LIBRO DON GUETTI PRONTO PER STAMPA

Transcript

LIBRO DON GUETTI PRONTO PER STAMPA
Giudicarie, la culla della Cooperazione
Dalle Terme di Comano
attraverso la montagna
di Don Guetti
Itinerari
“Distrazioni” di Don Lorenzo Guetti a cura di Renzo Tommasi
Hanno condiviso e sostenuto questo progetto:
Comune di
Bleggio Superiore
Comune di
Comano Terme
Comune di
Dorsino
Comune di
Fiavè
Comune di
S. Lorenzo in Banale
Foto in copertina:
Ruderi di Castel Restor nel Bleggio, in una stampa dell’Ottocento
Sibilla Cumana
Rendering stabilimento termale
Testo inedito di don Lorenzo Guetti
Ritrovamento e presentazione: prof. Renzo Tommasi
Coordinamento progetto: Iva Berasi - Accademia della Montagna del Trentino
Progetto grafico e stampa: Grafiche Stile
Foto di: Gianni Tosi, Alberto Sottini e tratte dal libro “Le Terme di Comano - edito a cura
della Fondazione G.B. Mattei”
© New-Book Edizioni
38068 Rovereto – via Roggia, 1
www.grafichestile.com
Ogni riproduzione totale o parziale è vietata, compresa quella informatica.
ISBN ????????
Comune di
Stenico
Presentazione
Questo libro riporta uno scritto inedito di don Lorenzo Guetti apparso sulla rivista “La Voce Cattolica” nel 1887.
L’inedito è stato ritrovato dal professor Renzo Tommasi che da tempo si
dedica allo studio degli scritti del curato e ne vanta un’ampia conoscenza
come possiamo capire dalla lunga presentazione che accompagna il testo.
Don Guetti ci racconta la sua valle percorrendola lungo itinerari giornalieri,
occupando il tempo non dedicato alle cure termali.
Il suggerimento di valorizzare un territorio montano con il pensiero di
don Lorenzo Guetti, partito dall’Accademia della Montagna del Trentino nella persona della direttrice Iva Berasi, è stato immediatamente raccolto dalla
valle.
Le amministrazioni dei Comuni di Bleggio Superiore, Comano Terme, Dorsino, Fiavé, San Lorenzo in Banale, Stenico, la Cassa Rurale Don Guetti Quadra-Fiavé-Lomaso e la Cassa Rurale Giudicarie Valsabbia Paganella, l’Azienda Terme di Comano e l’Associazione culturale don Lorenzo Guetti ieri oggi
domani, hanno ritenuto di far conoscere alla comunità con il presente libro
questo don Lorenzo Guetti che parla con orgoglio ed amore della sua valle.
Con maestria e giubilo egli racconta la vita sociale dei paesi, ne esalta
l’ambiente naturale tanto da paragonare le Giudicarie Esteriori all’ambita
Svizzera. Già allora lui intravedeva le potenzialità turistiche della valle pur riconoscendo alle Terme il maggior punto di forza. Con ciò non risparmia rimproveri a chi non ha saputo proteggere reperti storici e alla comunità che non
difende le sue testimonianze storico culturali, ma lo fa sempre con sguardo
lungimirante e pensiero positivo.
L’attualità del suo scritto colpisce il lettore e conferma la visione intelligente di un uomo di Chiesa che sa guardare con laicità al futuro economico
e sociale di un territorio che cerca di uscire dalla miseria, senza perdere di
vista i valori umani che danno significato alla vita.
Don Lorenzo riesce anche dopo più di cento anni ad attualizzare il messaggio cooperativo “L’unione fa la forza” mettendo insieme le amministrazioni,
enti economici e sociali per un progetto comune da condividere con tutti i
censiti: riconoscere e valorizzare le bellezze del paesaggio culturale e natu- III -
rale della valle.
Conoscere la nostra storia, i personaggi che hanno contribuito a tracciarla e che sono stati di esempio, favorendo il progresso sociale ed economico
della “Patria”, ci rende orgogliosi di appartenere ad un territorio che ha saputo esprimere intelligenza, lungimiranza, solidarietà e che può consegnare
ai nostri giovani pagine preziose per favorire l’identità territoriale sentendosi
nello stesso tempo cittadini del mondo.
Egidio Bonapace
Presidente Accademia della Montagna
Dal Presidente della Federazione Trentina della Cooperazione.
La figura di don Lorenzo Guetti, per l’intero movimento cooperativo trentino, è di fondamentale importanza. L’impegno profuso in vari
campi dal curato giudicariese per risollevare moralmente ed economicamente il popolo trentino è ormai cosa nota, ma il lato inedito di promotore turistico ante litteram svelato dal presente scritto non fa che dimostrare, ancor di più, l’eccezionale spessore di un uomo che ha sempre
agito per il puro bene della sua comunità, del suo territorio, della sua
Patria. Questo scritto inedito, che racconta di un territorio di montagna,
riportato alla luce dal ricercatore Renzo Tommasi, trova la giusta valorizzazione in seno all’Accademia della Montagna del Trentino, a cui va il
plauso di aver coinvolto cooperativisticamente gli enti amministrativi,
economici e sociali delle Giudicarie Esteriori in un progetto di divulgazione decisamente interessante, perché rafforza la specificità del nostro
spirito identitario legato atavicamente al territorio e alle sue vicende.
Diego Schelfi
- IV -
Introduzione
Renzo Tommasi
Conoscere don Lorenzo Guetti è un’impresa, una piacevole impresa. L’imponente figura prima di religioso, quindi di studioso del fenomeno emigratorio, di convinto autonomista trentino italiano e di entusiasta promotore della
cooperazione rurale agraria, è stata tracciata da più di uno studioso. Dell’indefessa opera sua a favore del popolo rurale si evince oltre che da quanto è
toccabile con mano, di cui molti studiosi hanno scritto, ancora di più alla
luce della scoperta di una produzione quasi letteraria di scritti autografi o
pubblicati sotto copertura di pseudonimi. Un ‘quasi’ destinato a dissolversi a fronte di un’analisi linguistica dello stile inconfondibile dell’“apostolo
della cooperazione” a tutto tondo, del politico trentino ministro di Dio, del
tecnico agrario pastore di anime, del sindacalista del popolo ‘tras-curato’,
dell’antropologo della devozione popolare trentina, del cristiano che mai si
discosta da questa intima convinzione che esprime nella sentenza: “Ma il
parlare del male porta che si deve parlare anche del rimedio: l’amor della
patria ci spinge”1.
Il compito di scovare i numerosi contributi di don Guetti, nell’ampio panorama pubblicistico trentino (e pure in quello tirolese e lombardo) di fine
‘800, non è a tutt’oggi scevro di angustie. Il filo di Arianna che si raggomitola a ritroso per ripercorrere la via maestra del religioso pubblicista, infatti,
passa per una serie di stanze celate ad arte da chi espresse il suo pensiero
sotto svariati pseudonimi ma non lasciando nulla al caso, conscio che prima
o poi qualcuno si sarebbe cimentato in una vera e propria caccia al tesoro.
Anzi, rileggendo con perizia i suoi scritti, si ha l’impressione che sfidi perfino
l’“umanissimo lettore” – come lui ci dichiara – a svelare quello che si può
definire un vero e proprio codice guettiano.
La sfida è stata raccolta. Del resto non c’è nulla di più stimolante per un
ricercatore di essere messo in grado di vogare nei canali più reconditi della
1
T., …… ai primi di febbraio 1895. (Questioni agrarie d’attualità), “La Famiglia Cristiana”,
a. X (1895), n. 15, p. 3. La “patria” di don Guetti, a scanso di equivoci, è il Trentino la cui lingua
è italica.
-V-
storia al fine di ricostruire la mappa e l’architettura di una serenissima città
con, inoltre, la possibilità di farsi calare sott’acqua per scoprire lo stato e
la sostanza delle strutture che la sorreggono. Fuor di metafora, al presente,
dopo oltre un anno di incessante ricerca, raccolti più di 700 articoli, alcuni
a dir poco – utilizzando una parola cara a don Guetti – “elettrizzanti”, che
sono stati trascritti uno ad uno per vagliarne a fondo lo stile e i registri, sono
entrato in confidenza a tal punto con l’esimio personaggio da abbozzarne
un’identità verosimile. Il linguaggio guettiano, benché l’analisi linguistica sia
stata finora condotta su ciò che affiora, diviene così un primo strumento con
cui forgiare la chiave di lettura del suo codice.
È proprio sulla base di questi recenti ritrovamenti, frutto di una fortunata combinazione di ricerca e intuizione, che si può quindi affermare: sul
lomasino don Lorenzo Guetti, nato a Vigo Lomaso il 6 febbraio 1847 e morto prematuramente il 19 aprile 1898, è stato scritto molto, ma non tutto
(e che molto rimane ancora da scoprire). Questo non perché ricercatori,
storici e biografi non abbiamo eseguito puntuali lavori di scavo per reperire i suoi, e si può dire con cognizione di causa, innumerevoli scritti, ma
soprattutto per la difficoltà oggettiva di attribuire alla firma del medesimo
articoli e cronache comparsi fra le pagine di periodici trentini e lombardi
sotto i più svariati pseudonimi, quali, solo per citare i più conosciuti, plg.,
R., Renzo, Vostro Renzo, Rustico, Rusticus, Rustico giudicariese, T., Trentino o Tridentino, don Mentore, Montanaro, Curato di campagna o “Solito
tras-curato”. Alcune piste segnalate, ad esempio, dal suo compaesano don
Geremia Dalponte, nonché professore di teologia dogmatica del giovane
Lorenzo al Seminario maggiore di Trento, nei Brevi cenni biografici della prima pubblicazione commemorativa2, sono già state pedissequamente
seguite3:
2
Don Geremia Dalponte (Vigo Lomaso 1848-1927), «nato, cresciuto, educato, vissuto con
lui», in un discorso tenuto ai funerali del compianto don Guetti, constatò: «Sì, o Signori, immane sciagura; e non solo per gli intimi amici, ma per i nostri paesi, per le Giudicarie, per il Trentino tutto. Il suo nome e la sua operosità varcarono i confini di questo orizzonte, e sono legate
indissolubilmente a tutte quelle forme, cui in questi ultimi tempi assunse la carità cristiana nel
Trentino per alleviare le miserie del popolo conculcato. Chi non trattò con lui di qualche affare,
chi non lo consultò sull’impianto di qualche sodalizio?» (FEDERAZIONE DEI CONSORZI COOPERATIVI (a
cura di), A Don Lorenzo Guetti campione di mirabile connubio di religione con carità di patria
mente e cuore per 30 anni di vita pubblica alla sua amata terra dedicava la Federazione dei
consorzi cooperativi a perpetua ricordanza di venerazione di riconoscenza per il promotore e
maestro del 1.° anniversario della morte di lui, Trento, Scotoni e Vitti, 1899, pp. 15 ss.).
3
Fra gli studiosi che si sono occupati di don Guetti si veda, primo fra tutti, Enrico Agostini
(Lorenzo Guetti. La vita e l’opera nella realtà trentina del secondo Ottocento, Trento, Programma, 1894); a seguire C. Leonardelli, A. Leonardi e L. Imperadori.
- VI -
Chi non ricorda il Renzo della Voce Cattolica di 15-30 anni fa; il Montanaro della Famiglia Cristiana, il Rivolta e il Dominus del Popolo Trentino,
il corrispondente “Trentino” della Lega Lombarda? Chi non ricorda il Don
Mentore…,
ma la verifica recente degli pseudonimi indicati ma rimasti fin qui sconosciuti, quali Rivolta e Dominus, ha aperto mondi inesplorati. Infatti, la
rivisitazione del periodico dei cattolici nazionali, dalla vita alquanto breve,
“Il Popolo Trentino”, non sortì alcun effetto, se non quello di allargare il campo della ricerca, suggerita dal riscontro di basi tematiche e stilo-linguistiche
simili, verso altri pseudonimi ivi comparsi che gli si potrebbero tranquillamente accordare, quali ad es. Gigio, Michele, Sandro, Zambiasi, Zbs., L’amico di Zambiasi, Don Coso, ecc... Tralasciando per il momento ulteriori
approfondimenti, concentriamoci sulle indicazioni del Dalponte, che si sono
rivelate fondamentali per scovare una serie di 10 articoli, dal titolo “Dal Bagno di Comano. Distrazioni”, a firma Antonio Rivolta Trentino, apparsi invece su “La Voce Cattolica”.
Prima però di analizzare l’oggetto della presente pubblicazione, vale la
pena aprire una parentesi sul perché dell’utilizzo da parte di don Guetti di
così tanti pseudonimi. Non relegando ultima la considerazione che l’espediente fosse in voga nella seconda metà dell’Ottocento (si veda ad esempio,
rimanendo in tema, don Lorenzo Felicetti, alias Felice Renzotti, D’oltre i
monti, ecc.)4, le altre possibili risposte sarebbero da ricercarsi nella esiguità
di pubblicisti rispetto alle numerose testate trentine esistenti, oppure nella
ricerca di un anonimato più o meno spinto a seconda degli argomenti trattati. Quest’ultima ipotesi è supportata dal fatto che quando si tratta di scritti
inerenti la campagna elettorale dietale o la statistica sull’emigrazione americana, don Guetti si firma con il proprio nome, per le corrispondenze dalle
Giudicarie con Renzo, Rustico o Il Cronista, per quelle dal Trentino o da
Vienna come R. o Tridentino, mentre per quanto concerne la manifestazione
della sua vena letteraria, e veniamo al dunque, con Antonio Rivolta. Sì, è
4
Lorenzo Felicetti (Predazzo 1864-1937), ordinato sacerdote il 10 luglio 1887, è cappellano
e vicario a Cles, quindi, nel settembre del 1891, cooperatore a Vigo Darè, dove nel gennaio di tre
anni dopo diviene curato. Nel 1905 si trasferisce a S. Lugano, poi a Someda di Moena e, dopo
esser stato internato a Vienna durante la guerra, a Predazzo dove il 5 novembre 1919 diviene
beneficiario della Primissaria. Mons. Dalponte lo definisce come «un personaggio interessante, letterato enciclopedico, amante della storia e della musica, poeta e traduttore dalla lingua
tedesca, che conosce alla perfezione […]; sua la traduzione dal tedesco all’italiano dell’inno ad
Andreas Hofer, di J. Mosen e L. Knebelberger, Zu Mantua in Banden ..., A Mantova in catene
l’Hofer fedele sta» (DALPONTE, don Lorenzo, 1915-1918. Il clero dei profughi trentini, Trento,
Vita Trentina, 1996, p. 224).
- VII -
proprio così che si firma. Il primo indizio che attribuisce al curato di Quadra
e di Fiavé questa sorta di feuilleton, che strizza l’occhio al filone dei Grand
tour, del turismo romantico, nonché di quello alpinistico moderno5, e delle
cure termali (che annovera fra gli interpreti famosi Thomas Mann ed Herman Hesse), ci è fornita simpaticamente dallo stesso don Lorenzo nel 1893 in
un articolo divulgativo dal titolo Società cooperative rurali6:
I membri della prima Direzione, i cui nomi sono stati inseriti al § 67
dello statuto e legittimati a senso del § 24 dello stesso, firmeranno:
Antonio Rivolta possidente in…. Presidente
Lucio Mondella beccaio in…. Vice Presidente
Rodrigo Tirano possidente in….
Abondio Bonomi carrettiere in….
Cristoforo Fratti falegname in….
Attilio Conti possidente in….
Galdino Grisi calzolaio in….
L’indizio è reiterato l’anno successivo in La cooperazione rurale7, in cui
appone, al fac-simile di una dichiarazione d’intenti, solo le firme di Antonio
Rivolta e Lucio Mondella.
Queste indicazioni sono però successive alla data di pubblicazione delle “Distrazioni”, il 1887. Anno in cui qualcosa accadde, se a metà di quello
successivo scrisse, per commentare l’allontanamento dalla direzione de “La
Voce Cattolica” dell’amico don Silvio Lorenzoni, perché troppo diretto nei
suoi redazionali (subentrò il più cauto don Urbano Depeder), queste anonime parole di addio:
– Fervet opus! Il raccolto de’ bozzoli già ebbe principio. È abbondantissimo e di ottima qualità. I prezzi, incominciati col fiorino in carta, scendono a vapore e si spera di venire a f. 1.20.
I mercanti fecero capolino, e si spera che si accordino ad un prezzo tale
da contentare chi compra o chi vende.
– Ciò premesso, interpreto l’universale dispiacere per la vostra dipartita
dalla Redazione della Voce, facendo voti di vedervi ancora in breve avvenire
5
Si veda dott. A. Marzotto, Un alpinista a Comano: escursioni nelle Giudicarie. Lettere,
Vicenza, Tip. Pavoni, 1877.
6
Società cooperative rurali, “La Famiglia Cristiana”, a. VIII (1893), n. 4, p. 4.
7
p.te Lorenzo Guetti, La cooperazione rurale. Casse rurali e Famiglie cooperative, loro
statuti e regolamenti. Dialoghi di un curato di campagna coi suoi curaziani, Trento, Monauni,
1895 [rist. anastatica a cura della Federazione Trentina della Cooperazione, 2010]. La pubblicazione raccoglie una serie di articoli apparsa su “La Famiglia Cristiana”, a. IX (1894), che riportano lo stesso titolo; ivi nel n. 67, p. 3, cita Antonio Rivolta.
- VIII -
sulla breccia nella lotta per Dio e per la patria. Il vostro Rustico si ritirò pur
egli, seguendo l’esempio di Renzo e compagnia, e lasciata la penna, torna
alla zappa. Addio!8
Infatti le successive corrispondenze dalle Giudicarie escono a firma di un
tal Vigiglio. Da notare, e i parallelismi esistono poiché si nomina l’altro pseudonimo conosciuto di don Guetti, Montanaro, il seguente commiato da “La
Famiglia Cristiana”, dato alle stampe otto anni dopo, de Il Cronista:
Ritiratevi, o veterani, e lasciate libero il passo al grosso dell’esercito! Così
gridava in illo tempore l’illustre Martello al povero Montanaro…. E adesso il
tempo di ritirarsi è venuto; e noi ci ritiriamo, e lasciamo passare il grosso, o
il piccolo, dell’esercito. Trionferà questo? avrà la vittoria? salverà la religione
e la patria? Dio lo faccia! Ma se ciò non avvenisse? – Ebbene, in tal caso
torneremo dall’aratro alle armi. Quindi il Cronista non vi dà, o amici, un
saluto di addio eterno e definitivo, non esclama coi gladiatori romani: Ave,
Caesar, morituri te salutant, ma vi dice più cristianamente: Avete, amici, resurrecturi vos salutant – che in giudicariese significa: Addio e arrivederci.9
Ma che cosa accadde esattamente nel 1887? Ci torna utile partire dalle
prime corrispondenze di don Guetti dal Bagno di Comano per giungere ad
una lettera, svelatrice dell’assunto, scritta di suo pugno.
È il 1882 quando, su la “Voce Cattolica”, il religioso giudicariese cita per la
prima volta la termale di Comano, firmandosi Excelsior10:
L’idea d’un ufficio postale al ponte delle Tre Arche è felicissima e merita
di essere realizzata perché non solo di pratica utilità, ma di necessità estrema. – Quivi per vero sta il centro delle Giudicarie esteriori, quivi il punto
di fermata degli Omnibus portanti la posta Tione-Trento-Riva; quivi lo
sbocco di tutte le strade comunali di Banale, Bleggio e Lomaso; si aggiunga
di più la vicinanza della termale di Comano, varie trattorie, e la sede dei
mercati mensili.11
Mentre nel 1883 riporta, ma non si firma, alcune considerazioni circa l’o-
Giudicarie esteriori, 29 Giugno, “La Voce Cattolica”, a. XXIII (1888), n. 76, p. 2.
Il Cronista, Giudicarie, 29 dicembre, “La Famiglia Cristiana”, a. XI (1896), n. 150, p. 3.
10
Significa più in alto; quando il senso di eccitamento e di meraviglia che si prova, al pari
degli alpinisti in cima alla montagna di fronte allo spettacolo della natura, dice don Guetti nelle
“Distrazioni”, «questa nobile espressione ti prorompe dal labbro enfatica».
11
Excelsior, Il servizio postale nelle Giudicarie esteriori, “La Voce Cattolica”, a. XVII
(1882), n. 100, p. 2-3.
8
9
- IX -
perato del locale Comitato balneare. Si deve sapere che questo comitato era
gestore della Pia Fondazione Mattei, che prende il nome dal filosofo Giovanni Battista Mattei, nato a Campo Maggiore nel 1754, illuminato continuatore
della nobiltà rurale giudicariese, sindaco e “capovilla”, quindi revisore dei
conti comunale, assieme ad altri personaggi del tempo quali il dott. Pietro
Lutti e il dott. Pietro Alimonta, nonché giudice supplente a Stenico12. Prima di morire per un attacco d’asma, a Campo Maggiore il 18 aprile 1826, il
filantropo (“D’ogni ben promovidore”) lasciò ai poveri delle tre Pievi delle
Giudicarie Esteriori, e mutate le circostanze all’intera sua comunità, i Bagni
di Comano. Come da “legato del dott. Mattei ai poveri del Distretto” nel 1841
ebbe inizio la fabbrica del bagno semitermale di Comano, che nel 1842 entrò
in regolare servizio; la gestione, ceduta dal Comitato balneare con contratto
d’affitto decennale, fu affidata al veronese Domenico Vianini, che la mantenne, assieme al figlio Valeriano, fra vicende giudiziarie alterne, per 74 anni,
mentre la direzione spettò al dott. Liberato Paoli.
Alcuni suggerimenti di don Guetti per rendere più vivibili gli Stabilimenti,
a mezzo della costruzione di una cappella regolare, sembra che abbiano invaso in modo pregiudiziale un campo gelosamente custodito; scopriamoli:
Dal Bagno di Comano, 17 luglio. Senza fare della reclame e senza alcuna intenzione di offendere chicchessia se vi sembrerà roba da Voce Cattolica,
eccovi due righe da pubblicare.
L’efficacia dell’acqua di Comano specialmente per le affezioni tracheali
e bronchiali, oltre agli avvisi soliti di quarta pagina ed agli scritti dei nostri
fisici, è nota e divulgata per il mondo trentino ed ultra per le molte guarigioni ottenute. –
Anche quest’anno buon numero di sofferenti accorse alle acque salutari
e tra questi, mentre scrivo, vi sono 10 sacerdoti.
Il comitato balneare nella sua povertà ogni anno fa qualche miglioramento e ripara qualche inconveniente, ma un grave bisogno sentito già da
anni e molto più quest’anno non è stato ancora soddisfatto. Voglio dire che
i sacerdoti, quando sono più numerosi, non possono celebrare la S. Messa
né per tempo né per comodità essendovi una piccola camera, ad uso cappella, con un solo altare. Perché adunque non si fa una cappella regolare,
12
Si veda nella poesia “I Bagni di Comano” di Giovanni Prati (nell’introduzione paleoturistica a Viaggi da Desenzano a Trento…, proposta da Ignazio Puecher-Passavali, Ubicini, Milano,
1844) a lui dedicata nel 1844: «E il Vicario era di quelli/Che han sogghigni ed han flagelli,/E
li san senza paura/Legalmente adoperar. // Non fu rude e non cortese,/Fu avveduto, onesto e
buono./Venne a morte; e al suo paese/Delle terme ei fece il dono»; ivi il Prati chiama le Terme
di Comano Antro della Sibilla (cfr. GORFER, A., Le Terme di Comano, Fondazione G. B. Mattei,
Terme di Comano (TN), 1976).
-X-
onde dia comodo a celebrare la S. Messa ai sacerdoti, ed ai laici la possibilità di ascoltarla specialmente nelle domeniche e feste? Il perché, si dirà, lo
vede anche un miope; mancano cioè i cum quibus13. Ebbene io suggerisco
un modo di fare la cappella senza toccare la borsa dell’onorevole comitato;
sarà un modo trovato, se volete, da un miope, ma l’unico possibile in questo
caso, ed è, di aprire una colletta per la fabbrica della cappella al Bagno di
Comano. Tutti coloro che vengono qui daranno qualchecosa, tutti coloro
che provarono l’efficacia di quest’acqua e di questi bagni almeno per gratitudine manderanno pure qualche cosa, e così si incomincerà l’opera e si finirà. E dove si farà poi questa cappella per corrispondere ai bisogni di tutti?
Sentite le varie opinioni, la migliore mi sembra quella di erigerla a sera dello
stabilimento che la porta di fronte al ponte. Quivi per un eventuale prolungamento della fabbrica non si pregiudicherà al disegno e si dà bell’ornamento al piazzale e facilità a tutti d’ascoltare la s. Messa appartengano o no
allo stabilimento. Dunque mano all’opera. L’onorevole comitato balneare
nomini un piccolo comitato per la cappella, il quale divulghi preghiere e
raccolga offerte e faccia sì di cominciare l’opera ancora quest’anno; dico
quest’anno, perché un’altro [sic.] anno non si potrebbe essere più in tempo,
e chi vive vedrà se furon baje.14
Ma non passa molto che, sempre su “La Voce Cattolica”, il corrispondente,
che ripetiamo non lasciava nulla al caso (si veda: «e chi vive vedrà se furon
baje15» seguito da «e finiva col dire che le mie parole non sarebbero semplici
baie»), svelasse a modo suo la paternità dell’articolo sopra riportato:
L’anno scorso il vostro corrispondente delle Giudicarie esteriori vi spediva due righe da questo luogo di salute per notare una grave mancanza allo
stabilimento balneare, quale si era quella di una cappella esterna adattata
alla celebrazione della S. Messa per i numerosi sacerdoti che annualmente
accorrono a quest’acque e bagni efficacissimi. In quello scritto animava il
Comitato balneare a pensare sul serio a togliere questo difetto ed a farlo
presto, perché altrimenti altri avrebbe pensato per conto proprio a supplire
a questa mancanza, e finiva col dire che le mie parole non sarebbero semplici baie.
Ora ho la compiacenza di vedere appuntino avverata la mia previsione, e quello che non fece il Comitato sopraddetto, lo fece felicemente e
bene il conduttore della Trattoria all’Opinione il sig. Giuseppe Alimonta.
Cum quibus, termine popolare per significare moneta, denari.
Dal Bagno di Comano, 17 luglio, “La Voce Cattolica”, a. XVIII (1883), n. 84, p. 3. Da
notare che chi scrive le “Distrazioni” prese «stanza all’albergo “all’Opinione” condotto dal sig.
Alimonta».
15
Baia, cosa da nulla detta o fatta per scherzo, bazzecola.
13
14
- XI -
Dopo di avere ingrandito di molto il suo ameno fabbricato di un intiero
piano, lo provvide ancora di una comoda e decente cappelletta interna
a favore di quei reverendi sacerdoti che lo vorranno onorare prendendo
pensione in casa sua a prezzi miti e con servizio pronto e cordiale. Applaudo di cuore all’attività di questo albergatore che, senza tralasciare il
proprio interesse, fece una bellissima cosa di pubblica utilità e speriamo
con esito felice.
R.16
Pure l’anno successivo si esplicitò, sempre dalle pagine del periodico clericale, con la firma R. Da notare che più di una notazione, marca o idiosincrasia linguistica compaiono nel testo delle “Distrazioni”:
Dalle Tre Arche 24 giugno. Ogni anno in questo basso centro delle Giudicarie esteriori si presenta qualche grata sorpresa pe’ concorrenti alle aque
[sic.] salutari ed ai Bagni di Comano. Lasciando da parte le innovazioni
proprie dello stabilimento balneare, accenno di volo alle migliorie ottenute
alla Trattoria all’Opinione di Giuseppe Alimonta. Questo bravo uomo del
popolo ci fa meravigliare da varii anni in qua coi progressi del suo fabbricato.
Già l’anno scorso avea in pieno ordine ben 11 stanze con oratorio interno, e quest’anno troviamo rinnovata l’abitazione con un nuovo ben inteso
giro scale e con l’aumento di 3 altre camere. So ancora che il trattore per
aderire ai desiderj espressigli da numerosi ospiti nella presente stagione ha
stabilito due tavole pel vitto a prezzi onestissimi. La vicinanza della fonte
cumana, la cordialità del trattamento e l’amena situazione della Trattoria,
si spera, faran sì che il numero di coloro che lo vorranno onorare non sarà
inferiore a quello dello scorso anno.17
Ancora più esplicita risulta la seguente corrispondenza, a firma Renzo.
Inizia pronunciandosi sull’imminente opportunità di incameramento della
strada Trento-Caffaro18, che auspica venga accettato dai comuni del distret-
16
R., Dal Bagno di Comano 30 maggio. (Corr. partic.), “La Voce Cattolica”, a. XIX (1884),
n. 67, pp. 2-3.
17
R., Dalle Tre Arche 24 giugno, “La Voce Cattolica”, a. XX (1885), n. 74, p. 3. E prosegue:
«Al ponte delle Tre Arche poi una nuovissima e gratissima sorpresa. Al 1° luglio sarà attivato in
casa Martini un ufficio postale con telegrafo. Oltre a ciò aggiungasi la nuova messaggeria postale
che ai primi del veggente mese funzionerà regolarmente da Trento a Campiglio concessa mercè
le sollecite pratiche del nostro deputato M.r Gentilini «l’eterno facitor di gabelle» del Raccoglitore. L’orario di questa II.a corsa postale sarà opportunissimo a fuggire i solioni [sic.] d’estate
e per mezzo di questo ci sarà dato di poter accedere a Trento e ritornarne ancora nello stesso
giorno e ciò la prima volta con pubblici traini dopo il diluvio universale – Lode al progresso e:
patria avanti!».
18
La Sarche-Tione fu inaugurata nel 1852, e costò 400 mila fiorini, mentre la Ponte CaffaroTione-Pinzolo fu ultimata nel 1855, con una spesa di 514 mila fiorini a carico dei comuni giudicariesi.
- XII -
to di Stenico, «onde così essere liberati una volta da questa sanguisuga che
ormai stava per farci finire dissanguati», per poi passare a trattare:
Un altro interesse di palpitante attualità pare stia per risolversi in bene
di questa valle e specialmente de’ nostri poveri; è l’affare del Bagno di Comano. Non entro nel ginepraio delle questioni d’ordine interno tra Comitato,
conduttore e Giunta provinciale. Faccio solo voti che la vertenza sia presto
finita in bene reale de’ poveri del distretto. Davanti al bene pubblico deve
scomparire assolutamente quello de’ pochi, e molto più quello di un solo.
L’idea ultimamente ed universalmente accettata si è quella della vendita
dello stabilimento balneare colla riserva de’ bagni pe’ poveri; vendita che
ora si può effettuare con buon esito, essendosi elevato il valore e l’ importanza del Bagno. Questa alienazione si può fare per via d’incanto pubblico,
e forse meglio per mezzo di una Lotteria, la quale, concessa dalle Superiori
Autorità e bene attivata, potrebbe raddoppiare l’incasso eventuale, e con
questo di più fondare un Ricovero e casa di lavoro per i poveri ed impotenti del Distretto. Il Comitato balneare sembra disposto ad assecondare
i pubblici voti del popolo, e molto più si spera vorrà farlo chi del popolo e
de’ comuni vuol essere signore e donno19. Videant ergo consules.
Renzo.20
Infine, giungiamo al fatidico anno 1887, quando l’incipit della sua corrispondenza, dal titolo “Cose giudicariesi” lascia già presagire che la schiettezza con cui don Guetti esaminò e trattò varie tematiche non era da tutti
accondiscesa:
Per non pigliarmi da voi una patente di poltronismo, come mi onorò
monna Gazzetta, tempo fa, con quella di buontempismo, m’affretto a dirvi
qualche cosuccia di qui, e lo farò a sbalzi come mi viene sulla penna.
E, dopo aver parlato di stato sanitario, della neve caduta, delle temperature rigide («il termometro non discese sotto – 12° R. neppure nei punti più
rigidi della valle»), del Consorzio agrario distrettuale di S. Croce, del «nostro progresso agricolo», della «nuova messaggeria tra Trento e Ponte delle
Arche, che andrà in vigore solo al 1° maggio», Renzo passa a dire, prima
19
Donno, dal lat. dòminus, padrone, signore (“ebbe i nemici di suo donno in mano” - Dante). Da sapere che la ventilata vendita degli Stabilimenti, dopo che le Congregazioni di Carità
se ne erano assunte l’amministrazione in perpetuo, era già stata affidata nel 1863 al Comitato
balneare di Comano, composto dai pievani del Lomaso, Bleggio e Banale, dal curato di Stenico,
o dai loro sostituti, e da tre laici, uno per Pieve, nominati a vita (cfr. GORFER: 1976, pp. 80-81).
20
Renzo, Giudicarie, 10 giugno, “La Voce Cattolica”, a. XXI (1886), n. 67, p. 2.
- XIII -
di lamentarsi per il troppo zelo fiscale del nuovo personale steorale e delle lentezze burocratiche per riconoscere «un’associazione onde assicurare i
bovini giusta uno statuto avuto da codesto Consiglio d’Agricoltura e vigente
altrove», che:
Un’importantissima questione agitavasi nei passati dì negli alti circoli del Distretto ed era: se fosse opportuna o meno la vendita delle Terme
di Comano, con annessi e connessi, salvo i diritti d’uso di bagni e bibita
pei poveri del distretto, che sono i proprietari dell’ente termale. La grande
maggioranza stava per la vendita al prezzo non minore dei 50 mila f.ni; il
Comitato balneare, colla minoranza, stava per la negativa e ciò per gravissime ragioni, le quali però disgraziatamente fin qui furono ignote al paese,
non avendo mai il Comitato voluto rendere di pubblica ragione la sua importantissima gestione e rispettive vertenze balneari. Se ora lo farà, verrà
accettata volentieri con una relazione stampata in proposito, e resterà pubblicamente approvata […]21
Il j’accuse di don Guetti non passa inosservato. Egli critica «la povertà
imprenditoriale di coloro che presiedevano alle Terme»22.
Ed ecco che risulta rivelatrice, per fugare ogni dubbio sulla paternità delle
“Distrazioni” e sul perché siano state firmate Antonio Rivolta Trentino, la
seguente lettera privata indirizzata al presidente del Comitato Balneare, il
Reverendissimo Sig. Decano e Preside, in cui don Guetti appuntò:
Di somma sorpresa fummi l’ultima sua. Ignoro ancora al presente gli errori contenuti nella cicalata della Voce N 17; avrei sommo desiderio conoscerli per farli rettificare o disdirli. Il resto poi della lettera, che tengo assai caro
come direttive suggerite da un Superiore Ecclesiastico, più che da un preside
balneare, è troppo solenne per me per non badarvi.
Quindi ho il piacere di assicurarlo che Renzo in avvenire sarà morto e seppellito per sempre e, per non ostare nei 5 punti ivi contenuti, si rannicchierà
nello stretto nido della sua curazia, lasciando ogni cosa ad altri per conto di
questi poveri interessi mondani che pungono sempre più. Fui troppo min-
21
Renzo, COSE GIUDICARIESI, (Nostra corrisp.), “La Voce Cattolica”, a. XXI (1886),
n. 17, p. 3.
22
«Le Terme erano assurte a luogo di soggiorno in voga tra i privilegiati che scendevano al
cosiddetto “Grand Hôtel” mentre per i poveri funzionava la malandata osteria in sponda destra
del Sarca […]. La formula artigianale e di “pubblica beneficenza” […], i contrasti fra conduttori e
dirigenza, l’eterna mancanza di denaro e il morso dei debiti, cosa che dagli amministratori laici
passò a quelli ecclesiastici e poi ancora ai laici […]; tutto questo, e altro, minacciava di relegare
le Terme ad un livello secondario al confronto delle altre stazioni termali trentine che andavano
prendendo concreta misura» (GORFER: 1976, p. 85 e p. 87).
- XIV -
chione finqui[???] il credere amor patrio i fumi della propria testa; mea culpa.
Spero con ciò che anche codesto Comitato Balneare accetterà le mie
scuse le più solenni, molto più che per parte del sottoscritto non avrà più
nulla a temere in secula seculorum.
Del resto m’abbia sempre
Quadra 23 feb. 1887
obb.° ed aff.° servo[???]
pte Lorenzo Guetti
Così, imitando quel Renzo Tramaglino de I Promessi Sposi a lui tanto caro
quanto la sua italica lingua, per le “Distrazioni” si firmò con lo stesso pseudonimo, Antonio Rivolta, a cui aggiunse Trentino, per rimarcare la radice
e la vocazione autonomista, probabilmente per proseguire la sua battaglia
personale per valorizzare, a favore dei poveri e del popolo giudicariese, le
«aque cumane», quindi la sua piccola patria. In questo modo poté togliersi
pure alcuni sassolini dalle scarpe23, comunque non tardò molto a ribadire la
sua identità abbandonata, riprendendo a firmarsi R. o Vostro R. (per firmare
le corrispondenze da Vienna o da S. Croce) o ad indicare, nei primi numeri
de “Il Popolo Trentino”, sotto il titolo Giudicarie esteriori, 4. – In casa di
Renzo, uno dei suoi nuovi pseudonimi24.
Questa analisi può corrispondere ad una delle motivazioni che spinsero don
Guetti ad utilizzare l’espediente degli pseudonimi, legati però da un non troppo
latente filo doppio, che hanno celato alcuni lati della sua produzione scritta. Il
testo che ora proponiamo, solo uno dei tanti rimasti oscuri fino ai nostri giorni,
ci permette di scoprire un lato finora sconosciuto del suo poliedrico profilo,
quello che oggi viene definito per una parte del mediatore culturale per l’altra
del promotore turistico, ruoli che interpretò egregiamente per il progresso delle sue apriche Giudicarie esteriori, di questi luoghi, afferma don Guetti, «che in
un lontano avvenire son chiamati a diventare una seconda Svizzera».
Buona lettura!
23
Si veda, fra le altre nel testo, la critica aperta ai tentativi di pangermanizzazione del Tirolo
meridionale, attraverso le riviste “Deutsche Schulverein” e “Allgemeine Deutsche Schulverein”,
condotti fra il 1880 e il 1881 dal psichiatra di Francoforte dr. Aug. Hans Lotz, che scriveva sotto
lo pseudonimo di Dr. Mupperg, nonché una sorta di parodia di Antonio Caccianiga, che scrisse
I Bagni di Comano. Escursioni di A. Caccianiga (Treviso, Ed. dell’“Archivio Domestico”, N. 4,
Treviso, 1869), sotto forma di “Lettere ad un amico”, nel cui incipit leggiamo: «Dunque parto
e ti mando il mio estremo saluto colle parole di Lord Byron – “Addio!… e se fosse per sempre,
ebbene per sempre addio!...- Ho messo in valigia la Montagna di Michelet, la più recente novità
letteraria di questi giorni, e vado a leggere quelle pagine sulla cima delle Alpi. Sai che soffro talvolta degli accessi di misantropia intermittente, e che allora l’uomo mi sembra brutto e brutale.
L’afa sociale mi stringe la gola, mi sento soffocare».
24
Michele, Giudicarie esteriori, 4. – In casa di Renzo, “Il Popolo Trentino”, a. I (1888), n.
1 e n. 5, p. 3.
- XV -
Breve nota metodologica
Con le presenti “Distrazioni”, riprodotte in trascrizione parzialmente diplomatica, con un frammento di copia anastatica inserito nel testo per esaltare il livello diacronico, si intende riportare alla luce sia la cronaca termale
(o “storia balneare”, per utilizzare le parole del medesimo don Guetti)25 sia
quel lato del profilo umano dell’Apostolo della cooperazione finora dimenticato, al fine di arricchirne la mai troppo conosciuta e apprezzata personalità.
Il corredo di fotografie storiche e di mappe (tratte da “Carte della Guerra
Italo-austriaca” conservate presso il Museo Storico di Trento) su cui sono
tracciati gli itinerari proposti dal “curato trascurato”26 è da supporto per la
visualizzazione e la contestualizzazione del testo, che viene di proposito lasciato intonso da note che risulterebbero, data la messe di informazioni ivi
presente, superflue e dannose al ritmo avvincente della sua scrittura/lettura.
25
Proseguendo sull’onda del turismo romantico, avviata da Giovanni Prati nel 1844, che
introdusse l’itinerario turistico a piedi, allora molto di moda, in Viaggi da Desenzano a Trento
(GORFER: 1976, p. 60).
26
Vedi Solito trascurato, Giudicarie, 26. Per la regolazione definitiva della congrua, “La
Famiglia Cristiana”, a .IX (1894), n. 137, p.3.
- XVI -
“Distrazioni”
di don Lorenzo Guetti
-1-
-2-
DAL BAGNO DI COMANO
Distrazioni.
3 Luglio 87.
cestino, fatene parte agli umanissimi
lettori della “Voce”.
Il tema delle mie distrazioni sarà
vario anzicheno, e quale mi offriranno le escursioni di questi dintorni. Per
riguardo alla lingua poi, siamo subito intesi; visto che il famoso Lotz da
queste parti trovò nulla che puzzi di
germanismo, non farò che mettere in
ordine grammaticale il bellissimo dialetto lombardo di questa valle, facendo
mie tutte le frasi prettamente italiane
di questo popolo laborioso. In fine
v’aggiungerò un po’ di storia balneare, necessaria per mettere tutte le cose
a loro posto. Così intesi, per modo di
esordio, sono tosto con voi.
Che volete, umanissimi lettori? La
succede sempre così agli imprudenti!
Si va, si va, e poi presto o tardo se
ne paga il fio. A me, p. e., che tra
i chiacchieroni non sono ultimo, saltò
addosso nient’altro che una forte ugolite (se il termine non è proprio galonico, lo sarà adesso) e tale da temerne una bronchite e peggio, per
cui dovetti lasciare le mie gravi occupazioni cittadine e ricorrere al rimedio
con una bibita di queste aque cumane,
assai salutari a caso mio. Già da
una settimana presi stanza all’albergo
“all’Opinione” condotto dal Sig. G.
Alimonta e fin qui sono in tutto e da
per tutto arcicontento. Le acque calde
calde scendono per le gorgozzule, e l’effetto è già lusinghiero; l’organismo
agisce a piacere, il bisogno di più
abbondante nutrizione è sensibilissimo,
e questa trovasi in abbondanza e bene
condizionata presso il mio albergatore,
il quale vi sa unire il sugo che dalla
vite cola, bianco e nero, d’ottima qualità, che concorre a mettere il suggello
dell’azione ricostruente, sì da ripromettermi in 15 giorni guarigione completa.
Ma, siccome la volpe cambia il pelo,
non già il vizio, così temo avvenga di
me; chiacchierone prima, resterò chiacchierone anche dopo. Ora, essendo sotto cura, è imprudenza farlo e perciò mi
do a scribacchiare quello che la lingua
vorrebbe dire, e se tutto non è roba da
Da Trento a Comano
Era il dì 27 giugno, il giorno seguente al nostro S. Vigilio. Dopo una notte
insonne, cagionata dall’insuccesso della
nostra festa, e per i fuochi tradizionali
mancati e per la damigiana della musica al Duomo, alle ore 4 ½ m’affrettai a
montare la posta verso questa direzione. Il viaggio non potea essere più felice; l’aria, rinfrescata dal temporale del
giorno innanzi, entrava a grandi ondate
nei polmoni mezzo atrofizzati dall’aria cittadina; il canto dell’ussignolo ci
accompagnava su su fino al forte del
Buco di Vela, assieme alle grate varianti
del capinero ed al cicisbeo de’ fringuelli.
Oh! quella era musica! Sotto l’arcata
del forte vidi ancora umido del tocco
de’ divoti il sasso tradizionale, sul quale il buon popolo venera le traccie del
-3-
passaggio di S. Vigilio; e, senza essere
superstiziosi, quella tradizione commuove però il passeggero di religiosa
attenzione… Superata finalmente la
sommità di Cadine, i destrieri prendono l’aire; un rapido saluto al pacifico
Terlago e al mesto Vigolo, ed eccomi
presto a Vezzano. Nella rapida discesa al
bel paese, dal campanile alla ghibellina,
mi destò care rimembranze il nome di
Stoppani, che lessi segnato sulla tavolozza ove comincia il sentiero al pozzo
glaciale, battezzato dalla S. A. P. col
nome appunto dell’illustre geologo.
Ma ahi! Che dalla gioja al dolore è breve il tratto. Se gioja m’arrecò il nome di
colui che tien alto in Italia il progresso
geologico, associato al nome cattolico,
dolore mi arrecarono le iscrizioni ai
due alberghi del paese fatte in tedesco!
Che volete? Per conto mio ritengo un
peccato di antinazionalità, e che quindi
va tolto ad ogni costo. Andate in paesi
tedeschi e se trovate colà un’iscrizione
italiana e ad alberghi tedeschi, vi do il
brevetto d’invenzione con medaglia al
merito. Ma dunque, che proprio noi
Trentini vogliamo essere degli anfibi?
La tappa fu brevissima e non ebbi tempo di avvisare i proprietari di questo
sconcio antipatriottico, ma lo farò al
mio ritorno, se per allora non sarà fatta
pulizia.
La discesa da Vezzano alle Sarche
è delle più incantevoli, ed io crederei
ritenerla per la plaga più vaga e sorridente del Trentino. Dalle brulle vette del Gazza alle blande pendici del
Bondone per vero non si estende tanto
l’orizzonte, ma per quello che l’occhio
non gode in alto, ne viene compensato a josa in basso. Qui i mirteti sempre
verdi che attorniano gli ameni laghetti
di Toblino e S. Massenza; lì gli olivi che
a piccole macchie t’annunziano le aure
dolci del mezzodì. Qua e là le romantiche insenature de’ laghi percorse dallo
stradale; in mezzo poi il turrito castello, illustre per antichità e per la storia,
che specchia le sue abbronzite mura
nel cristallino dell’acque; numerosi
pesciolini che ti guizzano fino all’orlo
della strada, dandoti il benvenuto; l’aria in fine balsamica, i vigneti del Vino
santo, tutto in una parola ti imparadisa
e ti invita a far qui tua dimora. Ma l’esigenza dell’orario non lo permette, ed
il cocchiere fa studiare il passo ai cavalli che in pochi minuti, passato il ponte
di legno sopra la Sarca, ti depongono
all’ufficio postale delle Sarche. Qui
l’albergo è in regola pro patria, peccato
non lo sia anche pro mensa, per la quale
sono tradizionali le lamentazioni. Eh!
si che la quotidiana e numerosa occorrenza di passeggeri dovrebbe compensare il proprietario di un servizio più
conveniente. Possibile che il gran movente del secolo, l’interesse proprio,
siasi andato ad annegarsi nel Sarca vicino? Speriamo di no, e questa sia l’ultima lamentazione. – Ma proseguiamo
il nostro viaggio. Qual contrasto di scena! Prima tutto paradiso, ora eccoci ai
gironi dell’inferno! Su, su per le volte
delle Sarche, siamo finalmente, sopra il
livello del fiume all’altezza di 200 m.
Uno sguardo ancora al piano, un saluto
a quelle amene sponde, un augurio al
ponte, dal quale stieno lungi la pece ed
-4-
strada del Limarò, bella in tutto il suo
orrido. Finalmente una rapida svolta
improvvisamente ti apre l’orizzonte
giudicariese; la punta della Tosa, a sinistra della Sarca e a destra del viaggiatore, solleva la mente a pensieri più gaj e
sereni. Il giovine alpinista si sente una
scossa elettrizzante, il sangue scorre
più rapido nelle ingranchite membra,
l’aria montanina accelera i movimenti
del cuore... Excelsior!... questa nobile
espressione ti prorompe dal labbro enfatica… ancora pochi minuti… ed ecco
in umile postura la Fonte cumana. Salve, aqua salutare! La tua efficacia per
l’egro corpo umano, nota già ai vetusti
Romani, è ben più ora manifesta ai non
degeneri figli. La mia gola aspetta da te
desiato rimedio; salve, dunque, ninfa
salutare! Il viaggio è finito; corro alla
stanza assegnatami; depongo con la
polvere le vesti da viaggio; metto all’ordine, col cibo e col riposo, lo stomaco
sconquassato e do principio alla cura...
il fuoco del 1866 ed il brusco bacio del
1882, ed eccoci serrati in mezzo a muraglie altissime di viva roccia. Certamente fu ardimento titanico quello de’
Comuni Giudicariesi dovendosi aprire
per queste rupi una strada di comunicazione con Trento, e dovrebbe ormai
meritarne un compenso coll’ersere dichiarata strada governiale; ma ahi! che
fin qui furono desiderj e solo desiderj.
Sotto il paterno regime de’ Principi Vescovi si ebbe a spese dell’erario
l’apertura della strada pel Casale, sufficiente per l’esigenze di que’ tempi
andati; e la gratitudine de’ Giudicariesi
fu sempre costante verso il Principe;
ora pare si voglia esaurirne la nota fedeltà con temporeggiare sì lungo, che
sembra degenerare in un amaro rifiuto.
No, con questi nodi amorosi non si avvinghia un popolo disgraziato al carro
costituzionale… Queste ed altre idee,
similmente tetre e dolorose, mi passarono per la mente nel percorso della
-5-
8 Luglio.
Da principio la tepid’onda non si
cattiva la benevolenza del bevitore pel
suo grado di tiepidità e pel sapore alquanto saponaceo; ma fattane breve
conoscenza, vi discende pel gorguzzole
così blandamente e voluttuosamente
da beverne poi a crepapelle; e se lo può
fare perché è di facilissima digestione,
anche per i ventricoli i più delicati. Il
luogo della distribuzione dell’acqua
è precisamente sul pubblico stradale;
una tela stesa in alto vi ripara dai cocenti raggi di Febo, ed il movimento
quasi continuo delle ambulanze carrettiere, se da una parte vi secca i timpani,
dall’altra vi tiene vigilante ed in moto
ginnastico per qualche mezzo giro di
fronte indietro.
Una visita allo Stabilimento principale, consideratis considerandis, vi soddisfa, perché il necessario non vi man-
II. Alla Fonte.
Per chi nol sapesse, la Fonte Cumana
scaturisce dalla viva roccia, e raccogliesi in piccolo antro (Sibilla Cumana?)
quasi a livello della Sarca che le scorre
a sinistra, ed alle falde del monte Casale, volto a settentrione. La tradizione
porta che avanti questo secolo la Fonte,
stando più bassa del presente, si rinvennero alcuni ruderi di antiche celle termali, con tubi di terra cotta e monete
di Augusto e Galba*); ciò indicherebbe
che fino dai tempi romani era conosciuta l’efficacia di queste terme. Anzi sentii
un vecchio di que’ dintorni che m’assicurava aver udito da un sacerdote suo
compatriota che, anni annorum, vicino
all’antro sibillino, ove scaturisce la salutevole acqua, eravi perfino un’epigrafe
romana portante il nome non ricordo
di qual matrona, ma che il tutto andò
disperso e per franamento del monte
e peggio nei lavori dello stradale che si
fece passare proprio sopra questi ruderi
antichi e di importanza storica singolare. Forse diligenti scavi in que’ paraggi
potrebbero portar luce in questa tradizione che ho riferito talis e qualis.
Una polla d’acqua abbondante, a
22° R., zampilla dal ricettacolo chiuso
a chiave, e serve questa per bevanda,
mentre quella che avanza viene in tubi
portata alle vasche de’ bagni nei due
fabbricati di qua e di là della Sarca.
*) Orsi. Topografia del Trentino. Rovereto
1880.
Terme di Comano.
-6-
tanti casi ha del portentoso. Quanti voi
li vedete per gratitudine ritornare a salutare questo luogo ove trovarono una
salute insperata! Non vi mancano poi
di quelli che danno in lagni per non
averne riportato vantaggio alcuno;
ma l’acqua Cumana non è la probatica piscina dell’Evangelo, la quale sola
potrebbe guarire miracolosamente certe malattie in stadj avvanzati. Il fatto
però sta e si rende luminoso di anno in
anno, ed è, che chi per tempo fa uso di
quest’acqua, con cura paziente e protratta, riporta tali guarigioni che i fisici
ne meravigliano. Dopo pochi giorni
di bevanda o di bagni già ne sentite i
benefici effetti; l’appetito diventa gigante, e vi sembra impossibile che dal
vostro ventricolo si faccia tanta distruzione di cibo, mentre pochi dì prima
appena appena era suscettibile di scarso e sceltissimo nutrimento.
ca, anzi mercè le sollecite premure del
sig. Vianini vi si presentano ogni anno
delle grate sorprese in progresso. Non
mancano le ajuole di graziosissimi ed
odorosi fiori nel piazzale innanzi allo
Stabilimento, ed un piccolo parco vi
invita alla passeggiata ed ai dolci colloqui dell’amicizia, trovando di quando
in quando adatti luoghi al riposo sotto
vetuste piante, le quali poverette non
rare volte subiscono gli sfacciati baci
della Sarca che vorrebbe portarle seco
nei suoi vortici, come avvenne per altre
molte.
Le ore più frequentate e propizie
alla bibita sono quelle del mattino dalle 8-10 e dalle 4-6 di sera. Se l’aspetto
personale degli accorrenti non è de’
più piacevoli a cagione delle malattie
della pelle, de’ bronchi, degli occhi, più
o meno pronunciate, la cura che se ne
riporta è spessissimo lusinghiera ed in
-7-
Per quanto riguarda poi alle pensioni evvi da contentare tutti i gusti e le
condizioni. Oltre agli Stabilimenti alla
Fonte del sig. Vianini, di I e II Classe,
se ne trovano varii lungo il percorso dello stradone fino al Ponte delle Tre Arche, con la massima distanza di ¼ d’ora.
Il primo che vi si presenta, è l’Albergo
all’Opinione, più in su l’Albergo Nazionale del sig. Michelini; subito oltre il
ponte segue quello Al Ponte della Duina del sig. Parisi, poi la Trattoria Central Pension (sic) del sig. Morelli (titolo
per vero singolare ed eteroclito, che si
desidera cambiato presto in meglio ad
onor di patria); in fine quello del sig.
Malacarne, che, sebbene innominato,
presta come tutti gli altri que’ comodi
che all’uopo si desiderano. Alle Arche
noi troviamo ancora gli Uffici Postale e
Telegrafico e la tappa di fermata sia delle corse di Messaggeria postale, sia di
quella privata, introdotta ultimamente
con felicissimo esito e sommo vantaggio pubblico. Fatta conoscenza così in
fretta coi luoghi ne’ quali tutto dì avremo a trovarci, se la salute e il tempo lo
permetteranno, passeremo a visitare
i dintorni amenissimi, e, ciò che ci si
presenterà degno di nota, secondo noi,
lo passeremo volentieri ai lettori della
“Voce.”
-8-
luogo romano, vi presenta bella estensione di piazze e pulitezza di fabbricati,
e, toltone il classico coperto medioevale della casa comunale, quasi tutto il
resto è all’altezza de’ tempi da sorpassarne qualunque luogo della vallata.
Ciò è naturale, perché il tasso della sovrimposta comunale vi è pure sovrano
a tutti. La chiesa con campanile guelfo
è congiunta ad un ex convento di Riformati, soppresso da Napoleone. Con
questa soppressione dolorosamente
andarono dispersi tanti scritti riferentisi alla storia giudicariese, raccolti
da’ quei buoni claustrali. Dalla chiesa
ritornando al paese, troviamo l’antica farmacia Alimonta ora condotta
dal sig. Vero Sartorelli che ne fece un
gioiello da contentare le più delicate
esigenze e da assicurare pienamente
medici e medicati. Preso poi qualche
ristorante in una delle trattorie Vaia,
9 Luglio.
III.
Campo – Vigo – Dasindo
In sole tre ore di commodo andare si
possono percorrere questi tre paesi del
Lomaso; il tempo più propizio della
passeggiata può essere prima delle ore
10 di mattina o dopo le 4 di sera per
non essere affrontati sgarbatamente
dall’ôra del Garda, che dalla valle del
Lomasone soffia a dovere.
Si ascende all’altipiano dal Ponte delle Arche per la strada di Rotte, e
dopo mezz’ora siete subito a CampoMaggiore. Vogliasi o no, è questa la
Capitale morale delle Giudicarie esteriori, sebbene Vigo sia capitale religiosa, e Stenico quella politica. Dunque
Campo sta alle Giudicarie cisduroniane come Milano all’Italia! Scusate del
paragone, e tiriamo innanzi. Campo,
Campo Lomaso.
-9-
Mora e Maino, sollecitiamo il passo per
la visita alla regina del luogo, la Villa
Lutti, chè ben lo merita.
Sia che vi fermiate all’esterno, sia
che ne consideriate l’interno, troverete
buon gusto e senso di arte dapertutto, e
finirete per restare stupefatti della splendidezza della sala al primo piano della
Torre. Contigua avvi la filanda, la quale
ogni anno fa progressi. Quest’anno troviamo un vuoto grandissimo nella raccolta de’ bozzoli del Distretto, e dalle tabelle di provista, possiamo dedurre con
sicurezza l’enorme danno sofferto da
questa valle per la gelata del Maggio pp.
nel solo ramo bachicoltura. Si portano è
vero dal Distretto alcune piccole partite di bozzoli di ritardata riproduzione,
ma è proprio niente in confronto d’altri
anni ! Preso pel viale della Chiusura dal
lato di mattina, eccoci subito sulla strada che conduce a Vigo. Nella traversata,
perfettamente piana, si resta meravigliati alla vista della campagna sì minutamente suddivisa in tanti appezzamenti
di varia coltura, che se da un lato ha
del mosaico, vi nota del resto che ogni
famiglia è possidente ed indipendente,
con sommo vantaggio pel progresso sociale. L’orizzonte poi incanta per la sua
estensione, e ben pochi sono i luoghi nel
Trentino che vi presentano eguale spettacolo. Le raccolte quest’anno si presentano meschine. Ma eccoci al paese.
Vico di Lomaso (Vicus) è luogo romano
per eccellenza; così ne parla l’Orsi (1):
1)
Topografia del Trentino. – Rovereto, 1880.
“Vi si trovarono diverse iscrizioni
romane. Il luogo dovea essere importante, perché un’epigrafe ricorda il Curator Populi, carica propria anche dei
vici e che avea autorità eguale all’aedilis ed al magister. Abbiamo ancora are
a Giove e Silvano. Sic come in queste
iscrizioni si fa menzione di gente bresciana, che occupò cariche onorifiche
(come L. Cullonio Primo, decurione di
Brescia e comandante di un’ala di cavalleria, L. Settimio Macrino, cavaliere,
prefetto I. D. – jure dicundo – e quinquennale di Brescia), così io credo, che
quello fosse un luogo dove signori bresciani avevano loro possedimenti e si
ritiravano a godere i freschi estivi.
Ho enumerate le divinità, che vi
avevano culto; ed io penso che la Chiesa parrocchiale (decanale) sia stata edificata presso un delubro. Difatto credo
che la capella dei Confratelli (della
disciplina) che forma un corpo tutto staccato dalla Chiesa, alla quale fu
unita più tardo con una piccola navata,
fosse un tempietto. La sua struttura poligona, il modo di costruzione, di gran
lunga più antico di quello della Chiesa
(che è per lo meno del secolo XIII(2); il
fatto, che solo fino ad una certa altezza
2)
Nell’anno 1841 si venne ad abbattere, perché pericolante, il Campanile di questa Chiesa,
acuminato, ottangolare alla base della punta,
portante 4 croci. Sull’ultima pietra capovolta,
su cui poggiava la sfera colla croce della punta,
si leggeva le seguanti cifre: 1.X.8.8. Ai dotti
l’interpretazione; secondo me potrebbe essere
l’anno 988 od anche il 1088. Ad ogni modo nel
prossimo anno sarebbe il centenario.
- 10 -
i muri mantengono la struttura antica,
lo scorgere ancora in tre o quattro lati
avanzi di finestre o porticine assai basse
ed otturate, il che fa credere che il livello attuale sia molto più alto dell’antico,
e la somiglianza del complesso dell’edificio con altri tempietti romani, che
in diversi luoghi ho veduti, tutto ciò
mi farebbe ritenere d’origine romana
quella cappelletta.
Concorre ad accrescere la probabilità di questa mia opinione il fatto, che
ivi murate trovansi due iscrizioni, una
delle quali sacra a Silvano (è un’ara),
l’altra parla di un edificio innalzato dal
“curator populi” del luogo. Una ricorderebbe l’erezione del delubro, l’altra
sarebbe l’ara della divinità a cui era dedicato. Là presso avvi anche l’iscrizione
di Giove (ora collocata in più sicuro
luogo nella base del nuovo campanile),
e nel bugnato della Chiesa parrocchiale
veggonsi frammenti di pietre lavorate e
bassorilievi, scanalature ed altri ornati, pietre che certo devono essere state
tratte con molte altre da un edificio
colà esistente prima della Chiesa. Ed io
credo fermamente, che se un giorno si
dovrà abbattere per qualche ragione un
tratto o l’altro di quelle muraglie, verranno alla luce altri bassorilievi e forse
anche iscrizioni”.
Fin qui l’egregio nostro Archeologo. Agli amanti di cose patrie del luogo si raccomanda tutta l’attenzione in
ogni scavo che avviene in paese, perché
potrebbe con tutta probabilità fruttare materiali preziosi per la storia. Mi si
dice che anni fa fu trovata vicino alla
strada tra Vigo e Campo un’urna di
pietra e che poscia condotta in paese
andò perduta! Non avvenga mai più di
simili jatture in un paese sì fecondo di
persone educate!..
Il paese è propizio alla pastorecchia,
ed il nuovo casello modello che vidi in
fine di costruzione, darà certo valido
incremento a questo cespite d’entrata,
da rimediare ad un passato indecoroso e dannoso. Bravissimi que’ soci che,
dato un calcio al passato, si misero in
una via di progresso bene inteso. L’avvenire coroni i loro sforzi giovanili e sia
il loro esempio sprone ad altre imprese,
che dormono neghittose per mancanza
d’iniziativa.
Passato il ponte sul Dallo, ed esaminate de visù le lapidi romane al colle
della Chiesa, nel ritorno per Cajano
(nome di pura romanicità) non mancate di dare uno sguardo alla Valle del
Lomasone che s’estende per ben due ore
a mezzogiorno. La strada che vi conduce, sempre ombreggiata da due file di
olmi e frassini, il verde giulivo ed i fiori
olezzanti de’ prati, il placido Dallo che
serpeggiando sfiora le zolle, o bagna le
frondi degli ontani che s’umiliano sul
suo percorso, hanno certo del romantico, e se davano l’estro poetico ad un
Jacopo Vargnano d’Arco, non possono a
meno di elettrizzare ancora il visitatore
che ascende dal Bagno di Comano, ove
la cetra pende muta dai pali del telegrafo! Era pure in questa valletta che l’illustre Maffei passava ogni autunno soavi
mattinate cacciando colla civetta. Oh
rimembranze!...
Ma ecco a sera la bella Dasindo ci attende; studiamo il passo chè l’ora del
- 11 -
Campo Maggiore - casa Mattei.
ritorno s’appressa. La Chiesa del luogo è di classica architettura; bellissima
la porta, ricchissimi gli altari dorati
e lavorati in legno. Era una volta un
Santuario di M. V. Assunta in cielo;
conservasi ancora un regalo di illustre divoto, consistente in una collana
d’oro con brillanti e pietre preziose, di
gran valore, ma presentemente di danno alla fabbriceria, dovendone pagare
il relativo equivalente d’imposta. Non
essendo preziosa per la rarità né per la
storia, ma solo pell’entrinseco valore,
non sarebbe forse miglior cosa, previo
permesso, venire alla vendita di quella,
onde col ricavato formarne un’altra
di poco valore ma eguale nella forma,
e col resto capitalizzato conservare in
miglior stato la Chiesa monumentale?
Videant consules! Dasindo è il paese
natio di Prati, e come non correre a sa-
lutare la sua culla? Ma ahi! Che una
lagrima ci cade tosto dal ciglio in segno
di mestizia pel cantore della morte del
Tasso! Una modesta iscrizione, di recente messa nella facciata a mezzogiorno, porta:
CASA . PATERNA .
DI . GIOVANNI . PRATI .
POETA .
EBBERO . DA . LUI . GLORIA .
DASINDO . TRENTO . ITALIA .
Semplice dettato, ma tutto verità
che rende onore alla nobile mano che
la scrisse ed a tutte sue spese ve la pose.
Ma lagrima il ciglio a vedere la modesta casa in via di evidente deperimento,
da far temere, che ove non siano cuori generosi che concorrano a ripararla
prontamente, non vada in sfacelo. Ma
no; ciò non avverrà, perché Dasindo,
Trento ed Italia sentono viva gratitudi-
- 12 -
ne pel lustro ch’ebbero dal nostro poeta, e la modesta casa sua paterna starà a
monumento de’ posteri.
Alla società pro Patria ed al gruppo
di Campo, che desidererei si chiamasse
col bel nome di gruppo Prati, l’iniziativa di sì bell’impresa. Con tale lusinghiera fiducia ritorno alla mia dimora,
sperando domani proseguire le mie
escursioni.
- 13 -
10 Luglio 87
IV.
S. Croce - Bleggio.
L’appetito vien mangiando, dice il
proverbio; ed io direi che vien molto
meglio digiunando. Così, soddisfatto
per la bella gita di jeri, mi venne la voglia di continuare, e questa volta presi
l’ascesa verso della bella plaga bleggina.
Adopero questa parola, perché di origine romana, come sta scritto nel frammento di lapide trovato presso Bivedo
ed ora al Museo di Rovereto, la quale
porta scritte queste parole:
EX BLEGINA–IUSSU CŒSARIS
di enigmatica significazione.
Bleggio ha una parrocchia con sede
a S. Croce e due Comuni generali col
nome storico di Bleggio Superiore e
Inferiore. Tempo fa era un sol Comune e si divisero pro bono pacis secondo
la intenzione, non credo però secondo
l’effetto. Ad ogni modo fecero benissimo a ritenere il nome antico, mentre i
Comuni di Lomaso dividendosi commisero un gravissimo errore, perché fecero scomparire per conto loro il nome
classico di Lomaso col quale nessuno
di que’ comuni ora più viene nominato. Fortuna che esiste la parocchia di
Lomaso che continua e continuerà la
gloriosa tradizione, la quale per conto
dei padri della patria e di chi li dirigeva
sarebbe ormai per sempre dimenticata.
… Ma non facciamo deviazioni chè la
via lunga ne sospinge.
La strada per andarvi è tutta carrozzabile e in tre sole ore si può fare
il ritorno dopo una visita alle cose
degne di nota. Guadagnata l’altura
di Cares (nome gallico?) nella visita
alla piccola chiesetta puossi osservare qualche frammento di lapide delle
prime epoche cristiane, murato innanzi alla facciata in basso, e raro nel
suo genere.
Proseguendo il viaggio dopo 10
minuti siamo a Comighello; qui è
d’uopo deviare di pochi passi per visitare la chiesetta di S. Nicolò che ci offre una bella sorpresa pittorica. Sono
quattro pitture antichissime, due delle quali portano l’effigie poetica delle
Sibille, mentre al parapetto dell’altare
ammirasi in miniatura uno stupendo
dipinto rappresentante la carità cristiana in numerosissime figure. Brava questa gente che seppe conservare
questo tesoro dell’arte, mentre a Lomaso si lasciarono malamente perire
varii quadri delle Sibille ed il vessillo
militare tolto ai Veneti dai nostri nella battaglia di Calliano dei 10 Agosto
1487, il quale per concessione Vescovile veniva portato nelle processioni.
Attenzione dunque, che giammai si
rinnovino simili vandalismi o sperperi!
Ancora 15 minuti di piccola ascesa
ed eccoci a S. Croce. Chi v’arriva per la
prima volta, si ferma estatico innanzi
alla Croce colossale, di granito grigio,
che gli si presenta innanzi con una maestà monumentale. Stando un po’ da
lungi le giuste proporzioni ingannano
l’occhio sulla sua altezza; ma arrivati al
piede, si capisce subito quanto sia reale
la sua imponente elevazione di 20 m.
Basti solo il dire che la pietra ottagona,
- 14 -
ove discende l’asta della Croce, porta 8
nicchie di 1,5 m di altezza. Al monumento mancano ancora gli accessorj,
cioè statue da porsi in queste nicchie,
in quelle dell’asta, e le quattro alla
base, ove sono presentemente quattro
sfere granitiche. Questo monumento, votato in tempi di calamità, venne
solennemente eretto nel 1863 a spese
di divoti offerenti; volesse il cielo che,
senza verificarsi altre circostanze simili,
la pietà de’ nipoti venga presto a compiere questa solenne espressione di vera
fede, che forma una delle meraviglie
del Trentino..
La vicina Chiesa parrocchiale è di
perfetta architettura classica, a croce
latina. L’altare maggiore ha un lusso
di marmi lavorati splendidamente ed
in modo speciale nel cimiero e nel
parapetto dello stesso. È pur classica
la statua dell’Immacolata in marmo
bianco, posta nella nicchia dell’altare
sopra il tabernacolo e che conta più
di un secolo e mezzo d’esistenza. L’altare della cappella di S. Croce, tutto
in legno dorato, è pure di molto valore; quivi ammiransi numerosissimi i
quadri votivi per grazie ottenute dalla
Croce taumaturga, che forma spesso
la meta di pellegrini giudicariesi e
non solo, ma del Trentino e d’Italia.
Manca a compimento di tutto questo
bel quadro la cornice, cioè la facciata
della Chiesa; faccio voti che la pietà
e lo zelo de’ buoni bleggioni si scuotano finalmente, e seguendo le antiche tradizioni si venga ad effettuare
sì bella opera; e così in questa occasione si potrebbe levare l’organo da
La piazza di Larido.
- 15 -
dove presentemente sta e trasportarlo
in fondo alla Chiesa con più profitto dell’estetica e dell’acustica. Avanti
dunque chi può e deve darne la forte
iniziativa.
Fra i parochi che si segnalarono
pello zelo della casa di Dio, primo e
facile principe mi permetto nominare il M. R. Don Carlo Agapito Mosca
da Caderzone in Rendena, Dottore in S. Teologia ed oratore famoso.
Resse questa parocchia dal 24 giugno
1736–22 ott. 1771, e morì in sede di
75 anni. Questi al suo nome primiero
di Carlo v’aggiunse quello di Agapito,
quando venne nominato Cardinale di
S. Chiesa Agapito Mosca da Pisa, al
quale mandò lettere di congratulazione. Dalla vita un po’ singolare di questo dottissimo sacerdote mi piace riferire questo fatterello: Nei primi anni
della sua cura parocchiale di Bleggio
si avea comperato un suolo vicino e vi
fece costruire un roccolo, dove passava lunghe ore dilettandosi nella caccia
e ne’ suoi studi prediletti. Ma di notte
tempo da mano ignota questa sua delizia roccolesca venne abbattuta e per
intiero distrutta. Nella prossima domenica egli si volge sull’altare e dopo
aver dichiarato che perdonava cordialmente al distruttore e lo dispensava dall’obbligo di restituzione per
danni sofferti, così conchiuse: Da qui
innanzi sarò non cacciatore, ma pastore
di anime. O felix culpa!...
Chi volesse poi da S. Croce fare
una scorsa alle Curazie del Bleggio Superiore, troverà amenissimo il viaggio.
Nel passare da Cavrasto, paese di gran-
dezze decadute, non senza importanza
però al presente, perché tappa de’ viaggiatori per e dal Durone, non manchi
di fare una visitina a quella Chiesa curata, dipinta recentemente, ove evvi la
tomba del Bottesi, sacerdote defunto
in concetto di santità. (L’articolista
avrebbe potuto dircene un po’ di più.
Noi conosciamo il nome di D. Gregorio Bottesi, n. a Lundo (Lomaso) nel
1754, cur. emer. di Lundo, e morto il
15 maggio 1834. È questi? R.) Voltando poi a sera verso Balbido, patria d’un
Vescovo Crosina, si ascende a Rango,
paese il più alto della parrocchia (750
m) e che segna illustri famiglie per la
storia giudicariese. Voltando poscia a
settentrione, a lenta discesa si attraversano i quattro paeselli formanti la
Curazia di Quadra, cioè Cavajone, (in
antico molto più esteso), Marazzone,
Larido, e Bivedo, ove trovasi la Chiesetta, con eleganza dipinta di fresco
dal Rota. In questa ammirasi di classico pennello la palla del coro, portante
una Madonna col Bambino, dai lati il
Battista e S. Antonio Abate ed in basso tre ritratti della famiglia Guidottini, estinta ora, ma la prima del paese
all’epoca del dipinto che è il 1540.
Non è senza pregio anche il quadro,
appeso alla parete della facciata, del
Sgozzi veronese, ove ammirasi un S.
Girolamo vestito interamente da Cardinale di S. madre Chiesa.
Chi fosse amante di prospettiva non
ha che da fare pochi minuti di strada
all’altura di Pron, ove sono le uccellande Salvatori; da qui potrà godere uno
de’ più bei panorami di questa classica
- 16 -
vallata. Dai ruderi del Castello Restoro, che sorse ai piedi del colle attorno
attorno, potrà numerare i più che 30
paesuccoli di cui è tempestato questo
anfiteatro giudicariese. Da questo luogo la discesa, piuttosto ripida, è però
amena e breve, e lascia soddisfatto il
viaggiatore per avere ben spese quattro
ore con tale istruttiva escursione. Ma
il campanello invita alla cena, e faccio
senz’altro punto fermo.
- 17 -
V
Stenico – Seo – Premione
12 Luglio.
Oggidì cercheremo distrarci un po’
al di là della Sarca, cioè alla sinistra, e
per ciò fare passeremo al Ponte delle
Tre Arche doppiamente famoso. Famoso perché diede il nome alla località adiacente delle Tre Arche, o semplicemente alle Arche, la quale sembra
chiamata a divenire centro principale
del movimento commerciale ed agricolo delle Giudicarie esteriori. Quivi
si tengono mensilmente, tranne nei
mesi di crudo inverno, i mercati di
animali e grani al terzo martedì, mi
si dice con numerosissimo concorso
non solo de’ dintorni, ma delle valli
vicine e perfino dal Regno d’Italia.
Tutto si fa in regola, solo si desidera
che l’autorità politica tenga un po’
più d’occhio a certe combricole e balli di contrabbando, ove si fa mercato
di cose ben preziose, quale l’onestà ed
il buon costume della inesperta gioventù; il che non deve giammai avvenire in paesi cattolici; a chi spetta la
responsabilità di questi disordini, il
mettervi rimedio pronto, perché so
di un detto infallibile che suona: Dio
non paga il sabato… potrebbe essere
anche il martedì… Ma non moralizziamo, non è il mio forte, vado anch’io, e…, torniamo al ponte. Famoso
in secondo luogo, perché fu unico tra
i numerosi fratelli che restò in piedi
nella ecatombe pontina del 1866,
sebbene avesse già in seno la pillola da
crepare.
Di sotto al ponte voi vedete scorrere impetuosa la corrente, la quale aumenta il suo cupo muggito nel sentirsi
serrata la via sotto la triplice arcata.
Vidi alla sponda destra il pennello, posto a salvezza del ponte, quasi del tutto
corroso dalla rabbia dell’onde; so che
in proposito si fecero rapporti alla presidenza del Distretto o della Concorrenza per rimetterlo in buon ordine;
dunque non si ritardi ulteriormente, la
reclamata riparazione se non si vogliono lamentar presto danni peggiori; e
sperando che queste parole non sien
dette a’ sordi, passo avanti e ascendo
alla capitale politica del Distretto.
Stenico, sede del Giudizio distr.,
degli Uffici del Censo e Forestale,
d’un posto dell’i.r. Gendarmeria e di
altri annessi e connessi, vi presenta
naturalmente un ambiente burocratico che lo differenzia da tutti gli altri
paesi della valle, ma il suo popolo del
resto si mantiene egualmente nella
gran maggioranza di puro tipo giudicariese. A cagione del suo Castello
ben conservato, e che vidi con un po’
di controsenso recentemente coperto
in parte a tavolette di cemento, già ab
antiquo questo paese fu preposto a
capo del Distretto, sebbene per rispetto alla valle si trovi nella posizione di
un punto qualunque della periferia.
Verissimo che per conto litiganti e paganti starebbe meglio più sù, magari
al rifugio della Tosa, ma pel resto de’
mortali si desidererebbe anche questa
capitale un po’ più centrica.
Chi sa? visto che il progresso ha
preso l’aire e che ovunque si spendo-
- 18 -
no e si spandono danari in fabbriche
tribunalizie e carcerarie, che non avvenga anche qui qualche innovazione? Al caso i manovali vi sarebbero
pronti ad ogni momento assieme al
materiale. Stenico (capo luogo degli
Stoni?) è buon luogo romano. Vi si
trovò l’epigrafe del veterano M. Ulpio
Bellico e moltissime monete romane
(Orsi l. c.) Il Castello naturalmente
vi occupa la posizione più amena e
romantica, e da qui si prospetta come
in vasto panorama gran parte della
valle; su quest’altura fuvvi al certo un
arce romana, sopra la quale si rifece il
presente fabbricato in epoca posteriore, ove i P. Vescovi di Trento tenevano
un Luogotenente per tutte le 7 Pievi.
La chiesa, di recente costruzione,
è dedicata a S. Vigilio e ciò forse per
consolidare la tradizione popolare
del suo passaggio da questa parte alla
evangelizzazione della Rendena. È
vero che molti altri opinano che il S.
Martire sia andato nella valle rendenese dalla Valle del Nosio pel passo
di Campiglio, ma non avendo documenti certi su questo punto, io sto
coi primi per la tradizione più probabile, e ritengo sia andato S. Vigilio
in Rendena per la strada di Toblino,
Ranzo, Banale e da qui per Stenico e
forse anche pel Durone, ove il passo
è facile per natura sua. Ai dotti del
paese lascio assicurar meglio questo
punto storico di non poca importanza, mentre passo ad altre distrazioni.
Da qui ascendendo a mattina con
strada buona a breve si arriva a Seo, il
paesello più alto di tutta la valle ed in
posizione tale che vi dà il più bello ed
esteso panorama del bacino distrettuale. Dalle finestre della canonica
oltre 40 paeselli vagamente dispersi si
presentano alla vostra vista. Le svariate scene poi topografiche, gli sfondi
e le sfumature di vallette amene e di
colli pittoreschi, la larghezza dell’orizzonte, le vette dei monti a piramide, a cocuzzoli, a merletti, a ridossi
arrotondati, il fiume (la Sarca ben inteso) quale arteria principale in cui si
versano torrenti spumanti, placidi ruscelli, ed umili rigagnoli, presentano
tale materiale al pennello del pittore
od al fotografo da essere inesauribile.
Faccio voti che nell’interesse del paese si moltiplichino le riproduzioni
fotografiche di questi luoghi, che in un
non lontano avvenire son chiamati a
diventare una seconda Svizzera. Che
se al presente siamo ancora in ritardo, tutta la colpa è di questi valligiani, che lasciano ignorare al forestiero
questi tesori alpini. Dunque mano
all’opra da chi sente sincero amor di
patria… Mi distacco a malincuore da
questo luogo incantevole e precipito
in pochi minuti a Premione, paesello presentemente poco considerato,
mentre in antico era il prescelto per le
unioni di regola di tutte le Giudicarie
esteriori, come Preore era per quelle
interiori.
Per quanto domandassi, non trovai
qui nessuna raccolta di memorie patrie e forse perché in allora non si aveva uno stabile ufficio ove custodire i
relativi conchiusi; nessuna meraviglia
per questo, mentre anche al presen-
- 19 -
te si tengono le sessioni distrettuali
in qualche trattoria alle Arche, senza avere un luogo fisso ove riporre i
protocolli rispettivi, i quali formerebbero tanti documenti storici, e così
trasportandoli or qua or là dai vari
presidi che si succedono, si finisce col
lasciare alla storia delle semplici congetture e tradizioni incomplete. Non
sarà certo una pretesa fuor di luogo,
il raccomandare ai padri della patria
di stabilire un luogo opportuno al
Ponte delle Arche, che sia di proprietà
esclusiva del distretto e quivi tenere
le unioni comulative eventuali. Me-
riterebbe poi assai per la storia chi vi
facesse la raccolta delle memorie importanti che si trovano qua e là sparse
nel dimenticatojo di tante cancellarie
comunali, di qualche archivio canonicale e forse ancora di qualche famiglia
di antico lustro.
Ma l’ora è tarda; e non vorrei che
questa distrazione mi facesse dimenticare la cena, alla quale lo stomaco
non vuol per niente rinunciare; ripasso quindi il ponte e, con soddisfazione della cuoca, arrivo in punto al
Benedicite.
- 20 -
Stenico.
Casa tipica.
S. Lorenzo.
- 21 -
VI.
Villa – Tavodo – S. Lorenzo.
Questa volta non sono solo nella
lunga gita; un asinello compagno viene
in aiuto propizio. Dalla Fonte Cumana per ripidissimo calle siamo presto
a Villa, ove parecchi miei compagni,
bevitori d’acqua, prendono e vitto e
alloggio. Qui mi colpisce il campanile
di nuovissima costruzione, il quale disgraziatamente non sta in proporzione
colla medesima chiesuola. Sperasi che
i buoni villani penseranno anche al
principale, dopo aver compiuto l’accessorio. Nel circondario del paese e
su su fino a Sclemo vedonsi molte viti
coltivate, in qualche luogo, secondo le
regole di Nane Gastaldo; peccato che
quest’anno le abbia rovinate il gelo. Da
Sclemo, discendendo per romantica
valletta tra boschi e prati, poco dopo
eccoci a Tavodo, sede della Parrocchia
del Banale. Banale è nome generale,
come quello di Lomaso e Bleggio né
più né meno. La Chiesa è di antica
architettura, di buon gusto e ben posta. Tra la serie dei parochi di Banale,
la quale comincia già dal 1208, poco
su poco giù come di quelle di Lomaso
e Bleggio, trovo di ricordar qui Carlo
Orlando de Lutti di Poja, Dottore di S.
Teologia (1707-1763). Questi era ancora poeta e diede alle stampe coi tipi
di Gio. Ant. Brunati un opuscoletto
sotto il titolo “Le litanie della Vergine
contate in Pindo dalla Musa Toscana,
di Carlo Orlando Lutti, Trentino, Arciprete del Banale. (Si vede che la parola Trentino è da un pezzo in bocca ai
nostri sacerdoti, e non è già una moda
moderna come bestemmiano gli Austriaci ed i Tirolenses.) Questo sacerdote era poi dotato di tale memoria che
ripeteva subito e nel medesimo ordine
200 parole delle più strambe ed esotiche che gli fossero state dette una volta
sola ! Morì di 89 anni, dopo 56 di parrocchia e fu sepolto nella Chiesa parocchiale, facendogli l’elogio funebre
il Dottore Carlo Agapito Mosca, Arciprete del Bleggio. Morì il nostro Dottor poeta in tale povertà che il fratello
Lodovico, Capitano di Brentonico e
poscia Consigliere Aulico di Trento,
dovette sostenere lui le spese del funerale. Nella facciata di questa Chiesa,
sotto l’atrio, evvi pure una lapide alla
memoria del D.r Giovanni Serafini di
Ragoli, medico distinto e peritissimo
nelle scienze naturali, (n’era stato professore all’università di Pavia) morto
ai 27 luglio 1850 (gettato a terra sulla
piazza di Dorsino dal proprio cavallo
ch’egli volea arrestare, mentre imbizzarito scorazzava attorno senza ritegno.
Chi aggiunge questa nota, si rammenta benissimo la grave figura del dottore
e l’obito grandioso che gli fu fatto con
un concorso straordinario di popolo.
R.) Egli è chiamato dal Perini Genio
benefico di queste Valli giudicariesi.
… Ma proseguiamo il viaggio per S.
Lorenzo. La tetra valletta per cui ora
passiamo, formata dalle corrosioni del
Rivo d’Ambies, ci lascia vedere la Tosa e
le punte vicine, ed un’aria fina fina che
discende da quelle gole, se siete alpinista, vi elettrizza, se siete poggiapiano vi
mette i brividi di spavento. Che volete?
- 22 -
siamo fatti così, ed i gusti, sono varii ed
ancora opposti circa il medesimo soggetto. Traversato il modesto ponte del
torrente, siamo subito a Dorsino e qui la
scena è tutta mutata. Dalle ghiaje nude
della valletta siamo d’un tratto passati
alla vegetazione la più rigogliosa, ed io
credo che in questi dintorni e giù giù
fino ai burroni della Sarca siavi la plaga
migliore delle Giudicarie esteriori.
Difatti a Dorsino ed a S. Lorenzo
voi ammirate i più bei vigneti coltivati
all’ultimo gusto. Se poi ne assaggiate i
prodotti, voi restate sorpreso trovandovi dei Riesling, dei Borgogna e dei
Portoghese che credete originali, e sono
invece indigeni! Eppure, dirà il lettore,
non fu qui ove per poco si introduceva il flagello delle viti, la fillossera,
coll’importazione da luoghi infetti di
majuoli e barbatelle? Si, proprio qui, e
se volete farvi additare i singoli luoghi
dove quelle viti vennero piantate, voi
troverete ora il vuoto fatto dalle disinfezioni praticate.
Anzi di più; que’ solerti viticultori
sono là tutto occhi alla ventura vegetazione, per vedere se mai potesse darsi
qualche indizio di infezione, onde subito dare addosso all’inimico. Io spero che per questa parte non v’è più da
spaventarsi per ciò; resta solo di far voti
che ovunque si pratichino con attenzione quei rigori che si usano qui, onde
tutto il Trentino ora e sempre sia esente
dal temuto flagello. Fatta una traversata
ai varii paeselli onde consta il Comune
di S. Lorenzo e visitata la stazione metereologica presso quel R. Curato, non
manchiamo di ascendere il monticello
ove sono i ruderi del Castello Mani, di
certa origine romana perché vi ricorda
Dorsino.
- 23 -
un tempietto ai Diis manibus. Anche di
qui godesi la più pittoresca delle scene.
A mezzogiorno voi vedete tutta l’estensione delle Giudicarie Esteriori nella sua
imponenza; a sera su su per gli orrori
della Valle d’Ambies voi scorgete le ultime nervature del Gruppo di Brenta e
salutate le nevi eterne; a settentrione la
frazione delle Moline e più su il Lago di
Molveno; a mattina il Limarò cogli abissi della Sarca che mugge tra profondi
burroni. Il punto è strategico per eccellenza, e se non vediamo alcun fortilizio,
è perché lo dà già la natura del luogo.
La strada che vi passa al piede e che poi
per Molveno si prolunga per la Valle
del Nosio, era la sola libera alla ritirata
del 1866, e per questa passarono tutte
le truppe che stanziavano in Giudicarie all’ultim’ora. Ma discendiamo dal
promontorio e, mutando strada, ritorniamo per Andogno al nostro albergo.
Il ciucciarello sentendo il bisogno della
greppia, accelera il passo senza tanti stimoli, e già all’ora della cena salutano il
mio ritorno gli altri soliti commensali,
desiosi poi d’udire i poveri appunti del
mio taccuino.
- 24 -
VII.
Dopo cena.
– Ohe! Signor distratto? Abbiamo un
po’ di conti da fare con lui questa sera.
– E che cosa volete dire?
– Oggidì, andando e ritornando
dalla Fonte, abbiamo sentito a carico
vostro qualche lagnanza un po’ viva, e
non vorressimo, noi, vostri compagni
di mensa, essere partecipi della colpa
eventuale.
– S’intende, avete mille e una ragioni. Ma, di grazia, si potrebbe sapere
almeno qualcuna di queste lagnanze,
onde al caso rimediarvi?
– Prima quella del sig. Trattore delle
Sarche, il quale si sentì bollato dalle vostre critiche. Anzi fu qui in persona per
sapere chi fosse l’ardimentoso chiacchierone.
– Mi rincresce non averlo saputo, chè
in persona avrei ripetuto quello che ho
già scritto. Sono contento però di aver
scritto quello che fu stampato, perché
vedo che portò già i suoi frutti, e siccome il nostro albergatore delle Sarche è
persona ammodo, vedrete che da qui innanzi non si farà dare più degli appunti
in proposito; anzi sarà grato a quella mia
distrazione, perché in avvenire avrà più
concorrenti e questi, restando contenti
della tavola, facilmente faranno onore
anche al suo Vino Santo di fama europea. E del resto c’è altro?
– Qualcuno si lagnò perché ave[t]e
messa la Fonte Cumana al livello della
Sarca, mentre è oltre 10 m più alta.
Il vecchio stabilimento e l’albergo per i poveri, in sponda destra del Sarca, lungo la strada maestra delle Giudicarie.
(Foto Bosetti)
- 25 -
– Capisco, costui teme forse che con
ciò scapiti la purezza dell’acqua, non è
vero? Ebbene, osservo a costui, che io
ho scritto: quasi al livello della Sarca;
e questo quasi mi par bene che valga i
10 m e più, se lo mettiamo al confronto collo spazio dalla cima del Casale
alle onde del fiume. Che ve ne pare? È
troppo scrupoloso costui.
– Un’altra; siamo stati jeridì a Dasindo, ed oltre a quello che avete veduto e
notato voi, vi abbiamo ammirato un
dente colossale di elefante pietrificato;
e questa mattina avendo fatto una passeggiata fino a Cares abbiamo osservato dei frammenti di lapidi romane nel
muro del cimitero e ai lati della Chiesa,
mentre nella facciata c’è poco o nulla.
– Benedetti voi, ma non ve l’ho
detto prima che le mie sono distrazioni e non attenzioni? E poi i gusti son
gusti, e quello che avete ammirato voi,
forse per me non era degno di ammirazione. Sentite a proposito un casetto
che ho udito io stesso dall’autore con
queste due orecchie. Un mio compare, contadino s’intende, ma del resto
che credeva saperla lunga, fu pei suoi
affari a Milano. Milano! È certo una
bellissima città, e vi conta delle meraviglie spettacolose, sì che ognuno, che
vi capita la prima volta, resta stupito
p. e. ammirando quel colosso che è il
Duomo colla selva delle sue guglie, e la
magnificenza della galleria V. E. e tante altre mille cose degnissime e belle.
Ebbene mi sapreste dire qual fu la cosa
che maggiormente colpì d’ammirazione il mio compare? Non lo indovinate
neppure se foste ipnotizzati alla Dona-
to. Fu nientemeno, un enorme ceppo
da macellaio (se ridete avete ragione),
sul quale quattro garzoni tagliavano allegramente e comodamente un manzo
intiero! Egli si sforzava ad assicurarmi
con tutta serietà che una meraviglia
tale non l’ebbe mai più veduta e che
non si potea vedere al mondo! Vedete
che razza di gusti, che genere di impressioni! Non fate dunque le meraviglie se
anche un distratto, come son io, ha le
sue impressioni e non ha tutte quelle
possibili. Vedete; faccio le mie gite così
alla sfuggita, per solazzo e non già per
studio; questo potrebbe impedire l’effetto prodigioso delle acque, ed allora
addio, povera mia gola, mi dovrei dare
a studiare mutologia, alla quale per
nulla mi sento inclinato.
– Ma il dente di Dasindo è una rarità!
– Chi lo nega? Anzi se fosse dente
di Balena, come lo chiamarono certi
messeri, sarebbe più che raro, sarebbe
unico nel suo genere. Di questo dente
già parlò un mio amico nella fu Riva
Fedele e a tutte sue spese lo illustrò e
ne fece fare copie in gesso che regalò ai
nostri musei e senza averne un grazie;
tutt’altro! Sapete che? A Dasindo, se
avessi avuto tempo, sarei andato a vedere invece il famoso Noce degli Aloisi
che diede il nome alla guerra delle noci
del 1579; ma penso che ormai ne avran
fatto tanti fucili in questo tempo di militarismo contagioso.
– Ma come, ci fu una guerra delle
noci a Dasindo? Bella quella guerra per
certo, perché ne avrà ammazzato molto pochi!
- 26 -
– Se mi permettete, giusto così per
finire il chilo, andiamo qui al fresco del
glorietto e ve ne dirò quel che so!”
– Assai volentieri, andiamo.
– Conticuere omnes, intentique ora
tenebant!
Bisogna che premetta ad onor di
questo popolo giudicariese, che benevolo ci ospita, che per natura sua gli
abitanti delle sette Pievi sono dei più
fedeli alle costituite autorità, e che nella lunga storia di queste valli due sole
volte si nota esservi stato della ribellione al governo civile, e ciò se da una
parte conferma la regola di fedeltà,
d’altra parte lascia arguire che vi furono proprio tirati pei capelli da aperta
ingiustizia. Ecco dunque il primo fatto, riservandomi a tempo opportuno
accennarvi il secondo.
A Cristoforo Madruzzo, Cardinale
rassegnante addì 14 Nov. 1567, successe
nella Sede Vescovile di Trento il nipote
Lodovico Madruzzo. Questi per ben 10
anni stette a Roma prima di sedere nella
sua cattedra vescovile trentina, perché
non voleva giurare le Compattate (convenzioni) che si voleano imporgli dalla
potestà civile, in mano allora di Ferdinando Arciduca d’Austria. Finalmente
colla mediazione del S. P. Pio V il Vescovo nostro cedette pro bono meliori,
firmò queste compattate e venne finalmente nella sua Sede. In conseguenza
di ciò l’Arciduca Ferdinando si affrettò
con lettera pubblica da Innsbruck, in
data 2 Giugno 1579, a comandare che
tutti i sudditi del Vescovado di Trento
prestassero essi pure il giuramento sopra diversi punti delle compattate.
I Giudicariesi però non capirono
questo comando, di nuovo genere
per loro, e restarono anzi saldi nel sostenere i loro diritti, provenienti da
privilegii antichi e fin allora solennemente dichiarati e confirmati da tutti
i Vescovi trentini, diritti e privilegi che
ora venivano gravemente offesi dalle
compattate. All’invito quindi del P.
Vescovo di dover firmare, come fece lui
stesso, queste gravose convenzioni, essi
rifiutarono addirittura; anzi unitisi in
comizio popolare sotto il gran Noce degli Aloisi sopra Dasindo (ecco il perché
del nome di guerra delle noci) stabilirono formalmente di negare le firme
in modo perentorio. Di più, spediti
messi a Padova, con 100 scudi si procurarono un bel ragionato Consulto dal
sig. Cefola, ferrarese e primario lettore
della Università padovana, nel quale
era chiaramente provato qualmente i
Giudicariesi non erano affatto obbligati al giuramento delle compattate. Sodi
quindi nei loro diritti, non vollero cedere per quanto paternamente volesse
persuaderneli il P. Vescovo, e recisamente si opposero avanti al Commissario politico, il Particella.
Vista questa formale opposizione al
Particella, non restò che usare la forza,
e quindi fatti venire nella valle 360 soldati regolari tedeschi, sotto il comando
del colonnello d’Arco e del commissario
Vescovile Fortunato Madruzzo, si venne a zuffa cogli uomini delle tre Pievi
di Lomaso, Banale e Bleggio, presso
Dasindo addì 18 dicembre 1579.
I giudicariesi rimasero però soccombenti, e numerosi furono i prigionieri
- 27 -
fatti sul cimitero e nella stessa Chiesa
di Dasindo. Il giorno dopo accorsero
frettolosi ed in grandissimo numero in
aiuto de’ fratelli que’ delle altre 4 pievi,
e pel Durone vennero ad accamparsi al
Bleggio. Ma questi avendo poi veduto
schierati nella campagna di Lomaso i
soldati regolari e temendo fossero più
numerosi di quello che erano in realtà,
non ardirono attaccarli. In questo pericoloso frangente d’ambi le parti, si interpose il commissario Vescovile Madruzzo, e si limitava a chiedere il giuramento
di soli due punti delle compattate cioè:
1° Che in caso di guerra tra il Vescovo e il conte del Tirolo, restassero i giudicariesi neutrali.
2° Che, sede vacante, dovessero riconoscere il capitano tirolese.
Ma i giudicariesi erano titubanti
ancora, anzi si preparavano a dire un
no solenne e confermarlo col sangue.
Durante questo piccolo armistizio oltre 500 soldati collettizii capitarono a
tutta corsa dalla Val Lagarina e Val di
Ledro per Ballino a rinforzo della truppa regolare. I giudicariesi sopraffatti
dal numero e dalla forza, con vergogna
e confusione si dovettero sottomettere
al giuramento delle compattate, il quale realmente si prestò dai capi-famiglia
in Tione. I prigionieri fatti in Dasindo,
furono condotti nel Castello di Stenico e fatto poscia il processo, si condannarono 30 de’ più sediziosi. Tra questi
Stefano Pizzini della Pieve di Bono alle
carceri in vita; Giacomo Fostini e Colò
de’ Pazzet da Tione banditi; Antonio
Armani notaio di Fiavè a 100 ragnesi
di multa e sospeso dall’ufficio per 5
anni; Angelo Conzatti a ragnesi 300 e
sospeso per 5 anni.
– Bagattelle!!
– Ecco quanto; l’ora è tarda e a tutti
buon riposo.
– Felice notte. Grazie del racconto.
– Grazie a voi, che aveste la pazienza
di ascoltarmi. A domani.
S. Lorenzo.
- 28 -
VIII.
Un’asinata a Ballino.
– Vien qua, Beppi; dinne anche tu
il tuo parere.
– Che cosa comandano, signori?
– Avremmo pensato di fare domani
un’asinata fino a Ballino; che ti pare?
troveremo da divertirci?
– Anzi, riuscirà una gita delle più
amene.
– Ma troveremo poi una dozzina di
asinelli pronti per domani?
– Non dubitino, signori; lascino fare
a me. Di questa merce havvene dappertutto in abbondanza, e non ne siamo
senza noi giudicariesi.
– Dunque fa le cose in regola.
– E pel pranzo hanno intenzione di
ritornare o no? Bisogna che lo sappia
per dare eventuali ordini alla cuoca.
– Il pranzo lo prenderemo colassù,
anzi tu, domani, ci precederai di qualche ora col tuo cavallo, ed allestirai il
tutto, alla solita ora, presso alcuno di
que’ albergatori. E perché non avvenga
che la nostra presenza numerosa non ci
faccia stare a denti asciutti prenderai
teco alcunché del più necessario.
– Ho capito; stieno tranquilli che
non mancherà nulla; a loro il fare una
buona alzata domattina e vedranno che
l’asinata riuscirà completa.
Sono le ore 5 mattutine; il cielo è
perfettamente sereno; il sole già indora
le cime de’ monti e giù giù va impossessandosi de’ colli aprichi; una brezzolina
fresca fresca, che spira dalle rive della
Sarca, ti scaccia ogni residuo di sopore
e ti fa lesto come un capriuolo.
Fatta colazione, lasciamo l’albergo
per passare al di là della Duina ove in
ordinata falange ci attendono i biblici
corsieri.
La nostra presenza, numerosa anzicheno, ed in vario uniforme, mette
l’allarme ed un urrà fragoroso ed ingratissimo scoppia da quelle rauche fauci
asinine. Oh! musici dell’avvenire, quale
occasione propizia per ispirare il vostro
nordico genio!.. Ma non v’è tempo da
perdere. Compagnia! i piedi in istaffa… uno, due… e tre!.. eccoci in arcioni! la briglia in mano…. attenzione….
ar….ri..i..i.i….. Trach, trach, trach…. il
pelottone è in perfetta marcia… Addio
a chi resta; arri….vederci!
Per la scorciatoia di Rotte ben presto
guadagniamo l’altura del Convento di
Campo, di cui già parlammo e che ora
mi si dice eretto nelle gravi calamità
degli anni pestiferi 1630 e 1631. La via
continua lungo il muro dell’ex convento portante capitelli della Via Crucis,
e poi prosegue l’estremo lembo a sera
della bella spianata; a destra un’ameno boschetto di pini a dolce pendio ci
imparadisa di saluberrimi profumi. Ma
eccoci di fronte Castel Campo, scendiamo la romita valletta onde più davvicino ammirare questo storico castello
che tuttora resiste di buon stato agli
insulti delle bufere. Il vescovo trentino
Aldrigheto (1232-1247) era oriundo
di qui; ed i Galasso ne restarono padroni fino sotto il Vescovo Giovanni
IV Hinderbach, mentre estinta la loro
prosapia, passò poi il feudo nel 1470
alla famiglia Trapp, la quale tutt’ora lo
possiede.
- 29 -
Fiavè.
Da qui per Curè (anticamente Cugoredo) passando per Stumiaga, l’ombrosa, (è nientemeno che coperta di rame…
di noci) deviando a destra ove c’invita
un campanile alla ghibellina, siamo
presto a Fiavè. È questo senza confronto il paese più popolato del Lomaso
e, se vuolsi, anche meglio fabbricato,
mentre forma quasi una sola contrada
lunga assai. Oltre due piccole chiesette
ai capi, nel mezzo, a fianco di spazioso
piazzale, s’erge il nuovo tempio. Se felice n’è la posizione, la correttezza dello stile non sembra tale ai nostri occhi
profani; una sola navata senza quelle
lunghissime e sottilissime colonne, col
campanile a fianco, piuttosto che sulla facciata, sarebbe stato più pratico e
conforme agli usi giudicariesi. Fiavè
è luogo importantissimo nella storia
patria, perché nel passato diede uomini illustri non pochi. Godo ricordare:
Calepino Podestà di Trento sotto il Vescovo Filippo Bonacolsi (1289-1303)
dal cui nome s’appellò la contrada Calepina; Giacomo Nascimbeni notaio in
Arco; tre fratelli Levri (de Leporibus)
i quali se d’inverno abitavano in Arco
(1565) nell’estate villeggiavano qui,
e Lelio era uomo singolare e capitano
nella milizia. Questa famiglia era in
intima relazione coi conti d’Arco e coi
Principi Vescovi di Trento, mentre sì
gli uni che gli altri si trovano padrini al
battesimo della prosapia Leporina. Nel
1682 Domenico Tonini era vicario di
- 30 -
Stenico e comissario d’Arco, e poi giudice; nel 1691 Domenico Zeni ViceVicario di Arco ed altro Antonio Zeni
Canonico di Trento nel 1709, senza
nominare il notaio Antonio Armani,
condannato nella guerra delle noci.
Le case che si estollono qua e là, di
maggior appariscenza delle altre, nel
bislungo paese, sono appunto quelle
abitate dalle illustre famiglie, e quella de’ Levri serba ancora della serietà
medioevale. Lasciate le selle per pochi
momenti, per una seconda colazione, e
brindato con un bicchiere di Trebbiano di Dro ai presenti, onde emulino i
loro maggiori a belle imprese in buona
unione, prendemmo tosto a proseguire
il viaggio. Appena oltrepassato il villaggio, scorgesi innanzi a noi la Torbiera,
anni fa lago; e dopo pochi minuti valicammo il ponte presso il quale esistono
gli avanzi della ora abbandonata cava
di Torba ch’era d’una società francotrentina. Ora che la torba si presta così
bene come lettiera di cavalli e bovini,
non si potrebbe forse con miglior esito
avviare ancora un commercio lucroso?
Faccio voti fervidissimi che, in vantaggio de’ boschi, si usi più abbondante la
polvere di torba in questa valle eminentemente propizia alla pastorecchia, e
che non manchi ancora l’esportazione
di questo materiale fertilizzante, senza
andare a ritirarlo dall’estero, come si fa
in qualche parte del Trentino.
Lungo le sponde di questo laghetto,
ora asciugato, furono trovate traccie
dell’epoca preistorica umana nelle palafitte ed in alcune selci lavorate; se continueranno gli scavi con intelligente
indagine, non mancheranno di venire
alla luce nuove scoperte.
Oltrepassata la torbiera, la valle si
restringe di molto sì da formare una
semplice bocca di passaggio chiamata
appunto lo sbocco di Ballino. Guadagnato la sommità del passo, ove le acque
si dividono parte per Ballino e Fiavè,
parte per Ballino-Riva, avemmo una
grata sorpresa. Molti dei villeggianti in
Ballino all’annunzio del nostro arrivo,
portatovi dal nostro albergatore, vollero accorrere a darci il benvenuto ed al
capitello ci stringemmo le destre e ci
chiamammo amici. Fu ben differente
l’incontro avvenuto nel Gennaio 1439
tra le milizie del Gattamelata (Erasmo
da Narni) e quelle dirette dal Taliano
Furlano e dal Capoccia proprio in questo luogo, colla peggio delle prime, che
bivaccavano tranquille nei prati circostanti, senza il minimo pensiero d’un
imboscata. Ma quelli erano Guelfi e
Ghibellini, e noi eravamo tutti Trentini… Ecco la meta desiata; Ballino ci ha
ormai accolti nelle sue mura secolari;
smontiamo frettolosi e postiamoci al
primo albergo, ove l’avanguardia sta
preparando il desinare.
Rinnovata più davvicino l’amicizia
coi villeggianti, caldi tutti d’amor patrio, pria ancora del pranzo traversammo assieme il paesello simpatico per
fermarci alla casa ove abitò un grand’eroe d’amor nazionale ed appendervi
una corona di rose alpine. (Piano signor Redattore colle forbici inesorabili, lasciatemi finire....) Andrea Hofer,
l’invincibile eroe tirolese, da ragazzino
veniva collocato dai genitori in Ballino
- 31 -
Ballino.
come famiglio per apprendervi il caro
nostro idioma, quasi presaghi di ciò che
dovea divenire il loro figlio. Ritornato
poscia in patria e divenuto col tempo
supremo comandante del Tirolo, non
dimenticò mai gli anni passati a Ballino, anzi vi si recò come generale per
salutare i compagni d’infanzia, invitandoli a seguirlo nelle belliche imprese;
ma quelli non si sentirono tanto fuoco
marziale in corpo e si ricusarono. Conobbi de’ vecchi, defunti pochi anni
fa, i quali furono coetanei dell’Hofer e
lo rammentavano frequentemente nei
loro racconti come miracolo di forza
erculea. Oh! mutamento di tempi. I
genitori di Hofer mandano il futuro
salvator della patria ad apprendere nel
Trentino la lingua italiana, – ed i loro
connazionali presentemente vorrebbero distruggere questa lingua come
malefica pianta; ove sta l’amor patrio?
Diffatti se voi non vedete alcun tirolese
far tappa in Ballino per onorare la memoria dell’eroe, anzi si cerca di nascondere questo grato episodio della sua
vita, ora ne conoscete il perché…. e ciò
meminisse juvabit…
Siamo a tavola e soddisfatto l’urgente appetito, i discorsi cominciarono allegri e piuttosto sussurroni,
proprio alla montanina. Pria di levare
le mense, ritornarono gli amici villeggianti, ed assieme a loro furono vuotate alcune bottiglie di quel d’Arco. A
questo punto il direttore della com-
- 32 -
pagnia s’alza, ed intimato il silenzio,
così parlò: Fratelli trentini! Interprete
sicuro dei vostri sentimenti nazionali, impressionato d questo luogo, ove
l’eroe tirolese, apprendendo l’italica favella, s’ispirò, coll’aure che qui
soffiano dal tepido Benaco, al verace amor di patria, di cui mostrò poi
con esempio imperituro, come per la
patria si combatte e come si muore;
protestando contro l’inutile, ma pure
iniqua guerra, che degeneri nipoti ora
fanno al nostro sacro e dolce idioma
con propaganda perfino antiaustria-
ca; onde ad esempio del martire di
Mantova noi pure sappiamo fino alla
morte combattere imperterriti pei
nostri patrii diritti, sempre ossequenti
alla costituzione che ci regge, brindo alla memoria di Andrea Hofer….
Un evviva prolungatissimo e ripetuti
bravo furon la risposta unanime della
brigata; la quale, dopo aver passato
alcune ore in armonia cordialissima,
con canti patriottici e con lieti discorsi, si sciolse alle 4 p.; e dati gli addii, il
nostro pelottone, inforcati gli arcioni,
ritornossi donde partì.
- 33 -
IX.
Excelsior!
Non vi spaventate dal titolo, pazienti assidui; non crediate che ora stia
per farmi perfetto alpinista e mi dia ad
ascendere le altezze montanine di questa bella tra le belle plaghe del Trentino.
Non mi sento da tanto; primo perché
non vorrei farvi rabbrividire colle vive
descrizioni di ascensioni pericolose, di
traversate da camosci, di nevi, di bôra
turbinosa, di tormenta che acceca, di
morene a sbalzi, di ghiacciaj lisci, lisci
e vedermi colla facile vostra fantasia arrampicare di balza in balza, di scheggia
in scheggia, o cinto i lombi della corda salvatrice, preceduto e seguito dalle
guide esperte con la destra armata del
baston d’alpe, arrivare vittorioso alla
cima desiata al grido enfatico Excelsior!
oppure perduto nella immensità degli
spazii glaciali senza orma di sentiero, o
come festuca in vetro caduto nei numerosi crepacci, e magari precipitato da
enorme altezza povera vittima del coraggio, come avvenne poco fa ad altri
soci della Iungfrau! Dunque niente di
tutto questo e per secondo, pensate che
sono sotto cura per ugolite ed ammessa
anche la guarigione la più perfetta, la
mi parrebbe una imprudenza imperdonabile il mettersi in tali pericolosi
cimenti. Ma e perché adunque il titolo
sopraposto? Non è dessa una profanazione? Signori no, protesto subito; e
per mia giustificazione vi dichiaro, che
qui si tratta proprio di una ascensione
alpina, ma di terzo ordine fatta tutta
sulla toppa, direbbe questo popolo cioè
su zolla erbosa e fiorita su su fino alla
cima, e tale da essere falciata ogni anno
dall’uomo, senza aiuto di carpelle ed
ove perfino usano pascolare tranquilli
il bue e la vacca! Ciò non profana la
sublime parola, niente affatto, perché
è un excelsior reale, realissimo per noi
bevitori di acque cumane, ai quali il
moto gambettiano non è ancora in tutta regola.
E per dove ci condurrete colle vostre strambe distrazioni? Sul Monte
Casale. Per dir vero altre ascensioni
comodissime o bellissime si danno in
questa valle, come quella di Misone a
mezzogiorno, di Serra a sera, e di Pisso a settentrione, ma noi preferiamo il
Casale onde godere de visu le bellezze
descritteci dal Caccianiga, e che si trovano riportate nel libro di III Classe
delle nostre scuole popolari, e al caso
correggere qualche espressione o troppo enfatica od erronea. Anzi, con licenza presunta dell’esimio scrittore,
riporterò senz’altro le stesse sue parole
con qualche parentesi, che mi sfuggirà
tra via. Se giungerò a stancare il lettore,
pazienza; pensate che andiamo su per
l’erta montana…
“Terminate le gite nei d’intorni di
Comano (cioè Bagno di Comano),
così Antonio Caccianiga, mi restava
un desiderio; vedere dalla cima d’un
monte questo vasto anfiteatro di colline, le valli, i laghi ed i torrenti che circondano le Giudicarie. Un buon amico, udito il mio desiderio, mi consigliò
di andare sul monte Casale, alto 2900
metri (circa 2000 soltanto) e collocato
in posizione opportuna per dominare
- 34 -
un vasto orizzonte. Ho seguito questo
consiglio, e ne rimasi pienamente soddisfatto.
“Fatte le debite provvigioni di vittuaria, siamo partiti da Comano (bagno) alle 5 del pom. per giungere sulla
cima del monte prima del levare del
sole, (si vede che il Caccianiga e compagnia erano pure amanti delle tappe,
perché come si vedrà, impiegarono
più di 10 ore ad ascendere la cima del
Casale, mentre in quattro ore comodamente vi si arriva. La strada più breve
sarebbe per Poia-Godenzo-Malga delle Mosche, mentre quella Vigo-Lundo
viene ad allungarsi d’un ora.) Eravamo
sette persone, e a Vigo si raddoppiava
la brigata (ed ivi si fece una fermatina
piuttosto morosa come si vede da quello che segue).
“Giunti al paesello di Cajano (un
semplice casolare con tre famiglie) sopra un’eminenza, che domina la valle ci
si presentò la chiesa del villaggio, (cioè
l’antichissima e classica chiesa decanale del Lomaso.) La povera popolazione
erasi raccolta nel tempio, e intuonava
un’armonioso inno alla Madonna (essendo festa si recitava il Rosario col
canto delle Litanie). Dalle invetriate
della chiesa usciva una luce rossastra
che illuminava i contorni della fabbrica e degli alberi più vicini; tutto il
resto era immerso nelle tenebre e solo
si vedevano nel profondo della valle i
lumicini delle case, che parevano un
riflesso delle stelle. Ci siamo arrestati a
contemplare quella scena stupenda ed
ascoltare que’ canti. Nessuna musica
sollenne di cattedrale mi lasciò nell’a-
nima una rimembranza più serena di
quel semplice canto di poveri pastori,
nel mezzo della notte. (Pure tali funzioni religiose così dolci ed edificanti
non si praticano facilmente da cristiani
in gabbana lustra, hanno altri divertimenti a quell’ora!)
“Seguitando sempre la via attraverso
il colle che forma la base della montagna, si procedeva in silenzio, ciascuno
coi proprî pensieri, e coll’animo concentrato in solitarie meditazioni. Il
firmamento brillava di stelle, e le creste
de’ monti più lontani si disegnavano
nel fondo azzurro con linee nette e precise. (Essendo notte non vide lo scrittore il Castello Spina, importante nella storia di queste valli, posseduto dai
Conti d’Arco ed ora da privati, il quale
siede a mezzo il colle percorso.)
“Erano vicine le 10, quando arrivammo a Lundo. La popolazione di
questo villaggio era immersa in sonno
profondo, e l’osteria era chiusa. Noi
battemmo alla porta, che finalmente si
aperse, e potemmo entrare al coperto.
Prima di tutto si fece un buon fuoco,
una bella fiamma che crepitava innondando di denso fumo l’angusto locale, ma era una consolazione trovarsi
davanti un focolare, e vedere la brava
ostessa che dava l’ultima pulitura alla
caldaja (un pajuolo probabilmente)
per fare la polenta. Quando tutto fu
all’ordine, sedemmo intorno alla improvvisata imbandigione, resa squisita
dall’aria della montagna, e dalle fatiche
del lungo pellegrinaggio. (Certamente fu lungo se dal Bagno di Comano
a Lundo vi arrivarono dopo 5 ore! Ma
- 35 -
noi in modesta compagnia di tre compagnoni, appena appena impiegammo due sole ore a giungervi, e fummo
contentissimi di ciò, perché ebbimo
tempo di scorazzare pel paese a salutarvi vecchi amici ed ammirare i grandi
progressi pastorecchi di quel laborioso
ed industrioso paese prima che la notte
stendesse il nero suo manto. Rinfrescata l’ugola appena arrivati, visitammo il
casello sociale, che fin quì è il primo di
tutto il distretto e ridotto in tutto progresso. I suoi prodotti sono buoni, anzi
il burro ne è ricercatissimo, ma è riservato quasi esclusivamente per Arco.
Ben a ragione quindi quella direzione
sociale vi mostra con compiacenza le
onorificenze e le medaglie avute in varie esposizioni. I vantaggi indiretti poi
di questa istituzione sono molti e tra
questi l’aumento de’ bovini accresciuto
del doppio. Bravi Lundesi! E’ così che
si vincono le vecchie insulse tradizioni, e si dà esempio di vero progresso, il
quale da altri si vorrebbe far consistere, invece nel saper divertirsi ammodo
con teatri e danze. Poveri illusi!.. Noi
pratici un po’ del paese ci affrettammo
a correre sul colle alle Colombine per
ammirare uno di que’ tramonti del sole
che imparadisano, e per rinnovare l’incanto della nuova prospettiva di questa
indimenticabile vallata.
Restammo estatici alle varie scene
incantevoli; e colle braccia al sen conserte ci assalse il sovvenir di altri tempi,
che finì nell’enfatico canto:
Vi ravviso luoghi ameni ecc…
Cercammo poscia di precisare la
casa ove nacque il Sacerdote Giovanni
Bottesi, per segnarvi una memoria ai
posteri con un distico latino favoritoci
da un Reverendo di Lomaso versato in
latinità e giusto apprezzatore del merito morale sopra il letterario, con cui
dedicava alla immortalità le due grandiose apparizioni spuntate sulle spiagge
di Lomaso, le quali onorando il secolo
passato e presente, potrebbero ingenerare un fremito irresistibile a seguire le
orme generose e di tanta rinomanza;
ma la breve sosta non ci permise di
compiere le ricerche. A più pratici del
luogo il farlo, mentre con pace del proto mi permetto trascrivere i due versi
ad edificazione de’ lettori. Eccoli colla
loro traduzione in lingua vernacola.
Iactet Dasindum, Materque micantia Vatis;
Splendidius Lundum Bottesi Ianne
suo.
“Vanti pure Dasindo colla Madre
patria la gemma splendida del suo Poeta; Lundo va ben più glorioso pel suo
eroe Don Giovanni Bottesi.”
Ma veniamo finalmente al Caccianiga, che continua:)
“Ad un’ora dopo mezzanotte una
esperta guida di Lundo, che ci avevano
assicurata per la salita, venne ad avvertirci che bisogna partire. Le salite notturne sono monotone e tristi; da lontano un oceano profondo di tenebre,
da vicino vaghe ombre confuse. Pochi
rumori rompono il silenzio della notte; uno stormire di frondi, un sasso che
rotola dalle cime, un ruscello che mormora tra le frane, il fischio di qualche
uccello spaventato che fugge all’avvicinarsi dell’uomo.
- 36 -
“Verso il crepuscolo l’aria si andava
raffreddando, e spirava un venticello
alpino piuttosto piccante. Allora si
fece una sosta; la guida andò in traccia di rami secchi e resinosi ed accese
un fuoco che ci riscaldò le membra irrigidite dalle brezze dell’aurora. Poco
dopo ripresa la via, salimmo sopra
ampie ondulazioni di terreno prativo,
ove cessano gli gli alberi e gli arbusti, e
la montagna si copre di estesi verdeggianti pascoli, coperti di fiori alpini e
di erbe odorose. È questo il sommo del
monte e dicesi le Quadre, dalle quali si
ascende facilmente fino all’ultima vetta del Casale, che è una roccia saliente
dalla prateria e che si denomina il Cornasel.
“Siamo giunti in cima al Cornasel
pochi minuti prima del levare del sole e
salutammo con unanimi applausi il primo raggio che comparve sull’orizzonte
a rischiarare il sublime panorama delle
Alpi tirolesi! (ed io dico trentine.)
“Ogni disagio della via è dimenticato davanti a tale spettacolo! Girando gli sguardi intorno si domina uno
stupendo anfiteatro che incomincia
alle nevi della Tosa e discendendo fra
gli scaglioni dei monti sottopostì e dai
colli, termina giù nelle valli.
“Da questa sommità si contemplano i numerosi laghi, in cui specchiansi
le circostanti montagne. A mezzodì il
Garda bagna le falde del Montebaldo
e l’occhio, girando verso settentrione,
passa per la Val d’Arco per le Marocche
ed il lago di Cavedine. Poi si vede il lago
di Toblino, indi i tre laghi (quondam)
di Terlago, e più in alto le acque del lago
di Pinè, brillanti al sole, e da un lato il
monte Gazza e il lago di Molveno.
“Contemplato lungamente l’insieme
dell’imponente prospettiva, passammo
in rassegna col cannocchiale i vari punti distinti, e i paeselli che sorgono sui
fianchi delle montagne.
Ai nostri piedi le nude scogliere
scendevano al basso fra spaventosi precipizi, e la maestosa grandezza di quelle alpi impiccioliva ai nostri sguardi gli
oggetti lontani talmente, che i fiumi ci
parevano nastri azzurri, i torrenti somigliavano a esili fili d’argento, i paesi
a piccoli gruppi di casipole fatte per
trastullo dei fanciulli; e l’uomo, questo
essere orgoglioso, ci compariva come
un punto nero insignificante e perduto
nello spazio.
“Prima di scendere, volli raccogliere
un mazzo di fiori alpini, che formavano
un variopinto tappeto sul verde fondo
del prato; e ne trovai di stupendi. Non
potea distaccarmi da quel giocondo
giardino, da quelle sublimi e solitarie
cime che innalzano il pensiero dell’uomo, e lasciano nell’anima una rimembranza perenne. Ma la nostra guida mi
annunziò la partenza della carovana, e
m’invitava a seguirla. La discesa fu faticosa assai più della salita (non capisco
ciò, perché a noi fu deliziosa invece) e
giungemmo allo stabilimento dei bagni all’ora del pranzo, in uno stato tale
da somigliare ad un drappello di fuggiaschi dopo una battaglia campale.
Ma con un po’ di riposo si ripigliano le
forze, si dimentica la fatica, e resta nell’animo la memoria del sublime spettacolo della natura, contemplato dalla
- 37 -
cima delle Alpi. (Noi invece, partiti
dalle ore 8 dalla cima del monte, scendemmo placidamente per altra strada
e dopo la malga delle Mosche discesi
fino al paesello di Comano gustammo
un’allegro scampanio di buonissimo
concerto di campane; indi passammo a
Godenzo nella cui Chiesa si vedono dei
buoni dipinti ed una lapide romana,
alla dea Fortuna, capovolta e che serve
di ceppo al vaso dell’acquasanta. Altre
memorie antiche trovansi nella Chiesetta di S. Giorgio a Poja.
Sotto il Vescovo trentino Giorgio
II (1446-1465) ottennero, in segno di
gratificazione per servigi segnalati prestati, il titolo di nobiltà le famiglie Burati di Comano, Berti, Pasi e Formaini
di Poja, assieme ad altre famiglie di
questa valle; Pellegrini, Butalossi, Parisi, Giordani ebbero per giunta il diritto di decima. Di Poja insigni sono
la famiglia Alberti (passata a Trento
nel 1550, da cui poscia il Vescovo
Francesco, 1677-1689) e Lutti, di cui
Orlando, Giann’Antonio ed Andrea
nel 1614 ottennero diploma di nobiltà. Esistono ancora ben distinte dalle
altre le abitazioni di queste famiglie.
Nel 1274 sotto il Vescovo Enrico II
ebbe buon nome un Brunomonte di
Poja.
Ma l’orologio battendo le 11 ore ci
fa sollecitare la discesa al nostro albergo per l’ora del pranzo; nel quale ad
onta della stanchezza abbiamo fatto la
nostra parte con discreta infamia.
- 38 -
X.
Per finire.
– Signor no; questa sera non si parte; adesso che siamo sul più bello della
stagione balneare, piantarci qui all’improvviso; gli pare creanza?
– Benedetti mille volte! non vedete
la lettera capitatami or ora che mi sollecita al ritorno? Gli affari sono importantissimi; la famiglia, la moglie, i figli
già questa sera mi aspettano a braccia
aperte tutti desiderio di vedere coi loro
propri occhi il portentoso effetto di
quest’acque. Il deluderli, solo anche
di mezzo giorno, sarebbe cosa troppo
dolorosa, sicchè, scusatemi, questa sera
debbo assolutamente lasciare la vostra
compagnia.
– Eh vediamo anche noi che giustissime sono le sue ragioni; però non vorrà mica per questo lasciarci qui con due
desiderj insoddisfatti, ed in quest’ora di
aspetto per la partenza, almeno ci dica
alcunché di quello che ha promesso; lo
deve, perché sa che promissio boni viri
est obbligatio.
– Benissimo, ma di grazia, quale
promessa mi tiene con voi? La mia
distrazione è al colmo, e non ricordo
proprio nulla.
– Come? Non ci promise da bel
principio un po’ di storia balneare?
– Sì, vero; ma per narrare una storia, i fatti ne devono essere maturi; e
di questa tutti non lo sono ancora, per
cui mi pare non essere giunto peranco
il tempo opportuno; quod differtur non
aufertur, alla più lunga un altro anno,
al nostro ritorno alla fonte cumana per
gratitudine, do parola d’onore di raccontarvela per latum e per longum a
costo d’annoiarvi. C’è altro ora?”
– Signor si; ci promise raccontarci il secondo fatto storico nel quale i
Giudicariesi fecero un po’ di ribellione
all’autorità costituita.
– Bravissimi avete buona memoria e
non ve ne sfugge una. In questo mi è
facile accontentarvi perché ho qui tutto notato sul mio portafoglio. Eccovi
quanto:
Demolizione del Dazio di Tempesta
sul Lago di Garda. 21 Agosto 1768.
Per estinguere il debito Camerale
d’Innsbruck, ascendente a 3 milioni di
fiorini, furono imposti alle 7 Pievi 100
funti steorali, i quali dietro supplica del
Sig. Lodovico de Lutti, furono ridotti a
60 e poscia per povertà a soli 45.
Què di Condino e Rendena, dietro
benigna esortazione di S. A. R. Cristoforo II Sizzo de’ Noris in occasione di
Sacra Visita, si assoggettarono all’imposizione e pagarono la loro quota in
Trento. Ma i più arditi di Tione e Pieve
di Bono, sussurrando di casa in casa, di
villa in villa, e facendo proteste le la lesione dei loro diritti in questo punto ed
ancora per la grave ed insopportabile
gabella del nuovo dazio messo a Tempesta, finirono coll’unirsi a consiglio
e stabilirono addirittura di andare ad
abbattere il dazio. Ciò avveniva ai 10
Agosto. La Comunità di Tione prese a
censo 1000 troni, onde sovvenzionare
gli arditi demolitori, che si tassarono 6
troni al giorno. I caporioni corsero di
villa in villa a far gente; minacciavano
i renitenti ed infine la turba assalitrice
- 39 -
si avviò verso Tempesta chi per Ballino,
Riva e Torbole, chi per Val di Ledro e
Limone. Ripartiti in antecedenza i posti e le azioni di notte tempo, si avviarono per ogni parte al Casino del dazio,
diedero fuoco ai legni e gettarono il
resto nel lago. Ritornando i demolitori in Riva, estorsero da varie case delle
mancie e ritornando nella valle, giunti
al bivio tra Fiavè e Cavrasto, spartirono tra se gli importi e toccarono ad
ognuno 17 soldi! Parte andò a Stenico
ed occupate le strade ed il campanile e
spiegata in piazza la bandiera del dazio,
fece insulti al Castello facendo sloggiare i curiali e la famiglia del Luogotenente.
Si proseguì poscia il restante d’Agosto in Settembre e parte di Ottobre,
massimamente le feste, a praticare violente estorsioni di mancie per questo
misfatto. Ma giù correva la voce che sua
Maestà stava per mandar soldati a vendicare sì enorme offesa, e si temeva a tutta ragione di pagarne il fio d’avvantaggio. Allora si tenne Consiglio generale
dai preposti della Valle ai 13 Ottobre e
furono deputati due legati ad implorare
in Innsbruck il perdono, cioè il sig. Lorenzo de Lutti e Girolamo Stefanini. Intanto giunse a Riva la truppa e si buccinava che veniva in Giudicarie a fare man
bassa. I demolitori si ammutinarono e al
tocco di campanamartello si eccitavano
a correre armata meno contro la truppa.
Alle preghiere del Sig. Stefanini, il quale
assicurava anche colle proprie sostanze,
che i soldati venivano solo per la pubblica quiete, i tumultuanti si aquietarono
ed andarono alle case loro.
Formato più tardo il processo, il
Consiglio Aulico di Trento finalmente
emise la sentenza ed in causa di questa
tre capi principali furono decapitati a
Tione e le comunità condannate a pagare tutte le spese ed una grossa somma
di danaro.
La tradizione poi soggiunse che le
teste dei decapitati furono messe in
cima a pali sul passaggio del Durone
a terrore del popolo di quà e di là del
monte. Fino al giorno d’oggi si segna il
luogo ove erano posti i pali colle teste;
evvi un sasso di granito chiamato il sasso delle teste. E con ciò ho finito.
– Grazie del complimento! La lezione avrà avuto buon effetto non è vero?
– Eccome! Già vi dissi che il popolo
giudicariese fu sempre fedele tra fedelissimi alle costituite autorità, e se due
sole volte si ribellò, fu proprio tirato
pe’ capelli, e dopo i castighi avuti se
ne restò sempre mogio mogio fino al
presente, e credo lo sarà in avvenire e
in perpetuo, amenochè non succedano
circostanze peggiori di que’ tempi disgraziati.
– Preghiamo che ciò non avvenga.
– Speriamo che l’autorità sia sempre
benigna a soccorrere questo popolo
fedele ma sempre bisognoso. Specialmente nella corrente annata fu disgraziatissimo. Gelo e brina in primavera;
siccità in estate; gragnola al presente,
scarsissimo il vivere per il popolo e peggiore quello pel numeroso bestiame, il
quale è a vilissimo prezzo e chiuso dai
dazi nella cerchia di questi monti. Il sospendere il dazio sulla polenta italiana
è il primo sussidio che si potrebbe dare
- 40 -
a queste valli, e l’impetrare il passaggio
libero in quest’autunno pei bovini nel
vicino regno sarebbe il secondo. Il popolo non spera più nulla perché è troppo uso a pagare e mai a ricevere; ma
almeno si facciano vivi i nostri Consorzii agrarii distrettuali ed i Comuni
e tentino con regolare petizione presso
le competenti autorità queste due esenzioni. I nostri deputati sia alla Dieta
sia al Consiglio d’Impero appoggino o
meglio prendano l’iniziativa di questo
affare il quale è dei più, seri….
Ma il bucefalo è pronto… l’ora è tarda… la via lunga… dunque addio a tutti
e se a Dio piace ad un’altro anno”.
– Addio, carissimo sig. distratto, ci
conservi la sua amicizia e ci favorisca il
suo riverito nome per eventuali bisogni. Chi sa ?
– Volentieri, eccolo:
Antonio Rivolta
Trentino.
- 41 -
- 42 -
Indice
Da Trento a Comano
pag. 3
Alla Fonte
pag. 6
Campo - Vigo - Dasindo
pag. 9
S. Croce - Bleggio
pag. 14
Stenico - Seo - Premione
pag. 18
Villa - Tavodo - S. Lorenzo
pag. 22
Dopo cena
pag. 25
Un’asinata a Ballino
pag. 29
Excelsior!
pag. 34
Per finire
pag. 39
- 43 -
Gli Itinerari Guettiani
- 44 -
- 45 -
Finito di stampare nel mese di luglio
da New-Book Edizioni – Rovereto (Tn)
Printed in Italy
- 46 -
- 47 -
- 48 -