre un’interpretazione. “ Descrivere significa scegliere direzioni di senso per inventariare gli ingredienti dell’opera; un inventario che- per Panofsky- avviene secondo successivi livelli” pag. 44). Ribadisce “l’importanza dell’aspetto linguistico dell’opera e la dimensione essenzialmente storica e contingente dei significati e delle direzioni di senso a esso attribuibili e in essa individuabili.” Che però mette al centro il vissuto e la visione del mondo dell’autore. ♦ L’autore preferisce qui precisare che l’approccio educativo all’arte va negoziato ogni volta scegliendo direzioni di senso che abbiano a che fare, magari filologicamente, con il modo simbolico di manifestarsi dell’opera, ma che consenta anche un’ermeneutica a sua volta creativa e personale. Poi individua una serie di contributi di studiosi che hanno cercato di definire il fenomeno arte (George Simmel, Bruno Bandini, Arnold Hauser, che qui cito in un’affermazione che ritengo essenziale: “Le opere d’arte sono una forma di provocazione. Noi non le spieghiamo, ma ci misuriamo con esse. Le interpretiamo in conformità dei nostri fini e delle nostre affermazioni, diamo loro un senso, la cui origine si trova nelle nostre forma di vita e nelle nostre abitudini di pensiero e, per dirla in breve, di ogni arte con la quale abbiamo un reale rapporto facciamo un’arte moderna. 2 Le opere d’arte sono altezze inaccessibili. Noi non le aggrediamo per via diretta, ma piuttosto vi giriamo attorno. Ogni generazione le guarda da una posizione diversa e le vede con occhi nuovi, anche se non è detto che il punto di vista conquistato successivamente sia il più appropriato. Ogni aspetto ha l’ora sua, che non è possibile anticipare né prolungare, anche se il suo profitto non può in nessun modo andare perduto per il futuro.” Pag. 50 III: LE RAGIONI DELLA PEDAGOGIA La terza partenza è un autore, caro a Dallari, Piero Bertolini ed il testo L’esistere pedagogico, che prova forza nell’orientamento fenomenologico assunto come paradigma del progetto pedagogico, insistendo sulla necessità per la pedagogia di riconoscere se stessa come scienza autonoma. “L’essere scienza della pedagogia non ci impedisce di riflettere sul fatto che ad un suo (debole) apparato diacronico, tipico del sapere scientifico, si associa indissolubilmente la componente narrativa, retorica, esistenziale, sincronica dell’esserci propria dell’atto educativo” pag.53 L’obiettivo di Dallari, per un progetto educativo all’arte, è di “immettere nei processi intellettuali, immaginativi e creativi dei bambini e dei ragazzi idee, paradigmi, metafore e simboli desunti dall’esperienza artistica o elaborati a partire da essa.” Pag. 53 Il metodo critico diventa, qui, la capacità di “saper confrontare un evento culturale rappresentativo e comunicativo con qualcos’altro rispetto al quale si sia in grado di individuare analogie e differenze… la capacità di selezione discende dall’abitudine critica e la presuppone… Scelta è cambiamento. Scegliere significa, quando si tratta di un’autentica scelta, correre sempre un rischio, anche se contenuto e calcolato. Per far questo occorre, tuttavia, essere educati e abituati all’autonomia”. In questo disegno educativo la scuola è fondamentale. IV: L’ASPETTO DIDATTICO: L’IDEA DI LABORATORIO Didattica, per Dallari, è “qualunque atto finalizzato a veicolare una conoscenza.” Pag. 65 Il laboratorio didattico che ne discende “attinge a un’idea globale del sapere o della porzione di sapere a cui si riferisce. L’approccio laboratoriale è sempre approccio a una Gestalt, a qualcosa che è un –tutto- spesso indistinguibile dal contesto.” Il riconoscimento dell’immagine passa dunque attraverso categorie di senso, dove la mediazione dell’educatore-animatore fa emergere direzioni di senso rispetto alle quali condividere l’approccio attivo con la materia stessa. Il metodo è così individuato nella ricerca di direzioni di senso, dove l’opera può essere collegata ad un contesto culturale allargato in cui diviene paradigma di senso (pag. 67). Quali precedenti per questa idea di laboratorio? La scuola di Bovette, le esperienze di Ferriére, lo strumentalismo di Kilpatrick, il pragmatismo di Dewey, così come Decroly, Claparéde e Maria Montessori fino ai contemporanei Codignola, Borghi, De Bartolomeis, Visalberghi. Anche l’esperienza del Bauhaus e di Bruno Munari. Cos’è allora il laboratorio per Dallari? “è luogo di ricezione e produzione di saperi e di testi culturali. È tuttavia anche luogo di elaborazione-costruzione delle identità personali dei protagonisti.” Pag.69. Si parte sempre dalle storie soggettive e dai vissuti per poi produrre una ricerca che è sempre autobiografica e diviene sempre “testimonianza di identità e di stile”. Pag. 70 Nel laboratorio vi saranno luoghi, strumenti e materiali di cui si impone la condivisione, con momenti di lezione, inteso come ascolto, e momenti di lavoro, con ritmi e stili differenti. La mostra dei lavori del laboratorio diviene momento di una messa in scena fondamentale delle singole identità e delle caratteristiche di gusto, di scelta, di operatività. Guardare il proprio lavoro vuol dire attivare quei meccanismi dell’osservazione, praticato per l’arte, attivando così un vero e proprio stupore estetico. V: L’IDEA DELLA CREATIVITA’ Il termine, inteso come un’attitudine, un atteggiamento ed un’azione umana, si diffonde nella seconda metà del 900, attraverso gli studi della Gestalt, da Max Wertheimer fino a J.P Guilford e A.J. Cropley. 3 La creatività ha due letture: una americana ed una europea, soprattutto francese ed italiana, che vede la creatività come espressione di genio. La resistenza illustre europea è segnata soprattutto da Piaget, che definiva la creatività un falso problema, anzi un problema americano! La differenza era legata al fatto che per Piaget la creatività faceva parte delle caratteristiche dell’intelligenza, mentre per Guilford era un tipo di intelligenza, quella divergente. Il pensiero divergente, di Guilford, è “caratterizzato da originalità di idee, fluidità concettuale, capacità di riorganizzare in maniera originale gli elementi intellettualmente a disposizione del soggetto e produrre diverse risposte allo stesso quesito”. Secondo John Dewey, “la creatività è quella forma di intelligenza che è duttile nel seguire il divenire ininterrotto dell’esperienza ed è capace di ‘infuturarsi’ allentando i legami che la trattengono all’esperienza contestuale e contingente. Inutile dire che per Dewey la creatività è educabile.” Pag. 79 Per Jerome Bruner la creatività è “qualsiasi atto che produca una ‘sorpresa produttiva’, cioè una modificazione concreta inaspettata nelle diverse attività in cui l’uomo si trova coinvolto…qualsiasi atto creativo si avvale perciò del procedimento euristico che ha come momento essenziale l’atto della scoperta: un’operazione di riordinamento e di trasformazione di fatti evidenti che permette di procedere al di là di quei fatti verso una nuova intuizione.” Pag. 80 Secono E.P Torrance la creatività ”si alimenta in contesti non autoritari e a fronte di una scarsa quantità di controlli sui comportamenti.” Pag. 80 L’ipotesi solutiva al cos’è la creatività viene data da Dallari con “carattere saliente del comportamento umano più evidente in determinati individui che in altri, caratterizzati, i primi, dalla capacità di riconoscere tra pensieri e oggetti connessioni originali, di produrre e proporre, nelle idee e nelle azioni, innovazione e cambiamenti.” Pag. 76 Quindi un’idea della creatività connessa a quella dell’originalità, entrambe connesse alla compatibilità con il contesto sociale e culturale all’interno del quale viene espresso. Qui Vygotskij viene citato con i concetti di fantasia e di fantasticheria, dove ♦ fantasia è “attitudine e capacità di comunicare e fare in ragione di pensieri originali capaci di diventare, nel contesto relazionale, riconoscibili e condivisibili” ♦ fantasticheria “è invece un pensiero originale, personale, divergente,… che non riesce a diventare socializzabile, e spinge dunque il soggetto che lo elabora fuori dal contesto e ai margini del gruppo” pag. 76 Poi si passa all’uso della parola da parte di Bruno Munari, per il quale creatività significa la possibilità di realizzare ciò che la fantasia ha concepito e l’invenzione trasformato in progetto. Ecco l’importanza ribadita da munari non solo delle idee e del pensiero, ma dei luoghi e dei materiali attraverso cui prende corpo. Gianfranco Stacciali ricorda che solo attraverso un contesto di atteggiamento divergente e di materiali culturali non unidirezionali ma stimolanti e stupefacenti i bambini potranno allontanarsi dalla ripetizione di stereotipi, conquistando nuove “ulteriorità di senso del guardare, del pensare, del fare” pag. 78 Si conclude l’excursus tra le teorie della creatività con le ricerche di Donata Fabbri e Alberto Munari: ♦ la partenza è l’assunto piagetiano secondo cui creatività e intelligenza sono la stessa cosa ♦ la creatività, secondo questa ‘psicologia culturale’ è un modo di utilizzare il sapere ♦ “la metafora appare …come lo strumento privilegiato per operare delle trasformazioni in seno al rapporto con il sapere e con la cultura, per ricercare nuove modalità d’uso della conoscenza.” ♦ “metafora e trasgressione sono dunque indissolubilmente legati: non ci può essere infatti pensiero metaforico senza l’esperienza della trasgressione né trasgressione senza la consapevolezza dell’esistenza della possibilità di pensare e di comportarsi in maniera diversa rispetto all’ordinato, all’indicato, al già dato…” pag. 83 ♦ Come messa in discussione dell’esistente, è la conclusione di Dallari. In questo contesto il laboratorio didattico dell’arte diviene “luogo paradigmaticamente idoneo a promuovere questo tipo di atteggiamento e di processo.” Così l’arte, non si costituisce tanto come testo a anche e soprattutto come pretesto, come materiale culturale. 4 Parte II ESPERIENZE/LABORATORI La seconda parte attraversa alcuni casi-esperienze a riprova delle tesi enunciate. Sui temi del ritratto e impronte attività svolte presso la GAM di Bologna. Interessanti, anche se non attentamente indagate e con una documentazione fotografica non chiara. Indice Premessa Parte Prima: Argomentazioni Introduzione I. Le ragioni dell’estetica II. Le ragioni dell’arte III. Le ragioni della pedagogia IV. L’aspetto didattico. L’idea di laboratorio V. L’idea della creatività Parte Seconda: Esperienze/ laboratori Introduzione VI. Il ritratto e l’autoritratto VII. Spazio VIII. Impronte IX. Materiali Autore Marco Dallari, nato a Modena il 23 maggio 1947, inizia come pedagogista presso il coordinamento scuole dell'infanzia del Comune di Bologna e il comune di Carpi fino al 1977. Dal 1977 al 1994 docente di Pedagogia e didattica dell'Educazione Artistica presso l'Accademia di Belle Arti di Bologna, è animatore di laboratori didattici presso musei e gallerie d'arte moderna. Nel 1994 è professore straordinario di Educazione comparata all'Università di Messina. Dal 1997 è professore ordinario di Pedagogia generale all'Università di Trento e alla Scuola di Specializzazione per l'Istruzione Secondaria (SSIS) di Rovereto. In questa sede dà avvio al Laboratorio di comunicazione efficace finalizzato alla formazione di soggetti per i quali le capacità di interazione e di comunicazione interpersonale costituiscano know how indispensabile (insegnanti, operatori del pubblico impiego, dipendenti aziendali addetti alle vendite e alle p.r.) e alla ricerca nell'ambito della narratività. È direttore del dipartimento didattico di ART'È, direttore della collana di libri d'arte per ragazzi ART'È ragazzi e della rivista giovanile d'arte ZAC. Principali filoni di ricerca: • • • fenomenologia e ermeneutiche dell'educazione. Strutturazione delle identità personali, rapporto tra modelli di conoscenza e rappresentazione identitaria. Animazione e didattiche della produzione artistica e narrativa. Bibliografia essenziale dell’autore A regola d'arte. L’idea pedagogica dell’isopoiesi, Firenze, La nuova Italia, 1992 L'esperienza pedagogica dell'arte (con Cristina Francucci); Firenze La Nuova Italia 1997 I saperi e l'identità, Milano Guerini, 2000 L'arte come educazione sentimentale, Bologna Art'è, 2001 Posta prioritaria, Roma Meltemi, 2001 5 La dimensione estetica della Paideia, Fenomenologia, arte, narratività - Collana di pedagogia fenomenologica - Erickson Trento 2005 Siti di riferimento http://www.didatticaonline.unitn.it/insegnamenti/dallariI04.asp http://discof.unitn.it/scheda_docente.htm?id=8 http://www.exibart.it/notizia.asp/IDNotizia/9283/IDCategoria/70 6