Dispense terzo modulo - Dipartimento di Filosofia

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Dispense terzo modulo - Dipartimento di Filosofia
Elisa Paganini LA VERITÀ NELLA FINZIONE Dispense per il TERZO MODULO del corso di Filosofia del linguaggio A. A. 2015-­‐16 Ultimo aggiornamento: 9 aprile 2016 [Le dispense sono uno strumento per aiutare gli studenti a orientarsi nella lettura dei testi da portare all’esame. Chiunque trovi errori o parti poco comprensibili è invitato a segnalarli all’autrice.] IL REALISMO PLATONICO E IL FINZIONALISMO IL REALISMO PLATONICO Sebbene alcuni filosofi sostengano che noi possiamo fare a meno delle entità fittizie (come vedremo più avanti), molti filosofi ritengono che noi abbiamo bisogno di entità fittizie per rendere conto dei nostri discorsi sulla finzione. Fra i sostenitori delle entità fittizie, alcuni filosofi ritengono che le entità fittizie siano oggetti individuali (i meinonghiani e i possibilisti), altri filosofi pensano che siano oggetti astratti (i creazionisti e i platonisti). Concentriamoci ora su un particolare tipo di entità fittizia, i personaggi fittizi che hanno origine nelle opere letterarie (sono queste le entità fittizie su cui si concentra il saggio di Lamarque che leggiamo). I platonisti, come i creazionisti, pensano che i personaggi fittizi siano oggetti astratti. La principale differenza fra platonisti e creazionisti è che per i creazionisti l’atto creativo dello scrittore origina il personaggio fittizio nel mondo ed è una sua proprietà essenziale, per un platonista i personaggi (attenzione: i personaggi, e non i personaggi fittizi) sono eterni e l’atto creativo del produttore delle opere di finzione è solo una proprietà accidentale dei personaggi fittizi: l’atto creativo porta all’esistenza i personaggi fittizi, ma gli stessi personaggi fittizi avrebbero potuto iniziare ad esistere in seguito ad altri atti creativi. Il platonismo è una posizione minoritaria nella letteratura filosofica sulla finzione perché pochi filosofi l’hanno difesa. I principali esponenti del platonismo sono Nicholas Wolterstorff e Peter Lamarque. PETER LAMARQUE P. Lamarque (2003), “How to Create a Fictional Character”, ristampato in P. Lamarque, Work and
Object (2010), Oxford, New York, Oxford University Press, pp. 188-207
1. Il problema Peter Lamarque è un sostenitore della teoria platonista dei personaggi fittizi, egli ritiene cioè che gli oggetti fittizi siano tipi o insiemi di proprietà e affronta nel testo che leggiamo come il platonista debba interpretare la creazione di personaggi fittizi. Egli osserva innanzitutto che i filosofi eliminativisti sui personaggi fittizi (cioè i filosofi che ritengono che possiamo fare a meno dei personaggi fittizi, come vedremo più avanti) non hanno il problema di rendere conto della creazione di tali entità: se uno assume che le entità fittizie non esistono ritiene che nessuno le possa creare. Questo non vuol dire che essi neghino che gli autori di opere fittizie siano creativi, ma la loro creatività riguarda enunciati, descrizioni, storie, supporti per far finta, ma non riguarda i personaggi fittizi. Anche i sostenitori degli oggetti fittizi non hanno sempre il problema di stabilire come avviene la creazione dei personaggi fittizi. Ad esempio, un filosofo meinonghiano (come 2 Parsons) pensa che i personaggi fittizi siano eterni e che non esistono, pertanto per il meinonghiano non si pone il problema della loro creazione, perché tali personaggi non iniziano ad esistere. E anche un filosofo possibilista (come Lewis) non ha il problema di spiegare la creazione dei personaggi fittizi perché per un possibilista i personaggi fittizi sono atemporalmente esistenti in altri mondi possibili e quindi non si pone il problema dell’inizio della loro esistenza. La questione della creazione dei personaggi fittizi si pone invece per i sostenitori del cosiddetto creazionismo (come Saul Kripke, Nathan Salmon e Amie Thomasson). Per questi filosofi i personaggi fittizi sono artefatti astratti e sono creati essenzialmente. A loro avviso, i personaggi fittizi iniziano ad esistere in seguito alle azioni mentali e fisiche dei loro autori e condividono la stessa natura di altri artefatti astratti come le teorie, le leggi, i governi, le opere letterarie. Per questi filosofi l’atto creativo porta all’esistenza un personaggio fittizio e il fatto di essere creati è una sua proprietà essenziale dei personaggi fittizi: se due opere di finzione fossero identiche parola per parola ma i loro creatori fossero persone diverse i personaggi fittizi creati in queste due opere di finzione sarebbero diverse. Peter Lamarque rileva che la teoria creazionista deve affrontare delle difficoltà che derivano in parte da considerazioni di tipo metafisico e in parte da considerazioni di tipo letterario. L’obiettivo di Lamarque è quindi quello di confrontare la teoria platonista da lui difesa con la teoria creazionista e mostrare che la teoria platonista riesce a rendere conto di certi fatti metafisici e letterari che la teoria creazionista non riesce a trattare. Iniziamo dalle considerazioni di tipo metafisico. Per stabilire quando un personaggio fittizio è stato creato, il creazionista deve avere una concezione pienamente definita di personaggio fittizio e delle sue condizioni di identità. Tuttavia, è tutt’altro che chiaro quali siano le condizioni di identità dei personaggi fittizi. Alcuni problemi che emergono sono i seguenti: Quando c’è un personaggio fittizio che ricalca le proprietà di un altro personaggio fittizio si è creato un nuovo personaggio o no? Quando in un’opera di finzione si dice che “Cento persone si sono radunate in piazza” sono stati creati cento personaggi fittizi o no? Quali condizioni devono essere soddisfatte affinché un personaggio fittizio sia creato? Secondo Lamarque, la risposta a queste domande è un serio problema per i creazionisti. Ci sono inoltre considerazioni di tipo letterario che i creazionisti non hanno affrontato. Nella critica letteraria più recente la nozione di personaggio fittizio è stata molto screditata e quindi la critica letteraria è in contrasto con l’approccio metafisico che invece cerca di rendere conto della nozione di personaggio fittizio. I creazionisti quindi dovrebbero spiegare perché introducono la nozione di personaggio fittizio anche se è screditato dalla critica letteraria. Secondo Lamarque, queste due considerazioni (quella metafisica e quella letteraria) richiedono una risposta adeguata. 2. La teoria di Lamarque sui personaggi fittizi L’intuizione che gli autori di opere di finzione creano personaggi fittizi è largamente condivisa dalla maggior parte delle persone, ma non bisogna pensare che questo sia un argomento a favore del creazionismo perché i filosofi che rifiutano la creazione di personaggi fittizi hanno il loro modo di rendere conto dell’azione degli autori della finzione. I filosofi che credono nella creazione di personaggi fittizi devono risolvere – secondo Lamarque -­‐ le due questioni sollevate nel paragrafo precedente. La strategia argomentativa di Lamarque è la seguente: innanzitutto presenta la sua teoria dei personaggi fittizi e -­‐ successivamente – propone una sua teoria della creazione delle opere letterarie e dei personaggi fittizi. Poi affronta le due questioni sollevate all’inizio e l’obiettivo è mostrare che la sua teoria dei personaggi fittizi riesce ad affrontare le due questioni in modo soddisfacente, a differenza del filosofo creazionista. 3 Iniziamo a considerare che cosa sono i personaggi fittizi per Peter Lamarque. Egli individua tre caratteristiche dei personaggi fittizi: 1)
Innanzitutto sono personaggi, e i personaggi sono entità astratte, tipi, cioè insieme di proprietà che esistono eternamente. 2)
In secondo luogo sono personaggi fittizi e questo significa che hanno origine nella finzione, essi cioè in quanto fittizi iniziano la loro esistenza con un’opera di finzione. 3)
In terzo luogo sono dipendenti da ciò su cui verte l’interesse di chi li considera [in inglese: interest-­‐relative]. Per capire questa terza caratteristica occorre rendersi conto che non sempre si è interessati alle caratteristiche che distinguono un personaggio fittizio da qualunque altro, in alcuni casi i personaggi rispecchiano tipologie più generali; ad esempio Vladimir Propp (1895-­‐1970) ha classificato alcuni personaggi che sono ricorrenti nelle fiabe come: il cattivo, l’eroe, la principessa, il benefattore, ecc. E il cattivo può essere identificato in diverse fiabe e avere fattezze molto diverse in fiabe differenti: può essere un drago, un diavolo, un bandito, una strega, una matrigna, ecc. Quali sono quindi i personaggi fittizi dipende da ciò a cui è interessato chi di volta in volta classifica i personaggi e può essere interessato o a tipologie generali o a caratteristiche distintive di un personaggio all’interno di un’opera di finzione. 3. La dipendenza dall’interesse e l’identità dei personaggi fittizi Se accettiamo che ciò che contraddistingue un personaggio fittizio dipende di volta in volta dall’interesse di chi classifica i personaggi, dobbiamo accettare che l’identità dei personaggi fittizi è relativa all’interesse e non assoluta. Così come le proprietà che contraddistinguono i personaggi fittizi sono relative all’interesse di chi di volta in volta li classifica, anche l’identità dei personaggi fittizi dipenderà dall’interesse di chi li classifica. Se ad esempio l’interesse del classificatore verte sulla morfologia dei personaggi di una fiaba, allora l’interesse sarà ad esempio per il cattivo nella fiaba e diventerà inessenziale se il cattivo è un drago o una matrigna, e il personaggio cattivo non sarà dipendente da una specifica opera di finzione; se invece l’interesse verte sulla storia specifica, allora il fatto di essere un drago o una matrigna saranno caratteristiche essenziali, mentre altre caratteristiche rimarranno inessenziali. Lamarque sottolinea che noi spesso siamo interessati a una certa tipologia di personaggi come ad esempio il detective appassionato (in cui possono rientrare Sherlock Holmes, Hercule Poirot, Miss Marple e Lord Peter Wimsey) o la donna adultera destinata alla delusione e all’insuccesso (in cui rientrano Emma Bovary, Thérèse Raquin e Anna Karenina). In altri casi uno stesso personaggio compare in diverse opere come ad esempio il dr. Faust che compare in lavori di Christopher Marlowe, Johan Wolfgang von Goethe e Thomas Mann. Quello che notiamo in tutti questi casi è che un personaggio fittizio non è legato a un’opera di finzione e a un particolare atto creativo. Di fronte a questo approccio platonico ai personaggi fittizi che li rende indipendenti da una particolare opera di finzione sono state sollevate due obiezioni da Jerrold Levinson la cui preoccupazione principale è l’ontologia delle opere musicali, ma le cui osservazioni possono essere trasferite anche alle opere narrative. Jerrold Levinson si oppone a un certo tipo di platonismo sulle opere musicali sostenuto da Nicholas Wolterstorff, Peter Kivy e Julian Dodd. Per i platonisti le opere musicali esistono eternamente e sono scoperte ma non create dai compositori. Allo stesso modo si può pensare che i personaggi fittizi esistano eternamente e siano scoperti, ma non creati dagli autori di opere fittizie. Jerrold Levinson contrappone due argomenti a questa tesi: 4 1) Innanzitutto egli rileva che si attribuisce comunemente agli artisti la capacità di creare e non semplicemente di scoprire le opere musicali o letterarie. A questa osservazione però tanto i filosofi che rifiutano i personaggi fittizi, quanto quelli che li accettano possono replicare. Tutti i filosofi che si occupano di finzione hanno un loro resoconto di quella che è comunemente considerata la creatività degli autori. Non occorre essere filosofi creazionisti per riconoscere le abilità degli autori di opere musicali e letterarie. 2) In secondo luogo Levinson rileva che le opere musicali sono strettamente connesse con l’epoca storica in cui sono state create e con le competenze di chi le ha create. Egli fa l’esempio della Sinfonia n. 2 di Brahms (composta nel 1852) che ha la proprietà di essere influenzata da Liszt. La sonata ha, secondo Levinson, le proprietà essenziali di essere stata composta da Brahms e di essere influenzata da Liszt; se fosse stata ad esempio stata composta da Beethoven, non sarebbe stata la stessa opera, infatti dal momento che Beethoven (1770-­‐1827) è vissuto prima di Liszt (1811-­‐1886), se avesse composto tale sinfonia, la sinfonia non avrebbe avuto la proprietà di essere influenzata da Liszt, sarebbe anzi stata un’opera visionaria da parte di Beethoven. Lo stesso tipo di osservazione può essere fatta per le opere letterarie. Se ad esempio il personaggio Bertie Wooster invece di essere stato introdotto da Woodehouse (1881-­‐
1975) fosse stato introdotto 100 anni prima avrebbe avuto alcune proprietà che non ha di fatto. A questa seconda osservazione Lamarque ribatte che sebbene la creazione di un personaggio fittizio sia ciò che fa esistere il personaggio fittizio (egli scrive esplicitamente che sono “tipi che hanno un inizio”), il personaggio fittizio non è rigidamente connesso al suo creatore (se qualcun altro lo avesse creato nello stesso modo sarebbe lo stesso personaggio). I personaggi fittizi hanno proprietà che li connettono con i loro creatori e con il periodo storico in cui sono create. Queste proprietà sono essenziali o non essenziali a seconda dell’interesse di chi classifica i personaggi fittizi: quanto più l’interesse è per un certo tipo di personaggio universale, tanto meno rilevante sarà lo specifico momento di creazione e il creatore, quanto più l’interesse è per caratteristiche individuali dei personaggi, tanto più diventerà importante il creatore del personaggio fittizio. 4. Il problema metafisico e la sua soluzione Come abbiamo visto, per un creazionista i personaggi fittizi sono essenzialmente creati, per un platonista i personaggi, in quanto personaggi, sono eterni, ma in quanto personaggi fittizi hanno un’origine. Si pone ora il problema di sapere come individuare i personaggi fittizi. Come abbiamo visto all’inizio, secondo Lamarque il creazionista non ha sempre modo di dire quando c’è un personaggio fittizio o quando ce n’è più di uno. Per il platonista Lamarque invece c’è un modo per sapere quando c’è un personaggio fittizio e quando ce n’è più di uno. Per Lamarque il numero di personaggi dipende da due fattori: (1)
affinché ci sia almeno un personaggio fittizio distinto dagli altri, questo personaggio deve avere almeno una proprietà che lo distingue da tutti gli altri. Se ad esempio in un’opera di finzione si dice che cento persone si sono radunate in una piazza e non si dice nulla di più, non abbiamo modo di distinguere fra queste persone e quindi non ci possono essere cento personaggi fittizi. Se invece in un’opera si menziona una sola proprietà che distingue un personaggio da tutti gli altri, allora è soddisfatta la condizione minimale affinché ci sia un personaggio fittizio. 5 (2)
In secondo luogo, la numerazione dei personaggi fittizi dipende dall’interesse di chi classifica i personaggi. Ad esempio Emma Bovary e Anna Karenina sono lo stesso tipo di personaggio “donna adultera che è destinata alla delusione e all’insuccesso”, ma sono diversi personaggi se siamo interessati ad alcuni aspetti del loro carattere. Se siamo interessati a distinguere i personaggi in base alle opere di finzione in cui compaiono, l’opera di finzione diventa essa stessa uno strumento per riferirsi al personaggio fittizio. Anche se un personaggio fittizio non ha un nome ma ha caratteristiche che lo distinguono da tutti gli altri possiamo far riferimento al personaggio fittizio che compare in una particolare opera di finzione menzionando appunto l’opera di finzione. 5. La dimensione letteraria (la soluzione al secondo problema) Secondo Lamarque, la dimensione letteraria va distinta dalla dimensione metafisica e aggiunge nuovi spunti di riflessione sui personaggi fittizi. Bisogna dire che al riguardo i filosofi hanno spesso riconosciuto all’opera letteraria una specificità: spesso si è detto ad esempio che i racconti di Conan Doyle costituiscono un’opera fittizia ma è discutibile se sono un’opera letteraria, mentre l’opera letteraria A sangue freddo di Truman Capote non è sicuramente un’opera di finzione, ma viene considerata un’opera letteraria. Quello che però Lamarque vuole sottolineare è che l’opera letteraria, in quanto opera artistica, rivela delle caratteristiche dei personaggi fittizi che lo studio metafisico non riesce a riconoscere. Innanzitutto egli osserva che gli studi postmoderni hanno attaccato la nozione di personaggio, essi si propongono di mettere in discussione la nozione di persona come soggetto autonomo, con una natura umana e con un sé. In base agli studi postmoderni le persone sono molto simili ai personaggi fittizi: sono infatti prive di unità e sono costruzioni dipendenti dai discorsi e dai testi su di essi. Lamarque non vuole tanto considerare se questa concezione sia adeguata per le persone, ma egli ritiene che tale concezione sia adeguata per i personaggi fittizi. A suo avviso c’è una differenza fondamentale fra i personaggi per come sono intesi dal punto di vista metafisico e per come sono intesi dal punto di vista letterario. I personaggi dal punto di vista metafisico sono entità astratte, tipi, dal punto di vista letterario la loro funzione è legata al valore letterario. I dettagli che contraddistinguono un personaggio non sono finalizzati a caratterizzare il tipo di personaggio, ma sono finalizzati a valutazioni (i) di tipo estetico, (ii) di tipo morale, (iii) di tipo interpretativo. Consideriamo ora più nel dettaglio questi tre aspetti. Dal punto di vista estetico, secondo Lamarque i personaggi hanno un ruolo più funzionale che fattuale. Essi cioè rimandano a certi temi generali. Ad esempio, riguardo a Our Mutual Friend di Dickens, J. Hillis Miller osserva che il fatto che i personaggi si specchino continuamente e si guardino attraverso gli specchi simboleggia la vacuità della loro vita finalizzata solo ai soldi e all’apparenza. Per quanto riguarda le valutazioni morali che vengono fornite su un personaggio, Lamarque confronta la valutazione negativa che Murvin Mudrick dà di Darcy in Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen quando lo valuta un personaggio copiato da altri testi letterari e la valutazione evocativa e simbolica che Dorothy van Ghent fornisce di alcuni particolari di Tess dei d’Ubervilles in cui certi dettagli diventano simboli nefasti o demoniaci. Anche in queste valutazioni morali del tipo di personaggi e dei dettagli letterari, tutte le caratteristiche rimandano al di là dell’insieme di caratteristiche che vengono rappresentate nelle opere di finzione. Infine per quanto riguarda l’aspetto interpretativo a cui si sottopongono i personaggi fittizi, egli riporta un’osservazione di Alan Sinfield in base alla quale ciò che contraddistingue 6 un personaggio non è la sua unità, ma il superfluo, ciò che impedisce l’unità. La grandezza di alcuni personaggi fittizi come Raskolnikov (uno dei protagonisti di Delitto e castigo di Dostoijevski), come Amleto (il protagonista della tragedia omonima shakespeariana), come Meursault (il protagonista de Lo straniero di Camus) non è nella definizione del personaggio, ma nel lasciarlo aperto a infinite interpretazioni. Lamarque osserva quindi che nell’interpretazione letteraria, in linea con le riflessioni post-­‐moderne, i personaggi assumono numerose sfaccettature che gli fanno perdere unità. Tale concezione post-­‐moderna è compatibile con la concezione di Lamarque in base alla quale i personaggi fittizi sono dipendenti di volta in volta dall’interesse di chi li considera, ma è incompatibile con la concezione creazionista in base alla quale i personaggi fittizi sono individuati in modo univoco al momento della loro creazione. IL FINZIONALISMO E L’IRREALISMO Il finzionalismo moderno non è sorto come una teoria che riguarda la finzione, ma è stato introdotto per affrontare questioni filosofiche che riguardano la scienza e la matematica. I due testi con cui viene introdotto il finzionalismo in filosofia sono stati pubblicati nel 1980 e sono Science Without Numbers di Hartry Field e The Scientific Image di Bas van Fraassen. L’obiettivo di questi lavori è mostrare che la ricerca in matematica e nella scienza non deve mirare alla verità, una teoria può essere accettata anche da chi non crede nel suo contenuto. Hartry Field sostiene che la matematica richiede un’interpretazione platonica di numeri, funzioni, ecc. e quindi l’esistenza di oggetti astratti (quali numeri, funzioni, ecc.). Dal momento che -­‐secondo Field-­‐ non ci sono oggetti astratti, ogni asserto matematico interpretato letteralmente è falso. Tuttavia, sebbene la matematica non contenga asserzioni vere, è utile per stabilire inferenze che riguardano oggetti concreti. Pertanto l’utilità e l’accettabilità della matematica non dipende dalla sua verità. Bas Van Fraassen ritiene che le teorie scientifiche siano rappresentazioni di strutture inosservabili in natura. Tuttavia l’adeguatezza delle teorie scientifiche non dipende dalla verità di ciò che viene rappresentato da tali teorie, ma dall’adeguatezza empirica, cioè dalla capacità di fare previsioni adeguate o di rappresentare regolarità osservabili. In sintesi, sia Field che van Fraassen ritengono che l’obiettivo della ricerca scientifica e matematica non debba essere la rappresentazione vera di certi fatti e l’accettazione di una teoria non richieda che si creda nel suo contenuto. Le due principali caratteristiche di una teoria finzionalista sono le seguenti: (1) una serie di asserzioni sono pienamente accettate e (2) l’accettazione di tali asserzioni non è governata né dalla verità di ciò che è accettato né dalla credenza nel contenuto di ciò che è accettato. Inoltre, i finzionalisti sono anche spesso nominalisti (o irrealisti) sulle entità a cui fa appello la teoria, per esempio Hartry Field è nominalista sui numeri e le funzioni, mentre Bas van Fraassen è nominalista sulle entità inosservabili postulate dalla scienza. L’obiettivo dei finzionalisti non è però mostrare che le entità problematiche non esistono, ma è più sottilmente mostrare che non ne abbiamo bisogno, che ne possiamo fare a meno. Nella filosofia della finzione, alcuni filosofi (i cosiddetti finzionalisti) hanno sostenuto che quando noi leggiamo o usufruiamo di un testo di finzione, (1) in un certo senso (da precisare) accettiamo quello che viene scritto o rappresentato, (2) ma la nostra accettazione non dipende né dalla verità di ciò che è accettato, né dalla credenza nel contenuto di ciò che è accettato. Kendall Walton e Stuart Brock sono due sostenitori del finzionalismo: essi ritengono che noi possiamo accettare coerentemente enunciati sulle opere di finzione senza doverci impegnare alla loro verità e al loro contenuto letterale. Inoltre sia Kendall Walton che Stuart Brock si propongono di mostrare che non dobbiamo impegnarci all’esistenza di oggetti fittizi. 7 Ancora una volta questa non deve essere considerata come una prova che gli oggetti fittizi non esistono, ma solo del fatto che non ne abbiamo bisogno. KENDALL WALTON K. Walton (1990), Mimesis as Make-Believe, Cambridge (Mass.) e Londra, Harvard University
Press, pp. 11-12 (§1.0), pp. 36-42 (§1.5), pp. 385-411 (§10.1-10.4) (traduzione italiana di §1.0 di
Sandro Zucchi: “Rappresentazione e far finta”, in Sandro Zucchi (a cura di), Finzione e verità.
Letture, Milano, The Robin Hood Online Press, pp. 23-25, link:
http://www.filosofia.unimi.it/zucchi/NuoviFile/Teorie%20della%20finzione.pdf)
Il libro di Kendall Walton Mimesis as Make-­‐Believe è considerato uno dei testi filosofici più rappresentativi dell’estetica contemporanea. L’obiettivo del testo è fornire un resoconto della natura della finzione. Una conseguenza che Walton ritiene derivi dalla sua nozione di finzione è che possiamo adottare una posizione finzionalista (cioè possiamo accettare certi asserti di opere letterarie ad esempio, senza dover assumere che siano veri e senza dover credere in essi) ed una posizione irrealista (non ci dobbiamo impegnare in alcun modo all’esistenza di oggetti fittizi). Sebbene il nostro principale obiettivo sia quello di comprendere la posizione finzionalista e irrealista di Walton, non possiamo comprenderla senza avere almeno un’idea approssimativa della sua concezione della natura della finzione. Verrà quindi fornita prima una presentazione generale della sua concezione della natura della finzione, e poi si prenderà in considerazione più in dettaglio la sua posizione finzionalista e irrealista. 1. La natura della finzione Secondo Walton, un’opera fittizia (o finzione) è qualunque opera d’arte rappresentazionale (o qualunque rappresentazione, sia essa artistica o no). Per Walton sono opere di finzione certe opere letterarie (come I promessi Sposi), ma sono opere di finzione anche dipinti (come Guernica di Pablo Picasso), incisioni (come Il sonno della ragione genera mostri di Francisco Goya), sculture (come i Prigioni di Michelangelo), i fumetti (come Le avventure della Pimpa di Altan), i videogiochi e altro ancora. Walton è consapevole che quello che egli ritiene opera di finzione non è ciò che comunemente si ritiene tale (ad esempio, le statue e le incisioni non sono comunemente considerate opere di finzione), ma egli non vuole rendere conto della nozione comune di finzione, vuole invece presentare un insieme di rappresentazioni che ritiene uniforme e che chiama finzione. 1.1 Finzione e gioco (si vedano pp. 11-­‐12 di Walton – Mimesis as Make-­‐Believe [d’ora in poi MMB]) Uno degli aspetti che Walton sottolinea fin dalle prime pagine del testo è che per comprendere un’opera di finzione noi dobbiamo considerare come giocano i bambini. I giochi dei bambini manifestano alcune caratteristiche che vengono conservate anche dagli adulti nella loro interazione con le opere di finzione. I bambini di tutte le culture passano gran parte del loro tempo a giocare e, secondo Walton, è impensabile che questa attività si perda completamente nell’adulto; a suo avviso permane anche se in modo più sofisticato e sottile, meno aperto. Il gioco dei bambini è più semplice da capire e quindi, secondo Walton, è un utile strumento per capire come gli adulti proseguano questa attività in modi più sofisticati. I bambini utilizzano bambole, cavallucci, macchinine e peluche. Tutti questi oggetti sono supporti [in inglese: prop] per far finta nei loro giochi. Ad esempio, le bambole sono supporti per far finta che siano neonati, le macchinine sono supporti per far finta che siano macchine vere, ecc. Allo stesso modo le opere di finzione fungono da supporti nel “far finta” e un certo modo di “far finta” contraddistingue la fruizione delle opere di finzione da parte degli adulti. 8 Il gioco dei bambini deve essere interpretato come un’attività molto importante e non un semplice passatempo. Il gioco serve al bambino per confrontarsi con la realtà che lo circonda. Nel campo di concentramento di Auschwitz i bambini giocavano un gioco chiamato “andare nella camera a gas” e questo gioco serviva ai bambini per confrontarsi con la realtà raccapricciante del genocidio. L’idea portante del lavoro di Walton è che come i bambini usano supporti nei loro giochi di far finta, anche gli adulti -­‐ quando si confrontano con opere di finzione -­‐ usano queste opere come supporti in un’attività di far finta un po’ più sofisticata di quella dei bambini. 1.2 Finzione e immaginazione (si veda pp. 36-­‐38 di MMB) Si tratta ora di capire che cosa contraddistingue la finzione. Secondo Walton quando noi ci facciamo coinvolgere da un’opera di finzione, noi facciamo finta e ovviamente far finta coinvolge l’immaginazione. Ad esempio, quando guardiamo il dipinto Una domenica sull’isola della Grand Jatte di Seurat (un quadro conservato al The Art Institute di Chicago), noi immaginiamo una coppia che passeggia sul prato, o se leggiamo La metamorfosi di Kafka immaginiamo quello che avviene al protagonista Gregor Samsa. Sebbene quando noi ci facciamo coinvolgere da un’opera d’arte immaginiamo qualcosa, Walton ci mette in guardia dall’identificare immaginazione e finzione. Egli ci invita a riconoscere che ciò che è fittizio talvolta non è immaginato e che ciò che è immaginato talvolta non è fittizio. Prendiamo in considerazione il gioco dei bambini Eric e Gregory che decidono di considerare i ceppi di legno come orsi. Si imbattono in un ceppo di legno e dicono “Ehi, c’è un orso qui!”. Susan che non sa del gioco si spaventa, ma se le dicono che è solo per gioco che c’è un orso Susan si tranquillizza, riconosce che l’asserto è vero nella finzione. Immaginazione senza finzione Supponiamo che Eric e Gregory si avvicinino con circospezione a quello che ritengono essere un orso, ma poi scoprono che è solo un masso ricoperto di muschio e quindi dicono “Falso allarme, non c’è un orso”. In questo caso i due bambini hanno immaginato che ci fosse un orso, ma in base alle regole del loro gioco l’orso non c’era e quindi non era vero nella finzione che ci fosse un orso. In questo caso i due bambini hanno immaginato qualcosa che non era fittizio. Finzione senza immaginazione Supponiamo ora che all’insaputa dei due bambini ci sia un ceppo di legno nel boschetto alle loro spalle, è quindi vero nella finzione che c’è un orso nel boschetto alle loro spalle, ma nessuno dei due l’ha immaginato. In questo caso c’è finzione, ma non c’è immaginazione. 1.3 Supporti e principio di generazione (si vedano pp. 38-­‐39 di MMB) Le opere di finzione sono supporti per le verità fittizie. Ad esempio le macchie di colore sulla tela de La Grand Jatte rendono fittizio che ci sia una coppia che passeggia sul prato. Le parole nel testo I viaggi di Gulliver rendono fittizio che ci sia una società con persone alte 15 cm che vanno in guerra a seconda di come si rompono le uova. Le opere di finzione quindi generano verità di finzione indipendentemente da quello che chiunque immagina. Ma le opere di finzione -­‐ in quanto supporti -­‐ non generano le verità di finzione da sole, hanno bisogno di una realtà sociale e umana che stabilisce una correlazione fra certe caratteristiche dell’opera di finzione e le verità fittizie generate. Questa connessione fra opere di finzione e verità fittizie generate è chiamata “principio di generazione”. Il principio di generazione può essere esplicitamente formulato come ad esempio fanno i due bambini Eric e Gregory quando dicono “Facciamo che i ceppi di legno siano orsi”. Ma in molti casi non c’è alcuna formulazione esplicita di questi principi e molti di coloro che fruiscono le opere d’arte possono essere completamente inconsapevoli di tali principi, nel senso che non saprebbero formularli neppure se gli fosse chiesto esplicitamente. Ciò che 9 rende i principi di generazione adeguati per certe opere di finzione è che sono in vigore, che di fatto ci si attiene ad essi. I supporti producono immaginazione e sono oggetti di immaginazione. Ad esempio i bambini Eric e Gregory usano i tronchi come supporti per immaginare orsi (quindi i ceppi producono immaginazione) e immaginano dei ceppi che siano orsi (quindi i ceppi sono oggetti di immaginazione). Occorre però tener presente che un supporto genera immaginazione solo se è accompagnato dal principio di generazione, se non c’è principio di generazione, ogni immaginazione non è governata da regole e quindi non dipende da supporti e principi di generazione. Ad esempio se Eric associa le fragole all’edera velenosa perché ha avuto un’eruzione cutanea allergica da edera velenosa proprio dopo aver raccolto delle fragole, questo non vuol dire che ci sia un principio di generazione che produce la sua immaginazione, la sua immaginazione procede senza principi. 1.4 Che cos’è una verità di finzione? (si vedano pp. 39-­‐41 di MMB) Abbiamo visto che una verità di finzione non è ciò che è immaginato, e inoltre abbiamo considerato come alcune verità di finzione sono generate da supporti insieme a principi di generazione. Le verità di finzione sono prescrizioni ad immaginare qualcosa. Quindi la verità di finzione non coincide con ciò che di fatto è immaginato, la verità di finzione coincide con ciò per cui c’è una prescrizione ad immaginare. E la prescrizione è determinata dal principio di generazione insieme ai supporti che di volta in volta si presentano. Questa definizione rende l’immaginazione un po’ diversa da come normalmente la si pensa. Generalmente si pensa che l’immaginazione sia libera di spaziare come vuole, mentre la credenza ha come aspirazione quella di cogliere la verità. Occorre credere solo e soltanto ciò che è vero, non siamo liberi di credere quello che vogliamo. Pensiamo quindi di essere liberi di immaginare quello che vogliamo, ma non di credere quello che vogliamo. Se invece accettiamo la definizione di Walton, dobbiamo riconoscere che l’immaginazione è costretta da regole (o principi di generazione) che agiscono in concomitanza con certi supporti. Chiunque si rifiuti di immaginare in base alle regole, si rifiuta di giocare o gioca in modo inappropriato. Una proposizione deve essere immaginata se si pone attenzione ad un certo supporto accompagnato da principi di generazione. Ad esempio, Eric e Gregory non sanno del ceppo che è nel bosco alle loro spalle e quindi non immaginano che ci sia un orso lì, ma sono costretti ad immaginare un orso ogni volta che si presenta un ceppo di fronte a loro. I principi di generazione costituiscono pertanto prescrizioni riguardo a ciò che deve essere immaginato in certe circostanze e queste prescrizioni coincidono con le verità di finzione. 1.5 La differenza fra le verità di finzione (o finzionalità) e la verità (si vedano pp. 41-­‐42 di MMB) C’è una forte tentazione a considerare la finzionalità (cioè le verità di finzione) come una specie di verità. In un certo senso noi diciamo che certe proposizioni sono vere in un mondo fittizio (o sono verità di finzione) e quindi possiamo pensare che si tratti di una specie di verità. Tuttavia Walton distingue esplicitamente fra verità di finzione e verità. Le verità di finzione sono prescrizioni ad immaginare in un certo modo. Asserire che “C’è una prescrizione ad immaginare che p” non significa dire che “p è vero”. Le due nozioni sono pertanto da tenere nettamente distinte secondo Walton. Occorre tuttavia comprendere perché siamo tentati ad assimilare le due nozioni. La ragione è da trovarsi nel fatto che così come nella ricerca della verità noi cerchiamo di conoscere qualcosa di oggettivo e indipendente dall’esistenza e dai desideri del soggetto, allo stesso modo le verità di finzione (in quanto dipendenti da supporti) sono in un certo senso 10 oggettive, esse sono indipendenti dall’esistenza e dalle esperienze del soggetto e proprio questa oggettività contribuisce all’interesse che suscitano in coloro che ne usufruiscono. 2. Finzionalismo e irrealismo di Walton Kendall Walton sostiene che noi possiamo fruire di un’opera di finzione letteraria senza doverci impegnare all’esistenza di oggetti fittizi. Abbiamo già preso in considerazione che cosa significhi per Walton fruire un’opera di finzione: vuol dire accettare certe regole prescrittive (sulla base del principio di generazione) che ci impongono di utilizzare i supporti per immaginare in modi particolari. Accettare quindi il contenuto di un’opera di finzione non vuol dire accettare che quel contenuto è vero, vuol dire solo accettare certe regole che ci prescrivono di immaginare i supporti in un certo modo. Accettare il principio di generazione e i supporti, non vuol dire accettare la verità di ciò che viene asserito, vuol dire accettare regole e supporti e essere disposti a seguire le indicazioni delle regole per usare i supporti nel modo indicato. Molti filosofi prima di Walton hanno ritenuto che ci si dovesse impegnare all’esistenza di oggetti fittizi, ma Walton ritiene che le ragioni avanzate dai filosofi suoi predecessori non siano convincenti e vuole mostrare che chi adotta la sua teoria fa a meno degli oggetti fittizi. Il capitolo 10 del libro di Walton è dedicato proprio a mostrare che chi adotta la sua teoria può fare a meno degli oggetti fittizi ed è su questo capitolo che ci concentreremo. 2.1 Il problema (si veda §10.1 di MMB) Secondo Walton, il problema degli oggetti fittizi deriva dalla nostra accettazione pre-­‐
teorica di due tesi: (1) non esistono persone come re Lear nel mondo reale, (2) esistono personaggi fittizi come re Lear. Il problema è rendere compatibile queste due tesi che noi accettiamo in modo pre-­‐teorico. Le strategie che a suo avviso sono state adottate per cercare di rendere compatibili queste due tesi sono due. Prima strategia: Alcuni filosofi (soprattutto i meinonghiani o possibilisti) hanno pensato di distinguere fra essere e esistenza, o fra esistenza e realtà. L’idea è che c’è re Lear, anche se non esiste o che re Lear esiste, anche se non esiste nel nostro mondo. Seconda strategia: Altri filosofi (soprattutto Margolis) hanno sostenuto che dobbiamo negare essere ed esistenza agli oggetti fittizi, ma sebbene tali oggetti non esistano noi possiamo riferirci ad essi. La seconda strategia viene velocemente confutata da Walton, dal momento che non si capisce come possa avvenire il riferimento ad oggetti che non esistono. La maggior parte dei filosofi ha pertanto ritenuto che gli oggetti fittizi ci siano, anche se non c’è accordo su come questi oggetti debbano essere interpretati. Alcuni accettano che gli oggetti fittizi siano incompleti, che non devono sottostare alla legge del terzo escluso (ad esempio, Lady Macbeth non ha né la proprietà di avere più di due figli né la proprietà di non avere più di tre figli). Per evitare difficoltà di tipo logico (come il rifiuto della legge del terzo escluso), alcuni ritengono che gli oggetti fittizi non possano avere proprietà ordinarie come essere una persona e avere tre figli, ma solo proprietà come quella di avere una personalità in base a una particolare storia. Alcuni ritengono che le entità fittizie siano oggetti astratti (tipi o generi o insiemi di proprietà), altri ritengono che siano oggetti che esistono necessariamente e eternamente. Tutte queste concezioni degli oggetti fittizi si scontrano con la nostra concezione ordinaria di essi, noi parliamo di essi così come parliamo degli oggetti ordinari, che hanno esistenza fisica e contingente, che hanno proprietà normali e che sottostanno alle regole della logica. Le teorie dei sostenitori degli oggetti fittizi non riescono pertanto a rendere conto del nostro modo pre-­‐teorico di parlare di essi. 11 Molti filosofi hanno cercato di parafrasare gli asserti sugli oggetti fittizi che non possiamo accettare per quello che dicono letteralmente per mostrare come devono essere effettivamente intesi. Tuttavia questa strategia non è sufficiente, occorre riuscire a soddisfare i seguenti tre requisiti: 1)
dobbiamo sapere che cosa effettivamente diciamo quando parliamo di entità fittizie (e questo viene proposto appunto dalla parafrasi) 2)
dobbiamo sapere perché ci esprimiamo in modo fuorviante e non proferiamo direttamente la parafrasi proposta 3)
dobbiamo avere un modo per stabilire in modo sistematico e uniforme che cosa diciamo di volta in volta sulla finzione e non dobbiamo di volta in volta avere una procedura ad hoc per fornire la parafrasi L’obiettivo di Walton è proporre una teoria che assolve questi requisiti. La sua teoria sul “far finta” che contraddistingue la nostra fruizione delle opere di finzione non è solo una teoria estetica ma anche una teoria che permette di affrontare le domande che riguardano la semantica dei nomi di oggetti fittizi e lo statuto ontologico di tali oggetti. Prima di presentare le sua teoria, egli fa due osservazioni preliminari. Innanzitutto desidera mettere in luce quello che a suo avviso è l’errore delle teorie che accettano gli oggetti fittizi. Tali teorie prendono l’avvio dall’assunzione che ci sono entità fittizie e ne caratterizzano lo statuto ontologico, e solo successivamente si interrogano sul tipo di atteggiamento che noi abbiamo nei loro confronti. Secondo Walton occorre invece adottare la prospettiva opposta: occorre innanzitutto prendere l’avvio dal nostro atteggiamento di “far finta” e alla luce di tale atteggiamento occorre considerare che cosa sono e se ci sono le entità fittizie. La seconda osservazione preliminare di Walton riguarda il suo atteggiamento nei confronti delle entità astratte in generale. Alcuni filosofi sono diffidenti nei confronti di tutte le entità astratte e considerano le entità fittizie un tipo particolare di entità astratte. Walton invece ritiene che occorra distinguere fra entità fittizie e altre entità astratte. La principale ragione per fare questa distinzione dipende dall’atteggiamento pre-­‐teorico di molti parlanti: mentre la maggior parte sono concordi nell’affermare che non esistono re Lear, don Abbondio e Gregor Samsa, la maggior parte non pensa che non esistono i numeri o le proprietà. Quindi, almeno dal punto di vista pre-­‐teorico, ci sono ragioni per adottare atteggiamenti diversi nei confronti degli oggetti fittizi rispetto ad altri oggetti astratti. 2.2 Parlare all’interno di mondi fittizi e riguardo a mondi fittizi (si veda §10.2 di MMB) Sebbene si dia spesso per scontato che noi facciamo asserzioni su oggetti fittizi, questa assunzione è sbagliata a parere di Walton. I presunti asserti su oggetti fittizi sono in realtà asserti simulati, atti di partecipazione in giochi di far finta. L’esempio che prende in considerazione Walton è quello di una persona che puntando ad un particolare del dipinto La costa di Scheveningen (un dipinto di Van de Velde conservato alla National Gallery di Londra) dice “Questa è una nave”. Prendiamo in considerazione il dimostrativo “questa”, a cosa si riferisce? Non si riferisce certo a una macchia colorata, una macchia colorata non è una nave. Il riferimento del dimostrativo non è un particolare oggetto su cui poi si agisce facendo finta, il dimostrativo ha un riferimento soltanto all’interno di un gioco di far finta. La persona può solo simulare di riferirsi a qualcosa (non si riferisce effettivamente a qualcosa) col dimostrativo all’interno di un gioco di far finta. Allo stesso modo, secondo Walton, quando diciamo che “Gulliver è stato catturato dai Lillipuziani”, il nome “Gulliver” non ha un riferimento al di fuori della simulazione generata dal gioco di far finta. Quando Walton parla di simulazione intende un’azione di partecipazione in un atto di far finta. Quando un bambino gioca a “Guardia e ladri” e urla “Fermo o ti sparo!”, sta compiendo un’azione (sta parlando effettivamente), ma la sua azione è compiuta all’interno di 12 un gioco di far finta. Allo stesso modo le asserzioni che noi facciamo su opere letterarie o su opere pittoriche sono da interpretarsi some azioni compiute all’interno di un gioco di far finta. Il parlante quindi agisce all’interno di un mondo fittizio e contribuisce alla sua esistenza. Si può pensare che l’azione del critico che commenta un dipinto o un’opera letteraria sia un’azione dall’esterno che non lo coinvolge nell’azione di far finta, ma Walton ritiene che questa sia un’interpretazione scorretta. Il critico non può parlare di un’opera di finzione se non si fa catturare nel gioco di far finta. Supponiamo che un critico intenda commentare le tristi vicende di Willy Loman (il protagonista dell’opera teatrale Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller), probabilmente simulerà di descrivere una tragedia umana reale facendosi coinvolgere e facendo osservazioni sul mondo dell’opera teatrale (immergendosi quindi fittiziamente in quella realtà sociale). Si può qui dubitare che il critico si faccia veramente coinvolgere nel gioco di far finta. Come facciamo a sapere che il critico simula e non asserisce effettivamente? Per poter fare la distinzione fra asserire e far finta (o simulare) di asserire, occorre una definizione di asserzione (da distinguere dalla definizione di far finta) che Walton si rifiuta di dare. Si può cercare di insistere che il critico non si fa coinvolgere, che rimane all’esterno del gioco di far finta. Ma, anche se fosse così, Walton osserva che le parole del critico potrebbero essere supporti per altri giochi di far finta compiuti dai suoi ascoltatori e quindi il critico potrebbe essere inserito in un gioco di far finta suo malgrado. L’obiettivo a cui tende Walton è sostenere che quando noi facciamo asserzioni sulle opere di finzione, come ad esempio “Tom Sawyer ha partecipato al suo funerale”, stiamo compiendo un atto linguistico all’interno di un gioco di far finta, non abbiamo quindi ragione di supporre che ci sia alcuna persona a cui ci riferiamo con il nome “Tom Sawyer” e non dobbiamo supporre che ci sia una proposizione che viene espressa dall’asserto “Tom Sawyer ha partecipato al suo funerale”. E’ solo all’interno della finzione che ci si riferisce a una persona e che si esprime una proposizione. Per comprendere quindi quelle che sembrano asserzioni su entità fittizie dobbiamo innanzitutto considerare l’atteggiamento con cui vengono compiute, e l’atteggiamento deve essere compreso all’interno di un gioco di far finta. 2.3 Asserti ordinari (si veda § 10.3 di MMB) L’obiettivo di questo paragrafo è argomentare più diffusamente che quelle che sembrano asserzioni sugli oggetti fittizi, sono atti di simulazione all’interno di giochi di far finta. Walton sostiene che sebbene queste asserzioni non siano asserzioni su oggetti fittizi, sono comunque asserzioni e si propone di spiegare quali sono le condizioni di verità e il contenuto di tali asserzioni. Quelle che sembrano asserzioni su oggetti fittizi sono asserzioni come le seguenti: (1) Tom Sawyer ha assistito al suo funerale (2) L’assassino ha nascosto il cadavere sotto le assi del pavimento (detto a proposito di Il cuore rivelatore di Edgar Allan Poe) (3) Quello è un unicorno (detto mentre si punta il dito verso uno degli arazzi medievali con gli unicorni – si possono trovare sia in Francia che al Metropolitan Museum di New York) Uno potrebbe pensare che per comprendere quello che viene effettivamente asserito con questi enunciati basti aggiungere una frase come “In Le avventure di Tom Sawyer”, o “Nel racconto” o “Nel mondo del dipinto”. In base a questa interpretazione, il primo asserto sarebbe equivalente al seguente: (1a) In Le avventure di Tom Sawyer, Tom Sawyer ha assistito al suo funerale In questo modo si salverebbe l’intuizione che “Tom Sawyer” non si riferisce a un’entità reale, ma solo a un’entità fittizia. Ma non tutti gli asserti che riportano ciò che viene detto in 13 un’opera di finzione contengono riferimenti apparenti a oggetti fittizi, alcuni contengono riferimenti a oggetti reali o a oggetti generici. Per un esempio, si prendano in considerazione il seguente asserto: (4) Cesare è stato messo in guardia sulle Idi di Marzo (detto riguardo alla tragedia di Shakespeare Giulio Cesare) In questo caso il nome “Cesare” si riferisce a una persona effettivamente esistita. Si prenda inoltre in considerazione il seguente asserto: (5) Insetti giganti cresciuti a North Wood furono usati per trivellare pozzi in Arizona (detto riguardo alle storie su Paul Burnyan – storie piuttosto popolari negli Stati Uniti) In questo caso non c’è un riferimento a un particolare personaggio o insetto. Secondo Walton, non si può sostenere che tutti gli asserti che riguardano opere di finzione facciano riferimento (anche solo apparentemente) ad oggetti di finzione, alcuni non fanno riferimento ad oggetti fittizi. Quello che contraddistingue invece tutte queste asserzioni è la partecipazione a giochi autorizzati di far finta. E’ bene distinguere fra giochi autorizzati e giochi non autorizzati. Sebbene non ci siano giochi in assoluto non autorizzati, alcuni sono di fatto non autorizzati. Se ad esempio qualcuno vuole considerare le parole di Alla ricerca del tempo perduto come impronte di piccoli marziani, lo può fare, ma questo non è un gioco di far finta che è in uso e pertanto non è autorizzato. Un gioco non autorizzato è semplicemente un gioco che non è in uso, mentre un gioco autorizzato è un gioco che è di fatto praticato. La distinzione fra giochi autorizzati e giochi non autorizzati è funzionale a capire perché non tutte le asserzioni fatte all’interno di un gioco di far finta sono accettate e appropriate. Ad esempio, l’asserzione “Tom Sawyer ha assistito al suo funerale” è accettata e appropriata, mentre l’asserzione “Tom Sawyer non ha mai marinato la scuola” non lo è. Per riuscire a fare la distinzione fra asserzioni appropriate e asserzioni non appropriate non abbiamo bisogno di appellarci alla distinzione fra ciò che è vero e ciò che è falso. Gli atti di simulazione possono essere appropriati o non appropriati a seconda dei giochi di far finta che sono di fatto praticati e non di ciò che è vero o falso. Quando qualcuno asserisce “Tom Sawyer ha assistito al suo funerale” sta rendendo fittizio di se stesso in un particolare gioco di far finta autorizzato che sta dicendo la verità invece che la falsità. E quando una persona asserisce “Tom Sawyer ha assistito al suo funerale” non solo rende fittizio di se stesso in un particolare gioco di finzione che sta dicendo la verità, ma mostra agli altri che quello che sta compiendo è un gioco di simulazione autorizzato. E non è fittizio nello stesso gioco di simulazione che egli dica la verità se dice “Tom Sawyer non ha mai marinato la scuola”. Sebbene, secondo Walton, quando uno asserisce “Tom Sawyer ha assistito al suo funerale” sta compiendo un atto di simulazione, egli sta facendo anche un’asserzione. E un’asserzione ha un contenuto che è o vero o falso. Si pone quindi la questione di stabilire che cosa viene asserito quando qualcuno proferisce quelle parole in un atto di simulazione e quali sono le sue condizioni di verità. Walton specifica innanzitutto quali sono le condizioni di verità di ciò che viene asserito e poi ci propone una parafrasi di ciò che viene asserito che ci permette di stabilire qual è il contenuto di ciò che viene asserito. Le condizioni di verità di un asserto sono quelle condizioni che deve soddisfare il mondo affinché l’asserto sia vero (ad esempio le condizioni di verità di ciò che viene asserito con “Elisa Paganini insegna Filosofia del linguaggio” sono che la persona denotata da Elisa Paganini abbia la proprietà di insegnare filosofia del linguaggio). Ora, secondo Walton, quando uno asserisce “Tom Sawyer ha assistito al suo funerale”, ciò che rende la sua asserzione vera è che è fittizio nel gioco autorizzato adottato 14 dal parlante che egli parli in modo veritiero. Ad esempio se Susanna asserisce “Tom Sawyer ha assistito al suo funerale” ciò che asserisce è vero se e solo se è fittizio nel gioco autorizzato che Susanna adotta che essa parli in modo veritiero. E’ bene tener presente che tutto ciò che serve per stabilire le condizioni di verità di ciò che è asserito dipende dalla natura dell’opera di finzione (nel caso specifico Le avventure di Tom Sawyer) e dai principi di generazione adottati nel gioco autorizzato per la specifica opera di finzione. Non è quindi necessario postulare oggetti fittizi per stabilire quali sono le condizioni di verità di ciò che è asserito. Ora che sono state specificate le condizioni di verità di ciò che viene asserito quando si fanno asserzioni nel contesto di una simulazione, è utile considerare la parafrasi di tali enunciati. La parafrasi deve essere adeguata non solo per un singolo parlante, ma per tutti i parlanti che condividono lo stesso gioco di far finta. Quindi se Susanna dice “Tom Sawyer ha assistito al suo funerale” e lo dice anche Paolo nello stesso gioco di finzione, quello che entrambi dicono è lo stesso. Dal momento che la simulazione che essi adottano è la stessa, possiamo chiamare la simulazione adottata da entrambi K e specificare la parafrasi di ciò che viene asserito come segue: (1b) Le avventure di Tom Sawyer è tale che uno che adotta una simulazione di tipo K in un gioco autorizzato per quell’opera di finzione fa finta di parlare veridicamente in quel gioco Ciò che Susanna e Paolo dicono non riguarda una particolare persona o un particolare atto, ma riguarda un certo tipo di atto di simulazione. La parafrasi può essere anche espressa nel modo seguente: (1c) Le avventure di Tom Sawyer è tale che uno che asserisce fittiziamente che Tom Sawyer ha partecipato al suo funerale, in un gioco autorizzato per quest’opera, finge di se stesso che sta parlando veridicamente E’ molto importante notare che ciò che viene asserito riguarda un atto di simulazione e la seconda parafrasi (1c) nasconde questo aspetto che è invece cruciale per Walton. Ciò che viene asserito da chi dice “Tom Sawyer ha assistito al suo funerale”, non riguarda un mondo di finzione, ma riguarda una simulazione autorizzata da un gioco di far finta. La prima parafrasi (1b) è quindi preferibile alla parafrasi (1c). Un atto di simulazione non è un particolare atto, ma è un tipo di atto e può essere adottato almeno in linea di principio da altre persone. L’atto di simulazione viene mostrato direttamente da chi si fa coinvolgere in opere di finzione e fa asserzioni. E si fa riferimento al tipo di atto di simulazione quando si fa un’asserzione apparentemente su oggetti fittizi. Walton quindi ritiene che le asserzioni che noi facciamo apparentemente su oggetti di finzione non si riferiscono ad oggetti di finzione. E’ utile inoltre osservare che Walton accetta che quello che viene asserito può essere compreso solo attraverso una parafrasi. Egli deve pertanto cercare di soddisfare le tre richieste che egli stesso enuncia in § 10.1: 1) dobbiamo sapere che cosa effettivamente diciamo quando parliamo di entità fittizie (e questo viene proposto appunto dalla parafrasi) 2) dobbiamo sapere perché ci esprimiamo in modo fuorviante e non proferiamo direttamente la parafrasi proposta 3) dobbiamo avere un modo per stabilire in modo sistematico e uniforme che cosa diciamo di volta in volta sulla finzione e non dobbiamo di volta in volta avere una procedura ad hoc per fornire la parafrasi La prima richiesta è soddisfatta dalla stessa parafrasi. La seconda richiesta è chiarita una volta che si comprende che noi ci facciamo coinvolgere in atti di simulazione in giochi di far finta. All’interno del gioco di far finta, ciò che ci interessa è ciò in cui ci facciamo coinvolgere nella simulazione e quindi ciò che asseriamo-­‐sotto-­‐simulazione. Rimane aperta l’ultima questione. Abbiamo visto qual è la parafrasi nei casi in cui noi ci facciamo coinvolgere direttamente in opere di finzione attraverso giochi autorizzati. Ci sono 15 casi in cui noi ci facciamo coinvolgere in giochi particolari e speciali. L’obiettivo del prossimo paragrafo è prendere in considerazione questi casi particolari e spiegarli in modo che si armonizzino con i casi in cui si adottano giochi autorizzati più generalmente riconosciuti per rendere uniforme ciò che viene proposto sulla finzione. 1.4 Giochi non ufficiali In molti casi noi non giochiamo giochi autorizzati dalle opere di finzione, ma giochiamo giochi speciali e non ufficiali. Si potrebbe credere che per questi giochi non ufficiali servano stipulazioni particolari, ma in molti casi non è necessaria alcuna stipulazione dei principi di generazione, i giochi non ufficiali si comprendono facilmente. Per esempio quando uno accarezza una scultura sta simulando di accarezzare la persona raffigurata, o quando si mette a tirare frecce a un ritratto sta simulando di tirare frecce alla persona rappresentata. Giochi di finzione non ufficiali si possono riscontrare anche nelle seguenti asserzioni: (6) L’orchestra è sull’acqua (detto nel caso in cui si simula che la pedana dell’orchestra sul ponte della nave è l’acqua dell’oceano) (7) Un vandalo ha colpito Maria con un martello (in cui si simula che un vandalo abbia attaccato la persona rappresentata dalla Pietà di Michelangelo) (8) La piccola Annie ha otto anni da quarant’anni (in cui il gioco dipende dal fatto che il fumetto sulla piccola Annie è stato prodotto per quarant’anni) (9) E’ morta nove volte nelle ultime due settimane (in cui il gioco dipende dal fatto che un’attrice ha recitato nove volte la morte di un certo personaggio) (10)
Robinson Crusoe è più intraprendente di Gulliver (in cui si simula che due opere letterarie facciano parte di uno stesso gioco di finzione) (11)
Odisseo è Ulisse (in cui ancora una volta si simula che due opere letterarie, l’Odissea di Omero e il poema Ulisse di Tennyson, facciano parte di uno stesso gioco e che il protagonista delle due opere possa essere identificato) Ci sono anche casi in cui due opere letterarie possono entrare in conflitto fra loro, in questo caso si può creare sempre un gioco non ufficiale in cui le due opere sono parte dello stesso gioco, e si possono avere atteggiamenti diversi. Walton prende in considerazione il caso di Ulisse che torna a casa in base al racconto nell’Odissea di Omero, ma non torna a casa in base all’Inferno di Dante. In questo caso si può arrivare ad affermare “Odisseo è tornato e non è tornato a casa”, oppure si può affermare “Odisseo è tornato a casa, ma nell’Inferno si dice erroneamente che non è tornato a casa”. Che cosa asserisce chi simula in un gioco non ufficiale? La risposta è analoga per certi versi a quella data nel caso dei giochi ufficiali. Le condizioni di verità sono caratterizzate come segue: Quello che viene asserito è vero se e solo se è fittizio nel gioco non ufficiale che quello che viene asserito è vero. E ovviamente anche la parafrasi sarà da stabilirsi in modo corrispondente. Sebbene ci sia un’analogia fra i due tipi di giochi, c’è anche una differenza. I giochi autorizzati sono direttamente autorizzati dall’opera di finzione, mentre i giochi non autorizzati sono ispirati ai giochi autorizzati. Molte affermazioni che riguardano la finzione possono essere compresi nei termini di giochi non ufficiali. Walton fa gli esempi seguenti: (12)
Oscar Wilde ha ucciso Dorian Gray trafiggendo il suo cuore con un coltello (13)
Molti bambini amano E.T. più di Topolino (14)
Sherlock Holmes è più famoso di qualunque detective (15)
Sconfitto dalla realtà e dalla Spagna, Don Chisciotte è morto nel villaggio nativo nel 1614. Gli è sopravvissuto di poco Miguel de Cervantes. Quali sono le regole per stabilire quale gioco non ufficiale viene giocato? Ci sono secondo Walton tre regole da tener presente: 16 1) innanzitutto bisogna presupporre che gli asserti siano ordinari fino a prova contraria 2) quando gli asserti non sono ordinari, occorre mettere in pratica un principio di carità. Bisogna assumere che chi parla non dica cose senza senso e quindi bisogna cercare un gioco non ufficiale che renda sensato quello che viene detto. Quando ascoltiamo “Robinson Crusoe è stato più intraprendente di Gulliver”, il modo per rendere ragionevole l’asserzione è che due opere di finzione siano supporti in un unico gioco di finzione. 3) Inoltre bisogna tener presente i precedenti. Molti giochi di finzione non ufficiali sono ormai molto diffusi, ad esempio è diffuso il gioco di considerare due opere di finzione supporti di uno stesso gioco, o è diffuso ritenere l’autore di un personaggio il suo creatore. Si pensi ad esempio a: (16)
Jane Austen ha creato Emma Woodhouse Ci sono casi in cui i giochi non ufficiali non hanno precedenti, come ad esempio in: (17)
I convitati all’Ultima Cena [di Leonardo] stanno gradualmente svanendo Secondo Walton, la differenza fra i giochi non ufficiali con precedenti e quelli senza precedenti può essere assimilata alla differenza fra metafore morte e metafore nuove. I giochi non ufficiali presi in considerazione, sebbene non autorizzati dalle opere di finzione, sono ispirati alle stesse opere di finzione e sono facilmente comprensibili come variazioni di giochi ufficiali. STUART BROCK S. Brock (2002), “Fictionalism about Fictional Characters”, in Noûs vol. 36 (1), pp. 1-21
Nel testo che leggiamo, Stuart Brock confronta i realisti sugli oggetti fittizi con i finzionalisti. I realisti sostengono che abbiamo bisogno di postulare l’esistenza di oggetti fittizi per rendere conto delle nostre affermazioni sulla finzione, i finzionalisti sostengono invece che non ne abbiamo bisogno. Stuart Brock è un finzionalista e l’obiettivo del suo saggio è mostrare che il finzionalista può evitare di postulare le entità fittizie e fornire un resoconto adeguato e uniforme degli asserti sulla finzione. Il saggio di Brock non è molto preciso in molte parti, se ci si riflette tratta i filosofi realisti sugli oggetti fittizi in modo un po’ stereotipato e grossolano. Tuttavia ha il pregio di essere un saggio piuttosto semplice e presenta la posizione dei finzionalisti anti-­‐realisti in modo piuttosto chiaro, è per questa ragione che credo possa essere utile la sua lettura. 1. Realismo sui personaggi fittizi Nel primo paragrafo del suo saggio, Stuart Brock considera il suo bersaglio polemico: i realisti sugli oggetti fittizi. Sebbene egli riconosca che la posizione realista non sia uniforme e che ci siano grosse differenze fra i sostenitori del realismo, egli individua due tesi che contraddistinguono i realisti: La tesi ontologica: ci sono personaggi fittizi. Un personaggio fittizio è un individuo (o un ruolo) selezionato da un nome o una descrizione che (1) è introdotta per la prima volta in un’opera di finzione e (2) non si riferisce a un individuo del mondo reale. Principio di pienezza: C’è abbondanza di personaggi fittizi Queste due tesi vanno chiarite. Innanzitutto vale la pena tener presente che nelle opere di finzione si fa talvolta riferimento a persone effettivamente esistite nel modo reale (ad esempio si fa riferimento a Napoleone in Guerra e pace di Tolstoj, o si fa riferimento a Giulio Cesare nel Giulio Cesare di Shakespeare). Il riferimento a oggetti del mondo reale non è messo in discussione dai filosofi irrealisti sulle entità fittizie e quindi quello che contraddistingue la 17 tesi ontologica dei filosofi realisti è che i termini introdotti nei testi letterari, che non si riferiscono ad oggetti del mondo reale, hanno comunque riferimento. Inoltre, vale la pena di precisare che coloro che credono negli oggetti fittizi, non si accontentano di ritenere che i nomi o le descrizioni in un’opera di finzione abbiano un qualche riferimento (magari lo stesso per tutti i nomi o le descrizioni di oggetti fittizi), ma occorre che tali nomi o descrizioni individuino oggetti distinti. Al riguardo, Stuart Brock riprende un’osservazione di Frege in “Senso e significato” in base alla quale si potrebbe stipulare un linguaggio ideale (ideografia) in cui ogni nome designi un oggetto; come osserva Frege, questo è difficile anche per le espressioni della matematica in cui la descrizione “la serie meno convergente” non ha un significato, ma si potrebbe supporre che espressioni del genere designino tutte lo stesso oggetto – ad esempio il numero 0. Allo stesso modo, Brock osserva che se qualcuno ritenesse (seguendo l’indicazione di Frege) che tutti i nomi o le descrizioni che compaiono in un’opera di finzione e che non si riferiscono a oggetti reali hanno lo stesso riferimento, ad esempio il numero 0, questa persona non sarebbe un realista sugli oggetti fittizi. Dopo aver caratterizzato la posizione dei realisti, Brock si preoccupa di valutare la loro posizione e ritiene che il principale problema dei realisti sono gli enunciati esistenziali negativi. Sono enunciati come “Sherlock Holmes non esiste”, enunciati che le persone comuni accettano come adeguati e che un anti-­‐realista (o irrealista) accetta come adeguati, ma che un realista sugli oggetti fittizi non può accettare così come si presentano. Per valutare quindi la posizione del realista, Brock si propone di valutare il modo in cui rende conto di tali enunciati e l’obiettivo è mostrare che le analisi proposte dai realisti sono inadeguate. Per analizzare le strategie dei realisti, egli distingue i realisti in due categorie: i realisti concreti e i realisti astratti. I realisti concreti accettano (oltre alle due tesi precedenti) le seguenti due tesi: La tesi della concretezza: i personaggi fittizi sono di diverso tipo, talvolta concreti (come Scarlet O’Hara e Robin Hood) e talvolta astratti (come l’insieme che contiene Scarlet O’Hara e la lealtà del piccolo John a Robin Hood). Non-­‐attualismo: i personaggi fittizi esistono ma non sono nel mondo possibile in cui ci troviamo (non sono attuali). Queste tesi sono condivise, a parere di Brock, sia da un meinonghiano come Parsons, che da un possibilista come Lewis. Tuttavia c’è una differenza nel modo in cui interpretano la tesi del non-­‐attualismo. Per Parsons la distinzione fra esistenza e realtà (o attualità) è di tipo ontologico, per Lewis non è una distinzione ontologica ma il termine “attuale” deve essere considerato un indicale, il cui riferimento dipende dal mondo in cui è proferito. Consideriamo ora come interpretano l’enunciato esistenziale negativo “Sherlock Holmes non esiste”. A loro avviso, il quantificatore esistenziale ha un’applicazione ristretta in questo caso, come nella maggior parte dei casi in cui usiamo il predicato di esistenza; supponiamo che qualcuno dica “non c’è più cibo”, quello che presumibilmente intende è “non c’è più cibo in casa” o “non c’è più cibo nelle vicinanze”, allo stesso modo quando noi diciamo “Sherlock Holmes non esiste”, intendiamo che Sherlock Holmes non esiste nel mondo che abitiamo. Prendiamo ora in considerazione la posizione dei realisti astratti. Al contrario dei realisti concreti, il realista astratto aggiunge alle due tesi iniziali le due seguenti tesi: Astrattismo: i personaggi fittizi sono tutti entità astratte. Realismo (o attualismo): ogni cosa è reale (o attuale). 18 Anche il realismo astratto presenta due varianti. La prima variante viene definita “realismo individuale” ed è la tesi che i personaggi fittizi sono individui astratti che esistono nel nostro mondo (è la tesi che viene attribuita ad esempio a Kripke e ai cosiddetti creazionisti); la seconda variante viene definita “realismo del ruolo” e sostiene che i personaggi fittizi non sono individui, ma ruoli (o regole) definite o costituite da insiemi di proprietà (è la tesi che viene attribuita ai cosiddetti platonisti). Poiché il realista astratto è un sostenitore della tesi attualista (o realista), non può distinguere fra ciò che esiste e ciò che è reale come fa il realista concreto. Il realista astratto interpreta l’enunciato “Sherlock Holmes non esiste” come esprimente la proposizione che nulla ha le proprietà attribuite a Holmes, o la proposizione che non c’è nulla che occupa il ruolo di Holmes. 2. Le ragioni a favore del realismo Il realista per difendere la sua posizione deve fornire argomenti per dimostrare che noi abbiamo bisogno degli oggetti fittizi. L’argomento che viene di solito utilizzato dal sostenitore degli oggetti fittizi è che la verità di alcuni enunciati ci impegna all’esistenza di oggetti fittizi. Per comprendere gli argomenti dei realisti è utile distinguere tre tipi di enunciati che sembrano impegnarci all’esistenza di oggetti fittizi e che vengono così denominati: asserti fittizi, asserti critici e asserti esistenziali. L’obiettivo dei realisti è mostrare che per i primi due tipi di asserti la loro posizione è preferibile a quella dei realisti. Consideriamo innanzitutto alcuni esempi dei tre tipi di asserti presentati dallo stesso Brock. Asserti fittizi: (1) C’è un famoso detective che vive a 221b Baker Street (2) Heathcliff fu perseguitato da un fantasma nelle brughiere ventose (3) Scarett O’Hara è una donna Asserti critici: (4) Scalett O’Hara è un personaggio fittizio (5) Romeo è stato analizzato criticamente da molti studiosi di Shakespeare (6) Holmes è ammirato da molti membri della polizia inglese (7) Holmes non avrebbe avuto bisogno di cassette registrate per scoprire i segreti di Nixon (Lewis) (8) Holmes simboleggia l’umana ricerca incessante della verità (Lewis) (9) Anna Karenina è meno nevrotica di Katerina Ivanovna (Howell) (10)
Il personaggio Odisseo che compare nell’Odissea è identico al personaggio che compare nell’Inferno, canto 26, con il nome ‘Ulisse’ (Howell) (11)
Ci sono personaggi nei romanzi del XIX secolo che sono presentati con più dettagli fisici di qualunque personaggio in un qualunque romanzo del XVIII secolo (van Inwagen) (12)
Giacché i romanzieri inglesi del XIX secolo furono per lo più persone convenzionali, possiamo aspettarci che nella maggior parte dei romanzi del periodo compaiano buffi stereotipi di italiani o francesi; ma pochi di tali personaggi sono esistiti (van Inwagen) (13)
Un certo detective fittizio è più famoso di qualunque detective reale (Parsons) (14)
Le cose andrebbero meglio se certi politici che (sfortunatamente) esistono solo nella finzione governassero questo paese al posto di quelli che lo fanno (Parsons) Asserti esistenziali: (15)
Non c’è alcun Sherlock Holmes (16)
Ebezener Scrooge non esiste (17)
Ci sono pesci 19 (18)
Saul Kripke esiste Prima obiezione: l’anti-­‐realista non può accettare gli asserti fittizi per come si presentano, ha bisogno di fornire una parafrasi Consideriamo innanzitutto gli asserti fittizi. Secondo Brock, il realista li può accettare per quello che sono, mentre l’anti-­‐realista deve fornire una parafrasi di tali asserti per poter rendere conto del loro contenuto compatibilmente con la sua teoria. In base al teorico anti-­‐
realista, dobbiamo interpretare questi asserti come asserti ellittici, abbreviati, in cui c’è un prefisso che è rimasto implicito. Il prefisso implicito è qualcosa come “In base all’opera di finzione così-­‐e-­‐così”. L’asserto è vero quando viene aggiunto il prefisso, ma l’anti-­‐realista deve dire che l’asserto è falso senza il prefisso. Il realista può manifestare la sua insoddisfazione sottolineando che l’anti-­‐realista deve spiegare perché parliamo in modo fuorviante e non diciamo direttamente quello che intendiamo. Per dirlo in altre parole, il realista può chiedere all’antirealista perché non usiamo il prefisso se di fatto è quello che intendiamo. L’anti-­‐realista ha a disposizione la risposta “tu quoque”. Infatti, se l’anti-­‐realista è costretto a fornire una parafrasi degli asserti fittizi, il realista è costretto a fornire una parafrasi degli asserti esistenziali negativi. Brock osserva inoltre che il realista astratto non può accettare gli asserti fittizi per quello che sono. Infatti gli oggetti astratti non hanno la proprietà di essere donne o di abitare al 221b di Baker street. Pertanto il realista astratto deve fornire una parafrasi anche degli asserti fittizi e non solo di quelli esistenziali, trovandosi in una posizione più svantaggiosa di quella dell’anti-­‐realista. Seconda obiezione: l’anti-­‐realista non può fornire per gli asserti critici la stessa parafrasi che offre per gli asserti fittizi e deve quindi accettare di impegnarsi agli oggetti fittizi Gli asserti critici creano un problema in più per l’anti-­‐realista. Non solo non li può accettare così come sono, ma non può neanche offrire una parafrasi paragonabile a quella che offre per gli asserti fittizi. La posizione di Brock verso questa obiezione è duplice. Da una parte cerca di difendersi dall’accusa, dall’altra parte riconosce la validità dell’accusa e propone una strategia alternativa che l’anti-­‐realista può adottare per non incorrere nella difficoltà sollevata dalla seconda obiezione. Prendiamo in considerazione come cerca di difendersi dall’accusa. Egli sostiene che non è vero che per tutti gli asserti critici non sia possibile fornire una parafrasi che fa appello al prefisso “Nell’opera di finzione così-­‐e-­‐così”, in alcuni casi questo è possibile e fornisce i seguenti esempi: (4*) Scarlett O’Hara non esiste, ma c’è un’opera di finzione in base alla quale esiste (9*) In base al romanzo Anna Karenina, Anna Karenina è nevrotica al grado x e in base al romanzo I fratelli Karamazov, Katerina Ivanova è nevrotica al grado y e x<y (12*) Giacché i romanzieri inglesi del XIX secolo furono per lo più persone convenzionali, possiamo aspettarci che in base alla maggior parte dei romanzi del periodo ci fossero buffi stereotipi di italiani o francesi; ma questo è vero di pochissimi romanzi del periodo (14*) Le cose andrebbero meglio se certi politici attuali non governassero questo paese e al contrario (certe parti rilevanti di) alcuni romanzi – in base ai quali ci sono alcuni politici ammirevoli che governano questo paese – fossero veri Sebbene in alcuni casi si possa fornire una parafrasi degli asserti critici che adotta la stessa strategia adottata nel caso degli asserti fittizi, non è certo che una tale strategia possa 20 essere usata per tutti gli asserti critici. Ed è dopo aver fatto questa osservazione, che Brock accetta la critica del realista e accetta che l’anti-­‐realista deve fornire una semantica degli asserti critici che (1) non presuppone un’ontologia di personaggi fittizi e (2) fornisce un resoconto uniforme di tutti gli asserti critici. Questo è l’obiettivo che si pone nella terza parte del saggio e che sarà presa in considerazione nel prossimo paragrafo. 3. Finzionalismo sui personaggi fittizi L’obiettivo di Stuart Brock in questo paragrafo è proporre una nuova strategia per far fronte all’obiezione presentata nel precedente paragrafo riguardo alla parafrasi degli asserti critici. Egli vuole cioè proporre una semantica degli asserti critici che (1) non presuppone un’ontologia di personaggi fittizi e (2) fornisce un resoconto uniforme di tutti gli asserti critici. Prima di presentare la strategia, vale la pena di osservare che il realista propone per ogni asserto critico C una parafrasi P, in alcuni casi la parafrasi P coincide con l’asserto critico C, in altri no e in ogni caso la parafrasi inevitabilmente ci impegna all’esistenza di oggetti fittizi. Ora la strategia proposta da Stuart Brock è di prendere a prestito la parafrasi P proposta dal realista per ogni asserto critico C e di parafrasare C (invece che con P come fa il realista) con “In base all’ipotesi realista, P”. E’ utile rendersi conto del perché la parafrasi del finzionalista non lo impegna all’esistenza degli oggetti fittizi. Abbiamo visto che nel caso degli asserti fittizi, la parafrasi che propone il finzionalista è quella che premette all’asserto il prefisso “In base alla storia così-­‐e-­‐così”. Prendiamo in considerazione un qualsiasi asserto fittizio come ad esempio “Tom Sawyer ha assistito al suo funerale” che ci impegna all’esistenza di un oggetto fittizio (cioè, all’esistenza del personaggio fittizio Tom Sawyer). Prendiamo ora la parafrasi che propone il finzionalista “In base a Le avventure di Tom Sawyer, Tom Sawyer ha assistito al suo funerale”, in questo caso dal momento che si fa appello a ciò che viene postulato all’interno di un testo, non ci si impegna all’esistenza di oggetti fittizi come Tom Sawyer. Allo stesso modo se si accetta la parafrasi proposta da Brock per gli asserti C, cioè “In base all’ipotesi realista, P” non ci si impegna all’esistenza di alcun oggetto fittizio a cui invece fa riferimento la parafrasi P presa isolatamente. L’aggiunta del prefisso fa in modo che non ci si debba impegnare ontologicamente ad alcun oggetto fittizio. Per comprendere la differenza, può essere utile tener presente la differenza fra l’asserto “Ci sono fantasmi” che impegna chiunque l’asserisca all’esistenza di fantasmi e l’asserto “In base a quello che dice Mario, ci sono fantasmi” che ovviamente non impegna all’esistenza dei fantasmi chiunque lo asserisca. La proposta del finzionalista Brock è quindi di considerare gli asserti esistenziali così come sono, gli asserti fittizi come asserti abbreviati in cui è sottinteso il prefisso “In base alla storia così-­‐e-­‐così” e gli asserti critici C come asserti che prendono a prestito la parafrasi proposta dal realista P e sono parafrasati con “In base alla teoria realista, P”. Una volta presentata la strategia finzionalista, Brock confronta la strategia finzionalista sugli oggetti di finzione con la strategia finzionalista in altri ambiti per mostrare i vantaggi del finzionalismo sugli oggetti fittizi. Il finzionalismo è una tesi che si applica generalmente a una teoria T e la tesi è che la teoria T è una finzione, una storia che è probabilmente falsa, ma che ha una qualche utilità. Il finzionalista non si impegna alla falsità della teoria T, il finzionalista sostiene semplicemente che non ci si deve impegnare alla verità di ciò che la teoria sostiene. Il finzionalista ci dice che “In base alla teoria T, P” è qualcosa che noi possiamo accettare (1) senza impegnarci ontologicamente all’esistenza di qualunque oggetto a cui la teoria T si impegna e (2) mettendo in luce i vantaggi pratici della teoria T. 21 Rispetto al finzionalismo su altre teorie, il finzionalismo sugli oggetti fittizi ha i seguenti due vantaggi: 1)
la teoria finzionalista sugli oggetti fittizi non ha alcun vantaggio pratico, non ci aiuta a fare predizioni sulla realtà, e quindi il finzionalista sugli oggetti di finzione non può essere accusato di essere finzionalista per sfruttare i vantaggi pratici della teoria realista senza pagarne i costi perché in questo caso non ci sono vantaggi pratici. 2)
La teoria finzionalista sugli oggetti fittizi è un prerequisito per ogni altra teoria finzionalista F. Uno non può essere cioè realista sugli oggetti fittizi e finzionalista F in altri ambiti. Per rendercene conto, occorre fare un ragionamento per assurdo: supponiamo che ci sia una persona che sia realista sulle entità di finzione, ma sia finzionalista riguardo a qualche altra entità (non preoccupiamoci di specificare cosa sono queste altre entità, possono essere: mondi possibili, numeri, particelle elementari postulate dalla fisica, ecc.). Che cosa piò dire il finzionalista su queste entità su cui adotta una teoria finzionalista? Non può dire altro che sono entità fittizie. Infatti, dal momento che egli ritiene che esistano le entità fittizie, se dicesse che le entità in discussione sono entità fittizie, sarebbe costretto a essere un realista su queste entità. Brock ha presentato quelli che a suo avviso sono i vantaggi della teoria finzionalista sugli oggetti fittizi. Prendiamo ora in considerazione una questione specifica. Abbiamo detto che secondo Brock, un finzionalista sugli oggetti di finzione deve dire che ogni asserto critico C deve essere parafrasato in “In base alla teoria realista, P”. Tuttavia, come sappiamo, le teorie realiste sono diverse e si presenta quindi il problema di stabilire quale teoria realista deve essere adottata. Nella scelta della teoria realista Brock propone di adottare due criteri: (i) la teoria realista non deve essere troppo revisionista e (ii) la teoria realista deve fornire un trattamento uniforme degli asserti critici. Iniziamo a considerare il realismo astratto, la parafrasi che offre di certi asserti fittizi è lunga e molto articolata. Per rendercene conto consideriamo l’asserto seguente: (7) Holmes non avrebbe avuto bisogno delle cassette registrate per scoprire i segreti di Nixon La teoria deve parafrasare questo asserto più o meno come segue: (7*) A Holmes sono attribuite (o Holmes è costituito parzialmente da) certe proprietà, e chiunque abbia tali proprietà non ha bisogno di cassette registrate per scoprire i segreti di Nixon. E’ evidente che questa parafrasi non soddisfa il primo requisito (è una parafrasi chiaramente revisionista) e pertanto la posizione del realista concreto è preferibile perché accetta un tale asserto per quello che è e non è pertanto revisionista. Tuttavia anche la posizione del realista concreto è revisionista in un certo senso: innanzitutto il realista concreto è un non-­‐attualista e il non-­‐attualismo è contrario al senso comune e quindi è revisionista. Inoltre il realista concreto deve assumere che certi asserti sulle entità fittizie sono falsi mentre si assume comunemente che sono veri. Si prendano in considerazione questi due asserti: (13) Un certo detective fittizio è più famoso di qualunque detective reale 22 (13*) Un certo detective fittizio attuale è più famoso di qualunque detective reale Intuitivamente, (13) e (13*) hanno lo stesso valore di verità, ma un realista concreto è costretto a dire che (13) è vero, ma (13*) non lo è (perché per un realista concreto gli oggetti fittizi non sono attuali). Il realista deve quindi adottare o la tesi non-­‐attualista o la tesi astrattista. Il finzionalista non è così vincolato perché non ritiene che la teoria realista sia una teoria su come stanno le cose. La proposta di Brock è quindi di adottare una teoria ibrida: la teoria ibrida accetterà la tesi ontologica e il principio di pienezza, inoltre per soddisfare il requisito di uniformità, adotterà la teoria realista concreta, quando però la teoria realista concreta si rivela revisionista, allora adotterà la teoria realista astratta per soddisfare il requisito di uniformità. E’ appunto per soddisfare i due requisiti che la teoria migliore da adottare secondo Brock è la teoria realista ibrida. 4. Gli esistenziali negativi Fin dall’inizio del saggio Brock sostiene che uno dei pregi del finzionalismo sugli oggetti fittizi è che può accettare gli asserti esistenziali negativi così come sono, senza revisioni, mentre la teoria realista è costretta a fornire una parafrasi degli asserti esistenziali negativi. Tuttavia egli riconosce che c’è un argomento che può essere usato per mostrare che nessun asserto esistenziale negativo può essere accettato per come si presenta. Questo argomento può ovviamente essere usato dal realista contro il finzionalista. Nell’ultimo paragrafo del suo saggio, Brock prende in considerazione questo argomento e propone due strategie che possono essere adottate dal finzionalista per far fronte alla difficoltà. L’argomento può essere espresso nel modo seguente (dove P1-­‐P4 sono le quattro premesse e C è la conclusione): (P1) Gli asserti esistenziali negativi sono della forma soggetto-­‐predicato (ad esempio l’asserto (16) è composto da soggetto “Ebenezer Scrooge” e dal predicato “non esiste”) (P2) Se gli esistenziali negativi sono accettati per come si presentano, la proposizione espressa ha la forma soggetto-­‐predicato (P3) Una proposizione che ha la forma soggetto-­‐predicato è vera se e solo se l’oggetto denotato dal soggetto gode della proprietà espressa dal predicato (ed è falsa se e solo se l’oggetto denotato dal soggetto non gode della proprietà espressa dal predicato) (P4) Nessun oggetto ha la proprietà di non esistere (C) Se gli esistenziali negativi sono accettati per come si presentano, non ci può essere alcun esistenziale negativo vero Il finzionalista di fronte a questo argomento può adottare due possibili strategie. Prima strategia: il finzionalista accetta che l’argomento del realista è valido e corretto e propone una parafrasi per interpretare gli esistenziali negativi. Questa strategia è stata di fatto adottata da alcuni finzionalisti e le parafrasi che possono essere fornite sono di tre tipi: A) si adotta la stessa parafrasi fornita dai realisti e si assume che negli esistenziali negativi il quantificatore è ristretto agli oggetti che non sono fittizi B) si ritiene che, contrariamente alle apparenze, gli esistenziali negativi esprimono proposizioni metalinguistiche (cioè, esprimono un contenuto che riguarda le espressioni linguistiche coinvolte). Ad esempio un enunciato della forma “x non esiste” ha lo stesso significato di un enunciato della forma “il nome “x” non ha riferimento” C) si assume che i presunti termini singolari vuoti siano equivalenti a descrizioni e le si analizza come ha proposto Russell 23 Il lettore può far fatica a comprendere la differenza fra l’opzione A e l’opzione C. La differenza è la seguente: Consideriamo l’enunciato “Ebenezer Scrooge non esiste”, chi adotta la prima parafrasi può tradurre il nome proprio “Ebenezer Scrooge” con una costante individuale (supponiamo che sia s) e propone la seguente tradizione dell’enunciato: ¬∃x(x=s). Il quantificatore esistenziale si applica solo a un dominio ristretto di oggetti fra cui non c’è Scrooge, l’enunciato così tradotto e interpretato è vero. Consideriamo come tradurrebbe l’enunciato chi adotta l’opzione C. In base a questa parafrasi, si tradurrebbe il nome con una descrizione e quindi si tradurrebbe “Ebenezer Scrooge” con una descrizione equivalente, qualcosa come “l’individuo che si chiama Ebenezer Scrooge”; per tradurre l’enunciato si ha bisogno di una costante predicativa (supponiamo che sia S = chiamarsi Ebenezer Scrooge) e si traduce l’enunciato con ¬∃x(Sx) che risulta essere vero perché non esiste qualcosa nel mondo che soddisfa la descrizione. La differenza fra l’opzione A e l’opzione C è che il sostenitore dell’opzione A si deve impegnare all’esistenza di nomi per individui fittizi, mentre il sostenitore dell’opzione C non deve impegnarsi all’esistenza di nomi ma solo all’esistenza di proprietà che possono non essere soddisfatte da alcun individuo. Al di là della differenza fra le diverse opzioni vale la pena di considerare se la prima alternativa è adeguata. Stuart rileva che il realista può sostenere di avere un vantaggio sull’anti-­‐realista perché può accettare alcuni asserti (gli asserti fittizi) per come si presentano, mentre l’anti-­‐realista che accetta la prima alternativa non può accettare alcun asserto sugli oggetti fittizi per come si presenta, deve presentare una parafrasi per tutti gli asserti apparentemente su oggetti di finzione. L’anti-­‐realista può sostenere tuttavia che la sua parafrasi è preferibile perché non impegna colui che la adotta all’esistenza degli oggetti fittizi. Seconda strategia: l’anti-­‐realista può tuttavia essere più ambizioso e cercare di criticare l’argomento presentato dal realista. L’argomento ha quattro premesse e se si riesce a dimostrare che una delle premesse non è vera, l’argomento non è corretto. La seconda strategia consiste nel sostenere che la prima premessa (P1) e la terza premessa (P3) non sono vere. Chiediamoci innanzitutto perché la terza premessa non è vera per un sostenitore del finzionalismo. La terza premessa (P3) dice che una proposizione della forma soggetto-­‐
predicato è vera se e solo se l’oggetto denotato dal soggetto gode della proprietà denotata dal predicato ed è falsa se e solo se l’oggetto denotato dal soggetto non gode della proprietà denotata dal predicato. Stuart Brock ritiene che il secondo congiunto sia falso egli ritiene che sia falsa l’assunzione seguente: (P) Una proposizione della forma soggetto-­‐predicato è falsa se e solo se l’oggetto denotato dal soggetto non gode della proprietà denotata dal predicato Secondo Brock, per un finzionalista una proposizione della forma soggetto-­‐predicato è falsa non solo se l’oggetto denotato dal soggetto non gode della proprietà espressa dal predicato, ma anche se il soggetto dell’enunciato non denota alcunché. Per rendersene conto basta prendere in considerazione i seguenti asserti che comunemente riteniamo falsi: (19)
Oliver Twist ha ucciso il principe del Galles ieri (20)
Anna Karenina ha cenato con Hilary Clinton la scorsa settimana (21)
Bart Simpson è il capitano della squadra di cricket australiana In questo modo, Stuart Brock prende le distanze dalla tesi di Frege in base alla quale un enunciato che contiene un nome senza riferimento è privo di valore di verità. Secondo Brock 24 invece, gli asserti che contengono nomi privi di riferimento hanno un valore di verità e sono falsi. Prendiamo ora in considerazione un enunciato esistenziale come: (26) Ebenezer Scrooge esiste l’asserto esprime una proposizione che ha la forma soggetto-­‐predicato ed è falso secondo Sturt Brock perché il nome non si riferisce ad alcunché. La negazione dell’asserto (26) non esprime una proposizione che ha la forma soggetto predicato, perché oltre al soggetto e al predicato compare anche la negazione. E la negazione di un asserto falso è ovviamente vera, quindi secondo Stuart Brock l’enunciato (16) Ebenezer Scrooge non esiste non esprime una proposizione della forma soggetto-­‐predicato (contrariamente alla premessa P1) ed è vero perché è la negazione di un asserto falso. 5. Conclusioni Dal punto di vista di Stuart Brock, il finzionalismo sugli oggetti fittizi ha il pregio di offrire un trattamento uniforme di asserti fittizi e critici, in entrambi i casi si offre una parafrasi che fa riferimento a una storia. Se nella prima parte del saggio egli riteneva che gli asserti esistenziali negativi fossero un vantaggio dei sostenitori della teoria finzionalista, nell’ultima parte del saggio si mostra che gli asserti esistenziali negativi sono in generale più problematici per tutti, egli offre tuttavia due possibili strategie per il sostenitore del finzionalismo. È interessante notare che Brock non ritiene di aver difeso il finzionalismo da qualsiasi critica, ma che spera di aver dato maggiore plausibilità a questa teoria. È inoltre interessante notare che per Brock il realista mantiene almeno un vantaggio sul finzionalista, può accettare alcuni asserti sugli oggetti fittizi per come si presentano (cosa che non è possibile per il finzionalista).