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N°3 gennaio 2012
Istituto per la Storia dell’Arte Lombarda – Piazza Arese, 12 Cesano Maderno (20811 MB) – Tel. 0362.52.81.18 - www.istitutoartelombarda.org
biblioteca
news
EDITORIALE
L’Istituto per la Storia dell’Arte
Lombarda compie quest’anno
quarantacinque anni. Ad apertura
del celebre Congresso internazionale su Metodologia della ricerca.
Orientamenti attuali.
In onore di Eugenio Battisti, nel
1991, la prof.ssa Maria Luisa
Gatti Perer ricordava che la sua
prima ipotesi scaturì dalla relazione tenuta da Eugenio Battisti al
Convegno internazionale Premesse per un repertorio sistematico
delle opere e degli artisti sulla
Valle Intelvi, a Villa Monastero
di Varenna, 1-4 sett. 1966. La
decisione maturò definitivamente
“in una indimenticabile riunione
che durò tutta la notte”; l’Istituto
“venne di fatto fondato il 9 aprile
1967”. Battisti aveva ricordato la
genialità connaturata e di lunga
storia delle maestranze lombarde,
la loro precoce e costante apertura
dapprima europea e poi al mondo
intero. Aveva parlato dell’internazionalità degli ‘stili visivi’,
dell’esigenza di tener vivi gli studi
locali, di promuovere cultura ad
ampio raggio e buona informazione che fosse stimolo di dinamismo
sociale. L’entusiasmo di quella
notte ha lasciato una traccia profonda in più generazioni di studiosi di arte, di architettura, di tutela
dei beni culturali, di conservazione e restauro. ISAL vive ancora
oggi della stessa appassionata
attenzione per quelle realtà che i
suoi fondatori identificarono come
responsabilità di studiosi, lombardi e non: vuole essere tuttora
un punto di riferimento ancorato
al territorio, ma insieme aperto ad
ogni interrogativo che interpelli il
saper fare con arte, il saper fare
arte, il saper inseguire ed esprimere il mistero del bello e la sua
connessione con il bene, e il bene
comune delle comunità umane,
oggi. In connessione con università e altre istituzioni culturali,
pubbliche o private che siano. Per
questo ISAL si è dotato di propria
voce, “La rivista dell’Istituto per
la Storia dell’Arte Lombarda”, con
la quale intesse rapporti nuovi e
tiene vivi gli antichi. Le difficoltà
ci sono e sono evidenti. Ma c’è
anche una speranza che non viene
meno, nonostante tutto. E che
chiede condivisione.
Il Santuario di Santa Maria
dei Miracoli di Milano
Denominato anche chiesa di
Santa Maria presso San Celso
il Santuario di Santa Maria dei
Miracoli rappresenta uno dei
luoghi più antichi del cristianesimo milanese. Nei pressi di questa
chiesa, infatti, intorno al 395
Sant’Ambrogio rinvenne i corpi
dei Santi Nazaro e Celso. In quel
luogo fece edificare un piccolo
sacello dove custodire le spoglie
del martire Celso e fece eseguire
un’immagine della Vergine con
Gesù Bambino benedicente. Ben
presto il luogo divenne meta di
pellegrinaggi e di sepoltura per i
cristiani. Accanto al sacello originario fu costruita una seconda
chiesa (San Nazaro in Campo) ed
intorno al 996 Landolfo II da Carcano fece aggiungere una nuova
chiesa, dove poter riporre anche
le reliquie dei Santi Basilide,
Cirino e Nabore. Accanto a questo
complesso in epoca medievale
sorse anche un monastero benedettino che venne abbattuto negli
anni Trenta. Nel 1430 Filippo
Maria Visconti eresse una piccola
chiesa attorno all’antica immagine
mariana che ben presto divenne
insufficiente ad ospitare tutti i fedeli ed i pellegrini che vi si recavano. Durante una funzione sacra
del 1485 l’immagine della Vergine
benedisse gli astati contribuendo
a diffondere maggiormente il culto
mariano nella città. Verso la fine
del XV secolo si decise di erigere
una nuova chiesa, il cui progetto
venne affidato tradizionalmente
a Gian Giacomo Dolcebuono. A
questo architetto si affiancò anche
Maria Antonietta Crippa l’Amadeo e, a partire dal 1498,
Direttore scientifico
Antonio da Lonate. Intorno al
1500 Martino Bassi edificò l’altare
della Madonna, mentre nuovi lavori vennero eseguiti dal Cesariano e da Cristoforo Lombardo.
Attualmente alla chiesa sia accede attraverso un atrio (terminato
dal Seregni nel 1556) che immette
alla maestosa facciata progettata
dall’Alessi, la cui decorazione è
da ascrivere ad Annibale Fontana
e Stolto Lorenzi.
L’interno della chiesa rinascimentale è ricco di opere d’arte
eseguite dal Bergognone, dal
Cerano, dai Fiammenghini, a
Procaccini, a Mangone, da Carlo
Urbini da Crema, da Gaudenzio
Ferrari e da Paris Bordone. Nel
transetto di sinistra è collocato
il sarcofago paleocristiano di
San Celso, mentre nella seconda
cappella di destra è esposto ai
fedeli il crocifisso contenente la
reliquia del Santo Chiodo che San
Carlo Borromeo scalzo portò in
processione per le vie cittadine
per invocare la cessazione della
peste del 1576.
Nella seconda cappella di sinistra
è conservato l’affresco Trecentesco raffigurante la Vergine tra San
Nazaro e San Celso che nel luglio
del 1620 lacrimò miracolosamente.
In rispetto a un’antica tradizione
in questo santuario ancora oggi
numerose giovani coppie di sposi
milanesi portano fiori al cospetto della statua dell’altare della
Vergine (opera cinquecentesca di
Martino Bassi) per invocare protezione sulla nuova famiglia.
Ferdinando Zanzottera
Tra le novità acquisite dalla
Biblioteca ISAL in questo ultimo
mese segnaliamo:
- AA.VV., Storia dell’Arte a Varese
e nel suo territorio, Insubria University Press, Varese, 2011, Vol.
I-II;
- M. Biscione, N. Ossanna Cavadini, Dario Fo. La pittura di un
narratore, catalogo della mostra,
Mazzotta, Milano, 2011;
- AA.VV., Svizzeri a Torino nella
storia, nell’arte, nella cultura,
nell’economia dal Quattrocento ad
oggi, Ticino Management, Lugano,
2011.
ARCHIVIOn e w s
In ISAL fotografie di Ugo Mulas
Tra i nuovi materiali confluiti in
ISAL in comodato d’uso sono giunti alcuni scatti del grande fotografo
italiano Ugo Mulas (Pozzolengo,
1928 - Milano, 1973). Il materiale
deve essere ancora ricondizionato
e studiato ma, con molta probabilità si tratta di 17 stampe ai Sali
d’argento realizzate da Ugo Mulas
alle sculture di Arnaldo Pomodoro,
fratello di Gio Pomodoro, e considerato uno dei maggiori scultori
italiani contemporanei.
ISAL
necessita
Una delle principali
urgenze di ISAL è di
aumentare la diffusione
della rivista.
A tutti i soci, gli amici e
i simpatizzanti chiediamo una collaborazione
attiva per il rinnovo e
la sottoscrizione di nuovi abbonamenti anche
presso biblioteche ed enti
culturali.
pg.1
L e v isi t e g u i d at e d i f e b b r a i o
e l e p r o p o s t e d i p r im av e r a
Giovedi 16 febbraio Triennale Design Museum, Milano, ore
18.00: Le fabbriche dei sogni.
Uomini, idee, imprese e paradossi
delle fabbriche del design italiano.
Triennale Design Museum dedica
la sua quarta edizione agli uomini,
alle aziende e ai progetti che hanno contribuito a creare il sistema
del design italiano dal dopoguerra
a oggi e a decretare il successo del
Salone del Mobile nel mondo. In
occasione del cinquantesimo
anniversario del Salone del Mobile
si potranno ammirare in mostra gli
oggetti peculiari realizzati dalle
“Fabbriche del Design Italiano”,
sinonimo di eccellenza made in
Italy.
Sabato 25 febbraio a Cremona
il prof. Mario Marubbi, conservatore della Pinacoteca Ala Ponzone,
accompagnerà i soci ISAL in una
visita esclusiva alla scoperta dei
numerosi capolavori conservati nel
cinquecentesco palazzo Affaitati.
Il museo, costituitosi a partire dal
Cinquecento con le raccolte della
famiglia Ponzone, incremen-
COME RICEVERE
ISAL
Magazine
ISAL Magazine è il nuovo
strumento di comunicazione
digitale ISAL inviato gratuitamente a chiunque lo desideri. Se non lo ricevi ancora
puoi richiederlo inviarlo una
semplice e-mail al seguente
indirizzo di posta elettronica
[email protected]
o telefonando alla segreteria
ISAL (Tel. 0362.528118).
tato con le opere provenienti da
alcune chiese cremonesi soppresse, conserva oggi una raccolta di
dipinti e sculture composta da più
di duemila opere, solo in parte
esposte.
Nel corso della giornata visiteremo inoltre alcuni dei monumenti
più significativi di questa città
d’arte dal ricco e variegato patri-
regione lombardia
presenta l’isal
ai cittadini
monio culturale e monumentale.
Particolare attenzione sarà
dedicata al complesso medievale
costituito dal Torrazzo, dal Duomo, dal Battistero, dal Palazzo del
Comune e dalla Loggia dei Militi.
Sabato 31 marzo: Alla scoperta
della bassa bergamasca: Palazzo
Visconti a Brignano Gera d’Adda,
il santuario della Beata Vergine
delle Lacrime e la collegiata di S.
Martino a Treviglio, il Santuario e
la chiesa dei SS. Fermo e Rustico
a Caravaggio, a cura della dott.ssa
Beatrice Bolandrini
IN PREPARAZIONE:
Sabato 21 aprile: le chiese di
Torino, a cura della dott.ssa Laura
Facchin
Beatrice Bolandrini
MOSTRE IN PILLOLE
M AL d ’ AFR I CA
Alessandro Passarè la costruzione
di una collezione
Castello Sforzesco di Milano –
Dal 27/10/2011 al 30/09/2012
Nella suggestiva cornice del
Castello Sforzesco di Milano
la mostra Mal d’Africa offre la
possibilità di poter ammirare
parte della Collezione Alessandro Passaré, offerta in comodato
d’uso alle Raccolte Extraeuropee
del Castello Sforzesco in previPresso la nuova sede regionale,
mento e la diffusione della
sione dell’apertura della sezione
(Palazzo Lombardia, Piazza Città conoscenza della storia dell’arte
dedicata alle culture extraeuropee
di Lombardia 1, Sala 5, Ingresso lombarda in tutte le sue forme,
dell’area dell’ex Ansaldo di Porta
N 4) Regione Lombardia e ISAL con apertura a prospettive nuove, Genova. In mostra, dunque, si
presenteranno alle autorità e a
stretto rapporto con le realtà terri- possono ammirare parte degli
tutti i cittadini la Rivista dell’Itoriali e ricadute nell’ambito della oggetti raccolti dal medico e
stituto per la Storia dell’Arte
formazione culturale e professio- collezionista milanese Alessandro
Lombarda. L’incontro è proposto per nale. All’incontro interverranno
Passaré, che durante i suoi viaggi
far conoscere l’attività di studi e ri- numerose autorità e persone del
ha collezionato oltre 400 pezzi
cerche, oltre che editoriale, di ISAL, mondo della cultura, nel prossimo di arte africana, precolombiana e
che ha per propria mission dal 1967, ISAL Magazine daremo ampio
oceanica.
anno della sua fondazione, l’increspazio.
Per ulteriori informazioni:
www.milanocastello.it/ita/mostre.
html
Raccolte Artistiche - Raccolte
Extraeuropee
Castello Sforzesco - 20121 Milano
Conservatore: Carolina Orsini
Tel. 0288463744
e-mail: [email protected]
pg.2
P e r u n a n u o va t u t e l a d e i b e n i c u l t u r a l i
Tra i numerosi documenti
conservati in ISAL una cartella
contiene alcuni estratti, fotocopie e articoli di riviste scientifiche dedicate ai Beni Culturali
selezionati nel tempo dalla prof.
Maria Luisa Gatti Perer, fondatrice dell’Istituto. In verità non
si tratta di una raccolta completa
dei principali testi sul tema, ma
di una “collezione” occasionale,
ma organizzata, di piccoli estratti
e di numeri specifici di magazine o riviste che contengono
articoli dedicati a questo tema.
Tra la dozzina di documenti
che costituiscono la cartella vi
sono, ad esempio, due numeri
del “Notiziario”, noto bollettino
informativo curato dall’Ufficio
studi del Ministero per i Beni
Culturali e Ambientali creato nel
1981, e un estratto del discorso
pronunciato alla Camera dei deputati nella seduta del 30 marzo
1966 da Vittorio Marangone
a favore di “una nuova tutela dei
beni culturali”, estratto pubblicato dagli Stabilimenti tipografici
Carlo Colombo di Roma nella seconda metà degli anni Sessanta.
Su questo numero di ISAL Magazine se ne ripropongono alcuni
stralci di estrema attualità, che
mostrano il lungo processo che la
società attuale deve ancora compiere in ambito culturale, poiché
alcune affermazioni del discorso
parlamentare risultano ancora di
estrema attualità e alcuni degli
atteggiamenti auspicati costituiscono ancora oggi una meta da
raggiungere.
Ferdinando Zanzottera
“Vorrei anche che ella, signor
ministro, avesse a disposizione un servizio televisivo e qui
avanzo un’esplicita richiesta
affinché la televisione promuova
un’inchiesta sui problemi della
tutela del patrimonio artistico e
archeologico nazionale, in modo
da poter ascoltare molte voci, da
quelle degli appassionati ancora
educato al rispetto e all’amore
per le cose d’arte. Lo strumento
televisivo non si può ridurre a
registrare i fatti che accadono o
a promuovere dibattiti o incontri, ma deve operare per creare
anche negli strati più umili della
nostra popolazione la consapevolezza di un problema che noi
tutti vogliamo sarà presto risolto
[…]
La Commissione ha avuto una
serie di incontri con le varie
categorie interessate a questi
problemi. Abbiamo invitato a
Montecitorio i rappresentanti
della stampa, anche quelli che ci
hanno criticato (e che non sono
venuti); abbiamo incontrato i
dirigenti del turismo nazionale e
i rappresentanti dei vari settori
della pubblica amministrazione che si occupano di questi
problemi, abbiamo ascoltato
nella nostra sede al Ministero
della pubblica istruzione tutte le
autorità e gli artisti e gli studiosi
interessati alla tutela del nostro
patrimonio artistico. L’onorevole
ministro ci ha seguito dal suo
studio con pazienza, comprensione, entusiasmo, anche nei
giorni bui, quando i contrasti si
facevano più gravi e apparivano
insuperabili, quando pochi erano
rimasti ad insistere perché si trovasse una soluzione unanime che
consentisse alla Commissione di
presentarsi con un volto unitario
dinanzi al Parlamento che le
aveva conferito il mandato […]
Naturalmente non posso qui riassumere tutto il volume di risoluzioni che abbiamo consegnato al
ministro, come era nostro dovere.
Voglio sottolineare gli aspetti
che hanno cucito questo nostro
mosaico, le prese di coscienza
di noi tutti. Il nostro punto di
partenza è stata questa dichiarazione che vorremmo diffusa in
lapidi di tutte le scuole italiane:
«La Commissione dichiara di
voler riconoscere al patrimonio
storico e artistico un preminente
valore di civiltà, assoluto, universale e non transeunte, tale da
caratterizzarlo come patrimonio
dell’umanità di cui ogni possessore, Stato o ente o cittadino,
deve considerarsi depositario e
responsabile di fronte al mondo
civile e alle future generazioni»
[…]
Non potevamo con questo punto
di partenza ridurci a revisionare
qualche norma di legge, a rattoppare gli organici delle sovrintendenze, a trovare qualche mezzo
finanziario di secondaria importanza; ma dovevamo arrivare a
conclusioni molto più importanti.
Quel grido di dolore di cui vi
parlavo prima e del quale si è
fatto eco l’onorevole Servello,
anche la Commissione lo ha
riconosciuto estremamente valido, non con parole di carattere
polemico e demagogico ma con
acute osservazioni. «Nel campo
archeologico » – scrive nella sua
relazione il professor Pallottino
a nome della Commissione – si
constatano «devastazioni su
vasta scala di siti antichi, di
necropoli e santuari specialmente greci ed etruschi da parte di
scavatori clandestini operanti al
fine di recuperare oggetti di pregio venale destinati a traffici ed
esportazioni illegali». Il centro,
onorevole ministro, si trova in
Svizzera; i sovrintendenti della
Sicilia ci hanno detto che conoscono anche la targa del camion
che trasportò questi materiali. La
stessa relazione continua : «Distruzione precoce ed irreparabile
di terreni ricchi di resti antichi».
Miliardi di valore economico
sono stati così trafugati in questi
anni, sono stati venduti sul
mercato internazionale, smistati
oltre confine nella Svizzera, per
essere distribuiti in tutto il mondo dai mercanti di cose antiche.
Si lamenta inoltre: «Nel campo
dei beni artistici e storici mobili,
deperimenti per mancanza di
restauri tempestivi ed efficienti;
la scomparsa costante e sempre
più accelerata di cose interessanti la storia della cultura dei
secoli passati: la suppellettile, il
costume, le tradizioni popolari,
la storia della vita musicale,
della scienza, della tecnica»,
ecc. Per quanto riguarda il
campo dei monumenti e dell’ambiente urbanistico e naturale, la
Commissione constata «il dram-
matico processo di abbandono
e di distruzione del patrimonio
monumentale, le manomissioni
speculative, l’indebito impiego, il falso restauro, purtroppo
anche ufficiale, la degradazione,
la radicale alterazione, la più o
meno completa distruzione di
nuclei e quartieri tradizionali
urbani e insediamenti minori; il
deturpamento e l’assenza di preoccupazioni culturali nel nuovo
sviluppo urbanistico» […]
Per quanto riguarda il campo
degli archivi e delle biblioteche,
è a tutti noto quali ricchezze
librarie, quali antichi documenti
restino abbandonati alle muffe,
agli insetti e ai topi. Perciò, non
sto a dilungarmi. Ecco che da
questa analisi valutativa, così
brevemente riassunta, che ha costituito la prima parte degli studi
della Commissione, è uscito un
principio informatore sull’attività
della tutela. La Commissione
ha ritenuto doversi decisamente abbandonare il tradizionale
principio di una attività pubblica
di tutela volta alla mera conservazione del bene culturale. In
sua vece, la Commissione indica
una visione di tutela di natura
scientifica tale che sottolinei del
bene culturale il valore autentico
di testimonianza storica, che
consenta l’accrescimento delle
umane conoscenze. Cioè non già
il bene in sé diviso, scoperto e
ritenuto come un documento a
sé stante, ma tutto ciò che può
concorrere alla conoscenza di
antiche civiltà, ad accrescere la
cultura della presente e delle
future generazioni è bene culturale […]
Siamo persuasi tutti ormai (lo
abbiamo letto in tutte le pubblicazioni) dell’importanza del turismo. Infatti, nell’ultima stagione
turistica sono entrati nelle casse
dello Stato 600 miliardi di valuta
pregiata, ovverosia 800 miliardi di lire italiane, se non vado
errato. Si dice anche che questa
è la più colossale delle industrie
moderne, il perno della nostra
economia, ciò che determina veramente un notevole giro di affari
di stagione in stagione contro i
ristagni e che lascia respirare
lungo l’arco dell’estate; ebbene, ma veramente
noi siamo convinti
che le provvidenze
pg.3
varie, la ricettività
alberghiera ed i bruttissimi bar
della costa facciano il turismo?
Ma questo, onorevoli colleghi, può essere un turismo di
stagione che dura il tempo che
dura. Se vogliamo veramente
favorire l’afflusso degli stranieri
nel nostro paese, con un turismo
che non ammetta concorrenza,
con un turismo perenne che si
accresca con il diffondersi della
cultura nel mondo moderno; se
vogliamo che l’Italia diventi sempre più meta di pellegrinaggio
di tutti i cittadini del mondo col
diffondersi della cultura e con
l’accrescersi dei nostri contatti
commerciali anche con paesi
dell’Europa dell’est, dobbiamo
tutelare, valorizzare e diffondere
questo patrimonio artistico, che
è materia di perenne conoscenza
e di gioia spirituale per qualsiasi uomo che voglia conoscere
quello che la civiltà dei nostri
padri ci ha tramandato. Quindi le
fortune del turismo non sono dovute alle autostrade, ai mezzi di
comunicazione, all’aumento ed
al miglioramento della ricettività
alberghiera, alla pastasciutta o ai
nostri bronzei maschi in libertà
sulle spiagge, ma in massima
parte, se non proprio in tutto,
all’enorme patrimonio artistico
e culturale che siamo in grado
di mostrare agli stranieri. Ed è
questo un turismo di relazioni
spirituali e non un turismo deteriore, onorevoli colleghi.
T e ss u t i d e g l i a n n i T r e n ta n e l F o n d o
a r c h i v is t i c o D ’ A n c o n a
Tra i fondi archivistici ISAL
degno di nota è il Fondo D’Ancona, che è ancora sprovvisto di un
indice e di un regesto documentario. Di piccola entità, solo 8
cartelle perché molto materiale
fu nei decenni passati fatto confluire nella costituenda Fototeca
dell’Istituto, il fondo comprende
manoscritti, disegni, ritagli di
giornali, albumine e corrispondenza. Di particolare interesse è
il materiale di studio connesso ai
temi di ricerca di Paolo D’Ancona (Pisa 1878 – Milano 1964) e
lo scambio epistolare con i principali storici e studiosi dell’arte
dell’epoca.
Pervenuto all’ISAL nel corso
degli anni Sessanta il Fondo contiene anche documenti personali,
alcuni dei quali ricchi di fascino
e di una forte connotazione di
curiosità. Tra le lettere private
contenute nella cartella n. 2 è
conservato un foglio dattiloscritto
su carta intestata della comasca
Fabbrica Stoffe di seta F. Bertarelli datato 8 marzo 1930 con la
quale si inviavano alla “Gentilissima Signorina Elena Benaim
D’Ancona” alcuni campioni di
stoffa.
Il documento, che qui si trascrive integralmente, offre uno spaccato interessante sui diversificati
interessi della famiglia Pacchioni e sul linguaggio formale del
mondo industriale serico lombardo, oltre che fornire alcune
indicazioni sul valore dei tessuti.
Considerando il rapporto tra
euro e lira e il potere di acquisto
espresso dall’ISAT per il secolo
scorso, si può infatti calcolare
che il valore di un metro di stoffa
Crèpe Lazio offerto alla signorina
D’Ancona corrisponderebbe oggi
a circa 40 euro.
Ferdinando Zanzottera
Gentilissima Signorina Elena
Benaim D’Ancona
Viale Regina Vittoria 25
Firenze
La gentilissima signorina
Fernanda Wittgens di Milano,
che abbiamo avuto l’onore di
conoscere, ci comunica la Sua
richiesta per alcuni tipi di n/
fabbricazione che ci premuriamo
unire alla presente, mettendoci a
di Lei disposizioni per qualsiasi
quantitativo Le interessasse.
Non sapendo bene quale dovrebbe essere il vero tipo che Ella
richiede ne abbiamo campionati
diversi, sui quali potrà fare la
scelta.
Abbiamo pure in un campione di
Velloutine, speciale per biancheria in tutta seta pura, della
quale abbiamo sempre in stock
i colori principali di lingerie e
cioè l’avorio, il bianco, rosa, oro,
champagne, paglierino, celeste
ecc.
Le diamo in calce i prezzi di ogni
singolo articolo, nella lusinga
che abbia a trovare quanto Le
occorre.
In attesa, con la massima stima
La riveriamo
Velloutine cm. 80 L. 19,80 al metro
Gibraltar “
“
“
20,00 “ “
Crèpe Lyon “ 90 “ 28,00 “ “
Crèpe Lazio “ 94 “ 45,00 “ “
Crèpe Londra “ “ “ 37,00 “ “
pg.4
monumenti da scoprire
Il Monumento Funebre di Arturo
e Michele Scotti nel Cimitero di Monza
Capolavoro sconosciuto della scultura novecentesca
Tra le raccolte d’arte e i monumenti poco conosciuti e
valorizzati presenti sul territorio
lombardo degno di nota è certamente il Cimitero di Monza che,
sebbene non possa competere in
prestigio e importanza con il Cimitero Monumentale di Milano,
costituisce uno scrigno di sculture e di architetture novecentesche di indiscusso valore.
Il Cimitero, infatti, rappresenta
un museo a cielo aperto ed il
luogo in cui sono state raccolti
alcuni importanti monumenti
civici ottocenteschi.
Tra le numerose opere che
si conservano al suo interno
significativo appare il monumento funebre di Michele e Arturo
Scotti (campo 4, posto distinto
1 – 2), che commemora il dolore
familiare e celebra il sacrificio
di Arturo, morto il 24 agosto del
1917 durante la Prima Guerra
Mondiale.
La composizione del monumento, si basa sul rapporto tra
due elementi distinti, posti in
costante relazione tra loro: da un
lato, lungo il viale secondario, vi
è la scultura eseguita da Ernesto
Baroni raffigurante Arturo Scotti
adagiato su una barella, mentre
nell’angolo interno dello “spazio
tombale” si erge un cippo composito con un’urna contenente le
ceneri del padre Michele Scotti.
Cippo composto da un basamento marmoreo quadrangolare sormontato da un tronco piramidale,
sul quale è collocata la capsella
con quattro mascheroni angolari.
I due elementi sono posti sul medesimo piano rialzato costituito
da una lastra marmorea. Verso
la fronte del viale principale la
famiglia volle che fosse inciso
il seguente epitaffio: “Ardente
amore di patria trasse il figlio
a gloriosissima morte. Più che
l’orgoglio sacro poté sul padre il
sovrumano dolore”.
L’intera composizione scenografica si basa sull’intimo rapporto
amoroso tra padre e figlio drammaticamente interrotto dalla
morte ed il legame tra i due è
sottolineato dal capo del giovane
soldato rivolto verso il cippo
sepolcrale paterno.
La decorazione scultorea, una
delle più belle nel cimitero di
Monza, fu eseguita da Eugenio
Bajoni, autore, probabilmente,
anche dei disegni acquerellati
contenuti nella richiesta di permesso per l’edificazione del monumento, presentata da Erminia
Brusa–Scotti ed approvata della
Commissione Igienico Edilizia
del Comune di Monza il 28 maggio 1920. Si tratta di tre figure
policrome eseguite in scala 1:20
e 1:10 raffiguranti la pianta e
due prospetti del monumento. La
qualità dei tre disegni assume
anche un valore documentario
rilevante poiché mostra come nel
progetto originario il complesso
funerario dovesse essere circondato da una bassa siepe, che non
doveva superare l’altezza del
primo basamento marmoreo. Tale
elemento fu certamente realizzato poiché il 16 ottobre del 1925
Erminia Brusa–Scotti chiese
all’Amministrazione Comunale
di poter realizzare una piccola
cancellata metallica per evitare
che il “pubblico” calpestasse
l’area destinata a verde e definita
dalla proprietaria come “tappeto
erboso”.
Si trattava di due piccole cancellate trapezoidali poste lungo i
prospetti delle strade cimiteriali.
Quella rivolta verso l’ingresso
del camposanto era lunga 2,25
metri ed aveva un’altezza compresa tra i 25 ed i 6 centimetri.
Quella rivolta verso il viale interno, invece, era lunga 2,18 metri
e raggiungeva un’altezza massima di 50 centimetri, degradando
regolarmente fino a raccordarsi
con l’altro lato della cancellata.
L’aggiunta di questi due elementi
metallici, decorati da semplici
elementi vegetali, fu approvata
quattro giorni dopo la richiesta
dalla stessa Commissione IgieneEdilizia del Comune di Monza.
Benché oggi non permangano
elementi di chiusura della tomba
e nessun elemento architettonico
o naturale costituisca un definito
sfondo prospettico della composizione, l’attenzione dell’osservatore ricade immediatamente sul
corpo esanime del giovane, con
il braccio destro abbandonato
a terra ed il braccio sinistro,
raccolto lungo il fianco, coperto
dalla bandiera italiana.
Estraneo al turbinio retorico
della scultura celebrativa dei
martiri della patria, quest’opera
realizzata dalla Ditta Fratelli
Mariani costituisce un’eccellente testimonianza della cultura
artistica connessa all’intimità del
dolore di fronte alla morte. L’opera di Eugenio Bajoni, infatti,
si discosta dal gusto celebrativo
eroico della fine dell’Ottocento,
in favore di istanze più moderne,
senza per questo rinnegare una
vena di lirismo veristico.
Sebbene non esistano riferimenti
diretti, sono infatti evidenti i richiami alla drammatica potenza
espressiva del corpo morente
presenti in opere come il “Soldato ferito. La morte di Emilio
Morosini” di Ettore Ferrari
(1883) e “Le vittime del lavoro”
di Vincenzo Vela (1882).
Ben conservato nei suoi elementi
essenziali il monumento oggi
attende una sua piena valorizzazione, affinché possa accrescere
il valore della memoria civica
condivisa sul sacrificio che la
Prima Guerra Mondiale impose
a tutte le famiglie e aumenti la
consapevolezza che anche Monza
contribuì con forme differenti
di mecenatismo, pubblico e
privato, all’evoluzione e diffusione dell’arte e della scultura
novecentesca.
Ferdinando Zanzottera
pg.5
i g ioielli della lom b ardia
P a l a z z o T r o t t i a Vim e r c a t e
Nel centro storico di Vimercate
spicca per importanza e valore
storico Palazzo Trotti, edificato
sul fronte dell’attuale Piazza
Unità d’Italia. L’edificio presenta
una semplice facciata che segue
l’andamento dell’antica maglia
urbana. Le travagliate vicissitudini storiografiche della famiglia Seccoborella, le numerose
trasformazioni susseguitesi nel
tempo e la crisi economica tardo
ottocentesca dei Trotti sono gli
elementi salienti di un lungo
processo generativo percepibile
dall’architettura del palazzo che,
tuttavia, ad una visione distratta non riesce a far presagire
pienamente la preziosità delle
decorazioni rococò racchiuse al
suo interno.
La facciata curvilinea è caratterizzata dalla presenza di un’imponente torre quadrangolare
tronca, nella quale si staglia il
portale mistilineo di ingresso che
dà accesso al cortile interno. La
sequenza ritmica delle aperture,
che oggi appaiono solamente
come semplici tagli rettangolari
nella muratura, è talvolta interrotta da lacerti in cotto di murature più antiche, che richiamano
un fasto cinque-seicentesco non
più pienamente intuibile.
Elementi eterogenei appaiono
disorganicamente nella facciata.
Tra questi le volute decorative
sommitali della torre quadrangolare e il disegno geometrico che
inquadra l’ingresso principale.
Planimetricamente il complesso
architettonico si compone di
più edifici con il corpo centrale
affacciato su una corte quadrangolare chiusa. I volumi nobili si
stagliano nel corpo interno parallelo all’attuale piazza Italia e
sono caratterizzati all’assenza di
una facciata finita che prospetta
la Corte d’Onore. La fronte verso
il parco, invece, presenta il classico schema delle ville di delizie
lombarde o dei palazzi extraurbani, con un corpo a U con ali
laterali poco aggettanti.
Sul fianco occidentale, parallelamente all’attuale via Bonsaglio,
si estendeva la parte rustica,
con alcuni volumi e una corte di
servizio.
Malgrado le dimensioni del complesso architettonico, il valore
indiscusso del palazzo è costituito dai cicli pittorici mitologici
delle sale interne, appartenenti
a tre distinte fasi decorative
settecentesche.
Principalmente collocate nei
volumi architettonici centrali dell’edificio le sale dipinte
sembrano rifarsi alla tradizione
decorativa lombarda dei secoli
precedenti, rinnovata da nuove
intuizioni formali nel Seicento.
La collocazione delle pitture
presenti nella villa, distribuite
a maniera di fregio con quattro scene principali incluse in
quadrature pittoriche talvolta
intervallate da scene monocrome
angolari, attestano la persistenza
di un modello superato negli
edifici dei grandi centri urbani,
ma ancora in uso nei palazzi di
campagna o negli edifici delle
famiglie meno “alla moda”.
Al primo periodo decorativo di
Palazzo Trotti appartengono le
pitture della sala principale del
piano terra, con ingressi diretti
rivolti verso la Corte e il giardino. Queste rappresentano le
storie di Cleopatra, alle quali
fanno seguito le scene dipinte
nelle sale di Ercole e di Semiramide, al piano terra, e nella Sala
di Minerva, al piano superiore.
Le pitture ivi presenti sono da
ascrivere ad un’unica mano e
alla sua bottega, che presenta
una chiara vocazione “figurista”
e disomogenei livelli qualitativi.
Differenti capacità esecutive
sono infatti riscontrabili anche
nella Sala di Cleopatra, nella
quale i risultati migliori sono
espressi dalle figure allegoriche
parietali. L’artista che lavorò in
queste quattro sale, caratterizzate da un’impostazione figurativa
unitaria, concluse i lavori tra il
1705 ed il 1706. Egli fu certamente coadiuvato da numerosi
aiutanti che lasciarono pitture
giudicate dalla Bossaglia a volte
“affrettate” e “involgarite”. Al
piano superiore, sul fianco della
sala centrale priva di decorazioni, si trova la Sala di Bacco, che
presenta affreschi qualitativamente assai superiori. Secondo
l’impostazione consueta delle
pitture della villa, alle pareti si
stagliano le scene connesse alla
divinità romana del vino e della
vendemmia, in cui la dolcezza
espressiva, la padronanza degli
effetti chiaroscurali e alcune
scelte figurative, sembrano compiute da un maestro lombardo
che precorre i tempi.
Maestro identificato
da molti storici con
pg.6
Carlo Donelli detto
il Vimercati, che
avrebbe dipinto queste scene tra
il 1710 ed il 1715.
Alla committenza della famiglia
Trotti e a un periodo non molto
discosto dal 1750 apparterrebbero le scene presenti nelle sale
delle ali minori del piano terra
(sale dell’Olimpo, di Atalanta e
di Diana) e del primo piano (sale
Angelica e Medoro, di Piramo
e Tisbe e di Andromeda). Esse
raffigurano scene mitologiche
di grande impatto lirico, per le
quali si è avanzata l’attribuzione al pittore ticinese Giuseppe
Antonio Orelli, considerato come
una delle personalità più acute
della pittura lombarda di metà
Settecento.
Oltre alle pitture la Villa custodisce interessanti tele, soffitti
lignei decorati con la diffusa
tecnica del “passa-sotto” e alcuni arredi, quali i camini di gusto
tipicamente settecentesco.
La più antica testimonianza storica delle vestigia di questo edificio, completamente rinnovato
tra la fine nel XVII e XVIII secolo, risale probabilmente al 1559,
anno in cui Bartolomeo Taeggio
pubblicò il volume intitolato “La
villa”, nel quale due personaggi
(Vitauro e Partenio) disquisiscono sui modi e i benefici di
abitare in città e in campagna. In
questo scritto Taeggio asserisce
che Lodovico Seccoborella “è si
vago della villa, et studio delle
belle lettere cotanto amiche del
silentio delle campagne, che
spesso fiate abbandona Melano
per la sua amenissima villa di
Vimercato”.
Sebbene il testo non contenga
alcuna descrizione del complesso architettonico è probabile che
a quel tempo fosse un piccolo
palazzo urbano afferente al
patrimonio immobiliare della
famiglia Seccoborella acquisito
tra il 1450 ed il 1775, anno in
cui G. Antonio ricevette l’investitura feudale da parte di
Galeazzo Sforza. Non tutti gli
storici concordano nel’individuare nell’attuale palazzo Trotti
l’edificio citato dal Taeggio e
avanzano l’ipotesi che si tratti
della casa da nobile del complesso della Cascina Borella di
Ornago, che, tuttavia, recenti
studi hanno individuato divenire
proprietà della famiglia Seccoborella solamente nel 1653.
Secondo A. Merati un’ulteriore
sommaria testimonianza iconografica dell’antica struttura vimercatese è contenuta nell’ano-
nimo dipinto ad olio raffigurante
la Gloria di San Carlo, conservato nell’oratorio di Sant’Antonio
Abate, certamente eseguito tra
il terzo ed il quarto decennio
del XVII secolo. In esso vi è
raffigurato il borgo di Vimercate con inserito, sul fianco del
campanile della chiesa di San
Francesco, una massiccia torre
con copertura a piramide tronca,
elemento ancora oggi caratteristico di Palazzo Trotti. La visione
idealizzata della cittadina e del
palazzo, sebbene abbastanza
precisa e corrispondente alla
realtà del tempo, non consente
di ricostruire nemmeno sommariamente l’aspetto architettonico
dell’edificio della famiglia Seccoborella, che tuttavia costituisce fondamentale testimonianza
iconografica compiuta di Palazzo
Trotti. Se accettata la ricostruzione di Merati, infatti, quest’opera
pittorica mostrerebbe il palazzo
nella sua conformazione degli
inizi del Seicento, ancor prima
degli interventi di ampliamento e
sistemazione voluti dai proprietari nel tardo XVII secolo.
Sul finire del Seicento la famiglia
Seccoborella decise un articolato
intervento di lavori, protrattisi
sino alla seconda metà del XVIII
secolo. Questi dovevano figurativamente dimostrare il potere
politico ed economico raggiunto
dalla famiglia, che trasformò la
“casa da nobile” delle origini in
un suntuoso “palazzo nobiliare” e in una splendida “villa di
delizia e villeggiatura”. Si tratta
di interventi che seguirono il
funesto periodo della peste di
manzoniana memoria, che fece
numerose vittime anche a Vimercate. I lavori furono intrapresi da
Giovanni Battista Seccoborella
quasi contemporaneamente alla
sistemazione del palazzo urbano
che la famiglia possedeva a
Milano in via Borgonovo.
La riqualificazione architettonica e decorativa dell’edificio
vimercatese fu dunque iniziata
da Giovanni Battista entro il
1685 e proseguì nei decenni successivi dal figlio Francesco sino
al 1701, anno della sua morte.
Tra la fine del Seicento e l’inizio
del settecento è probabile che si
definì l’impianto architettonico
generale del nuovo palazzo, che
nei decenni successivi fu nuovamente investito da un rinnovato
fulgore di trasformazione. A
questo periodo risale, ad esempio, il desiderio di rinnovare la
facciata principale del palazzo
prospiciente la corte signorile,
lavori presto interrotti per cause
incerte ancora adeguatamente da
indagare. Il ritrovamento recente
di documenti legati alla famiglia Seccoborella consentono di
attribuire a questa fase anche il
progetto di rifacimento generale
degli ambienti di servizio e delle
due ali laterali, sino a non molti
anni fa attribuiti alla famiglia
Trotti. La comparazione tra
l’inventario dei beni appartenuti
a Giovan Battista Seccoborella,
datato 13 settembre 1735, e
“l’Inventario della sostanza lasciata dal fu Co. Luigi Trotti fatta
dal Cittadino Giuseppe Trotti
in qualità di curatore del di lui
pronipote minore altro Giuseppe Trotti” (26 maggio 1796),
consente di ipotizzare che furono
proprio i primi proprietari a voler
sistemare i volumi architettonici
presenti nell’ala occidentale
del Cortile principale assegnati
al fattore e a far edificare le ali
minori del palazzo, successivamente decorate dalla famiglia
Trotti.
Il primo grande intervento decorativo fu commissionato da Giovan Battista Seccoborella dopo il
1701, anno in cui ereditò la proprietà dallo zio. Egli incominciò
i lavori con rinnovato impegno,
commissionando le pitture interne e parte dei cicli pittorici che
ancora oggi si possono ammirare
nelle sale del palazzo. Il primo
intervento interessò solamente
le sale centrali del piano terra
e del piano nobile, trovando
conclusione tra il 1705 (Sala di
Cleopatra) e il 1706 (Sala di Semiramide). A questa prima fase
pittorica ne seguì una seconda
compresa tra il 1710 ed il 1715,
corrispondente all’esecuzione
della Sala di Bacco. Essa è attribuita al periodo più maturo della
produzione artistica di Carlo
Donelli detto il Vimercati, deceduto
pg.7
nel 1715. Alcune
difficoltà economi-
che della famiglia, l’assenza di
un erede maschio nella casata
dei Seccoborella e il conseguente
“acquisto” della concessione di
ereditarietà dei diritti feudali per
linea femminile da parte di Giovan Battista a favore della figlia
Giulia, furono le probabili cause
dell’interruzione dei lavori alla
villa-palazzo. Essi ripresero dopo
la morte di Giovan Battista Seccoborella (1733) e l’acquisizione
del bene da parte di Giovan
Battista Trotti, che aveva sposato
Giulia Seccoborella nel 1718. A
questa nuova fase appartiene il
terzo momento decorativo del palazzo che Rossana Bossaglia ha
attribuito fin dagli anni Sessanta
a Giuseppe Antonio Orelli e alla
sua bottega. Si tratta di significative rappresentazioni pittoricomitologiche eseguite intorno alla
metà del XVIII secolo, tra le
quali spiccano per importanza le
sale dell’Olimpo, di Atalanta e
Diana, di Angelica e Medoro, di
Piramo e Tisbe e di Andromeda.
Con quest’ultimo intervento si
esaurì lo spirito di rinnovamento
che investì la residenza vimercatese, completando quel lungo
processo di trasformazione che
per molti anni aveva caratterizzato il luogo in cui, fino alla
fine del Settecento, si esercitò il
potere feudale. A seguito delle
riforme amministrative della
Lombardia e dell’abrogazione
dei diritti feudali Palazzo Trotti
divenne, sino al 1861, la casa di
villeggiatura privilegiata di una
delle famiglie più importanti di
Milano, che non disdegnava un
controllo diretto sulle attività
agricole svolte nelle proprietà
circonvicine.
Intorno alla metà del XIX secolo iniziò per Palazzo Trotti un
periodo di disinteresse, motivato dalla crisi economica che
investì la famiglia proprietaria.
Il palazzo e il giardino annesso
furono venduti all’amministrazione pubblica, che dal 1862 la
trasformò in sede municipale.
Numerosi adattamenti furono
attuati in questa occasione e
nella successiva decisione di far
occupare parte dei volumi architettonici occidentali dalle scuole
elementari.
Malgrado alcune modifiche e
trasformazioni complessivamente
il palazzo si è mantenuto integro,
divenendo anche oggetto, in
specifici momenti storici, di particolari tentativi di valorizzazione. Tra questi significativo, per il
suo valore iconografico, è quello
compiuto nei primi anni Trenta
di cui si conservano numerose
tracce negli archivi comunali.
Nel secondo dopoguerra la tutela
del Palazzo è stata oggetto di
accesi dibattiti, svoltisi anche in
relazione al concetto di conservazione dei centri storici. Negli
anni Settanta, inoltre, l’amministrazione ha provveduto a far
eseguire un nuovo dettagliato
rilievo del palazzo, fondamentale
momento per successivi interventi di manutenzione, restauro e
valorizzazione.
Il presente testo costituisce la
prima versione della Scheda di
Valorizzazione di Palazzo Trotti
redatta dall’autore per conto di
Regione Lombardia e pubblicata, per ragioni connesse ai limiti
dimensionali dei campi del sistema di catalogazione SIRBeC,
in maniera ridotta sul ortale dei
Beni Culturali regionali (www.
lombardiabeniculturali.it). Per la
lettura della scheda base (redatta
nel 1993 da Silvia Gibelli e
aggiornata nel 2010 da Roberto
Bresil e Emanuele Vicini) e della
Scheda di Valorizzazione (redatta
nel 2010 da Ferdinando Zanzottera) si rimanda a: http://www.
lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MI100-09337/
Per saperne di più:
- Isabella Micari, Il Palazzo
Trotti di Vimercate da dimora
feudale a casa di villeggiatura
(1475-1862), Università degli
Studi di Milano, Facoltà di Lettere e Filosofia, rel. Fiorella Frisoni, correl. Eugenio Riccomini,
tesi di laurea, dattiloscritto, a.a.
1997-1998.
- Rossana Bossaglia, Vimercate
– Palazzo Trotti, in: Maria Luisa
Gatti Perer (a cura di), Studi
e ricerche nel territorio della
provincia lombarda, Edizioni La
Rete, Milano, 1967, pp. 224228.
- Giovanna Virgilio, Vimercate.
Visita alla città e al suo territorio, Istituto per la Storia dell’Ar-
te Lombarda, Milano, 2003, pp.
11-13.
- Senza autore, Vimercate, in:
AA.VV., La Lombardia paese per
paese, Casa Editrice Bonechi,
1987, vol. VII, pp.491-500.
- Angelo Marchesi, Vimercate.
Chiese romaniche, affreschi gotici e “Ville di delizia”, Bellavite,
Missaglia (Lecco), 2001, pp.
13-26.
Ferdinando Zanzottera
ISAL
r i c o r d a
Lunedì 6 febbraio 2012
alle ore 17,30 nella
chiesa milanese di Santa
Maria Incoronata (Corso
Garibaldi, 116) sarà
celebrata una S. Messa
in suffragio della Prof.
Maria Luisa Gatti Perer,
fondatrice dell’Istituto per
la Storia dell’Arte Lombarda, in occasione del terzo
anniversario della morte.
pg.8
MISSION DI ISAL E ABBONAMENTO ALLA RIVISTA ISTITUZIONALE DELL’ISTITUTO
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