1 Christian Manhart Traduzione non ufficiale di Susy
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1 Christian Manhart Traduzione non ufficiale di Susy
IL MANDATO DELL’UNESCO E LE RECENTI ATTIVITÀ PER LA RIABILITAZIONE DEL PATRIMONIO CULTURALE DELL’AFGHANISTAN REVUE INTERNATIONALE DE LA CROIX ROUGE - DÉBAT HUMANITAIRE: DROIT, POLITIQUE, ACTION 2004 VOL. 86, NR. 854 Christian Manhart* Traduzione non ufficiale di Susy Turato CAFFÈ DUNANT NR. 222 - OTTOBRE 2004 Il Patrimonio culturale dell’Afghanistan L’Afghanistan, situato a un crocevia importante della Via della Seta, è stato, fin da tempi immemorabili, un punto d’incontro per diverse culture. La sua eredità culturale unica riflette una storia segnata dal passaggio di diverse culture e civiltà: dalla Persia degli Achemenidi, alla Grecia di Alessandro Magno, dal Buddismo e l’Induismo all’Islamismo. Tra i suoi tesori figurano il sito Kanishka/Zoroastrian di Surkh Kotal, la Moschea dalle nove cupole del IX secolo di Haji Piada, il Minareto di Jam del XII secolo e la città murata di Herat, che comprende la moschea del Venerdì, il complesso di Musallah con i suoi minareti e il mausoleo Gawhar Shad, il mausoleo Mir Ali Sher Navai, e i mausolei Gazargah Shrine e Shah Zadehah; le statue dei Buddha del IV e V secolo sono state distrutte dal regime talibano nel marzo del 2001. L’attuale situazione del patrimonio afgano, che ha subito perdite e danni irreversibili durante gli ultimi vent’anni di guerre e agitazioni civili, può essere descritta come un disastro culturale. Per molti anni, le Nazioni Unite, attraverso le sue agenzie specializzate, l’UNESCO e l’UNOCHA1, assieme ad altre organizzazioni non governative (ong), coinvolte nella preservazione del patrimonio culturale dell’Afghanistan, hanno compiuto e continuano a compiere ogni possibile sforzo per proteggerlo. Il mandato dell’UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale dell’Afghanistan Nel gennaio del 2002 Abdullah Abdullah, ministro degli Affari esteri dell’amministrazione afgana ad interim, ha chiesto ufficialmente all’UNESCO di assumersi il ruolo di coordinatore di tutte le attività internazionali e bilaterali finalizzate alla salvaguardia del patrimonio culturale dell’Afghanistan. Come primo passo, nel marzo del 2002 è stato sottoscritto un Memorandum d’intesa con il ministro dell’Informazione e della Cultura afgano, Said Makhodoom Raheen, che ha affidato all’UNESCO la coordinazione degli sforzi internazionali per il Museo nazionale di Kabul. In seguito alla richiesta del governo afgano, l’UNESCO ha risposto con determinazione alla sfida per la riabilitazione del compromesso patrimonio culturale dell’Afghanistan. L’UNESCO, in qualità di Segretariato delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, sta supportando il ministero dell’Informazione e della Cultura afgano e le altre agenzie governative a esso connesse attraverso la coordinazione di tutte le attività nel campo della cultura. La salvaguardia di tutti gli aspetti del patrimonio culturale del paese, sia quello tangibile sia quello intangibile, tra cui i musei, i monumenti, i siti archeologici, la musica, l’arte e l’artigianato tradizionale, è di particolare importanza in quanto va a rafforzare l’identità culturale e il senso di integrità nazionale. Il patrimonio culturale può diventare un punto di interesse comune per i nemici del passato, rendendoli in grado di ricostruire legami, impegnarsi nel dialogo e lavorare assieme per costruire un futuro comune. La strategia dell’UNESCO è quella di assistere al processo di ricostruzione dei legami tra le popolazioni interessate e la loro storia culturale, aiutandole a sviluppare un senso di proprietà comune nei confronti dei monumenti, che rappresentano il patrimonio culturale dei vari segmenti della società. * L’autore è specialista di programma, responsabile per l’Asia nell’ambito della Divisione del patrimonio culturale dell’UNESCO. 1 Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (UNESCO), Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (UNOCHA) 1 Questa strategia è perciò direttamente collegata al processo di ricostruzione nazionale nell’ambito del quadro del mandato delle Nazioni Unite e degli sforzi internazionali comuni per la riabilitazione dell’Afghanistan. In accordo con la massima del Segretario generale delle Nazioni Unite, che recita: “La nostra sfida è quella di aiutare gli afgani ad aiutare se stessi”, le politiche e le attività per la salvaguardia del patrimonio culturale dell’Afghanistan si concentrano su attività formative e di sviluppo delle capacità operative nell’ambito della conservazione di tale patrimonio. Nel maggio del 2002 l’UNESCO, in cooperazione con il ministero dell’Informazione e della Cultura afgano, ha organizzato il Primo seminario internazionale sulla riabilitazione del patrimonio culturale dell’Afghanistan. Tale seminario, tenutosi a Kabul, ha riunito 107 specialisti della cultura afgana, così come rappresentanti di istituzioni e paesi donatori. Sotto la presidenza di Makhdoom Raheen, ministro dell’Informazione e della Cultura del governo afgano, i partecipanti hanno illustrato lo stato di conservazione dei siti culturali del paese e discusso dei programmi e della coordinazione delle prime misure preventive da adottare. Il seminario si è concluso con lo stanziamento di oltre 7 milioni di dollari per progetti prioritari, devoluti tramite accordi bilaterali e fondi fiduciari a favore di progetti dell’UNESCO, e con l’adozione di un documento di undici pagine contenete raccomandazioni concrete sulle azioni future, nel quale viene enfatizzata la necessità di una cooperazione effettiva. In risposta al bisogno urgente di migliorare e facilitare la coordinazione di tutte le attività internazionali, e in armonia con le autorità afgane, l’UNESCO ha istituito il Comitato internazionale di coordinamento (ICC), il cui statuto è stato approvato nell’ottobre del 2002 dalla 165esima sessione del Comitato esecutivo dell’organizzazione. Il Comitato, formato da esperti afgani e da specialisti di fama internazionali facenti parte delle principali organizzazioni e paesi donatori che forniscono finanziamenti o assistenza scientifica per la salvaguardia del patrimonio culturale dell’Afghanistan, si incontrano a scadenze regolari per rivedere gli sforzi in atto e quelli futuri finalizzati alla riabilitazione di tale patrimonio. Nel giugno del 2003, è stata organizzata la Prima sessione plenaria del comitato presso la sede centrale dell’UNESCO a Parigi. Tale sessione è stata presieduta da Makhdoom Raheen alla presenza del principe Mirwais, di sette rappresentanti del ministero dell’Informazione e della Cultura afgana e di oltre 60 esperti internazionali che vi hanno preso parte quali membri del Comitato o come osservatori. La riunione si è conslusa con la definizione di una serie di raccomandazioni specifiche per una coordinazione efficiente delle azioni per salvaguardare il patrimonio culturale dell’Afghanistan nel rispetto dei più alti standard internazionali di conservazione. Queste raccomandazioni sono dirette ad alcune aree chiavi, quali lo sviluppo di una strategia a lungo termine, lo sviluppo delle capacità operative, l’attuazione della Convenzione sul patrimonio mondiale e della Convenzione sui mezzi per proibire e impedire l'importazione, l'esportazione e il trasferimento di proprietà illegali di beni culturali, la redazione di inventari nazionali e relative documentazioni, così come la riabilitazione del Museo nazionale di Kabul e la salvaguardia dei siti di Jam, Herat e Bamiyan. In seguito a tale riunione, diversi donatori hanno destinato ulteriori fondi per progetti culturali da attuare in Afghanistan. Bamiyan È dall’inizio del 2001, in seguito alla distruzione delle due statue giganti di Buddha, che gli occhi del mondo sono puntati sulla famosa valle di Bamiyan: con un’altezza di 55 e 38 metri, essi erano i Buddha in piedi più alti al mondo. Si ritiene che, il Buddha più piccolo dei due, sia stato scolpito nell’arenaria della valle di Bamiyan nel lontano terzo secolo dopo Cristo. La demolizione dei Buddha di Bamiyan è avvenuta in seguito a un decreto di Mullah Omar, emanato nel febbraio del 2001, il quale ordinava di distruggere “tutte le statue e le tombe non islamiche considerate offensive dell’Islam”. Subito dopo la caduta del regime talibano, nel dicembre del 2001, l’UNESCO ha inviato a Bamiyan una missione per valutare le condizioni del sito e per coprire i grandi blocchi di pietra rimasti con dei fogli di fibra di vetro per proteggerli dalle rigide condizioni climatiche dell’inverno. Questa prima missione ha fatto notare che le esplosioni hanno causato la formazione di crepe nella 2 roccia della rupe intorno e dentro le nicchie, dove prima giacevano in piedi le statue dei Buddha. È stato inoltre rilevato che i talibani distrussero non solo i due grandi Buddha, ma anche il più piccolo Buddha di Kakrak. In Afghanistan e nel resto del mondo si è discusso molto sul futuro di questo sito, in particolare sulla questione se sia o meno il caso di ricostruire questi due Buddha giganti. I partecipanti al Primo seminario sulla riabilitazione del patrimonio culturale dell’Afghanistan hanno chiaramente riconosciuto che la prima e urgente priorità è quella di stabilizzare la facciata della rupe con le sue nicchie e caverne. Si è inoltre reso noto che la decisione di impegnarsi o meno nella ricostruzione delle statue dei Buddha spetta al governo e alla gente dell’Afghanistan. È stato convenuto che la ricostruzione non è una priorità, almeno fino a quando la gente dell’Afghanistan continuerà ad avere urgente bisogno di aiuti umanitari. Oltre a ciò, i partecipanti hanno sottolineato che l’importanza storica, nonché l’autenticità e l’integrità di questo sito di così grande valore, meritano di essere commemorate in modo appropriato, e che quindi la ricostruzione delle statue richiede un’attenta considerazione e ulteriori discussioni. Nel luglio del 2002, l’UNESCO ha organizzato, congiuntamente al Consiglio internazionale dei monumenti e dei siti (ICOMOS), una seconda missione diretta dal suo presidente, Michael Petzet, per definire le misure di conservazione per il sito di Bamiyan. Successivamente, nel settembre e ottobre del 2002, è stata effettuata un’altra missione, composta da esperti tedeschi, italiani e giapponesi, per la preparazione di un progetto, che ha rilevato la scomparsa, per negligenza o per sciacallaggio, di oltre l’80% delle pitture murali delle caverne buddhiste, risalenti tra il VI e il IX secolo dopo cristo. In una caverna, gli esperti hanno addirittura trovato degli strumenti utilizzati dai ladri e i resti di pitture che erano appena state rimosse. In considerazione di tale situazione, attraverso la mediazione del ministero dell’Informazione e della Cultura afgano, è stato concluso un contratto con il comandante locale, che ha immediatamente provveduto a collocare dieci guardie armate per tenere il sito sotto sorveglianza permanente; da allora non sono stati più riportati episodi di furto. Inoltre, gli esperti hanno osservato con preoccupazione che le grandi crepe che si erano formate attorno e dentro le nicchie potevano portare al crollo di alcune parti delle stesse e delle scale interne. Essi, pertanto, hanno preso nuove e dettagliate misurazioni delle crepe e hanno raccomandato di intraprendere azioni specifiche al fine di consolidare le rupi e le nicchie. Conseguentemente a questa missione, il ministero degli Esteri giapponese ha approvato un fondo fiduciario per l’UNESCO per la salvaguardia del sito di Bamiyan per la generosa somma di oltre 1,8 milioni di dollari. L’ICOMOS ha finanziato la restaurazione di una moschea di Sunni e di un altro edificio, entrambi si trovano in stretta prossimità della nicchia dove si trovava il Buddha più grande. Il suddetto edificio viene oggi utilizzato come dimora dalle guardie e come deposito per l’attrezzatura necessaria al progetto. Nel novembre del 2002, l’UNESCO e l’ICOMOS hanno organizzato a Monaco, Germania, un Gruppo di lavoro di esperti per la salvaguardia del sito di Bamiyan. Venticinque esperti afgani e internazionali hanno valutato lo stato corrente del sito, confrontato diversi metodi di conservazione e fornito raccomandazioni sull’attuazione delle varie attività del progetto. È stato chiaramente ribadito che le statue non sarebbero dovute essere ricostruite. Dopo alcuni rinvii, dovuti alla precaria situazione di sicurezza conseguente alla guerra in Iraq, il progetto ha avuto inizio nel giugno del 2003 con una missione di tre settimane, svolta dall’architetto Mario Santana dell’Università di Louvain, per la produzione di una documentazione scientifica del retro delle nicchie e dei restanti frammenti dei Buddha. Durante la Prima sessione plenaria del comitato internazionale di coordinamento per la salvaguardia del patrimonio culturale dell’Afghanistan, anch’essa tenutasi nel giugno del 2003, sono state formulate una serie di raccomandazioni riguardo al sito di Bamiyan. In particolare, è stato consigliato di considerare come priorità la consolidazione delle nicchie e delle rupi, in quanto estremamente fragili, e la preservazione delle pitture murali delle caverne buddhiste, così come la preparazione di un piano d’azione principale e completo. Al fine di prevenire il crollo delle rupi e delle nicchie, la Fondazione tedesca Messerschmidt ha fornito gratuitamente una grande impalcatura, trasportata in Afghanistan dall’esercito tedesco nell’agosto del 2003. Con l’aiuto di questa impalcatura e di altra attrezzatura specialistica 3 d’importazione, la rinomata azienda italiana RODIO ha portato a termine con successo la prima fase d’emergenza per la consolidazione delle rupi e delle nicchie. Nel luglio, settembre e ottobre del 2003 sono state inviate a Bamiyan diverse missioni, composte da specialisti dell’Istituto nazionale di ricerca per la proprietà culturale (Giappone), per salvaguardare le pitture murali e preparare un piano principale per la gestione e la preservazione a lungo termine del sito. A un’azienda giapponese è stata commissionata la preparazione di una mappa topografica della valle e di un modello 3D delle rupi e delle nicchie. Inoltre, l’UNESCO con un budget di 250.000 dollari sta aiutando il governo afgano a creare un museo che verrà allestito in un’abitazione tradizionale fatta di mattoni di fango nel vecchio villaggio di Bamiyan. Affinché vengano suggeriti dei metodi appropriati per la restaurazione, verranno condotti degli studi riguardanti le case tradizionali. Nel dicembre del 2003, un Secondo gruppo di lavoro di esperti dell’UNESCO/ICOMOS si è riunito a Monaco, Germania, al fine di assicurare il coordinamento di tutte le attività per la salvaguardia del sito di Bamiyan. A questa riunione hanno preso parte venticinque esperti che hanno valutato i progressi compiuti dalle attività di consolidamento, di conservazione e di archeologia. Essi hanno soprattutto elogiato i metodi di consolidamento applicati e attuati dall’azienda italiana RODIO, che recentemente è riuscita a prevenire il crollo della parte est della nicchia del Piccolo Buddha. Tali esperti hanno anche formulato delle specifiche raccomandazioni per le azioni future, così come un piano di lavoro per il 2004 per la consolidazione finale della nicchia del Piccolo Buddha, la conservazione dei frammenti delle due statue dei Buddha, la preservazione delle pitture murali e la coordinazione del lavoro archeologico intrapreso dalla Délégation Archéologique Française en Afghanistan (DAFA) e dall’Istituto nazionale di ricerca per la proprietà culturale (NRICP), Giappone. Nel marzo del 2004, una missione dell’UNESCO, composta da vari esperti in campi diversi, si è recata al sito per avviare e coordinare ulteriori lavori, al fine di completare il consolidamento delle rupi e delle nicchie, conservare i frammenti delle statue dei Buddha e preservare le pitture murali. Jam e Herat Il Minareto di Jam si trova sperduto su una penisola formatasi nel punto di confluenza della riva sud del fiume Hari Rud con il fiume Jam in una valle remota circondata da tutti i lati da moltissime montagne. A causa della sua posizione, particolarmente isolata, l’esistenza di questo monumento di straordinaria spettacolarità, costruito alla fine del XII secolo, fu scoperta e confermata solo alla fine del 1940. Oggi, sappiamo che con i suoi 65 metri non è solo il secondo minareto più alto al mondo, ma anche uno dei pochissimi monumenti architettonici ben preservati risalenti al periodo del regno di Ghor. La città murata di Herat, capitale della provincia di Herat e in passato, nonostante la sua storia tumultuosa, grande centro di religione e di cultura, è conosciuta per la sua famosa Cittadella (Qala-iIkhtiyaruddin) che si trova nel cuore della città vecchia, per la moschea di Venerdì (Masjid-I-Jami) così magnificamente dipinta, per i resti del complesso di Musallah con i suoi minareti e il mausoleo di Gawhar-Shad sormontato da una fiammeggiante cupola con nervature di color blu turchese. Nel marzo del 2002, l’UNESCO ha inviato a Jam e Herat due consulenti, il professor Andrea Bruno, architetto, e Marco Menegotto, ingegnere strutturale, che hanno valutato lo stato di conservazione del minareto di Jam e del quinto minareto dei giardini di Gawhar-Shad, del mausoleo di Gawhar Shad, della Cittadella, della moschea di Venerdì e di altri monumenti di Herat, e hanno redatto dei documenti in preparazione di un progetto diretto alla loro conservazione. Due mesi dopo, Andrea Bruno, accompagnato da un idrologo, ha compiuto una missione al fine di fornire consigli su come consolidare le fondamenta del minareto di Jam, nonché stabilizzare tutta la sua struttura e migliorare il flusso dei due fiumi. Essi hanno, inoltre, suggerito l’adozione di misure protettive per la zona archeologica di Jam, minacciata da scavi illeciti. Durante questa missione è stato riscontrato che, nonostante i gabbioni (attrezzature di fortificazione), installati dall’UNESCO nel 2000, siano stati danneggiati durante le terribili piene improvvise dell’aprile del 2002, rimangono comunque efficaci nel proteggere il monumento, che forse è sopravvissuto proprio grazie a questa misura di protezione. Il minareto di Jam è stato il primo sito afgano a essere iscritto nella Lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO nel giugno del 2002. Nell’ottobre e novembre del 2002, gli architetti Tarcis Stevens e 4 Mario Santana hanno preparato una documentazione metrica dettagliata dei cinque minareti del complesso di Musalla di Herat, così come del minareto di Jam. Questa documentazione è stata accompagnata da una sessione preliminare di addestramento per gli esperti afgani sull’uso del Total Station (teodolite laser), donato dall’UNESCO al ministero dell’Informazione e della Cultura afgano. Questo corso di addestramento proseguirà nel 2004. Nel gennaio del 2003 si è tenuta, presso la sede centrale dell’UNESCO, una riunione del Gruppo di lavoro di esperti per la preservazione di Jam e dei monumenti di Herat. Tra i ventitre partecipanti c’erano Sayed Makdoom Raheen, Zahir Aziz, ambasciatore afgano per l’UNESCO, Omar Khan Massoudi, direttore del Museo nazionale di Kabul, e Abdul Wasey Feroozi, presidente dell’Istituto afgano di archeologia. Gli esperti hanno valutato lo stato corrente di conservazione del sito di Jam e dei sopramenzionati monumenti di Herat. Inoltre, hanno affrontato il problema degli scavi illeciti, confrontato diversi metodi di conservazione e hanno avanzato alcune proposte di coordinamento e di conservazione sia urgenti sia a lungo termine con riferimento a priorità preventivamente identificate. Le raccomandazioni concrete formulate da questo Gruppo di lavoro hanno permesso di mettere in atto le attività di emergenza all’inizio del 2003. Nel novembre del 2002 le autorità svizzere hanno approvato un fondo fiduciario per un progetto dell’UNESCO volto alla restaurazione e alla consolidazione urgente del sito di Jam, per una somma totale di 138.000 dollari. Inoltre, le autorità italiane hanno assegnato 800.000 dollari, in segno di collaborazione al programma “fondi fiduciari” dell’UNESCO, per la restaurazione e la conservazione urgente dei monumenti di Herat e Jam. Questi progetti sono iniziati nell’aprile del 2003 con la ricostruzione di un’abitazione di Jam, con la rimozione di detriti dal letto del fiume Jam e la riparazione e il rafforzamento dei gabbioni di legno e di metallo installati nel 2000 e 2002 dall’UNESCO e rimasti danneggiati nel 2002. Nel luglio e agosto del 2003, gli esperti italiani Andrea Bruno, Giorgio Macchi e Mariachristina Pepe, assieme ai rappresentanti dell’UNESCO, hanno effettuato una missione a Herat e a Jam per dare avvio alle operazioni preliminari per il rilevamento geologico del terreno in cui sorgono i minareti, in preparazione ai lavori di consolidazione a lungo termine. Allo stesso tempo, il quinto minareto di Herat, che era a rischio imminente di crollo, è stato provvisoriamente stabilizzato attraverso l’uso di cavi di acciaio progettati da Giorgio Macchi. Questo intervento di emergenza è stato compiuto con successo dall’azienda italiana ALGA, in condizioni logistiche e di sicurezza molto difficili. Il minareto è ora fortificato e stabile, anche se probabilmente non resisterebbe in caso di terremoti violenti. Il rilevamento geologico e i lavori di consolidamento a lungo termine del minareto di Jam e del quinto minareto di Herat verranno intrapresi nel 2004. Inoltre, tre archeologi dell’Istituto per l’Africa e l’Oriente (Is.IAO), sotto contratto con l’UNESCO, hanno effettuato degli scavi per la salvaguardia del sito di Jam durante il mese di agosto del 2003. Nel 2002, l’UNESCO e la Società per la conservazione del patrimonio culturale dell’Afghanistan (SPACH) hanno congiuntamente finanziato il laboratorio per la fabbricazione di piastrelle di Herat, che era stato riattivato nel 1994. In questo laboratorio ci sono al momento 60 tirocinanti afgani, che stanno imparando il modo in cui si producono le piastrelle tradizionali. Nel dicembre del 2003, le autorità tedesche hanno approvato un fondo fiduciario per un progetto dell’UNESCO diretto alla ripavimentazione del mausoleo di Gowhar Shad per un costo di 120.000 dollari. Il laboratorio per la fabbricazione di piastrelle di Herat sta attualmente producendo le mattonelle tradizionali necessarie per la realizzazione di questo progetto. Nei mesi di febbraio e marzo del 2004, i professori Andrea Bruno e Claudio Margottino e un rappresentante dell’UNESCO, hanno compiuto una missione a Jam per dare dei consigli al ministero dell’Informazione e della Cultura sulla costruzione di una strada e di un ponte presso il sito. Questa missione si è conclusa con la firma di un accordo comune tra le comunità locali di Jam, il governo afgano e l’UNESCO, che permette all’organizzazione di riprendere le sue attività operative volte alla consolidazione e alla restaurazione del minareto e alla conservazione dei resti archeologici circostanti. I necessari rilevamenti geologici, seguiti da indagini tecniche e dettagliate del sottosuolo, verranno eseguiti al più presto in preparazione ai lavori per il consolidamento a lungo termine del minareto. Il Museo di Kabul 5 Durante gli ultimi 24 anni di conflitto in Afghanistan, il Museo di Kabul ha sofferto enormemente. Nel corso di questo periodo esso è stato gravemente saccheggiato e distrutto. Prima che i talibani arrivassero nella capitale nel 1996, il Museo era stato provvisoriamente chiuso e le sue collezioni erano state depositate in vari siti di Kabul. Dal 1991 al 1996, scomparvero molti dei suoi articoli più preziosi, quali gli avori di Begram, l’intera collezione numismatica, la maggior parte delle statue di Buddha e dei frammenti di pitture murali della valle di Bamiyan. Subito dopo la caduta del regime talibano nel dicembre del 2001, l’UNESCO ha provveduto a inviare una missione per identificare e mettere insieme i resti delle varie statue e oggetti del Museo di Kabul e preparare un progetto per la loro restaurazione. Nel novembre del 2002, con l’avvicinarsi dell’inverno, l’UNESCO ha preso delle misure di emergenza. In varie stanze del pianterreno e del primo piano sono state installate delle finestre nuove, ed è stato costruito un pozzo profondo con serbatoio a pressione e un impianto idraulico per fornire acqua al laboratorio di conservazione. In più, al Museo è stato donato un potente generatore elettrico per la fornitura di elettricità. Nel 2003, l’UNESCO, attraverso la SPACH, ha contribuito alla restaurazione del Museo con 42.500 dollari, in particolare per il completamento del tetto. Nel gennaio del 2003, il governo greco, in seguito a un impegno assunto durante il Seminario di Kabul, svoltosi nel maggio del 2002, consistente nella donazione di circa 750.000 dollari, ha iniziato la restaurazione dell’edificio del Museo di Kabul; l’UNESCO ha fornito agli specialisti greci piante e disegni del museo, prodotti dal consulente dell’organizzazione, Andrea Bruno. Anche il governo degli Stati Uniti ha contribuito a questo progetto con 100.000 dollari. Inoltre, la Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (ISAF) della Gran Bretagna ha installato un nuovo laboratorio per il restauro, composto da due stanze, una con atmosfera umida e l’altra con atmosfera secca, entrambe finanziate dal British Museum. Oltre a ciò, il CEREDAF francese ha donato dell’attrezzatura per la conservazione, mentre la DAFA francese, associazione di nuova istituzione, assieme al Guimet Museum di Parigi, hanno condotto dei corsi di formazione per i curatori del museo che erano già stati avviati nel 2002 dall’azienda italiana Is.IAO. Nell’aprile/maggio del 2003 e nel marzo del 2004 un esperto dell’UNESCO, Bertille Lyonnet, ha intrapreso alcune missioni a Kabul, ciascuna della durata di un mese, su richiesta delle autorità afgane, al fine di addestrare il personale del Museo nazionale di Kabul a restaurare le collezioni di ceramica. Sommario dei finanziamenti e della cooperazione internazionale per la riabilitazione del patrimonio culturale dell’Afghanistan A complemento delle sue attività operative, l’UNESCO promuove gli strumenti normativi, volti alla protezione legale del patrimonio culturale tangibile e intangibile, già esistenti e allo stesso tempo ne sviluppa di nuovi. Considerato che la prevenzione degli scavi e dei traffici illeciti è per l’Afghanistan di oggi la sua sfida maggiore, l’UNESCO sostiene gli sforzi del governo afgano diretti a proibire gli scavi illeciti e a controllare i suoi confini per prevenire il contrabbando di beni culturali mobili acquisiti illegalmente. In conclusione, si può affermare che, finora, i finanziamenti e le altre forme di assistenza per un valore totale ben superiore ai 7 milioni di dollari promessi durante il Seminario di Kabul, tenutosi nel maggio del 2002, sono stati effettivamente elargiti a favore di progetti culturali per l’Afghanistan. Per riassumere, il programma “fondi fiduciari” dell’UNESCO ha ricevuto dai diversi paesi donatori le seguenti somme di denaro: 1,815.967 dollari dal governo giapponese per la conservazione del sito di Bamiyan; 969.000 dollari dal governo italiano per i musei di Ghazni, più 67.460 dollari per il Seminario sul patrimonio culturale che si terrà a Kabul nel maggio del 2004; 138.000 dollari e 250.000 dollari dal governo svizzero rispettivamente per i siti di Jam e Bamiyan; 850.000 dollari, nel 2002, dal governo tedesco, tramite l’ICOMOS tedesca e l’Istituto di archeologia della Germania, per la restaurazione dei giardini di Babur e per l’addestramento degli archeologi afgani, e sempre dal governo tedesco, nel 2003, altri 119.780 dollari per la ripavimentazione del mausoleo di Gowhar Shad. 6 Oltre a queste donazioni fatte direttamente sui fondi fiduciari, sono stati effettuati anche dei contributi bilaterali, tra cui figurano 5 milioni di dollari assegnati dalla Fondazione Aga Khan per la Cultura per la restaurazione dei giardini di Babur e del mausoleo Timur Shah di Kabul, nonché la riabilitazione delle abitazioni tradizionali di Kabul, Herat e altre città. Altri 750.000 dollari sono stati stanziati dal governo greco per la restaurazione dell’edificio del Museo di Kabul, un progetto di restaurazione a cui anche il governo statunitense ha contribuito con 100.000 dollari. La French Délégation Archéologique Française en Afghanistan ha effettuato degli scavi preventivi. Il French Muséè Guimet e il team italiano dell’Is.IAO hanno condotto vari corsi di formazione per il personale del Museo di Kabul, mentre il British Museum ha restaurato tre stanze del Museo di Kabul per l’installazione di un laboratorio di conservazione. Inoltre, l’UNESCO ha assegnato alle attività culturali in Afghanistan 400.000 dollari mediante il suo Budget regolare per il biennio 2002/2003. Nel settembre del 2002, l’UNESCO ha concluso un contratto con l’ong Agence d’Aide à la Coopération Technique et au Développement (ACTED) per la riparazione urgente del tetto di protezione delle nove cupole della moschea Hadji Pyada a Balkh – la moschea più vecchia dell’Afghanistan – al fine di preservarla dal clima rigido dell’inverno. Tutte le attività dell’UNESCO vengono attuate secondo le raccomandazioni del Comitato internazionale di coordinamento per la salvaguardia del patrimonio culturale dell’Afghanistan. L’UNESCO vorrebbe cogliere l’occasione per esprimere la sua gratitudine nei confronti di tutti questi donatori generosi per i loro preziosi contributi. Inoltre, vorrebbe sottolineare il fatto che i fondi culturali provengono da budget specifici per la cultura e che, in quanto tali, non sono stati prelevati da fondi umanitari; essi invece costituiscono per questi ultimi un supplemento. Se vogliamo che altre attività simili a quelle sopradescritte continuino a essere poste in essere, sarà necessario trovare ulteriori finanziamenti. 7
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