Scarica - Cittadinanzattiva Pavia
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Il Cittadino e la Salute Guida pratica destinata alle famiglie di Pavia e provincia, che informa sui vari servizi sanitari Per offrire una panoramica sulle figure del nostro sistema sanitario Per informare con semplicità e chiarezza sulle loro funzioni Per facilitare i rapporti fra l’utente e le strutture a cui ci si rivolge Perchè i cittadini siano più consapevoli dei propri diritti e doveri N.B. - Questa guida pratica nasce dalla consapevolezza e dalla necessità di dare un’informazione utile alle famiglie del territorio di Pavia e provincia, ed è per questo che viene distribuita gratis. Alle stesse famiglie diciamo che gratuito è anche l’operato di coloro che l’hanno caparbiamente realizzata, che sono i volontari dell’associazione Cittadinanzattiva Assemblea territoriale di Pavia - Onlus, che vive delle risorse derivanti unicamente da progetti utili, che non ricorre a nessuna questua, ma che utilizza anche delle “offerte volontarie” dei cittadini che intendono sostenerci con tali aiuti (anche modesti), quale premio-valutazione di merito al nostro operare, tipo la realizzazione de: “Il cittadino e la salute”. Eventuali offerte potranno essere effettuate tramite semplice vaglia postale intestato a: CittadinanzaAttiva Assemblea Territoriale di Pavia - Onlus - Via dei Mille, 130 - 27100 Pavia o tramite bonifico da eseguire c/o Banca Regionale Europea sul c.c. n°. 030175 ABI 06906 - CAB 11323 Filiale “Porta Cavour” - Corso Manzoni, 17 - Pavia (Le offerte sono tutte detraibili come previsto dall’art. 15 comma 1, lettera I-bis del D.p.R. n. 917/86) Le informazioni che integrano in parte il testo “base” sono costituite da parti integrali e/o suntate dal libro “Salute e diritti dei cittadini - Cosa sapere e cosa fare” di Teresa Petrangolini, Segretario Generale di CittadinanzAttiva già Segretario Nazionale del Tribunale per i diritti del malato (a cui si rimanda anche per le note bibliografiche). © Copyright Editori Riuniti - via Alberico II, 33 - 00193 Roma È per questo che invitiamo i cittadini interessati ad una maggiore conoscenza e ad un possibile impegno civico nell’Associazione CittadinanzAttiva - Onlus, regionale, locale, ad acquistare il testo sopra citato in vendita presso tutte le librerie, e così ottimizzare l’informazione contenuta ne “Il cittadino e la salute”. Il testo “base” è nato da un’idea di: CITTADINANZATTIVA - Tribunale per i diritti del malato Segreteria regionale della Lombardia Tutti i diritti sono riservati a: CittadinanzAttiva - Onlus sede nazionale - Segretario Generale Teresa Petrangolini CittadinanzAttiva - Onlus della Regione Lombardia - Segretario Andreina Valentino CittadinanzAttiva Assemblea territoriale di Pavia - Onlus - Coordinatore Giuseppe Tallarico In modo particolare ringraziamo il Commissario Straordinario dell’I.R.C.C.S. “S. Matteo” di Pavia, il Direttore Sanitario, il Direttore Scientifico, che, accordandoci il primo contributo pari a 2/3 dei costi della stampa di 4.000 copie, ed il già Sindaco di Pavia Dott. Andrea Albergati per averci garantito con delibera comunale la parte mancante, hanno dato certezza e quindi reso possibile la prima ristampa aggiornata de “Il cittadino e la salute”. La grande attenzione che la prima stampa sperimentale della ns. guida pratica, ha suscitato nelle famiglie di Pavia che l’hanno già ricevuta, ma anche ed in particolare la condivisione dimostrata da studenti e insegnanti delle scuole: I.P.S.C. “L. Cossa” - I.P.S.I.A. “G. Marconi” - I.S.S.S. “A. Cairoli” e I.S. “N. Copernico”, ha permesso l’ulteriore aggiornamento e quindi la riprogettazione della II ristampa il cui 70% del costo totale per le ulteriori 6.000 copie, ci è stato garantito attraverso il finanziamento dei bandi regionali ll.rr. 22/93 dall’Assessorato alle Politiche Socio Educative della Provincia di Pavia. Un ringraziamento particolare va quindi al già Assessore alle Politiche Socio Educative della Provincia di Pavia geom. Vittorio Braga e tutta l’equipe dell’Assessorato medesimo per la sensibile attenzione rivolta in particolare verso l’operato di Cittadinanzattiva Assemblea territoriale di Pavia - Onlus. N.B. Un ricordo particolarmente commosso lo dedichiamo alla memoria di Greta Albanesi che ha saputo amare la vita in ogni sua sfaccettatura, saggia, dolce e generosa che ha condiviso con i compagni delle classi III C/S e III A/S dell’Istituto delle Scienze Sociali “A. Cairoli”, l’operare per il progetto “Il cittadino e la salute” in cui si è distinta per la serietà, l’impegno e la costanza. Si ringrazia per la collaborazione alla riedizione definitiva: Dott.ssa Francesca Marcolin - Dip.to Psicologia Università degli studi di Pavia Dott.ssa Sara Peruselli - Dip.to Psicologia Università degli studi di Pavia Juljan Rushaj - Grafico Pubblicitario Dott.ssa Ilaria Baschenis e Dott.ssa Anna Sedda (per la collaborazione della prima stesura) © Edizione - Anno 2006 Stampa: Coop. Soc. “Il Giovane Artigiano” Pavia - e-mail: [email protected] Questa guida pratica viene dedicata con il dovuto ossequio a “Il medico del mondo - dott. Carlo Urbani” Il 29 marzo 2003 tutto il mondo conosce il nome di un italiano: Carlo Urbani, medico morto quella mattina in un ospedale di Bangokok, di Sars. Dirigente dell’Organizzazione mondiale della sanità, era responsabile per le malattie infettive e tropicali in Cambogia, Laos e Vietnam. Ma quando i medici dell’ospedale di Hanoi gli chiedono aiuto per curare un americano affetto da una strana, violentissima forma di polmonite, Carlo Urbani non ha incertezze: benché non rientri nei suoi compiti, indossa nuovamente il camice bianco. È il primo a capire di trovarsi di fronte a un nuovo virus, la Sindrome respiratoria acuta grave, il primo a isolarlo e a lanciare l’allarme. Uno dei primi a morirne. Carlo Urbani non era un eroe che voleva stupire il mondo. Il medico di Castelplanio (quel 29 marzo l’Italia ha conosciuto anche questo piccolo paese delle Marche) si sentiva in dovere di visitare quel malato perché fin da ragazzo aveva scelto di aiutare chi aveva bisogno. Era partito per l’Africa, era tornato, era stato medico di base nel suo paese, stava per diventare primario nel reparto di malattie infettive dell’ospedale di Macerata. Ma per lui fare il medico significava soprattutto dare voce a chi non ce l’ha. Voleva ribellarsi all’ingiustizia di un mondo nel quale chi non ha denaro non ha diritto ai farmaci e alle cure. Dal 1996 nei Mèdecins sans frontières, nel 1999 è diventato presidente per l’Italia di questa associazione, e nello stesso anno ha fatto parte della delegazione che ha ritirato a Oslo il premio Nobel per la Pace. Questa dedica è parte del libro “Il medico del Mondo - Vita e morte di Carlo Urbani” di Jenner Meletti - Ed. Il Saggiatore, nel quale c’è il racconto della sua battaglia, nelle parole di chi gli è stato più vicino: la moglie e i figli, la madre, gli amici, i colleghi che lasciano gli ospedali “in cui si fanno convegni sulla caduta dei capelli” per andare in luoghi dove i bambini muoiono perché manca l’acqua potabile. Un libro dedicato a un uomo che nella vita ha fatto molte cose. Per portare avanti il suo grido di dolore contro l’indifferenza, e non certo per arricchirsi alle spalle dei pazienti. Il seguito è parte di una lettera scritta ad un’amico: “Sono cresciuto inseguendo il miraggio di incarnare i sogni. E ora credo di esserci riuscito. Ho fatto dei miei sogni la mia vita e il mio lavoro. Anni di sacrifici (non mi sono mai accorto di guadagnare soldi, anche perché li ho sempre spesi tutti in questo investimento) mi permettono oggi di vivere vicino ai problemi, a quei problemi che mi hanno sempre interessato e turbato. Quei problemi oggi sono anche i miei, in quanto la loro soluzione costituisce la sfida quotidiana che devo accettare. Ma il sogno di distribuire accesso alla salute ai segmenti più sfavorevoli delle popolazioni è diventato oggi il mio lavoro. E in quei problemi crescerò i miei figli, sperando di vederli consapevoli dei grandi orizzonti che li circondano, e magari vederli crescere inseguendo sogni apparentemente irraggiungibili, come ho fatto io.” “Quando verrete là, diceva, capirete di essere una nullità.Una goccia d’acqua nel deserto. Ma capirete quanto quella goccia sia necessaria”. Il Cittadino e la Salute 5 CittadinanzAttiva Assemblea territoriale di Pavia - Onlus c/o Ufficio Animazione Anziani - Via dei Mille, 130 27100 Pavia - Tel/Fax 0382.309714 - 531749 E-mail: [email protected] - Sito web: www.cittadinanzattiva.pavia.it c/c n° 323/30175 Banca Regionale Europea Coordinatore dell’Assemblea: p.i. Giuseppe Tallarico Vice-Coordinatore: Rag. Lorenzo Dellapiana Segretaria - Economo: Sig.ra Carla Gibelli Comitato scientifico: Prof. Arturo Mapelli - Presidente Comitato di Bioetica - Policlinico “S. Matteo” di Pavia Dott. Mario Melazzini - Dirigente Medico Fondazione “S. Maugeri” di Pavia Dott. Antonio Ricci - Dirigente Medico - Policlinico “S. Matteo” di Pavia Dott.ssa Alessandra Mazza - Libero professionista - Medicina legale di Pavia Prof.ssa Maria Assunta Zanetti - Dirigente Dip.to Psicologia - Università degli studi di Pavia Prof. Claudio Tanzi - Preside Liceo di Scienze Sociali “A. Cairoli” di Pavia Prof.ssa Rosella Castellani - Liceo di Scienze Sociali “A. Cairoli” di Pavia Prof.ssa Barbara Rosanna - Istituto Scientifico “N. Copernico” di Pavia Prof.ssa Zorzoli Claudia - Istituto Professionale Scienze Statali “L. Cossa” di Pavia Prof. Marco Priano - Istituto I.P.S.I.A. “L. Cremona” di Pavia Sig.ra Valeria Uggetti - Coordinatrice sito web Cittadinanzattiva - Pavia Aree di intervento: in particolare è sul fronte della tutela dei diritti nella sanità, nella pubblica amministrazione, nella giustizia, nel governo del territorio, nella formazione, che CittadinanzAttiva non ha soltanto reclamato, ma sperimentato per i cittadini, un ruolo da protagonisti. Infatti, fin dall’inizio essa ha operato per prevenire, limitare o rimuovere posizioni di sofferenza, di soggezione, di sudditanza, situazioni di disagio e di discriminazione, pericoli per le libertà personali e collettive, attentati alla integrità fisica, psichica, alla dignità delle persone. Come siamo organizzati: per rispondere alle molte problematiche che agli argomenti di interesse comune, CittadinanzAttiva si è organizzata in un sistema di reti già operanti: Rete-Tribunale per i diritti del malato: nato nel 1980 operano per la tutela dei diritti nei servizi sanitari e/o assistenziali attraverso la ricerca delle soluzioni utili per rimuovere situazioni di disagio e di sofferenza inutile: Resp.le Giuseppe Tallarico. I volontari che garantiscono il servizio di ascolto sono: Silvia Bossi - Carla Gibelli - Lucia Grassi Francesca Leo - Anna Maria Liberali - Alba Malinverni - Raimonda Ruiu. Rete-Giustizia per i diritti: attiva dal 1990 la rete fatta da professionisti del diritto (avvocati, medici legali, specialisti) che attuano la difesa legale per la tutela dei diritti lesi nel mondo della giustizia e sanità. Gli Avvocati volontari con convenzione che garantiscono il servizio sono: Fabrizio Arbasino - Davide Dondoni - Paola Dorigoni - Cinzia Faravelli - Rosa Foceri - Daniele Lastrinetti - Bernardo Marino. I Medici legali volontari con convenzione che garantiscono il servizio sono le Dottoresse: Cinzia Bottarini - Lucia Cheso - Alessandra Mazza. Rete-Coord.to Pavese delle associazioni malati cronici: pone le problematiche della cronicità al centro dei servizi sanitari ed assistenziali: Resp.le Francesca Leo. Rete-Pit. (Progetto Integrato di tutela) Salute - Servizi: Resp.le Paolo Del Fiol Rete-Scuola di cittadinanza attiva (formata da insegnanti, ecc.): mira a rispondere alla crescente domanda di formazione ed aggiornamento dei cittadini. Il Cittadino e la Salute 7 Recensioni Autorità i sono iniziative, e questa è tra le più meritevoli di attenzione, che sanno valorizzare ciò che c’è e soprattutto intendono orientare il cittadino utente quando si pone un bisogno di grande impatto sulla persona e sulla famiglia, sia in tema di salute che di assistenza. L’informazione è la base della conoscenza. Con la conoscenza delle possibili soluzioni, sul terreno della socio-sanità, si giunge all’uso migliore delle risorse messe in campo in particolari settori della sanità e della assistenza. Il progetto dell’Associazione CITTADINANZATTIVA Assemblea territoriale di Pavia - Onlus è tanto più significativo perché frutto della iniziativa di una ONLUS, di una realtà del privato sociale, che interviene in modo sussidiario e diretto per aiutare chi è in difficoltà. In questa occasione la Pubblica Amministrazione, l’Ospedale in particolare, ma la cittadinanza intera, non possono che essere grati di questa libera manifestazione di attenzione e servizio, che giunge a fornire in modo dettagliato i consigli più importanti, le informazioni indispensabili all’utenza per una molteplice casistica di criticità e di soluzioni. Ad esempio si passa dall’azione di prevenzione all’approccio delle patologie più invalidanti, dalla ricetta, alla donazione degli organi, al Voucher socio sanitario, sempre con la preoccupazione di affermare “di che si tratta, come fare, che cosa è?”. Un modo diretto di interagire e di proporre percorsi, con linguaggio semplice, è l’immedesimazione nei problemi dell’utente. Tali problemi sono infine esaminati sia sotto il profilo socio sanitario sia sotto quello socio assistenziale, mostrando in modo esemplare la centralità della persona i cui bisogni sono di natura complessa, e che vanno visti nell’ottica della attenzione alla molteplicità e alla integrazione delle risorse, dei percorsi e delle soluzioni. Il mio Assessorato augura a questa iniziativa il successo che si riserva a ogni iniziativa veramente utile al Cittadino e alla Pubblica Amministrazione e che migliora l’indubbia esigenza di comunicazione e di informazione. V GIAN CARLO ABELLI Assessore alla famiglia e alla Solidarietà Sociale della Regione Lombardia icerca scientifica e sviluppo della medicina mettono a disposizione del cittadino risultati sempre nuovi; chi usufruisce del servizio reso dalla medicina si trova a vivere in una società sempre più complessa ed intricata. Ben venga questo compendio di conoscenze che mette ordine in una materia vasta ed in continuo divenire. Il segno che dà questo manuale è anche un altro: non posso interessarmi della mia salute personale senza avvertire che tutte le persone hanno diritto alla cura ed al rispetto per il loro corpo. Vi è un dovere di solidarietà nei confronti di tutti. E poi: tanto più si vigila sulla salute del cittadino quanto più si impara a riflettere sul più complessivo e generale diritto alla vita e alla vita buona. Cresca in ciascuno il decisivo impegno a dare un significato al tempo della propria vitalità e al tempo della propria debolezza. Per comprendere meglio se stessi e accogliere sempre l’altro con attenzione e rispetto. R † MONS. GIOVANNI GIUDICI Vescovo di Pavia 8 Il Cittadino e la Salute con vero piacere che osservo come ancora una volta “CittadinanzAttiva” si confermi quale associazione dinamica, efficiente ed impegnata a rendere un servizio alla collettività. L’idea di realizzare un vademecum di orientamento al complesso mondo della Sanità è lodevole, tanto più che le recenti innovazioni normative ed organizzative all’interno del sistema sanitario rendono il cittadino confuso ed incerto rispetto ai percorsi che deve intraprendere per accedere alle varie prestazioni. E questa sensazione contribuisce ad accrescere la diffidenza verso le Istituzioni da parte dei cittadini. Ed in qualità di cittadino, prima ancora che il Prefetto, mi auguro che questa guida abbia una grande diffusione e che di pari passo cresca la conoscenza e la consapevolezza dei propri diritti e dei propri doveri, da parte di tutti, finalità che persegue con tenacia “CittadinanzAttiva” e che le Istituzioni non possono non assecondare. È DOTT. DOMENICO GORGOGLIONE Già Prefetto di Pavia cittadini hanno diritto ad essere informati di ciò che li riguarda direttamente; senza l’informazione nessun processo di reale informazione è realizzabile. Questo principio, letto dalla parte delle Istituzioni, ci aiuta inoltre a capire quanto un’organizzazione pubblica sia aperta e disponibile a fornire le informazioni sul proprio funzionamento e sui servizi che possono venire richiesti dall’esterno. Così come una migliore comunicazione interna ed esterna aiuta a realizzare servizi orientati al cittadino. È a partire da questi assunti che prende avvio l’elaborato di CittadinanzAttiva, che è il frutto di un paziente lavoro di tessitura di rapporti fra i numerosi attori che operano in campo socio sanitario. L’augurio è che anche questa iniziativa possa rappresentare un’ottima premessa a una collaborazione fra i soggetti che operano nella nostra comunità, a una messa in rete delle rispettive esperienze, specificità, culture, visioni, responsabilità. I GEOM. VITTORIO BRAGA Già Assessore alle Politiche Socio Educative della Provincia di Pavia ’impegno e la sollecitudine costantemente espressi da CittadinanzAttiva rispetto a tutti i temi di interesse collettivo connessi alla tutela dei diritti delle persone, con speciale attenzione alla salute e all’assistenza socio-sanitaria, trovano ulteriore conferma in questa nuova guida di Pavia e provincia. “Il cittadino e la salute” rappresenta infatti un compendioso strumento per informare e rendere più consapevole ogni persona delle leggi, delle strutture, dei servizi che regolano l’offerta di assistenza sanitaria, per meglio orientarsi nei contatti con il mondo della sanità e per affrontare piccole grandi emergenze e vecchi e nuovi problemi legati alla salute. Sembra ancor più importante avere a disposizione questa guida proprio a Pavia che offre poli sanitari di eccellenza per i quali la nostra città è meta e riferimento per persone provenienti da tutta Italia: se è vero infatti che la salute è un diritto per tutti, tale diritto non può essere disgiunto da quello ad un’informazione attenta e puntuale che consenta a ciascuno di conoscere i diritti, doveri, opportunità e limiti su cui fondare le proprie azioni a tutela della salute. Ringraziamo quindi CittadinanzAttiva Assemblea Territoriale di Pavia - Onlus, non solo per questa ulteriore testimonianza di sensibilità e di impegno su un fronte delicato ed importante ma anche e soprattutto per l’infaticabile costanza con cui conduce una pacifica battaglia di civiltà nell’interesse di tutti e di ciascuno. L DOTT. ANDREA ALBERGATI Già Sindaco di Pavia Il Cittadino e la Salute 9 derire all'invito di partecipare fattivamente a tanto lodevole iniziativa è stato, per noi, un piacere ed un onore. CittadinanzAttiva è ormai, per il Policlinico “San Matteo”, un interlocutore insostituibile, che accoglie chiunque lamenti un torto od un vero e proprio danno alla salute, che ne valuta preventivamente la concretezza e, quindi, si propone come intermediario, ormai fatto esperto e, dunque, davvero efficace ed efficiente. Anche nel sollecitarci a modificare comportamenti a volte non proprio virtuosi, ad una sfida continua verso l’eccellenza, professionale ed umana. CittadinanzAttiva è, inoltre, una fucina inesauribile di idee strabilianti, volte a diffondere una nuova cultura, che parte dalla conoscenza dei bisogni, per arrivare alla consapevolezza delle reali potenzialità, anzitutto individuali. CittadinanzAttiva ha meritoriamente investito sui giovani, che saranno il sostegno dei futuri anziani ed, insieme, gli educatori dei ragazzi di domani. A loro ed alle loro famiglie si rivolge questo volume, preziosa fonte di informazioni anzitutto pratiche, utilissime allorché la salute sembri o sia in pericolo ed il tempo, quindi, appaia come risorsa ancor più apprezzata da conservare. I giovani vi troveranno, però, anche i Principi, sui quali si fondano i diritti e le libertà fondamentali della persona, sana e malata, sui quali meditare e crescere, facendo esercizio di solidarietà e partecipazione. A DOTT.SSA LUIGINA ZAMBIANCHI Direttore Sanitario d’Azienda I.R.C.C.S. Policlinico S. Matteo - Pavia l valore della salute, intesa come bene prezioso per ogni cittadino, trova indubbiamente in questa iniziativa di CittadinanzAttiva un supporto utilissimo per la salvaguardia di quello stato di equilibrio psico-fisico e sociale che permette ad ognuno di noi di vivere ed operare in questa società nelle condizioni migliori per la realizzazione della propria persona. La salute, come è ormai riconosciuto, non è solo un diritto del cittadino, peraltro sancito dall’art. 32 della nostra Costituzione, ma è anche un dovere, sia della collettività che di ogni individuo. Ognuno, consapevole del proprio ruolo nella famiglia e nella società in cui vive, deve responsabilmente salvaguardare il proprio stato fisico e psichico dalle numerose insidie che, con varie modalità, caratterizzano il nostro tempo. Esporsi consapevolmente ai noti fattori di rischio è, sul piano etico, riprovevole ed è causa di un notevole dispendio di risorse preziose per la cura di chi, senza colpa, è colpito da gravi patologie. La dettagliata serie di informazioni contenuta in questa “guida” ad uso dei cittadini costituisce un momento rilevante di educazione alla salute e di educazione civica, non privo di implicazioni e valenze di carattere etico e deontologico. Per tutte queste ragioni desidero esprimere il più vivo apprezzamento per questa pregevole iniziativa di CittadinanzAttiva, alla quale auguro tutto il successo che merita. I PROF. ARTURO MAPELLI Presidente del Comitato di Bioetica I.R.C.C.S. Policlinico S. Matteo di Pavia 10 Il Cittadino e la Salute Sommario INTRODUZIONE PAG.15 LEGISLAZIONE E DOCUMENTI 1. La Costituzione Italiana - Diritti e doveri Pag. 17 2. Carte dei diritti - cosa sono Pag. 17 3. Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea Pag. 18 4. Carta dei diritti alla persona - Sezione Europea O.M.S. Pag. 20 5. Carta europea dei diritti del malato Pag. 21 6. Carta della Cittadinanza attiva Pag. 22 7. Le leggi Regionali della Lombardia per i diritti del malato Pag. 23 8. L’Assistenza Sanitaria - Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.) Pag. 25 9. La Carta Regionale dei Servizi Pag. 27 10. La scuola in ospedale: il diritto allo studio. Pag. 28 11. L’illecito penale in ospedale Pag. 31 12. Informazione sanitaria – Principi dei diritti e dei doveri di informazione Pag. 34 13. Diritti e doveri del cittadino Pag. 35 14. Il consenso “ valido” (informato) Pag. 38 ORGANISMI 15. L’ufficio U.R.P. (Ufficio Relazioni con il pubblico) Pag. 40 16. L’Ufficio P.T. (Pubblica tutela) Pag. 40 17. I Comitati di bioetica. Pag. 40 18. L’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri Pag. 41 19. Il Cittadino e il Medico di Famiglia Pag. 42 20. Il Pediatra di famiglia Pag. 45 21. L’Infermiere e l’Assistenza Infermieristica Pag. 46 22. La Guardia Medica Pag. 48 23. Il Servizio del 118 Pag. 49 24. Le cure all’estero Pag. 50 25. La prescrizione della ricetta medica Pag. 51 26. Il Pronto Soccorso Pag. 52 ASSISTENZA SANITARIA 27. Vaccinazioni per l’infanzia Pag. 57 28. Assistenza farmaceutica Pag. 59 29. Assistenza integrativa Pag. 60 30. Handicap Pag. 61 Il Cittadino e la Salute 11 31. Assistenza protesica Pag. 63 32. Esenzioni del ticket sui farmaci Pag. 64 33. Invalidità civile Pag. 65 34. Servizio di medicina legale e preventiva Pag. 66 35. Servizio tossicodipendenze Pag. 66 36. Servizio veterinario Pag. 67 ASSISTENZA PER IL SOCIALE 37. Protezione civile Pag. 69 38. Servizio civile Pag. 71 39. Consultorio per il sostegno alla famiglia Pag. 73 40. Corsi di preparazione al parto Pag. 73 41. Spazio giovani Pag. 73 42. Adozione Pag. 74 43. Affido familiare Pag. 74 44. Quando la coppia scoppia: bambini e separazione Pag. 75 45. Mediazione familiare Pag. 77 ITER OSPEDALIERO 46. L’Ospedale – Ricovero ospedaliero Pag 79 47. Il ricovero: ordinario - programmato - urgente Pag. 79 48. Il percorso chirurgico Pag. 80 49. Consigli per il paziente che deve affrontare un intervento chirurgico Pag. 81 51. Day Hospital Pag. 82 52. Day Surgey Pag. 82 53. A chi rivolgersi durante il ricovero Pag. 82 54. La terapia del dolore Pag. 83 55. Le piaghe da decubito Pag. 85 56. La guarigione: completa - parziale - trasferimento Pag. 86 57. La dimissione Pag. 87 58. Come tutelarsi in caso di dimissioni forzate Pag. 87 59. La cartella clinica Pag. 88 L’AZIONE DEL CITTADINO 12 60. La donazione degli organi Pag. 91 61. La donazione del sangue Pag. 92 62. Il trapianto allogenico di Cellule Staminali Emopoietiche Pag. 93 63. La Banca del Sangue del Cordone Ombelicale Pag. 94 Il Cittadino e la Salute L’UTENZA 64. I diritti del bambino – Accoglienza nel Pronto Soccorso pediatrico Pag. 95 65. L’anziano e i suoi diritti Pag. 97 66. A.D.I. Assistenza Domiciliare Integrata Pag. 97 67. O.D. Ospedalizzazione Domiciliare Pag. 98 68. R.S.A. Residenze Sanitarie Assistenziali Pag. 98 69. Assistenza presso l’Hospice Pag. 99 70. Progetti per il “Sollievo” Pag. 100 71. Strutture per le lunghe degenze Pag. 100 72. Il Voucher socio-sanitario Pag. 100 73. I farmaci e l’anziano Pag. 103 74. La gravidanza ed il parto Pag. 104 75. La salute mentale – Il Dipartimento di Salute Mentale Pag. 104 76. Il diritto della salute in carcere Pag. 105 COME EDUCARE PER PREVENIRE SITUAZIONI DI DISAGIO 77. Uno sguardo sulla famiglia: la famiglia e i suoi adolescenti Pag. 107 78. La formazione – Volontariato in Pediatria Pag. 114 79. La formazione – Educazione alla cittadinanza Pag. 115 QUELLO CHE OGGI E’ IMPORTANTE CONOSCERE: 80. Non solo S.A.R.S. (Severe acute Respiratory Sindrome) Pag. 119 81. Influenza Aviaria e Influenza Stagionale Pag. 120 82. Infezioni ricorrenti nel bambino Pag. 121 83. L’Asma Pag. 123 84. Le misure igieniche ambientali di prevenzione Pag. 125 85. Allergia agli acari della polvere Pag. 126 86. Dialisi Pag. 128 87. Pazienti in terapia anticoagulanti orali Pag. 130 88. Parliamo di BPCO: una malattia dei bronchi e dei polmoni Pag. 132 89. Convulsioni febbrili Pag. 133 90. Il malato oncologico Pag. 133 91. Il bambino malato oncologico Pag. 136 92. La malattia di Parkinson Pag. 138 93. La malattia di Alzheimer Pag. 139 94. Codice Europeo contro il cancro Pag. 142 95. La prevenzione del rischio cardiovascolare Pag. 142 96. L’Ictus Cerebrale Pag. 143 97. La cardiopatia Ischemica Pag. 146 Il Cittadino e la Salute 13 98. L’Epilessia e sue cause Pag. 146 99. La malattia di Huntington Pag. 147 100. La Sclerosi Laterale Amiotrofica Pag. 148 101. Le malattie rare Pag. 151 102. Disabilità intellettiva (e invalidità civile) Pag. 152 103. Il Diabete infantile Pag. 155 104. Il Diabete non Autoimmune Pag. 156 105. La Celiachia Pag. 158 106. La Dermatite Atopica (eczema) Pag. 162 107. La stitichezza Pag. 163 108. Le infezioni delle basse vie urinarie: le Cistiti Pag. 164 109. Farmaci: uso - conservazione - scadenza Pag. 165 110. Alcol - Farmaci - Droghe Pag. 166 111. Uso dei farmaci denominati “GENERICI” Pag. 167 112. Vale la pena curarsi da soli? Pag. 168 113. Le liste di attesa Pag. 168 114. Cosa deve sapere (e fare) un cittadino Pag. 169 115. Il corretto uso dell’Intramoenia Pag. 169 INTERAZIONE VIA WEB 116. La tutela della salute online Pag. 171 117. www.sanita.it (sito della Sanità nazionale) Pag. 171 118. Sistema Sanitario Regionale della Lombardia Pag. 171 119. www.cittadinanzattiva.it (sito di CittadinanzAttiva - Onlus nazionale) Pag. 172 120. La tutela e l’attuazione pratica dei diritti negati all’ammalato Pag. 173 PROGETTAZIONE - FUTURO 121. 14 Il Sportello di ascolto psicologico Cittadino e la Salute Pag. 174 Introduzione La salute degli italiani, quindi la nostra salute, è buona e l’allungamento della vita dimostra che essa migliora nel tempo; la conferma ci viene data da una prevalente e buona qualità della vita che si gode anche negli ultimi anni della vecchiaia. Acquisita questa certezza, ci siamo mai chiesti da cosa può dipendere tutto questo? Per prima cosa dipende dalla nostra volontà e dal nostro attaccamento alla vita, dalla nostra sempre più vigile attenzione alle buone regole per conservare la salute, senza dimenticare che è anche una questione di conoscenze e relativo utilizzo dei risultati della scienza e dei suoi grandi traguardi raggiunti, sia nella ricerca medica di base che clinica ed alle sue prospettive di ulteriori conoscenze (capacità nell’utilizzo delle cellule staminali, ecc.), con la necessaria consapevolezza che, per quanto più certezze ci vengono rese disponibili, queste, non potranno mai vincere tutte le malattie e la morte. La fortuna, che non tutti gli italiani però considerano e/o conoscono, è che, nel tempo, i nostri “governanti” ci hanno dotato di un Servizio Sanitario Nazionale che molte altre nazioni al mondo ci invidiano, sia per la sua polivalenza che per la garanzia di assistenza, che su tutto il nostro territorio è a disposizione di ogni cittadino italiano e non. Si parte infatti dalla certezza-ausilio di un medico di famiglia per i cittadini adulti ed il pediatra di fiducia per i più piccoli, mentre l’assistenza ospedaliera, nell’essenziale garantita a tutti, è disponibile sul territorio attraverso la presenza di centri sanitari di diverso livello e specializzazione, che colmano anche con certezze ed eccellenze le sempre più onerose necessità (leggi trapianti) al punto che ogni italiano può non preoccuparsi più di tanto delle spese nell’affrontare una grave malattia, cosa che invece accade negli U.S.A. ed in altri paesi ritenuti all’avanguardia nella nostra stessa Europa (Inghilterra). Per tutto questo, e fatti salvi sempre i casi di malasanità – pochi di sistema e nella maggioranza dovuti a comportamenti di singoli – la qualità dell’assistenza negli interventi necessari e indispensabili garantiti a tutti (seppure differenziata sul territorio) è mediamente di buon livello se si considera che la spesa, pari al 6% del PIL, è tra le più basse in Europa. Accertato tutto ciò, perché quasi 1 cittadino su 3, se intervistato, si dichiara insoddisfatto del suo Servizio Sanitario Nazionale? Una delle ragioni è che la qualità dell’assistenza non viene ancora misurata e/o resa pubblica quanto dovuta e quindi non viene percepita nella giusta misura, e con ragione. Il cittadino-paziente-utente non si sente al centro delle cure, ritiene che medici e operatori sanitari, in genere, pur occupandosi delle sue malattie, lo trascurano sul piano umano, non comunicano adeguatamente e/o a sufficienza con lui, non lo informano nella giusta misura – com’è suo diritto – circa le condizioni della sua salute: si sente Il Cittadino e la Salute 15 trascurato anche nella sua individualità perché spesso si sente dire semplicemente “firmi qui”. Tale disagio è meno avvertibile nelle strutture sanitarie a pagamento, anche se, in queste, lo stesso paziente affronta altri rischi. L’ospedale, risorsa-necessità estrema-preziosa, deve rispondere idealmente e nella organizzazione alla primaria necessità di porre al centro l’ammalato (ora anche cliente) con tutte le sue problematiche, garantendo fin dove possibile, il suo bisogno di assistenza, senza dimenticare l’economicità generale delle spese di intervento. Accanto alla struttura ospedaliera, anche ad alta tecnologia, è sempre più necessaria la presenza di luoghi di ricovero e cura che soddisfino e ridiano dignità alle lungodegenze sia per la riabilitazione che per altre innumerevoli, imprevedibili e sempre più complesse esigenze. Vista la rapidità di rinnovamento ed arricchimento delle conoscenze mediche, è necessario che chi andrà a lavorare e/o gestire tali strutture siano medici ed operatori sanitari sempre più preparati nella loro specificità, al fine di risultare sempre più efficaci nello svolgimento della loro mansione. È bene precisare però che anche il cittadino-ammalato è chiamato a collaborare con il S.S.N. ed i suoi operatori sanitari, operando alla necessità scelte sempre più ponderate, sempre nella consapevolezza dei limiti delle risorse sanitarie di cui necessita, al fine di non sprecarle e quindi ottenerne il massimo beneficio con il minimo rischio. La scelta del cittadino-ammalato potrà essere effettuata in modo accorto: 1) se sarà guidata dal ponderato consiglio-indirizzo del medico di fiducia-famiglia (di cui si auspica vivamente una più adeguata considerazione di ruolo, visto l’utilizzo sempre più inappropriato di questi ultimi tempi) e degli specialisti consultati; 2) se sarà accompagnata da un’ampia informazione sulle malattie e relative cure, sugli esami diagnostici e naturalmente sull’ubicazione dei servizi sanitari disponibili sul suo territorio; 3) se sarà sostenuta da una nuova linea di comunicazione che deve far dialogare efficacemente tra loro, il cittadino-ammalato, gli operatori sanitari, i medici, gli ospedali. Ciò ridarà fiducia al nostro Servizio Sanitario Nazionale (e così se ne eviterà un eventuale smantellamento). Giuseppe Tallarico 16 Il Cittadino e la Salute LEGISLAZIONE E DOCUMENTI 1. LA COSTITUZIONE ITALIANA - DIRITTI E DOVERI Il fondamento giuridico del diritto alla salute è sancito dall’art. 32 della Costituzione italiana che riconosce alla salute la duplice natura di diritto fondamentale del cittadino e di dovere della collettività. Art. 32 “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Per questo, è fondamentale che tutti i cittadini prendano coscienza sia dei propri diritti che dei doveri, e s’impegnino a tutelarli avvalendosi di quanto previsto nell’ultimo comma dell’art. 118. Art. 118 “Stato, regioni, province, città metropolitane e comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale sulla base del principio di sussidiarietà”. 2. CARTE DEI DIRITTI - COSA SONO Le carte dei diritti hanno preso l’avvio negli anni ’80, come risposta dal basso alle carenze, alle violazioni e ai disservizi del servizio sanitario, e la loro produzione è proseguita negli anni ’90. Questo percorso però non ha portato al riconoscimento formale generale delle carte medesime (fu presentata nell’86 una legge in Parlamento, che però non fu mai approvata). Nonostante questo, esse continuano a rappresentare un riferimento essenziale per la tutela dei diritti dei cittadini in campo sanitario in Italia, in Europa, nel mondo. Le caratteristiche delle Carte dei diritti In ambito sanitario, in questi anni, sono nate circa 90 carte dei diritti del cittadino malato. La prima di queste risale al 1980 e fu proclamata a Roma su iniziativa del Tribunale per i diritti del malato. Sull’esempio di questa prima Carta dei 33 diritti del cittadino malato sono nate le altre nelle diverse zone d’Italia. È comunque stato sempre difficile fare un elenco dei diritti contenuti nelle carte, tanto che nel 1994 lo stesso Tribunale per i diritti del malato tentò di fare una prima lista dei diritti contenuti in tali documenti. Ne venne fuori un elenco di 100 diritti raggruppabili nei seguenti 15 gruppi: 1G. La competenza e la professionalità degli operatori. In questa area sono compresi diritti come quelli relativi al ricevere una diagnosi preventiva, accurata e coscienziosa o ad essere seguiti dal medico di famiglia in ospedale. 2G. La qualità e la adeguatezza della assistenza. Ad esempio: ricevere la terapia con continuità, quindi anche la domenica, o avere una risposta tempestiva al suono del campanello. 3G. L’efficacia delle strutture di pronto soccorso, dal trasporto alle attrezzature tecniche. 4G. L’eliminazione di sprechi di tempo e di denaro, quali le file, le attese e gli adempimenti burocratici, il pagamento delle mance, l’assistenza notturna a pagamento. Il Cittadino e la Salute 17 5G. La deospedalizzazione, con il diritto ad usufruire dei day hospital e dell’assistenza domiciliare. 6G. L’adeguatezza delle strutture e delle strumentazioni, con le necessarie garanzie di sicurezza contro infezioni e radiazioni; la possibilità di usufruire di ascensori, carrozzine e di tutto ciò che necessita a un malato per muoversi; la eliminazione delle barriere architettoniche. 7G. Il rispetto della dignità e dei diritti delle persone, che prevede il diritto al pudore, alla privacy circa la propria cartella clinica, al proprio nome, ad usufruire di sistemi di chiusura dei gabinetti e della possibilità di non spogliarsi in pubblico, alle pari opportunità in base al sesso, alla religione, alla nazionalità, ecc.; a non essere ingiuriati e insultati, ad essere rispettati anche se detenuti. 8G. La protezione dei soggetti deboli, in particolare dei soggetti non autosufficienti, degli anziani, dei tossicodipendenti, delle partorienti, degli emodializzati, dei malati di Aids, dei malati di mente. 9G. L’informazione, circa la diagnosi, la terapia e il dolore da sopportare, circa le sperimentazioni cliniche, circa la possibilità di accedere alla propria cartella clinica, nonché il diritto a interagire con personale dotato di cartellino di riconoscimento o a conoscere anticipatamente gli onorari dei medici. 10G.La salvaguardia dei ritmi di vita dei cittadini, con particolare riguardo alla sveglia, ai pasti, con la possibilità di utilizzare sale di socializzazione, ad usare il telefono, ad orari di visita adeguati. 11G.Il comfort, con categorie di diritti che riguardano l’igiene, il numero dei letti per stanza, l’adeguatezza del proprio posto letto (campanello, materassi e cuscini comodi, armadietti, ecc.), il numero e lo stato dei servizi igienici, la qualità del cibo e della dieta. 12G.La tutela dei diritti e la partecipazione, con il diritto al riconoscimento del danno subìto, ad essere rappresentati dalle organizzazioni civiche, ad essere tutelati in caso di sciopero, a partecipare a momenti di contrattazione. 13G.La tutela del parto, con riferimento alla natura non patologica del parto, il diritto alla presenza del bambino accanto alla madre, all’uso delle tecniche innovative, alla presenza di un congiunto. 14G.L’accoglienza del bambino malato, con la presenza del familiare, di una sala giochi, la possibilità di proseguire la scuola, la possibilità di ridurre i ricoveri e il tempo della loro durata. 15G.Il rispetto della morte, con la possibilità per i parenti di riavere le spoglie in tempi brevi, la garanzia del rispetto della dignità dei malati terminali, la disponibilità di locali adeguati per le fasi finali della vita e per la camera ardente. Successivamente, a seguito delle diverse manovre di contenimento della spesa sanitaria, si è sentita l’esigenza di produrre una nuova carta, finalizzata a dettare le regole per conciliare le esigenze di risparmio con la necessità di migliorare la qualità e la accessibilità dei servizi. 3. CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA La Carta è il risultato di una procedura originale, e senza precedenti nella storia dell’Unione europea, viene varata il 7 dicembre 2000 in occasione del Consiglio Europeo di Nizza. La Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea riprende in un testo unico, per la prima volta nella storia dell’Unione europea, l’insieme dei diritti civici, politici, economici e sociali dei cittadini europei nonché tutte le persone che vivono sul territorio dell’Unione. Dignità – Libertà – Eguaglianza – Solidarietà – Cittadinanza Giustizia. Essi si basano in particolare sui diritti e le libertà fondamentali riconosciute dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo le tradizioni costituzionali degli Stati membri dell’Unione europea, la Carta sociale europea del Consiglio d’Europa e la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori nonché dalle altre Convenzioni internazionali cui aderiscono l’Unione europea o i suoi Stati membri. 18 Il Cittadino e la Salute Tali diritti sono raggruppati in sei grandi capitoli: DIGNITA’ Art. 1. Dignità umana. Art. 2. Diritto alla vita. Art. 3. Diritto all’integrità della persona “Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica. Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità previste dalla legge; il divieto delle pratiche eugenetiche, in particolare di quelle aventi come scopo la selezione delle persone; il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro; il divieto della clonazione riproduttiva degli esseri umani”. Art. 4. Proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti. Art. 5. Proibizione della schiavitù e del lavoro forzato. LIBERTA’ Art. 6. Diritto alla libertà e alla sicurezza. Art. 7. Rispetto della vita privata e della vita familiare. Art. 8. Protezione dei dati di carattere personale. Art. 9. Diritto di sposarsi e di costituire una famiglia. Art.10. Libertà di pensiero, di conoscenza e di religione. Art.11. Libertà di espressione e d’informazione. Art.12. Libertà di riunione e di associazione. Art.13. Libertà delle arti e delle scienze. Art.14. Diritto all’istruzione. Art.15. Libertà professionale diritto di lavorare Art.16. Libertà d’impresa. Art.17. Diritto di proprietà. Art.18. Diritto di asilo. Art.19. Protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione. UGUAGLIANZA Art.20. Uguaglianza davanti alla legge. Art.21. Non discriminazione. Art.22. Diversità culturale, religiosa e linguistica. Art.23. Parità tra uomini e donne. Art.24. Diritti del bambino. Art.25. Diritti degli anziani. Art.26. Inserimento dei disabili. SOLIDARIETA’ Art.27. Diritto dei lavoratori all’informazione e alla consultazione nell’ambito dell’impresa. Art.28. Diritto di negoziazione e di azioni collettive. Art.29. Diritto di accesso ai servizi di collocamento. Art.30. Tutela in caso di licenziamento ingiustificato. Art.31. Condizioni di lavoro giuste ed eque. Art.32. Divieto del lavoro minorile e protezione dei giovani sul luogo di lavoro. Art.33. Vita familiare e vita professionale. Art.34. Sicurezza sociale e assistenza sociale. Art.35. Protezione della salute: “Ogni individuo ha il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di Il Cittadino e la Salute 19 ottenere cure mediche alle condizioni stabilite dalle legislazioni e prassi nazionali. Nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana”. Art.36. Accesso ai servizi d’interesse economico generale. Art.37. Tutela dell’ambiente. Art.38. Protezione dei consumatori. CITTADINANZA Art.39. Diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo. Art.40. Diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali Art.41. Diritto ad una buona amministrazione. Art.42. Diritto d’accesso ai documenti. Art.43. Mediatore. Art.44. Diritto di petizione. Art.45. Libertà di circolazione e di soggiorno. Art.46. Tutela diplomatica e consolare. GIUSTIZIA Art.47. Diritto ad un ricorso effettivo e a un giudice imparziale. Art.48. Presunzione di innocenza e diritti della difesa. Art.49. Principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene. Art.50. Diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato. DISPOSIZIONI GENERALI Art.51. Ambito di applicazione. Art.52. Portata dei diritti garantiti. Art.53. Livello di protezione. Art.54. Diviato dell’abuso di diritto. 4. CARTA DEI DIRITTI ALLA PERSONA Sezione europea O.M.S “Organizzazione Mondiale della Sanità” Accanto a questo accresciuto interesse delle istituzioni comunitarie nel riconoscere e salvaguardare i diritti dei cittadini in ambito sanitario, deve essere ricordato il ruolo della sezione europea dell’Organizzazione mondiale della sanità, che nel 1994 ha emanato una Carta dei diritti del paziente. Secondo tale Carta, il cui testo è emerso dopo un lungo lavoro di consultazione che ha coinvolto anche le organizzazioni dei cittadini dei diversi paesi, ivi compresa l’Italia, ogni persona ha diritto: • a essere rispettata come essere umano; • all’autodeterminazione; • all’integrità fisica e mentale e alla sicurezza; • al rispetto della propria privacy; • a vedere rispettati i propri valori morali, culturali e religiosi; • a ottenere adeguate misure per la prevenzione delle malattie e per la cura della salute. Nella Carta viene sancito inoltre: il diritto all’informazione; la necessità del consenso a tutti gli interventi terapeutici; il diritto al rispetto della riservatezza; il diritto ad avere cure adeguate e di qualità; il diritto a non essere discriminato nelle cure per nessun motivo; 20 Il Cittadino e la Salute il diritto alla libera scelta del medico e delle cure; il diritto ad avere un sostegno durante le cure da parte dei familiari; il diritto alla dignità e a morire con dignità; il diritto alla tutela dei propri diritti attraverso propri rappresentanti. Risulta evidente da tale testo la volontà da parte dell’Oms di farsi portavoce di quell’insieme di diritti, presenti nel comune sentire del cittadino europeo, manifestando la volontà di porsi in sintonia con le aspettative degli utenti dei servizi. È infatti significativo ritrovare tra i diritti riconosciuti, molti di quelli contenuti nelle carte locali prodotte in Italia, ma anche la facoltà di partecipare mediante i propri rappresentanti. A tale proposito una particolare citazione merita il Consiglio d’Europa che in una recente raccomandazione ha ribadito tali disposizioni invitando gli Stati membri a favorire la partecipazione dei cittadini nei processi decisionali in materia sanitaria a livello nazionale, regionale e locale. I trattati dell’Unione europea Innanzitutto è necessario prendere in considerazione il Trattato di Maastricht, firmato nel 1993, in cui si dichiara, al titolo X, articolo 129: “La Comunità contribuisce ad assicurare un livello elevato di protezione della salute umana incoraggiando la cooperazione fra gli Stati membri e, se necessario, appoggiando le loro azioni. L’azione della Comunità riguarda la prevenzione delle malattie, specialmente quelle di grande rilevanza, compresa la tossicomania, favorendo la ricerca sulle loro cause e la loro trasmissione cosi come l’informazione e l’educazione in materia di sanità sono una componente delle altre politiche della Comunità”. È da sottolineare il fatto che è la prima volta che la sanità appare esplicitamente in quanto tale in un trattato generale dell’Unione europea. Il tipo di impegno indicato riguarda in modo particolare la prevenzione delle malattie, mentre non si fa accenno ad un impegno più diretto a tutela dei diritti dei cittadini malati. Deve essere ricordato che la competenza delle istituzioni comunitarie in ambito sanitario è limitata dal “principio di sussidiarietà", in base al quale la gestione dei sistemi sanitari resta affidata alla autonomia dei singoli Stati. 5. CARTA EUROPEA DEI DIRITTI DEL MALATO Presentata a Bruxelles il 15 Novembre 2002 (frutto di un lavoro di gruppo promosso da Active Citizenship Network - programma di politica europea di CittadinanzAttiva - discusso e sottoscritto da 11 paesi europei). Malgrado le loro differenze, i sistemi sanitari nazionali dei paesi della Unione europea mettono a rischio gli stessi diritti di pazienti, consumatori, utenti, famiglie, soggetti deboli e comuni cittadini. Quindi, malgrado le solenni dichiarazioni sul “Modello sociale europeo” (il diritto all’accesso universale ai servizi sanitari), numerose sono le limitazioni che mettono in discussione l’effettività di questo diritto. Come cittadini europei non accettiamo che i diritti possano essere affermati in teoria e poi negati in pratica a causa dei limiti finanziari. Questi, benché giustificati, non possono legittimare la negazione o la messa in discussione dei diritti dei pazienti. Noi non accettiamo che questi diritti possano essere proclamati nelle leggi e poi non attuati, o peggio, affermati nei programmi elettorali ma subito dimenticati dopo la formazione di un nuovo governo. In breve, ogni Servizio Sanitario Nazionale dei paesi dell’Unione europea si presenta in modo differente con riguardo ai diritti dei pazienti. Essi possono avere carte dei diritti dei malati, specifiche leggi, regolamenti amministrativi, carte dei servizi, istituzioni come il difensore civico, procedure come quelle conciliative. Altri possono avere, addirittura, niente di tutto questo. In ogni caso però, la presente Carta può aumentare il livello di protezione dei diritti dei malati e dei cittadini nei contesti nazionali che favorisca i diritti dei pazienti e dei cittadini. Ciò è della massima importanza, specialmente in relazione alla libertà di movimento all’interno della Unione europea e al processo di allargamento di essa. Il Cittadino e la Salute 21 1. Diritto a misure preventive – Ogni individuo ha diritto a servizi appropriati a prevenire la malattia. 2. Diritto all’accesso – Ogni individuo ha il diritto di accedere ai servizi sanitari che il suo stato di salute richiede. I servizi sanitari devono garantire eguale accesso a ognuno, senza discriminazioni sulla base delle risorse finanziarie, del luogo di residenza, del tipo di malattia o del momento di accesso al servizio. 3. Diritto all’informazione – Ogni individuo ha il diritto di accedere a tutti i tipi di informazione che riguardano il suo stato di salute e i servizi sanitari e come utilizzarli, nonchè a tutti quelli che la ricerca scientifica e la innovazione tecnologica rendono disponibili. 4. Diritto al consenso – Ogni individuo ha il diritto ad accedere a tutte le informazioni che lo possono mettere in grado di partecipare attivamente alle decisioni che riguardano la sua salute. Queste informazioni sono un prerequisito per ogni procedura e trattamento, ivi compresa la partecipazione alla ricerca scientifica. 5. Diritto alla libera scelta – Ogni individuo ha il diritto di scegliere liberamente tra differenti procedure ed erogatori di trattamenti sanitari sulla base di adeguate informazioni. 6. Diritto alla privacy ed alla confidenzialità – Ogni individuo ha il diritto alla confidenzialità delle informazioni di carattere personale, incluse quelle che riguardano il suo stato di salute e le possibili procedure diagnostiche o terapeutiche,così come ha diritto alla protezione della sua privacy durante l’attuazione di esami diagnostici, visite specialistiche e trattamenti medico chirurgici in generale. 7. Diritto al rispetto del tempo dei pazienti – Ogni individuo ha il diritto a ricevere i necessari trattamenti sanitari in un periodo di tempo veloce e predeterminato. Questo diritto si applica a ogni fase di trattamento. 8. Diritto al rispetto di standard di qualità – Ogni individuo ha il diritto di accedere a servizi sanitari di alta qualità, sulla base della definizione e del rispetto di precisi standard. 9. Diritto alla sicurezza – Ogni individuo ha il diritto di essere libero da danni derivanti dal cattivo funzionamento dei servizi sanitari, dalla malpratica e dagli errori medici, e ha diritto di accesso a servizi di trattamenti sanitari che garantiscono elevati standard di sicurezza. 10. Diritto alla innovazione – Ogni individuo ha diritto all’accesso a procedure innovative, incluse quelle diagnostiche, secondo gli standard internazionali e indipendentemente da considerazioni economiche o finanziarie. 11. Diritto ad evitare le sofferenze e il dolore non necessari – Ogni individuo ha il diritto di evitare quanta più sofferenza possibile, in ogni sua fase di malattia. 12. Diritto ad un trattamento personalizzato – Ogni individuo ha il diritto a programmi diagnostici o terapeutici quanto più possibile adatti alle sue personali esigenze. 13. Diritto al reclamo – Ogni individuo ha il diritto di reclamare ogni qual volta abbia sofferto un danno ed ha diritto di ricevere una risposta o un altro tipo di reazione. 14. Diritto al risarcimento – Ogni individuo ha il diritto di ricevere un sufficiente risarcimento in un tempo ragionevolmente breve ogni qual volta abbia sofferto un danno fisico ovvero morale e psicologico causato da un trattamento di un servizio sanitario. 6. CARTA DELLA CITTADINANZA ATTIVA I diritti contenuti in questa Carta si riferiscono all’individuo piuttosto che al cittadino poichè i diritti fondamentali superano il criterio della cittadinanza. Tuttavia, ogni individuo che agisce per proteggere i suoi diritti e/o i diritti di altri esercita un atto di “cittadinanza attiva”. Questi diritti sono collegati al diritto di associazione e di iniziativa civica, contenuti nell’art. 12, sez. 1, della Carta dei diritti fondamentali: 1. Diritto a esercitare attività di interesse generale. 2. Diritto a svolgere attività di tutela. 3. Diritto di partecipare al policy making nell’area della salute. 22 Il Cittadino e la Salute 7. LE LEGGI REGIONALI DELLA LOMBARDIA PER I DIRITTI DEL MALATO Le leggi regionali sui diritti del malato costituiscono l’unico intervento organico del legislatore tendente a tutelare il cittadino nel suo rapporto con il servizio sanitario. Infatti, come si è già detto, non esiste una legislazione nazionale specifica in materia, ma sono state le regioni, anche per il loro importante ruolo in ambito sanitario, a recepire molte delle istanze contenute nelle carte dei diritti. La produzione normativa regionale in materia sanitaria è divenuta nel tempo sempre più copiosa. Le numerose leggi regionali trattano sia dei diritti degli utenti dei servizi sanitari in generale, sia di condizioni particolari come quelle relative ai bambini, alle partorienti o agli anziani. Molti dei diritti inseriti nelle leggi regionali sono ripresi dalle carte dei diritti prodotte precedentemente al livello locale o regionale. Alcune delle leggi, in ordine di importanza, a tutela della salute, emanate dalla Regione Lombardia sono: Legge Regionale n° 427 del 26 Marzo 1985 – “Riorganizzazione e programmazione dei servizi SocioAssistenziali della Regione Lombardia”. Legge Regionale dell’8 maggio 1987, n. 16 (pubblicato nel B.U. della Regione Lombardia 1° Suppl. Ord. al n. 19 del 13 maggio 1987) - “La tutela della partoriente e la tutela del bambino in ospedale”. Legge Regionale del 16 settembre 1988, n. 48 (pubblicata nel B.U. della Regione Lombardia - 212 - settembre 1988 n. 38, I.S.O.) - “Norme per la salvaguardia dei diritti dell’utente del Servizio Sanitario Nazionale e istituzione dell’ufficio di pubblica tutela degli utenti dei servizi sanitari e socio-assistenziali”. Riordino del Servizio Sanitario Regionale Legge Regionale n° 31 dell’11 Luglio 1997 – “Norme per il riordino del Servizio Sanitario Regionale e sua integrazione con le attività dei Servizi Sociali”. Con questa legge la Regione Lombardia: a) determina gli ambiti territoriali delle Aziende Sanitarie; b) riordina la rete delle strutture ospedaliere; c) definisce funzioni e compiti delle Aziende; d) promuove l’integrazione delle funzioni sanitarie con quelle socio-assistenziali di competenza degli enti locali (istituendo il Dipartimento ASSI, quale articolazione delle A.S.L.); e) promuove la piena parità di diritti e doveri tra i soggetti erogatori accreditati di diritto pubblico e di diritto privato (enti non profit e soggetti privati) che concorrono alla realizzazione dell’integrazione socio-sanitaria. La Regione esercita funzioni di legislazione e di programmazione, di indirizzo, di coordinamento e controllo, di supporto nei confronti delle A.S.L. e degli altri soggetti esercenti attività sanitarie e socio-assistenziali. La Regione dispone in merito al reperimento delle risorse integrative del Fondo Sanitario Regionale e determina il livello di partecipazione alla spesa dei cittadini. Ogni triennio il Consiglio Regionale approva il Piano Socio-Sanitario, strumento di programmazione unico ed integrato. Le A.S.L. a sua volta tutelano la salute dei cittadini garantendo i livelli di assistenza definiti dalla programmazione sanitaria nazionale e regionale. Le Aziende ospedaliere definite di rilievo nazionale e regionale, costituite alla data di entrata in vigore della presente legge, conservano la loro natura giuridica. Nessuna struttura pubblica o privata può esercitare attività sanitaria se priva di specifica autorizzazione rilasciata dalla Regione o dalla A.S.L. L’accreditamento è condizione inderogabile affinché siano posti a carico del Fondo Sanitario Regionale gli oneri relativi alle prestazioni sanitarie e socio-assistenziali. La Giunta Regionale delibera le condizioni e le modalità di accreditamento. Le A.S.L. e le Aziende Ospedaliere hanno personalità giuridica pubblica, autonomia organizzativa, amministrativa, patrimonia- Il Cittadino e la Salute 23 le, contabile gestionale e tecnica. I diritti dei cittadini e le modalità per il loro esercizio sono definiti dalla Carta dei Servizi, da adottarsi sullo schema del DPCM del 19 maggio 1985 da ogni soggetto erogatore entro 180 giorni dalla costituzione dell’Azienda (fonte BURL n. 28 dell’11 Luglio 1997 - 2° co.). N.B.: questa L.R. è stata modificata dalle seguenti: L.R n. 15/88 - L.G. n. 2/15/99 - L.G. n. 1/2/18/2000 - L.R. n. 3/17/26/28/2001 - L.R. n. 4/17/2002 - L.R. 3/11/2003 - L.R. n. 2/5/12/2004. Regolamento Regionale n° 1 del 12 Giugno 1999 – Regolamento di funzionamento del Dipartimento ASSI per le Attività Socio-Sanitarie Integrate delle Aziende Sanitarie Locali, di cui all’art. 8, comma 10, della L.R. n. 31/1997, che precisa: le A.S.L. assicurano tramite il Dipartimento ASSI, l’esercizio delle attività socio-assistenziali ad esse attribuite dalla Regione o delegate dagli enti locali. Agli effetti del presente regolamento rientrano tra tali attività quei servizi che erogano prestazioni richiedenti una rilevante integrazione di operatori dell’area sanitaria e sociale per: a) la tutela della salute delle persone anziane, compresa la riabilitazione extraospedaliera e specificatamente l’assistenza domiciliare; b) la prevenzione, cura e riabilitazione dei disabili; c) la prevenzione e cura nell’area consultoriale materno-infantile e dell’età evolutiva; d) la prevenzione, cura e riabilitazione della tossicodipendenza e alcooldipendenza; e) le attività di reinserimento sociale dei disabili mentali; f) la vigilanza e il controllo su: IPAB, associazioni e volontariato, persone giuridiche private operanti nel campo socio-assistenziale. Il regolamento prevede inoltre che il Dipartimento sia articolato sul piano funzionale ed organizzativo nei seguenti servizi: a) servizio famiglia; b) servizio disabili; c) servizio anziani; d) servizio delle dipendenze; e) servizio vigilanza. N.B.: Con DGR n. 48847 dell’1 Marzo 2000, la Giunta Regionale ha approvato l’atto di indirizzo alle aziende sanitarie per l’istituzione del Dipartimento Tecnico funzionale delle dipendenze da collocarsi all’interno del Dipartimento ASSI. Il Dipartimento tecnico-funzionale è stato individuato quale configurazione organizzativa adatta alla quale afferiscono le varie realtà coinvolte nell’area socio-sanitaria e assistenziale della tossicodipendenza. A tale Dipartimento compete la programmazione, la gestione, la verifica, la valutazione delle azioni di contrasto delle dipendenze (tutte le sostanze che provocano dipendenza, incluse quelle legali, tra cui in primo luogo l’alcol). Tale delibera non è stata pubblicata su BURL, ma è stata inviata alle Aziende Sanitarie Locali ed è pubblicata su internet. Sul sito della Direzione Generale Sanità sono inseriti elenchi di: Aziende Ospedaliere - A.S.L. - Strutture di ricovero e cura - Terapie termali Prestazioni ambulatoriali. Normativa Regionale a sostegno della famiglia Legge Regionale 6 Dicembre 1999, n. 23 “Politiche regionali per la famiglia” (B.U. 10/12/99, 1° suppl. ord.) Art. 1 – La Regione, in osservanza degli artt. 2, 3, 31, 37, 38 e 47 della Costituzione, nonché della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1997 n. 176 (Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre1989), riconosce quale soggetto sociale politicamente rilevante la famiglia così come definita dagli articoli 29 e 30 della Costituzione, nonché quella composta da persone unite da vincoli di parentela, adozione o affinità. Ai fini degli interventi previsti dalla presente legge il concepito è considerato componente della famiglia. Art. 2 – La Regione promuove il servizio pubblico alla famiglia e realizza un’organica ed integrata politica di sostegno al nucleo familiare. A tal fine, nel rispetto delle convinzioni etiche dei cittadini, tutela la vita in tutte le sue fasi con particolare attenzione alla gestante, al periodo prenatale e all’infanzia, 24 Il Cittadino e la Salute favorisce la maternità e la paternità consapevoli, la solidarietà fra le generazioni e la parità tra uomo e donna, sostiene la corresponsabilità dei genitori negli impegni di cura e di educazione dei figli, persegue la tutela della salute dell’individuo nell’ambito familiare, attua, anche attraverso l’azione degli enti locali, politiche sociali, sanitarie, economiche e di organizzazione dei servizi finalizzate a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona nella famiglia. (omissis). Sul sito www.sanita.lombardia.it della Direzione Generale Famiglia e Solidarietà Sociale è possibile trovare tutte le informazioni relative alle normative nazionali e regionali ed ai contributi a favore delle famiglie, dei minori, dei cittadini con disabilità e delle persone anziane. 8. L’ASSISTENZA SANITARIA Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.) Il Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N) è composto da tutte le strutture e le attività destinate a promuovere, mantenere e recuperare la salute fisica e psichica della popolazione. Il S.S.N nasce nel 1978 con la legge 833. Questa legge attua il principio fondamentale della uguaglianza nell’accesso alle prestazioni per tutti i cittadini italiani. Da allora l’utilizzo dei servizi sanitari non è regolato dalla propria mutua di appartenenza, ma è correlato all’essere cittadino italiano. In sostanza con questa legge si dà attuazione definitivamente all’art. 32 della Costituzione italiana, che riconosce il diritto alla salute come diritto dei singoli e interesse della collettività e impone allo Stato la realizzazione di questo obiettivo. Un altro principio fondamentale contenuto nella 833 è che il fine del S.S.N è sia quello di curare, che di prevenire e riabilitare. Successivamente alla legge istitutiva del 1978, ci sono stati cambiamenti della normativa iniziale, i più importanti dei quali sono stati il D. Lgs. 502/92 e succ. mod. e il D. Lgs. 229/99. Queste disposizioni introducono nuovi criteri come l’aziendalizzazione delle strutture sanitarie, la regionalizzazione, l’attenzione per la qualità delle prestazioni, la competizione tra pubblico e privato, l’introduzione di fondi integrativi e di criteri di gestione privatistica delle strutture. L’attività del Servizio Sanitario Nazionale si svolge sul territorio nazionale mediante una rete di Aziende ospedaliere e Aziende Sanitarie Locali (A.S.L.), ciascuna delle quali fornisce servizi ad un gruppo di popolazione compreso fra 50.000 e 200.000 abitanti. Possono essere iscritti al Servizio sanitario nazionale sia cittadini italiani sia cittadini stranieri. Gli italiani Cittadini con diritto all’iscrizione al S.S.N: tutti i cittadini italiani che siano residenti in Italia, i lavoratori italiani temporaneamente all’estero per motivi di lavoro, i lavoratori frontalieri, i dipendenti pubblici in servizio all’estero, i militari di leva, i detenuti, i lavoratori italiani con sede di lavoro in Italia e residenza all’ estero. Le persone titolari di pensione italiana, residenti all’estero in ambito Ue, che rientrino temporaneamente in Italia, sono assistiti con le stesse modalità dei cittadini della Ue (modello E 111); per chi risiede in paesi diversi dalla Ue vanno assicurate le cure per malattia, infortunio e maternità. I cittadini italiani emigrati per motivi di lavoro e che abbiano la residenza definitiva all’estero (Aire) hanno diritto, per un periodo di 90 giorni, alle prestazioni urgenti ospedaliere, per infortunio e maternità. I cittadini italiani residenti all’estero e che rientrino temporaneamente in Italia hanno diritto alle prestazioni urgenti ospedaliere, per infortuni e per maternità con spese a loro carico, salvo non siano indigenti. Gli stranieri I cittadini stranieri residenti in Italia alle dipendenze di organizzazioni internazionali (Unesco, Nato, ecc.) hanno diritto alle prestazioni sanitarie. Gli apolidi e rifugiati politici, privi di risorse economiche, possono essere iscritti gratuitamente al servizio sanitario. I cittadini stranieri provenienti dai paesi della Ue (modello E 111) hanno gli stessi diritti degli italiani, come anche i disoccupati iscritti alle liste di collocamento. Gli stranieri (extra Ue) residenti in Italia: i lavoratori hanno diritto all’iscrizione al S.S.N come i lavoratori italiani; ai disoccupati extra comunitari, iscritti nelle liste di collocamento, spettano Il Cittadino e la Salute 25 le cure sanitarie. Possono iscriversi volontariamente al S.S.N gli stranieri in regola con il permesso di soggiorno, residenti e che non abbiano altrimenti diritto all’assistenza sanitaria. Hanno diritto a tutte le prestazioni sanitarie, escluse le cure di medicina generale, gli stranieri presenti in Italia come turisti, profughi, nomadi, titolari di pensione italiana, studenti stranieri e persone alla pari. Le principali competenze del Distretto sono: • Rilascio delle tessere sanitarie. • Scelta e revoca del medico di famiglia e del pediatra di libera scelta. • Informazioni e riscossione del ticket (partecipazione alla spesa sanitaria) sulle prestazioni specialistiche, erogate direttamente dalla A.S.L. • Rilascio delle attestazioni di esenzione dal ticket (partecipazione alla spesa). • Autorizzazione e rimborsi per ricoveri in strutture estere o non convenzionate con il S.S.N. • Rimborsi su particolari ricoveri con durata inferiore alle 48 ore. • Rilascio della Carta Regionale dei servizi - elettronica (nella quale sono compresi gli ex modelli E 111 ed E 112 e pratiche inerenti all’assistenza sanitaria nei paesi della Ue ed extra Ue). • Rilascio delle impegnative per le cure termali. • Rilascio di presidi sanitari e degli ausili, cure climatiche, ecc. agli invalidi di guerra o per servizio. • Richieste di cure iperbariche, contributi a persone colpite da Tbc prive di contribuzione Inps. • Prenotazione ed esecuzione delle prestazioni specialistiche ambulatoriali (visite ed esami diagnostici). • Prestazioni sanitarie, quali cure infermieristiche domiciliari, prelievi del sangue a domicilio, medicazioni, ciclo di iniezioni, controllo della pressione arteriosa. • Vaccinazioni. • Valutazione domande di ricovero in Residenze sanitarie assistenziali (Rsa). • Coordinamento con i servizi sociali di base dei comuni. • Procedure per il ricovero in strutture convenzionate per tossicodipendenti e per pazienti psichiatrici, tramite i servizi territoriali competenti. • Controllo gratuito della velenosità dei funghi. • Riabilitazione delle persone momentaneamente non autosufficienti, o, in particolare, del trattamento dell’handicap nella fase di riabilitazione o di assistenza per la conservazione dell’autosufficienza. Per quanto riguarda i bambini portatori di handicap, gli uffici del Distretto si interessano anche del loro inserimento scolastico e dell’informazione sanitaria relativamente alle specifiche situazioni di disagio. • Il Distretto è il punto di contatto con la scuola, sia per coordinare le attività di riabilitazione, sia per la prevenzione della tossicodipendenza e di altre situazioni di difficoltà della popolazione giovanile. • A tutela dell’infanzia il distretto gestisce il servizio di psichiatria infantile sia nella fase di prevenzione che di cura. • Ulteriori servizi sono la medicina dello sport, che si occupa anche di alcuni aspetti legati alla prevenzione, e i consultori familiari, a tutela della maternità. • Visite oculistiche per rilascio e rinnovo patenti di guida. È necessario ricordare che il cittadino è libero di scegliere la struttura a cui rivolgersi per le prestazioni sanitarie (visite specialistiche, esami diagnostici, riabilitazione, ecc.), nell’ambito di quelle, pubbliche o private, che operano nel S.S.N e che fanno riferimento alle diverse A.S.L. Per iscriversi al S.S.N. bisogna recarsi presso la A.S.L. del proprio territorio con un documento di riconoscimento e il proprio codice fiscale; per gli altri documenti è sufficiente l’autocertificazione. All’atto dell’iscrizione si riceve la tessera sanitaria, che servirà per tutte le attività sanitarie, ad esempio per scegliere o cambiare il medico di base, ricevere rimborsi o esenzioni. Per il cittadino straniero è necessaria la documentazione che attesti la propria posizione in Italia. 26 Il Cittadino e la Salute 9. LA CARTA REGIONALE DEI SERVIZI (ELETTRONICA) La Carta Regionale dei Servizi è una straordinaria innovazione per una e più veloce interazione tra cittadino e Pubblica Amministrazione e rappresenta un grande progetto rivolto a tutti i cittadini della Regione Lombardia. Con questa Carta il dialogo con la Pubblica Amministrazione diventa molto più semplice e immediato, grazie alla possibilità di accesso in tempo reale a servizi socio-sanitari e di altro tipo. La Carta è dotata di un microprocessore che contiene una grande innovazione: un certificato che consente la firma elettronica e permette di essere identificati con certezza in rete. Attesta ufficialmente il codice fiscale, necessario per la compilazione delle prescrizioni mediche. La Carta sostituisce su tutto il territorio nazionale la Tessera Sanitaria cartacea e già dal mese di Giugno 2004, sostituisce il modello E-111 per l’ assistenza sanitaria nei paesi europei. COSA DEVI FARE PER RENDERLA OPERATIVA Una volta in possesso della tua Carta, recati presso l’Ufficio Postale più vicino, sottoscrivi e consegna il “Modulo del Consenso” ricevuto con essa. In questo modo autorizzerai il trattamento dei tuoi dati sanitari. Ricorda: solo tu che hai sottoscritto il “Modulo del Consenso” potrai usufruire appieno di tutti i suoi servizi e vantaggi, consentendo agli operatori socio-sanitari abilitati (medici curanti, medici ospedalieri, ecc.) di consultare i tuoi dati. Richiedi inoltre il tuo codice personale PIN che potrai utilizzare per l’accesso in rete ad altri servizi della Regione Lombardia. QUANTO TI COSTA La Carta è assolutamente gratuita e il suo utilizzo è strettamente personale. DOVE LA PUOI USARE La Carta potrà essere utilizzata presso il tuo medico curante e gli operatori abilitati: A.S.L., ospedali, farmacie, e altre strutture socio-sanitarie. COME LA DEVI CUSTODIRE Portala sempre con te ed esibiscila ogni volta che ti rivolgi alle strutture socio-sanitarie. In questo modo otterrai un servizio più rapido e aiuterai a sviluppare ulteriormente il livello di qualità e di efficacia del Sistema Socio-Sanitario Regionale. COME GARANTISCE IL RISPETTO DELLA TUA PRIVACY Garantisce il rispetto e la tutela della tua privacy. Anche dopo aver accordato il tuo “Consenso”, la tua privacy rimarrà totalmente al sicuro. La Carta si avvale infatti di un evoluto sistema di sicurezza che utilizza i più alti standard in materia di tutela della privacy e del trattamento dei dati personali, in conformità alle normative vigenti. Tramite la consegna della tua Carta autorizzi l’ accesso ai tuoi dati sanitari memorizzati nel Sistema. LA CARTA DELLA SANITA’ La Carta Regionale dei Servizi (elettronica) può essere utilizzata dal tuo medico curante, in farmacia, in una struttura ospedaliera e negli uffici della A.S.L.. Con la sua semplice consegna permetterai l’accesso ai tuoi dati sanitari aggiornati ed a informazioni cliniche necessarie a chi ti visita. Tali informazioni saranno leggibili soltanto attraverso appositi terminali e potranno essere utilizzate dal tuo medico di fiducia e dagli operatori socio-sanitari abilitati. La Carta darà inoltre accesso ad un sistema che permette di fare prenotazioni più rapide, precise ed efficaci, garantendoti sempre la massima privacy. Infine, la tua nuova Carta fungerà anche da Tessera Europea di Assicurazione Malattia, consentendoti di beneficiare dell’ assistenza sanitaria nei paesi europei, secondo le normative dei singoli Paesi in sostituzione del modello E-111. Per ogni ulteriore informazione contattare Numero Verde 800.030.606 Il Cittadino e la Salute 27 10. LA SCUOLA IN OSPEDALE: IL DIRITTO ALLO STUDIO Il diritto all’istruzione Le preposte Istituzioni Scolastiche di Pavia e di tutta Italia si impegnano a garantire l’attuazione del diritto allo studio dei bambini e degli adolescenti ospedalizzati • Vista la Legge n. 276 del 31.12.91; • Visto il Decreto Legislativo n. 297 del 16.04.94; • Vista la Carta Europea dei Diritti dei Bambini degenti in Ospedale adottata con la Risoluzione del 13.05.86; • Vista la Legge n. 285 del 28.08.97; • Vista la Legge n. 451 del 23.12.97; • Visto il Decreto Legislativo n. 112 del 31.03.98; • Vista la C.M. n. 353 del 7.08.98; • Vista la Legge n. 9 del 20.01.99 Elevamento obbligo scolastico; • Vista la C.M. n. 43 del 26.02.2001; • Visto il Protocollo d’intesa “Scuola in Ospedale” tra Direzione Generale Sanità della Regione Lombardia e Direzione Generale Ufficio Scolastico Regionale di Milano; • Ritenuta l’opportunità di promuovere concretamente la fruizione del diritto al gioco, alla salute, all’istruzione e al mantenimento di relazioni affettive familiari ed amicali per tutti i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze affetti da patologie gravi che ne determinano periodi di degenza ospedaliera; • Ritenuto che l’attività didattica riveste un ruolo rilevante in quanto garantisce ai bambini e alle bambine, ai ragazzi e alle ragazze degenti in ospedale il diritto all’istruzione e contribuisce al mantenimento o al recupero del loro equilibrio psicofisico; Scuola dell’infanzia La storia della scuola nella Clinica Pediatrica dell’ospedale San Matteo risale al 1974, limitatamente alla scuola primaria; con l’edificazione della nuova Clinica, nei primi anni ottanta, la scuola si apre al nuovo ordine dell’Infanzia, con due sezioni. La motivazione di ciò va ricercata nella maggiore disponibilità e flessibilità oraria delle insegnanti di Scuola dell’Infanzia, nella disposizione ad organizzare attività di tipo ludico-didattico, di animazione, rivolte a bambini e ragazzi di qualsiasi fascia di età. Finalità La scuola in ospedale agisce contemporaneamente su più fronti: sul piano didattico garantisce al bambino la possibilità di continuare ad esercitare il diritto allo studio; sul piano dell’identità lo aiuta nel difficile percorso di coscienza ed accettazione della nuova realtà; sul piano della continuità offre metodi e strumenti per mantenere il contatto con l’ambiente a lui noto, gli amici e la scuola. La scuola in ospedale si può definire l'elemento ritrovato di una normalità e familiarità di vita che il bambino ha lasciato di solito in maniera traumatica, trasportato non per colpa sua in una dimensione a lui sconosciuta, non adeguata ai suoi ritmi e tempi. La scuola, nel corso degli anni, si è impegnata perchè l'ospedale, per quanto possibile, portasse l'impronta del passaggio di ogni bambino che ha trascorso, anche per breve tempo, parte della sua vita al suo interno. Destinatari L’ingresso del bambino nella scuola comporta una presa in carico “emotivo relazionale” complessiva da parte dell’insegnante: per questo motivo le attività sono rivolte a tutti i bambini e ragazzi ricoverati, non privilegiando alcuna fascia di età. 28 Il Cittadino e la Salute Gli spazi Le attività si svolgono negli spazi predisposti e nelle camere. Il fare Costituiscono un momento importante: l’accoglienza, la pianificazione delle attività, la progettazione di prodotti finali che potranno essere portati a casa. Il desiderio di lasciare la propria impronta può trovare realizzazione nella produzione di elaborati, disegni e addobbi per i reparti, secondo le stagioni o le ricorrenze; nello svolgimento di attività con il computer, a scopo ludico e didattico; nella predisposizione di canali di comunicazione informatica multimediale, utili anche per eventuali contatti con la scuola di provenienza; nella attuazione di progetti didattici (lettura, educazione all’immagine, teatro...), realizzazione di prodotti, spettacoli e mostre. Metodologia: il gioco C’è una dimensione che non può essere assolutamente tralasciata parlando di scuola in ospedale: è il gioco, come azione più adatta a vincere le paure legate all’ospedale. Possiamo individuarne alcune importanti funzioni. Giocare per divertirsi: Giocare è divertente, è giusto e naturale che sia così. In ospedale, più ancora che altrove, c’è bisogno di potersi divertire e rilassare. Giocare per conoscersi e incontrarsi: Il “terreno” di gioco diventa così luogo di incontro con altri. Più di un bambino, al momento del ricovero, ha confessato di aver temuto di essere solo all’interno dell’ospedale, finché non ha avuto l’opportunità di incontrare altri coetanei. Giocare per esprimersi, comprendere e rielaborare: è questo il concetto di Therapeutic Play. Nell’ambito dell’ambiente ospedaliero, spesso vissuto come “minaccioso”, il gioco simbolico rappresenta una sicura via di uscita per le emozioni e la libera espressione dei propri sentimenti. La possibilità di “raccontarsi” è la base per la successiva possibilità di comprendere e rielaborare quanto sta accadendo, anche alla luce delle narrazioni degli altri. Scuola primaria E’ attiva dal 1974 e fino al 1981 funzionava nella vecchia sede della Pediatria, ora è presente al 4° piano e al 3° piano della Clinica - Dipartimento di Pediatria. Destinatari: gli alunni della fascia di età dai 6 agli 11 anni, provenienti in parte dal bacino di utenza e in parte da regioni del meridione e del centro Italia; sono presenti anche alunni provenienti dall’Europa dell’Est e da paesi extra-comunitari. Insegnanti: 1 insegnante per tutte le aree disciplinari 1 insegnante di Religione Cattolica (2 ore sett.) Obiettivi psico-affettivi • Aiutare il bambino ospedalizzato a superare ansia, insicurezza, disagio, senso di isolamento. • Prevenire l’apatia sollecitando interessi. • Favorire l’instaurarsi di relazioni positive tra coetanei e adulti presenti. • Consentire lo svolgimento di attività, sia ludiche che didattiche in un clima di collaborazione. • Raggiungere una sempre migliore cooperazione tra il personale medico-infermieristico, genitori e insegnanti per poter ridurre lo stress emotivo che investe il bambino e la sua famiglia al momento dell’ ospedalizzazione. Obiettivi cognitivi Favorire l’acquisizione delle conoscenze, delle abilità e dei linguaggi relativi ai diversi campi di esperienza/ambiti disciplinari. Metodologia: Lezioni individuali o di piccolo gruppo, per consolidare gli apprendimenti acquisiti e Il Cittadino e la Salute 29 favorire il raggiungimento degli apprendimenti essenziali relativi alla programmazione della scuola di provenienza dell’alunno. Contenuti: Argomenti e tematiche riguardanti tutte le aree disciplinari, privilegiando quelle di maggior interesse da parte dell’alunno o quelle trattate nella classe di provenienza. Calendario: Viene rispettato il calendario approvato dal Consiglio di Circolo al quale fanno riferimento la scuola dell’Infanzia e la Scuola Primaria. Spazi: Aula della scuola o camere di degenza al 4° e al 3° piano della Clinica Pediatrica. Mezzi: Libri di testo della propria classe di provenienza, fotocopie, videocassette, supporti multimediali, utilizzo del PC portatile in dotazione alla struttura scolastica. Valutazione: Su richiesta della famiglia viene effettuata la certificazione e inviata alla scuola di provenienza, così pure la relazione del lavoro svolto dal bambino. Progetto di Istruzione Domiciliare: Dall’anno scolastico 2004-2005 è stato avviato un progetto di Istruzione Domiciliare per i bambini dimessi dal reparto di oncoematologia e in regime di day-hospital ospiti, nelle Case di Accoglienza di alcune Associazioni della città o comunque domiciliati in appartamenti in città per un periodo che va da alcuni mesi ad oltre un anno. Alcune insegnanti (n. 5) del plesso G. Carducci si sono rese disponibili a proseguire il lavoro didattico iniziato in reparto dall’insegnante ospedaliera e a raggiungere il bambino/a nella casa di domicilio. I fondi per il progetto sono erogati dalla Scuola Polo per le scuole in ospedale della Lombardia di Dresano (MI), Istituto Comprensivo di Via delle Margherite, 15 - 20070 Dresano - MI (Scuola in ospedale E.F.2002 Legge 440/97. Iniziative volte al potenziamento e alla qualificazione dell’offerta di integrazione scolastica degli alunni ricoverati in ospedale o seguiti in regime di day-hospital). La scuola media Destinatari: alunni della scuola media inferiore ricoverati presso le strutture ospedaliere, ossia gli alunni temporaneamente dimessi, domiciliati in città che non usufruiscono dell’istruzione domiciliare, perché residenti altrove. Docenti: lettere, matematica e scienze, inglese. (Per un totale di 36 ore settimanali, distribuite in modo flessibile). Obiettivi: • accogliere il paziente-alunno; • aiutare il ragazzo a socializzare in un ambiente nuovo; • recuperare, consolidare e potenziare le abilità e le conoscenze dell’alunno in base alle sue capacità e possibilità. Condivisione: collaborazione con il personale ospedaliero, la famiglia e la scuola di provenienza. Sono effettuati incontri periodici con gli operatori ospedalieri. Calendario: viene rispettato quello della Scuola. Articolazione: lezioni di gruppo o individuali, a seconda delle necessità ed esigenze dei ricoverati. Le insegnanti sono presenti secondo l’orario affisso nei locali della scuola. E’ previsto il loro spostamento di sede o di reparto per garantire la priorità di insegnamento agli alunni lungodegenti. Spazi: il lavoro si svolge negli spazi predisposti o nelle camere dei pazienti. Contenuti: le insegnanti seguiranno per ogni alunno le programmazioni inviate dalle rispettive scuole di provenienza. Metodologia: si farà ricorso, principalmente, ad una didattica modulare breve, avvalendosi, quando possibile, di lezioni interdisciplinari al fine di: • sviluppare i saperi essenziali; • recuperare, consolidare e potenziare le abilità; • consentire l’approfondimento di argomenti o tematiche che hanno suscitato un particolare interesse all’allievo. 30 Il Cittadino e la Salute Mezzi: materiale didattico di diverso genere (libri di testo, fotocopie, quotidiani e riviste, videocassette, supporti multimediali). Valutazione: per degenze di almeno 10 giorni è prevista la certificazione e la valutazione del lavoro svolto dall’alunno. Su richiesta della famiglia tale certificazione può essere inviata alla scuola di provenienza. La scuola superiore Destinatari: studenti delle scuole superiori lungodegenti. Gli allievi frequentano giornalmente la scuola sia quando sono ricoverati che quando sono nelle case alloggio e vengono curati in day hospital. Vengono trasportati con mezzi gentilmente messi a disposizione dalla CRI e dall’Associazione AGAL. Docenti: di tutte le discipline di ogni tipo di scuola, provenienti dagli Istituti d’istruzione superiore. Motivazioni: • socializzare in un ambiente nuovo, sconosciuto; • perseguire i medesimi obbiettivi della scuola di provenienza. Obbiettivi: • ridurre il senso di isolamento dell’allievo lontano dai propri compagni; • dimostrare che molti dei limiti apparentemente imposti dalla malattia sono superabili; • mantenere e, dove è possibile, ampliare, le abilità scolastiche; • creare un “dispositivo didattico” a ponte tra la nuova scuola e quella di provenienza. Condivisione: collaborazione con i medici del reparto, lo psicologo, la caposala, la famiglia e la scuola di provenienza. Infatti, in accordo con la famiglia viene richiesto alla scuola di provenienza il programma da svolgere. Calendario: per tutto il tempo che lo studente rimane in ospedale e nella casa-alloggio. Articolazione: con lezioni individuali e con strumenti telematici in Ospedale durante la degenza e durante il periodo di day hospital. Contenuti: sono adattati, di volta in volta, alla tipologia di scuola di appartenenza. Metodologia: si fa ricorso, per lo più, ad una didattica modulare per: • sviluppare i saperi essenziali, selezionando i nuclei fondamentali delle discipline; • accrescere le abilità; • ridurre i tempi di insegnamento-apprendimento con: 1. flessibilità di orari; 2. brevità di interventi. Mezzi: • libri di testo in possesso dell’allievo e del docente; • strumenti alternativi (quotidiani, pellicole cinematografiche…CD); • nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione. Spazi: il lavoro si svolge accanto al letto dell’allievo o in spazi predisposti. Valutazione: alla fine dell’intervento viene invitata alla scuola di provenienza la certificazione del programma effettuato con relativa valutazione al fine di consentire al Consiglio di Classe di provenienza di acquisire ogni elemento utile per le operazioni di scrutino. 11. L’ILLECITO PENALE IN OSPEDALE I medici, ospedalieri e no, stipulano, sempre più spesso, polizze assicurative di rischio professionale per danni contro terzi; in realtà per l’esercizio della professione sarebbe più opportuno che fossero “accompagnati” da un abilissimo penalista! Normalmente l’attenzione è quasi esclusivamente dedicata ai risvolti civili e penali legati al reato di omicidio colposo e omicidio preterintenzionale o lesioni gravi, lievi e lievissime. Anche la giurisprudenza ha ampiamente dibattuto le tematiche inerenti tali reati nell’esercizio della professione medica. Alcune sentenze della Cassazione sezione VI sono le seguenti: Il Cittadino e la Salute 31 • • la n. 4320 del 12 maggio 1983 che si sostanzia nel riconoscere la responsabilità per colpa professionale sanitaria anche nel caso che il sanitario non abbia disposto quanto necessario, pur non avendone la certezza, ma solo la probabilità di raggiungere lo scopo; la n. 1846 del 12 luglio 1991 che ha indicato la responsabilità del medico anche nel caso che la probabilità di successo di un atto possa essere quantificata nel 30%. In tema di “colpevolezza professionale”, vanno ricordati gli articoli 582, 583 e 585 del C.P. che regolano il complesso capitolo delle lesioni personali colpose e dolose, lievissime, lievi, gravi e gravissime; nonché gli articoli 575, 584 e 589 del C.P. circa l’omicidio nelle tre espressioni di doloso, colposo e preterintenzionale. L’attività professionale è un insieme di decisioni, atti e comportamenti, a volte inconsapevoli, più spesso dettati da usi e consuetudini, buon senso, routine giornaliera la cui liceità si dà per pacifico e scontato, ma che alla contestazione dei fatti possono essere considerati reati a rilevanza penale. Ogni atto attivo o omissivo per avere eventuale rilevanza penale deve essere sostenuto da una volontà generica e non obbligatoriamente specifica. L’attività professionale sanitaria deve fare riferimento al rispetto di disposizioni che si configurano come “obblighi”. L’obbligo di informare l’assistito Sugli organi di stampa è stata data ampia rilevanza alle indicazioni dei Comitati di Bioetica circa l’opportunità di informare il malato sul proprio stato di salute, sui rischi legati agli interventi terapeutici e le possibilità che questi lascino esiti invalidanti. La mancata corretta informazione può essere configurata come reato di omissione di atto d’ufficio (art. 328 C.P.) anche se si tiene conto delle modifiche apportate dalla legge 26 aprile 1990 n. 86 al testo dell’art. 328 del C.P. : “…sono punibili solo quelli che indebitamente rifiutano atti d’ufficio che debbono essere compiuti senza ritardo per ragioni…di igiene e sanità. La richiesta necessità che l’atto venga posto in essere senza ritardo per ragioni di sanità postula il pericolo che l’eventuale rifiuto (esplicito o implicito) abbia conseguenze dannose, dirette e immediate, sul bene giuridico della sanità ”. L’obbligo di chiedere il consenso (art. 50 C.P.) Non ci si può accontentare di un semplice “assenso presunto”, ma occorrerà disporre di un vero e proprio “consenso valido - informato”. Ne consegue che praticare atti o trattamenti arbitrari si configura come abuso di atti di ufficio o di una professione (art. 31 C.P.); si può configurare anche come violenza privata (art. 46 C.P.); fino a ricadere nei già citati art. 582, 583 e 585 del C.P. Sembra opportuno sottolineare che è abituale nella prassi ospedaliera sostituire il farmaco prescritto in consegna con un altro ritenuto equivalente; è altresì abituale la somministrazione di un farmaco non prescritto in consegna e la modificazione di un trattamento fisioterapico; infine ricordiamoci degli interventi chirurgici modificati in “corso d’opera” e le sperimentazioni dei farmaci. Inconsapevolmente si commettono reati. L’obbligo di assistere e soccorrere Mentre l’omissione di soccorso (art. 593 C.P.) è scontata, l’obbligo di assistere è un aspetto della responsabilità professionale estremamente complesso, e il rifiuto si configura come omissione di atti di ufficio (art. 328 C.P.). Si riportano tre sentenze della Cassazione Sezione VI molto significative: • N. 03956 del 24 aprile 1985 “Il potere che è demandato al sanitario di decidere sulla necessità del ricovero e sulla destinazione dell’ammalato non può prescindere dal dovere di formulare una diagnosi o, comunque, di accertare le reali condizioni di chi, denunciando un grande stato di sofferenza, solleciti l’intervento di servizio di Pronto Soccorso. Ne consegue che il rifiuto di effettuare la visita medica, nelle dette circostanze, non integra una valutazione discrezionale del medico, bensì una indebita omissione di atti di ufficio”. 32 Il Cittadino e la Salute • • N. 05465 del 12 giugno 1986 “Il servizio di pronta disponibilità previsto dal D.P.R. 25 giugno 1983 n. 348 è finalizzato ad assicurare una più efficace assistenza sanitaria nelle strutture ospedaliere e il tal senso è integrativo e non sostitutivo del turno cosiddetto di guardia. Ne consegue che esso presuppone da un lato la concreta e permanente reperibilità del sanitario e, dall’altro, l’immediato intervento del medico presso il Reparto entro i tempi tecnici concordati e prefissati, una volta che dalla sede ospedaliera ne sia stata comunque sollecitata la presenza. Su questi presupposti concretandosi l’atto dovuto nell’obbligo di assicurare l’intervento nel luogo di cura, il sanitario non può sottrarsi alla chiamata deducendo che, secondo il proprio giudizio tecnico, non sussisterebbero i presupposti dell’invocata emergenza ”. N. 02914 dell’ 11 marzo 1987 “Ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 328 C.P. i medici ospedalieri vanno considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, per cui essi hanno il dovere di prestare la propria opera in caso di necessità o di emergenza, indipendentemente dalla divisione interna dei compiti e delle competenze”. Gli obblighi di intervento su stati di necessità I TAO Trattamenti Sanitari Obbligatori. La legislazione di deroga al consenso. Sono aspetti della responsabilità professionale in cui si possono configurare: il mancato trattamento e rapporto di causalità del danno (art. 40 C.P.); esercizio di un diritto o adempimento di un dovere (art. 51 C.P.); stato di necessità (art. 54 C.P.). L’obbligo del segreto professionale Questo è un aspetto estremamente importante della responsabilità professionale che coinvolge ogni momento e ogni atto della vita ospedaliera: il colloquio con i parenti senza autorizzazione del paziente; informazioni date per via telefonica o altro mezzo di comunicazione; rilascio delle copie della documentazione clinica ai non aventi diritto. Il non rispetto del segreto si configura come rivelazione di segreto professionale senza giusta causa (art. 622 C.P.); e come rivelazione di segreto di ufficio (art.326C.P.). Qui di seguito si elencano una serie di altri obblighi: L’obbligo di denuncia di ipotesi di reato Il referto: omissione di referto (art. 365 C.P.); il rapporto: omissione di rapporto da parte di pubblico ufficiale (art. 361 C.P.). L’obbligo di certificare il vero L’omissione si configura come reato di falsità ideologica in certificazione (artt. 480 e 481 C.P.). L’obbligo di perizia di ufficio L’omissione si configura come reato di rifiuto di uffici legali dovuti (art. 366 C.P.) e come reato di falsità in perizia (art. 373 C.P.). Obbligo delle denunce sanitarie di interesse pubblico, la cui inosservanza è punita dalle specifiche normative vigenti • Norme di protezione infortunistica; • smaltimento dei rifiuti ospedalieri; • adeguamento delle strutture alle normative CEI; • protezione per i lavoratori e le popolazioni esposte a radiazioni ionizzanti; Il Cittadino e la Salute 33 • • • controllo salubrità degli ambienti; controllo di qualità delle acque e degli alimenti; controllo dell’inquinamento ambientale (centrali termiche). Oltre all’obbligo delle denunce esiste anche l’obbligo del controllo dell’igiene. Cassazione Sezione VI, N. 04651 del 3 aprile 1989. “La legge istitutiva del servizio sanitario nazionale, nell’attribuire alle UU. SS. LL. una competenza generale in materia di igiene pubblica, non ha modificato la competenza del Direttore Sanitario che, per quanto attiene al controllo e all’assicurazione delle condizioni igienicosanitarie all’interno dell’ospedale, si affianca a quella generale dell’U. S. L., dato che la legge 833/78, sopra citata, non ha abrogato l’art. 5 del D. P. R. 27 marzo 1969 N. 128 che espressamente dispone: “il Direttore Sanitario dirige l’ospedale cui è preposto ai fini igienico-sanitari”. Inoltre l’art. 17 della stessa legge 23 dicembre 1978, N. 833, specifica che gli stabilimenti ospedalieri sono strutture delle Aziende UU. SS. LL. per cui non è dubitabile che i fini da queste perseguiti in materia di igiene pubblica, nell’ambito ospedaliero sono realizzati dal Dirigente Sanitario che, quale organo di una struttura della medesima A.S.L., ha il compito di promuovere, dirigere e coordinare tutte le attività atte ad assicurare le indispensabili condizioni igieniche dell’ospedale al quale è preposto”. Inoltre la sentenza N. 11639 del 16 novembre 1987 riguardante l’art. 324 C. P.: “Ai sensi degli art. 7 e 19 del D. P. R. 27 marzo 1969 N. 128, nonché dell’art. 27, comma terzo, D. P. R. 20 dicembre 1979 N. 761 i compiti demandati ai primari delle divisioni ospedaliere non si esauriscono nel mero esercizio di un poteredovere dirigenziale, ma si estendono anche all’obbligo di effettuare alcuni specifiche prestazioni, secondo le disposizioni e i turni impartiti dal Dirigente Sanitario: tra le stesse è ricompreso il servizio delle visite ambulatoriali. Commette il delitto previsto dall’art. 324 C. P. il primario che, evitando di svolgere il servizio di visite presso l’ambulatorio della struttura pubblica, impartisca direttive per indirizzare al proprio studio privato i pazienti in attesa di ricovero urgente, disponendo quest’ultimo dopo aver percepito specifico compenso per l’attività professionale prestata”. Sicuramente sono stati dimenticati altri elementi importanti ricadenti sotto l’illecito penale in ospedale. Eventi frequentissimi, molto rilevanti e molto impegnativi nelle loro soluzione per le Direzioni Sanitarie sono: • sospensione delle accettazioni in caso di cessata disponibilità di posti letto; • trasferimento di pazienti, pur in mancanza del consenso degli stessi, per documentata ed accertata inidoneità della struttura di accoglimento; • i Comitati di Bioetica ritengono lecito il rispettare le particolari volontà nei riguardi dei trattamenti terapeutici di alcuni gruppi religiosi; ma la volontà e i desideri individuali sono forse più importanti dell’interesse della collettività? 12. INFORMAZIONE SANITARIA Principi dei diritti e doveri di informazione Questi sono i principi fondamentali che regolano i diritti di informazione in campo sanitario: • Un’informazione reciproca, leale, corretta e completa fra i medici, gli altri operatori sanitari e la persona assistita, è condizione indispensabile per soddisfare i diritti di salute dei cittadini. • La persona assistita ha il dovere di informare i medici e gli altri operatori sanitari su tutto ciò che possa risultare utile e necessario per una migliore prevenzione, diagnosi, terapia e assistenza. • I medici e gli altri operatori sanitari devono garantire la massima attenzione nel rispetto delle norme sul segreto professionale e sulla riservatezza nel trattamento dei dati personali. 34 Il Cittadino e la Salute • 1. 2. 3. 4. 5. 6. È diritto della persona assistita chiedere ed ottenere dal medico informazioni su tutto ciò che riguarda il proprio stato di salute e, nel caso essa risulti affetta da una malattia, di ricevere adeguate indicazioni: sulla natura, durata ed evoluzione della medesima; sulle cure necessarie; sulle alternative di cura, ove esistono; sulla presumibile durata di un eventuale ricovero ospedaliero; sui riflessi della malattia e delle cure sullo stato e sulla qualità della propria vita; su tutti i rimedi terapeutici ed assistenziali esistenti atti ad evitare e sedare gli eventuali stati di sofferenza e di dolore derivanti dalla malattia stessa e/o dalle attività diagnostiche e curative. 13. DIRITTI E DOVERI DEL CITTADINO I DIRITTI DEL CITTADINO Può avvenire che il diritto del singolo di fronte alla struttura sanitaria venga compromesso, in misura più o meno grave. Il malato, in particolare, si trova in una posizione di debolezza contrattuale nei confronti della struttura sanitaria: oltre ad essere all’interno di una realtà molto più grande di lui, e non solo dal punto di vista delle dimensioni, nella quale vi è poco spazio lasciato alla libertà di scelta e di decisione, si trova anche in una situazione di svantaggio dovuta proprio alla sua condizione di malato. Tale condizione, a causa dell’innegabile spinta emotiva a cui dà adito, rischia di compromettere la razionalità e la tranquillità delle sue decisioni. Per questo motivo è fondamentale che tutti i cittadini prendano coscienza dei propri diritti, tenendo presente che il modo migliore per ottenere un servizio cortese ed efficiente è la collaborazione, il rispetto e la pazienza, soprattutto verso chi opera con professionalità per il bene altrui. 1. Diritto al tempo. Ogni cittadino ha diritto a vedere rispettato il suo tempo al pari di quello della burocrazia e degli operatori sanitari. 2. Diritto all’informazione e alla documentazione sanitaria. Ogni cittadino ha diritto a ricevere tutte le informazioni e la documentazione sanitaria di cui necessita nonché ad entrare in possesso degli atti necessari a certificare in modo completo la sua condizione di salute. Il medico ha il dovere di dare al paziente l’informazione più accurata sulla sua situazione, le prospettive su evoluzione della malattia, possibilità di cura, eventuali conseguenze delle terapie. La spiegazione deve essere adeguata alle capacità di comprensione del paziente. Accertarsi di aver capito bene tutto, non temere di porre domande: “parlare chiaro” è un preciso obbligo del medico 3. Diritto alla sicurezza. Chiunque si trovi in una situazione di rischio per la sua salute ha diritto ad ottenere tutte le prestazioni necessarie alla sua condizione ed ha altresì diritto a non subire ulteriori danni causati dal cattivo funzionamento delle strutture e dei servizi. 4. Diritto alla protezione. Il servizio sanitario ha il dovere di proteggere in maniera particolare ogni essere umano che, a causa del suo stato di salute, si trova in una condizione momentanea o permanente di debolezza, non facendogli mancare per nessun motivo e in alcun momento l’assistenza di cui ha bisogno. 5. Diritto alla certezza. Ogni cittadino ha diritto ad avere dal servizio sanitario la certezza del trattamento nel tempo e nello spazio a prescindere dal soggetto erogatore e a non essere vittima degli effetti di conflitti professionali e organizzativi, di cambiamenti repentini delle norme, della discrezionalità nella interpretazione delle leggi e delle circolari, di differenze di trattamento a seconda della collocazione geografica. 6. Diritto alla fiducia. Ogni cittadino ha diritto a vedersi trattato come un soggetto degno di fiducia e non come un possibile evasore o un presunto bugiardo. Il Cittadino e la Salute 35 7. Diritto alla qualità. Ogni cittadino ha diritto di trovare nei servizi sanitari operatori e strutture orientati verso un unico obiettivo: farlo guarire e migliorare comunque il suo stato di salute. 8. Diritto alla differenza. Ogni cittadino ha diritto a vedere riconosciuta la sua specificità derivante dall’ età, dal sesso, dalla nazionalità, dalla condizione di salute, dalla cultura e dalla religione e a ricevere di conseguenza trattamenti differenziati a seconda delle diverse esigenze. 9. Diritto alla normalità. Ogni cittadino ha diritto a curarsi senza alterare, oltre il necessario, le sue abitudini di vita. 10. Diritto alla famiglia. Ogni famiglia che si trova ad assistere un suo componente ha diritto di ricevere dal servizio sanitario il sostegno materiale necessario. Il paziente minore di 18 anni – fermo restando quanto previsto al titolo III della L.R. n° 16 del 8 maggio 1987 al fine di concorrere al mantenimento dell’equilibrio psico-affettivo – durante i prelievi, le visite diagnostiche e le medicazioni ha diritto di essere assistito dai genitori o da altra persona da lui scelta. Durante la degenza ospedaliera, il minore ha diritto di avvalersi della presenza continuativa di almeno uno dei genitori o di persona delegata, alla quale vanno garantiti i pasti. Pari diritto è riservato all’utente paziente anziano che ricorra al Pronto Soccorso in visibile stato confusionale o di agitazione. Gli anziani di età maggiore o uguale a 65 anni, su specifica richiesta, hanno diritto di essere assistiti da un familiare anche al di fuori degli orari di visita, compatibilmente con le particolari esigenze organizzative di reparto, da dichiarare per iscritto. 11. Diritto alla decisione. Il cittadino ha diritto, sulla base delle informazioni in suo possesso e fatte salve le prerogative dei medici, a mantenere una propria sfera di decisionalità e di responsabilità in merito alla propria salute e alla propria vita. 12. Diritto al volontariato, all’assistenza da parte dei soggetti “no profit” e alla partecipazione. Ogni cittadino ha diritto ad un servizio sanitario, sia esso erogato da soggetti pubblici che da soggetti privati, nel quale sia favorita la presenza del volontariato e delle attività non profit e sia garantita la partecipazione degli utenti. 13. Diritto al futuro. Ogni cittadino, anche se condannato dalla sua malattia, ha diritto a trascorrere l’ultimo periodo della vita conservando la sua dignità, soffrendo il meno possibile e ricevendo attenzione e assistenza. 14. Diritto alla riparazione dei torti. Ogni cittadino ha diritto, di fronte ad una violazione subita, alla riparazione del torto subito in tempi brevi e in misura congrua. 15. Diritto a ricevere l’impegno e la competenza professionale del medico. Alla visita deve essere dedicato il tempo necessario per un colloquio sereno e un corretto esame obiettivo. 16. Diritto di esprimere o meno il proprio consenso alle cure, una volta che siano state comunicate tutte le informazioni necessarie a riguardo. 17. Diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura. 18. Diritto alla riservatezza. Il medico è obbligato a mantenere il segreto sulle informazioni riguardanti il paziente, ottenute durante lo svolgimento della professione. Potrà rivelarle solo se la legge lo impone, o se il paziente lo autorizza a farlo. 19. Diritto alla continuità delle cure. Il medico deve compiere personalmente le prestazioni mediche e informare il paziente della sua eventuale sostituzione. Questa deve essere affidata a collaboratori di competenza adeguata. 20. Diritto di conoscere chi lo assiste. Il personale sanitario deve essere identificabile grazie ad un cartellino visibile che ne indichi il nome e la qualifica. 21. Diritto di sporgere reclami e ottenere che gli stessi siano presi in considerazione con sollecitudine. 22. Diritto di essere tutelato all’interno di ogni struttura sanitaria da organi che lo rappresentino, quali i Centri per i Diritti del Malato e la Commissione Conciliativa. 36 Il Cittadino e la Salute I DOVERI DEL CITTADINO La diretta partecipazione all'adempimento di alcuni doveri è la base per usufruire pienamente dei propri diritti. L'impegno personale ai doveri è un rispetto verso la comunità sociale e i servizi sanitari usufruiti da tutti i cittadini. Ottemperare ad un dovere vuoi dire anche migliorare la qualità delle prestazioni erogate da parte dei servizi sanitari. I. Il cittadino che accede a qualsiasi ospedale o altra struttura sanitaria per ottenere cure e prestazioni sanitarie è invitato ad avere un comportamento responsabile in ogni momento, nel rispetto e nella comprensione dei diritti degli altri malati, con la volontà di collaborare con il personale medico, infermieristico, tecnico e con la direzione della sede sanitaria. 2. L'accesso in ospedale esprime da parte del cittadino-paziente un rapporto di fiducia e di rispetto verso il personale sanitario, presupposto indispensabile per l'impostazione di un corretto programma terapeutico e assistenziale. 3. E' dovere di ogni paziente informare tempestivamente i sanitari sulla propria intenzione di rinunciare, secondo la propria volontà, a cure e prestazioni sanitarie programmate affinché possano essere evitati sprechi di tempo e risorse. 4. Il cittadino è tenuto al rispetto degli ambienti, delle attrezzature e degli arredi che si trovano all'interno della struttura ospedaliera, in quanto patrimonio di tutti e quindi anche proprio. 5. Ogni cittadino è chiamato al rispetto degli orari delle visite stabiliti dalla Direzione Sanitaria, al fine di permettere lo svolgimento della normale attività assistenziale terapeutica e favorire la quiete e il riposo degli altri pazienti. Si ricorda inoltre che per motivi igienico sanitari e per il rispetto degli altri degenti presenti nella stanza ospedaliera è indispensabile evitare l’affollamento intorno al letto. 6. Per motivi di sicurezza igienico-sanitari nei confronti dei bambini si sconsigliano le visite in ospedale dei minori di anni dodici. Situazioni eccezionali di particolare risvolto emotivo potranno essere prese in considerazione rivolgendosi al personale medico del reparto. 7. In situazione di particolare necessità le visite al degente al di fuori dell'orario prestabilito dovranno essere autorizzate con permesso scritto rilasciato dal primario o da persona da lui delegata. In tal caso, il familiare autorizzato dovrà uniformarsi alle regole del reparto ed avere un rispetto consono all'ambiente ospedaliero, favorendo al contempo la massima collaborazione con gli operatori sanitari. 8) Nella considerazione di essere parte di una comunità è opportuno evitare qualsiasi comportamento che possa creare situazioni di disturbo o disagio agli altri degenti (rumori, luci accese, radioline e televisori con volume alto, ecc.). 9. E' dovere rispettare il riposo sia giornaliero che notturno degli altri degenti. Per coloro che desiderino svolgere eventuali attività ricreative sono disponibili le sale soggiorno ubicate all'interno di ogni reparto. lO. In ospedale è vietato fumare. II rispetto di tale disposizione è un atto di accettazione della presenza degli altri e un sano personale stile di vivere nella struttura ospedaliera. 11 L'organizzazione e gli orari previsti nella struttura sanitaria nella quale si accede, devono essere rispettati in ogni circostanza. Le prestazioni sanitarie richieste in tempi e modi non corretti determinano un notevole disservizio per tutta l'utenza. 12. È opportuno che i pazienti ed i visitatori si spostino all'interno della struttura ospedaliera utilizzando i percorsi a loro riservati, raggiungendo direttamente le sedi di loro stretto interesse. 13. II personale sanitario, per quanto di competenza, è invitato a far rispettare le norme enunciate per il buon andamento del reparto ed il benessere del cittadino malato. Il Cittadino e la Salute 37 14. Il cittadino ha diritto ad una corretta informazione sull'organizzazione della struttura sanitaria, ma è anche un suo preciso dovere informarsi nei tempi e nelle sedi opportune. N.B. E’ comunque dovere del cittadino/utente custodire diligentemente a casa, suddivisa per ogni componente della famiglia, tutta la documentazione clinica in possesso, e/o successivamente portare e consegnare in copia agli operatori sanitari, all’atto di un eventuale ricovero o di un consulto, la documentazione necessaria alla occasione. 14. IL CONSENSO “VALIDO” (INFORMATO - CFR. ART. 54 C.P.) È l’espressione della volontà del paziente che autorizza il medico ad effettuare uno specifico trattamento medico-chirurgico sulla sua persona. Non si può prescindere da tale consenso, fatte salve le condizioni previste per legge (urgenza, incapacità di intendere e volere, ecc.), perché qualunque azione effettuata senza tale autorizzazione sarebbe illecita da un punto di vista penale, indipendentemente dai risultati ottenuti; dalla violazione di questo obbligo conseguono sia una responsabilità disciplinare che una responsabilità medica penale e civile. Il suo fine è promuovere l’autonomia dell’individuo nell’ambito delle decisioni mediche. In tale ambito, il ruolo del sanitario è quello di un tecnico esperto che spiega al paziente la sua condizione clinica e le varie possibilità di diagnosi o di terapia, per consentirgli di valutare l’informazione ricevuta nel contesto della propria attitudine psicologica e morale e, quindi, di scegliere il percorso terapeutico che ritiene adatto ed accettabile. Il consenso “valido” quale modalità per instaurare un corretto rapporto medico-paziente non “vale” solo quando ci si deve sottoporre ad un intervento chirurgico o ad un trattamento sperimentale, cosi come il medico internista o il medico di famiglia devono attenersi agli stessi principi per instaurare un rapporto corretto con il proprio paziente. Il consenso del paziente deve possedere le caratteristiche che seguono: • Deve essere esplicitamente manifestato al sanitario mediante un comportamento che riveli in maniera precisa ed inequivocabile il proposito di sottoporsi all’intervento. Ciò significa che il paziente deve dimostrare di aver ben capito il motivo, gli effetti e le possibili alternative alla terapia a cui sta per sottoporsi. • Può essere sottoscritto solo dal paziente (ad eccezione dei minorenni o delle persone sottoposte a tutela). • Deve essere libero, nel senso che l’utente deve farsene un convincimento personale, dopo essere stato edotto di tutte le informazioni necessarie. • L’informazione fornita deve essere la più completa possibile nel senso che il medico dovrà fornire una chiara rappresentazione delle modalità e dei rischi dell’intervento chirurgico, nonché di tutti gli eventuali interventi o terapie alternative. • Può essere revocato anche poco prima che l’intervento inizi. • Il consenso, ove possibile, deve essere raccolto dal paziente con congruo anticipo rispetto all’intervento (almeno 24 ore prima). • Le informazioni, necessarie per il consenso, devono essere fornite al paziente al momento della programmazione dell’intervento con l’indicazione e il consiglio di chiedere ulteriori informazioni al proprio medico di famiglia. • Il medico di famiglia dovrebbe essere coinvolto sempre nell’informazione e partecipare attivamente alla stessa. • Il paziente deve essere sempre informato di tutte le alternative terapeutiche (chirurgia tradizionale, day surgery, chirurgia mini-invasiva). • Il paziente deve essere informato dell’esperienza e della casistica dell’operatore e/o dell’unità operativa in merito all’intervento a cui dovrà sottoporsi. 38 Il Cittadino e la Salute Secondo l’art. 29 del codice di deontologia medica: “Il medico ha il dovere di dare al paziente, tenuto conto del suo livello di cultura e delle sue capacità di discernimento, la più serena e idonea informazione sulla diagnosi, la prognosi, le prospettive terapeutiche e le loro conseguenze [...]. Ogni ulteriore richiesta di informazione da parte del paziente deve essere comunque soddisfatta [..]. In ogni caso la volontà del paziente, liberamente espressa, deve rappresentare per il medico elemento al quale ispirare il proprio comportamento”. È da mettere in evidenza che il nuovo codice, data la vigente disciplina sulla privacy (D.L. 196/2003 e legge 675/96), stabilisce che l’informazione ai congiunti è ammessa solo se il paziente la consente. L’art. 31, inoltre, stabilisce che: • il medico non può intraprendere alcuna attività diagnostico-terapeutica senza il consenso del paziente validamente informato. In ogni caso, in presenza di esplicito rifiuto del paziente capace di intendere e di volere, il medico deve desistere da qualsiasi atto diagnostico e curativo, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà del paziente. • La condotta del medico che interviene sul paziente senza essersi munito del preventivo consenso costituisce una condotta penalmente illecita, in quanto viola la sfera personale e la libertà morale del soggetto, tutelate dall’ordinamento giuridico e dalla stessa Costituzione. Il medico può incorrere in questo caso nei reati previsti dagli articoli: 582 e seguenti codice penale “lesioni personali” per violazione dell’integrità fisica del soggetto; 610 c.p. “violenza privata”, che si configura quando l’agente coarta la volontà libera del soggetto costringendolo a subire comportamenti dallo stesso non voluti. In caso di trattamento arbitrario, il medico va incontro anche a responsabilità civile e disciplinare. Va sottolineato che il diritto all’informazione è sancito oltre che dalla legge n. 833/1978 (di istituzione del Servizio sanitario nazionale) anche dalle leggi regionali sui diritti dell’utente, ormai in vigore in quasi tutte le regioni. Non va dimenticata, inoltre, una sentenza della Corte di cassazione (sez. V, 21 aprile 1992, omicidio preterintenzionale, morte cagionata da intervento chirurgico arbitrario) che ha ribadito l’importanza e la necessità di raccogliere il consenso dell’interessato o dei parenti su qualsiasi atto medico da effettuare, soprattutto qualora il trattamento medico comporti rischi o diminuzione dell’integrità fisica. I moduli di consenso “valido” che sono fatti firmare dai sanitari prima di un atto medico e soprattutto in caso di anestesia, non hanno un valore legale, neppure nel caso siano controfirmati da testimoni. I moduli devono essere firmati anche nel caso si intenda partecipare ad una sperimentazione clinica. Qualsiasi modulo costituisce solo un elemento di prova per il medico al fine di dimostrare di aver fornito una informazione. Nessun consenso scritto modifica o diminuisce la responsabilità in caso di errore del medico. Il modulo di consenso deve essere firmato solo dopo aver ricevuto le informazioni. Il medico deve informare il paziente dei rischi, delle probabilità di riuscita del trattamento, della durata dello stesso, delle possibili alternative, ecc., utilizzando un linguaggio comprensibile. Se il consenso non è stato validamente raccolto, risulta come non dato. Questo è il caso della mancata informazione prima della firma del modulo. Il consenso può essere revocato dal paziente in ogni momento, quindi il medico deve assicurarsi che esso permanga per tutta la durata del trattamento. Inoltre, qualora sopravvenissero modifiche a quanto comunicato al paziente, va da sé la necessità di un nuovo colloquio informativo che garantisca la persistenza del consenso. Perciò non sono ammesse all’interno del modulo espressioni come “non desidero chiarimenti ulteriori”, in quanto il paziente ha sempre diritto ad avere chiarimenti e informazioni. È consigliabile non firmare moduli in cui è chiara solo l’intenzione di scaricare le responsabilità. È bene sapere che la struttura, e/o il singolo medico, sono comunque responsabili per eventuali errori o procurate infezioni. Nel modulo di consenso, debitamente compilato, deve essere chiaramente riconoscibile il tipo di intervento da eseguirsi, la data e l’ora della firma del paziente, la firma del medico che ha fornito l’informazione. Il Cittadino e la Salute 39 ORGANISMI 15. L’UFFICIO U.R.P. (UFFICIO RELAZIONI CON IL PUBBLICO) L’URP deve promuovere l’apertura di sportelli al pubblico dove personale preparato, disponibile, paziente, fornisce in termini chiari le informazioni di primo livello quali: • dove rivolgersi per..., in quali orari, quali documenti servono per... • nei punti di informazione deve essere garantita la riservatezza delle richieste, devono essere predisposti idonei strumenti di raccolta e di consultazione delle informazioni (banca dati) in modo da assicurare certezza e rapidità di risposta; • gli utenti devono poter disporre delle informazioni anche tramite telefono e l’orario di apertura dell’URP deve coprire almeno 12 ore giornaliere. 16. L’UFFICIO P.T. (PUBBLICA TUTELA) Precisiamo in particolare che, questo ufficio, nato su specifica segnalazione del Tribunale per i diritti del malato, all’interno dei servizi sanitari, e gestito da personale volontario non facente parte dello staff del servizio dov’è ubicato, è a disposizione dei pazienti/utenti per la presentazione di segnalazioni di eventuali disservizi e/o reclami. Gli utenti che desiderano esprimere le loro osservazioni, per gli adempimenti relativi, possono farlo tramite colloquio, su appuntamento o negli orari previsti, con il responsabile dell’Ufficio Pubblica Tutela; lettera in carta semplice indirizzata all’Ufficio Pubblica Tutela; segnalazione telefonica. N.B. ove tale ufficio non è stato creato - rivolgersi all’Ufficio Relazioni con il Pubblico. 17. I COMITATI DI BIOETICA Il continuo progresso scientifico e tecnologica nel campo della biologia e soprattutto della medicina, ha sollevato molte questioni, delicate e talvolta inquietanti, in ambito etico. La Bioetica è nata, negli anni sessanta, come nuova disciplina, di carattere filosofico-morale, capace di dare delle risposte a quelle questioni ed alle aspettative che esse suscitavano nella società di oggi. Proprio per queste. ragioni nacquero, in tutto il mondo, dei Comitati costituiti da esperti di varia estrazione,capaci di affrontare, con le proprie competenze, le varie problematiche, di dare risposte e di proporre soluzioni. Anche il Parlamento italiano si pose il problema e, dopo ampio dibattito, diede mandato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, di creare un Comitato nazionale composto da scienziati, ricercatori, clinici, giuristi, filosofi,moralisti, studiosi in genere. Un decreto della Presidenza. del Consiglio diede così vita, nel 1990, al Comitato Nazionale di Bioetica. Il Comitato aveva, ed ha tuttora, la funzione di elaborare un quadro riassuntivo delle questioni di Bioetica del momento, di formulare autorevoli pareri da sottoporre all'attenzione del Governo e del Parlamento al fine di emanare leggi capaci di disciplinare correttamente la materia, di prospettare soluzioni atte a permettere e ad assicurare il controllo dei diritti dei cittadini, di promuovere iniziative e codici di comportamento per tutti. La nascita di un Comitato a livello nazionale spinse molti istituti, facoltà universitarie, grandi ospedali a dotarsi di Comitati Etici o di Bioetica per affrontare le problematiche a cui abbiamo fatto cenno. Anche il Policlinico “S.Matteo" di Pavia istituti, nel 1992, un Comitato di Bioetica composto da dodici esperti in varie discipline mediche e non mediche. Alla luce di quanto suggerito da un Decreto del Ministero della Sanità del 1998, la composizione del Comitato venne arricchito con figure nuove di esperti che portarono a diciassette i componenti : quattro direttori della Amministrazione dell' Istituto, quattro clinici, un bioeticista, un giurista, un teologo-moralista, un medico legale, un biostatistico, un farmacologo, un medico di base, un rappresentante del mondo infermieristico ed un rappresentante del volontariato. Il Comitato, che ha funzioni consultive e formative, si riunisce men- 40 Il Cittadino e la Salute silmente o, al bisogno, in seduta straordinaria: esamina i vari protocolli di ricerca clinica presentati dai vari ricercatori dell'Istituto ed esprime il proprio parere, favorevole o meno. Il parere del Comitato, per legge, è vincolante nel senso che le ricerche non possono aver luogo senza l'autorizzazione del Comitato. Le ricerche sono solitamente riferite alla sperimentazione di farmaci, ma possono anche riguardare nuovi strumenti di diagnosi e cura. nuove tecnologie applicate o scelte terapeutiche innovative che comportano rischi particolari. I criteri di giudizio del Comitato sono riferiti a quanto previsto nei documenti internazionali che si riferiscono alle procedure di ricerca. Essi sono fondamentalmente la Dichiarazione di Helsinki (1996 e successive modificazioni) e le norme della “Good clinical practice'" approvate anche dall'Unione Europea. Secondo le norme previste da quei documenti, il Comitato prende in considerazione il giudizio di notorietà dei farmaci, la fondatezza dei presupposti scientifici della ricerca programmata, l'adeguatezza dei mezzi, la fattibilità organizzativa, la competenza dei ricercatori, il rapporto tra i rischi e i benefici della ricerca, la riservatezza dei dati personali, la copertura assicurativa, l’adeguatezza dell'informazione prevista per i pazienti che vogliono accettare di essere sottoposti alla sperimentazione previo esplicito e valido consenso. Quest'ultimo aspetto dei criteri di valutazione dei progetti di ricerca è quello che più frequentemente porta ad un rinvio delle procedure. Non sempre, infatti, il Comitato ritiene chiare e soddisfacenti le informazioni scritte da proporre all' attenzione dei pazienti: condizione indispensabile per le ricerche cliniche è la consapevolezza e la libera scelta del malato di sottoporsi alla sperimentazione di un farmaco o di una tecnica diagnostica o terapeutica. Ciò conferma la delicata e preziosa opera dei Comitati di Bioetica a protezione dei malati. Tale opera si completa con iniziative di carattere culturale e formativo attraverso l’organizzazione di incontri, convegni ed altro allo scopo di sensibilizzare gli operatori sanitari sulle problematiche sempre più complesse di carattere etico che ci propone il continuo progresso clinico-scientifico e tecnologico. 18. L’ORDINE DEI MEDICI CHIRURGHI E DEGLI ODONTOIATRI La struttura degli Ordini professionali dei Medici nasce nel primo decennio del secolo scorso, mentre l’attuale assetto è stato definito da una Legge del 1946, che ha ricostituito gli Ordini, che erano stati trasformati in Sindacato negli anni 1930-1940. Tutti i laureati in Medicina e Chirurgia una volta superato l’esame di stato per l’abilitazione professionale sono tenuti ad iscriversi all’Ordine professionale. Identico obbligo sussiste per i laureati in Odontoiatria e Protesi Dentaria. Questo è il motivo per cui l’Ordine professionale prende il nome di Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri. L’Ordine, che ha sede in ogni Provincia, si articola anche nelle Federazioni Regionali e nella Federazione Nazionale. Quest’ultima ha sede a Roma e ha la funzione di coordinamento generale oltre che di rappresentanza presso gli Organi istituzionali più alti (Parlamento, Governo, Ministeri, Enti ed Istituzioni sia di diritto pubblico che privato). lI compito più qualificante affidato alla Federazione Nazionale degli Ordini Provinciali si riconosce nella stesura e nell’aggiornamento del Codice Deontologico, che definisce il sistema di regole alle quali ogni medico-chirurgo ed ogni odontoiatra devono attenersi nei rapporti professionali (con i cittadini, con i colleghi, con gli Enti sanitari, etc.) ed anche in generale nel comportamento di tutti i giorni, che deve esprimersi in modo decoroso, dignitoso, rispettoso, indipendente, libero. All’Ordine professionale compete cioè la vigilanza deontologica e disciplinare sui professionisti iscritti.Ogni inosservanza del Codice Deontologico (oltre che, ovviamente, ad altre leggi statali o regionali) è suscettibile di procedimento disciplinare, che può comportare l’erogazione di sanzioni al professionista (che va dalla censura alla radiazione dall’Albo con impossibilità permanente di continuare ad esercitare la professione). Tale funzione affidata per Legge all’Ordine risulta, tuttavia, secondaria rispetto a quella principale, che si riconosce nell’impegno a migliorare la coscienza ed il costume professionale degli iscritti, oltre che la loro preparazione ed aggiornamento. L’Ordine professionale è, quindi, un Organo periferico dello Stato, che esercita funzioIl Cittadino e la Salute 41 ni di vigilanza e stimolo sui professionisti, appositamente riconosciute e delegate dal Legislatore, per ottenere la miglior garanzia e tutela dei cittadini bisognosi di diagnosi, cura, riabilitazione, ed anche di prestazioni di medicina-legale (come citato nella Legge 833/1978). Altro compito affidato all’Ordine dal legislatore consiste nella potestà di proporre al Parlamento e al Governo le tariffe minime per l’esercizio delle diverse branche professionali (in rapporto alle diverse specializzazioni) e per l’erogazione di ben determinate prestazioni. La tariffa minima, che dovrebbe essere conosciuta da tutti (attualmente in discussione al governo), costituisce uno strumento di utile garanzia per i cittadini ed i pazienti, che possono, quindi, verificare eventuali anomalie di comportamento: il professionista, che può decidere di non farsi pagare, non può però chiedere una tariffa inferiore al minimo a meno di non incorrere in concorrenza sleale; i cittadini, d'altra parte, avendo la tabella di riferimento “minima” possono anche valutare l’adeguatezza delle richieste in relazione alle caratteristiche ed alle capacità che vengono riconosciute ad ogni professionista. Ogni eventuale discordanza tra assistito e professionista, che riguardi gli aspetti economici, può essere portata all’attenzione dell’Ordine professionale, che valuta la richiesta, riconoscendo o meno la congruità della parcella professionale. L’Ordine è nel complesso garante del buon comportamento dei medici nell’esercizio della professione. 19. IL CITTADINO E IL MEDICO DI FAMIGLIA La salute è il bene più prezioso per ciascuno di noi. Questo significa che il primo diritto di un cittadino è vivere in un ambiente sano o avere la certezza che, in caso di bisogno, troverà cure ed assistenza adeguate. L’Azienda Sanitaria Locale della provincia Pavia è impegnata nel miglioramento della qualità dei servizi e nel garantire risposte adeguate alle reali necessità sanitarie. Come si sceglie il medico curante? Tutti i cittadini iscritti al Servizio Sanitario Nazionale hanno diritto all’assistenza medica prestata da un Medico di Medicina Generale (MMG) o da una Pediatra di Libera Scelta (PLS). Il cittadino può scegliere per sé e per i propri familiari un medico curante, purché: • sia operante nello stesso ambito territoriale di residenza oppure, in deroga, in altro ambito e • possa accogliere ancora altri assistiti, non avendo raggiunto il proprio massimale di scelte. Tale scelta si effettua presso gli sportelli dei centri distrettuali A.S.L. più vicini esibendo un documento d’identità ed il codice fiscale. Quali tipi di organizzazione prevede la medicina di famiglia? Alcuni medici operano individualmente nei confronti dei propri assistiti, altri sono organizzati in associazioni/gruppi/reti/gruppi di cure primarie. Se ci si trova per un breve periodo fuori dalla propria provincia di residenza come si può avere l’assistenza di un medico medicina generale o di un pediatra di libera scelta? Si può richiedere la prestazione occasionale ad altro Medico di Medicina Generale o Pediatra di Libera Scelta. In tal caso l’onorario previsto è a carico del cittadino che successivamente, esibendo la ricetta fiscale dell’avvenuto pagamento alla propria A.S.L. d’appartenenza, potrà ottenere il rimborso. E se il periodo d’assenza fosse lungo? I cittadini non residenti possono richiedere all’A.S.L. un’iscrizione temporanea, esclusivamente per motivi di lavoro, di salute o di studio (da tre mesi a dodici mesi, prorogabile su richiesta motivata) e scegliere così un medico curante per il periodo necessario. Nel caso venga meno il rapporto di fiducia col proprio medico, che cosa si può fare? Il cittadino può revocare il medico: in questo caso si rivolge agli sportelli dei centri distrettuali ed effettua la scelta di un nuovo medico curante. Qualora venga meno il rapporto di fiducia medico-paziente, anche il medico di famiglia può ricusare l’assistito. Quali sono i compiti del medico di medicina generale e del pediatra di libera scelta? Il Medico di Medicina Generale ed il Pediatra di Libera Scelta hanno il compito di seguire ed assistere in carico per tutti gli aspetti che riguardano la tutela della salute, tramite interventi di tipo preventi- 42 Il Cittadino e la Salute vo, di diagnosi, di cura, di riabilitazione e di educazione sanitaria. Il medico, secondo quanto ritiene opportuno per espletare tali compiti, può richiedere esami ed indagini specialistiche, può proporre il ricovero, prescrivere farmaci e certificare particolari condizioni. Come si accede allo studio medico? Le visite ambulatoriali sono effettuate presso lo studio del medico secondo gli orari e le modalità esposte in ambulatorio (prenotazioni o accesso diretto). Nel caso di medici associati l’apertura degli studi è prevista per almeno sei ore complessive giornaliere e fino alle ore diciannove per un giorno settimanale. Quando viene effettuata la visita domiciliare? La visita domiciliare viene effettuata gratuitamente quando, per le caratteristiche della situazione clinica in atto, il medico stabilisca la non trasportabilità dell’assistito in studio. La visita viene eseguita di norma entro il corso della stessa giornata, se la richiesta è pervenuta entro le ore dieci; se invece la richiesta perviene dopo le ore dieci la visita sarà effettuata entro le ore dodici del giorno successivo. Nelle giornate di sabato e nei prefestivi, il medico esegue le visite domiciliari se la richiesta è pervenuta entro le ore dieci. Le visite domiciliari urgenti recepite dal medico sono effettuate nel tempo più rapido possibile. Quando il medico è in servizio? I Medici di Medicina Generale ed i Pediatri di Libera Scelta svolgono la loro attività, ambulatoriale e domiciliare, non che tutti gli altri compiti previsti dal lunedì al venerdì dalle ore otto alle ore venti. Il sabato il medico non è tenuto ad effettuare attività ambulatorie; nei prefestivi infrasettimanali l’attività ambulatoriale è svolta solo dai medici che normalmente, in quel giorno, hanno l’apertura al mattino. Quando il medico è assente nomina un sostituto; nel caso di associazioni mediche, i vari medici del gruppo garantiscono l’assistenza anche per i casi in carico ai colleghi e per particolari necessità cliniche. Quali prestazioni il cittadino ha diritto di ricevere gratuitamente dal proprio medico di famiglia? • Le visite ambulatoriali e, per i soggetti che non possono essere trasportati in ambulatorio, le visite domiciliari a scopo diagnostico terapeutico, effettuate negli orari in cui il medico è in attività (Medico di Medicina Generale e Pediatra di Libera Scelta); • L’assistenza domiciliare programmata ed integrata per particolari categorie di pazienti, secondo un programma concordato con l’A.S.L. (MMG e PdLS); • I bilanci di salute e di test visivi/uditivi per i bambini da 0 a 6 anni (PdLS); • Le prescrizioni di accertamenti diagnostici e di farmaci, le richieste di ricovero (MMG e PdLS); • Le prestazioni aggiuntive (es. medicazioni, suture) (MMG e PdLS); • I certificati per i lavoratori dipendenti per incapacità temporanea al lavoro (certificati di malattia) (MMG); • Le certificazioni di idoneità allo svolgimento di attività sportive non agonistiche svolte nell’ambito scolastico, a seguito di richiesta scritta da parte dell’autorità scolastica competente (MMG e PdLS). Quali prestazioni sono soggette a pagamento, con rilascio di ricevuta? • Le visite ambulatoriali e domiciliari richieste ed eseguite dal medico nei giorni e negli orari in cui è attivo il servizio di Continuità Assistenziali (MMG PdLS); • I certificati scolastici e sportivi, esclusi quelli indicati sopra come gratuiti (MMG PdLS); • I certificati per le richieste d’invalidità civile, INPS, assegno di accompagnamento (MMG); • I certificati per l’invio al soggiorno climatico e nelle colonie, per uso medico-legale e/o assicurativo, per uso privato e tutti gli altri certificati e non ricompresi tra quelli gratuiti (MMG e PdLS); • Le prestazioni mediche non ricompresse tra quelle previste; • Le prestazioni occasionali per coloro che si trovano al di fuori della provincia di residenza. Come avviene la prescrizione di esami e erogabili del Servizio Sanitario Nazionale? Il medico di famiglia, ai fini diagnostici o riabilitativi e/o per monitorare lo stato di salute o gli effetti di una terapia in atto, può richiedere per il proprio assistito esami ed indagini strumentali e visite speIl Cittadino e la Salute 43 cialistiche, utilizzando il ricettario regionale, che consente l’accesso alle strutture pubbliche o private accreditate. Lo specialista pubblico che è in possesso del ricettario regionale, richiede direttamente tutti gli esami e le indagini strumentali di cui necessita per rispondere al quesito posto dal curante. Gli specialisti delle strutture private accreditate propongono al curante gli accertamenti ritenuti utili per l’iter diagnostico-terapeutico successivo. Il medico di famiglia valuta comunque liberamente la necessita o meno di approfondimento diagnostico e strumentale. Gli accertamenti sanitari periodici richiesti dal medico competente per i lavoratori sono a carico del datore di lavoro e non del S.S.N e per tanto non possono essere prescritti dal medico di famiglia. Come avviene la prescrizione di farmaci? Il medico di famiglia è l’unico sanitario che conosce complessivamente la situazione clinica del proprio assistito e decide, in piena responsabilità, dell’appropriatezza o meno per lo stesso di una terapia farmacologica, anche nei casi in cui la stessa sia stata indicata da altri. Nel caso di farmaci concedibili (farmaci in classe A) del Servizio Sanitario Nazionale, il medico utilizza il ricettario regionale; la prescrizione ha di norma validità per trenta giorni. Il ritiro dei medicinali prescritti presso le farmacie prevede il pagamento di un ticket di 2 Euro per confezione, sino ad un massimo di 4 euro per ricetta. Alcune categorie di cittadini posono essere esentate parzialmente o totalmente dal pagamento del ticket in base a condizioni relative al reddito, allo status (ad es. invalidità o particolari patologie). In caso di farmaci non concedibili dal Servizio Sanitario Nazionale (farmaci in classe C), la prescrizione deve essere effettuata sul ricettario privato del medico ed il costo del farmaco è a totale carico dell’assistito. Fanno eccezione, quindi possono ottenere gratuitamente i farmaci in fascia C: • i cittadini titolari di pensione di guerra diretta vitalizia, nei casi in cui il medico ne attesti la comprovata utilità; • i cittadini con esenzione per malattia rara, nei casi in cui il farmaco in fascia C rientri nel piano terapeutico stilato dal centro regionale di riferimento per la specifica patologia. Molti medicinali sono concedibili a carico del Servizio Sanitario Nazionale unicamente per particolari condizioni patologiche previste o da specifiche note ministeriali (Note A.I.F.A.) oppure da precise indicazioni cliniche ministeriali. Il medico che prescrive il farmaco è in ogni caso responsabile della conformità della prescrizione a quanto previsto dai citati vincoli normativi. Qualora risulti, in seguito ai controlli effettuati dall’A.S.L., che il medico di famiglia abbia posto a carico dell’S.S.N. farmaci senza rispettare rigorosamente le condizioni previste, lo stesso risulterà aver violato le norme vigenti e dovrà rispondere del suo operato nei termini previsti. La prescrizione di farmaci non è effettuabile dal medico di famiglia quando il paziente è ricoverato. Che cosa fare in caso di ricovero? Il ricovero d’urgenza avviene direttamente presso gli ospedali dotati di Pronto Soccorso. Nel caso di ricoveri programmati, il curante compila l’impegnativa indicando la motivazione del ricovero stesso. Nei casi in cui il ricovero segua un percorso diverso, il medico di famiglia non può emettere impegnativa indicando la motivazione del ricovero stesso. Nei casi in cui il ricovero segua un percorso diverso, il medico di famiglia non può emettere impegnativa retrodatata. Alcuni esami ed indagini indispensabili ai fini di un successivo intervento chirurgico, possono essere eseguiti prima del ricovero (esami pre-operatori), ma non vengono prescritti su impegnativa in quanto rientranti nella tariffa ospedaliera complessiva ed effettuati presso la struttura di ricovero. Allo stesso modo, i controlli da effettuarsi entro 30 giorni non vengono richiesti su impegnativa, ma programmati dalla struttura sanitaria presso la quale è avvenuto il ricovero. E se si ha necessità di assistenza quando il medico di famiglia non è in servizio? Negli orari in cui il medico di famiglia non è in servizio, il cittadino può ricorrere al servizio di Continuità Assistenziale (ex Guardia Medica): • Dalle ore 20.00 alle ore 8.00 di tutti i giorni della settimana; • Dalle ore 10.00 alle ore 20.00 del sabato e dei prefestivi; • Dalle ore 8.00 alle ore 20.00 di tutti i giorni festivi. 44 Il Cittadino e la Salute Come si accede al Servizio di Continuità Assistenziale? Il cittadino che ha necessità di assistenza medica durante gli orari di attività del servizio, telefona alla Centrale di Coordinamento del servizio (N. telefonico 848881818) e comunica direttamente con un medico, il quale, a seconda del caso, effettuerà o predisporrà il tipo d’intervento necessario: • la consulenza telefonica • la visita domiciliare • l’attivazione del Servizio 118, in caso di emergenza Quali compiti sono svolti dal servizio di Continuità Assistenziale? Il servizio è complementare all’assistenza primaria erogata dai medici di famiglia ed assicura ai cittadini: • visite domiciliari urgenti, festive, prefestive e notturne; • prescrizioni di farmaci per terapie urgenti e per compiere un ciclo non superiore a 48/72ore; • certificazioni di malattia per un massimo di 3 giorni, per assenze dal lavoro iniziate in giorno prefestivo o festivo; • visite ambulatoriali, ove previste, nella fascia oraria dalle20alle24. A quali situazioni non può rispondere il servizio di Continuità Assistenziale? • Ai casi di immediato pericolo di vita o di gravo episodi drammatici per i quali occorre attivare il servizio urgenza-emergenza118; • alla richiesta di prescrizioni di farmaci in seguito alla dimissione ospedaliera (ricovero, day hospital, pronto soccorso) o dopo visita specialistica ambulatoriale; • alla richiesta di prestazioni non mediche; • alla richiesta di prescrizioni specialistiche (esami di laboratorio e strumentali, visite e accertamenti specialistici), di competenza del medico di famiglia. 20. IL PEDIATRA DI FAMIGLIA La figura del pediatra di famiglia (di libera scelta) è una peculiarità tipicamente italiana. Il suo cammino inizia nel 1972 a livello sperimentale in 11 province del Nord-Italia, Pavia compresa. Nel 1981 la Gazzetta Ufficiale pubblica la prima Convenzione Nazionale Pediatrica separata da quella della Medicina Generale, riconoscendo di fatto, la peculiarità del pediatra di famiglia nell’assistenza del bambino. I Pediatri sono impegnati nella prevenzione, nella cura e nella riabilitazione dei bambini e dei ragazzi tra 0 e 14 anni. Al compimento dei 14 anni, l’A.S.L. procede a una revoca d’ufficio del Pediatra, comunicando alla famiglia dell’assistito la necessità di procedere alla scelta del Medico di famiglia. Ovviamente il cittadino può chiederla in qualsiasi momento, se il rapporto di fiducia si incrina per una qualche ragione, come avviene per il medico di famiglia. Si può richiedere il mantenimento della scelta fino a 16 anni di età soltanto per patologie croniche o situazioni di handicap documentate. Ciascuna A.S.L. compila gli elenchi dei pediatri di famiglia, articolati per comuni o gruppi di comuni o distretti, per permettere al cittadino di effettuare la scelta del proprio pediatra di fiducia. Il Pediatra può seguire di regola non più di 800 assistiti, ma possono essere concesse deroghe in relazione a particolari situazioni locali, come avviene nel caso in cui in una zona non c’è disponibilità di altri pediatri, oppure quando in una famiglia si aggiunge un nuovo bambino. Altre deroghe sono consentite anche nel caso in cui vi siano tra gli assistiti dei neonati (fino a un massimo di 880 pazienti). Nella cosiddetta zona carente, cioè una zona nella quale non c’è un numero di pediatri sufficiente, l’assistenza pediatrica di base può essere erogata dal medico di medicina generale. Compiti che il pediatra di famiglia è tenuto ad assolvere gratuitamente: • visite ambulatoriali e domiciliari a scopo preventivo, diagnostico o terapeutico; • accesso presso gli ambienti di ricovero, per seguire più da vicino la degenza del paziente; • prescrizione di farmaci. Il Cittadino e la Salute 45 • Certificazioni obbligatorie ai fini della riammissione alla scuola dell’obbligo, agli asili nido, alla scuola materna o della astensione dal lavoro del genitore a seguito di malattia del bambino; richiesta di indagini specialistiche e proposte di ricovero. • Richiesta di visite specialistiche, di analisi cliniche e di diagnostica strumentale. • Proposte di ricovero ospedaliero. • Consulto con il medico specialista presso ambulatori pubblici o al domicilio del paziente. • Aggiornamento di una scheda sanitaria pediatrica, come nel caso del medico di famiglia. • Certificati per l’idoneità a eseguire attività non agonistiche nell’ambito scolastico. Le visite La visita pediatrica ambulatoriale viene effettuata presso lo studio del pediatra. La visita pediatrica domiciliare va richiesta entro le ore 10.00. Il pediatra valuta la necessità di effettuarla e la garantisce entro le ore 12.00 del giorno successivo alla prenotazione. La visita pediatrica occasionale è garantita al bambino che si trova eccezionalmente fuori del comune di residenza, al costo previsto dalla convenzione nazionale; per i bambini fino a 12 anni può essere chiesto il rimborso al Distretto A.S.L. di appartenenza. Bambini con patologie croniche In questo caso è possibile chiedere al pediatra di attivare, in accordo con il responsabile dell’assistenza sanitaria del distretto nel quale risiede il paziente, un programma di assistenza a domicilio, con un piano individualizzato, definito anche con la partecipazione di più figure professionali. Tutto ciò allo scopo di evitare che il bambino sia ospedalizzato continuamente. Il servizio viene attivato in caso di piccoli pazienti affetti da: asma grave, fibrosi cistica, malattie cromosomiche o genetiche invalidanti, sindrome di Down, cardiopatie congenite, artropatie con grave limitazione funzionale, artrite reumatoide giovanile, patologie oncoematologiche, cerebropatie, tetraplegia, autismo e altre psicosi, epilessia, immunodeficienza acquisita, diabete mellito, oltre che in gravi situazioni di disagio socio-familiare o nel caso di bambini già sottoposti a provvedimenti tutelari da parte del Tribunale dei minori. Anche il Pediatra di libera scelta non è un medico di emergenza e non è tenuto a essere continuamente reperibile. Il Pediatra tra i suoi compiti deve incoraggiare i bambini alle attività sportive che favoriscono un sano sviluppo del fisico e previene eventuali devianze. L’atteggiamento nei confronti dell’adolescente non deve essere solo critico ma anche costruttivo: molto si può imparare dal dialogo con gli adolescenti, forse ancor di più che non frequentando i più importanti Congressi sull’argomento. È necessario avvicinarsi il più possibile ai giovani e al loro mondo, cercando di conquistare e/o conservare la loro fiducia. Affinché questo si realizzi ogni Pediatra di famiglia dovrebbe coltivare nel corso degli anni un flusso dialogico dapprima col bambino in età prescolare, scolare, e quindi con l’adolescente, senza escludere i genitori. Solo così sarà possibile migliorare la qualità di vita degli adolescenti e per questo anche quello della società. 21. L’INFERMIERE E L’ASSISTENZA INFERMIERISTICA L’Infermiere è l’operatore sanitario il quale, in possesso della Laurea abilitante all’esercizio e dell’iscrizione all’Albo professionale, è responsabile dell’assistenza generale infermieristica. L’assistenza infermieristica è rivolta all’individuo e alla collettività, alla persona sana e malata e consiste nel curare e nel “prendersi cura” della persona nel rispetto della vita, della salute, della libertà e della dignità umana. L’elemento centrale dell’assistenza infermieristica non è la malattia bensì le conseguenze fisiologiche, psicologiche e sociali che essa comporta; l’attività infermieristica consiste pertanto nel prendersi cura della persona, attraverso interventi finalizzati al benessere fisico, psichico e sociale della stessa. L’Infermiere svolge la propria attività in strutture sanitarie pubbliche o private, nel territorio, nell’assistenza domiciliare, in regime di dipendenza o libero professionale. L’Infermiere agisce sia individualmente, sia all’interno di un èquipe multidisciplinare ed in qualsiasi contesto operativo, per lo svolgimento delle sue funzioni, può avvalersi dell’opera del personale di supporto (Operatore socio-sanita- 46 Il Cittadino e la Salute rio), mantenendo la responsabilità della pianificazione dell’assistenza e, di conseguenza dei risultati ottenuti. L’infermiere risponde ai bisogni di salute e di assistenza infermieristica, della persona e della collettività, attraverso interventi: Preventivi - Curativi - Palliativi - Riabilitativi Assistenza infermieristica preventiva La prevenzione delle malattie e la promozione di uno stile di vita sano, costituiscono una delle principali funzioni assistenziali infermieristiche. La salute, intesa come benessere fisico, psichico e sociale è riconosciuta dall’infermieristica come bene fondamentale dell’individuo ed interesse della collettività e si impegna a tutelarlo attraverso interventi di natura preventiva ed educativa. In qualsiasi contesto, ospedaliero, territoriale o domiciliare, l’infermiere risulta essere l’operatore sanitario più vicino alla persona capace di programmare interventi di educazione sanitaria. Assistenza infermieristica curativa L’Infermiere assiste le persone malate in strutture sanitarie o a domicilio, tenendo in considerazione i valori culturali religiosi, ideologici ed etici della persona promovendo la partecipazione attiva dell’assistito e dei famigliari al piano di cure infermieristiche. Garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche, aiuta e sostiene la persona nelle scelte terapeutiche ed orienta la sua azione all’autonomia ed al benessere della stessa aiutandola a riconquistare in relazione alla patologia, la propria indipendenza. Assistenza infermieristica palliativa L’Infermiere assiste la persona qualunque sia la sua condizione clinica e fino al termine della vita, garantendone il benessere fisico, psicologico, relazionale, spirituale e ambientale. Tutela la qualità della vita della persona e si attiva per alleviare i sintomi in particolare quelli prevenibili, coinvolgendo e sostenendo i famigliari nel piano di cure. Assistenza infermieristica e riabilitativa L’Infermiere, nell’esercito delle sue funzioni, pianifica interventi finalizzati alla riabilitazione delle funzioni fisiologiche della persona assistita, promovendone l’autonomia ed agendo in collaborazione con gli altri professionisti della salute orienta l’assistito e la famiglia alle strutture ai servizi finalizzati al soddisfacimento di determinati bisogni. In ospedale In ospedale, l’infermiere è presente 24 ore su 24, è responsabile del benessere psico-fisico della persona assistita, risponde ai bisogni della persona assistita, risponde ai bisogni legati alla malattia e all’ospedalizzazione si impegna a fornirle risposte chiare e comprensibili o indirizzarla alle persone e agli organi competenti. È inoltre responsabile delle attività alberghiere, di pulizia ed igiene ambientale svolte dal personale di supporto, segnala agli organi e figure competenti le situazioni che le possono causare danni e disagi e partecipa ad iniziative atte a migliorare le risposte assistenziali infermieristiche all’interno dell’organizzazione. Sul territorio Il sistema sanitario nazionale garantisce l’assistenza infermieristica territoriale: essa si esplica attraverso prestazioni infermieristiche erogate presso gli ambulatori dell’A.S.L. o al domicilio dell’utente. È importante di ricordarsi di chiedere, al momento della dimissione ospedaliera, le modalità per l’attivazione dell’assistenza infermieristica domiciliare. Gli infermieri ribadiscono i principi fondamentali della loro professione aspirata: • Alla scelta del prendersi cura • Alla serietà e responsabilità che caratterizzano il loro impegno nell’esercizio • Alla certezza di svolgere un ruolo rilevante ed anche insostituibile a fianco di persone che hanno bisogno di assistenza • Alla consapevolezza di volere e dover essere sempre all’altezza di alti compiti, sia sul piano umano che su quello professionale, confermando la scelta irreversibile per un servizio sanitario equo e solidale. Il Cittadino e la Salute 47 Per il cittadino L’infermiere è l’operatore sanitario al quale il cittadino può rivolgersi sia in ambito ospedaliero che territoriale, capace di individuare i suoi bisogni di assistenza, condividerli, proporre le possibili soluzioni, aiutare a risolvere i problemi e fornire le informazioni utili a rendere più agevole il contatto con l’insieme dei servizi sanitari. DECALOGO PER UNA NUOVA POLITICA DELLA SALUTE 1. SVILUPPARE un modello di welfare lombardo e/o nazionale in grado di migliorare la risposta ai bisogni di salute degli anziani, dei portatori di disagio psichico e dei diversamente abili a garanzia della comunità assistenziale. 2. GARANTIRE una corretta programmazione del fabbisogno formato infermieristico e delle figure di supporto al fine di poter erogare un’assistenza infermieristica adeguata ai bisogni assistenziali stimati su basi epidemiologiche. 3. ADEGUARE il rapporto infermiere/abitanti agli standard internazionali attraverso specifici interventi strutturali anche rivolti agli indici della programmazione formativa e della gestione delle figure di supporto. 4. ISTITUIRE l’infermiere di famiglia, come previsto dal documento Salute XXI dell’OMS e dalla dichiarazione di Monaco condivisa da tutti i Ministri della Sanità dei Paesi europei. 5. INCENTIVARE e valorizzare la formazione post-base al fine di rendere la risposta assistenziale nelle aree specialistiche più adeguata ai bisogni di salute del cittadino. 6. FAVORIRE la crescita della ricerca per sviluppare un’assistenza basata sull’evidenza (Evidence Based Nursing). 7. ISTITUIRE gli ambulatori infermieristici negli ospedali e sul territorio con convenzioni regionali, sul modello in atto per la medicina generale, al fine di migliorare l’accessibilità e la fruibilità dei servizi di assistenza infermieristica distrettuale previsti dai LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) 8. APPLICARE concretamente in tutte le strutture la Legge 251/2000 con conferimento di incarico per una direzione infermieristica articolata su strutture semplici/complesse nelle Aziende Sanitarie. 9. ADEGUARE i trattamenti economici nel sistema sanitario pubblico agli standard dell’Ue, consentendo agli infermieri la possibilità di esercitare la libera professione intra ed extra moenia. 10. INTERVENIRE a livello governativo e della Conferenza Stato-Regioni,di concerto con le OO.SS., nella trasformazione delle prestazioni aggiuntive in attività libero professionale. 22. SERVIZIO DI CONTINUITÀ ASSISTENZIALE EX GUARDIA MEDICA Per assicurare la continuità dell’assistenza sanitaria, nell’intero arco della giornata e per tutti i giorni della settimana, è prevista la presenza della Guardia Medica - oggi sevizio di Continuità Assistenziale. Attualmente i numeri telefonici sono: 8488-81818 / 0382.431289 Questa è un presidio sanitario che interviene in caso di urgenza, a domicilio o in apposite sedi di servizio, dalle ore 20 alle ore 8 di tutti i giorni feriali, e dalle ore 10 del giorno prefestivo alle ore 8 del giorno successivo al festivo. Il medico che assicura la continuità assistenziale deve essere presente, all’inizio del turno, nella struttura assegnatagli dalla A.S.L. e rimanere a disposizione, fino alla fine del turno, per effettuare gli interventi richiesti; non può lasciare la sede prima dell’arrivo del medico tenuto a continuare il servizio. Il medico di guardia dispone di farmaci e materiale necessario per prestare le cure di primo soccorso; può prescrivere farmaci per terapie di urgenza o per un ciclo di terapia di 23 giorni al massimo; può richiedere il ricovero ospedaliero. Inoltre può essere chiamato a rilasciare un certificato di malattia. Per ottenere l’intervento del medico di guardia si può andare direttamente alla sede di servizio, oppure telefonare al numero dell’A.S.L. di residenza o al 118: la centrale operativa deciderà se inviare a domicilio un medico o un’ambulanza. 48 Il Cittadino e la Salute 23. IL SERVIZIO DEL “118” È il numero telefonico del pronto intervento sanitario, unico e gratuito, attivo 24 ore su 24. Va utilizzato solo in situazioni di emergenza: gravi malori, incidenti in casa, in strada o sul lavoro, necessità di ricovero urgente, qualsiasi condizione in cui vi sia un pericolo di vita reale o presunto. Tutte le richieste di intervento vengono smistate dalla Centrale operativa che farà intervenire, a seconda della gravità dei casi, Continuità Assistenziale ex Guardia medica, l’ambulanza o l’elisoccorso. È importante quindi che vengano date agli operatori telefonici tutte le informazioni necessarie: nome, numero di telefono, indirizzo preciso del chiamante, descrizione e localizzazione dell’accaduto, numero e condizione delle persone coinvolte. QUANDO CHIAMARE IL COME CHIAMARE IL ATTENZIONE! NON CHIAMARE IL 118 118 118 Grave malore. SOCCORSO SANITARIO URGENZA EMERGENZA 118 Per richiesta di Comporre su qualsiasi telefoambulanza per no il numero 118. intervento non urgente (ricoLa chiamata è gratuita. veri programmati, dimissioni ospedaliere,…). Incidente stradale, domestico, sportivo, sul lavoro. Attendere risposta dalla Centrale Operativa 118. Per richiesta del proprio medico di famiglia. Ricovero d’urgenza. Comunicare con calma e precisione: dove è successo (comune, via, n° civico, tel.); cosa è successo (incidente, malore, ecc.), n. persone coinvolte. Per consulenze medico specialistiche. Non riagganciare la comuniPer informazioni di natura cazione prima che l’operatore socio-sanitaria (orari ambula118 abbia terminato di tori, prenotazioni, visite, raccogliere le informazioni prestazioni,...). necessarie. Assicurarsi che i soccorsi in arrivo (ambulanza, automedica,...) abbiano libero accesso. Se possibile aspettare i soccorsi in strada per facilitare la localizzazione dell’evento. Il Cittadino e la Salute 49 24. LE CURE ALL’ESTERO In generale la pubblica amministrazione non può negare l’autorizzazione al ricovero presso strutture sanitarie non convenzionate o all’estero quando non sia in grado di assicurare tempestivamente le cure per la salute di cui il cittadino ha bisogno. Le norme che disciplinano l’assistenza sanitaria all’estero sono: • Dm 13/7/80 n. 618. • Legge n. 595 del 23/10/1985. • Sentenza della Corte costituzionale 31/12/1986 n. 294. • Circolare del ministero della Sanità n. 33 del 12 dicembre 1989. • Dm 3/11/1989 modificato con Dm del 13/5/1993. • Dm 24/1/1990 modificato con Dm del 17/6/1993. • Dm 7/3/1996 (principio della libera circolazione dei cittadini per motivi sanitari all’interno dell’Unione europea). Secondo quanto previsto dalle norme citate e da alcuni regolamenti Cee (0408/71; 2793/81 e 2000/83), ecc., le Aziende sanitarie locali possono autorizzare un proprio assistito a recarsi in un altro Stato membro per ricevere le cure sanitarie delle quali necessita. A tal fine l’interessato deve munirsi del modulo Cee (modello E 111) oggi sostituito dalla Carta Regionale (elettronica) dei Servizi rilasciata dalla A.S.L. di appartenenza. Gli oneri sostenuti sono addebitati direttamente al ministero della Salute dall’istituzione estera competente. L’assistito italiano, autorizzato al trasferimento per cure, ha diritto alle prestazioni autorizzate con le stesse modalità e limiti previsti dalle istituzioni estere per i propri assistiti. Questo vuol dire che le prestazioni sono erogate gratuitamente o con il pagamento di una eventuale quota di partecipazione. I casi in cui è ammessa la richiesta tardiva Secondo il Dm 13 maggio 1993, si prescinde dalla preventiva autorizzazione solo per le prestazioni di comprovata eccezionale gravità e urgenza, ivi comprese quelle usufruite dai cittadini che si trovino già all’estero. In tal caso, la A.S.L. può, previa valutazione della sussistenza dei presupposti da parte del centro di riferimento, rilasciare a posteriori il modello E 111, su richiesta dell’interessato o della istituzione estera, oppure procedere, al rientro dell’assistito in Italia, al rimborso delle spese sostenute. La domanda di rimborso con allegata tutta la documentazione, deve essere presentata alla A.S.L. competente entro tre mesi dalla effettuazione della relativa spesa, altrimenti si perde il diritto al rimborso. Per quanto riguarda i trapianti viene esplicitamente ammessa la deroga in due casi: • l’improvvisa chiamata da parte della struttura estera dell’assistito che sia in lista nazionale trapianti da oltre 180 giorni. • l’imprevisto ricovero per l’intervento dell’assistito che, in lista nazionale trapianti, si trovi già all’estero per accertamenti, tipizzazione, ecc. In caso di rifiuto, che cosa fare Qualora il cittadino intenda opporsi al rifiuto ricevuto dalla A.S.L. è consigliabile: • Controllare che nella lettera sia indicata la motivazione, che è obbligatoria (L. 241/90 e Carta dei servizi sanitari). • Verificare che i centri in Italia, indicati dal centro di riferimento, siano effettivamente.in grado di effettuare la prestazione. • Proporre una prima opposizione in via amministrativa (ricorso amministrativo alla A.S.L. e al centro di riferimento) allegando ulteriore documentazione. • Chiedere l’assistenza della Rete - Tribunale per i diritti del malato di territorio o nazionale. 50 Il Cittadino e la Salute 25. LA PRESCRIZIONE DELLA RICETTA MEDICA La ricetta Pronunciamenti di numerosi organi giurisdizionali, e in particolare della Corte di Cassazione, hanno stabilito che la ricetta ha lo stesso valore della certificazione, e che quindi come questa deve essere corretta sia per quanto attiene la forma che il contenuto. La deroga a questi principi è considerata un reato penale ed il medico ne risponde direttamente. Ciò significa non solo che il sanitario è chiamato ad attenersi ai criteri di correttezza e di veridicità nel compilare le ricette, ma anche che il cittadino deve il più possibile evitare di chiedere trattamenti “di favore”, in deroga a tali principi. Proprio per la sua importanza, la ricetta deve essere compilata su carta intestata o su apposito modulo (ad esempio, la ricetta “rosa”), cui va apposto un timbro che identifichi il medico prescrittore. La ricetta deve essere sempre datata e sottoscritta. Non è accettabile una ricetta con un semplice timbro del reparto, senza che si possa risalire a chi l’ha redatta. La riconoscibilità di chi ha prescritto un medicinale è necessaria non solo per fini legali, ma anche per sapere a chi chiedere, in caso di dubbi o necessità, ulteriori spiegazioni riguardo le dosi o gli effetti indesiderati di un farmaco. La scrittura deve essere chiara e leggibile senza difficoltà, per non far incorrere in errore il farmacista, che potrebbe consegnare un farmaco sbagliato e conseguentemente mettere a rischio la salute del paziente. Utile a sapersi • Un buon medico sa che la posologia, i tempi e le modalità d’assunzione più corretti sono importantissimi per il successo della terapia e per minimizzare gli ineliminabili effetti collaterali; per questo motivo egli accompagna alla ricetta, specie quella che dovrà essere trattenuta dal farmacista, una esauriente spiegazione riguardo alle modalità d’assunzione con brevi note riepilogative. È buona norma richiedere tale schema quando le medicine prescritte sono molte e non si è sicuri di ricordare esattamente le istruzioni. • Il medico di famiglia, che conosce il proprio paziente, può fare una ricetta anche senza aver visitato il paziente ed in sua assenza; può consegnarla ad un congiunto, quando il paziente stesso sia impossibilitato a raggiungere lo studio medico. • Se alla dimissione è necessario continuare la terapia a domicilio, il farmaco dovrebbe sempre essere prescritto direttamente dal medico del reparto ospedaliero; questa regola è quanto mai importante quando il cittadino viene dimesso dall’ospedale di sabato o in giorno festivo; infatti anche nei reparti ospedalieri e negli ambulatori è possibile usare, oltre al normale ricettario personale del medico o dell’ospedale, l’apposito ricettario ministeriale per i farmaci rimborsabili. • Nel caso la farmacia non disponga del medicinale prescritto dal medico, il farmacista può dare un medicinale sostitutivo purchè esso abbia uguale composizione, stessa forma (es.compresse), pari indicazioni di uso, prezzo uguale o inferiore; il farmacista è tenuto a indicare nella ricetta le motivazioni della sostituzione (DPR 371/98). I TIPI DI RICETTA MEDICA La ricetta rosa Il modulo ministeriale, in speciale carta filigranata e numerato, può essere usato solo per la prescrizione di farmaci “mutuabili”, cioè totalmente o parzialmente rimborsati dal S.S.N.. Ha appositi spazi in cui il medico deve apporre il diritto all’esenzione o alla multiprescrizione (per particolari patologie croniche). Normalmente possono essere prescritte non più di due confezioni di medicinale per ricetta, ma fanno eccezione ad esempio gli antibiotici iniettabili, o le soluzioni da flebocisi, di cui possono essere prescritti fino a sei pezzi per ricetta. In caso di multi prescrizione per malattie croniche, come ad esempio l’ipertensione o il diabete, possono essere prescritte tre confezioni del medesimo farmaco, e comunque non può essere prescritta che la terapia per un massimo di due mesi. Le ricette non possono essere corrette da altri che dal medico prescrittore, il quale deve controfirmare la correzione in caso di erroIl Cittadino e la Salute 51 re. Avere la corretta informazione può essere utile per evitare di richiedere al medico di famiglia la prescrizione gratuita di un farmaco con nota, quando non v’è l’indicazione corretta. È illegale cercare di ovviare al problema delle limitazioni mediante l’utilizzo della tessera sanitaria di un’altra persona, magari un anziano familiare. La ricetta è valida solo nell’ambito regionale, quindi le ricette prescritte in altre regioni vanno trascritte dal medico di famiglia. La ricetta ripetibile È in genere la ricetta “bianca” personale del medico per farmaci che devono essere pagati per intero. Essa non viene trattenuta dal farmacista e può essere riutilizzata per ritirare fino a cinque confezioni nell’arco di tre mesi. È, ad esempio, il caso di ansiolitici e sonniferi. Non deve necessariamente riportare il nome e cognome del paziente, ma solo la data e la firma del medico. È utile però ricordare che senza il nome e cognome del paziente non è possibile detrarre fiscalmente dal reddito la spesa per l’acquisto del farmaco. La ricetta non ripetibile Per alcune medicine la ricetta vale solo per una volta e, tranne rare eccezioni, deve riportare sempre il nome e cognome del paziente. Il farmacista tiene per sé la ricetta. Per questo è importante ricordarsi di fissare bene a mente eventuali note d’assunzione e la posologia corretta, soprattutto nel caso in cui il medico non vi abbia lasciato uno schema di istruzioni del caso. Esse hanno validità di soli 10 giorni. La ricetta limitativa Si tratta di una ricetta rilasciabile solo da parte di determinati centri ospedalieri ed universitari, accreditati a ciò, per farmaci di uso ospedaliero da assumere anche dopo la dimissione, in genere destinati alla cura di patologie particolari. Ricette speciali Sono ricette che utilizzano appositi moduli ministeriali timbrati a secco uno per uno, in formato madrefiglia, di lunga e complessa compilazione a mano. Esse servono per prescrivere alcuni farmaci che potendo essere usati anche illecitamente al di fuori delle indicazioni concesse, necessitano di un controllo prescrittivo da parte dello Stato. Questi sono in genere analgesici oppiacei, cioè analoghi della morfina e dell’eroina, che si usano in forme dolorose di particolare gravità, come nel caso di malati terminali di tumore. La ricetta deve contenere nome e cognome del paziente, il suo indirizzo, l’indirizzo ed il recapito telefonico del medico, la preparazione farmaceutica e la posologia per esteso. Una recente legge sulla terapia del dolore ha semplificato le norme, eccessivamente burocratiche e limitative, per la prescrizione di questi farmaci. Ad esempio, oggi la ricetta ha la validità di 30 giorni e quindi con quantitativi necessari per un mese e non solo per otto giorni come in precedenza, e non è più necessaria conservarla da parte del farmacista e del medico per due anni. 26. IL PRONTO SOCCORSO Il Pronto Soccorso è la porta dell’ospedale verso la città, cui si possono rivolgere i cittadini per trovare risposte ai propri bisogni urgenti di salute. Il cittadino può accedervi per accesso diretto o con i mezzi di soccorso del 118. La “mission” del Pronto Soccorso è “garantire risposte e interventi tempestivi, adeguati e ottimali ai pazienti giunti in ospedale in modo non programmato per problematiche di urgenza e di emergenza” e più specificamente il Pronto Soccorso è in grado di “garantire a ogni cittadino bisognoso un appropriato orientamento diagnostico-terapeutico e, nei casi di emergenza, il recupero e la stabilizzazione delle funzioni vitali”. Molti Pronto Soccorso hanno anche la funzione di Accettazione, cioè controllano la programmazione dei ricoveri ordinari in tutte le Cliniche per garantire la disponibilità dei posti letto per l’urgenza. 52 Il Cittadino e la Salute ISTRUZIONI PER L’UTILIZZO DEL PRONTO SOCCORSO Quando andare in Pronto Soccorso La risposta ottimale del Pronto Soccorso ai bisogni urgenti di salute dei cittadini deve essere tempestiva e adeguata: a questo scopo Medici e Infermieri sono a disposizione 24 ore su 24. Per ottenere una risposta rapida e adeguata ai propri bisogni sanitari è necessario rivolgersi al Pronto Soccorso solo quando sussistono reali necessità. Il cittadino che non presenta situazioni di reale urgenza/emergenza non deve recarsi al Pronto Soccorso, ma deve rivolgersi al proprio Medico Curante, al Servizio di Guardia Medica (notturno, prefestivo e festivo) e/o ai Poliambulatori sul territorio. Le visite di pronto soccorso che non hanno i caratteri dell’urgenza (codice bianco attribuito dal Medico alla fine della visita) sono soggette al pagamento del ticket. (DELIBERA REGIONALE DGR VII/11534 DEL 10/10/2002, PRONTO SOCCORSO; ne sono esenti dal 10 marzo 2003 i bambini di età inferiore ai sei anni e gli anziani di età superiore ai 65 anni). Vedi foglio allegato per nuova normativa rivolta agli ammalati e distribuita durante il triage. L’arrivo in Pronto Soccorso (il Triage) Il ruolo del Pronto Soccorso è gradualmente cambiato nel corso degli ultimi anni. Sono infatti mutati gli scenari esterni della società e si sono modificate le aspettative della popolazione nei confronti dei servizi sanitari. Ciò ha determinato un notevole incremento di accessi con la crescente esigenza di “filtrare”, non solo i ricoveri ospedalieri, ma anche le richieste di visita con l’attribuzione dei codici di priorità. L’ordine di accesso alla visita medica in Pronto Soccorso non è determinato né dall’ordine di arrivo né dalla fretta dei pazienti, ma viene stabilito da personale sanitario formato (Infermiere Triagista) in base a criteri codificati. Quindi il paziente che si presenta al Pronto Soccorso viene visitato in relazione alla gravità delle sue condizioni cliniche. Questo sistema si chiama TRIAGE, parola francese che significa “scegliere, selezionare, mettere in fila” e prevede l’impiego di un codice di priorità (per lo più un codice-colore), in cui a ogni colore corrisponde un livello di gravità e di urgenza. Lo scopo è quello di poter assistere immediatamente i pazienti più gravi e quindi, in funzione della gravità e dell’urgenza, tutte le altre persone che si presentano al Pronto Soccorso. La prima valutazione dell’urgenza è effettuata dall’Infermiere Triagista (IT) all’arrivo del paziente in Pronto Soccorso. La permanenza del paziente in Pronto Soccorso Una volta entrati in Pronto Soccorso, dopo il Triage, si viene inseriti in un percorso di diagnosi e cura. In certi casi il Medico può consigliare al paziente un periodo di permanenza in Pronto Soccorso per attendere i risultati degli esami o la stabilizzazione e il chiarimento diagnostico della sintomatologia in atto (osservazione temporanea e/o ricovero breve in Pronto Soccorso). Il paziente, al termine dell’iter diagnostico-terapeutico, può essere dimesso (rinviato a casa) o ricoverato in ospedale. DIMISSIONI DAL PRONTO SOCCORSO Al momento della dimissione viene consegnata al paziente una relazione clinica per il Medico di famiglia (Curante), con le indicazioni sul trattamento ricevuto in Pronto Soccorso ed eventuali prescrizioni per la prosecuzione delle cure. Tale relazione va conservata. Non vengono consegnati invece i documenti originali relativi agli esami ematochimici, ECG e le radiografie che sono archiviate presso l’archivio del Pronto Soccorso. Tali documentazioni possono essere richieste in copia all’Ufficio Cartelle Cliniche della Direzione Sanitaria. Il Cittadino e la Salute 53 54 Il Cittadino e la Salute CARTELLINO CHE VIENE CONSEGNATO AL PAZIENTE AL MOMENTO DELL’ACCOGLIENZA (TRIAGE) DALL’INFERMIERE TRIAGISTA Il Cittadino e la Salute 55 56 Il Cittadino e la Salute ASSISTENZA SANITARIA 27. VACCINAZIONI PER L’INFANZIA Vaccini Sono il mezzo più efficace e conveniente per prevenire le malattie infettive e le loro complicazioni. Stimolano l’organismo a produrre attivamente una risposta immunitaria e lo rendono capace di resistere, cosi, alle infezioni. Con le vaccinazioni vengono evitati nel mondo, ogni anno, non meno di tre milioni di decessi nei bambini di età inferiore a 5 anni, ed almeno 400.000 casi di polio paralitica, malattia di cui è prossima la totale eliminazione in tutto il mondo, al pari di quanto già avvenuto per il vaiolo. Questi traguardi sono stati raggiunti grazie al “Programma esteso di immunizzazione” (Epi), promosso dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nell’ ambito del piano “Salute per tutti nell’anno 2000”. Anche l’Italia, come Stato membro dell’Oms, ha aderito al programma Epi e ne segue le raccomandazioni, che prevedono il controllo delle malattie infettive attraverso vaccinazioni e calendari vaccinali differenti a seconda delle situazioni sanitarie dei diversi paesi. In Italia sono raccomandabili nell’infanzia vaccinazioni per prevenire le seguenti malattie: tetano e difterite (DT), poliomielite (OPV), epatite virale B (HB), morbillo, parotite e rosolia (MMR), infezioni da Haemophilus influenzae b (Hib), pertosse (DTP se associata ad antidifterica-tetanica, aP se singola). Le vaccinazioni antidifterica-tetanica (DT), antipolio (OPV), antiepatite B (HB) sono obbligatorie per legge nel nostro paese. Le malattie infettive dell’infanzia si manifestano spesso ciclicamente (con epidemie ogni due, tre anni), poiché nel corso dell’episodio epidemico si infettano la maggior parte dei bambini, ed è dunque necessario un certo lasso di tempo affinché si formino nuovi gruppi di bambini suscettibili all’infezione (non protetti, perché privi di anticorpi naturali o non vaccinati). Se la maggior parte dei bambini è vaccinata viene impedita la diffusione dell’ epidemia. Le vaccinazioni non proteggono, quindi, soltanto i soggetti vaccinati ma anche l’intera comunità. Vaccinazione antitetanica. Protegge dal tetano, una grave malattia batterica (mortale in oltre il 50% dei casi) causata da un bacillo presente nell’ambiente, che può penetrare attraverso ferite anche banali e produce una tossina potentissima che agisce sulle terminazioni nervose, provocando spasmi muscolari incontenibili. Vaccinazione antidifterica Protegge dalla difterite, una malattia batterica grave (mortale, nonostante la terapia, nel 5-10% dei casi) trasmessa principalmente per via aerea. La difterite è dovuta all’azione di una tossina che può agire sul tessuto cardiaco, sui reni, sul fegato, sul sistema nervoso causando danni anche permanenti. L’efficacia della vaccinazione antidifterica è testimoniata dalla scomparsa della malattia nei paesi in cui è stata attuata correttamente e dalla ricomparsa della difterite in quelle parti del mondo, come l’ex Urss, in cui la pratica della vaccinazione era stata temporaneamente trascurata. Vaccinazione antipoliomielitica Protegge dalla polio, malattia causata da virus che, dopo avere provocato un’infezione a livello intestinale, possono localizzarsi nel sistema nervoso causando la paralisi di uno o più arti e/o dei muscoli respiratori; la mortalità della malattia varia dal 2% al 10%. Grazie alla vaccinazione, la malattia è scomparsa dall’Italia, come dagli altri paesi europei, ma la sua ricomparsa è sempre possibile fintanto che ci saranno zone del mondo in cui essa è presente e diffusa. Vaccinazione contro l’epatite virale B Protegge dall’ epatite B, malattia che si trasmette attraverso il contatto con sangue o con altri liquidi biologici infetti, o può essere trasmessa da madre infetta a figlio durante la gravidanza. Molto spesso l’infezione da HBV non si presenta con una sintomatologia definita, ma sia le forme manifeste che quelle inapparenti possono andare incontro a cronicizzazione, in percentuali tanto maggiori quanto minore è Il Cittadino e la Salute 57 l’età al momento dell’infezione, con conseguenze (epatite cronica attiva, cirrosi epatica, cancro del fegato) che si manifestano a distanza di molti anni. Oltre 350 milioni di persone, in tutto il mondo, sono portatori cronici del virus dell’epatite B (HBV). L’epatite B presenta una mortalità, in fase acuta, dell’1%. Vaccinazione antipertosse Protegge dalla pertosse, una malattia batterica che può presentare quadri di gravità variabile a seconda dell’età: sono caratteristici gli accessi di tosse convulsiva, cui segue un periodo di assenza di respiro (apnea) più o meno prolungato e vomito. Nei bambini molto piccoli sono relativamente frequenti le complicazioni a carico del sistema nervoso (encefalopatia), con possibili danni permanenti sia a causa della scarsa ossigenazione del sangue durante gli accessi di tosse, sia per l’azione diretta di una tossina prodotta dal batterio della pertosse. Altre possibili complicazioni sono laringiti, broncopolmoniti, convulsioni. Vaccinazione antimorbillosa Protegge dal morbillo, malattia provocata da un virus che si trasmette per via aerea, causando febbre alta, faringite, congiuntivite ed una caratteristica eruzione cutanea (esantema). Otiti, laringiti, broncopolmoniti, encefaliti sono complicazioni frequenti del morbillo e provocano danni permanenti (epilessia, sordità, ritardo mentale) nel 40% dei casi. Per la persistenza del virus del morbillo il danno neurologico può manifestarsi a livello cerebrale. L’encefalite post morbillosa, che si manifesta in un caso su mille, può essere mortale a distanza di anni dalla malattia, come la panencefalite sclerosante subacuta (Pess), rara ma gravissima malattia neurologica ad esito inevitabilmente infausto. Vaccinazione antirosolia Protegge dalla rosolia, una malattia virale esantematica trasmessa per via aerea che in età infantile ha andamento benigno, anche se non sono rare le complicazioni: miocarditi, pericarditi, epatiti, infiammazioni del sistema nervoso, sordità. L’infezione contratta da una donna in gravidanza può essere causa di aborto o di gravi anomalie fetali (Sindrome da rosolia congenita) . Vaccinazione antiparotite Protegge dalla parotite, malattia virale trasmessa per via aerea, che si manifesta solitamente con una caratteristica tumefazione delle ghiandole salivari. Il virus della parotite esercita la sua azione anche su altre ghiandole e su altri tessuti con possibili complicazioni quali pancreatiti, meningoencefaliti, tiroiditi, nefriti, pericarditi e, nei soggetti in età adulta, infiammazioni agli organi della riproduzione. Vaccinazione anti-Hib Protegge dal batterio Haemophilus influenzae b (Hib) che può essere responsabile, soprattutto nei primi anni di vita, di gravi malattie quali meningiti, epiglottiti, polmoniti, artriti purulente, setticemie. La meningite da Hib è la forma più frequente di meningite batterica nei bambini di età inferiore a 2 anni ed è responsabile di danni permanenti (sordità, ritardo mentale, epilessia) in una notevole percentuale di casi. Poiché l’80% delle forme invasive da Hib si manifestano in bambini di età inferiore a 5 anni, è necessario fornire una protezione immunitaria il più precocemente possibile. Vi sono alcune situazioni che possono controindicare la vaccinazione, temporanee o definitive; è necessario, quindi, che i genitori, prima della vaccinazione, consultino il medico curante che valuterà lo stato di salute del bambino ed indicherà se la vaccinazione deve essere rimandata o evitata. Tra le controindicazioni temporanee, situazioni transitorie che escludono la vaccinazione solo per il periodo di tempo in cui sono presenti, ci sono: • Malattie acute con febbre di grado elevato • Vaccinazioni con virus viventi (quali MMR e OPV) se nei 30 giorni precedenti è stato somministrato un altro vaccino a virus viventi • Terapia in corso, con farmaci che agiscono sul sistema immunitario o con cortisonici ad alte dosi • È opportuno che al bambino non venga somministrato alcun vaccino quando sono presenti controindicazioni definitive, tra cui 58 Il Cittadino e la Salute • • • • • Gravi reazioni a precedenti vaccinazioni Malattie neurologiche in evoluzione Malattie congenite del sistema immunitario Allergia alle proteine dell’uovo (se il vaccino ne contiene) Allergia ad alcuni antibiotici, quali streptomicina e neomicina (se il vaccino ne contiene). Se il bambino è affetto da malattie quali leucemie, tumori, Aids, la situazione va valutata caso per caso. Alcune situazioni non rappresentano vere e proprie controindicazioni ma, piuttosto, richiedono l’adozione di alcune precauzioni nella somministrazione del vaccino (quali la pronta disponibilità di antinfiammatori e antipiretici). I genitori devono, quindi, segnalare al medico vaccinatore: • Reazioni febbrili importanti ad una precedente dose dello stesso vaccino. • Episodi di irritabilità (quali il pianto persistente e inconsolabile) che si siano manifestati in seguito a precedenti vaccinazioni. • Presenza, nella storia della famiglia o del bambino stesso, di convulsioni febbrili. • Somministrazione recente di immunoglobuline. La sicurezza dei vaccini si basa su alcuni parametri fondamentali: • I vaccini vengono autorizzati dal ministero della Salute dopo aver superato gli studi di efficacia, di sicurezza e di tollerabilità. • I vaccini sono prodotti in officine farmaceutiche, autorizzate e ispezionate periodicamente, e preparati e controllati secondo metodiche di fabbricazione validate a livello internazionale. • I vaccini sono sottoposti a controllo di Stato prima dell’immissione in commercio, ed a controlli successivi ogniqualvolta sia necessario. • I vaccini devono essere somministrati da personale qualificato nel rispetto delle norme di buona pratica (uso di vaccini conservati in modo appropriato, utilizzazione di materiale per iniezione sterile, rispetto delle vie e delle sedi di inoculazione prescritte) e dopo un’attenta valutazione delle eventuali controindicazioni definitive o temporanee. I vaccini, pur correttamente preparati, controllati e somministrati, come tutti i farmaci possono essere responsabili di effetti indesiderati. Tali effetti nella maggior parte dei casi sono di lieve entità e durata (arrossamento e dolore nel punto di iniezione, malessere generale, febbricola); solo in rarissimi casi possono essere gravi e rappresentare un pericolo per la vita (convulsioni febbrili, shock anafilattico). Non sempre è dimostrata la correlazione causa-effetto tra le vaccinazioni e gli effetti indesiderati. Il ministero della Salute effettua la sorveglianza degli eventi avversi alle vaccinazioni segnalati dai medici vaccinatori. 28. ASSISTENZA FARMACEUTICA I farmaci in commercio in Italia sono suddivisi in differenti fasce, che variano con il variare delle normative e per le quali si stabiliscono differenti modalità di pagamento. Tra questi ci sono farmaci salvavita, che sono totalmente gratuiti o prevedono il pagamento del ticket (la regolamentazione varia e dipende dalle leggi finanziarie annuali o, nei prossimi anni, dalle politiche regionali). Ci sono farmaci che sono garantiti dal S.S.N solo per alcune patologie. Ci sono altri farmaci (la cosiddetta fascia C) a totale carico del cittadino. La ricetta è valida solo nell’ambito regionale, quindi le ricette prescritte in altre regioni vanno trascritte dal medico di famiglia. Ogni ricetta può contenere un numero determinato di confezioni di farmaci (la quantità consentita può variare a seguito di provvedimenti via via introdotti dalle leggi finanziarie o provvedimenti specifici, tanto nazionali che regionali). Per malattie particolari possono essere prescritti farmaci sufficienti per un trimestre. I farmaci si ritirano normalmente in farmacia, ma alcuni di essi sono forniti esclusivamente dagli ospedali o dal distretto. L’utilizzo corretto e razionale dei farmaci rappresenta ormai uno dei problemi prioritari della nuova politica sanitaria del nostro Paese. Il Cittadino e la Salute 59 Il Ministero della Salute promuove a proposito programmi di informazione mirati ad un consapevole uso del farmaco da parte dei cittadini al fine di educare verso comportamenti corretti atti a garantire la tutela della salute pubblica e nello stesso tempo razionalizzare le risorse messe a disposizione dallo Stato alle Regioni per la spesa farmaceutica. Il farmaco non è un prodotto qualsiasi, ma un bene comune da usare solo e quando serve. È solo il Medico di famiglia (o lo specialista) che lo può stabilire: è solo lui quale riferimento importante che riconosce il bisogno di salute del cittadino, gli prescrive il farmaco più adatto e lo aiuta ad usarlo correttamente. Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il farmaco: “è un composto che, introdotto in un organismo vivente, può modificarne una o più funzioni. Il farmaco può curare le cause di una malattia o solo i suoi sintomi, può essere utile o dannoso non solo per le sue proprietà, ma anche per l’uso che ne viene fatto, per il quale a sua volta dipende in primo luogo dal grado di conoscenza che se ne possiede”. Gli effetti che il farmaco determina, una volta introdotto nell’organismo, possono essere di due tipi: effetto terapeutico (positivo) o effetto indesiderato (negativo). Il rapporto tra dose attiva e dose alla quale compaiono i primi effetti indesiderati determina la maneggevolezza di un farmaco. N.B. - Su disposizione della Regione Lombardia le strutture assistenziali accreditate (pubbliche e private) devono fornire a tutti i loro pazienti – all’atto delle dimissioni dopo il ricovero – una nuova pratica sanitaria, per migliorare l’appropriatezza e la qualità delle prestazioni sanitarie fornite ai malati, denominata “1° ciclo terapeutico”, che consiste nel fornire al paziente i farmaci necessari da assumere nei primi giorni di convalescenza a casa (al medico di famiglia sono riservate le ulteriori e/o successive prescrizioni). 29. ASSISTENZA INTEGRATIVA Il S.S.N eroga gratuitamente i seguenti prodotti: ausili tecnici per l’incontinenza, cateteri, siringhe da insulina, integratori alimentari, alcuni farmaci, reagenti diagnostici, alimenti aproteici, materiale di medicazione, ossigeno liquido od altro materiale analogo. Hanno diritto ad usufruire di tali prodotti, particolari categorie di cittadini in possesso di specifici requisiti clinici e/o socio-sanitari, ed i cittadini che siano affetti dalle seguenti patologie: diabete, incontinenza degli sfinteri, morbo celiaco, fibrosi cistica o mucoviscidosi, fenilchetonuria, omocistinuria, leucinosi, tirosinemia, istidinemia, iperlisinemia, iperammoniemia, acidemia metilmalonica, galattosemia, glicogenosi tipo 1, intolleranza ereditaria al fruttosio. Sono destinatari dell’assistenza integrativa i pazienti in trattamento di deospedalizzazione domiciliare, in ossigenoterapia domiciliare a lungo termine, i pazienti dializzati e nefropatici cronici gravi in terapia desensibilizzante mediante appositi vaccini, invalidi di I categoria di guerra o di servizio; stomizzati, pazienti para e tetraplegici, persone affette da demenza senile. N.B. Con requisiti particolareggiati per ogni patologia. I prodotti vengono prescritti dal medico di base o dallo specialista di una struttura pubblica preventivamente autorizzati dai medici del Distretto o dal pediatra di libera scelta. Normalmente per la prima prescrizione è necessaria una autorizzazione della A.S.L.; le successive seguono la procedura normale. La fornitura è fatta dalle farmacie della provincia, qualcuna dal distretto o consegnate a domicilio. Le modalità di erogazione possono comunque variare da A.S.L. ad A.S.L.. L’autorizzazione del Distretto è necessaria anche per i prodotti per il diabete non serve per i seguenti prodotti: reagenti diagnostici, siringhe monouso da insulina, aghi e lancette. Per gli invalidi sopra citati non serve l’autorizzazione per gli articoli di medicazione ed i galenici. 60 Il Cittadino e la Salute 30. HANDICAP La presa in carico della persona con disabilità (proposta ANFFAS) Tenendo in considerazione la delibera regionale riguardante l’unità d’offerta RSD (Residenze Sociosanitarie per Disabili), il termine “persone con disabilità” significa la volontà di porre al centro la persona con la propria dignità ed il diritto a rimanere nella propria Comunità, a contatto con le proprie reti familiari e sociali. La “persona al centro” vuole significare il riconoscimento del soggetto che collabora, partecipa e sceglie il processo di inclusione sociale direttamente o attraverso chi lo rappresenta; significa pure che viene considerata la sfera dei suoi "diritti umani" quali la dignità, la libertà, l'uguaglianza, rispettando così i principi costituzionali di “non discriminazione” e “pari opportunità”, affermati anche nei documenti del Consiglio dell’Unione Europea e dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite – che, necessariamente, devono essere accompagnati da azioni reali e positive, affinché non restino solo e soltanto “Diritti di carta”. Il progetto della “presa in carico della persona con disabilità” (che è stato oggetto di un convegno nazionale organizzato a Roma dall’Anffas il 9 Maggio 2004, durante il quale è stata presentata una proposta di legge, elaborata dalla FISH e dall’Anffas medesima, tesa a garantire alla “persona con disabilità” un progetto globale di vita), prevede un “processo di presa in carico” che si connota come l’insieme delle attenzioni, degli interventi e delle condizioni che per l'intero arco della vita garantisca la valutazione delle abilità e dei bisogni e predisponga azioni atte a favorire la partecipazione alla vita sociale, economica e culturale delle persone stesse. Il riferimento legislativo sta nelle legge 8/11/2000 n° 328 – “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, precisamente all’art. 14, “Progetti individuali per le persone disabili” – tenendo conto però che già prima dell’emanazione di questa legge è stata individuata come dimensione eticamente corretta e culturalmente condivisa quella dell'intervento individualizzato si può fare riferimento anche: 1) alla Legge 517/ 77 sull’integrazione scolastica; 2) al D.P.R. del 28/02/94 che prevede la diagnosi funzionale degli alunni con disabilità, il profilo dinamico funzionale ed il piano educativo individualizzato; 3) alla Legge 162/98 sui progetti personalizzati per persone con grave disabilità; 4) al D.M. 7/05/98 sul piano terapeutico e riabilitativo personalizzato; 5) alla L. 68/99 sul collocamento al lavoro mirato; 6) al già citato art. 14 della Legge 328/2000 che prevede una valutazione e degli interventi in base alla condizione bio-psico-sociale della persona ed alle risorse/bisogni delle famiglie. Il Piano Sociale Nazionale del 2001 indica il bisogno quale soglia d'accesso al sistema dei servizi e degli interventi, la partecipazione ed il coinvolgimento degli interessati, nonché la flessibilità dei servizi e delle reti. Il D.P.C.M. (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) 14/2/2001 “atto di indirizzo e coordinamento per l’integrazione socio-sanitaria”, le linee guida per la riabilitazione, il D.P.C.M. 29 novembre 2001, che stabilisce i livelli essenziali di assistenza in sanità e nel settore sociosanitario, completano il quadro legislativo esistente. Secondo l’art. 14 della Legge n° 328/2000 solo il Comune ha la titolarità, d’intesa con l’A.S.L. nella dimensione del distretto, per garantire a chi lo richiede un progetto globale di vita, come strumento dinamico che segue l’evoluzione dei bisogni. Il “processo di presa in carico globale” necessita però di strumenti e definizioni organizzative che, in assenza di norme statali, possono essere oggetto di norme regionali, dopo la modifica del Titolo V della Costituzione e la conseguente responsabilità data alle Regioni. Ora cosa occorre per garantire il reale processo di presa in carico? 1) Un luogo che sia il centro della valutazione e della definizione del progetto globale, con l’istituzione in ogni Distretto di una èquipe di valutazione multifunzionale, per valutare i bisogni, fissare mete e obiettivi e stabilire azioni positive per rimuovere eventuali ostacoli; Il Cittadino e la Salute 61 2) un codice condiviso per valutare le condizioni di salute e qui si auspica di avere come meta e approdo l’utilizzo dell’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento della salute e disabilità) messo a punto dall’OMS; 3) un responsabile del progetto che sia punto di riferimento per garantire il coordinamento fra il progetto generale e quelli specifici; 4) un dossier unico che raccolga tutta la documentazione e che costituisce la banca dati del progetto; 5) una condivisione del significato e delle finalità del progetto globale fra i vari attori interessati. Inoltre secondo quanto previsto anche dal Piano Sociale Nazionale del 3 maggio 2001, sarebbe altresì necessario avere: 1. una porta unitaria di accesso ai servizi sociali e socio-sanitari; in effetti nei Piani di Zona già l’attività di Segretariato Sociale è finalizzata a garantire unitarietà di accesso, capacità di ascolto, funzione di orientamento, di filtro e gestione dei tempi di attesa; 2. la gestione dei Piani di Zona e dei Programmi di Attività Distrettuali secondo una unica strategia programmatica. In conclusione l’esame delle norme sopra richiamate porta naturalmente ad affermare che: • lo Stato ha chiaramente indicato il diritto della persona con disabilità (e di chi la rappresenta) di potere disporre di uno strumento che riunisca in un unico ambito progettuale le indicazioni diagnostiche e i piani di intervento riferiti sia agli aspetti sanitari che sociali; • non essendoci alcuna limitazione riferita alle diverse fasi della vita, se ne deduce che tale strumento deve essere considerato dinamico e impostato e gestito in modo da seguire l’evoluzione dei bisogni e delle risposte per l’intero arco della vita della persona, anche se con particolare riferimento all’età evolutiva; • la valutazione del bisogno, al fine della definizione della tipologia e natura delle prestazioni, deve essere condotta mediante condizioni organizzative e professionali all’insegna della multidisciplinarietà, ricercando altresì il coinvolgimento della persona e del contesto familiare e sociale. Questa è la proposta che le Associazioni che tutelano le persone con disabilità chiedono alla Regione, ai Comuni e alle A.S.L. di tenere presente e di rendere operativa per poter fare un reale passo avanti nella qualità di vita delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Da ultimo, conoscendo quanto può influire il Governo della Regione Lombardia sul Governo Centrale e nell'ambito della Conferenza unificata Stato Regioni, viene chiesto: 1. il massimo impegno perché riprenda il suo corso la proposta di legge per la costituzione del Fondo per la non autosufficienza, per ora bloccato dal Ministero del Tesoro; 2. un’attenta sollecitazione affinché venga incrementato il Fondo Sociale Nazionale. 3. l’emanazione del D.P.C.M. previsto dal D.Lgs. 109/98, come integrato dal D.Lgs. 130/00 che rende certa l’applicazione dell’art. 3 comma 2 ter dei citati decreti legislativi, in base al quale si è preso in considerazione il solo reddito dell’assistito quando questi sia ultrasessantacinquenne con non autosufficienza accertata o persona con handicap permanente grave accertato ai sensi della Legge 104/92; per quanto riguarda la contribuzione al costo per prestazioni di natura socio-sanitaria. Ospedalizzazione Accoglienza medica dedicata ai disabili gravi con deficit comunicativo e l’introduzione di una nuova cultura di relazione fra medico, paramedico e paziente. Uno dei problemi che preoccupano molto i genitori di persone con disabilità intellettiva e relazionali gravi, è il caso in cui emerge la necessità di un intervento diagnostico o terapeutico in ambito ospedaliero, per cui si determinano oggettive difficoltà di assistenza, accoglienza e gestione, soprattutto se si tratta di un paziente disabile con gravi difficoltà di comunicazione o con una situazione psico-motoria gravemente compromessa. Il ricovero di un paziente disabile grave ha sempre carattere di urgenza in quanto: • si crea nei sanitari e nei famigliari una situazione di allarme; • non vi è capacità descrittiva ed analitica da parte del soggetto; 62 Il Cittadino e la Salute • • • si deve distinguere la nuova patologia dal quadro clinico di base, legato alla minorazione; generalmente non c’è storia clinica aggiornata del paziente; sorge uno stato di diffidenza conseguente alla possibilità di un coinvolgimento per la struttura più impegnativo di quanto avvenga per un paziente normale. La sperimentazione in corso presso l’ospedale San Paolo di Milano, sostenuta dalla Regione Lombardia, dalla facoltà di Medicina e Chirurgia e dalla LEDHA (Lega per i diritti degli handicappati) e denominato Progetto DAMA (acronimo di “Disable Advanced Medical Assistance”, ha realizzato un’Unità operativa per interventi diagnostici e terapeutici tempestivi su disabili gravi. Ci auguriamo che la sperimentazione possa allargarsi ad altri ospedali qualificati come il San Matteo di Pavia, sorgendo nell’ambito del Dipartimento di Urgenza ed Emergenza, caratterizzato dalla presenza di competenze multidisciplinari e di alte specializzazioni, con finalità di assistenza, ricerca e didattica. La finalità è di superare l’attuale situazione di incompletezza di prestazioni, di precarietà di interventi e di sostanziale disorganizzazione e deresponsabilizzazione. La realtà di questa fascia di soggetti deboli è pesante e complessa ed il numero delle persone adulte con gravi difficoltà psicomotorie è elevato, come è confermato dai dati nazionali ISTAT e CENSIS nonché regionali. Inoltre va ricordato che circa il 50% delle persone disabili gravi adulte non autosufficienti non è a carico di alcuna struttura socio-assistenziale pubblica o privata e vive isolata in seno alla famiglia, con il solo aiuto dei genitori anziani e la maggior parte di essi non ha mai avuto una diagnosi complessiva precisa dello stato di salute, né tanto meno aggiornata. Le finalità da raggiungere attraverso un servizio dedicato, come è il progetto DAMA, sono: 1) una risposta pronta e completa allo stato di malattia del soggetto disabile, garantendogli una assistenza continua, con l’utilizzo anche di una Card Sanitaria. 2) Un coinvolgimento dell'Università per studi e ricerche delle patologie che colpiscono trasversalmente i disabili con differenti menomazioni. 3) Una concreta ed esauriente informazione sull’iniziativa da offrire alla popolazione, ai medici di famiglia, alle farmacie, alle associazioni di volontariato, alle strutture territoriali. 4) Una collaborazione con associazioni di volontariato qualificato per il rilevamento dei bisogni, per suggerimenti e proposte. 5) Il Passaggio da un’iniziativa sperimentale ad un modulo flessibile da adottare sul territorio regionale e nazionale. 31. ASSISTENZA PROTESICA Il S.S.N. provvede a fornire le protesi (arti artificiali, apparecchi vari, ecc.) o ausili sanitari (stampelle, scarpe ortopediche, letti con spondine, materassi speciali, carrozzelle, pannoloni traverse, sacche urine, cateteri, ecc.) attraverso ditte convenzionate o direttamente dal distretto. La richiesta deve essere fatta presso il proprio distretto previa prescrizione di uno specialista iscritto nel Albo dei prescrittori della A.S.L. di competenza (non per la Regione Lombardia) compresi i pannoloni, le traverse, sacche urine e cateteri, per cui è sufficiente la prescrizione del medico di famiglia. Hanno diritto all’assistenza protesica: gli invalidi civili, di guerra, per servizio, ciechi e sordomuti, i minori di 18 anni affetti da patologie evolutive, le persone in attesa dell’accertamento da parte della Commisione per l’invalidità (solo per coloro che hanno fatto già richiesta di indennità di accompagnamento). Le forniture di protesi sono esenti dalla partecipazione alla spesa (ticket), mentre per gli ausili, ad esempio quelli per l’incontinenza, i cittadini non riconosciuti invalidi devono pagare il ticket. Per ciò che riguarda la tempistica e i quantitativi, esiste un nomenclatore tariffario delle protesi a degli ausili, periodicamente aggiornato a livello nazionale, che specifica le regole di erogazione per ogni categoria. Anche in questo caso, la materia verrà delegata alla potestà delle regioni. Il Cittadino e la Salute 63 Se l’ammalato ha bisogno di protesi e/o ausili Cose deve fare l’ammalato e/o suo delegato: • rivolgersi agli operatori competenti presso la sede A.S.L. di territorio per avere tutte le informazioni necessarie ad espletare la relativa procedura, sugli orari e sul ritiro della documentazione necessaria, quindi • recarsi dal Medico di famiglia per la redazione dell’impegnativa per prenotare ed effettuare la visita specialistica. Lo specialista iscritto nell’apposito elenco regionale, che opera in Ospedale o Poliambulatorio rilascerà specifica prescrizione (mod. 03/76D), • consegna della prescrizione (mod. 03/76D) agli operatori competenti A.S.L., e solo per le protesi anche il preventivo del possibile fornitore delle stesse. 32. ESENZIONI DEL TICKET SUI FARMACI Sono esentati i cittadini con patologie croniche e rare. Chi è interessato? Dal 1° ottobre 2004 sono esentati totalmente dal pagamento del ticket sui farmaci i cittadini con patologie croniche e rare, per i farmaci correlati alla patologia (DGR VII/18475,30 luglio 2004). Chi ne ha diritto? I cittadini in possesso della tessera di esenzione per patologia che appartengono a un nucleo familiare con un reddito complessivo, riferito all’anno precedente, non superiore a 46.600, incrementato in funzione della composizione del nucleo familiare. Come si ottiene? Il cittadino avente diritto dovrà compilare il modulo di autocertificazione per il reddito e utilizzare a partire dal 1° ottobre: la certificazione provvisoria. N.B. - Per ulteriori informazioni contattare la propria A.S.L. o il sito www.sanità.regione.lombardia.it Le regole vigenti si dividono essenzialmente in tre parti: • le condizione per l’esenzione • patologie che danno diritto all’esenzione • cosa fare (per ottenere l’esenzione) Le patologie croniche e invalidanti che danno diritto all’esenzione. Si citano di seguito alcune delle patologie croniche più note: anemie, artriti, asma, cirrosi, demenze, diabete, epatiti, epilessia, infezioni varie, insufficenze renali, respiratorie e croniche, Alzheimer, ipertensione, vaccinazioni per l’infanzia ecc. L’elenco delle patologie aggiornato si può conoscere recandosi o telefonando alla propria A.S.L. territoriale. Come fare? Il diritto all’ esenzione è riconosciuto recandosi presso gli Uffici della propria A.S.L. di residenza dell’assistito in base alla verifica dell’esistenza della malattia e alla sua certificazione. Le certificazioni per le Malattie croniche invalidanti possono essere rilasciate da ospedali o ambulatori pubblici, ma sono valide anche: la cartella clinica rilasciata da una struttura pubblica; la cartella clinica rilasciata da istituti accreditati dal S.S.N, dietro valutazione del medico di distretto della A.S.L. competente; la copia del verbale di invalidità, i certificati delle commissioni mediche degli ospedali militari, le certificazioni di strutture pubbliche della Ue. Le esenzioni delle quali si è parlato fanno riferimento, prevalentemente, alla partecipazione dei cittadini alla spesa per esami diagnostici e visite specialistiche necessari per accertamenti ed esami di controllo per patologie croniche o rare riconosciute. Per quanto riguarda i farmaci, vale la pena di ricorda- 64 Il Cittadino e la Salute re che dal 16 gennaio 2003 è in vigore il nuovo prontuario farmaceutico nazionale (D.M. 20 dicembre 2002), suddiviso in due classi: la A, con farmaci totalmente gratuiti per i cittadini, e la C, con farmaci completamente a carico dei cittadini. I farmaci di classe A fanno parte, a tutti gli effetti, dei Lea (Livelli essenziali di assistenza), e, come tali, devono essere garantiti gratuitamente da tutte le regioni. Continuano ad esistere, tuttavia, ticket regionali sulle ricette, spesso assai diversi da regione a regione, tanto per l’importo richiesto al cittadino che per il rispetto o meno delle esenzioni per patologia. 33. INVALIDITÀ CIVILE Si intende per invalidità civile la riduzione della capacità lavorativa. A seconda della percentuale di invalidità riconosciuta, che è determinata sulla base di diversi elementi, si acquisisce il diritto a differenti livelli di aiuto fisico, sociale ed economico. L’essere invalido civile dà diritto ad una serie di prestazioni che scaturiscono dal riconoscimento, effettuato da apposite Commissioni istituite presso tutte le A.S.L., di una condizione congenita o acquisita, tale da comportare una riduzione permanente della capacità lavorativa e/o un danno funzionale permanente (legge 118/71 e D. Lgs. 509/88). Le percentuali: La determinazione della percentuale di riduzione della capacità lavorativa deve basarsi: • sull’entità della perdita anatomica o funzionale, totale o parziale,di organi od apparati; • sulla possibilità o meno dell’applicazione di apparecchi protesici che garantiscano in modo totale o parziale il ripristino funzionale degli organi ed apparati lesi; • sull’importanza che riveste, in attività lavorative, l’organo o l’apparato sede del danno anatomico o funzionale. I “benefici” che ne derivano In base al diverso grado della riduzione della capacità lavorativa e/o del danno funzionale permanente, la Commissione sanitaria determina la concessione dei benefici. È necessario presentarsi all’Ufficio competente delle invalidità civili della propria A.S.L. per tutte le informazioni e le disposizioni aggiornate. Il passaggio di competenze da Prefettura a Inps Dal 1999 le competenze per i pagamenti dei benefici economici agli invalidi civili, precedentemente facenti capo al ministero dell’Interno e, a livello locale, alle prefetture, sono passate alle sedi periferiche dell’Inps (Istituto Nazionale di Previdenza Sociale) mentre l’attività concessoria fa capo all’ A.S.L. dal 01/01/2001 Questo trasferimento di competenze è finalizzato a un più veloce ed efficiente disbrigo delle pratiche, dato che il servizio viene decentrato e quindi è più vicino al cittadino. Per ulteriori informazioni rivolgersi direttamente all’A.S.L. di residenza. Stranieri in Italia È importante ricordare che, grazie alle nuove normative, vengono inclusi nei benefici gli stranieri con Carta di soggiorno (e dei minori iscritti nella loro Carta di soggiorno). Questo significa, ad esempio, che per l’accesso alle provvidenze economiche concesse agli invalidi civili, ai sordomuti, ai ciechi civili e agli indigenti non sarà più un requisito essenziale la cittadinanza italiana. Attenzione: nessuna di queste indennità è reversibile. Le domande e i ricorsi Per richiedere l’invalidità è necessario presentare domanda all’A.S.L. di residenza, compilando l’apposito modulo in tutte le sue parti, allegando: • certificato rilasciato dal proprio medico di base, attestante la natura delle infermità per le quali si chiede il riconoscimento dell’invalidità • copia della Carta d’identità e del Codie Fiscale • eventuali altre certificazioni sanitarie (cartelle cliniche, analisi di laboratorio, referti radiografici, ecc.). Il Cittadino e la Salute 65 • • in sede di accertamento sanitario è possibile farsi assistere da un proprio medico di fiducia (art.l p. 4, L. 295/90) con idonea documentazione medica che attesti l’impossibilità a presentarsi, può essere anche richiesta l’effettuazione della visita domiciliare. 34. SERVIZIO DI MEDICINA LEGALE E PREVENTIVA Il servizio di prevenzione, igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro si attiva su richiesta degli utenti ed autonomamente su programmi d’intervento mirati. È preposto al controllo dell’attuazione di tutte le norme di sicurezza poste a salvaguardia degli ambienti di lavoro. Vigila sull’applicazione della normativa vigente in materia di igiene sul lavoro, sicurezza degli impianti, indagini ambientali sul rumore, inquinamenti, campi elettromagnetici (antenne paraboliche per telefoni, ripetitori in genere), microclima ambientale, amianto, ecc. (Legge 696/494 e sucessive modifiche). Il servizio è preposto a garantire l’esercizio delle funzioni di controllo da parte delle A.S.L.. Il servizio di vigilanza sanitaria ha la competenza di intervenire, sia d’ufficio sia a richiesta del cittadino, sul rispetto delle norme igieniche nei servizi pubblici, nelle mense, anche scolastiche, e nella catena di distribuzione degli alimenti. Esprime inoltre un parere al sindaco in materia di igiene edilizia e, su richiesta, verifica la potabilità dell’ acqua. Ha altresì il compito, su richiesta del cittadino, di provvedere alla disinfezione, alla disinfestazione e alla derattizzazione. Il servizio di medicina legale provvede a molteplici attività di certificazione riguardanti: rinnovo della patente, rinnovo del porto d’armi, rilascio del libretto sanitario, stato di salute della persona, della avvenuta guarigione degli scolari, vaccinazioni, test tubercolina, conduttori di caldaia, gas tossici, cessione dello stipendio, gravidanza, colonie e campeggi, esenzione cinture di sicurezza, questioni elettorali, contrassegno invalidi, sepoltura e riesumazione salme, controllo sulle autolettighe e sui carri funebri. Inoltre il servizio istruisce e sottopone alla commissione per l’invalidità civile le domande inoltrate, istruisce le pratiche da inviare all’ospedale militare, effettua le visite fiscali informa le persone colpite da malattie infettive in seguito a trasfusione di sangue, e svolge altre incombenze di minore entità. Si occupa anche degli accertamenti collegiali inerenti l’attuazione della legge 104/92 (assistenza, integrazione sociale e diritti delle persone portatrici di handicap). 35. SERVIZIO TOSSICODIPENDENZE Servizio dipendenze Il Servizio per le Dipendenze prende in cura persone con problemi e disturbi da uso/abuso di sostanze psicoattive come alcol, eroina, cocaina, cannabis, psicofarmaci, droghe sintetiche. Si occupa anche dei problemi legati al gioco d’azzardo ed al tabagismo (nicotina). La situazione di dipendenza da una sostanza è una condizione personale complessa, un processo patologico in cui si intrecciano gli effetti specifici delle sostanze, le scelte e le caratteristiche della persona stessa, le influenze ambientali. Vi è però un denominatore comune tra le diverse sostanze (droghe, alcol, tabacco, alcuni psicofarmaci) che le rende appetibili e ricercate indipendentemente dalla loro liceità e tossicità. Tale denominatore è stato individuato nelle caratteristiche gratificanti di queste sostanze che diventano perciò seduttive per alcuni individui o decisamente insostituibili per altri, nonostante i problemi e le gravi patologie che insorgono in relazione al loro consumo. Chi ha problemi perché usa, o non riesce più a fare a meno di qualcuna di queste sostanze, può rivolgersi al servizio anche solo per un consiglio, un primo contatto, per saperne di più sulle possibilità di curarsi o decisamente per mettersi in cura. 66 Il Cittadino e la Salute Per essere accolti è sufficiente presentarsi direttamente presso una delle tre Unità Operative dal lunedi al venerdi dalle ore 8.00 alle ore 12.00. DIPARTIMENTO A.S.S.I. - Non occorre impegnativa medica. Per un appuntamento telefonico, su richiesta anche di familiari o amici di chi ha il problema, contattare la segreteria del servizio di competenza di Pavia, Vigevano o Voghera dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13. Sono garantite la riservatezza, la gratuità, la disponibilità e la qualità di cure aggiornate per ogni tipo, di dipendenza o abuso. Le tre Unità Operative del Servizio Dipendenze dell'A.S.L. di Pavia sono costituite da équipe multidisciplinari formate da medico, infermiere professionale, assistente sociale, psicologo che intervengono direttamente per la presa in cura del paziente e che si avvalgono della collaborazione con le Associazioni di auto-mutuo aiuto del territorio, (Club Alcolisti in Trattamento, Alcolisti Anonimi, AlAnon e Giocatori Anonimi), i reparti ospedalieri della Provincia di Pavia, compresi quelli di Alcologia, le Comunità Terapeutiche accreditate, il Dipartimento di Psichiatria dell'Azienda Ospedaliera di Pavia. Prestazioni offerte: • valutazione diagnostica • terapia farmacologia con farmaci sostitutivi e non • agopuntura • psicoterapia individuale, familiare • sostegno psicologico • counselling psico-socio-sanitario • sostegno ed assistenza sociale Il servizio tossicodipendenze (Sert) è di norma dislocato presso il Distretto sanitario ed ha la funzione istituzionale di informare il cittadino sulle problematiche inerenti la dipendenza da alcol, da farmaci, da droghe in particolare. Il servizio ha il compito, inoltre, di proporre un piano d’intervento, di guidare il cittadino durante il trattamento, di esercitare ogni strumento previsto per prevenire la tossicodipendenza. Il Sert coordina la propria attività in sintonia con la famiglia, con l’apparato giudiziario e con le strutture sanitarie esistenti sul territorio. 36. SERVIZIO VETERINARIO Il servizio veterinario si occupa della profilassi delle malattie infettive degli animali, dell’ anagrafe bovina, ovina e caprina; vigila sull’alimentazione zootecnica, sui farmaci usati in zootecnica, sulla macellazione, confezione, trasporto, importazione ed esportazione degli animali. Il servizio provvede alla profilassi e al benessere di tutti gli animali, compresi quelli da compagnia. Si occupa inoltre della profilassi antirabbica, interviene nel controllo del randagismo e dell’abbandono di animali. Provvede al controllo sulla lavorazione del latte, del pesce, su tutti i prodotti animali destinati alla alimentazione umana. Il Cittadino e la Salute 67 ASSISTENZA PER IL SOCIALE 37. PROTEZIONE CIVILE FINALITA’ DELLA PROTEZIONE CIVILE: il fine della protezione civile è quello di tutelare l’integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivati da calamità naturali, da catastrofi e da altri eventi calamitosi. Gli eventi si distinguono in: • naturali o connessi con l’attività dell’uomo che possono essere fronteggiati in via ordinaria da singoli enti; • naturali o connessi con l’attività dell’uomo che richiedono l’intervento coordinato di più enti competenti in via ordinaria; • calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi straordinari. ATTIVITA’ E COMPITI DI PROTEZIONE CIVILE: sono attività di protezione civile quelle volte alla previsione e prevenzione delle varie ipotesi di rischio, al soccorso delle popolazioni sinistrate ed ogni altra attività necessaria ed indifferibile diretta a superare l’emergenza. LA PREVISIONE: consiste nello studio e determinazione delle cause dei fenomeni calamitosi, nella identificazione dei rischi ed alla individuazione delle zone del territorio soggette ai rischi stessi. LA PREVENZIONE: consiste nelle attività volte ad evitare o ridurre le possibilità di danni connessi agli eventi richiamati. IL SOCCORSO: consiste nell’attuazione degli interventi diretti ad assicurare alle popolazioni colpite ogni forma di prima assistenza. IL SUPERAMENTO DELL’EMERGENZA: consiste nell’attuazione delle iniziative volte a garantire la ripresa della normalità. ATTORI DI PROTEZIONE CIVILE: Servizio Nazionale di Protezione Civile - legge 24 febbraio 1992 n° 225- Enti ed Organi Statali, Locali e di natura privatistica. AMMINISTRAZIONI STATALI CENTRALI: • Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento Protezione Civile; • Ministero dell’Interno – Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile; AMMINISTRAZIONI STATALI PERIFERICHE: Prefetture - Forze di Polizia - Vigili del Fuoco • altre Amministrazioni (ex Motorizzazione Civile, Forze Armate, ecc.) ENTI TERRITORIALI: Regioni - Province - Comuni - Comunità montane. ENTI CONCORRENTI: Enti pubblici, istituti e gruppi di ricerca con finalità di protezione civile. PRIVATI: • Gruppi Associati di volontariato civile; • Ordini e Collegi professionali; • Cittadini. Il Cittadino e la Salute 69 FUNZIONI DELLA PREFETTURA AI SENSI DELL’ART. 14 DELLA LEGGE 24 FEBBRAIO 199 n° 225: il Prefetto è competente nelle ipotesi in cui, verificatesi gli eventi di rilevanza nazionale, occorre coordinare gli interventi di più Enti. Pertanto: • assume la direzione unitaria dei servizi di emergenza da attivare a livello provinciale, coordinandoli con gli interventi dei sindaci dei comuni interessati; • adotta tutti i provvedimenti necessari ad assicurare i primi soccorsi; • vigila sull’attuazione, da parte delle strutture provinciali di protezione civile, dei servizi urgenti, anche di natura tecnica. Per la gestione della fase di emergenza il prefetto si avvale della struttura della Prefettura (Ufficio provinciale di Protezione Civile) nonché di enti ed altre istituzioni tenute al concorso. La prefettura coordina ed interagisce durante la fase dell’emergenza con tutti gli attori individuati. Pianificazione dell’emergenza: Piano Provinciale della Protezione Civile. • Previsione dell’insieme coordinato delle misure da attuarsi al verificarsi di eventi calamitosi; • ricognizione delle strutture organizzative di P.C. e delle risorse presenti sul territorio in grado di garantire la gestione dell’emergenza; • individuazione degli interlocutori ed autorità locali competenti in materia di P.C. – aggiornamento delle reti di collegamento con gli organismi (referenti di P.C. con relativi riferimenti telefonici, eventuali forme di comunicazione alternative per il raggiungimento degli interessati ecc.); • ipotesi di calamità (esondazioni, frane, incendi, avarie, terremoti, nevicate abnormi, nebbia, trombe d’aria, epidemie, epizoozie, inquinamenti, blocchi stradali, nucleare, black-out ecc.); • individuazione delle ipotesi di intervento in relazione a: - stato di preallarme: attivazione di un presidio; - stato di allarme: attivazione ed impiego coordinato di tutte le strutture operative; - stato di emergenza: attivazione ed impiego coordinato di tutte le strutture operative non solo locali. • tipologia di intervento ed organismi preposti (salvataggio, trasporto e ricovero feriti ed ammalati, sgombero di popolazioni di centri abitati, luoghi di ricovero persone, attrezzature di ricovero, rifornimento di derrate alimentari e vestiario, approvvigionamento idrico, telecomunicazioni, elettricità e gas, comunicazioni stradali, sgombero macerie e lavori di ripristino, black-out energia elettrica). L’azione della Prefettura si esplica mediante la direzione e il coordinamento di interventi: • di salvataggio e soccorso delle persone sinistrate, di conservazione di valori e cose, di demolizione e puntellamento dei fabbricati e di ogni altro servizio tecnico urgente; • di attendamento e ricovero provvisorio dei sinistrati, di vettovagliamento e di tutela igienica della popolazione e del personale inviato per l’opera soccorritrice e di assistenza ai minori, orfani, abbandonati, ecc.; • di disciplina delle comunicazioni dei trasporti nella zona colpita; • di allestimento di provvisorie installazioni per gli uffici pubblici e per le necessità della giustizia e del culto; • del riassetto iniziale degli organi locali per preparare il ritorno alle normali condizioni di vita civile; • di recupero, custodia e governo degli animali, sia da stalla che da cortile, in attesa che possano essere consegnati agli aventi diritto; • di reperimento e seppellimento di animali morti e di bonifica sanitaria della zona colpita. Attivazione della sala operativa di Protezione Civile: • convocazione del Centro Coordinamento Soccorsi (C.C.S.) il quale ha funzione di propulsione e di coordinamento delle attività di assistenza e di soccorso alle popolazioni colpite. E’ presieduto dal prefetto. Sono chiamati a farne parte un rappresentante: - della Polizia di Stato (comprese le specialità); - dell’Arma dei Carabinieri; - della Guardia di Finanza; 70 Il Cittadino e la Salute • • • • • del Corpo Forestale dello Stato dei Vigili del Fuoco - delle Forze armate; - della Provincia (Settori coordinamento volontariato e viabilità); - del S.S. UN.EM.118 - della A.S.L.; - della C.R.I.; - della sede territoriale della Regione; - della Telecom, dell’Enele di altri servizi pubblici essenziali; - degli altri Enti coinvolti nella calamità; Attivazione dei centri operativi misti: già costituiti in fase di pianificazione dell’emergenza, sono composti da più comuni, individuati per aree omogenee, che fanno fronte unito, ciascuno con ruoli propri, per il coordinamento a livello locale delle operazioni di soccorso. Possono essere integrati al momento dell’attivazione, da rappresentanti degli organi già presenti nel C.C.S.. Istituzione di unità assistenziali di emergenza: per le funzioni di alloggiamento, vettovagliamento e assistenza sociale e sanitaria ai cittadini sinistrati. Di norma all’interno dei centri operativi misti vengono, in fase di pianificazione dell’emergenza, preventivamente individuate le strutture alloggiative. Ruolo del comune e del sindaco: Protezione Civile quale servizio reso al cittadino (Decreto Minis. Del 28 Maggio 1993); Struttura comunale atta a gestire ed erogare il servizio che si compone di un’attività di previsione, di prevenzione, di gestione dell’emergenza e di comunicazione delle misure di sicurezza e dei piani di emergenza (L. 19 maggio 1997, n° 137, art. 1 comma 11 e art. 12 Legge 3 Agosto 1999, n° 265); Sindaco autorità locale di Protezione Civile (Art. 15 L.225/1992); il Sindaco sovrintendente al lavoro della struttura comunale e può avvalersi, in caso di emergenza, di poteri straordinari (art. 50 e 54 T.U.EE.LL.). 38. SERVIZIO CIVILE La costituzione Art.11 L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Consente in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni. Promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. Art.52 La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici. L’ordinamento delle forze Armate si informa allo spirito democratico della Repubblica. Il servizio civile volontario è stato istituito per: • favorire la realizzazione dei principi costituzionali di solidarietà sociale; • promuovere la solidarietà e la cooperazione a livello nazionale e internazionale; • partecipare alla salvaguardai e alla tutela del patrimonio ambientale culturale e protezione civile. Chi può partecipare? ragazze e ragazzi di età compresa tra i 18 e i 28 anni (non ancora compiuti); ragazzi che hanno assolto l’obbligo di leva (servizio militare o servizio civile). Aree di attività: 1. ASSISTENZA: assistenza, cura e riabilitazione, reinserimento sociale e prevenzione. 2. AMBIENTE E PROTEZIONE CIVILE: protezione civile, difesa ecologica, tutela del patrimonio forestale, salvaguardia e fruizione del patrimonio forestale. Il Cittadino e la Salute 71 3. CULTURA ED EDUCAZIONE: promozione culturale, educazione, salvaguardia dei patrimoni. Il servizio civile può essere svolto all'estero presso sedi di amministrazioni ed enti, nell'ambito di iniziative assunte dall'Unione europea in materia di servizio civile, nonché in strutture per interventi di pacificazione e cooperazione fra i popoli, istituite dalla stessa Unione europea o da organismi internazionali. Assegni di servizio. I volontari e le volontarie verranno retribuiti con 433,80. IL SERVIZIO CIVILE DURA 12 MESI. Orario di attività: non inferiore alle 30 ore settimanali; oppure un monte ore annuo di almeno 1.400 ore. Formazione volontari/e: Deve essere svolta nel periodo iniziale del servizio a) formazione generale al servizio deve dare risposta a due quesiti: - perché con il servizio civile si difende il Paese ? - in quale contesto opereranno volontari/e ? b) formazione specifica deve dare risposta al quesito: cosa faranno i volontari, come e con quali strumenti ? Le università degli studi possono riconoscere crediti formativi ai fini del conseguimento di titoli di studio da esse rilasciati. l’Ufficio nazionale, le Regioni e le Province autonome, possono stipulare convenzioni con associazioni di imprese private, con associazioni di rappresentanza delle cooperative e con altri enti senza finalità di lucro, al fine di favorire il collocamento nel mercato del lavoro di quanti hanno svolto il servizio civile. Diritti: 1. Corresponsione mensile 433,80. 2. Permesso retribuito di 20 gg. Lavorativi. 3. Malattia per15 gg retribuiti. 4. Flessibilità oraria in base ad esigenze personali. 5. Copertura assicurativa (vedi polizza S.C.V) per rischi durante lo svolgimento del lavoro. 6. Riconoscimento previdenziale (vedi art. 49 legge 153/69) per pensione Doveri: 1. Rispetto orario di servizio. 2. Diligenza nello svolgimento delle mansioni affidate. 3. Adottare in servizio un comportamento di disponibilità e rispetto reciproco. 4. Inoltro tempestivo del certificato di malattia. 5. Richiesta preventiva di assenze. Come fare: Bando: sulla G.U. vengono indicati i progetti, i requisiti di ammissione, le procedure selettive e la scadenza per la presentazione della domanda. Preadesione: dichiarazione di disponibilità richiesta da alcuni enti, per poter contattare gli interessati al momento dell’approvazione dei progetti con la relativa pubblicazione sulla G.U.. Progetti Attività: da svolgere nell’ambito di un servizio con indicati gli obiettivi da raggiungere. Domanda: richiesta di partecipazione al progetto scelto, unico a livello nazionale. Requisiti: essere cittadini italiani, non essere stati condannati per reati di primo grado ed essere in possesso di idoneità fisica in relazione al progetto prescelto ed altri requisiti che sono indicati nei singoli progetti. Selezione: è effettuata dall’ente che realizza il progetto sulla base di un proprio sistema di selezione. Ai singoli candidati è comunicata la data e il luogo della selezione. 72 Il Cittadino e la Salute 39. CONSULTORIO PER IL SOSTEGNO ALLA FAMIGLIA Il Consultorio è un servizio rivolto al singolo, alla coppia, alla famiglia istituito con L. 405/75 e L.R. 44/76, che offre interventi e prestazioni, prevalentemente di ordine preventivo, finalizzati a soddisfare i bisogni dei singoli, delle coppie e delle famiglie in ordine alla educazione sessuale, alla procreazione consapevole, alla tutela della gravidanza e della maternità, alla assistenza psicologica e sociale. Peculiarità del Consultorio è la presenza al suo interno di una molteplicità di figure professionali (ostetrica, ginecologo, psicologo, assistente sociale, etc.), che rispondono in modo integrato ai bisogni specifici presentati dalle diverse tipologie di utenza. Gli interventi consultoriali riguardano: • educazione sanitaria • applicazione della legge 194/98 “Norme per la tutela sociale della maternità sull’interruzione volontaria della gravidanza” • assistenza psicologica e sociale al singolo, alla coppia e alla famiglia • l’A.S.L di Pavia ha implementato sul territorio provinciale una rete di Consultori che, oltre alle attività citate offrono: consulenza psicologica e sociale, corsi di preparazione al parto, spazio giovani, adozione, affido familiare • consulenza psicologica e sociale Per consulenza psico-sociale si intende la possibilità per singoli, coppie, famiglie di rivolgersi al Consultorio per problematiche di ordine affettivo, relazionale, educativo, ecc.. Attraverso uno o più colloqui di approfondimento condotti dello psicologo e/o dalla assistente sociale, è possibile individuare l'intervento più opportuno che può essere di tipo informativo, di sostegno, di presa in carico o di invio ad altri servizi anche di tipo specialistico. Allo scopo sono previsti incontri di gruppo anche con l’assistente sociale finalizzati alla informazione su: • le nuove leggi e normative sul diritto di famiglia, i diritti della donna in ospedale, i primi documenti del bambino e l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale, informazioni sugli asili nido e altri servizi per la prima infanzia. 40. CORSI DI PREPARAZIONE AL PARTO In tema di prevenzione particolare attenzione rivestono i Corsi di preparazione al parto che hanno la finalità di fornire non solo alla donna, ma alla coppia, sostegno ed informazioni per affrontare la gravidanza, il parto e il puerperio in modo più consapevole, attivo ed autonomo. I corsi prevedono una serie di incontri di training autogeno (metodo RAT) al fine di apprendere le tecniche più idonee da utilizzare al momento del parto. Sono previsti alcuni incontri, aperti anche ai padri, condotti da personale dei reparti ospedalieri (ginecologi, ostetriche, pediatri, anestesisti) che consento di anticipare quali saranno gli interventi e le modalità che l’ospedale mette in atto nei confronti della partoriente e del nascituro. 41. SPAZIO GIOVANI Le problematiche che attraversano gli adolescenti presentano peculiari aspetti che richiedono un’attenzione particolare e modalità di risposta specifiche. Lo Spazio giovani offre, ad una utenza compresa tra i 14 e 24 anni, consulenza sociale, psicologica, ostetrica, ginecologica, dietologica. Caratteristiche dello Spazio giovani sono l’apertura del servizio in momenti specifici differenziati dalla restante utenza e l’accessibilità diretta alle prestazioni senza appuntamento. Il Cittadino e la Salute 73 42. ADOZIONE Il Consultorio fornisce le informazioni e la consulenza nei confronti delle coppie che desiderano adottare un bambino; segue, durante il periodo di affido preadottivo l’inserimento del minore nella nuova famiglia sostenendo la coppia genitoriale e svolge per conto del Tribunale le indagini richieste. Il Consultorio organizza dei gruppi di informazione-formazione sia per le coppie aspiranti adottive, sia per le famiglie che hanno in corso l’anno di affido preadottivo. 43. AFFIDO FAMILIARE L’affido familiare prevede che un minore, la cui famiglia non possa temporaneamente fornirgli tutto ciò che è necessario per un adeguato sviluppo psico-fisico, possa essere accolto presso un altro nucleo familiare disponibile ad occuparsi di lui fino a quando i problemi della sua famiglia di origine non si siano risolti. Il Consultorio promuove campagne informative e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica all’affido e incontri di preparazione e formazione degli aspiranti affidatari (famiglie, coppie o anche singoli) attraverso colloqui di approfondimento e la partecipazione ai gruppi delle famiglie affidatarie. Nel corso dell’affido gli operatori del Consultorio seguono il minore, la famiglia affidataria e quella di origine sino al momento in cui risulti opportuno il rientro del minore nel nucleo familiare di provenienza. Cos' è l'Affido familiare L'affidamento etero-familiare è un intervento temporaneo di aiuto e di sostegno ad un bambino in difficoltà e alla sua famiglia d'origine. Consiste nell'inserimento del minore in una famiglia affidataria, che mette a disposizione le sue risorse - casa, tempo, attenzione, calore - per il periodo necessario a risolvere la situazione di provenienza. L'Affido è regolato dalle leggi n.184/1983 e n. 149/2001, è predisposto dai servizi sociali del Comune di residenza del minore: • con il consenso della famiglia d'origine e, se di durata superiore ai sei mesi, con lo convalida da parte del giudice tutelare; • per decreto del tribunale per i minorenni, laddove manchi il consenso dei genitori. L'Affido è definito come un intervento a tempo determinato, il cui obiettivo primario è il superamento della situazione di crisi nella famiglia del bambino, garantendo una continuità di rapporti con questa affinché il minore possa farvi rientro al più presto. Tipologia di Affido L'Affido è un intervento temporaneo che può essere molto diverso a seconda della situazione di provenienza del bambino e quindi durare alcuni mesi o anni. Termina preferibilmente con il rientro del minore nella sua famiglia d'origine, una volta che questa abbia risolto i suoi problemi. Affido a tempo pieno Una famiglia prende con sé, nella propria casa, un bambino per tutto il tempo necessario, affinché nella sua famiglia d'origine possano ripristinarsi le condizioni indispensabili per un felice rientro. Affido nei week-end o in periodi di vacanza Per alcuni bambini, in alcuni momenti della settimana e dell'anno, rappresenta l'opportunità di ricevere più attenzioni e stimoli e, soprattutto, di confrontarsi con un modello di vita familiare e di relazione che possa rafforzare in lui riferimenti positivi. 74 Il Cittadino e la Salute Affido diurno Consiste nel dare un sostegno ad un bambino in difficoltà in alcune fasce orarie della giornata, in genere nel pomeriggio, dopo lo scuola. Il bambino, però, continua a vivere nella sua famiglia, con cui si cerca di rinsaldare il legame e di favorire la crescita dei rapporti. Affido in condizioni di emergenza E disposto dal Tribunale per i Minori in caso di allontanamenti urgenti del bambino dal nucleo familiare, soprattutto qualora si verifichino gravi incurie, violenze, abusi sessuali, abbandono da parte delle figure parentali. La Famiglia Affidataria E’ una famiglia strutturata normalmente, a cui non viene certamente richiesta una perfezione irreale, ma la disponibilità ad accogliere temporaneamente e amare un bambino che viene da un’altra famiglia alla quale farà probabilmente ritorno. E’ una “famiglia educativa “ in quanto i suoi componenti sono disposti e preparati a svolgere un importante parte del processo educativo, a compiere un tratto di strada insieme ad un bambino o a un ragazzino che ha perso temporaneamente i punti di riferimento famigliari. E’ una “famiglia aperta”, pronta ad accogliere, insieme al minore, la sua storia, e tutto un mondo fatto di abitudini e valori diversi. Quando un bambino deve essere temporaneamente allontanato dalla sua famiglia di origine, l’affido familiare può essere la migliore soluzione per aiutarlo. La famiglia che lo accoglie gli offrirà non solo ospitalità, ma anche attenzioni, cure, calore, amore: in casa diventerà un “fratello in più”. I genitori affidatari lo accompagneranno affettuosamente nella crescita per tutto il periodo necessario a risolvere al meglio la situazione di provenienza. 44. QUANDO LA COPPIA SCOPPIA: BAMBINI E SEPARAZIONE La disgregazione del nucleo familiare sembra costituire per il bambino un evento disturbante. Presupponendo che ogni bambino, per uno sviluppo armonico della propria personalità, ha bisogno della presenza di entrambe le figure genitoriali, gli risulterà difficile vivere l’esperienza della separazione e/o del conflitto familiare. Logicamente non si può considerare tale evento come un processo di automatismo e considerare, quindi, i figli delle coppie separate come potenziali soggetti a rischio. Come del resto non ci si può permettere di rimuovere difficoltà che sono reali. Per il bambino, specie se particolarmente piccolo, risulta sempre difficile distinguere le relazioni che intercorrono tra lui e i genitori e le relazioni intercorrenti tra i genitori stessi: se si modificano queste ultime, il bambino è portato a ritenere che si siano modificate anche le prime. Il bambino, inoltre, non sempre possiede quegli strumenti cognitivi sufficienti per elaborare la “perdita” di uno dei genitori e per comprendere le cause reali delle difficoltà familiari. Il bambino è spesso portato ad attribuirsi la colpa del fallimento dell’ unione familiare, quanto meno perché non è stato in grado di farsi tanto amare da impedire la rottura. Vivere, inoltre, l’allontanamento di uno dei genitori come un abbandono, in alcuni casi, innesca la paura del verificarsi di altri abbandoni nel proprio ciclo di vita. La separazione dall’altro quasi mai è un evento improvviso, piuttosto si configura come un processo. Infatti, ben prima che venga manifestata verbalmente l’intenzione di porre fine alla convivenza, si verificano all’interno della famiglia tutta una serie di squilibri relazionali e di carenze comunicative. I litigi divengono sempre più frequenti, le incomprensioni si dilatano, e ognuno compie i propri arroccamenti difensivi. Il bambino percepisce il clima di disagio che si respira in famiglia, pur senza ben capirne le motivazioni, ed il silenzio dei genitori ingigantisce il suo timore, soprattutto se nessuno sente il bisogno di spiegargli, con un linguaggio da lui comprensibile, cosa sta realmente accadendo. Successivamente, quando ormai la rottura diviene manifesta e le due parti contendenti passano a rinegoziare i complessi rapporti personali e patrimoniali e ridefinire le proprie posizioni familiari e sociali, il bambino, non solo diviene maggiormente consapevole della frattura familiare e del potenziale Il Cittadino e la Salute 75 abbandono da parte di un genitore, ma sperimenta ancora di più sulla propria pelle i pesanti tentativi di alleanza che ognuno dei due genitori vuole instaurare con lui a scapito dell’altro. Molto spesso succede che il bambino viene manipolato per ottenerne l’affidamento e ciò non solo per affetto materno/paterno, quanto per una sorta di rivalsa. I figli non arrivano ad una accettazione della separazione dei propri genitori se prima non affrontano ed elaborano le varie fasi del dolore (negazione, rabbia, negoziazione, depressione e accettazione); come gli adulti, essi processano ogni sentimento passo dopo passo fino a che possono controllarlo, passando allo stadio successivo solo quando si sentono pronti. La cosa funzionale per i bambini e per i genitori e permettersi di soffrire poiché, solo in questo modo, è possibile superare il dolore della separazione. Risulta realisticamente corretto considerare la problematica della separazione/divorzio nel contesto di un più vasto mosaico di variabili situazionali e relazionali, tra loro reciprocamente interconnesse. Per una sua piena comprensione sarebbe utile perciò conoscere e considerare: • la storia familiare: il tipo di famiglia, le dinamiche coniugali, quelle tra genitori e figli, la funzionalità dei ruoli assunti all’interno della famiglia da parte dei suoi componenti, con i relativi schemi comportamentali; • la modificazione della struttura familiare non riducibile alla semplice assenza della figura paterna o, in casi più rari, di quella materna; • la ristrutturazione delle dinamiche familiari; • il tipo di famiglia interiorizzata da parte del bambino; • la qualità della relazione di coppia instaurata dopo la rottura del vincolo matrimoniale; • l’esistenza o meno di rapporti stabili e adeguati fra i singoli partner ed il proprio figlio; • le condizioni di salute psico-fisica del genitore affidatario, nonché dell’altro genitore, spesso stressati a causa delle circostanze; • l’aver vissuto o meno, da parte di ognuno dei componenti familiari, altre esperienze “luttuose” o di forte impatto emotivo; • l’esistenza e la consistenza di una rete relazionale familiare (nonni/e, parenti prossimi, ecc.) e/o amicale, funzionalmente presente attorno ai soggetti coinvolti nella separazione; • valutazione del contesto sociale e culturale nel quale la famiglia ormai disgregata vive e/o andrà a vivere Nella dinamica della separazione/divorzio, sia i coniugi che i figli dovrebbero essere sostenuti e guidati. Infatti, circa l’ 80 per cento dei cosiddetti “ figli del divorzio” non riceve una preparazione adeguata alla disgregazione familiare, né viene dettagliatamente informato su ciò che sta accadendo alla propria famiglia. I figli, in poche parole, vengono lasciati quasi sempre soli ad affrontare uno degli eventi più stressanti che possa capitare al nucleo familiare. Spessissimo, i genitori sono così turbati emotivamente e psicologicamente da non avere più a disposizione la stessa quantità di tempo, energie e capacità di prendersi cura dei figli. Così, facilmente finiscono per trascurare, che lo vogliano o no, le esigenze dei piccoli, che sono invece i soggetti più bisognosi di una presenza forte e fidata che li accompagni nel difficile transito verso una nuova forma di vita ed un nuovo assetto familiare. Questo non significa che il divorzio sia sempre un male. E’ ormai ampiamente dimostrato, anzi, che per i figli è più salutare vivere in una famiglia ricostituita o monogenitoriale ma abbastanza serena piuttosto che vivere quotidianamente in un ambiente carico di conflittualità e instabilità. Alcune regole pratiche per i genitori su come affrontare il tema della separazione con i bambini potrebbero essere: 1) dare una versione il più possibile univoca e chiara di ciò che sta accadendo. Meglio se la decisone viene comunicata alla presenza di entrambi i genitori. Una frase tipo potrebbe essere: “ Io e papà non ci amiamo più e abbiamo deciso di separarci. Ma continuerò a volerti bene ed avere cura di te come sempre”. 2) Dare informazioni il più possibile dettagliate sulle questioni pratiche che cambieranno la vita del bambino, del tipo:”Tuo padre/tua madre abiterà qui, vi vedrete ogni fine settimana, il giovedì sera, dormirai da lui il lunedì notte ecc..” 76 Il Cittadino e la Salute 3) Cercare di non alterare troppo la vita quotidiana e la routine dei figli, che proprio in questo momento di caos emotivo hanno bisogno di contare su solidi punti di riferimento anche pragmatici, come la scuola, gli amici, gli orari del sonno, dei pasti, dei giochi ecc.. 4) Rassicurare il più possibile il bambino, e invitarlo a parlare dell’argomento e fare domande ogni volta che ne sentirà il bisogno. 5) Evitare di strumentalizzare il bambino, di usarlo come arma di riscatto verso l’altro coniuge sul quale ci si vorrebbe “vendicare”, di parlare male dell’ ex moglie/marito, sia in sua presenza sia in sua assenza. E’ di vitale importanza che i bambini possano mantenere sereni e solidi rapporti con entrambe le figure genitoriali. 6) Il genitore non affidatario dovrebbe mantenere frequenti contatti con i figli, vederli 2/3 volte la settimana – compatibilmente con gli accordi di separazione – e cercare di mantenere quelle attività che prima della separazione condivideva con i figli ( giochi, cinema, passeggiate, sport ecc.). 7) Spiegare al bambino che “i cambiamenti fanno parte della vita, ed è bene imparare a viverli e ad affrontarli”. Rassicurarli sul fatto che presto ciò che ora appare strano e inusuale diventerà normale e piacevole. Soffermarsi sugli aspetti positivi dei cambiamenti in corso. 8) Evitare di dire al bambino bugie, del tipo “tuo padre è partito per un viaggio di lavoro”. Potrebbe fantasticare il suo ritorno, e subire poi cocenti delusioni. Allo stesso tempo non c’è bisogno di dilungarsi troppo sui dettagli spiacevoli della vicenda separazione e sui motivi che hanno portato i suoi genitori a lasciarsi. 9) Rassicurare il bambino nel caso in cui provi vergogna o imbarazzo con i suoi coetanei per la situazione anomala della sua famiglia. Le famiglie “strambe” sono tantissime al mondo, e di famiglie ne esistono di tutti i tipi: con un genitore, con due, con i nonni, con più figli di genitori diversi ecc, E non tutte le stranezze vanno poi per nuocere... 45. MEDIAZIONE FAMILIARE La mediazione familiare è un percorso di aiuto offerto a genitori che, in via di separazione o già separati, vivono situazioni di profondo disaccordo ma desiderano continuare ad essere genitori efficaci. Si concretizza in una serie di colloqui condotti da operatori specializzati in mediazione familiare, finalizzati a sostenere i genitori nell’esercizio delle loro funzioni e delle responsabilità genitoriali e nell’assunzione da parte loro, anche in situazioni di grave conflitto, delle decisioni riguardanti i figli. Il servizio di mediazione familiare, attivo presso alcuni Consultori, costituisce una risposta alle problematiche sempre più emergenti che investono oggi l’evoluzione della famiglia e le sue forme costitutive (a causa di separazioni, ricomposizioni, ecc.) e conseguentemente gli aspetti che riguardano l’esercizio del ruolo genitoriale e lo sviluppo educativo dei figli. Per qualsiasi necessità relativa ai paragrafi precedenti è possibile consultare il sito web: www.asl.pavia.it Il Cittadino e la Salute 77 ITER OSPEDALIERO 46. L’OSPEDALE - RICOVERO OSPEDALIERO L’accettazione – documenti e modalità di accesso. L’Ufficio Accettazione è situato all’ingresso principale dell’ospedale, è aperto tutti i giorni a orari stabiliti. Qui si svolgono le pratiche amministrative e di prenotazione, si esibiscono i documenti personali e clinici richiesti secondo il tipo di ricovero, si riceve la “Carta dei Servizi” dell’ospedale. I documenti necessari: • richiesta di ricovero del Medico di famiglia o del medico di ex Guardia Medica territoriale o del medico specialista ospedaliero o del medico di Pronto Soccorso o del medico specialista; • documento d’identità (Carta d’identità o Passaporto); • codice fiscale; • tessera sanitaria; • eventuale documentazione clinica recente, per evitare la ripetizione di alcuni esami; • permesso di soggiorno per cittadini extracomunitari. Le modalità di pagamento: • il ricovero con il Servizio Sanitario Nazionale (SNN) è onnicomprensivo e il malato non deve pagare nulla; • il ricovero Privato o Solvente completo consiste nel pagamento di tutte le prestazioni sanitarie ed alberghiere; • il ricovero a differenza di classe consiste nel pagamento della sola retta alberghiera da parte dell’assistito: è opportuno chiedere il contratto dettagliato prima del ricovero. 47. IL RICOVERO: ORDINARIO – PROGRAMMATO – URGENTE Il ricovero ordinario È previsto per il trattamento di patologie non urgenti o per condizioni che richiedono particolari approfondimenti diagnostici che non si possono eseguire in ambulatorio. L’Accettazione interpella il reparto di competenza ed il medico responsabile provvede al ricovero immediato, oppure, se non c’è disponibilità del posto letto, all’inserimento del paziente in una lista di attesa. All’atto della prenotazione si ha diritto di conoscere il tempo di attesa massimo entro il quale quella particolare prestazione deve essere garantita. Il ricovero programmato Soprattutto per quanto riguarda gli interventi chirurgici il ricovero ospedaliero è programmato secondo i seguenti criteri: 1. ordine cronologico della prenotazione per patologie e quadri clinici della stessa natura; 2. tipologia, gravità e caratteristiche dello stato di malattia. Il ricovero d’urgenza e di emergenza Lo stabilisce il medico del Pronto Soccorso, di sua iniziativa o su richiesta di un medico esterno, quando le condizioni del paziente esigono un intervento medico, diagnostico, o curativo nello spazio di poche ore (Urgenza), o immediatamente (Emergenza). Nel caso di indisponibilità immediata del posto letto, dopo le prime cure il paziente può essere trasportato, in ambulanza e con l’assistenza di personale medico-infermieristico, in un’altra struttura ospedaliera, a cura della struttura che non ha disponibilità. Il Cittadino e la Salute 79 48. IL PERCORSO CHIRURGICO Si riportano qui di seguito alcune regole, alle quali sono vincolati i medici di famiglia e i medici ospedalieri per accompagnare e assistere il cittadino che deve effettuare un intervento chirurgico. L’itinerario che viene descritto è il frutto di un lavoro comune e di un accordo sottoscritto dai medici di famiglia della Fimmg (Federazione italiana dei medici di medicina generale) e dai medici ospedalieri dell’ Anaao Assomed (Associazione nazionale aiuti e assistenti ospedalieri - Associazione della dirigenza medica) per iniziativa del Tribunale per i diritti del malato. Nulla di quanto indicato è fuori da quanto già previsto dalle leggi. Quindi ogni cittadino deve non solo conoscere tali procedure, ma chiederne il rispetto ogni qual volta si trovi nelle situazioni descritte. • Richiesta di visita specialistica ambulatoriale da parte del medico di famiglia. La richiesta deve indicare in modo chiaro e leggibile, privilegiando l’uso del computer per una migliore leggibilità, il quesito diagnostico, insieme alle informazioni sanitarie che il medico di famiglia ritenga pertinenti e comunque importanti. Queste, desunte dalla scheda sanitaria individuale conservata dal medico, possono riguardare la storia clinica, pregressa e prossima, del paziente, con particolare attenzione alle patologie concomitanti ed alle terapie croniche. • Referto ambulatoriale del medico specialista. Anche il referto della consulenza deve essere chiaro e leggibile, e contenere i suggerimenti diagnostici e terapeutici del caso, con riguardo alle note Cuf (Commissione unica del farmaco) e quindi alla prescrivibilità del farmaco. Egli può inoltre suggerire eventuali ulteriori accertamenti necessari, specificando al paziente che, se propedeutici al ricovero per intervento chirurgico, questi ultimi non richiedono ulteriore impegnativa e quindi alcun pagamento del ticket. • Scheda di accesso al ricovero da parte del medico di famiglia. La scheda, che fa parte integrante della cartella clinica, deve essere redatta, analogamente a quanto previsto per la visita ambulatoriale, in modo chiaro, leggibile ed esaustivo, nonché riportare la storia clinica del paziente. • Medico di riferimento. Per ogni paziente ricoverato per un intervento chirurgico viene individuato, tra i medici del reparto, un medico-tutor quale figura di riferimento per il paziente stesso al fine di garantire una funzione di ascolto, di continuità informativa e di orientamento per tutto il corso della degenza. • Visita del medico di famiglia. Il medico di famiglia è tenuto a recarsi a visitare il suo paziente presso la divisione di degenza quando ne ravvisi esso stesso la necessità, nonché quando ciò venga richiesto dai medici del reparto e/o dal paziente stesso. Le aziende ospedaliere si impegnano a favorire l’accesso del medico di famiglia, consentendo ove possibile anche l’accesso gratuito ai parcheggi dell’ ospedale. • Sportello telefonico di reparto. Nei reparti chirurgici viene istituito un servizio di risposta telefonica, con orario settimanale o bisettimanale, nel corso del quale un chirurgo di turno si rende disponibile a ricevere le telefonate del medico curante, che si renderà riconoscibile, in ottemperanza alla normativa sulla privacy, comunicando un codice pin, assegnato al suo paziente al momento del ricovero. • Reperibilità del medico di famiglia. Per tutta la durata del ricovero il medico di famiglia deve assicurare la sua reperibilità telefonica, in modo da consentire al paziente o ai suoi familiari o, ancora, ai medici del reparto, la possibilità di un rapida consultazione secondo necessità. • Consenso “valido” (informato). I medici di famiglia e i medici ospedalieri sono tenuti a tenere costantemente informati, anche al di là e oltre la sottoscrizione del modulo del consenso, i propri pazienti dei motivi, compresi i rischi e i benefici, dell’intervento da effettuare, delle modalità operatorie scelte (anestesiologiche e chirurgiche), del tipo di decorso e degli eventuali disturbi, anche dolorosi, che potranno subire, e delle cure riguardanti il decorso post-operatorio, che dovranno essere prestate dal medico chirurgo e dal medico curante. • Lettera di dimissioni ed avviso di dimissioni al medico di famiglia. La lettera deve contenere precise informazioni sull’intervento chirurgico con la spiegazione succinta del procedimento (anche con schede preconfezionate, qualora l’atto operatorio configuri una novità tecnica), il relativo 80 Il Cittadino e la Salute • decorso, le possibili complicazioni, i suggerimenti terapeutici specificando i farmaci, le eventuali prescrizioni e le prestazioni erogabili in regime di S.S.N, la programmazione di visite di controllo. In tale contesto è indispensabile che il medico di famiglia venga avvisato qualora le dimissioni avvengano in giorno festivo e/o relativamente a pazienti non ancora autosufficienti, in modo da garantire al cittadino la dovuta copertura terapeutica anche farmaceutica ed evitare dimissioni non seguite da una continuità assistenziale presso la propria abitazione. Liste d’attesa. Al fine di consentire una corretta informazione al cittadino, è necessaria la massima trasparenza dei tempi presumibili d’attesa, delle priorità attraverso le quali vengono compilate le liste, della possibilità di usufruire dell’attività libero-professionale in intramoenia con il costo preventivato in modo chiaro e dettagliato. 49. CONSIGLI GENERALI PER IL PAZIENTE CHE DEVE AFFRONTARE UN INTERVENTO CHIRURGICO Diciamo innanzitutto che un intervento chirurgico è sempre una cosa seria. Questo vuol dire che non esistono interventi “banali” o “cose da poco”; un intervento è sempre un atto invasivo che può essere più semplice o complesso, durare poco o tanto, essere più o meno impegnativo ma, comunque, mai banale. Considerare un intervento chirurgico come “banale” vuoi dire sminuire un atto che comunque rappresenta una invasività nel nostro organismo ed esporlo a possibili complicanze immediate o tardive indipendentemente dalla perizia o competenza con la quale viene svolto. Così come pretendiamo giustamente che l’Ospedale o la Clinica presso la quale ci rechiamo per essere sottoposti ad un intervento sia accogliente, pulita, rispettosa delle norme igieniche generali fondamentali e specifiche per la patologia di cui siamo affetti, altrettanto dobbiamo prepararci in modo adeguato per favorire un decorso il più possibile normale ed aiutare noi stessi nel prevenire spiacevoli complicanze che meritano soprattutto, anche da parte nostra, un’attenzione ed un’attiva collaborazione. Di fronte alla malattia non dobbiamo essere soggetti passivi ma soggetti attivi e collaboranti al fine di giungere nel miglior modo possibile al traguardo della guarigione. Naturalmente questi consigli riguardano gli interventi chirurgici programmati e programmabili; le urgenze e le emergenze va da sè che rappresentano una evenienza del tutto diversa. Per questo consigliamo alcune norme elementari che a molti potranno sembrare banali o “scontate”, ma che spesso, invece, sono del tutto trascurate e disattese. Prima di tutto, se la malattia ce lo consente, è bene lavarsi accuratamente prima del ricovero facendo un bagno od una doccia e, in particolare, dobbiamo prestare molta attenzione a quelle che sono zona “a rischio” naturale del nostro organismo, soprattutto se l’intervento chirurgico avverrà in prossimità o a carico di queste zone. Si deve quindi provvedere a lavare non solo accuratamente tutto il corpo, ma anche molto bene le parti intime quali gli organi genitali e la zona del perineo, cioè la zona circostante alle parti genitali stesse. Inoltre, se l’intervento verrà svolto, ad esempio a livello del piede, si dovrà, provvedere a tagliare accuratamente le unghie ed a pulirle con cura. Nel caso ad esempio di un intervento a carico della spalla sarà buona norma lavare molto accuratamente le ascelle e provvedere alla loro rasatura completa. Lo stesso dicasi per le mani che dovranno essere accuratamente lavate, pulite le unghie, evitando di stendere smalti od altro. Non è il caso di truccarsi il volto; l’Ospedale non è un luogo di incontro ed esibizione, per cui il trucco è inutile ed a volte controproducente. Il medico anestesista infatti avrà bisogno di vedere il colore naturale delle vostre unghie e delle vostre labbra per evidenziare, ad esempio, durante l’anestesia, la presenza di un colorito normale o la comparsa di una cianosi o altro. È altrettanto importante che il nostro organismo sia globalmente preparato ad affrontare quanto ci aspetta. Se abbiamo carie dentarie o problemi gengivali importanti o granulomi, è bene recarsi dal dentista; non dimenticate che germi provenienti dalla bocca possono, attraverso il sangue, infettare la zona dell’intervento chirurgico, specie se si tratta di impianto di protesi articolari, cardiache o vascolari. Lo stesso dicasi per eventuali affezioni dell’orecchio e della gola. La presenza di una gola arrossata, che brucia alla deglu- Il Cittadino e la Salute 81 tizione può nascondere una faringite virale o batterica che merita una cura adeguata da parte del vostro Medico di famiglia. Anche la presenza di infezioni a livello delle unghie ( ad esempio una unghia incarnita), si sono rivelate fonti a volte gravi di infezioni secondarie. Analogamente bruciori quando si urina, potrebbero essere sintomi di cistite e, come tali, possibile fonte di contaminazione. La presenza del flusso mestruale, contrariamente a quanto si ritiene, non controindica, salvo casi particolari, la esecuzione di un intervento, tuttavia essendo l’intervento stesso programmabile è bene sottoporsi in una fase del ciclo “libera” da questo impedimento. La presenza di “perdite” che, secondo voi, sono al di fuori della norma, come ad esempio perdite gialle o giallo verdastre sarebbe bene che venissero verificate consultando il ginecologo. Anche la presenza di foruncoli di grosse dimensioni o anche di piccole dimensione ma vicini alla zona che dovrà essere operata, sono da curare prima. Un foruncolo giallastro altro non è che un piccolo ascesso a carico di una ghiandola sebacea provocato da un germe tipico della nostra pelle chiamato “Stafilococco Aureo”. Questo germe dalle statistiche rappresenta la fonte maggiore di infezioni post-chirurgiche. La sera prima del ricovero, se non è prescritto un digiuno o una preparazione particolare, deve essere trascorsa in casa, in tranquillità, ed il pasto sia del mezzodì che della sera deve essere leggero e facilmente digeribile. Se state seguendo delle terapie con farmaci per altre patologie già in atto, salvo diverse prescrizioni date, potete continuare ad assumerli, soprattutto nel caso di malattie quali il Diabete o la Ipertensione. Resta il fatto che in caso di dubbio la miglior cosa è consultare l’Ospedale che dovrà accogliervi o il vostro Medico di famiglia. Come vedete sono consigli apparentemente “banali” e che possono apparire più che scontati. Tuttavia tali non sono osservando come le persone si presentano per affrontare una evenienza chirurgica. Seguirle costa poco o niente, ma ci aiuterà ad affrontare seriamente ciò che seriamente deve essere affrontato, un evento molto importante per noi, cioè un Intervento Chirurgico. 51. IL DAY HOSPITAL Il Day Hospital (ospedale diurno) è un tipo di ricovero in cui il paziente riceve prestazioni mediche senza dover rimanere in ospedale oltre le ore necessarie per la loro effettuazione. Si accede al servizio, di carattere diagnostico-terapeutico e riabilitativo, su impegnativa del Medico di famiglia. Il paziente verrà chiamato telefonicamente al suo domicilio secondo l’ordine cronologico della prenotazione e si recherà in ospedale nel giorno e ora stabiliti munito della Tessera sanitaria e della documentazione clinica eventuale. Durante il primo giorno di ricovero si avrà la visita medica specialistica, la compilazione della cartella clinica e si eseguiranno gli esami necessari. Il secondo giorno inizierà il trattamento riabilitativo al termine del quale verrà consegnata al paziente una lettera di dimissioni indirizzata al Medico di base. 52. IL DAY SURGERY Il Day Surgery è una modalità di ricovero ospedaliero a ciclo diurno. Molti interventi chirurgici di lieve entità si possono eseguire con il ricovero programmato Day Surgery, o cicli di ricoveri, ciascuno di durata inferiore alle 12 ore, con prestazioni multiprofessionali e plurispecialistiche. Ciò offre al paziente il vantaggio di non dover interrompere la propria vita sociale. Le prestazioni vengono erogate nei reparti di degenza sotto il controllo dell’équipe medica di riferimento. Si accede a questo tipo di assistenza su indicazione del medico di reparto. 53. A CHI RIVOLGERSI DURANTE IL RICOVERO Al Medico curante del reparto per: • informazioni sul programma diagnostico e terapeutico e sul proprio stato di salute; • eventuali reclami inerenti l’assistenza; • tempi di degenza, dimissioni e terapia domiciliare. 82 Il Cittadino e la Salute I Medici di famiglia e i Medici ospedalieri sono tenuti a tenere costantemente informati, anche al di là e oltre la sottoscrizione del modulo del consenso, i propri pazienti dei motivi, compresi rischi e benefici, dell’intervento da effettuare, delle modalità operatorie scelte, del tipo di decorso e degli eventuali disturbi, anche dolorosi, che potranno subire, e delle cure riguardanti il decorso post-operatorio, che dovranno essere prestate dal medico chirurgo e dal medico curante. Al Capo sala per: • regolamento del reparto; • orario di visita dei parenti; • richiesta dei Ministri di culto. Alla Direzione sanitaria per: • richiesta della fotocopia della cartella clinica (all’ufficio competente); • reclami inerenti l’assistenza medica e infermieristica (U.R.P.). 54. LA TERAPIA DEL DOLORE Il dolore è un sintomo, “un campanello di allarme” che ci avverte che qualcosa non va nel nostro organismo. Il dolore può essere acuto, cioè limitato nel tempo, oppure cronico, quando continua per lunghi periodi. Il dolore è una sensazione soggettiva, perché la “sofferenza” di ciascuno è influenzata da numerosi fattori individuali. Per questo è importante “raccontare” il proprio dolore fisico al proprio medico curante, indicando la sede del dolore, il suo livello di intensità e il tipo. Questo lo aiuterà a fornire l’indicazione del trattamento più adeguato al nostro caso. Oggi sono disponibili numerosi strumenti per controllare il dolore o, in alcuni casi, attenuarlo fino a renderlo sopportabile e ci sono numerose figure professionali nelle strutture sanitarie italiane che lavorano per aiutare chi soffre a vincere il dolore. L’esperienza del dolore si ha in molte situazioni, da quelle ospedaliere a quelle quotidiane. Dopo ogni intervento chirurgico, dal più semplice al più complesso, si avverte dolore che, a seconda dell’intensità e della sede, ci può impedire di riposare, di tossire, compiere anche piccoli movimenti. Il dolore può aumentare il rischio di complicanze post-operatorie, allungare i tempi di recupero e di degenza e ritardare la nostra guarigione. A disposizione dei medici curanti ci sono numerose tecniche per alleviarlo. Le più diffuse sono l’iniezione endovenosa di diversi tipi di analgesici e l’anestesia locale che, in alcuni ospedali, può essere autosomministrata e controllata dallo stesso paziente attraverso uno speciale meccanismo. Se si deve effettuare un intervento, chiedere ai medici e al personale infermieristico: • l’intensità e la durata del dolore che potrai provare in seguito • le terapie che saranno adottate per controllarlo • chi chiamare in caso di dolore dopo l’intervento chirurgico. Non tutte le persone che si ammalano di tumore provano dolore, ma circa il 50% di malati di tumore conosce, nel corso della malattia, l’esperienza del dolore fisico. Questo tipo di dolore si associa tutte le volte a fattori psichici e sociali, per cui è stato anche definito “dolore totale” o “dolore globale”. Ha una tale forza che impedisce il sonno, toglie la volontà di combattere contro la propria malattia, la voglia di mangiare, di bere, di parlare. Ma anche questo dolore si può controllare nella quasi totalità dei casi. I farmaci (antinfiammatori, oppioidi, “coadiuvanti” dei farmaci analgesici, come antidepressivi, sedativi, cortisonici e ormoni) sono sicuramente lo strumento principale per controllare il dolore fisico nelle malattie tumorali, insieme con altri metodi come la radioterapia palliativa, la laserterapia o i metodi psicologici di controllo del dolore. Le cure palliative, invece, che abbracciano diverse forme di terapia, sono le uniche in grado di prendersi cura globalmente del paziente, proteggendolo dalle sofferenze evitabili e supportando il suo nucleo familiare. Vengono praticate da équipe multidisciplinari e, migliorando la qualità della vita, salvaguardano la dignità della persona fino all’ultimo istante. Se si soffre di una condizione dolorosa collegata a un tumore, bisogna parlarne con il medico di famiglia o con il proprio oncologo e chiedere loro Il Cittadino e la Salute 83 di intervenire. Se il dolore continua, si può chiedere al proprio medico di famiglia di essere indirizzati a un Centro di terapia del dolore o di medicina palliativa i quali intervengono, se necessario, anche a domicilio. È utile ricordare comunque che la terapia del dolore oncologico, specialmente all’inizio, è facile da realizzare (se somministrata per bocca o con cerotti applicati sulla pelle è praticabile senza dover ricorrere a personale infermieristico). Non sempre è necessaria la presenza dello specialista: la terapia del dolore può essere gestita dal medico di famiglia anche all’interno di una terapia domiciliare. Il dolore di coloro che hanno malattie delle ossa e dei muscoli, che soffrono di nevralgie (cattivo funzionamento di alcuni nervi), che hanno il “mal di testa”, il “mal di schiena”, che sono malati di Aids, fanno esperienza di dolori che interferiscono con la vita quotidiana, dolori che impediscono di muoversi, di dormire, di lavorare, che tolgono il piacere di stare in compagnia con gli amici e i propri cari. Spesso questi dolori sono l’incubo degli anziani che soffrono di reumatismi, artriti e artrosi. I farmaci e gli altri strumenti a disposizione per controllare questi dolori sono gli stessi utilizzabili per il tumore. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda, in caso di dolore severo, di utilizzare farmaci oppioidi anche per il dolore cronico benigno. La maggior parte delle condizioni dolorose possono essere affrontate con successo dal medico di famiglia. Se il dolore continua e non migliora, è bene discutere con lui per essere indirizzato a un centro specialistico (centro di terapia del dolore e di medicina palliativa, centro per le cefalee, e così via). Allo stato attuale, sono ancora molte le convinzioni erronee riguardo i farmaci e le cure contro il dolore. “I farmaci più potenti contro il dolore, come gli oppioidi, andrebbero limitati alle ultime ore di vita dei malati gravi, perché sono molto pericolosi e si potrebbe diventare tossicodipendenti”. Prendere farmaci per ricavare piacere è profondamente diverso dal prenderli per combattere il dolore. Gli oppioidi sono i migliori farmaci in nostro possesso contro il dolore. Infatti: • non provocano tossicodipendenza • effetti collaterali quali nausea e sonnolenza regrediscono di solito nel tempo • possono essere somministrati anche ai bambini • possono essere utilizzati anche nelle fasi iniziali del trattamento • le persone affette da tumore che assumono oppioidi, nella maggior parte dei casi conducono una vita normale e continuano a lavorare. “Negli anziani che prendono molti medicinali per patologie diverse, è meglio non intervenire contro il dolore per evitare l’assunzione di ulteriori farmaci.” È necessario porre molta attenzione ai farmaci da utilizzare, ma il dolore può e deve essere comunque controllato e, se possibile, eliminato. Esistono precise indicazioni su come affrontare il dolore negli anziani. Il dolore non è un aspetto inevitabile della vecchiaia. “Usare la morfina subito comporta non avere altre possibilità se il dolore dovesse aumentare.” Affermazione errata che spesso ha comportato una sofferenza inutile per molti pazienti. La morfina è uno dei farmaci più “maneggevoli” da usare: si può incrementare il suo dosaggio alla comparsa di nuovi dolori, senza incorrere in alcun effetto collaterale pericoloso. Il suo effetto aumenta aumentandone le dosi, cosa che non avviene per esempio con i farmaci antinfiammatori. Spesso nella lotta contro il dolore si frappongono ostacoli burocratici, organizzativi e giuridici che rendono più difficile l’azione di chi è chiamato ad aiutare i malati. Vecchie modalità di lavoro negli ospedali, personale insufficiente per 1’assistenza domiciliare, norme per la prescrizione dei farmaci oppioidi eccessivamente restrittive, rappresentano alcuni di questi ostacoli. Per fortuna queste ultime sono state in parte abolite da una nuova legge che regola la prescrizione dei farmaci contro il dolore (L. 12/01). Grazie a questa legge: • il medico di famiglia può fare una ricetta valida 30 gg. • il medico o l’infermiere possono tenere piccole quantità di farmaci per le emergenze e portarle nella borsa per curare i pazienti direttamente a casa. • poiché non è più necessario compilare lunghissime e complicate ricette, il medico può prescrivere molto più facilmente e senza restrizione i farmaci per il controllo del dolore. 84 Il Cittadino e la Salute 55. LE PIAGHE DA DECUBITO Che cos’è una piaga da decubito? L’ulcera da pressione, meglio nota come piaga da decubito, è una lesione della pelle che si presenta quando si è costretti a rimanere immobili a letto per lunghi periodi di tempo. L’immobilità, infatti provoca, una pressione prolungata sui tessuti delle aree corporee a contatto con le superfici di appoggio, alterando la normale circolazione del sangue. I tessuti della pelle, non ricevendo la giusta ossigenazione, vanno in necrosi e muoiono ed è proprio allora che nasce la piaga. Per fortuna la formazione della piaga da decubito è graduale ed ecco perché è importante saperla riconoscere ed essere informati sui principali fattori di rischio per un tempestivo ed efficace intervento. Si calcola che oggi, in Italia, più di un milione di famiglie abbia a casa parenti affetti da lesioni da pressione. Si tratta quindi di un fenomeno molto comune, che non solo è possibile limitare ma anche prevenire i fattori di rischio. Le ulcere da pressione insorgono in persone di qualsiasi età costrette all’immobilità. Tuttavia la concomitanza di alcuni fattori determina una maggiore esposizione al rischio. Ecco i principali fattori da controllare in caso di immobilizzazione forzata: • Le malattie cardiovascolari e respiratorie, perché alterano la normale circolazione del sangue e portano una insufficiente ossigenazione. • Le malattie debilitanti quali il diabete, l’insufficienza renale e l’immunodeficienza acquisita (Aids). • La iponutrizione, perché un apporto calorico insufficiente non mantiene la cute elastica. • L’obesità o la eccessiva magrezza, perché un peso eccessivo determina una pressione maggiore sui tessuti, mentre l’eccessiva magrezza comporta una riduzione dei tessuti che fanno da “cuscinetto” tra la pelle e le prominenze ossee. • L’incontinenza, perché contribuisce ad una macerazione continua della cute. • L’età avanzata, perché il paziente anziano presenta in genere un quadro clinico della propria salute non ottimale. Le aree a rischio: Alcune aree corporee sono sottoposte ad una pressione prolungata che le espone ad un rischio maggiore. • Se si è in posizione supina: la regione dell’osso sacro, le scapole, la nuca e i talloni. • Se si è girati da un lato: i malleoli, il bordo esterno del piede, la spalla, la scapola, il gomito, l’orecchio, lo zigomo. • Se si sta proni (pancia sotto): lo zigomo, l’orecchio, le costole, le ginocchia. • Se si sta in posizione seduta: il gomito, il coccige, le aree della pelle compresse da ciambelle e cuscini. Il decalogo della prevenzione: • evita di lasciare il paziente immobilizzato nel letto per più di 2 ore; giralo alternando le varie posizioni. Se il paziente è seduto in carrozzina, deve essere aiutato a sollevarsi spesso sulle braccia. • evita l’uso di coperte e lenzuola comprimenti. Le lenzuola devono essere morbide e di materiale leggero. • evita di inserire nel letto traverse di plastica che non lasciano traspirare la pelle. • evita di tenere le lenzuola umide a causa del sudore e dell’urina. Vanno sostituite subito. • evita di far indossare pigiami con bottoni o elastici perché potrebbero produrre irritazioni. • sostituisci il materasso tradizionale con un materasso antidecubito e utilizza, se hai un familiare seduto in carrozzina, un cuscino di lattice o antidecubito. • assicurati, dopo ogni pasto, che non vi siano nel letto briciole o altri tessuti alimentari che possono causare irritazioni cutanee. • controlla almeno una volta al giorno le condizioni della pelle specialmente in corrispondenza delle prominenze ossee. Il Cittadino e la Salute 85 • • pulisci la cute utilizzando sostanze emollienti, applica sulle aree a rischio creme idratanti o proteggile con medicazioni idrocolloidali. verifica l’alimentazione del tuo familiare. La dieta deve essere bilanciata e ipercalorica. Se il soggetto non è in grado di alimentarsi spontaneamente, l’apporto energetico dovrà essere garantito dalla nutrizione entrale. Attenzione! Molti pazienti a rischio, o con piaghe da decubito rientrano tra i soggetti con patologie croniche che godono di particolari diritti. Tra questi diritti la possibilità di avere gratuitamente medicazioni e presidi, nonché di usufruire dell’assistenza domiciliare. È importante sottolineare inoltre che il primo e più importante punto di riferimento per la diagnosi e la terapia delle piaghe da decubito è il medico di famiglia. 56. LA GUARIGIONE Guarigione completa Quando il primario dispone la dimissione, il paziente è costretto a lasciare l’ospedale, anche contro la sua volontà, salvo potersi ripresentare al medico di guardia del Pronto Soccorso per una nuova accettazione di ricovero. Guarigione parziale Nel caso di guarigione parziale si ha la dimissione protetta, e cioè l’ospedale deve provvedere alla possibilità di continuare le cure a domicilio. Trasferimento La dimissione per trasferimento, ovvero il ricovero in un’altra struttura sanitaria o reparto, può essere decisa dal primario o essere richiesta dal paziente, che deve comunque rivolgersi a lui e quindi al Direttore sanitario. Il costo del trasferimento in altra struttura è a carico dell’ospedale. Volontà propria Il malato può chiedere di essere dimesso anche contro il parere del primario: in questo caso deve rilasciare una dichiarazione scritta del motivo per cui chiede la dimissione volontaria che contenga anche il parere contrario del medico.Tale dichiarazione sarà conservata agli atti dell’ospedale. Per i pazienti minorenni e per gli interdetti la decisione spetta ai familiari. Morte In caso di morte del malato i familiari hanno diritto alla restituzione della documentazione clinica personale ed alla relazione medica, al trasferimento della salma nella camera mortuaria dell’ospedale, alla sistemazione della stessa senza alcun onere ed infine alla celebrazione del Rito secondo la propria confessione religiosa. N.B.: Prima di lasciare l’ospedale, è necessario aver ricevuto la lettera di dimissione: questa riporta gli esami eseguiti, la diagnosi, le terapie effettuate e quelle consigliate al medico di famiglia. È inoltre opportuno chiedere sempre una copia della cartella clinica, che sarà ritirata in seguito, e/o farsi rilasciare i certificati necessari per un eventuale rapporto di lavoro. 86 Il Cittadino e la Salute 57. LA DIMISSIONE La dimissione del paziente dall’ospedale è decisa dal primario o, in sua assenza, dall’aiuto primario. Essa avviene per guarigione completa, guarigione parziale per trasferimento ad altra struttura sanitaria o reparto, per volontà propria, per morte. Ogni cittadino che è stato ricoverato in una struttura sanitaria ha diritto ad avere tutta la documentazione dopo le dimissioni dall’ ospedale. Per i minori, gli interdetti e gli inabilitati, ha diritto di accesso ai dati clinici la persona che detiene la tutela giuridica (genitori, tutori, curatori). 58. COME TUTELARSI IN CASO DI DIMISSIONI FORZATE Nel momento in cui ci si trova nella situazione nella quale i sanitari stanno per procedere alle dimissioni di un soggetto anziano non autosufficiente o con una malattia cronica e si è convinti che le sue condizioni non siano tali da consentire l’uscita dalla struttura ospedaliera o che ci sia bisogno di ulteriori terapie non effettuabili a casa, il cittadino deve: • Non farsi intimorire dalla richiesta di portarsi a casa il proprio congiunto: l’ospedale ha una precisa responsabilità nei confronti del paziente e non può dimetterlo se la famiglia non è in grado di occuparsene o se le terapie ancora da praticare non sono affrontabili a domicilio. • Non firmare o far firmare al paziente alcun foglio di dimissioni. Prendere immediato contatto con il primario del reparto e con i medici che hanno avuto in cura il degente, raccogliendo maggiori informazioni sulla situazione. • Far intervenire il medico di base presso la struttura ospedaliera in modo da accertare le reali necessità di cura del degente e l’esistenza di ulteriori terapie e interventi da effettuare. Si ricordi a questo proposito che gli art. 31 e soprattutto 35 c. 4 dell’ accordo nazionale con i medici di medicina generale prevedono l’accesso del medico di famiglia nei luoghi di ricovero dei propri assistiti, in particolare al fine di evitare dimissioni improprie. • Richiedere alla direzione sanitaria di intervenire al fine di individuare una soluzione adeguata, attivando l’unità di valutazione geriatrica, i servizi di assistenza sociale e i responsabili delle Rsa, laddove esistono. • È sempre consigliabile, comunque prima delle possibili dimissioni, iniziare ad attivarsi autonomamente presso l’ufficio apposito della A.S.L. di appartenenza, inserendosi in lista d’attesa e accelerando così i tempi della visita dell’Unità di valutazione geriatrica. • Se nessuno è disponibile ad ascoltare, se l’Uvg tarda ad arrivare, se il medico di famiglia ha difficoltà o non intende mettersi in moto, si consiglia di attivare la procedura che segue. Procedura avverso le dimissioni forzate dall’ospedale Poiché l’art. 4 della legge n. 595 del 1985 stabilisce che: “avverso gli atti con cui si nega o si limita ai cittadini la fruibilità delle prestazioni di assistenza sanitaria, sono ammesse osservazioni ed opposizioni in via amministrativa redatte in carta semplice, da presentarsi entro 15 giorni dal momento in cui l’interessato abbia avuto conoscenza dell’atto contro cui intende osservare ed opporsi al comitato di gestione della A.S.L., che decide in via definitiva entro 15 giorni”, il Tribunale per i diritti del malato ha approntato un modulo per opporsi alle dimissioni improprie o immotivate. Il modulo, la cui bozza viene consegnata dal Tribunale per i diritti del malato di Pavia negli orari di apertura, deve essere spedito con raccomanda A/R al direttore generale della A.S.L. e al direttore sanitario dell’ospedale, e consegnato al primario del reparto, non prima però di aver fatto valutare la effettiva gravità della situazione clinica al medico curante o a uno specialista di fiducia, ed aver richiesto apertamente i chiarimenti del caso ai responsabili di reparto (le motivazioni della dimissione, la eventuale prosecuzione delle cure, la struttura dove potrebbe essere inserito a tale scopo). Il Cittadino e la Salute 87 59. LA CARTELLA CLINICA Che cosa è la cartella clinica? La cartella clinica consiste in un diario giornaliero nel quale gli operatori sanitari registrano tutte le informazioni riguardanti lo stato di salute del paziente, la diagnosi, le terapie, le analisi e gli accertamenti strumentali ai quali esso viene sottoposto. La cartella è un atto pubblico, nel senso di un atto finalizzato a una pubblica funzione (validità giuridica). Pertanto la sua compilazione deve seguire alcune regole, in modo da rendere tale documento corrispondente al suo scopo: deve essere costantemente aggiornata, completa e soprattutto leggibile in ogni sua parte. Ogni alterazione, incompletezza e altro difetto costituiscono reato perseguibile dal magistrato (falso materiale, art. 476 del codice penale). Gli operatori sanitari, quindi, sono tenuti a: • compilare la cartella quotidianamente (in particolare è il primario che ha questo onere); • rendere possibile l’identificazione dei soggetti responsabili, attraverso firme leggibili e timbri: • raccogliere dal malato e trascrivere tutte le informazioni necessarie a un’anamnesi completa; • facilitare l’eventuale passaggio del degente ad altra struttura fornendo con rapidità e precisione tutta la documentazione inerente al caso; • far prendere visione della documentazione al medico di famiglia e ad altri medici in modo che essi possano eventualmente esprimere un parere sulle cure da effettuare (consulti). La cartella clinica deve contenere, ai sensi del Dm 5/8/1977 quanto precisato di seguito che può servire per facilitare il rapporto tra Medico ospedaliero e medico di famiglia: • La diagnosi di entrata. • Le generalità complete del paziente. • L’anamnesi personale e familiare. • L’esame obiettivo. • Gli esami di laboratorio e specialistici. • La diagnosi. • La terapia. • Gli esiti e i postumi. Durante la degenza il responsabile della compilazione, della conservazione e della buona tenuta è il primario del reparto. La corretta compilazione della cartella clinica fa parte della valutazione della qualità delle cure da parte dell’ équipe medica ed è quindi un “oggetto” importante, sia per il medico che per il cittadino. Purtroppo ancora non è divenuta prassi comune in tutti gli ospedali italiani la cartella clinica infermieristica, che invece rappresenta un ulteriore elemento di giudizio della situazione sanitaria, soprattutto dal punto di vista del controllo sulla somministrazione delle terapie e sull’assistenza del malato. La conservazione della cartella clinica e degli altri accertamenti diagnostici La cartella clinica va opportunamente conservata e archiviata in luoghi propri, non soggetti ad alterazioni climatiche e non accessibili a estranei. La perdita di tale documentazione configura una responsabilità da parte dell’amministrazione ospedaliera. Una volta dimesso il paziente, ne è responsabile il direttore sanitario (non più il primario del reparto). Tutta la materia inerente la conservazione è regolata dal Dpr 30 settembre 1963 n. 1409 sull’ordinamento degli archivi di Stato, dal Dpr 128 del 27 /3/1969 e soprattutto dalla circolare n. 61 del 19 dicembre 1986 del ministero della Sanità. La circolare del 1986 (ultimo atto emesso in tale materia) stabilisce che le cartelle cliniche, unitamente ai relativi referti, vadano conservate illimitatamente poiché rappresentano un atto ufficiale. Per quanto riguarda radiografie ed altri esami diagnostici effettuati, questi devono essere conservati almeno per venti anni. La cartella inoltre è un atto che deve rimanere riservato. La divulgazione illegittima del suo contenuto può condurre a conseguenze di ordine penale. Essa costituisce un bene di cui risulta proprietario l’Ente ospedaliero. 88 Il Cittadino e la Salute Il diritto di accesso alla documentazione (visione e rilascio) e i consulti esterni Secondo quanto previsto dalla legge n. 241 del 1990 (sull’ accesso agli atti della pubblica amministrazione) e da recenti leggi regionali (vedi capitolo 1.2) il paziente ricoverato ha diritto a prendere visione della propria cartella clinica durante la degenza. Lo stesso diritto ha anche il medico di famiglia, il quale dovrebbe essere comunque in stretto collegamento con i medici del reparto e garantire la trasmissione di più informazioni possibili sul paziente (art. 31 dell’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale 1998-2000 sull’accesso del medico di famiglia in ambiente di ricovero; Dpr 128/1969 sul diritto del paziente alla visione della cartella). Se si ritiene necessario procedere con un consulto esterno finalizzato ad acquisire il parere di altri medici o di centri specializzati in Italia e all’estero, il paziente ha diritto di ottenere una relazione medica esaustiva sulla sua situazione clinica, redatta dal proprio medico curante che ha accesso alla documentazione medica. Come è detto anche all’ art. 21 del nuovo codice di deontologia dei medici, il primario deve rendersi disponibile, consapevole che comunque tale consulto non è teso a incrinare il rapporto di fiducia instaurato con il paziente, ma è diretto solo ad arricchire il quadro clinico. Ogni cittadino che è stato ricoverato in una struttura sanitaria ha diritto ad avere tutta la documentazione dopo le dimissioni dall’ospedale. Le amministrazioni sanitarie sono tenute a consegnare copia della cartella clinica entro pochi giorni e a costi ridotti. La quantità di giorni per il rilascio varia a seconda di quanto è previsto nelle carte dei servizi delle singole aziende sanitarie e dalla normativa regionale. Ad ogni modo, non può superare i 30 giorni, come è stabilito a livello nazionale dalla legge n. 241 del 1990 sull’accesso agli atti amministrativi. Anche per quanto riguarda i costi, essi devono essere ridotti e quindi riferirsi alla sola riproduzione. In molte regioni è stato stabilito un limite che si aggira intorno ai 20,66 euro (cifra forfettaria che non comprende la riproduzione di radiografie o altri referti per i quali si richiedano strumenti tecnici particolari). È da notare la contraddizione tra la norma che regola il dovere di conservazione dei documenti da parte delle strutture sanitarie e quella che stabilisce il diritto del paziente al possesso di tutte le informazioni che riguardano il suo stato di salute. Infatti, nel caso di documentazione non duplicabile (ad esempio referti bioptici o vetrini) l’ospedale può pretendere delle garanzie a propria tutela: dalla sottoscrizione di una liberatoria al pagamento di una cauzione in denaro, fino all’ autorizzazione a consultare il materiale solamente all’interno della struttura. Per i minori, gli interdetti e gli inabilitati, ha diritto di accesso ai dati clinici la persona che detiene la tutela giuridica (genitori, tutori, curatori). In caso di decesso del malato, i parenti possono chiedere la documentazione, quali eredi diretti, dimostrando il rapporto di parentela attraverso un atto notorio o certificato richiesto al comune. La cartella clinica e le case di cura private Anche le case di cura private sono tenute a conservare la documentazione clinica e dare copia al paziente. Infatti, pur non essendo obbligate dalla legge che regola gli atti della pubblica amministrazione, sono soggette al Dm 5/8/1977 che prevede, tra i doveri del direttore sanitario, il rilascio delle copie delle cartelle cliniche ai malati assistiti nella struttura (art. 19). In caso di difficoltà... Per quanto riguarda il rilascio della cartella clinica, se alla prima richiesta esso viene rifiutato o c’è una evidente perdita di tempo, il cittadino può presentare una diffida ai sensi della legge 241/90. Se il ritardo permane, si può presentare denuncia alle autorità competenti (carabinieri, polizia, Procura della Repubblica) per omissione di atti d’ufficio, ai sensi dell’ art. 328 del codice penale. Il cittadino deve accertarsi che la cartella clinica sia completa e non in estratto e, di conseguenza, ha diritto ad entrare in possesso di tutta la documentazione che è stata prodotta, perché è l’unico modo per poter individuare elementi riguardanti la responsabilità professionale del personale medico e infermieristico. In caso di alterazione o incompletezza nei contenuti, che sia evidente e dimostrabile, il responsabile, e cioè il primario, può essere denunciato per il reato di falso ideologico. Se, in attesa del rilascio, si sospetta che la documentazione possa essere alterata per coprire una responsabilità del personale ospedaliero (ad esempio nel caso di un presunto errore diagnostico o terapeutico) si può chiedere il sequestro della cartella clinica alle sopraccitate autorità competenti, motivandolo accuratamente. Il Cittadino e la Salute 89 L’AZIONE DEL CITTADINO 60. LA DONAZIONE DEGLI ORGANI Il trapianto di organi è la sostituzione di un organo non funzionante in un soggetto ricevente con un altro che ha caratteristiche compatibili ed è in buone condizioni di funzionalità, proveniente da un donatore. Il trapianto viene generalmente eseguito con un intervento chirurgico. Esistono anche interventi di trapianto dei tessuti, in cui si innesta il tessuto del donatore nel ricevente, come nel caso di trapianto di midollo osseo. Il trapianto di organi, allo stato attuale delle conoscenze mediche, è l’unico trattamento possibile per alcune malattie. Gli organi che si possono donare sono: cuore, polmoni, fegato, reni, pancreas, intestino. I tessuti che si possono donare sono: cornee, valvole cardiache, vasi sanguigni, ossa, cartilagini, tendini, cute, membrana amniotica, midollo osseo. Anche e specialmente il sangue rientra nei tessuti che si possono donare. I possibili donatori di organi e tessuti sono le persone che muoiono in ospedale nei reparti di Rianimazione a causa di lesioni irreversibili del cervello. Ottenuto il consenso del donatore o dei suoi familiari, accertato il decesso cerebrale ed escluse possibili malattie trasmissibili, è possibile pensare al prelievo di organi ben funzionanti; la malattia di uno o più organi non esclude l’utilizzo di altri organi o tessuti per il trapianto. Per quanto riguarda invece i tessuti, ad esempio le cornee, possono essere donate da tutti i soggetti deceduti a cuore fermo, purchè idonei dal punto di vista delle malattie trasmissibili. Anche le persone viventi possono donare, in alcune circostanze, organi o tessuti: è il caso, per esempio, del rene, del sangue e della membrana amniotica. Gli organi vengono prelevati in ospedali accreditati dalla Regione o dal Ministero, da esperti chirurghi in una vera e propria seduta operatoria. Il corpo viene trattato con la stessa tecnica chirurgia riservata ad un vivente, e, in più, con il rispetto dovuto a una salma. Alla fine di un intervento, il corpo viene ricomposto e consegnato ai familiari per le procedure relative alla sepoltura. Non esistono limiti di età alla donazione se non per particolari organi; le cornee e il fegato di soggetti ultraottentenni possono essere prelevati e trapiantati con successo. Gli organi vengono assegnati ai pazienti in lista di attesa da centri di riferimento interregionali. La scelta dei riceventi è fatta in base a criteri oggettivi: condizioni di urgenza, compatibilità clinica e immunologica con il donatore. Il trapianto degli organi avviene nelle ore immediatamente seguenti al prelievo. I tessuti invece vengono trattati con particolari tecniche e conservati (anche a lungo) in apposite banche (Banche dei Tessuti e delle Cornee), che li distribuiscono, con la massima garanzia di sicurezza, agli ospedali che ne fanno richiesta. I trapianti corneali non possono essere eseguiti con tessuti che non siano certificati secondo normative ben precise stabilite a livello nazionale ed europeo. La Banca degli Occhi di Pavia compie queste attività da molti decenni. Le funzioni principali svolte sono quelle di ricevere, selezionare, conservare, distribuire le cornee idonee per trapianto. I tessuti devono presentare caratteristiche di sicurezza per il ricevente e di ottima funzionalità (trasparenza e vitalità endoteliale). La conservazione può essere della durata di pochi giorni o protrarsi per più di un mese o addirittura per anni a seconda delle metodiche impiegate dalla Banca. Tutti i procedimenti della Banca garantiscono una rintracciabilità dal punto di vista medico-legale del tessuto con il rispetto della privacy del donatore e del ricevente. Per qualsiasi informazione dei cittadini di Pavia e provincia è possibile telefonare al 0382.503155 - fax 0382.501806 nelle ore d’ufficio. Il trapianto di organi in Italia viene eseguito in ospedali e strutture sanitarie autorizzati dal Ministero della Salute. Il Policlinico “San Matteo” di Pavia è autorizzato ai prelievi e trapianti multiorgano, di cuore, polmoni, reni, pancreas, midollo osseo, cornee. La legge esclude esplicitamente la possibilità di sapere a chi sono stati assegnati gli organi o i tessuti di un donatore; la donazione è anonima e gratuita, non ci deve essere nessun legame diretto di dipendenza tra donatore e ricevente. Non è assolutamente possibile pagare per ricevere un organo, i costi del trapianto sono a carico del Servizio Sanitario Nazionale. In Italia è illegale e tecnicamente impossibile il commercio di organi umani. I traIl Cittadino e la Salute 91 piantati vivono bene, grazie al trapianto il 97% dei pazienti ha potuto riprendere la vita di ogni giorno. I soggetti in età fertile possono avere figli. I casi di rigetto dell’organo trapiantato sono sempre più rari e controllabili con terapie farmacologiche. Le principali confessioni religiose occidentali sostengono la donazione e il trapianto di organi e di tessuti. La Chiesa Cattolica, gli Ebrei, i Mussulmani, i Protestanti e i Testimoni di Geova non pongono ostacoli alla donazione e al trapianto. È necessario, ma non obbligatorio, esprimere in vita la propria volontà di donare. Non farlo equivale ai familiari lasciare una difficile decisione da prendere in poco tempo e in circostanze dolorose. Per facilitare il cittadino a esprimere la propria volontà (che potrà comunque essere cambiata con dichiarazione di volontà nel corso della vita) il Ministero della Salute ha distribuito una tessera da compilare e portare con sé. In ogni caso qualunque dichiarazione scritta che riporti nome, cognome, data di nascita, dichiarazione di volontà, data e firma è considerata valida. È inoltre possibile dichiarare la propria volontà presso le sedi A.S.L. di Pavia, Vigevano e Voghera, in tutte le A.S.L. d’Italia, dove il cittadino può ricevere le informazioni necessarie, relativamente alle procedure di raccolta e registrazione delle dichiarazioni di volontà, ai sensi della legge 1 aprile 1999 n. 91 e del D.M. 8 aprile 2000, rivolgendosi ai referenti del SIT (Sistema Informativo Trapianti). Si potranno verificare tre casi: 1) Il soggetto ha espresso in vita volontà favorevole alla donazione. In questo caso i familiari e i medici devono rispettare la volontà candidando il soggettto all’eventuale prelievo. 2) Il soggetto ha espresso in vita volontà contraria alla donazione: in questo caso non si propone il prelievo. 3) Il soggetto non si è espresso. In questo caso il prelievo è possibile se i familiari non si oppongono. In Italia, il sistema dei trapianti è organizzato in tre livelli di strutture dedicate al coordinamento dell’attività: al primo livello, centrale, sta il Centro Nazionale Trapianti, affiancato della Consulta tecnica permanente per i trapianti; al secondo livello stanno i Centri regionali e interregionali di coordinamento; al terzo livello, periferico, stanno i Coordinatori locali. Il Centro Nazionale Trapianti ha sede a Roma presso l’Istituto Superiore di Sanità, che cura la tenuta delle liste delle persone in attesa di trapianto, individua i criteri per l’assegnazione degli organi, definisce le linee guida per i Centri regionali e interregionali e ne verifica il rispetto, definisce i parametri per i controlli di qualità, tiene i rapporti con le istituzioni esterne ed elabora statistiche. I Centri regionali e interregionali coordinano la raccolta dei dati sui pazienti in attesa di trapianto, coordinano l’attività di prelievo e i rapporti con i centri di rianimazione, decidono le assegnazioni degli organi in base alle urgenze e alle compatibilità immunologiche. I Coordinatori locali comunicano i dati relativi ai donatori, coordinano le attività di prelievo, i rapporti con le famiglie dei donatori, promuovono la cultura della donazione. Presso il Policlinico San Matteo di Pavia è attivo il Coordinamento per il prelievo degli organi e tessuti che copre l’intera area sanitaria della provincia di Pavia. (Segreteria: tel. e fax 0382 502016; e-mail [email protected]). Il Centro Interregionale di riferimento di Pavia (e di tutta la Lombardia) è il Nord Italia Trapiant (NITp), con sede a Milano. 61. LA DONAZIONE DEL SANGUE Ognuno di noi possiede dentro di sé qualcosa che si può tramutare in un dono prezioso per la vita degli altri: il sangue. Il sangue svolge compiti importanti per il funzionamento del nostro organismo: i globuli rossi derivano dal midollo osseo e sono ricchi di un pigmento contenente ferro, detto emoglobina, che conferisce al sangue il classico colore rosso; essi provvedono al trasporto dell’ossigeno e dell’anidride carbonica. I globuli bianchi, più grossi dei globuli rossi, hanno la funzione di combattere i processi infettivi in atto e di ostacolare la penetrazione dei germi attraverso le mucose. Le piastrine sono piccoli elementi dotati della particolarità di riunirsi in ammassi e di fissarsi alla superficie dei corpi estranei, permettendo così la coagulazione del sangue. Il sangue che noi doniamo non viene utilizzato solo per le trasfusioni ma, opportunamente conservato in apposite frigo-emoteche, ha altri molteplici utilizzi a fini terapeutici. Quest’ idea scorre nel nostro corpo. Trasformiamola in azione: nel dono del sangue. Il dono più prezioso. 92 Il Cittadino e la Salute Come si diventa donatori: • È necessario avere tra i 18 e i 65 anni e godere di buona salute • Presentarsi a digiuno al Centro Trasfusionale presso il Policlinico San Matteo ogni giorno, dal lunedì al sabato, dalle ore 9 in poi, muniti della propria tessera A.S.L. • In tale sede si verrà sottoposti ad un controllo completo del proprio stato di salute, mediante una serie di esami del sangue, una approfondita visita medica, un elettrocardiogramma ed una schermografia • Una volta effettuati i controlli con esito favorevole, l’AVIS (Associazione Volontari Italiani Sangue) chiamerà ad effettuare la prima donazione • Possono donare ogni 3 mesi gli uomini e le donne non più in età fertile, ogni 6 mesi le donne in età fertile • Ci si può sottoporre, in alternativa, a forme differenti di donazioni, quali aferesi o plasmaferesi • In occasione di ogni donazione, vengono effettuati una serie di esami • Una volta all’anno viene rinnovato un esame completo, con visita approfondita, elettrocardiogramma e numerosi esami del sangue. • Per qualsiasi informazione telefonare all’AVIS di PAVIA, dal lunedì al sabato dalle ore 8 alle ore 13, e la domenica dalle ore 8 alle ore 11, al n. 0382-527963. 62. IL TRAPIANTO ALLOGENICO DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE Poche altre terapie hanno così profondamente inciso come il trapianto di cellule staminali emopoietiche (TCSE) sulla storia naturale di molte malattie. Infatti il trapianto ha da un lato modificato le prospettive di sopravvivenza di pazienti affetti da malattie ad esito altrimenti infausto (i.e. acute e croniche) e dall’altro ha sostanzialmente migliorato la qualità di vita associata ad alcune patologie (thalassemia, major, anemia a cellule calciformi). Si può, quindi, a buona ragione definire il TCSE come una vera e propria rivoluzione terapeutica che, incominciata diversi anni or sono e progressivamente raffinatasi nel corso degli anni grazie a tutta una serie di innovative scoperte nel campo dell’istocompatibilità, della criobiologia, dell’infettivologia, ecc., non ha ancora completato tutto il suo percorso evolutivo. Questo percorso è profondamente integrato nella storia dell’oncoematologia pediatrica dell’I.R.C.C.S. “San Matteo” di Pavia che, muovendo dai primi trapianti, attraverso centinaia di procedure impieganti donatori di midollo familiari compatibili, è passata all’impiego di risultati ottenuti grazie alle moderne tecniche di tipizzazione molecolare (prontamente applicate e sviluppate dal laboratorio di Tipizzazione HLA del Servizio di Immunoematologia e Trasfusione dell’I.R.C.C.S. “San Matteo” di Pavia) applicati anche ad emopatie non maligne (thalassemia, major, anemia a cellule falciformi). Anche l’impiego di cellule del cordone ombelicale è stato prontamente inserito tra le procedure terapeutiche impiegate, così come è stata rapidamente sviluppata la tecnica di raccolta e di criopreservazione di queste cellule presso la Clinica Ostetrica dello stesso Ospedale (anche qui essenziale il contributo dei medici del Servizio di Immunoematologia e Trasfusione) così come, per quei pazienti che non dispongono di un donatore familiare compatibile ma non riescono nemmeno a trovarne uno tra i milioni di volontari registrati in tutto il mondo e disponibili alla donazione si è sperimentato, con lusinghieri risultati, il trapianto di cellule staminali emopoietiche da donatore familiare parzialmente compatibile, manipolate in modo da ridurre i rischi di aggressione immunomediata che comporta inevitabilmente l’impiego di cellule non compatibili. Anche questa non rappresenta tuttavia l’ultima frontiera della ricerca e dell’applicazione clinica per gli specialisti dell’Oncoematologia Pediatrica dell’I.R.C.C.S. “San Matteo” di Pavia. Tra le terapie innovative applicate al trapianto di cellule staminali emopoietiche dobbiamo anche citare le infusioni di linfociti del donatore per consolidare il successo del trapianto per leucemia, così come la preparazione di colture di linfociti anti-leucemia e di linfociti educati a combattere temibili patogeni, quali i funghi del genere Aspergillus e il virus di Epstein-Barr, causa di complicazioni spesso fatali nei trapianti più gravemente immunodepressi. Il Cittadino e la Salute 93 Oltre che nella sua posizione di avanguardia come attività di ricerca e sviluppo, la specificità a livello nazionale dell’Oncoematologia Pediatrica dell’I.R.C.C.S. “San Matteo” di Pavia, si può sintetizzare in pochi numeri essenziali: con 100 trapianti di cellule staminali emopoietiche ogni anno questa struttura contribuisce per oltre il 20% all’attività trapiantologica in campo pediatrico, del nostro Paese, collocandosi al primo posto per questa fondamentale attività tra i numerosi centri che in Italia curano le emopatie infantili (Per eventuali informazioni telefonare allo 0382.502848). 63. LA BANCA DEL SANGUE DEL CORDONE OMBELICALE Un numero elevato di pazienti affetti da leucemia e da altre malattie ematologiche o ereditarie, che necessita di trapianto di midollo osseo, non dispone di un donatore familiare compatibile. La ricerca di donatori volontari non imparentati è difficile, impegnativa e comporta tempi lunghi di attesa, spesso incompatibili con le esigenze di rapidità che l’evoluzione di queste patologie impone. Un aiuto molto importante è venuto dalla scoperta che le stesse cellule presenti nel midollo e che servono per il trapianto, sono contenute in numero elevato nel sangue del cordone ombelicale: si tratta delle cellule staminali. Con una procedura semplice, che non provoca rischi o dolore né per la mamma né per il neonato, al momento del parto, quando il cordone ombelicale è già stato reciso, è possibile raccoglierne il sangue anziché eliminarlo come prodotto di scarto. Il sangue viene fatto defluire in una sacca sterile e, dopo numerosi esami, viene conservato per almeno 10 anni in una soluzione di azoto liquido e a temperature molto basse. In tal modo le unità di sangue del cordone ombelicale sono prontamente disponibili per il trapianto, che può essere eseguito in tempi molto brevi, dopo un controllo della compatibilità con il paziente. La donazione è libera e volontaria; il consenso viene dato dalla madre; i controlli e le analisi, per escludere infezioni e studiare le tipologia sanguigna, vengono fatti 6 mesi prima del parto e al momento del prelievo del cordone ombelicale. In Italia, le Banche del Sangue del Cordone Ombelicale sono attualmente sei e sono state istituite per consentire la raccolta e la conservazione del sangue placentare secondo regole definite in accordo con gli standard internazionali. Le Banche sono collegate tra loro e con le Banche Internazionali attraverso una rete informatica che permette la ricerca in ogni momento di unità compatibili per i pazienti che hanno la necessità di trapianto. Una delle Banche italiane ha sede presso l’IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, dove è stata organizzata dal Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale, che raccoglie le unità di sangue del cordone ombelicale provenienti dalle Divisioni di Ostetricia oltre che dal Policlinico San Matteo, dagli Ospedali di Voghera, Broni , Vigevano e dalla Clinica Città di Pavia. Per informarsi, oltre i Consultori dell’A.S.L. e le Unità Operative di Ostetricia è possibile contattare telefonicamente o recarsi di persona al Servizio di Immunoematologia e Medici Trasfusionale del Policlinico San Matteo, dove è funzionante l’Ambulatorio della Banca del Sangue del Cordone Ombelicale ( dal lunedì al sabato, dalle ore 8 alle ore 15). Dopo 6 mesi dalla donazione, la mamma deve sottoporsi ad un controllo degli esami eseguiti ad inizio gravidanza (HCV ab HIV 1-2 Mackers ep B TPHA TOXO IgG-TgM 60T-GPT CMV IgG-IgM). Se si conferma che le indagini sono nella norma, da quel momento il cordone può essere attribuito. 94 Il Cittadino e la Salute L’UTENZA 64. I DIRITTI DEL BAMBINO. ACCOGLIENZA NEL PRONTO SOCCORSO PEDIATRICO. • • • • • • • Il bambino deve essere ricoverato in ospedale solo quando non è possibile far fronte in altro modo alle sue esigenze sanitarie: diversamente, si privilegiano soluzioni quali il Day Hospital, il Day Surgery e l’assistenza domiciliare. È necessario tutelare lo sviluppo fisico, psichico e relazionale del bambino, creando intorno a lui un ambiente quanto più possibile accogliente e familiare. Deve sempre essere garantita la presenza di un familiare o di un’altra persona affettivamente legata al bambino. Il genitore può assistere il bambino durante le visite mediche e le terapie, se questo non ha controindicazioni, e può accedere al reparto nell’intero arco delle 24 ore. In caso di ricovero prolungato, il bambino deve poter continuare il suo percorso educativo-scolastico. Il bambino può decidere di tenere con sé i propri giochi, il vestiario e qualsiasi altro oggetto, se questi non costituiscono un pericolo o un ostacolo alle cure. Il bambino ha il diritto di essere informato sulle proprie condizioni e sulle cure a cui sarà sottoposto, in un linguaggio adeguato al suo livello di maturazione. Il bambino deve essere coinvolto anche nell’espressione del consenso/dissenso alle procedure sanitarie. Triage pediatrico Associare a questo termine quello di accoglienza è significativo per mettere in risalto l’importanza dell’aspetto umano riguardante la relazione con più elementi (bambino, genitori, nonni, pediatra di fiducia) in un processo che vuole regolarizzare gli accessi in Pronto Soccorso pediatrico mediante l’applicazione di criteri che stabiliscano delle categorie prioritarie in funzione di svariati motivi: inadeguatezza del filtro pre-ospedaliero – bisogni di salute percepiti erroneamente come urgenti – facilità di accesso alle strutture pediatriche in regime di Pronto Soccorso – offerta di visite ed esami rapidi e gratuiti, ecc. Nel rapporto con i genitori che vivono con apprensione qualsiasi sospetta modificazione della salute del proprio figlio, occupa un ruolo fondamentale la comprensione, l’adesione ai valori morali, l’integrazione sociale e psicologica. È per questo che le figure sanitarie (medici, infermieri) devono rispondere sempre meglio alla pluralità dei bisogni espressi, in particolare è necessario che siano in grado di dedicare più tempo all’ascolto ed al dialogo con il bambino malato. La figura fulcro del sistema TRIAGE - Pronto Soccorso pediatrico è l’infermiere dell’accoglienza che deve avere specifiche competenze e conoscenze scientifiche relative alle caratteristiche dell’evolutività del bambino e fondamentali conoscenze nella materia dell’urgenza dovendo far fronte a due scopi importanti: 1) identificare condizioni di rischio potenzialmente pericolose per la vita del bambino; 2) assegnare un codice colore di gravità, determinandone la priorità di accesso al PS. Queste considerazioni comportano anche la valorizzazione della figura infermieristica del TRIAGE che oltre al compito assistenziale viene investita di quello dell’accoglienza in Pronto Soccorso individuadone le criticità e le relative priorità di intervento. La struttura organizzativa del TRIAGE pediatrico è basata principalmente su un sistema dinamico che tiene conto del numero degli accessi, delle tipologie di flusso, e cosa importante, la conoscenza delle risorse disponibili. La funzione del TRIAGE in generale, all’interno delle strutture ospedaliere, si traduce essenzialmente in uno strumento di organizzazione del lavoro che si basa sull’interscambio delle esperienze mediche-infermieristiche. È per questo che l’implementazione del processo del TRIAGE impone cambiamenti strutturali ma soprattutto organizzativi e culturali attraverso una modifica della cultura organizzativa. Gli operatori Il Cittadino e la Salute 95 preposti devono interagire, collaborare, comunicare, aggiornarsi e costituire concordemente strumenti e protocolli comportamentali omogenei. I codici colore di priorità al Pronto Soccorso pediatrico o DEA sono: ROSSO Immediato pericolo di vita (2-3%) - Viene assegnato ai bambini più gravi con compromissione di almeno una funzione vitale (respiratoria, circolatoria e nervosa) ed alterazione di uno o più parametri vitali. Il bambino viene indirizzato immediatamente alla sala delle emergenze. GIALLO Potenziale pericolo di vita (9-10%) - Viene assegnato ai bambini con sintomi e/o lesioni gravi per i quali può essere presente un’alterazione ma non ancora una compromissione delle funzioni vitali. In questo caso si riduce al minimo il tempo di attesa. Viene effettuata una rivalutazione dei parametri ogni 5 minuti. Il bambino viene destinato in Pediatria con segnalazione immediata. VERDE Urgenza differibile (29-31%) - Viene assegnato ai bambini con funzioni e parametri vitali normali, ma con sintomatologia rilevante ad insorgenza acuta, che necessita d’inquadramento. La rivalutazione viene effettuata ogni 30 minuti. Il bambino non è in pericolo di vita e viene assistito dopo i casi più urgenti in Pediatria. BIANCO Non Urgenza (56-60%) - Viene assegnato ai bambini con una sintomatologia non rilevante ad insorgenza acuta e che pertanto dovrebbero essere valutati in percorsi alternativi. La rivalutazione normalmente non viene effettuata. Come riportato nel libro “Orrori - I crimini sui bambini del mondo”, Sperling & Kupfer Editor «a tutti i bambini del mondo dovrebbe essere garantito di andare a scuola, giocare, cantare, vivere un’infanzia serena e spensierata, e invece per almeno 300 milioni di loro non è così. Lavorano sottopagati, in nero, esposti ad infortuni e gravi malattie professionali. Evadono l’obbligo scolastico per “portare soldi a casa” specie nei Paesi poveri, ma anche nei Paesi dell’opulento Occidente. Eppure questa condizione è considerata ancora privilegiata, rispetto al milione di minori che ogni anno finisce in balia dei moderni negrieri, oggetto di abusi di ogni tipo. E che cosa dire dei bambini soldato, reclutati con la forza degli eserciti e nei gruppi armati di 35 nazioni? E quelli coinvolti nel cosiddetto “turismo sessuale” nel terzo mondo, ma anche in Europa, Italia compresa (con migliaia di siti Internet riservati ai pedofili)? In questo inquietante scenario di sfruttamento, controllato dalle multinazionali del crimine, si annidano anche i “mercanti di organi” prelevati ai bambini poveri e abbandonati. E ancora: quale risposta dare al fenomeno dell’infibulazione che coinvolge ben 135 milioni di donne nel mondo (50.000 solo in Italia)? Di questa galleria degli orrori ci parla Aldo Forbice che da anni si occupa di tutela dei diritti umani, specie sui bambini. Nel suo citato “libro nero” l’autore ci presenta la radiografia dei crimini sull’infanzia che continuano ad essere perpetrati nei diversi continenti in aperta violazione delle leggi, trattati, convenzioni internazionali, direttive Onu e analizza ciò che si può fare a difesa dei bambini. Per una ferma condanna del più grave dei delitti: il furto dell’infanzia. Una vergogna da cancellare e un impegno che deve coinvolgere tutti». «Sopravvivono ancora forme di sfruttamento e di violenze sui bambini che si possono definire veri e propri crimini contro l’umanità: fantasmi che sembravano relitti del passato, relegati nelle pagine più oscure della storia, riappaiono, in forme nuove, in una società tecnologica avanzata, per alimentare nuovi sfruttamenti, nuovi orrori, che arricchiscono le multinazionali della criminalità e del nuovo schiavismo». Cose tutte documentate nel libro! 96 Il Cittadino e la Salute 65. L’ANZIANO E I SUOI DIRITTI Il cittadino anziano ha diritto: • all’uguaglianza e alla parità di trattamento: non deve essere considerato a priori un malato cronico o irrecuperabile; • ad usufruire di strutture assistenziali alternative all’ospedale che consentano di mantenere l’inserimento nel contesto sociale, conservare o recuperare l’autosufficienza; • ad una adeguata informazione, rivolta anche ai suoi familiari, sull’accesso ai servizi; • ad essere assistito dai familiari, compatibilmente con le esigenze della struttura sanitaria e degli altri ricoverati; • a ricevere aiuto dal personale ospedaliero, soprattutto quando manca l’assistenza dei parenti, nell’alimentazione, la pulizia personale e la mobilità, quando è diminuito il livello di autosufficienza. I servizi sul territorio rivolti agli anziani fanno capo all’Unità Valutativa Geriatrica (UVG), che integra servizi sociali e sanitari. Il nucleo fondamentale dell’UVG è composto da geriatra, infermiere, assistente sociale, ai quali possono aggiungersi altre figure professionali, ad esempio il neurologo, l’ortopedico, il fisioterapista. L’Unità valuta globalmente lo stato di salute e le potenzialità residue della persona anziana; quindi propone l’intervento più idoneo, concordandolo con la famiglia e il medico di base. L’accesso alle UVG può avvenire direttamente oppure tramite il medico di famiglia o il medico ospedaliero. Il servizio fornito dalle UVG è gratuito. Le UVG indirizzano l’anziano verso i seguenti servizi: 66. A.D.I. ASSISTENZA DOMICILIARE INTEGRATA (Per la Lombardia vedi Servizi territoriali rivolti ai Anziani Voucher-socio-sanitari) Oltre a queste possibilità, le legge prevede l’inserimento dei cittadini non autosufficienti in programmi di assistenza domiciliare integrata. L’Adi è un servizio che garantisce al cittadino un’insieme di prestazioni sociali e sanitarie da ricevere a casa. Fanno parte dell’Adi le prestazioni del medico di medicina generale, le prestazioni specialistiche necessarie, l’assistenza infermieristica e di riabilitazione, la collaborazione con la famiglia e l’assistenza sociale. La sua particolarità è quella di integrare questi interventi in un piano assistenziale per la persona da curare. Possono “entrare” in Adi varie tipologie di pazienti. Sicuramente esistono numerose categorie di pazienti non autosufficienti che, terminato il ricovero o al di là di esso, possono avere le cure adeguate al loro caso tramite Adi. Tra questi: i malati terminali con una famiglia che li può sostenere; coloro che hanno malattie progressive invalidanti in analoghe condizioni (ad esempio, malati di Alzheimer); anziani che hanno subito gravi fratture; chi è affetto da forme psicotiche acute e gravi; chi deve essere riabilitato a seguito di problemi neurologici o vascolari. La legge prevede che hanno diritto all’Adi coloro che rientrano in un programma di dimissioni protette dall’ospedale. Il servizio può essere richiesto dal medico di famiglia, dal responsabile del reparto ospedaliero al momento delle dimissioni, dai servizi sociali del comune o dagli stessi familiari del paziente (tramite il medico di famiglia). Il medico del distretto, a cui viene rivolta la richiesta, deve decidere entro 48 ore circa l’opportunità di attivare il servizio ed avvisare il medico di famiglia. Entro lo stesso tempo devono essere predisposti gli interventi previsti, con il consenso della famiglia e del paziente. In caso di diniego, il responsabile del distretto deve darne adeguata motivazione entro 24 ore al medico e alla famiglia. Tutte le modalità di svolgimento del servizio vengono concordate tra il distretto e il medico di famiglia: la durata del periodo di erogazione degli interventi; la tipologia degli altri operatori da coinvolgere (infermieri, riabilitatori, ecc.); gli interventi degli operatori del servizio sociale per questioni riguardanti l’assistenza sociale del paziente (aiuto alla famiglia, lavori domestici, ecc.); la cadenza della presenza del medico di famiglia accanto al paziente; i momenti di verifica sull’ andamento delle cure. Il vero responsabile dell’ assistenza domiciliare è il medico di famiglia, che deve attivare e coordinare Il Cittadino e la Salute 97 tutto il lavoro di assistenza e tenere la documentazione delle attività, nonché interagire con il paziente e la famiglia, informandola e instaurando un clima di cooperazione consensuale. Questa forma di assistenza è gratuita. Il cittadino paga le prestazioni (farmaci, presidi, ecc.) come un qualsiasi utente del S.S.N. Egli ha diritto alle esenzioni per la patologia dalla quale è affetto (pannoloni, siringhe, ausili, ecc.). Purtroppo, come nel caso di altre prestazioni, i servizi di Adi attivati in Italia sono molto inferiori a quelli richiesti. Ci sono liste di attesa che riducono nei fatti la portata fortemente innovativa e orientata ai cittadini di tale servizio. 67. O.D. OSPEDALIZZAZIONE DOMICILIARE (non esiste in provincia di Pavia) I principali interventi di diagnosi e terapia avvengono a casa del paziente. L’OD presuppone la presenza di familiari, preparati con brevi corsi formativi, e l’uso di strumenti specifici (ad esempio erogatori di ossigeno, supporti per la deambulazione...). È inoltre istituito un collegamento telefonico privilegiato con l’ospedale e/o con A.S.L.. 68. R.S.A. RICOVERI NELLE RESIDENZE SANITARIE ASSISTENZIALI È una struttura socio-sanitaria che accoglie anziani non autosufficienti. Comprende spazi per le attività sanitarie e altri destinati alla socializzazione. È quindi una struttura intermedia fra l’assistenza domiciliare e l’ospedale. La Residenza sanitaria assistenziale (Rsa) è finalizzata ad accogliere persone non autosufficienti. La Rsa fornisce assistenza sanitaria continuativa, prevalentemente infermieristica e riabilitativa adeguatamente supportata da un servizio alberghiero. Le richieste devono essere inoltrate direttamente alle R.S.A. L’ammissione avviene su valutazione dell’unità di valutazione geriatrica. Le persone che possono ricorrere ai servizi delle Rsa appartengono prevalentemente alle seguenti categorie: – persone con prevalenti problemi funzionali: ortopedici in fase post-acuta, neurologici in fase postacuta, broncopneumopatici in fase post-acuta o riacutizzati, cardiologici in fase post-acuta, affetti da sindrome ipocinetica, altre patologie cronico-degenerative, – persone con prevalenti problemi psichici. Il cittadino partecipa alle spese non sanitarie, con una retta giornaliera. Nel caso di soggetti a basso reddito la retta viene pagata dal comune, ma, anche in questo caso, le regole possono variare da comune a comune e da regione a regione. Case di Riposo e “Carte dei servizi” La Regione Lombardia, con delibera del 14 Dicembre 2001, ha definito i requisiti per l’autorizzazione al funzionamento e all’accreditamento, la “ Carta dei servizi ”. La “Carta dei servizi” illustra i servizi offerti e le modalità delle loro prestazioni, con la netta distinzione di quelli compresi nella retta da dover pagare mensilmente, da quelli resi a pagamento, su richiesta specifica, con il relativo costo. La Carta deve indicare un menù settimanale e giornaliero, anche con diete speciali in relazione alle prescrizioni del piano di assistenza individuale, corrispondente ai bisogni individuali, problemi e propensioni degli ospiti. Nella Carta è previsto anche un questionario di soddisfazione, con annessa una scheda per poter esprimere lamentele / apprezzamenti, da consegnare agli ospiti e familiari, comprensivo delle modalità di inoltro del tutto, dei tempi massimi per la risposta da parte dei responsabili degli U.R.P. (Ufficio Relazioni con il Pubblico) o degli incaricati competenti. 98 Il Cittadino e la Salute La Carta riporta definite le modalità di riconoscimento degli operatori che devono essere provvisti di cartellino di identificazione con fotografia, a chiunque operi e con qualsiasi titolo nella struttura. Nella Carta sono riportati altri requisiti finalizzati alle modalità di funzionamento della struttura, alla descrizione della giornata tipo dei residenti, alle modalità di accesso alla struttura, ecc. L’associazione Cittadinanzattiva, con la Rete – Tribunale per i Diritti del Malato consiglia vivamente sia gli ospiti delle RSA che i loro parenti autorizzati, di chiedere visione della “Carta dei servizi” al fine di poter fare delle verifiche di volta in volta, del rispetto degli standard dei servizi resi agli ospiti sia in qualità che quantità indicate nella medesima. L’Associazione inoltre consiglia ai dirigenti delle Case di riposo, di pubblicizzare attraverso la stampa di supporti cartacei, da consegnare in particolare modo agli stessi ospiti od ai loro familiari, alla popolazione del territorio, ecc., la “Carta dei servizi” affinchè questo modo di operare, permetta l’introduzione di una serie di obblighi anche per chi gestisce i servizi medesimi per loro conto (in funzione dei costi, qualità dei servizi, eventuali carenze organizzative,ecc.) oltre che praticare una reale trasparenza nella gestione di tutti i problemi connessi, e poter così garantire una migliore qualità di vita a tutte le persone ospitate. L’ospite ed i suoi familiari, in caso di violazione, di uno o più di tali obblighi, hanno diritto a ricorrere agli strumenti di tutela previsti dalle leggi, direttamente o tramite delega a soggetti giuridici competenti e/o accreditati, presenti sul territorio. Ora, pur ritenendo gli argomenti sopra citati della massima importanza, è nostra opinione che sia opportuno dare il necessario risalto anche all’aspetto sociale della vita dell’anziano nella Casa di riposo. L’anziano, quando entra in una Casa di riposo (di qualsiasi livello), a causa delle differenze con l’ambiente della sua famiglia, deve comunque affrontare un mutamento radicale di abitudini e, vista la sua ridotta capacità di adattamento ai cambiamenti, vive un’esperienza che tende ad aggravare le sue precarie o particolari condizioni di vita e di salute. In questo contesto, gli anziani si sentono comunque soli, ed anche se il personale di assistenza si prodiga nell’infondere sensazioni di disponibilità e accoglienza (ove si verifica), tutto ciò non basta comunque, è necessaria l’attivazione dei familiari, che se lo desiderano, possono adoperarsi per un’importante ruolo di collaborazione con lo stesso personale ed operare insieme, affinchè i loro familiari non si sentano sradicati o rinnegati completamente dal loro mondo familiare. Purtroppo, bisogna anche rilevarlo, una parte significativa dei parenti tende ad affidare al personale di assistenza la totale responsabilità delle cure e del benessere del proprio familiare, mentre altri tengono un comportamento opposto, esercitando controlli eccessivi o quanto meno inopportuni sull’operato del personale. Tuttavia alla fine, è stata rilevata anche la tendenza di un’altra parte del personale di assistenza di richiamare a sé, a volte in forma anche pretestuosa o praticando una sottile quanto mal celata discriminazione, ogni responsabilità nella gestione dei problemi sanitari e assistenziali dell’ospite, contribuendo così all’allontanamento definitivo del medesimo dal suo ambiente familiare. Tutti questi comportamenti mettono in evidenza che ognuno di noi ha il dovere di non far mancare mai anche il sostegno affettivo ai propri anziani, e praticando un giusto e continuo dialogo con il personale di assistenza, cogliere attraverso questa esperienza l’opportunità che ci aiuterà ad affrontare con più serenità il nostro invecchiamento. 69. ASSISTENZA PRESSO L’HOSPICE Cosa si intende per Hospice? “Le strutture residenziali per pazienti terminali, denominate “hospice”, ospitano persone non assistibili presso il domicilio, in fase avanzata e terminale, di una malattia ad andamento irreversibile, non più suscettibile di trattamenti specifici per la guarigione o per il contenimento della progressione della malattia. Obiettivo principale è accompagnare la persona e la sua famiglia in questa fase della vita, nel pieno rispetto della sua dignità, mediante il controllo del dolore e del disagio fisico e psichico. Le prestazioni offerte dall’hospice si caratterizzano per limitata tecnologia, ma elevata intensità assiIl Cittadino e la Salute 99 stenziale. L’assistenza richiede un intenso ed approfondito lavoro di èquipe, che vede coinvolti medici, infermieri, operatori socio-sanitari, assistenti sociali, psicologi, assistenti spirituali e volontari” (DGR Regione Lombardia 7 Aprile 2003) L’accesso all’hospice, completamente gratuito, è riservato ai malati terminali a condizione che lo stato di salute ed i trattamenti non richiedano il ricovero in ospedale. L’hospice, non ancora molto diffuso in Italia, deve essere utilizzato ogni qual volta il paziente, pur non avendo necessità dell’ospedale, ha bisogno comunque di un’ assistenza sanitaria molto qualificata e di strumenti tecnologici adeguati. Mediante la permanenza del proprio congiunto presso l’hospice la famiglia ha anche la possibilità di imparare a proseguire le cure a domicilio. Ciò consente di avere permanenze con una durata massima di 3-4 settimane. La domanda va presentata direttamente alla struttura. Il paziente viene accolto in una struttura articolata in camere singole con il posto anche per i parenti/accompagnatori, e usufruisce di tutte le prestazioni assistenziali e sanitarie di cui ha bisogno. 70. PROGETTI PER IL “ SOLLIEVO” Assistere un parente disabile e/o anziano può essere molto impegnativo e richiede notevoli energie psico-fisiche. Con questa consapevolezza, la Regione Lombardia vuole dare un sostegno ai familiari che curano queste persone attraverso progetti di “sollievo” che prevedono periodi di alloggio presso strutture residenziali. Questi progetti sono predisposti dai Servizi Sociali del proprio Comune di residenza. 71. STRUTTURE PER LUNGHE DEGENZE Le strutture per lungodegenti assistono in regime di ricovero pazienti non autosufficienti, affetti da patologie gravi, che richiedono tempi lunghi e alta specializzazione nella cura, o da disabilità croniche non stabilizzate o in fase terminale. Le case di lungodegenza ospitano inoltre disabili non autosufficienti, a lento recupero, che necessitano di un forte supporto assistenziale e infermieristico e di un progetto riabilitativo individuale. L’ingresso in tali strutture può avvenire con tre diverse modalità: o per iniziativa dell’ospedale, al momento della dimissione del paziente; o tramite il distretto che, sollecitato dai parenti del degente, manda in ospedale un’apposita commissione (l’Unità di valutazione geriatrica - Uvg) che verifica le condizioni fisiche ed economiche del paziente e decide se autorizzare il ricovero; oppure, qualora il paziente non sia ricoverato, con una visita domiciliare da parte del distretto, e inserimento (spesso) in lista d’attesa. Il periodo di permanenza dei degenti in una struttura di lungodegenza è di 60 giorni, prorogabili qualora il medico primario della struttura ne faccia richiesta. Il servizio è gratuito. 72. IL VOUCHER SOCIO-SANITARIO Il voucher socio-sanitario è stato introdotto dalla Regione Lombardia dal 10 luglio 2003 quale nuova modalità di organizzazione dell’ADI (assistenza domiciliare integrata): realizza il passaggio dalla gestione diretta del servizio da parte dell’A.S.L. (con personale proprio o attraverso appalto a soggetti esterni) ad un nuovo modello in cui diventa centrale la libera scelta del cittadino tra una varietà di soggetti erogatori del servizio. Il voucher socio-sanitario è un titolo spendibile per acquistare prestazioni domiciliari infermieristico-assistenziali, riabilitative e medico specialistiche, più o meno complesse,erogate da organizzazioni accreditate, pubbliche e private, profit e no profit che il cittadino liberamente sceglie. L’obiettivo primario è quello di potenziare i servizi e gli interventi territoriali, garantire un servizio di cure domiciliari di alto livello qualitativo, favorire così la vita indipendente e la permanenza a domicilio dell’utente che necessita di prestazione di lungoassistenza, consentendogli di soddisfare i propri bisogni attraverso la libera scelta dell’erogatore delle prestazioni, evitando o ritardando l’istituzionalizzazione. In ottemperanza a quanto stabilito dalla Regione Lombardia, per la fruizione del voucher socio-sanitario non esistono limiti né di età né di reddito: sono destinatari del voucher i soggetti definiti fragili, vale a dire quei soggetti che per motivi vari si trovano nella condizione di non poter svol- 100 Il Cittadino e la Salute gere autonomamente, parzialmente o totalmente le normali attività di vita quotidiana o fisicamente impossibilitati a recarsi presso le strutture o i servizi socio-sanitari territoriali(più dell’85%dell’utenza sono ultra65enni). Gli utenti del voucher possono essere definiti da queste caratteristiche: • ridotta autosufficienza temporanea o permanente (valutabile mediante scale validate sul piano scientifico internazionale); • complessità assistenziale:paziente multiproblematico, affetto da patologie croniche o invalidanti che richiedono interventi e trattamenti prolungati che non possono essere forniti in modo esclusivo da strutture di ricovero; • necessità di assistenza primaria:cioè assistenza delle necessità di interventi altamente specialistici o di tecnologie complesse che impongono il ricovero ospedaliero. Devono inoltre sussistere le condizioni socio-ambientali di assistibilità al domicilio, vale a dire una copresenza di supporto familiare e\o della rete informale ed un alloggio idoneo o reso tale con semplici accorgimenti. Le segnalazioni dei casi che necessitano di voucher socio-sanitario possono giungere dalle famiglie, dai servizi sanitari o sociali del territorio, dai servizi ospedalieri che devono essere ricondotte al MMG. Egli, dopo aver constatato l’opportunità dell’intervento, effettua la richiesta su modulo appositamente predisposto, che deve essere inviato alla centrale operativa voucher (punto unico di raccolta delle richieste di bisogni socio-sanitari provenienti dal domicilio e dagli ospedali). Per i pazienti ricoverati, nei casi in cui, terminata la fase acuta della malattia, non è più necessaria la permanenza in ospedale, ma: - è necessario proseguire le cure infermieristiche/riabilitative al domicilio - non è possibile il rientro al domicilio per motivi socio-assistenziali, possono essere attivate dai reparti ospedalieri le dimissioni protette, inviando la richiesta alla Centrale Operativa Voucher qualche giorno prima delle dimissioni. Il servizio sociale della COV, inoltre, accoglie tutte le segnalazioni\richieste di bisogni socio-assistenziali provenienti dal medico di medicina generale, dagli ospedali, dalla famiglia, dal diretto interessato, dalla rete di volontariato, da altri servizi della A.S.L., individua e propone l’intervento più idoneo tra quelli della rete dei servizi, offre un supporto alla famiglia nella ricerca di una soluzione adeguata: RSA, centro diurno integrato, voucher socio sanitario, buono o voucher sociale, ecc., stabilisce un raccordo con i Piani di Zona, i servizi sociali dei comuni e i vari enti (associazioni di volontariato, croce rossa, ecc.) coinvolti nell’assistenza, facilitando l’accesso dell’utente ai servizi e evitando, se possibile, interventi settoriali e sovrapposizioni. In seguito alla richiesta del MMG, viene attivata la procedura per l’assegnazione del voucher sociosanitario: • attivazione e valutazione da parte degli operatori A.S.L. dedicati identificati come valutatori, in stretta collaborazione con il MMG: visita domiciliare per la valutazione dei bisogni-problemi di assistenza e del livello di dipendenza del paziente; definizione del PAI; definizione profilo voucher ed emissione voucher; consegna al paziente del PAI con relativo voucher e del questionario customer-satisfaction; presentazione dell’elenco degli erogatori accreditati per le prestazioni di assistenza domiciliare. • Il valutatore, dopo la scelta del soggetto erogatore da parte del cittadino o di chi lo rappresenta, informa la centrale operativa voucher circa tale scelta. • La centrale operativa voucher attiva il soggetto erogatore scelto. • Erogazione del servizio (attivazione dell’assistenza da parte del soggetto erogatore ed attuazione del piano di cura). L’assegnazione del voucher ha scadenza mensile e può essere rinnovato. Il voucher deve essere utilizzato interamente presso il soggetto erogatore prescelto dal paziente. Questi può ricusare il soggetto erogatore accreditato e sceglierne uno nuovo a partire dal mese successivo alla ricusazione. Le prestazioni previste dal voucher vengono sospese all’atto dell’ingresso del beneficiario in strutture residenziali, semiresidenziali e ospedaliere. Le prestazioni oggetto del servizio sono di tipo sanitario-assistenziale, possono prevedere accessi infermieristici, fisioterapici, socio assistenziali e del medico specialista. Prestazioni infermieristiche:medicazione ferite e ulcere,posizionamento e sostituzione catetere vescicaIl Cittadino e la Salute 101 le, assistenza al paziente in NAD, assistenza al paziente con tracheostomia, assistenza al paziente con alterazione dell’alvo, somministrazione farmaci non e.v. rilevazione parametri vitali, prelievo venoso interventi mirati di educazione sanitaria, di istruzione e di addestramento. Prestazioni fisiochinesiterapiche: rieducazione motoria, neuromotoria, addestramento e correzioni posturali, addestramento all’utilizzo di ausili e protesi, rieducazione respiratoria. Prestazioni sociali di rilievo sanitario (ASA-OSS): igiene personale semplice, (cavo orale, manicure, igiene intima, spugnature a letto, lavaggio capelli e barba), bagno, aiuto nell’alzata e messa a letto, aiuto e assistenza nella deambulazione, mobilizzazione, vestizione, ecc.., aiuto nell’assunzione e somministrazione dei pasti, aiuto e controllo nell’espletamento delle attività quotidiane. Tali prestazioni si differenziano da quelle erogate dal SAD o dal voucher sociale: preparazione pasti a domicilio, cura e igiene della casa, supporto alla persona nelle attività quotidiane, ecc... L’entità economica mensile del voucher socio-sanitario è stata individuata dalla Regione in tre livelli, in relazione al tipo di bisogno del paziente, alla complessità e intensità della cura e all’entità delle risorse necessarie al suo soddisfacimento: Profilo A: bassa intensità, che può prevedere, indicativamente, 11-14 accessi complessivi al mese specificati nel PAI. valore: 362 . Profilo B: media intensità, che può prevedere mediamente, 15-18 accessi complessivi al mese. Valore: 464 . Profilo C: alta intensità, per pazienti in condizioni critiche e/o in fase terminale di malattia, che può prevedere indicativamente, un numero di accessi complessivi superiori a18. valore: 619 Credit Dal 1^ ottobre 2005 è stato poi introdotto, sempre in linea con le disposizioni Regionali, il credit, cioè l’offerta di pacchetti di prestazioni solo sanitarie, di bassa intensità assistenziale e con formulazione del PAI. Due profili: 1) può prevedere, mediamente, 7-9 accessi al mese. Valore 250 2) può prevedere, mediamente, 10-13 accessi al mese. Valore 330 Il patto di accreditamento, nel rispetto dei requisiti stabiliti, è lo strumento che definisce e formalizza i rapporti tra l’ A.S.L. e i Soggetti pubblici e privati titolati all’erogazione di prestazioni socio-sanitarie di assistenza domiciliare. L’erogatore si impegna a “prendersi in carico” l’utente che lo richieda, è responsabile della qualità del servizio, si impegna a sostenere con l’ A.S.L. un flusso informativo adeguato che contenga informazioni sulle prestazioni effettuate. Alla A.S.L., invece, è destinato il compito di valutare, vigilare e controllare l’erogazione del servizio; viene cioè attribuito un nuovo ruolo, che comporta un passaggio da una fase prevalentemente gestionale alla “governance” e quindi una conversione del ruolo da “erogatrice di servizi”a “garante della salute del cittadino”, sviluppando e consolidando le capacità di programmazione, acquisto e controllo (PAC) delle prestazioni socio-sanitarie. L’A.S.L. ha un ruolo di programmazione del servizio, di valutazione della richiesta con il MMG, di stesura del PAI, di emissione del voucher, di controllo dell’appropriatezza delle cure erogate (sulla gestione degli assistiti e sul raggiungimento dei risultati previsti dal PAI), verifica permanente dei requisiti dei pattanti. In pratica l’accreditamento ha sostituito le convenzioni di un tempo e viene concesso a conclusione di un processo valutativo dei cosiddetti requisiti di qualità. Altre forme di aiuto previste dalla Regione Lombardia per valorizzare e sostenere chi si impegna a favorire le cure a domicilio delle persone fragili sono: Buono sociale = è un contributo economico in denaro erogato dal Comune per compensare la famiglia che accudisce a domicilio una persona fragile, mediante l’aiuto di un’altra persona (caregiver non professionale) ad esempio un familiare. 102 Il Cittadino e la Salute Lo si richiede al comune. Voucher sociale = è un contributo economico non in denaro ma sottoforma di “titolo di acquisto”, erogato dal comune, per ottenere prestazioni di carattere sociale (ad esempio, pasti a domicilio, servizi di lavanderia) offerte a domicilio da operatori sociali (caregiver professionali). Lo si richiede al Comune. Voucher socio-sanitario = è un contributo economico non in denaro ma sottoforma di “titolo di acquisto”, erogato dalla Regione Lombardia attraverso le A.S.L., che può essere utilizzato esclusivamente per comprare prestazioni di assistenza domiciliare socio-sanitaria integrata da soggetti accreditati, pubblici o privati, profit e non profit, svolti da personale professionalmente qualificato (caregiver professionali). Lo si richiede al Distretto della propria A.S.L.. L’ammontare dei buoni e dei voucher sociali comunali viene stabilito dal comune; possono essere diversi sia i requisiti per ottenerli che lo stesso valore economico. Il solo Comune di residenza potrà dare precise informazioni. Istituti di riabilitazione. Gli istituti di riabilitazione accreditati assistono in regime di ricovero soggetti con menomazioni fisiche, psichiche o sensoriali, dipendenti da qualunque causa, che necessitano di trattamento riabilitativo. Le prestazioni erogate sono di natura sanitaria e hanno come fine il recupero funzionale e sociale. Sono a totale carico del S.S.N. L’ingresso in tali strutture può avvenire su richiesta del medico di medicina generale, se il paziente si trova al proprio domicilio, oppure su proposta del reparto ospedaliero che dimette, se il paziente è ricoverato in ospedale; in entrambi i casi le richieste vengono indirizzate direttamente all’istituto in cui il paziente vuole essere ricoverato. 73. I FARMACI E L’ANZIANO Le persone più in là negli anni corrono dei rischi particolari con i farmaci, per diverse ragioni. Una è che spesso sono costretti a prenderne diversi ogni giorno. Questo aumenta le possibilità che i farmaci reagiscano tra loro dando effetti collaterali inaspettati che quegli stessi farmaci da soli non avrebbero causato. Inoltre, il fatto di dover prendere più pillole al giorno spesso confonde le persone più anziane o quelle che ci vedono male. Per esempio, può succedere che si prendano due pillole per la pressione invece di una dimenticando quella per il cuore oppure viceversa. Per questo, quando si va dal medico, è utile chiedergli di scrivere in modo chiaro su un foglio in quale ora del giorno si deve prendere una certa medicina. Per evitare confusione molte persone scrivono sulle scatole dei farmaci indicazioni tipo “una a pranzo e una la sera” oppure “una ogni mar, gio, sab”. Una ragione del tutto diversa che fa correre all’anziano rischi maggiori è che il corpo umano non reagisce alle medicine nello stesso modo a qualunque età. Con gli anni, alcuni organi del corpo come cervello, reni o fegato, alcune parti del corpo diventano più sensibili all’effetto delle medicine, un fenomeno con cause diverse. Per esempio, con gli anni il nostro fegato elimina le medicine più lentamente e lo stesso succede ai reni. Questo significa, in pratica, che se un medico prescrive lo stesso numero di compresse di una medicina a un ventenne o a una persona di settanta anni, l’organismo di questo ultimo può avere difficoltà a eliminare la medicina con la stessa velocità con cui la persona la prende. Le medicine per dormire, per esempio, restano di più nel corpo e hanno un effetto più potente, tanto che spesso ne basta prendere metà dose per ottenere l’effetto cercato senza correre dei rischi. Il Cittadino e la Salute 103 74. LA GRAVIDANZA ED IL PARTO I diritti nella gravidanza e nel parto • Ogni donna ha diritto a ricevere un’assistenza appropriata e a svolgere un ruolo decisionale in ogni fase della gravidanza. • Ha diritto al rispetto della propria soggettività culturale e psicofisica, quindi deve poter effettuare ogni scelta che la riguardi, nell’ambito delle leggi vigenti e ricevute tutte le informazioni del caso, senza subire interferenze o discriminazioni. • Ha diritto a tecniche di parto aggiornate, non traumatiche, e, nel caso abbia seguito corsi di preparazione al parto, all’assistenza degli operatori di detti corsi. • Deve poter avere vicino a sé persone di sua scelta durante il travaglio e il parto. • La mamma può accedere al nido 24 ore su 24 o scegliere di tenere il bambino in camera, a meno di controindicazioni sanitarie. 75. LA SALUTE MENTALE Dipartimento di salute mentale Il S.S.N ha fra i suoi obiettivi la tutela della salute mentale. Per evitare ogni forma di segregazione e discriminazione, i servizi psichiatrici sono inseriti nel contesto dei servizi sanitari generali, pur nella specificità delle misure terapeutiche. Il dipartimento di salute mentale, che fa riferimento al distretto, ha il compito istituzionale di curare gli utenti psichiatrici. Segue i pazienti ospiti in strutture per non autosufficienti ed in strutture protette per le persone sufficientemente autonome. Il dipartimento ha anche il compito di curare l’inserimento sociale e lavorativo, nonché di seguire il paziente nell’ambito familiare. Ha l’obbligo di provvedere alla sicurezza ed ai bisogni elementari dei pazienti privi di autonomia e di qualsiasi legame con la famiglia. L’attività comunque dovrebbe essere svolta in sintonia con i familiari del paziente e con l’autorità giudiziaria. Gli interventi sanitari relativi alle malattie mentali si svolgono prevalentemente in strutture extraospedaliere. In ogni A.S.L. è prevista la presenza di Dipartimenti di salute mentale, costituiti da: • Centro di salute mentale: è una struttura territoriale, aperta 6 giorni alla settimana per 12 ore al giorno, durante le quali è presente personale medico ed infermieristico. Svolge interventi di prevenzione, cura, riabilitazione e reinserimento sociale. Qui viene definito il programma terapeutico individuale e, se necessario, il malato è indirizzato alle strutture residenziali o semi residenziali, oppure al ricovero volontario o forzato presso il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e di Cura. • Servizio psichiatrico di diagnosi e di cura: è un reparto ospedaliero dove vengono attuati trattamenti psichiatrici volontari e obbligatori in condizioni di ricovero. • Centro diurno: è una struttura semiresidenziale, aperta 6 giorni la settimana per 8 ore al giorno. Ha funzioni terapeutico-riabilitative; in particolare promuove la socializzazione, tramite l’organizzazione di attività di gruppo. Sono presenti, per fasce orarie, medici specialisti, psicologi, infermieri, educatori ed istruttori a seconda del tipo di attività. • Day Hospital psichiatrico: aperto 6 giorni alla settimana, per 8 ore al giorno. Effettua accertamenti diagnostici, interventi farmacologici e psicoterapeutici riabilitativi, a breve e medio termine. In questo modo si riduce il ricorso al ricovero o almeno se ne limita la durata. • Struttura residenziale psichiatrica: qui vengono attuati programmi di cura e riabilitazione di mediolungo periodo. Accoglie pazienti nella fase acuta della malattia, per i quali non sia indicato il ricovero in ospedale, oppure pazienti bisognosi di assistenza protratta, successiva al ricovero. I trattamenti sanitari sono di norma volontari ma in alcuni casi la legge (L. n. 833 del 23/12/78) prevede che possano essere attuati accertamenti o Trattamenti Sanitari Obbligatori. Questi sono disposti dal Sindaco, nella sua veste di Autorità Sanitaria, su proposta motivata di un medico. 104 Il Cittadino e la Salute La legge relativa ai TAO Trattamenti Sanitari Obbligatori sottolinea che: • i trattamenti sanitari obbligatori devono avvenire nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici, compreso, per quanto possibile, il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura, e il diritto del paziente di comunicare con chi ritenga opportuno; • devono essere accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato. 76. IL DIRITTO DELLA SALUTE IN CARCERE I detenuti godono dello stesso diritto alla salute garantito a tutti i cittadini italiani. Nella realtà, l’esperienza quotidiana di chi si occupa dell’umanizzazione delle strutture carcerarie dimostra che tale diritto esiste solo teoricamente e che per poterlo esercitare è necessario attrezzarsi mediante strumenti di tutela. Infatti in carcere i diritti fondamentali della persona, tra di essi quello alla salute, vengono inspiegabilmente compressi ben al di là di quello che la legge penale prevede. Le situazioni da affrontare più spesso sono: • Le cattive condizioni delle infermerie delle carceri (scarsa igiene, cattiva qualità del servizio, affollamento, inadeguatezza rispetto alle esigenze sanitarie, rapporto medico-paziente carente). • La mancanza di coordinamento tra cure intra ed extramurarie, che impedisce la continuità assistenziale, soprattutto per quanto riguarda farmaci e trattamenti sanitari specialistici. • La carenza o la inesistenza di un servizio di assistenza dei malati psichiatrici, con il rischio che un detenuto con problemi di salute mentale venga trattato alla stregua di un detenuto sano. • L’assillo della burocrazia, che fa si che ogni richiesta anche elementare (l’acquisto di un farmaco, un certificato) debba aspettare tempi incompatibili con le esigenze sanitarie. • L’intasamento della magistratura di sorveglianza sotto la cui responsabilità ricadono la gran parte dei permessi sanitari, nonché la scarsa conoscenza da parte di tali magistrati delle problematiche sanitarie, fonte di decisioni a volte incongrue. • Le difficoltà relative ai ricoveri ospedalieri, che vengono negati dalla gran parte delle strutture pubbliche esterne, impedendo in tal modo ai malati bisognosi di cure di effettuare interventi urgenti. • La scarsa attuazione, per timore delle simulazioni e quindi dei possibili ulteriori reati, delle norme relative all’incompatibilità con il regime di detenzione che non permette a malati gravi di uscire dal carcere. Proprio al fine di tutelare i diritti dei detenuti, che hanno evidenti difficoltà a “difendersi” autonomamente, è possibile organizzare una presenza della cittadinanza attiva “esterna” in carcere. L’ordinamento penitenziario contempla la “Partecipazione della comunità esterna all’azione rieducativa” (art. 17); è quindi possibile inoltrare al direttore del carcere una domanda volta ad ottenere il permesso di svolgere alcune attività in carcere. Laddove ci siano rapporti più stretti con la magistratura (piuttosto che con la direzione del penitenziario) si può chiedere al magistrato di sorveglianza di promuovere presso il direttore la propria presenza in carcere come “Assistenti volontari” (art. 78). La domanda va inoltrata alla direzione del carcere, preferibilmente dopo un colloquio con il direttore. È opportuno allegare copia dello statuto dell’organizzazione a cui si fa riferimento. Una volta che, entrati in carcere, si riscontrino episodi di violazione dei diritti o disservizi di varia natura, ci si può rivolgere a varie figure professionali le quali, in ragione dei propri compiti, sono chiamate a rispondere e/o a collaborare. “lI Direttore dell’istituto e quello del centro di servizio sociale esercitano i poteri attinenti alla organizzazione, al coordinamento ed al controllo dello svolgimento delle attività dell’istituto o del servizio; decidono le iniziative idonee ad assicurare lo svolgimento dei programmi negli istituti, nonché gli interventi all’esterno; impartiscono direttive agli operatori penitenziari, anche non appartenenti all’amministrazione, i quali svolgono i compiti loro affidati con l’autonomia professionale di competenza” (art. 2 del Regolamento penitenziario). Il Cittadino e la Salute 105 Potrebbe rivelarsi utile stilare protocolli di intesa con i direttori degli istituti al fine di specificare meglio i reciproci ruoli da ricoprire per favorire la riuscita del progetto di tutela. Per esempio, l’amministrazione potrebbe impegnarsi a riservare un locale per le attività dell’associazione e/o a specificare la frequenza con cui intende incontrarne i responsabili per concordare degli interventi e così via. In realtà possono essere importanti gli accordi scritti, ma serve anche una modalità di relazione che consenta un certo tipo di elasticità delle procedure e di evitare di cadere nella burocratizzazione di ogni attività. Il magistrato di sorveglianza, oltre ad esercitare la vigilanza all’interno delle carceri, esamina le richieste dei detenuti e dei volontari che godono dei benefici di cui all’ art. 17 R.P. su vari aspetti della vita dei reclusi tra cui quello del diritto ai trattamenti sanitari. È quindi auspicabile prevedere incontri periodici con tale autorità. È opportuno interagire anche con il presidente del Tribunale di sorveglianza competente per territorio, allo scopo di sottoporgli personalmente quei casi in cui ci sia una comprovata ed evidente violazione del diritto alla salute. È molto importante avviare rapporti di collaborazione con gli educatori del carcere. Essi – dice la legge – “partecipano all’attività di gruppo per l’osservazione scientifica della personalità dei detenuti e attendono al trattamento rieducativo individuale o di gruppo, coordinando la loro azione con quella di tutto il personale addetto alle attività concernenti la rieducazione”. Può capitare, quindi, che un direttore incarichi un educatore di coordinare tutte quelle attività che concernono la situazione sanitaria. Un altro organismo con il quale si dovrebbe entrare in relazione è il Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria (Dap) che ha sede a Roma. Il Dipartimento cura l’organizzazione carceraria su tutto il territorio nazionale e promuove visite ispettive anche su segnalazione dei volontari autorizzati all’ingresso in carcere. Le iniziative finalizzate a promuovere la partecipazione dei detenuti devono però tenere conto di alcuni possibili ostacoli. Tra questi: l’impossibilità per i detenuti di riunirsi se non alla presenza di personale non detenuto che abbia preso preventivi accordi con la direzione; il divieto normativo e l’inopportunità oggettiva di creare posizioni di preminenza fra i detenuti, poco accettate dagli altri e passibili di sfruttamento per scopi diversi, più legati ai propri problemi personali. Considerato che i detenuti godono dello stesso diritto alla salute garantito a tutti i cittadini italiani, potrebbe non avere senso dedicare a questa specifica tipologia di soggetti un capitolo di questo manuale. Nella realtà, l’esperienza quotidiana di chi si occupa della umanizzazione delle strutture carcerarie dimostra che tale diritto esiste solo teoricamente e che per poterlo esercitare è necessario attrezzarsi mediante strumenti di tutela. Infatti in carcere i diritti fondamentali della persona, tra di essi quello alla salute, vengono inspiegabilmente compressi ben al di là di quello che la legge penale prevede. Si parlerà quindi della tipologia di situazioni da affrontare; di come è possibile per un cittadino attivo, che intenda operare in carcere, farlo; di come organizzarsi per tutelare i diritti, e, infine, delle azioni possibili, in presenza della nuova legge di trasferimento al S.S.N della sanità penitenziaria (L. 230/99). 106 Il Cittadino e la Salute COME EDUCARE PER PREVENIRE SITUAZIONI DI DISAGIO 77. UNO SGUARDO ALLA FAMIGLIA: LA FAMIGLIA E I SUOI ADOLESCENTI Il cammino di sviluppo Quando in famiglia i figli diventano adolescenti è necessario mettere in atto di nuovi processi di ridefinizione di tutti i membri, delle relazioni tra di loro, dei ruoli e l’assetto complessivo muta radicalmente. L’adolescenza è una fase dello sviluppo che impone la necessità di crescere, sia in seguito ai cambiamenti fisici legati alla maturazione sessuale, sia in seguito alla nuova struttura cognitiva che si va delineando. Può essere considerata come un “percorso di costruzione dell’identità all’interno del ciclo di vita” che si realizza in seguito alla risoluzione di compiti di sviluppo, i quali acquisiscono significato e forme diverse a seconda del contesto e della cultura di riferimento (Confalonieri, Gavazzi, 2003). In questa fase, il compito di sviluppo prioritario è rappresentato dalla possibilità di elaborare i numerosi cambiamenti in corso, che segnano, di fatto, l’inizio del processo, che porterà, a sua volta, alla strutturazione dell’identità dell’individuo: questo compito può essere facilitato o meno dai familiari. L'uscita dall’adolescenza e l’entrata nel mondo adulto dovrebbe quindi consentire al giovane di costruirsi relazioni significative e stabili al di fuori della cerchia familiare, mentre per i genitori risulta sempre più difficile accettare la perdita di ruolo. In alcuni casi, la separazione del figlio si correla alla separazione dei genitori in quanto la coppia, diminuendo la significatività della funzione genitoriale, sembra incapace di ritrovare un nuovo equilibrio emotivo e affettivo nel rapporto coniugale (sindrome del nido vuoto). La separazione, che sancisce un distacco “fisico” ed “emotivo”, rappresenta una meta importante per la “salute” del nucleo familiare: come processo “fisico” necessita di un chiaro movimento disgiuntivo da parte di un membro e implicitamente da parte di tutti gli altri, come processo “emotivo” è l'espressione di una fase cruciale dello sviluppo della famiglia intera. La separazione dell'adolescente dai genitori è fisiologica nella misura in cui rispetta i suoi tempi e motivi interni e non viene accelerata o forzata da altri. La famiglia si presenta come un sistema capace di cambiare mantenendo la sua integrità, assicurando così crescita e continuità a coloro che la compongono. All'interno di questo duplice processo di continuità e di crescita si definisce la personalità di ciascun individuo, costretto a rinegoziare costantemente il proprio bisogno di appartenenza con l'esigenza di separarsi e di rendersi autonomo. Perché questo avvenga è necessario che la struttura familiare si presenti sufficientemente flessibile, in modo da tollerare i momenti di disorganizzazione che sono inevitabili quando si passa da una fase all'altra del ciclo vitale. La famiglia dell’adolescente deve quindi poter permettere al ragazzo di sperimentarsi, tollerando situazioni di disagio, facilitando la differenziazione dal contesto familiare. Ciò che più conta per un adolescente è lo sguardo dell’altro che diventa uno specchio in cui riflettersi: chi assume questa importante funzione è il gruppo dei pari e degli amici in generale. I genitori progressivamente diventano sempre più antitetici e potenzialmente conflittuali per l’adolescente, che non li percepisce più come gli unici dispensatori di protezione e affetto. La distanza dai genitori, infatti, diventa a poco a poco irrinunciabile sia psicologicamente che fisicamente; il ragazzo deve conquistare i propri spazi in cui potersi sperimentare per imparare, mettendosi alla prova. La progressiva acquisizione di autonomia da parte dell’adolescente si realizza solo grazie ad un processo di distanziamento, alternata alla richiesta di vicinanza, nei confronti dei propri genitori. Questo meccanismo rende possibile esaudire l’esigenza di esplorare, mantenendo la rassicurazione sull’affidabilità dei propri legami Il Cittadino e la Salute 107 familiari. Infatti Pietropolli Charmet (2000) ci ricorda che il gruppo dei pari funziona come famiglia sociale e non necessariamente in contrapposizione con la famiglia naturale del ragazzo. Il compito dell’adolescente consiste perciò nell’emancipazione dalle figure parentali di riferimento , al fine di acquisire la responsabilità adulta, possibile solo se si è svincolati dai propri genitori (Scabini & Iafrate, 2003). La madre acquisisce sempre più il ruolo di mediatore con il sociale, ed il padre, in questa nuova società altamente permissiva, diminuisce di importanza. Il gruppo, di cui la banda rappresenta una specifica modalità, occupa una posizione centrale nella vita di preadolescenti ed adolescenti, facilitando il lungo processo di emancipazione dalla condizione infantile verso l’identità adulta. Esso acquisisce uno spazio prima di tutto mentale; è una sorta di contenitore di valori e di codici di comportamento che fornisce un supporto evolutivo per l’adolescente che si sta cimentando nell’acquisizione di un proprio ruolo sociale (Di Blasi, 2003). Anche la spinta a trasgredire e ad opporsi alle regole del mondo degli adulti rappresenta una tendenza specifica di questo periodo e si ritrova, in quote diverse, in tutti i gruppi adolescenziali. In essi infatti il ragazzo riesce a sperimentarsi e a continuare il processo di ricerca di esperienze che gli permettono di svincolarsi dalla famiglia: i pari sono i nuovi compagni di avventura, di condivisione e di ricerca di significato (Di Blasi, 2003). La famiglia L’adolescenza non è, quindi, un evento critico che compete solo all’adolescente ma, per la sua natura dinamica e diffusiva, coinvolge tutti i membri della famiglia e pone in discussione l’identità organizzativa familiare nel suo complesso. Il suo superamento si pone come impresa evolutiva congiunta: il compito evolutivo fondamentale di genitori e figli è relativo al “distacco reciproco” e alla nuova ridefinizione di ruoli. Gli adolescenti di cui ci si occupa ora sono cresciuti in famiglie in cui la donna, sempre più impegnata in compiti e ruoli diversificati e complessi, ha assunto la regia della casa e della vita sociale, quindi, in questo modo, il tradizionale ruolo maschile. Il padre, dal canto suo, non rappresenta più la figura rigida, autoritaria ed esigente delle famiglie del passato; il suo ruolo, anzi, tende a confondersi con quello della madre: si tratta di un padre assente, che si occupa ben poco della famiglia o di un padre eccessivamente “invischiato” nelle dinamiche relazionali e conduce così all’attenuazione del modello classico di famiglia delle norme, per tendere verso un’educazione molto più flessibile, se non inerme, tipica della famiglia degli affetti (Pietropolli Charmet, 2000). Si assiste inoltre ad uno sbilanciamento della funzione genitoriale sul versante affettivo materno (Pietropolli Charmet, 2001) e ad un “impallidirsi della figura paterna” (Scabini & Iafrate, 2003, p.129). Le relazioni genitori – figli non sono più gerarchiche, bensì orizzontali e immerse in un clima familiare di natura totalmente affettiva. Da un lato, l’attiva presenza della madre nella vita sociale senz’altro favorisce l’inserimento dei figli nella società, obbligandoli anche però ad un inserimento troppo precoce alla vita di gruppo, proprio a causa dell’assenza di risorse familiari sufficienti per l’accudimento dei figli stessi. D’altro canto i figli, oggi cercati più che altro per soddisfare un estremo bisogno soggettivo e non per un vero desiderio di essere genitori, diventano il loro prolungamento narcisistico, fino a giungere all’esasperazione, quando viene loro chiesto di essere e di comportarsi esclusivamente per soddisfare i propri bisogni e le proprie aspettative (Scabini & Iafrate, 2003). Il mutamento del ruolo genitoriale si inserisce comunque in un generale cambiamento della società e dei ruoli sociali ed è per questo motivo che anche le eventuali manifestazioni psicopatologiche stanno mutando. I vari cambiamenti in atto sono particolarmente rischiosi per gli adolescenti: essi diventano sempre meno preparati a tollerare dolore e fallimenti, non conoscono regole, perciò non possono nemmeno trasgredirle e non hanno nessuna figura a cui opporsi per emanciparsi (Pietropolli Charmet e coll., 1995, 2000). Lo scontro generazionale, temuto ma necessario, sta scomparendo, dimostrando che gli ostacoli non vanno affrontati, ma aggirati. La conseguenza è che i giovani di oggi mostrano sempre più una pervasiva, quindi grave, incapacità di pensare a se stessi in termini progettuali, oltre che di valutare le ripercussioni delle proprie azioni, soprattutto quelle a lungo termine. Questa difficoltà sembra 108 Il Cittadino e la Salute da ascrivere alla famiglia stessa che sembra, quindi, essere sempre meno capace di assolvere compiti e funzioni a forte rilevanza sociale, ma rimane schiacciata all’interno dell’unità degli affetti, come risultato di un processo di implosione. L’immagine che emerge è dunque quella di una famiglia sempre più gruppo e meno istituzione, risultato di scelte sempre più rinegoziabili e meno vincolanti. La trasformazione della funzione genitoriale è ben evidente; infatti oggi i genitori sono molto diversi dalle generazioni del passato e dai loro stessi genitori. Si è assistito, in questi anni, al passaggio da famiglia delle regole (o famiglia etica) alla famiglia degli affetti (Pietropolli Charmet e coll. 1995; 2000); quest’ultima si mostra impegnata alla quasi esclusiva trasmissione di amore, con l’obiettivo di crescere figli “felici”. I cambiamenti valoriali, affettivi e morali portano ad una tendenza del tutto diversa: se in passato il maggior rischio in cui i figli incorrevano era quello di non essere sufficientemente amati, oggi si incorre in quello di essere fin troppo amati (Vegetti Finzi & Battistin, 2001). E’ soprattutto il tradizionale ruolo paterno ad essere in declino, si parla, come abbiamo visto, di latitanza del padre nell’assumere il proprio ruolo e talvolta di sovrapposizione dei ruoli con la madre, a cui si sommano la mancanza di regole precise, che provoca enorme confusione, negoziazione continua, confusione o addirittura assenza di confini tra i membri della famiglia e allungamento del tempo di permanenza del figlio nella stessa. La famiglia contribuisce indubbiamente alla costruzione del senso di identità e allo sviluppo del ragazzo; il fatto è che oggi non è più riconosciuta come saldo ed immancabile punto di riferimento. La sua perdita di posizione si è avuta come conseguenza di vari fattori; ha inciso sicuramente anche l’attuale predominanza di nuclei familiari parcellizzati che non contribuiscono a sviluppare nell’adolescente un adeguato senso di responsabilità, infatti l’instabilità matrimoniale, che conduce a sempre maggiori casi di separazione e divorzio, aggrava ulteriormente la situazione di incertezza in cui vive il figlio adolescente, soprattutto se si tiene conto dell’ormai accertata trasmissione intergenerazionale. I genitori devono in ogni caso svolgere una funzione protettiva nei confronti del figlio, riducendo l’effetto negativo di eventi di vita delicati e difficili. Sono un fattore decisivo nello sviluppo della capacità del figlio di far fronte agli eventi stressanti, funzione protettiva che si esprime attraverso il potenziamento dell’autostima. Il ragazzo ha infatti la necessità di crearsi i propri spazi e raggiungere l’autonomia tanto desiderata, ma compiendo un passo alla volta; egli ha bisogno di sentire che ci sono saldi punti di riferimento alle sue spalle, i genitori, pronti a sostenerlo in caso di “caduta”. Oggi però il fenomeno dell’adolescenza allungata conduce al rischio di eccedere nel senso opposto, comportando un ritardo nell’acquisizione dell’effettiva maturità psicosociale degli adolescenti che tendono a rimanere fortemente ancorati alla famiglia di origine, dipendendo da essa psicologicamente e talvolta anche economicamente. Oltre a dover svolgere il difficile ruolo di punto di riferimento per il giovane, assumendo nei suoi confronti una posizione di mediazione con il sociale, la famiglia deve anche saper modificare il proprio stile affettivo e relazionale rispetto alla crescita del figlio: essi devono, in questa fase della vita ridefinire i confini familiari, come abbiamo già detto, (Scabini & Iafrate, 2003); solo in questo modo si permette all’adolescente di acquisire autonomia e indipendenza, rispettando le sue scelte. I genitori devono dunque favorire il distacco emozionale regolando il rapporto di dipendenza ed autonomia che li lega ai figli. E’ necessario che il figlio riesca ad abbandonare l’immagine idealizzata dei propri genitori, riuscendo a scorgerne anche i limiti, per potersi vedere riconosciuto nella propria individualità. In questo senso i genitori devono rendersi anche conto del bisogno sempre crescente di “privacy”, maturato dal figlio; egli ha un’identità non ancora del tutto definita perciò sente il forte bisogno di difenderla e racchiuderla in uno spazio interiore e personale, proprio in quanto provvisoria. E’ come se avesse il bisogno di non essere sottoposto a pressioni esterne perché deve ancora completare il processo di elaborazione interiore. Petter (1990) parla di “saturazione” per riferirsi proprio all’insofferenza vissuta dall’adolescente nei confronti di alcuni atteggiamenti presenti nell’ambiente familiare che lo spingono ad allontanarsi ancora di più dai suoi genitori. Il tipo di controllo esercitato dai genitori sul figlio adolescente ha conseguenze importanti sul suo sviluppo. Il controllo autoritario o coercitivo (basato sulla forza, sull’intimidazione, su punizioni fisiche) è associato a problemi di socializzazione dell’adolescen- Il Cittadino e la Salute 109 te, mentre il controllo autorevole o induttivo (per esempio, il controllo basato sulla riflessione e la spiegazione) ha influenze positive. In seguito a una puntuale disamina della letteratura, alcuni autori (Barber, 1992; Steinberg, 1989) hanno distinto tra controllo comportamentale e controllo psicologico e hanno osservato che lo sviluppo degli adolescenti è influenzato in maniera negativa sia dall’assenza totale di controllo sia da una sua presenza massiccia che limita drasticamente l’autonomia psicologica dei ragazzi. E’ stata anche evidenziata l’esistenza di due tipi negativi di funzionamento familiare: da un lato, una fragilità e debolezza nel controllo comportamentale e nell’autoregolazione e dall’altro un ipercontrollo psicologico. L’incapacità nella gestione delle condotte comportamentali è tipica di un ambiente che non fornisce alcuna regola o non sanziona in modo adeguato il comportamento del ragazzo. Tale ambiente ha effetti negativi sullo sviluppo dell’adolescente che, in questi casi, risulta più esposto a una situazione di rischio, privo com’è di risorse personali e di un ambiente supportivo alle spalle. Spesso gli adolescenti reagiscono trascorrendo la maggioranza del tempo fuori casa e agendo in modo trasgressivo. Il legame tra il comportamento trasgressivo dei figli e l’ipocontrollo comportamentale da parte dei genitori viene supportato dai numerosi lavori sugli stili parentali (Baumrind, 1978). Il controllo psicologico si riferisce, invece, all’interferenza parentale nell’autonomia psicologica dei figli. Questo comportamento eccessivamente intrusivo può limitare l’opportunità di scoperta di sé dell’adolescente e di sperimentazione arrivando a minare il processo stesso di individuazione. Adolescenti provenienti da questo tipo di famiglie sembrano mancare di competenza e di iniziativa sociali. Si può, quindi, affermare che gli adolescenti ora soffrono perché rimangono troppo a lungo lontani dal loro futuro, dalle responsabilità dell’età adulta; hanno un enorme bisogno di rispecchiamento e un desiderio continuo ed incessante di conferma che però non vengono soddisfatti (Rosci, 2003). A ciò si aggiungono il prolungamento della vita in famiglia ed il ritardo dell’uscita di casa, tipici soprattutto della cultura italiana, la trasformazione delle caratteristiche familiari e genitoriali unita anche alla precarietà e all’incertezza di potersi progettare in un futuro lavorativo stabile. L’attuale orientamento esistenziale sembra essere infatti volto a privilegiare la reversibilità delle scelte, soprattutto in caso di decisioni importanti; la famiglia e la società giustificano sempre di più le fughe di responsabilità permettendo ai giovani di poter sempre tornare, ma ciò trasmette anche l’errata convinzione che si può tutto, perché tanto c’è rimedio; è così che anche l’esperienza del consumo di sostanze diventa appetibile e non troppo ansiogena (Buzzi, 1997) perché si trasmette l’illusione del controllo totale dell’esito delle proprie azioni (Grosso, 2000). Nonostante però la situazione attuale e malgrado alcune difficoltà, la maggior parte degli adolescenti acquisisce un’identità stabile e, grazie a strategie creative e personali e all’esplorazione, è in grado di fare ingresso nella dimensione sociale adulta (Di Blasi, 2003). L’adolescente e il suo mondo L’indagine Iard del 2001 (Grosso, 2001), fa emergere come esista una vera e propria “cultura giovanile”, che pur essendo non molto diversa da quella degli adulti, risulta particolarmente visibile esteriormente, attraverso consumi, mode, abitudini, perché è prevalentemente omologata. Attualmente sembra caratterizzata da “routinizzazione”, ma soprattutto ambivalenza. I giovani si dividono tra coloro che dichiarano di essere o meno confusi per l’assenza di punti di riferimento e tale dato non fa altro che confermare il profilo ambivalente dell’adolescenza odierna, in cui si osservano “limiti profondi, per lo più di tipo valoriale” (Grosso, 2001, p.17). Gli adulti si aspettano di avere davanti a sé ancora un bambino che non capisce. In realtà l’adolescente comprende fin troppo e sa che gli adulti con cui è a contatto ogni giorno sono più incerti di lui e hanno solo tante aspettative. Il genitore sembra più che altro pronto a giudicare le azioni del figlio correggendole e rimproverandolo se non le cambia (Andreoli, 1995); però non si pone come modello a cui tendere, come l’autorità a cui l’adolescente può opporsi. Questo “serve per imparare a vivere” (Andreoli, 1995) ed è quello di cui l’adolescente ha bisogno; non serve a nulla un genitore permissivo e quasi menefreghista che incrementa il senso di insicurezza tipico in questa fase della vita. 110 Il Cittadino e la Salute Gli adolescenti ora possono essere definiti “sregolati” per il semplice fatto che non trasgrediscono delle regole, ma semplicemente perché non ne hanno (Pietropolli Charmet, 2000). L’assenza di norme e divieti all’interno della famiglia e nella società in generale, crea negli adolescenti da un lato maggiore insicurezza e dall’altro la consapevolezza che non importi ciò che fanno della loro vita. La stessa situazione che essi vivono in casa sembra ripresentarsi nelle scuole dove anche gli insegnanti dovrebbero rivestire il ruolo di autorità nei confronti degli adolescenti. L’insegnante dovrebbe riuscire a vivere il gruppo classe come risorsa (Pietropolli Charmet, 2000), ma oggi invece sembra diffusa la figura del professore permissivo che tende a diventare “alunno tra gli alunni”, perdendo la funzione di punto di riferimento e creando di conseguenza ulteriore confusione (Confalonieri, Grazzani Gavazzi, 2002). Il difficile rapporto dell’adolescente con la realtà di oggi è dovuto alla presenza di valori tra loro discordanti che hanno condotto all’accrescere dell’interesse dei mass-media proprio per questo specifico periodo di vita. In primo luogo bisogna parlare di “anomia”, dal greco nomos termine che letteralmente significa mancanza di norme e regole, per riferirsi alla disgregazione sociale ed al problema della costruzione dell’identità, soprattutto giovanile; i ragazzi provano sentimenti di forte sfiducia nei rapporti che hanno con gli adulti. Già Durkheim (1897) aveva potuto constatare che l’agire umano non è più vissuto come una meta sociale; le stesse mete sociali sono ora definite in modo tale che il raggiungerle con mezzi illeciti è giudicato irrilevante. E’ per questo motivo che si parla di uno stato “anomico” della società: in essa cadono quegli stessi valori che in passato l’avevano tenuta integrata e ne avevano indirizzato le funzioni sociali. Ciò ha evidenti riflessi sugli individui e quindi anche sugli adolescenti che, privi di valori collettivi e di punti cardine, vivono un senso di disadattamento sociale fino a giungere ai casi estremi di disintegrazione della personalità. Il “mondo degli adulti”, infatti, è principalmente assalito da valori consumistici e pragmatici che provocano angosce, paure, ecc. Questo non fa altro che alimentare la totale sfiducia dei giovani. Nei casi estremi, questi sentimenti di inadeguatezza possono compromettere l’equilibrio psico-affettivo del giovane. Gli adolescenti attuali sperimentano sentimenti di identificazione e di appartenenza che oltre ad essere una risorsa, possono spesso anche diventare un fattore di rischio per la loro crescita; infatti i ragazzi rischiano di essere influenzati anche da modelli e valori negativi (Miscioscia, 2004); tale condizionamento si rivela particolarmente forte oggi dato che ci troviamo in una società che “mette in crescente risalto e incoraggia soprattutto le caratteristiche narcisistiche” (Lasch, 1981, p. 11). Anche dal mondo della scuola appaiono chiari i segnali del cambiamento: se in passato la scuola insegnava a crescere, comunicando ai giovani le modalità socialmente accettabili e condivise, con lo scopo di accompagnare il processo di formazione dell’identità, oggi non sembra più essere percepita nel suo ruolo di filtro simbolico; prevalgono la competitività, la rivalità, la necessità di emergere e di massimizzare la performance (Di Blasi, 2003). E le attuali ideologie non fanno altro che inseguire il mito dell’efficienza, del successo, dell’iperattività, tipici dell’odierna società (Ingrosso, 1999). Vivere nell’era consumistica e del business, insomma, comporta più problemi che vantaggi, soprattutto per lo sviluppo. L’adolescente, inserito in un contesto di libertà assoluta, sia espressiva che informativa, perde i punti di riferimento indispensabili per la sua crescita, proprio sia nel contesto politico, sociale, psicologico, religioso e talvolta anche familiari; in questo modo si trova a vivere un forte senso di smarrimento. L’accesso ai media, inoltre, non sembra saturare il bisogno di valorizzazione e ciò non fa altro che perpetuare la condizione incerta di partenza e può solo aprire la strada più facilmente alla comparsa di comportamenti ad esempio compulsivi (Rosci, 2003), oppure a impedire ulteriormente l’accesso alle capacità riflessive del sé (Fonagy, Target, 2001 ). Gli adolescenti si rendono conto della loro impotenza di fronte ad una realtà che sembra essere sensibile solo al denaro e al successo, perciò non possono far altro che scegliere di disconoscerla completamente o di entrare a farne parte. Ciò avviene a scapito del loro sviluppo emotivo: insicurezza, disinteresse, mancanza di strategie personali, senso di impotenza e di inferiorità, carenza di valori e di punti di riferimento condizionano la vita dei giovani e ne alimentano la precarietà. L’“inconsistenza di sta- Il Cittadino e la Salute 111 tus” è proprio questa condizione di assenza di un riconoscimento sociale, che è tipica dell’adolescenza, legata alla limitata crescita sociale, probabilmente conseguenza anche dell’allungamento eccessivo dei tempi di uscita dalla famiglia, che posticipano alcuni avvenimenti in passato vissuti in adolescenza. Disagio e gestione del rischio Oggi, dunque, questo processo di crescita risulta particolarmente impegnativo, basti pensare all’attuale realtà sociale ed economica in continuo mutamento che sembra configurarsi come priva di norme, limitazioni e punti di riferimento di cui il giovane ha bisogno per opporsi e dunque emancipare (Oliverio Ferraris, 2004) e che impone ideali di bellezza e di perfezione praticamente impossibili da raggiungere (Pietropolli Charmet, 2000). I ragazzi si trovano quindi a vivere in un presente in cui beni di consumo e tecniche mediatiche, come cellulari e computer, sono una normale componente della vita (Ardvisson, 2004), in cui sono tipici gli ideali di iperattività e competitività, in cui insomma si chiede loro di dare sempre il massimo (Ingrosso, 1999). All’interno di queste premesse il rischio, molto spesso, rappresenta una vera e propria necessità: sembra che oggi “saper rischiare” sia più che altro una condizione essenziale per avere successo in una società che è sempre più competitiva e sempre “meno garantita” (Buzzi, 1997). Secondo la prospettiva evolutiva, il rischio può essere considerato come “funzionale alla crescita” (Di Blasi, 2003): per sua natura l’adolescente sente la necessità di mettersi alla prova, di rendersi visibile e di sperimentarsi (Zuckerman, 1971). Quindi per certi aspetti il rischio non è solo negativo, ma presenta aspetti legati alla maturazione, alla necessità di diventare autonomi ed indipendenti esplorando le nuove capacità acquisite (Tursz, 1989). Infatti, in adolescenza è tipica, per natura, l’esigenza di unicità e visibilità che conduce a mettere in atto anche comportamenti di provocazione, o comunque eccentrici, con lo scopo di anticipare l’adultità; è proprio per questo che talvolta gli adolescenti mettono in atto comportamenti per loro inadeguati. I giovani sono infatti definibili “sensation seeker” (Zuckerman, 1971) proprio per sottolineare il bisogno, che spesso manifestano, di ricercare sensazioni forti ed emozioni estreme. Studi recenti hanno accertato che la trasgressione e il rischio rappresentano oggi una sorta di moda, che non necessariamente porta a disagio o a rischio evolutivi (Buzzi, Cavalli, De Lillo, 2002). La trasgressività è diventata una sorta di condizione essenziale per avere successo in una società che è sempre più competitiva. Da un punto di vista psicologico, la capacità di correre rischi può essere vista come un correlato della capacità di assumersi delle responsabilità (Buzzi, Cavalli, De Lillo, 1997). In realtà è bene sottolineare che circa il 75% degli adolescenti si sviluppa “mantenendo un buon adattamento e padroneggiando con limitato disagio il processo di riorganizzazione della personalità” (De Vito e coll., 2004, p. 85). Solo “una minoranza di adolescenti è caratterizzata da una forte implicazione nel rischio; a seconda del tipo di comportamento considerato essa varia dall’8 al 12%” (Bonino, Cattellino, Ciairano, 2003, p. 100). Si tratta principalmente di ragazzi maschi di età compresa tra i 16 e i 19 anni, che frequentano più che altro gli istituti professionali o in seconda istanza quelli tecnici; hanno scarsa stima di sé e scarsa fiducia nelle proprie capacità scolastiche, anche perché vivono la scuola più che altro come un problema e non come una risorsa, sono più insicuri e presentano maggiormente stress e sentimenti depressivi. Utilizzano diversamente il loro tempo libero, trascorrendone la maggior parte fuori casa, in gruppi informali, nello svolgimento di attività prive di progettualità e volte soprattutto allo svago. L’incertezza che vivono non è legata solo al futuro, ma anche al presente e ciò provoca in loro un profondo disagio. Provengono principalmente da nuclei familiari frammentati per svariati motivi e in cui non riconoscono nei genitori un punto di riferimento o un sostegno perché questi non sanno svolgere il loro ruolo educativo. Sono spesso coinvolti in una pluralità di comportamenti a rischio, infatti riconoscono l’uso di sostanze psicoattive come mezzo di fuga dalle difficoltà e dalle responsabilità (Bonino, Cattellino, Ciairano, 2003). Di conseguenza ciò che porta alla necessità di ridefinire il concetto di rischio sono la moderna situazione familiare e in generale i cambiamenti in atto nella società. Ne deriva, infatti, che il maggior rischio è che il sentimento dominante diventi la noia, condizione psicologica caratterizzata da insoddi- 112 Il Cittadino e la Salute sfazione, demotivazione, riluttanza all’azione e sentimento di vuoto, “noia percepita come un’insoddisfazione di fondo, un incontrollabile senso di vuoto che fatica ad essere colmato e che costringe a stare per ore davanti ad uno schermo […] noia che stordisce e rischia di far sentire quel dolore esistenziale, quella frustrazione insita nel vivere a cui l’adolescente non è mai stato abituato in famiglia. Noia, perciò, che richiede di essere cancellata, attraverso qualsiasi strumento o metodo che restituisca all’adolescente la percezione del suo essere qui ed ora. E’ in tale noia che probabilmente è possibile ravvedere una delle cause dell’attuale adozione del rischio in adolescenza” (Pellai & Boncinelli, 2002, p. 24). “E’ ovvio che le droghe per le loro caratteristiche chimiche e culturali, rappresentano delle esperienze accattivanti per gli adolescenti: esse danno l’illusione di vivere esperienze diverse, “altre”, trasgressive, in grado di scalfire l’ottusità del precostituito, di ritessere le trame del già noto, di rispondere al bisogno di esplorazione, di creatività e di scoperta che molti adolescenti sentono dentro”. (Di Blasi, 2003, p. 19). Ciò che preoccupa maggiormente è però l’attuale eccessiva diffusione del fenomeno dell’assunzione di sostanze. “L’ampia diffusione del consumo porta a ritenere che l’utilizzo di droghe sia diventato, nell’ultimo decennio, un aspetto, fra gli altri, della costruzione dell’identità. […] Gli adolescenti che rifiutano l’uso di ogni sostanza psicoattiva (dall’alcol alle droghe) sono una minoranza, così come lo sono coloro che sviluppano una dipendenza vera e propria” (Rosci, 2004, p. 281). Fortunatamente, infatti, l’uso di droghe in adolescenza è prevalentemente saltuario od occasionale, limitato ad esempio nel weekend e perciò non considerato dipendente; la dipendenza si manifesta invece nei casi in cui, interrompendo la somministrazione della sostanza, compaiono i sintomi di astinenza fisica (Rosci, 2004). L’approccio degli attuali giovani consumatori è più che altro caratterizzato da un consumo ricreativo (Di Blasi, 2003), da non ritenersi, però, meno preoccupante. L’esperienza di assunzione iniziata verso i 16-17 anni sembra concludersi verso i 24-25, con l’esaurirsi del fascino delle discoteche, dei rituali notturni, il cui scopo è la ricerca dello “sballo” inteso in senso di contrapposizione alla quotidianità ed alle sue regolarità (Di Blasi, 2003). I giovani che abusano di sostanze sono invece una percentuale inferiore, ma in genere si tratta di adolescenti che hanno alle spalle situazioni di disagio personale che li inducono a cercare un modo per sfuggirvi e per scacciare ansia e angoscia che ne derivano. In questi casi è frequente che dall’abuso si passi alla dipendenza, che può essere legata alle più disparate sostanze (alcol, cocaina, psicofarmaci, ecc.), utilizzate proprio con lo scopo di lenire la sofferenza (Di Blasi, 2003). Le varie teorie che hanno cercato di interpretare e spiegare il rapporto tra trasgressività e adolescenza giustificano la messa in atto di determinati comportamenti anche a rischio, come dovuti ad un aumento dell’impulsività, a difficoltà di mentalizzazione e per la messa in discussione dell’autorità degli adulti; ciò deriva probabilmente da nuove esigenze di autonomia e dall’effetto della diffusione di responsabilità motivata dall’incremento dell’importanza attribuita al gruppo (Pietropolli Charmet, 2000). In riferimento all’uso di droghe leggere o all’assunzione di scelte legate all’uso di materiale pirata, ecc., sembra che oggi, rispetto a situazioni rilevate in passato, gli adolescenti siano molto più tolleranti, quasi a dimostrare che le propensioni alla trasgressività derivino dalla necessità di esprimersi nel modo più individuale possibile (Altieri & Faccioli, 2002). Alcune indagini (Buzzi, 1997) rilevano che il fumo di tabacco è complessivamente in regresso e che sempre meno ragazzi iniziano a fumare: sembra essere diffusa una concezione negativa del fumo, il cui consumo è meno influenzato da conoscenze ed opinioni. La sigaretta serve meno come strumento di socializzazione e di accettazione nel gruppo, mentre l’alcool, il cui consumo è in aumento, è più accettato socialmente. In particolare l’Osservatorio permanente sui giovani e l’alcol (2001) mostra dati che sostengono la sperimentazione di alcol da parte del 80% circa dei quattordicenni, con un aumento del 50% dei bevitori di età compresa tra i 14 ed i 24 anni, tra il 1995 ed il 2000 (Rosci, 2004). I dati relativi all’incidenza dell’uso di sostanze psicoattive, pur essendo scarsi, ci mostrano le tendenze degli ultimi anni; l’aumento del consumo precoce di cannabis, l’ecstasy e altre nuove tipologie di droghe (Iard, 1998; 2002) attribuisce grande importanza alla necessità di studiare tale fenomeno, soprattutto in relazione alle abitudini ed agli stili di vita adolescenziali, per capire quali motivazioni Il Cittadino e la Salute 113 spingono i giovani di oggi a fare un uso sempre più diffuso delle sostanze psicoattive. Solo in questo modo si rivela possibile un intervento tempestivo e/o preventivo. E’ da ricordare inoltre che, se in passato la droga più diffusa e più insidiosa per gli adolescenti era l’eroina, oggi, oltre all’alcol, sono l’ecstasy e le altre droghe sintetiche a preoccupare maggiormente (Pietropolli Charmet, 1999); a testimonianza di ciò vi sono i dati forniti periodicamente dai vari istituti di ricerca, Iard (Ente di ricerca sociologica), Doxa (Istituto per le ricerche statistiche e l’analisi dell’opinione pubblica) e Censis (Centro Studi Investimenti Sociali), nonché i fatti della cronaca quotidiana. I dati relativi alla situazione attuale ci mostrano come sia indispensabile intervenire, con la programmazione di opportuni piani di prevenzione. La ricerca di sensazioni forti è inevitabile in adolescenza, ma non deve diventare un’abitudine di vita soprattutto oggi, in un momento in cui la domanda è sempre più anticipata, infatti già tra i 14 ed i 15 anni di età, se non prima, si provano sostanze quali tabacco, alcol e marijuana (Grosso & Gatti, 2005). Il campanello d’allarme che segna il passaggio da uso sporadico a uso abituale va quindi colto subito per evitare situazioni irrecuperabili. L’attuale permanenza di fenomeni di consumo di massa, di sostanze stupefacenti in particolare, è diventata un luogo mentale collettivo, legato a mode e rappresentazioni sociali del momento, oppure a reazioni antitetiche ad esse (Ingrosso, 2003) ed è per questo che si sottolinea l’importanza di un intervento che parta dalla conoscenza approfondita della situazione, consapevoli del fatto che il fenomeno sociale “uso di droghe” ha cambiato e sta tuttora cambiando aspetto, arrivando anche a mettere in crisi le stesse comunità di recupero. Il radicamento e la consistenza dell’atteggiamento favorevole all’assunzione di droghe aprono la strada alla diffusione sempre crescente del consumo (Nizzoli, 2004). Particolarmente allarmanti sono i dati relativi al consumo di alcol; l’essere un bevitore non è percepito come un rischio eccessivo, ma come un vero e proprio ruolo da ricoprire. Il problema deriva anche dal fatto che l’inosservanza delle regole sociali e formali non è infrequente, né tipicamente adolescenziale, dal momento che anche gli adulti, nella maggior parte delle società occidentali, accettano, di buon grado, il consumo di alcol, ormai da considerarsi come una sostanza socialmente accettata (Noventa, 2004). L’errata percezione del rischio e l’avvicinamento precoce all’uso di sostanze psicoattive e di altre droghe si presentano quindi come un rischio evidente nei ragazzi, diffuso soprattutto nell’odierna società occidentale, nella quale l’assenza di punti di riferimento (Grosso 2001; Dogana, 2002; Rosci, 2003; Oliverio Ferraris, 2004), la ricerca del benessere soggettivo (Ricolfi, 1984; Heinz, 1993), la richiesta di massime prestazioni (Ingrosso, 2003) e la moda dello “sballo” (Ravenna & Cavazza, 2000) hanno la meglio. Bisogna dunque saper intervenire al momento giusto, mettendo a punto programmi di prevenzione e di promozione della salute che sappiano sviluppare risorse e capacità negli adolescenti (Giretti, Marzi, Bertoletti, 2004). Tali interventi, in parte già attivati, sono generalmente rivolti al mondo della scuola; in tale periodo della vita, infatti, l’esperienza vissuta in gruppo, quindi anche in quello che si instaura in classe, è sentita come un compito evolutivo fondamentale (Pietropolli Charmet, 1997). 78. LA FORMAZIONE - VOLONTARIATO IN PEDIATRIA L’attuale società pone bambini ed adolescenti nella necessità di affrontare esigenze sorte da situazioni di disagio di varia natura, ossia sociale, psicologico, scolastico, familiare, sanitario. Le cause di tale disagio possono essere molteplici: mancanza di punti di riferimento, difficoltà economiche, carenze sociali, ma anche malattie momentanee e/o croniche che, se affrontate nella solitudine della famiglia, diventano problematiche ed ancora più pesanti se a carico di famiglie povere e/o immigrate non ben inserite nel territorio. Dunque il clima della società odierna rischia di non alleggerire le difficoltà familiari in quanto non fornisce i significativi punti di riferimento necessari. In realtà situazioni di malattia possono colpire chiunque e in qualsiasi momento della vita ed è per questo che si ritiene di particolare importanza attribuire al disagio infantile e adolescenziale da essa derivante, la giusta importanza, agevolando di conseguenza la coesione sociale. Per favorire quindi la giusta valorizzazione di tali situa- 114 Il Cittadino e la Salute zioni di coesione sociale è indispensabile una collaborazione tra istituzioni, quali ospedale, università, scuola, servizi pubblici, comuni, provincia, regione, terzo settore (come il volontariato e le associazioni no profit), e così via. Spesso, infatti, tali enti, pur lavorando moltissimo e sui vari aspetti del disagio sociale, rischiano di sovrapporre il proprio intervento in relazione ad alcune mansioni, tralasciandone al tempo stesso altre, con conseguenti gravi lacune nei servizi offerti alla persona. Tutto ciò non fa altro che svantaggiare ancora una volta l’efficienza assistenziale, accrescendo la spesa sociale e aumentando nuovamente il disagio familiare. All’interno di un’ottica di rete, in cui ci si propone di favorire una collaborazione sempre più fitta e proficua tra le diverse istituzioni e gli enti no profit del territorio pavese, si è voluta creare una prima collaborazione tra scuola, ospedale ed università, con l’obiettivo di rispondere ad una situazione più o meno grave di disagio in modo più preparato e responsabile. In tale senso l’Università di Pavia (in particolare la prof.ssa Zanetti del Dipartimento di Psicologia), ha organizzato e coordinato un corso di formazione, indirizzato ai ragazzi dell’indirizzo psicologico del liceo “A. Cairoli” di Pavia che svolgeranno uno stage presso la clinica pediatrica dell’Ospedale Policlinico San Matteo di Pavia. Tale corso, svoltosi da febbraio a marzo 2006, per un totale di 5 giorni e 10 ore è stato organizzato con l’obiettivo di rendere gli stagisti più consapevoli del proprio intervento. I ragazzi hanno svolto infatti lo stage presso la sala giochi del piano terra del reparto di pediatria del San Matteo, dove si trovano alcuni ambulatori, quali allergologia, dietologia, ecc. e pertanto hanno ricevuto informazioni specifiche sul significato di malattia, in particolare di bambini e/o adolescenti e dei loro familiari, dei vissuti ad essa correlati, delle emozioni vissute in contesti ospedalieri, di aspetti di comunicazione verbale e non verbale, e così via, per poter svolgere un’attività ricreativa e ludica consapevole. Oltre ad alcune nozioni teoriche relative a concetti fondamentali legati ai vissuti di ospedalizzazione, ai ragazzi sono stati forniti opportuni stimoli verbali, suggerimenti per strumenti di lavoro, opportunità di brainstorming e di discussioni di gruppo, così da poter organizzare al meglio il successivo intervento in sala giochi. Attraverso due brevissimi questionari, somministrati uno all’inizio del corso ed un altro nell’ultima giornata dello stesso, si è potuta verificare l’efficacia delle azioni di formazione, dimostrando quanto sia utile un arricchimento di questo tipo e stimolando a continuare la collaborazione tra enti quali appunto università, ospedale e scuola. Attraverso progetti più ampi, in cui possono rientrare corsi simili a questo è infatti possibile creare un modello di comunicazione ed interazione che sia ramificato su tutto il territorio, in questo caso pavese, ottimizzando le risorse già presenti al fine di intervenire in modo più mirato garantendo servizi migliori soprattutto per bambini e adolescenti che si trovano in situazioni di disagio, anche se solo momentaneo. Saper gestire momenti complessi e delicati quali quelli di ospedalizzazione, responsabilizzando soprattutto chi svolge attività di intervento in questo campo, è solo il primo passo verso un più generale intervento multidisciplinare che mira proprio alla creazione di una “rete dei servizi” che svolga attività di protezione e prevenzione nella nostra città, partendo dall’individuazione di una mappa del disagio (assistenziale, sociale, psicologico, scolastico e familiare) attraverso cui rielaborare strategie efficaci di intervento mirato. 79. LA FORMAZIONE: EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA Il progetto “Il Cittadino e la Salute - Fare il Cittadino è il miglior modo di esserlo”, denominato E.C.O. - Educare alla Cittadinanza Oggi, proposto della nostra Rete - Scuola di Cittadinanza, con uno staff nazionale e volontari di territorio impegnati nella formazione alla cittadinanza attiva e alla tutela dei diritti facenti parte della Assemblea territoriale di Pavia-Onlus,con funzione di progettare e sostenere la realizzazione di attività formative in diversi ambiti scuola, giovani, sanità ecc.. Le finalità Il progetto intende contribuire alla rivisitazione dell’insegnamento dell’educazione civica attraverso: • l’arricchimento del concetto di cittadinanza in termini di cittadinanza attiva: • la specificazione dei contesti in cui opera la cittadinanza attiva: • la conoscenza e la sperimentazione di pratiche di tutela dei diritti dei cittadini. Il Cittadino e la Salute 115 La categoria di cittadinanza è fondamentale per un approccio innovativo all’educazione civica. Ad essa il compito fondamentale della formazione di una cittadinanza critica e responsabile. La pratica didattica è spesso prigioniera di un concetto di cittadinanza tradizionale: si sviluppa la trattazione dei diritti civili e politici riconosciuti dallo Stato. Una trattazione che si scontra con la realtà dove i diritti sono negati sistematicamente ed emergono le domande relative ai poteri del cittadino di tutela dei propri diritti. Queste domande segnano il passaggio alla cittadinanza attiva. Cittadinanza attiva viene quindi definita come la capacità dei cittadini di organizzarsi in modo multiforme, di mobilitare risorse (soggetti, risorse tecniche, risorse finanziarie), di agire per tutelare diritti esercitando poteri e responsabilità volti alla cura e allo sviluppo dei beni comuni (cfr. Moro. Manuale di cittadinanza attiva, 1998). La tutela dei diritti rappresenta la modalità operativa mediante la quale la cittadinanza attiva contribuisce alla produzione, alla conservazione e all’ampliamento dei beni comuni, alla costruzione e allo sviluppo della dimensione civica. La tutela dei diritti è guidata da principi operativi e proprie tecnologie come i monitoraggi, la mobilitazione dei cittadini, la creazione di strutture di ascolto e consulenza, l’istituzione di accordi, convenzioni, di conferenze di servizi, l’attuazione degli istituti di tutela previsti dalle leggi, la gestione dei conflitti, la raccolta e la diffusione delle buone pratiche, la progettazione di nuovi servizi, l’intervento giudiziario, la proclamazione delle carte dei diritti. Gli obiettivi Gli obiettivi di questo progetto sono finalizzati a: • sperimentare vari moduli formativi per la rivisitazione dell’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole; • avviare collaborazioni stabili tra organizzazioni civiche e scuole per la formazione a una cittadinanza critica e responsabile dei cittadini – studenti; • raccogliere buone pratiche di educazione alla cittadinanza con le esperienze ed i vari monitoraggi locali; • creare una rete di scuole particolarmente sensibili all’educazione della cittadinanza, con il necessario contributo di studenti, insegnanti, presidi, ed organizzazioni civiche, perché “cittadini attivi “si diventa attraverso varie esperienze di formazione, al fine di accrescere la consapevolezza del proprio ruolo, per migliorare lo svolgimento del proprio intervento, per poter conoscere attraverso l’impegno personale gli strumenti esistenti, facilmente realizzabili, con l’indispensabile sostegno delle pubbliche amministrazioni quali la Provincia di Pavia, il Comune di Pavia, la Prefettura, l’A.S.L., ecc.. La cittadinanza scolastica come partecipazione attiva al proprio percorso formativo inserita nel POFPiano della Offerta Formativa e globale dell’educazione alla “formazione della cittadinanza consapevole”, perché l’educazione alla cittadinanza consapevole rappresenta una fondamentale scelta formativa ed educativa. Questo significa anche promuovere una crescita sana, positiva e consapevole dei nostri studenti. Il livello di democrazia all’interno di una comunità non si misura soltanto dai parametri indicati dall’ordinamento giuridico-normativo generale, in questo caso quello scolastico, ma anche dallo sviluppo concreto e nell’esercizio quotidiano di poteri e responsabilità da parte degli attori principali di ogni singola istituzione scolastica. La pratica della democrazia, all’interno di una comunità che ha per fine la formazione dei cittadini di domani, si carica così anche di una valenza educativa. La partecipazione attiva in un quadro di regole democratiche, la piena operatività di un sistema di rappresentanze, la possibilità di svolgere autonomamente alcune attività di chi si assume la responsabilità, l’esercizio dei diritti ed il rispetto dei doveri all’interno della scuola, rappresentano momenti di educazione alla cittadinanza, alla legalità, alla democrazia. In questo campo si può imparare anche grazie all’agire, al fare e al saper fare. Grazie in altri termini, all’esercizio di un ruolo attivo dei protagonisti della scuola,... gli studenti! Se l’obiettivo della scuola dell’autonomia è quello di puntare al raggiungimento del “successo formativo” da parte di ciascuno, è necessario prevedere un coinvolgimento condiviso, consapevole 116 Il Cittadino e la Salute e attivo all’interno dei medesimi percorsi formativi. Il presupposto è che lo studente sia considerato davvero un vero cittadino della comunità scolastica, un soggetto dell’apprendimento, un utente di un servizio pubblico. Lo studente è così il titolare del diritto ad apprendere e tutta l’organizzazione scolastica deve tendere verso la realizzazione di questo diritto. Con il 4° comma dell’art.118 i partiti e i soggetti pubblici non detengono più in forma esclusiva il monopolio della rappresentanza dell’interesse generale. Il compito di garantire la cura dei beni comuni e il rispetto dei diritti fondamentali viene attribuito anche ai cittadini, soprattutto quando le stesse istituzioni sono inadempienti e le leggi non vengono attuate. Non tutte le azioni della cittadinanza attiva ricadono sotto la previsione del nuovo articolo che non è un ombrello per mettere al riparo da qualsiasi attività invocando l’interesse generale; è altrettanto vero che non sono più le istituzioni a decidere di volta in volta quando è in gioco l’interesse generale o a stabilire quando tutelarlo e quando no. Le leggi ci sono già, gli stessi cittadini possono farsene interpreti mentre la magistratura può svolgere il ruolo di arbitro e interprete. Il regolamento per l’autonomia scolastica prevede che ciascun Istituto definisca il proprio Piano di Offerta Formativa (POF) e ne faccia copia per ciascuno studente all’atto dell’iscrizione. Il Piano rappresenta così la Carta della scuola, la sua identità pubblica; è forte il rischio che, senza il vero coinvolgimento degli studenti, delle famiglie, della società civile, tale Carta resti solo una lettera d’intenti, o peggio, solo una procedura burocratica. In riferimento a quanto detto si elenca di seguito i MODULI interdisciplinari e specifici per la scuola indicata: • Dalla cittadinanza tradizionale alla cittadinanza attiva applicata al proprio territorio , ambito regionale, nazionale, europeo, mondiale. • Carte dei diritti fondamentali dell’uomo, nazionali, europei. • Educazione alla cittadinanza e condizione del “cittadino attivo” – sviluppare e/o infondere nell’animo degli studenti le capacità oltre al desiderio di partecipazione attiva alla società di cui fanno parte. • Far maturare negli studenti (o sollecitare) una fiducia civica tesa a rendersi manifesta con una futura partecipazione alle attività di volontariato. • Concetto di beni comuni, di politiche pubbliche, di poteri civici. • Incontro con le autorità: Sindaco di Pavia e Assessorati, Presidente della Provincia e Assessorati (sociali, pari opportunità, cultura). • Concetto di diritti, doveri, ma anche di poteri e responsabilità a partire dagli ambiti scolastici. • Concetto di sicurezza e protezione del territorio. Incontro con forze di Polizia, Carabinieri, Vigili del fuoco, Vigili urbani, ecc • Sicurezza delle strutture scolastiche – formazione alla sicurezza, monitoraggio con griglie, ecc. • Strumenti e tecnologie di tutela dei diritti (forme non violente e democratiche) utilizzabili all’interno della scuola ma anche in altri ambiti. • Statuto degli studenti– conoscenza e contenuti – analisi critica e applicabilità – monitoraggi relativi nelle altre scuole – nei servizi (visita impianti di filtrazione delle acque, raccolta e riciclaggio dei rifiuti, servizi autobus ecc.) – nell’ambiente visite al Parco del Ticino – Imbarcadero sul fiume Ticino – prove di Protezione civile • La gestione degli spazi nella città di Pavia, come luoghi di incontri ed aggregazione per adolescenti – monitoraggio e documentazione fotografica – dossier finale. • Educazione alla legalità, alla solidarietà pre-adolescenziale, al multiculturalismo di una società multietnica: dal pregiudizio alla scoperta dei valori degli altri. • Monitoraggio sulle possibilità di censimento (attraverso la frequenza dei ragazzi extracomunitari nelle scuole ) di eventuali “mediatori culturali” disponibili a collaborare con le Istituzioni (ospedali, A.S.L., ecc.), per interventi di mediazione occasionali. • Educazione alla salute – diritti e doveri dell’ammalato – tutela della dignità del paziente - monitoraggio delle liste di attesa - funzionamento del sevizio di “Pronto soccorso” • Educazione al “Risparmiare per vivere meglio: l’energia, l’acqua, i rifiuti” – fonti di energia tradizionali e rinnovabili. Il Cittadino e la Salute 117 QUELLO CHE OGGI E’ IMPORTANTE CONOSCERE 80. NON SOLO SARS (SEVERE ACUTE RESPIRATORY SYNDROME) Consigli utili per prevenire le malattie infettive da contagio tra persone. I consigli che seguono sono tratti dai materiali di comunicazione pubblicati per una campagna di informazione e tutela promossa dai medici di famiglia e da CittadinanzAttiva, Tribunale per i diritti del malato, nel maggio 2002 per aiutare i cittadini a prevenire l'insorgere della Sars (Severe Acute Respiratory Syndrome). Si tratta di un elenco di regole elementari per la prevenzione, che può essere considerato valido e utile non solo per la Sars, ma anche per altre forme infettive che abbiano come bersaglio gli stessi organi e siano sovrapponibili per le modalità di contagio. Essi rappresentano, come sempre, un modo assai pratico, come nella tradizione delle organizzazioni di tutela, per fare informazione nei confronti dei cittadini provando a dire loro ciò che maggiormente può essere utile. Si raccomandano sempre e per tutti le seguenti misure preventive: • mantenere una buona igiene personale, lavarsi le mani dopo aver starnutito o tossito o pulito il naso; • per la disinfezione dell’ambiente, degli oggetti e delle mani, utilizzare prodotti a base di cloro attivo la cui stabilità sia certificata; • ventilare bene gli spazi chiusi; • evitare di visitare luoghi chiusi e/o con cattiva ventilazione; • tenere a disposizione fazzoletti di carta; • evitare l’uso promiscuo di stoviglie, asciugamani, indumenti. Nel caso dei bambini è importante: • pulire bene i loro giochi; • insegnare a coprirsi il naso e la bocca quando si starnutisce o si tossisce; • prestare attenzione all’igiene delle mani; • far utilizzare sapone liquido per lavarsi le mani e fazzoletti di carta per asciugarsi quando si visitano bagni aperti al pubblico. In caso di presenza in ambiente domestico di un sospetto caso di Sars: • all’esordio dei sintomi, in attesa del ricovero, provvedere a ospitare il malato in un ambiente della casa isolato; • evitare tutte le visite inutili sia nella camera del malato sia nella casa; • buona aerazione degli ambienti; • indossare la maschera per entrare nella camera del malato e lavarsi le mani all’uscita dalla stessa; • mettere la maschera al paziente a meno che non sia impossibile per la presenza di grave, difficoltà respiratoria; • indossare sempre la maschera se fosse necessario avvicinarsi al malato; • lavare accuratamente le mani prima e dopo ogni contatto con il malato e indossare sempre i guanti; • devono essere indossati i guanti per pulire qualsiasi oggetto di uso comune venuto in contatto con il malato. Biancheria, lenzuola e coperte devono essere lavate con sapone e acqua calda; • le superfici ambientali devono essere pulite con acqua calda e disinfettante a base di cloro attivo; • ciò che viene usato per pulire il malato da eventuali liquidi biologici deve essere messo insieme ai guanti e alle mascherine utilizzate in un sacchetto di plastica, che deve essere chiuso ermeticamente. Lo stesso si deve fare per i fazzoletti di carta usati dal malato; Il Cittadino e la Salute 119 • • • • • • • evitare l’uso dell’aspirapolvere per pulire l'appartamento in modo da pulire senza sollevare polvere; pulizia delle toilettes: usare sempre guanti e mascherina quando si procede a pulire il locale del bagno. Il bagno è un ambiente che potrebbe essere ad alto rischio, in particolare se il malato ha avuto diarrea; abbassare sempre il coperchio del water prima di scaricare l’acqua, per evitare la diffusione di goccioline potenzialmente infette nell’ambiente. Per la pulizia usare ipoclorito di sodio la cui stabilità sia certificata. versare il detergente in tutti i tubi degli scarichi. Lavarsi attentamente le mani con acqua e sapone liquido; avvertire l’amministratore di condominio e i condomini della presenza del malato, invitando a eseguire una disinfezione dei locali comuni e consigliando a tutti di chiudere sempre il coperchio del water prima di scaricare l’acqua; avvertire il datore di lavoro del caso sospetto; contattare conoscenti o persone che hanno avuto contatti con il malato, invitandoli a darne comunicazione al medico curante o alle autorità sanitarie (A.S.L.). (Fonti del documento: Oms, Ministero della Sanità del Canada, Cdc Usa, Ministero della Sanità di Hong Kong, Ministero della Sanità di Singapore, Ministero della Sanità francese, adattamento a cura di Fimmg e Italpromo Esis Publishing). 81. INFLUENZA AVIARIA E INFLUENZA STAGIONALE L’INFLUENZA UMANA E’ DIVERSA DALL’INFLUENZA AVIARIA: l’influenza umana è una malattia causata da virus, che provoca febbre, malessere generale, debolezza, raffreddore e tosse. Esiste l’influenza aviaria che colpisce i volatili e che non deve al momento destare particolari preoccupazioni perché: • la malattia si trasmette all’uomo solo attraverso contatti diretti e prolungati con animali e con i loro prodotti organici (feci, sangue, piumaggio ecc.); • le poche persone contagiate dal virus non lo hanno trasmesso ad altre persone • il passaggio del virus da uomo a uomo non è stato dimostrato; • mangiare carne di pollo, anatra, tacchino ecc. non provoca rischi. INFLUENZA UMANA: CHI LA PROVOCA: l’influenza che ogni anno si presenta in autunno-inverno è provocata da virus influenzali che circolano in tutto il mondo e che ogni anno, presentano delle minime variazioni del proprio corredo genetico. CHI COLPISCE: generalmente migliaia di persone si ammalano nel corso delle epidemie stagionali e, negli anziani e malati cronici, può provocare gravi complicanze. COME SI TRASMETTE: si diffonde soprattutto per via aerea, parlando o tossendo, quindi contagiarsi è molto facile. COME CI SI PROTEGGE: alcune misure di comportamento possono ridurre il rischio (evitare i contatti ravvicinati bocca-bocca, lavarsi le mani di frequente), ma la protezione più efficace si raggiunge con la vaccinazione antinfluenzale. 120 Il Cittadino e la Salute RISCHIO DI PANDEMIA: se invece delle piccole modifiche del patrimonio genetico che si verificano tutti gli anni, i virus dovessero subire una trasformazione profonda, si potrebbe avere una pandemia, poiché la maggior parte della popolazione non avrebbe alcuna “memoria immunitaria”. INFLUENZA AVIARIA CHI LA PROVOCA: virus influenzali diversi da quelli che normalmente provocano l’influenza umana, in grado di determinare nei volatili malattie di diversa gravità. CHI COLPISCE: il virus circola normalmente tra gli uccelli selvatici e solo occasionalmente può colpire volatili d’allevamento. Solo in condizioni particolari può colpire anche altre specie ed eccezionalmente l’uomo. COME SI TRASMETTE: Da animale ad animale: principalmente attraverso feci e altri materiali organici. Da animale e uomo: con contatto diretto e prolungato con animali infetti attraverso feci e altri materiali organici (non si trasmette con il consumo di carni cotte). Da uomo a uomo: al momento non esistono segnalazioni di questa via di trasmissione. COME CI SI PROTEGGE: la prevenzione della diffusione della malattia tra i volatili si basa su:adozioni di adeguate misure igienico-sanitarie negli allevamenti in modo da diminuire la possibilità di contatto tra volatili da allevamento con volatili selvatici;sorveglianza negli allevamenti per individuare tempestivamente eventuali casi di malattia; abbattimento dei volatili presenti negli allevamenti dove si dovesse manifestare la malattia. RISCHIO DI PANDEMIA: solo nel caso, per ora ipotetico, che un virus che colpisce i volatili si modifichi, e oltre a colpire direttamente l’uomo, assume la capacità di trasmettersi da uomo a uomo. 82. INFEZIONI RICORRENTI NEL BAMBINO Che cosa si intende per infezioni ricorrenti? Le infezioni ricorrenti rappresentano un quadro clinico frequente in età pediatrica con interessamento prevalente a carico delle prime vie aeree. Questa situazione si manifesta, solitamente, in età prescolare, in coincidenza della prima socializzazione del bambino con l’ingresso alla scuola materna. Benché si tratti di una patologia benigna destinata ad evolvere favorevolmente verso i 12 anni, essa interferisce notevolmente sulla condizione di benessere del bambino e determina importanti costi medico sociali. Il quadro delle infezioni respiratorie ricorrenti è costituito da una serie di episodi acuti a carico di un settore definito (orecchie, faringe, tonsille ecc) o di volta in volta rivolto a settori diversi. Il gruppo di studio d’immunologia della Società Italiana di Pediatria ha fissato come criteri per definire un bambino affetto da infezioni respiratorie ricorrenti le seguenti condizioni: • bambino con più di sei infezioni respiratorie in un anno, • bambino con più di un infezione respiratoria alta al mese tra settembre e aprile, • bambino con più di tre infezioni basse in un anno. Quanto è frequente il problema? Differenti studi hanno dimostrato che l’incidenza delle infezioni respiratorie è massima nei primi due anni di vita (fino a 6-7 episodi per anno) diminuendo con la crescita. Il Cittadino e la Salute 121 Età ( anni) Infezioni per anno 0a2 6 3a4 5 5a9 4 10 a 14 3 Che caratteristiche cliniche ha questa condizione? I quadri clinici di presentazione della malattia possono essere differenti: • infezione aspecifica delle prime vie aeree, che si manifesta con febbre, e arrossamento di tutte le mucose delle prime vie respiratorie; • faringotonsillite caratterizzata da un interessamento esclusivo dell’istmo delle fauci, e coinvolgimento dei linfonodi satelliti; • otite contraddistinta da arrossamento della membrana timpanica; • laringite più frequente nel secondo terzo anno di vita; • tracheobronchite caratterizzata da tosse; • bronchite ostruttiva o bronchite asmatiforme caratterizzata da tosse e difficoltà respiratorie; • broncopolmonite. Quali sono i microbi responsabili? La maggior parte di queste infezioni sono di origine virale (rhinovirus, virus parainfluenzali, virus respiratorio sinciziale). Le meno frequenti sono di natura batterica (pneumococco, emofilo). L’attecchimento di virus respiratori è in particolare favorito dall’esposizione a fattori ambientali o genetici che permettono il mantenersi di una situazione di infiammazione minima persistente. Fattori favorenti • Precoce frequenza della scuola • Esposizione al fumo passivo • Numero di conviventi elevato • Stagionalità • Inquinamento ambientale • Allergie respiratorie • Deficit immunitari Può essere responsabile un deficit immunitario? I bambini con infezioni ricorrenti possono essere classificati in tre categorie: • Bambini sani (80%) • Bambini allergici (20%) • Bambini con immunodeficit (molto raramente) Nel gruppo dei bambini sani con infezioni ricorrenti dell’albero respiratorio la causa è da identificare nell’immaturità del sistema immunitario. Nei pazienti allergici le infezioni ricorrenti in genere senza febbre, interessano prevalentemente le alte vie respiratorie. I bambini con immunodeficit possono avere deficit IgA, deficit funzionale delle sottoclassi IgG, o ipogammaglobulinemia. E’ possibile sospettare tale patologia quando il tipo, la frequenza o la localizzazione delle infezioni è insolita. Quale conclusione trarre? • Partendo da queste premesse la conclusione che si può trarre è che: • Un numero anche ragionevolmente elevato di infezioni respiratorie, ma di modesta gravità e a localizzazione prevalentemente alta, può essere considerato “fisiologico”; • i bambini che presentano una situazione clinica di questo genere, non meritano ulteriori approfondimenti perché destinati a normalizzarsi verso i 6-7 anni di età. 122 Il Cittadino e la Salute 83. L’ASMA Il termine asma rappresenta un insieme di sintomi vale a dire che non si tratta propriamente di una malattia bensì di una sindrome. L’elemento fondamentale è la difficoltà al passaggio dell’aria attraverso i bronchi in particolare nella fase di espirazione. Questo per il paziente significa soprattutto “mancanza di respiro” ma anche tosse, difficoltà a far fuoriuscire il catarro o il muco che si forma nei bronchi, respiro sibilante o fischiante. Per lo specialista la diagnosi d’asma comporta concordanza di molti elementi poiché esistono anche altre malattie che possono causare gli stessi sintomi come ad esempio lo scompenso cardiaco, l’enfisema e la bronchite. Chi si ammala d’asma Chiunque può ammalarsi d’asma e in qualsiasi momento della vita anche se avviene con maggior frequenza durante l’infanzia, la prima maturità e la terza età. Circa il 5 % della popolazione nei paesi industrializzati è affetto da asma. In Italia si calcola che vi siano circa tre milioni di soggetti asmatici e fra di loro molti sono bambini e adolescenti. L’asma è da considerarsi a tutti gli effetti una malattia sociale. È causa di milioni di ore di assenza dal lavoro e costringe i soggetti affetti a svolgere a tono ridotto la propria attività lavorativa, scolastica o ricreativa. L’allergia è causa del 50 % delle forme d’asma. Tuttavia l’asma colpisce solo quelle persone che hanno una iper-reattività bronchiale, coloro cioè le cui cellule muscolari bronchiali presentano una certa sensibilità. Questa iper-reattività può complicarsi e trasformarsi. L’asma è ereditaria? Sia la condizione allergica, sia la fragilità bronchiale possono essere parzialmente ereditate. Molti asmatici infatti si pongono il problema della possibile trasmissione della malattia ai propri discendenti. I genitori asmatici non generano sempre figli asmatici e l’asma può comparire anche in famiglie nelle quali non si era mai manifestata prima. La componente ereditaria della sindrome non deve essere motivo di seria preoccupazione per la futura generazione poiché oggi è possibile instaurare precocemente una corretta prevenzione nei confronti dei figli. Si può guarire dall’asma? Allo stato attuale esistono numerosi ed efficaci trattamenti in grado di curare l’asma o di controllarne i sintomi. Se usati in modo corretto possono prevenire o accentuare gli eccessi o ridurne la frequenza. Tuttavia non esistono ancora cure mediche che possono sconfiggere in modo certo e definitivo la malattia. Non bisogna dimenticare che una corretta terapia dell’asma può permettere nella stragrande maggioranza dei casi una vita perfettamente normale. Ecco perché è importante che il paziente conosca i fattori che la determinano, i trattamenti atti a curarla e il corretto uso dei farmaci e soprattutto che instauri un buon rapporto con il proprio medico curante. Solo in questo modo sarà possibile condurre una vita attiva e senza limitazioni. Come funziona il nostro apparato respiratorio Quando respiriamo, l’organismo assolve due funzioni: assume ossigeno dall’aria ed elimina all’esterno l’anidride carbonica prodotta dall’organismo. L’aria inspirata passa attraverso il naso e la bocca nella trachea. Questa si divide in due bronchi principali: uno si dirige verso il polmone di destra, l’altro verso il polmone di sinistra. I bronchi sono paragonabili ai rami di un albero che si espandono e si allungano fino a terminare in piccole sacche elastiche (alveoli) attraverso cui l’ossigeno presente nell’aria inspirata è trasferito direttamente nel sangue. Contemporaneamente l’anidride carbonica è trasferita dal sangue negli alveoli da dove viene allontanata tramite l’espirazione. La trachea e i bronchi sono circondati da una struttura muscolare e contengono nella parete interna ghiandole in grado di produrre muco. I muscoli hanno la capacità di contrarsi e rilassarsi mentre il muco ha la capacità di trattenere tutte le particelle inalate estranee all’organismo, ed eliminate all’esterno principalmente con la tosse. Il Cittadino e la Salute 123 Cosa avviene durante un attacco d’asma L’elemento che caratterizza l’attacco d’asma è la difficoltà al passaggio dell’aria attraverso i bronchi, cioè l’ostruzione bronchiale. Tre sono i fattori che possono causare questo fenomeno: • i muscoli che avvolgono i bronchi si contraggono e si accorciano sin quasi a strozzarli; • la mucosa dei bronchi si gonfia per accumulo di liquido fuoriuscito dai vasi bronchiali; • nello spazio interno ai bronchi si accumula catarro abbondante prodotto dalle ghiandole bronchiali che ostruisce ulteriormente il passaggio d’aria. In queste condizioni respirare è veramente difficile. L’aria fa molta fatica ad entrare ed uscire dagli alveoli, compare tosse continua nel tentativo di eliminare il catarro e il respiro diventa sempre più affannoso accompagnato da sibili e fischi. Questi sono i sintomi caratteristici di un attacco d’asma. Durante la crisi d’asma il polmone è paragonabile ad un palloncino che non riesce a svuotarsi; pertanto il paziente cercherà di introdurre più aria possibile. Ne risulta che il diaframma si abbassa e il torace si dilata al massimo. La paura e l’affanno aumentano le difficoltà e la fame d’aria. Non appena i muscoli bronchiali si rilasciano, il catarro viene rimosso e le pareti dei bronchi si svuotano del liquido accumulato, il respiro torna regolare e tutti i sintomi descritti scompaiono. Asma da sforzo Lo sforzo fisico può causare crisi asmatiche specialmente nei bambini (che eseguono facilmente sforzi fisici più intensi e duraturi degli adulti). Gli sport che provocano l’asma più facilmente sono quelli che determinano un aumento rapido ed intenso della respirazione. Anche se il nuoto è uno degli sport meno asmigeni è talvolta sconsigliato negli asmatici perché un eccesso di cloro contenuto nell’acqua delle piscine può scatenare una vera crisi d’asma. Il luogo in cui avviene lo sforzo può inoltre condizionare la comparsa dei sintomi. In particolare, la corsa in un prato, per un allergico alle graminacee, può determinare la somma di due stimoli: aspecifico e allergico. I fattori che possono provocare l’asma È opinione molto diffusa che l’asma sia sempre provocata da un’allergia. In verità questo è vero solo nel 50% dei casi. I soggetti che vanno incontro a questa malattia sono spesso predisposti geneticamente (hanno parenti con manifestazioni allergiche) e manifestano precocemente reazioni allergiche (eczema, intolleranze alimentari, rinite ecc.). tuttavia l’ambiente gioca un ruolo determinante: i fattori ambientali possono infatti scatenare l’asma, o indurre una sensibilizzazione allergica anche in soggetti non predisposti ereditariamente. Le sostanze di origine naturale in grado di scatenare allergie ed asma sono: • gli acari • le muffe • i derivanti epidermici degli animali domestici (saliva in particolare) • i pollini ( graminacee, parietaria, betulla, nocciolo, olivo, ambrosia, ecc…). Alimenti in particolar modo il latte, l’uovo, i crostacei, il merluzzo e alcune verdure. Anche alcuni additivi che servono per la conservazione degli alimenti possono scatenare una reazione allergica di tipo asmatico. Recentemente inoltre sta diventando sempre più diffusa una forma di allergia al lattice, componente naturale dal quale si estrae la gomma. Può dare arrossamenti ed orticaria, ma anche gonfiore diffuso alle labbra, al volto e a tutto il corpo e creare non pochi problemi a livello respiratorio con rinite ed asma anche di notevole gravità, spesso chi è allergico al lattice lo è anche ad una pianta ornamentale molto diffusa, il ficus benjamin nonché ad alcuni alimenti tra cui le banane, le castagne, gli avocado, il kiwi e le nocciole. I test cutanei o prove allergiche Consistono nel mettere a contatto la parte sensibile della pelle del paziente con le sostanze verso cui si sospetta una sensibilizzazione (allergeni). Si possono eseguire iniettando con un piccolo ago l’estratto nella pelle (test intradermico), ma più frequentemente si punge leggermente la pelle sulla quale è stata 124 Il Cittadino e la Salute depositata una goccia dell’estratto delle allergene (PRIK TEST). Questi esami sono rapidi, indolori e privi di rischio. Solo i test cutanei per gli alimenti eseguiti con la metodica PRIK BY PRIK (cioè pungendo la cute con una lancetta che prima aveva punto l’alimento crudo), o quelli per veleno di insetti o farmaci possono dare reazioni di una certa importanza. Cosa si può fare contro l’asma? Il paziente asmatico ha un ruolo determinante nel controllo e nella gestione della sua malattia. Egli può infatti contribuire ad evitare le cause dell’asma attraverso: L’attuazione di essenziali norme igieniche di prevenzioni Il monitoraggio della malattia La prevenzione dei sintomi e la cura con i farmaci 84. LE MISURE IGIENICHE AMBIENTALI DI PREVENZIONE L’acaro della polvere di casa è un minuscolo organismo che vive nella polvere ed è una delle più importanti cause di rinite ed asma allergica. Evitare l’esposizione agli acari è difficile ma si può senz’altro limitarne la diffusione. In casa il primo bersaglio della profilassi ambientale deve essere la camera da letto. • Arredare la camera con mobilio semplice, indispensabile, a superfici lisce • Eliminare tutti gli oggetti che possono trattenere la polvere (peluche, tappeti, tendaggi, moquette, imbottiture) • Il materasso e il cuscino devono essere nuovi e di materiale sintetico e devono essere aspirati regolarmente una o due volte a settimana. • E’ utile avvolgere i materassi e i cuscini con fodere di materiale non poroso (antiacari) che si trovano in commercio. • Le coperte devono essere facilmente lavabili e devono essere esposte all’aria e al sole a lungo. • Aerare la stanza almeno venti minuti al giorno • Lavare tutta la biancheria del letto con acqua molto calda almeno una volta a settimana • Se il paziente è un bambino preferire giocattoli facili da pulire (di legno, di gomma o metallo) eventuali giocattoli di pezza devono essere regolarmente lavati in acqua calda • Il paziente non deve sostare in locali mentre vengono fatte le pulizie e usare sempre un aspirapolvere dotato di filtri efficaci • Mantenere il tasso di umidità al di sotto del 40-50%. Può essere controindicato l’umidificatore mentre può essere indicato l’uso del condizionatore d’aria I pazienti allergici alle muffe dovrebbero evitare di soggiornare in ambienti umidi o in aree dove le muffe si sviluppano abbondantemente (zone in ombra, mucchi di foglie ecc.) e ricordarsi di arieggiare bene le stanze chiuse da molto tempo. Non dimenticate che anche la polvere di casa può contenere una grande quantità di spore di muffe. Altrettanto importanti sono le misure di profilassi in soggetti allergici ai pollini. La conoscenza dei calendari pollinici permette, infatti, di evitare il soggiorno nelle zone più a rischio e nei momenti di massima pollinazione. Esiste una terapia medica contro l’asma? Come abbiamo già accennato nei capitoli precedenti allo stato attuale non esistono cure mediche utili ad una guarigione certa e definitiva. Esistono tuttavia numerosi ed efficaci trattamenti in grado di curare l’asma o di controllare i sintomi. L’obiettivo della terapia dell’asma è quello di consentire al paziente il mantenimento di uno stato di benessere con condizioni di vita il più possibile normali, compresa una normale attività lavorativa e la pratica di un’attività sportiva. La terapia va proseguita per tutta la vita anche se non necessariamente questo comporta l’assunzione di farmaci ma solo l’attuazione di semplici accorgimenti nello stile di vita. I farmaci utilizzati per la cura dell’asma si dividono in tre categorie: • farmaci attivi sulla malattia e cioè antinfiammatori (cortisoni, cromoni e antileucotrieni). Il Cittadino e la Salute 125 • • Farmaci attivi sui sintomi a lunga durata d’azione (betastimolanti a lunga durata d’azione e teofillinici a lento rilascio). Farmaci attivi sui sintomi a rapido effetto (betastimolanti, anticolinergici e teofillina). Questi farmaci vanno usati sempre quando servono e alle dosi necessarie per sfruttare il massimo effetto. Non tutti i farmaci sono somministrati attraverso l’utilizzo di bombolette spray, erogatori di polvere, nebulizzatori. Il tipo e la dose dei farmaci sono scelti in base alla gravità dell’asma. La regola generale è che si devono utilizzare i farmaci necessari per ridurre al minimo i sintomi nel più breve tempo possibile, diminuendo poi gradualmente la terapia fino ai minimi dosaggi in grado di mantenere sotto controllo l’asma. Ogni riduzione delle terapie dovrà avvenire dopo un periodo di stabilizzazione. Come si arriva alla diagnosi di asma bronchiale In presenza di uno o più sintomi fra quelli elencati nella sezione “cos’è l’asma” è necessario rivolgersi immediatamente al proprio medico di base, il quale dopo un’indagine accurata, valuterà se il paziente va sottoposto ad ulteriori accertamenti specialistici. In particolare lo pneumologo è lo specialista più indicato per una analisi globale della situazione, il quale cercherà di arrivare ad un’eventuale diagnosi d’asma seguendo il seguente percorso: Attraverso la storia clinica • dalla quale si possono ottenere informazioni determinanti su: • storia lavorativa; • abitudini di vita; • caratteristiche dei sintomi; • fattori che si associano alla crisi asmatica. Attraverso un accurato esame fisico Permetterà di fare diagnosi nel caso in cui il paziente venga visitato durante una crisi asmatica. Ponendo il fonendoscopio sul torace è possibile sentire i rumori caratteristici dell’asma. Frequentemente però l’asmatico si rivolge al medico a crisi già superata. Attraverso le prove del respiro Un esame preciso, ma di semplice esecuzione è la spirometria utile per la misurazione dei volumi e dei flussi espiratori. Il paziente respira dentro un boccaglio ed il suo respiro verrà misurato da una macchina (pirometro). Cosa bisogna fare durante un attacco d’asma Gli attacchi d’asma variano molto come intensità e durata e proprio per la variabilità e l’imprevedibilità che li caratterizza è necessario intervenire al primo insorgere dei sintomi (tosse insistente, difficoltà del respiro). Solo in questo modo sarà possibile controllare la crisi. Il trattamento al quale si ricorre genericamente in prima istanza è un broncodilatatore spray. Il paziente dovrà comunque constatare un miglioramento ed una regressione dei sintomi, dopo aver assunto i farmaci consigliati. Se ciò non avviene bisogna chiamare al più presto il medico, o andare al pronto soccorso. 85. ALLERGIA AGLI ACARI DELLA POLVERE Di cosa si tratta Gli acari della povere di casa (dermatophagoides pteronissimus e farinae) sono piccoli organismi, visibili solo al microscopio, che si trovano negli ambienti ove vivono uomini e animali. Essi infatti si nutrono di forfora prodotta dal normale ricambio della nostra pelle. Vivono e si riproducono in ambienti caldi (temperatura superiore al 70%) e non sopravvivono ad altezze superiori ai 2000 metri, preferiscono oggetti costituiti da materiale naturale (ad esempio lana) piuttosto che sintetico. Da quanto detto è chia- 126 Il Cittadino e la Salute ro che le sedi della casa in cui gli acari sono presenti in maggiore quantità sono il letto (materassi, cuscini, piumini, coperte) e le poltrone imbottite, arredi sui quali trascorriamo molto tempo e nei quali si creano le migliori condizioni di temperatura e umidità. Da queste sedi gli acari si diffondono nell’ambiente circostante, annidandosi preferenzialmente nei materiali che raccolgono più polvere (pavimenti, tappeti, tendaggi, peluches, libri). Per prevenire l’allergia nei soggetti predisposti, oppure per ridurre i sintomi nei soggetti già allergici agli acari, è necessario diminuire il numero di acari presenti nella propria casa. Come si manifesta Le vie respiratorie sono il bersaglio preferito dell’allergia agli acari. Il bambino può presentare asma e/o rinite, meno frequentemente congiuntivite o eczema. I sintomi si presentano soprattutto nel periodo invernale, quando, per effetto dell’alta temperatura e dell’alto tenore di umidità, si creano le condizioni ideali per la crescita degli acari. Sono possibili però riacutizzazioni anche estive, ad esempio quando il bambino soggiorna in una casa non abitata da qualche tempo. Cosa fare La casa (in particolare la stanza da letto) deve essere ben arieggiata, non deve essere troppo calda (con temperatura non superiore ai 20°C) né umida (umidità ideale non superiore al 40-50%). Se necessario si può usare un apparecchio deumidificatore. Ponete particolare attenzione a cuscini, materassi, coperte, trapunte e piumini. Preferite sempre materiali sintetici. Utilizzate, comunque, per sigillare cuscini, materassi e piumini fodere apposite di materiale impermeabile (goretex e altri, non di cotone). Tali attenzioni vanno estese a tutti i letti della stanza, anche a quelli di persone non allergiche Per quanto possibile, in particolare dalla stanza da letto, eliminate tutto ciò che può essere ricettacolo di polvere: tendaggi pesanti, carta da parati, moquette, tappeti, peluches, poltrone imbottite, libri (usare librerie chiuse), soprammobili, fiori secchi. Arredate la casa con mobili semplici facilmente pulibili. Pulite spesso e accuratamente la casa (ricordatevi di pulire bene anche i termosifoni), spolverate con panni umidi, utilizzate un aspirapolvere dotato di microfiltro. Sono in commercio aspirapolvere dotati di filtro (detto HEPA) molto valido, ideale per trattenere gli acari: si tratta di elettrodomestici ottimi ma molto costosi. La pulizia dei tappeti e dei mobili imbottiti è particolarmente difficile e spesso poco efficace, pertanto può essere utile usare periodicamente prodotti acaricidi (vedi oltre). È bene che la persona allergica non sia presente durante le pulizie. Lavate frequentemente la biancheria del letto (una volta a settimana) ad una temperatura superiore ai 55°C; se possibile, esponete al sole, a lungo e spesso materassi, cuscini e coperte. Qualche consiglio particolare Se vostro figlio ha un orsetto inseparabile, riservate al peluche un trattamento speciale: lavatelo ogni 15 giorni in lavatrice ad una temperatura di almeno 55°C, fatelo asciugare poi mettetelo per 12-24 ore nel freezer, chiuso in un sacchetto di plastica. Lo stesso trattamento può essere riservato periodicamente ad altri oggetti ricettacolo di polvere. Non comprate materassi in lattice: anch’essi vengono colonizzati dagli acari e si “sbriciolano” se ricoperti con coprimaterassi impermeabili. I coprimaterassi in goretex e affini sono costosi ma molto importanti. L’unica alternativa valida è racchiudere il materasso in un sacco di plastica. Questa soluzione non è confortevole: la plastica è rumorosa, non fa traspirare, è scivolosa... si può ovviare in parte a questi inconvenienti mettendo tra il sacco di plastica e il lenzuolo un coprimaterasso in spugna (da lavare spesso). Ricordatevi di pulire frequentemente, con aspirapolvere o con panno umido, anche il coprimaterasso. Per pulire i tappeti sono utili gli elettrodomestici per la pulizia a vapore (da usare una volta al mese), nonostante creino umidità. L’umidificatore per gli ambienti è un ottimo elettrodomestico per alleviare i sintomi della malattia delle alte vie respiratorie (raffreddori, laringiti, ecc.), ma è assolutamente da evitare in caso di allergia agli acari (gli acari amano le stanze calde e umide). I divani in pelle vengono poco colonizzati dagli acari. Il lavaggio a secco non sembra essere efficace nell’eliminare gli acari. Il Cittadino e la Salute 127 86. DIALISI Per dialisi si intende un procedimento tramite il quale si separano una o più sostanze sciolte in un liquido. In medicina questo fenomeno viene sfruttato per favorire l'eliminazione dell' urea e di altre sostanze metaboliche contenute in eccesso nel sangue quando questa funzione non viene più svolta dal rene. Creatinina La creatinina è una proteina prodotta dai muscoli e presente nel sangue. La sua quantità è relativamente stabile in ogni individuo. Il livello di creatinina nel siero è determinato dal tasso con cui tale proteina è rimossa, livello che costituisce quindi una misura approssimativa delle funzioni renali. Indica il grado di depurazione renale, cioè la quantità di creatinina eliminata dall' organismo; infatti in caso di deficit funzionale renale, il rene non riesce ad eliminare la quantità di creatinina prodotta dal metabolismo muscolare, quindi compare nel sangue in quantità superiore ai limiti fisiologici di normalità. Di solito, in un adulto medio, il livello normale è pari a 1. I bambini, che hanno una piccola massa muscolare, hanno livelli normali più bassi (0,2). Atleti dai muscoli possenti (come ad esempio chi pratica sollevamento pesi) hanno un livello normale di creatinina un pò più alto. La quantità di creatinina nel siero riflette le funzioni renali solamente in condizioni dell'organismo ritenute stabili. Clearance della creatinina La clearance della creatinina è tecnicamente la quantità di sangue che è "ripulita" (cleared) in un determinato intervallo di tempo. Di solito viene espressa in mI per minuto. Il valore normale per un adulto èdi 120 mI/min. È in linea di massima inversamente proporzionale al livello di creatinina nel siero. Se la clearance (la rimozione) diminuisce della metà rispetto al livello precedente, la creatinina nel siero raddoppia (in condizioni stabili). Così, per un adulto, se la creatinina nel siero è di valore pari a due, questo significa che approssimativamente la c1earance della creatinina è di 60 ml/min. Di solito, un adulto necessiterà di dialisi a causa dei sintomi di insufficienza renale con una clearance minore di lO ml/min. La clearance della creatinina deve essere misurata in base ad una raccolta di urina (di solito da 12 a 24 ore). Rappresenta una stima molto più precisa delle funzioni renali di quanto non lo sia la creatinina sierica. Esistono due tipi di dialisi: la dialisi extracorporea o emodilalisi e la dialisi peritoneale. Dialisi extracorporea o emodialisi Gli elementi indispensabili per eseguire una seduta dialitica sono: • il rene artificiale (immaginate una grossa lavatrice) costituito da una pompa che serve per aspirare il sangue, portarlo in un filtro dove verrà depurato e "strizzato" e quindi restituito al paziente; • un impianto di depurazione dell'acqua che viene aspirata dal rene artificiale, convogliata nel filtro e caricata delle sostanze tossiche scaricate dal sangue; • un buon accesso vascolare (fistola artero-venosa o catetere venoso centrale); un letto o poltronabilancia; • un'adeguata assistenza. In media una seduta dialitica per essere efficace deve avere una durata di almeno quattro ore, da ripetere per tre volte la settimana. L'emodialisi si può eseguire in Ospedale (nelle sezioni di dialisi solitamente accorpate al reparto di Nefrologia), nei Centri di Assistenza Limitata (CAL) e perfino a domicilio (con l'aiuto di una persona che sia debitamente addestrata e con alcune modifiche fatte dai tecnici specializzati all' impianto idrico casalingo). 128 Il Cittadino e la Salute Dialisi peritoneale Strumento indispensabile per eseguire la dialisi peritoneale è il catetere posto in cavità addominale nel peritoneo. Mediante questo catetere una quantità definita di soluzione di lavaggio sterile è infusa nella cavità addominale, dove rimane per qualche tempo prima di essere rimossa portando con sé le sostanze da eliminare. Esistono vari tipi di dialisi peritoneale a seconda della frequenza con cui gli scambi sono effettuati: • ambulatoriale continua; • peritoneale intermittente; • peritoneale continua ciclica. I vantaggi di questo tipo di dialisi (rispetto all'emodialisi) sono: • viene eseguita al domicilio; • è più delicata (il liquido presente nell'addome depura costantemente evitando l'accumulo di sostanze tossiche nell'organismo); • consente una libertà dietetica maggiore; • può essere eseguita ovunque (l'invio del materiale necessario da parte della ditta produttrice consente di godersi le vacanze senza grossi problemi). Gli svantaggi sono costituiti da: • presenza del catetere nell'addome che in piccola parte fuoriesce (problema essenzialmente psicologico); • il liquido sempre presente nell'addome (circa due litri) può essere fastidioso; • possibilità di peritoniti; • continuo carico di glucosio con pericolo di sovrappeso e di grave disfunzione del metabolismo lipidico. Le indicazioni alla dialisi peritoneale sono: • desiderio del paziente di una dialisi domiciliare senza assistenza; • assenza di accessi vascolari per l'emodialisi; • ipertensione arteriosa non controllabile farmacologicamente; • insufficienza cardiaca resistente alla terapia; • insufficienza renale terminale nei diabetici; • insufficienza renale terminale nei bambini. Le controindicazioni sono: • alterazioni del peritoneo quali aderenze dopo interventi chirurgici, infiammazioni, tumori; • reni policistici; • malattie polmonari; • cirrosi epatica con ascite; • gravi alterazioni della colonna vertebrale; • scarsa collaborazione del paziente, condizioni igieniche insufficienti. Il Cittadino e la Salute 129 87. PAZIENTI IN TERAPIA CON ANTICOAGULANTI ORALI LA COAGULAZIONE DEL SANGUE è un. fenomeno molto complesso, per cui, attraverso l'azione combinata di molti fattori, sia favorenti (pro-coagulanti) che bloccanti (anti-coagulanti), si ottiene la trasformazione di una proteina solubile del sangue (fibrinogeno) in una insolubile (fibrina), la quale forma una rete nelle cui maglie sono compresi i globuli rossi e le altre cellule del sangue. Questo coagulo serve per bloccare le emorragie ed è quindi utile per l'organismo, ma, se la coagulazione è eccessiva (come può succedere in varie malattie), può provocare la chiusura del vaso arterioso o venoso. (trombòsi), con' conseguenze più o meno gravi per l'organismo stesso. I FARMACI ANTICOAGULANTI si usano appunto, come dice il nome, per ridurre la capacità del sangue di coagulare. Gli anticoagulanti orali, agiscono con un meccanismo indiretto: essi riducono cioè la produzione da parte del fegato di alcuni fattori pro-coagulanti (in particolare la "protrombina"), il cui livello nel sangue di conseguenza cala e si mantiene basso in rapporto principalmente alla dose del farmaco somministrato. Tuttavia, su questo livello influiscono anche un gran numero di altri fattori, come la dieta, altre malattie o altri farmaci associati, per cui è necessario esaminare, di quando in quando, il grado di coagulabilità del sangue, per adattare la dose del farmaco a queste diverse cause di variazione, onde mantenere la coagulabilità a livello "terapeutico" prestabilito. Questo si ottiene eseguendo sul sangue delle prove di laboratorio, che misurano appunto il livello della protrombina e degli altri fattori interessati dall'effetto dell'anticoagulante, attraverso l'allungamento del tempo che impiega il sangue a coagulare in condizioni particolari ("trombotest", "tempo di protrombina" o simili). I risultati di queste prove vengono valutati come "percentuale di attività protrombinica" (che si abbassa sotto l'effetto del farmaco, per esempio: 10%, 20%), oppure come allungamento del tempo rispetto al normale, cosiddetto "RATIO PROTROMBINICO" (che quindi aumenta con il trattamento; per esempio 2 volte, 2,4 volte, 3 volte ecc.). Il Medico responsabile aggiusterà poi la dose in modo da mantenere questo indice di coagulabilità entro i limiti terapeutici, che possono essere diversi a seconda del tipo di malattia che si sta curando (nel senso che certe malattie possono richiedere una anticoagulazione più leggera o più profonda), oppure condizioni particolari del singolo paziente. COMPLICANZE TROMBOEMBOLIE. Le tromboembolie sono molto rare quando il trattamento anticoagulante viene condotto in modo corretto, ad ogni modo la perdita improvvisa di forza ad un arto, oppure la improvvisa incapacità di parlare anche per un breve periodo, oppure la perdita improvvisa della vista da un occhio, sono situazioni compatibili con una embolia cerebrale. Un dolore acuto ad un arto, soprattutto se l'arto in questione diventa freddo e pallido, può essere un indizio di embolia arteriosa periferica. Nel caso invece di "formicolio" o comunque di alterata sensibilità del tatto ad un arto con possibilità di movimento dello stesso e con forza conservata, verosimilmente non si deve pensare ad una tromboembolia. Nei pazienti anticoagulati per una precedente embolia polmonare o per trombosi venose agli arti inferiori, un nuovo episodio embolico si può manifestare come una improvvisa "mancanza di respiro" oppure con un "gonfiore" ad un arto inferiore. EMORRAGIE. Anche gli episodi emorragici gravi sono molto rari se la terapia anticoagulante viene condotta in maniera corretta. Il paziente in trattamento con anticoagulanti deve saper riconoscere alcuni tipi di emorragie quali quella gastrointestinale che si può manifestare con feci nere come i fondi del caffè, oppure quella urinaria che si manifesta con urine rosse. 130 Il Cittadino e la Salute COSA FARE IN CASO DI... EMORRAGIE. Se doveste notare il manifestarsi di segni di emorragia: sangue dal naso, sangue dalle gengive, sangue nelle urine, sangue nelle feci, feci nere, macchie sulla pelle od altre manifestazioni emorragiche, non allarmatevi, ma informate immediatamente il vostro Medico di fiducia ed il Centro per pazienti in terapia anticoaulanti orali, senza variare la terapia in atto. FERITE. Le piccole ferite superficiali non rappresentano un grave problema per il paziente anticoagulato, infatti l'emorragia potrà essere arrestata esercitando una pressione sulla ferita con una garza pulita o altro per qualche minuto. Non è consigliabile l'impiego di polveri o pomate emostatiche in quanto, oltre a non essere di alcun vantaggio, possono ritardare la cicatrizzazione della ferita; se questa è di dimensioni maggiori e non è sufficiente la semplice compressione, si consiglia una fasciatura stretta ed il ricorso al medico curante o al Pronto Soccorso SANGUE DALLE GENGIVE. E' una evenienza molto frequente, ma quasi mai pericolosa. Si verifica abitualmente durante la pulizia dei denti, ma può essere scoperta, al risveglio, come una chiazza di sangue sul cuscino senza cause apparenti. L'emorragia delle gengive può essere causata da una eccessiva anticoagulazione, ma più frequentemente essa è dovuta ad una patologia dei denti o ad una infiammazione delle gengive. Pertanto sarà utile eseguire un INR per il controllo della terapia anticoagulante ed eventualmente consultare un medico odontoiatra per un controllo della cavità orale. SANGUE DAL NASO (epistassi). L'epistassi è abbastanza frequente, ma quasi mai pericolosa. Le cause principali sono: a) la rinite acuta (raffreddore) b) l'ipertensione arteriosa c) un grado eccessivo di anticoagulazione. Come prima cosa occorre porsi seduti con il capo leggermente rec1inato in avanti e comprimere la radice del naso (subito al di sotto della piramide ossea) in modo continuo per 5 - lO minuti o più. Qualora tali manovre non avessero successo, sarà utile ricorrere all'intervento del medico il quale disporrà per un tamponamento nasale. Inoltre, sarà utile consultare uno specialista ORL per ricercare eventuali alterazioni della mucosa nasale. URINE ROSSE (ematuria). E' forse la più frequente complicanza della terapia anticoagulante e non costituisce mai un grave problema. Potrebbe esserne la causa o un INR troppo elevato, per cui sarà utile ridurre il dosaggio .dell' anticoagulante e consultare un medico, o una infezione della vescica (cistite), per cui sarà utile eseguire un esame delle urine con urinocultura al fine di identificare eventuali batteri patogeni. Esistono molte altre cause di ematuria che verranno ricercate dal medico sulla base della sintomatologia e degli eventuali esami strumentali: nella maggioranza dei casi si tratterà solo di verificare il livello di anticoagulazione ed eventualmente di correggerlo se fuori dal "range". Il Cittadino e la Salute 131 88. PARLIAMO DI BPCO: UNA MALATTIA DEI BRONCHI E DEI POLMONI QUANTO VALE IL TUO RESPIRO Il respiro è un bene prezioso che abbiamo il dovere di proteggere. Le difficoltà respiratorie causano limiti significativi in molti campi della normale vita quotidiana. La mancanza di respiro interferisce con i più semplici gesti giornalieri, come vestirsi, lavarsi, parlare, può causare disturbi del sonno e può indurre un progressivo stato di invalidità. Il medico valuta lo stato di salute dei tuoi bronchi e dei tuoi polmoni attraverso la spirometria, un esame del tutto indolore a cui ogni cittadino dovrebbe sottoporsi, soprattutto se fumatore o ex fumatore. Rivolgiti con fiducia al tuo medico curante che, attraverso l’esame spirometrico, valuterà la salute del tuo respiro e ti darà informazioni e cure! I campanelli d’allarme della BPCO Tosse cronica, catarro e difficoltà di respiro sono i campanelli d’allarme che indicano che qualcosa non va. Molto spesso la persona si adatta a convivere con questi disturbi: se tossisce o ha il catarro pensa che ciò sia normale soprattutto se è fumatore; se ha meno fiato, limita i suoi movimenti o le sue attività, senza preoccuparsi troppo delle conseguenze sullo stato di salute dei suoi polmoni. Ecco perché la BPCO è una malattia sottovalutata da pazienti, medici e istituzioni. CHE COS’ E’ LA BPCO La BPCO, Bronco Pneumopatia Cronica Ostruttiva, è una malattia respiratoria che comprende la bronchite cronica e l’enfisema polmonare. Nella prima le vie aeree non sono completamente libere e il paziente, che nella grande maggioranza è un fumatore, avverte tosse e catarro. Nel caso dell’enfisema, l’elasticità del polmone, che tiene normalmente aperti gli spazi aperti, è ridotta. La BPCO, dunque, è una condizione cronica, progressiva e spesso invalidante. Una diagnosi precoce dipende anche da te Non bisogna aspettare che la malattia progredisca: la prima cosa da fare è quella di parlare dei propri sintomi con il medico, senza timori o vergogna. Oggi, infatti, sebbene non sia ancora possibile una totale guarigione dalla BPCO, gli strumenti a disposizione del medico permettono di arrestare o rallentare la progressione della malattia e di avere miglior qualità ed aspettativa di vita. La BPCO, diagnosticata in fase avanzata, può comportare una invalidità respiratoria grave. Come distinguere la BPCO dall’asma bronchiale? I sintomi sono in parte simili. L’ostruzione bronchiale nell’asma è reversibile, mentre nella BPCO è irreversibile o scarsamente reversibile. Perché è necessario saperne di più? Perché la BPCO è un vero e proprio problema sociale: - è la quarta causa di malattia cronica; - provoca più di 18.000 morti all’anno; - comporta costi elevati per le famiglie e la società. Se il medico diagnostica una BPCO 1. Smetti di fumare ed evita il fumo passivo. 2. Segui il piano di cura prescritto dal medico (terapie farmacologiche, norme di comportamento, indicazioni in caso di aggravamento). 3. Effettua la vaccinazione antinfluenzale. 4. Esegui i controlli periodici e regolari. 5. Evita i fattori aggravanti (inquinamento atmosferico, dell’ambiente lavorativo e domestico). Per saperne di più: Consulta il sito: www.cittadinanzattiva.it - www.asl.it 132 Il Cittadino e la Salute 89. CONVULSIONI FEBBRILI L’episodio convulsivo deve essere considerato come una particolare reazione del sistema nervoso, in genere in bambini tra i 6 mesi ed i 5 anni di vita, al rapido innalzarsi della temperatura. Solitamente si manifesta con perdita di coscienza e scosse degli arti, talvolta con uno stato di irrigidimento o di rilasciamento muscolare. In genere dura alcuni minuti, dopo di che spesso compare una profonda sonnolenza, che rappresenta il periodo di ritorno alla normalità. È eccezionale che si manifesti più di una crisi nel singolo episodio febbrile. Nel 60-70% dei casi non si verificano nuovi episodi (recidive) dopo la prima crisi; nel 30-40% dei casi invece è possibile assistere alla comparsa di una o più recidive anche a distanza di mesi, ma sempre in presenza di febbre. Le convulsioni febbrili in genere scompaiono tra i cinque ed i sei anni di vita. Come prevenire le recidive Il bambino che soffre o che ha sofferto di convulsioni febbrili è sano e deve condurre una vita normale. Non bisogna diventare genitori ansiosi ed iperprotettivi, ma genitori preparati circa gli interventi da effettuare. Per ridurre il rischio di recidive è necessario, all’insorgere di ogni rialzo febbrile (quando la temperatura ascellare inizia a superare i 37,5° C o quella rettale i 38° C), prendere tutte le misure atte a riportare la temperatura a valori normali: • liberare il corpo da eccessivi indumenti; • somministrare paracetamolo (es. tachipirina, acetamol, efferalgan, puernol) 10-15 mg/kg dose, 4-5 volte al giorno; • applicare spugnature di acqua tiepida e/o la borsa del ghiaccio o pezze bagnate sulla fronte. Come trattare una crisi - Se si dovesse verificare una nuova convulsione: • non perdere la calma (i genitori possono aiutare il bambino più tempestivamente di chiunque altro: portare subito il bambino in ospedale o chiamare il pediatra fa perdere del tempo e ritarda le cure); • non scuotere il bambino, non schiaffeggiarlo o chiamarlo per nome, non cercare di bloccarlo (sono manovre assolutamente inutili, che ritardano le cure efficaci); • porre delicatamente il bambino sdraiato sul fianco (per evitare che aspiri muco o materiale vomitato, e per impedire alla lingua di ostruire le vie aeree), in un luogo dove non possa cadere e farsi male, aprire le vesti strette, pulire velocemente la bocca dalla saliva e da eventuali residui alimentari; • somministrare al più presto per via rettale il diazepam (vedere le modalità più avanti); • ripetere la dose se la prima viene espulsa, o se la crisi non regredisce in 2-3 minuti; • a crisi risolta, contattare il pediatra curante. Portare invece il bambino presso il più vicino Reparto pediatrico ospedaliero (possibilmente facendosi accompagnare per non essere impegnati nella guida e poter invece accudire il bambino) se: • il bambino ha meno di un anno di età; • la crisi non regredisce alla seconda somministrazione di diazepam; • le crisi diventano subentranti. 90. IL MALATO ONCOLOGICO Paure, ansie, aspettative... Entrare nel mondo del malato oncologico è un’impresa assai ardua e finisce spesso per deprimere anche le persone più tenaci e desiderose di dare il proprio aiuto a qualunque costo e a qualsiasi condizione. La condizione di ammalato oncologico è una delle più temibili: la malattia arriva all'improvviso, ti stacca dal tuo mondo, dalle tue abitudini, dalla tua attività lavorativa, dalla tua normalità, dal tuo tempo libero, dalle tue aspettative future e ti proietta in un mondo sconosciuto: nel mondo del dolore, della sofferenza, della paura, dell’ansia, dell’insicurezza, dell’incognita del domani ed improvvisamente vengono a galla i tuoi difetti, i tuoi perché, i tuoi ma, i tuoi se, la tua rabbia, i tuoi sensi di colpa; insomma nella tua vita e nel tuo corpo è arrivato un tremendo terremoto: la malattia oncologica. Il Cittadino e la Salute 133 Ogni persona, però, ogni uomo, ogni ragazzo vive l’evento malattia come può, con le potenzialità che ha, con la forza che si trova dentro di sé, con il suo bagaglio di esperienza, ma sopratutto con la libertà di scegliere come viverla, come affrontarla, come eventualmente combatterla per riuscire a vincerla, dato che è comunque un momento particolare e privato della propria vita! Con la comunicazione della diagnosi arriva il periodo più burrascoso della malattia: si incomincia a porre e a porsi mille domande, c’è una gran voglia di sapere cosa succederà con la terapia, ma sopratutto cosa avverrà dopo. Affrontare in un solo colpo diagnosi, terapia, effetti collaterali della stessa, oltre che la trasformazione se pur temporanea del proprio corpo, non è cosa facilmente sopportabile. È quasi inevitabile comunque arrivare alla fase in cui forzatamente si cerca di accettare la malattia, occorre quindi a questo punto, uscire allo scoperto e cercare quell’aiuto, quella disponibilità, quella sensibilità, quell’amore talvolta nascosto delle persone che ci vogliono bene e che, ruotando intorno a noi, sono desiderosi e impazienti di ricevere quel segnale tanto atteso! Combattere insieme rafforza la lotta, aumenta la determinazione e la voglia di provare a vincere la battaglia più dura della nostra vita: la malattia oncologica. L’ammalato non va lasciato nella solitudine del suo cuore e della sua sofferenza, ha bisogno di sentire attorno a sé tanta comprensione, tanto amore, tanto affetto, ma ha anche bisogno di ricevere stimoli positivi, propositivi e deve ricominciare a fare progetti e a riprendere in mano la propria vita. Con il ritorno a casa (meta molto ambita dal malato) se da una parte c’è la gran voglia di riprendere le proprie abitudini, la vita affettiva e la vita sociale, dall’altra c’è la tensione di vivere la condizione di malato senza più la sicurezza che ci garantiva la struttura ospedaliera. Può quindi essere che il malato provi un senso di impotenza nel momento in cui verranno a mancare le figure professionali del medico e dell’infermiere. Tutto questo però sarà facilmente superabile se l’équipe curante della struttura ospedaliera, il medico di famiglia, le associazioni di volontariato specifiche del settore oncologico saranno pronte ad intervenire per ascoltare, aiutare e sostenere questo malato e la sua famiglia, per affrontare insieme problemi, dubbi, insicurezze. In fondo anche questo opuscolo è nato con l'intento di stare vicino al malato per condurlo per mano in questo cammino particolare, insomma un amico in più come compagno di viaggio! Il diritto di sapere Non vi è individuo che non sia stato direttamente o indirettamente toccato dai tragici eventi legati al cancro. Di qui l’insorgere di frequenti interrogativi sullo stato delle ricerche, sulla causa delle trasformazioni tumorali, nonché di forti pressioni e frustranti tensioni verso le cure magiche che hanno provocato, oltre al proliferare di occasionali cure miracolose (regolarmente smentite) anche il concentrarsi di grossi impegni economici ed organizzativi di tutte le nazioni. La stampa ha una forte responsabilità nell’accreditamento di cure miracolose che in effetti non esistono ma che, una volte annunciate, i malati chiedono disperatamente, sordi ad ogni richiamo alla realtà. Il giornalismo diventa sempre più sensazionalistico: una notizia se non colpisce non è una notizia. Se su dieci notizie del mondo della scienza ce ne sono nove che annunciano graduali e ragionevoli progressi nella cura del cancro e una che parla di miracolo, è questa che viene privilegiata. La ricerca dello “scoop” giornalistico è un’abitudine che si va diffondendo un po’ dappertutto e che trova in Italia terreno fertile per tante ragioni, non ultima la spregiudicatezza di certi giornali e giornalisti. Quindi è estremamente importante che i risultati della ricerca scientifica vengano presentati al pubblico in uno sforzo di chiarezza ed onestà, così da evitare successivamente guai. Quanto al tipo di informazione “diretta” e relativa alla propria malattia, è importante sottolineare che tutti i malati di tumore hanno diritto a ricevere informazioni chiare, precise e aggiornate. Tipo di informazione - I seguenti tipi di informazione dovrebbero essere disponibili a seconda delle necessità e delle richieste: • informazioni mediche (diagnosi, opzioni terapeutiche e loro applicazioni, pro-gnosi); • informazioni per ottenere aiuti sul piano pratico, sociale e finanziario; • effetti sulla qualità di vita, sulle relazioni interpersonali, sulla vita sessuale; • terapie complementari. 134 Il Cittadino e la Salute Modalità di presentazione delle informazioni - Le informazioni devono essere: • in forma adeguata e la più personalizzata possibile; • espresse in linguaggio semplice, presentate con perizia, in modo onesto, tenendo conto dei diversi livelli di comprensione. Quando dare le informazioni: • al momento opportuno, con contenuto adatto al singolo malato di cancro ed in misura della sua volontà di sapere; • in ogni fase della malattia (diagnosi, trattamento, remissione, recidiva, fase terminale o di guarigione); • in diverse sedi (casa, ambulatorio del medico di base, ospedale) ma sempre in ambiente confortevole e privato; • da parte di personale specializzato, in primo luogo il medico, coadiuvato da altri operatori in grado di offrire un “couseling” etico e psicologico. Per sentirsi meno soli La risposta appropriata ai problemi che emergono è costituita dalle cure palliative che sono identificate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.). Fra le più grandi priorità in campo sanitario: “il controllo del dolore, la riduzione delle sofferenze e la disponibilità delle cure palliative per chi non può essere curato”. I problemi sono di due tipi: da una parte quelli legati al peggioramento delle componenti principali della qualità di vita, controllo del dolore e dei sintomi, benessere psicologico, benessere relazionale, stato funzionale; dall'altra, quelli causati da condizioni specifiche che emergono negli ultimi giorni di vita. Le cure palliative sono una grande medicina nella quale ci si prende cura delle persone e non solo della malattia; si considera la famiglia, non solo il paziente come unità di cura e vengono forniti servizi interdisciplinari che si estendono anche all’assistenza psicologica, emozionale, spirituale. Con il termine di Hospice (termine direttamente importato dai paesi del Nord Europa) si intende oggi una struttura residenziale, ancora scarsamente presente nel territorio italiano, che accoglie temporaneamente o stabilmente pazienti oncologici in una fase avanzata di malattia. Questa struttura, che fornisce trattamenti palliativi e non di cura, deve avere un buon livello di medicalizzazione e non rappresentare assolutamente il luogo dove i malati terminali vanno a morire. In sostanza, l’Hospice deve essere considerato come una delle fasi di un progetto di assistenza globale al malato terminale. Sicuramente la mancanza di una sensibilità specifica, unitamente all’inesistenza, sino a pochi anni or sono, di una disciplina specifica ha contribuito a creare un po' di confusione, con il risultato che ciascuna Regione ha legiferato autonomamente e con modalità diverse. La situazione è però in rapida evoluzione (Accordo 19 aprile 2001, “Linee Guida sulla realizzazione delle attività assistenziali concernenti le cure palliative”, G.U. Rep. Italiana n. 110 del 14.5.2001). Non vi è oggi alcun dubbio che la risposta più appropriata al malato al termine della sua vita sia una rete di servizi domiciliari e residenziali ad hoc. Tale rete, gestita da personale idoneamente qualificato, dovrebbe essere presente in ogni azienda sanitaria; ogni componente della rete dovrebbe, inoltre, essere accessibile e raggiungibile da parte dei cittadini. Dovrebbe infine essere prevista e favorita ogni possibile forma di collaborazione tra strutture pubbliche e private accreditate ed enti o organizzazioni del settore del volontariato operanti sul territorio, in particolar modo tra i servizi di medicina di base e le strutture ospedaliere al fine di garantire una reale continuità terapeutica ed assistenziale. “L’oncologo è una figura importante per me, è un amico che mi ha seguita da quella maledetta mattina della diagnosi, mi ha spiegato tutto e mi segue tuttora. Mi ascolta, mi capisce, non mi giudica... Una cosa che consiglio alle donne che passano attraverso la mia esperienza: non isolarsi mai, stare in mezzo a gente allegra, uscire, cercare qualche cosa da fare...”. (da una esperienza pervenuta al DIS) Il Cittadino e la Salute 135 91. IL BAMBINO MALATO ONCOLOGICO L’esperienza di supporto psicologico avviato nel Reparto di Oncoematolgia pediatrica di Pavia, trova la sua giustificazione sul piano di attuazione sia nel bisogno rilevato in questi anni dallo staff medico, sia nella richiesta avanzata da più genitori che avevano avuto modo di poter usufruire del sostegno psicologico già nelle strutture sanitarie di provenienza. L’analisi della situazione di partenza ha permesso di rilevare che l’utenza è composta da bambini in età compresa tra sei mesi e diciotto anni (limite pediatrico stabilito dalla Regione Lombardia) provenienti da tutta Italia, affetti prevalentemente da leucemie, neuroblastomi, telassemie, Anemia di Fanconi, ecc. Per queste patologie il trattamento d’ elezione e’ il trapianto di cellule staminali periferiche o il trapianto di midollo osseo, autologo o da donatore (trapianto allogenico). Le implicazioni psicologiche delle patologie sia sul soggetto, sia sul nucleo familiare, sia sulle modalita’ di attuazione delle terapia hanno portato a riflettere sull’ esigenza di creare le basi più idonee a favorire l’instaurarsi della compliance “bambino malato”/equipe curante. Poiche’ e’ il “genitore” che media il rapporto medico/bambino sia sul piano emotivo sia su quello relazionale, si e’ ritenuto opportuno concentrare l’attenzione sui due estremi del segmento terapeutico e quindi sull’ equipe curante e sul genitore (ove possibile sulla coppia genitoriale). Dal maggio 2001 a oggi, tutti i genitori che hanno avuto il figlio ricoverato nel reparto hanno sostenuto una serie di colloqui così strutturati: • Colloqui di accoglienza (raccolta dei dati anamnestici psicologici, lettura del tipo di adattamento alla malattia realizzato dal/dai genitori e dei meccanismi di difesa attuati, del livello di comprensione e di consapevolezza della situazione clinico-terapeutica del figlio, della capacità di espressione emotiva del proprio disagio); • Colloqui di supporto nel corso della terapia anche per il genitore “esterno” (non in camera sterile); • Eventuali colloqui “a richiesta” del genitore o su indicazione dell’ equipe curante; • Collaborazione alla comprensione/gestione delle problematiche psicologiche di coppia scatenate dall’insorgere della malattia; • Eventuale colloquio con i pazienti quando l’età cronologica lo rendeva necessario ed utile o su richiesta degli stessi per problematiche particolari; • Gestione del lutto: collaborazione con l’equipe alla “comunicazione di cattive notizie” ed alla successiva rielaborazione personale del genitore. Con l’equipe medica: • Collaborazione nella comunicazione della diagnosi, della prognosi e del percorso terapeutico. Oltre alla presenza in equipe, si è avviata una riflessione di gruppo sulle modalità di comunicazione sia sul piano tecnico-relazionale sia di gestione delle emozioni. • In èquipe (medici, genitori, psicologo): ricerca di strategie emotive e comportamentali atte a rimotivare dal punto di vista psicologico piccoli pazienti provati dal prolungamento dell’esperienza di ospedalizzazione. • In equipe riflessione sulle strategie comunicative quotidiane e sulla gestione delle emozioni. Alla comunicazione della diagnosi di leucemia o di patologia neoplastica di un figlio, tutta la famiglia viene investita in maniera massiccia dagli eventi legati alla malattia, con ripercussioni notevoli sulle relazioni tra i suoi membri e, in generale, sull’equilibrio della struttura familiare. Funzionando la famiglia in maniera unitaria, come un organismo, dotato di una propria omeostasi, la diagnosi di neoplasia, cadendo all’interno di tale contesto, diventa evento stressante familiare o, per alcuni autori, malattia “familiare”, sia per la spinta al cambiamento che produce, sia per il riadattamento che richiede alla famiglia stessa. Dal punto di vista psicologico la famiglia si trova a dover affrontare una serie di problemi: • “La malattia” che si collega alla paura di una progressione e di un deterioramento del corpo, alla paura del dolore, della sofferenza fisica, della morte; • le conseguenze delle terapie che oltre che comportare talvolta una modificazione nell’immagine del sé corporeo, si teme producano danni irreversibili; 136 Il Cittadino e la Salute • • le terapie antiblastiche e la radioterapia; il possibile trapianto con le problematiche emotive connesse alla ricerca del “donatore” , alle fasi del trapianto stesso, all’assistenza da fornire al figlio in “camera sterile”; • i prolungati e periodici controlli a distanza che riattivano ansie, angosce e reazioni depressive. Come modalità operativa si è ritenuto funzionale il Counseling (individuale e/o di coppia). Con il termine counseling intendiamo una forma di relazione d’aiuto nella quale una buona capacità di ascolto, un intervento empatico ed altri comportamenti comunicativi strategici, concorrono non tanto a creare dei cambiamenti, quanto a renderli possibili per chi chiede aiuto, rispettandone le richieste e stimolandone le risorse. Per quanto riguarda i primi due destinatari dell’intervento (pazienti e familiari), si è ritenuto importante sul piano operativo: • valutare le risorse interiori, le resistenze, le difese, le modalità di reazione e di adattamento alle difficoltà; • valutare la qualità delle dinamiche relazionali nel contesto familiare e sociale del soggetto; • favorire l’espressione e la discussione dei vissuti e dei sentimenti; • fornire supporto nei momenti di crisi; • mobilitare le risorse interiori disponibili e funzionali al contesto; • ottenere una riduzione dell’ansia; • favorire la messa in atto di strategie cognitive e comportamentali adattive alle condizioni imposte dalla malattia e all’accettazione dell’evoluzione della stessa. Situazioni a così alto contenuto emotivo mettono a dura prova le capacità di resistenza della coppia genitoriale che assiste il figlio. Spesso i genitori, provenendo da altre regioni sono costretti a dividersi temporaneamente sia per l’esigenza di continuare l’impegno lavorativo, sia per quella di accudire o assistere altri figli. Questa separazione, anche se temporanea, segna fortemente entrambi i genitori, sia per il carico emotivo che si trova addossato il genitore che segue direttamente le vicende cliniche del figlio malato, sia per il genitore “assente”, che vive con implicazioni conflittuali sul piano emotivo l’esclusione dalle vicende cliniche del figlio, anche se per motivazioni ampiamente giustificabili sul piano razionale. Ma anche nei casi in cui i genitori riescano ad essere entrambi vicino al paziente, il costo emotivo non è indifferente: un solo genitore è autorizzato, attraverso il ricovero, ad assistere continuativamente il figlio e i momenti di non-presenza finiscono per costituire per l’altro genitore momenti di elevato stress che lunghe e frequenti telefonate non riescono sempre a stemperare. Talvolta alcune coppie riuscendo a vivere il piano comunicativo con modalità attive, riescono ad integrarsi nell’assistenza al paziente sostituendosi mediante un avvicendamento reciproco. Le fasi della malattia e della sua terapia provocano nel genitore un profondo bisogno di ampliare le proprie conoscenze e di acquisire informazioni rispetto alla “malattia”. In questa dimensione ogni contributo è accettato: da quello del genitore che vive o ha vissuto una situazione sanitaria ritenuta, non importa se a torto o a ragione, simile alla propria, a quella recuperabile su riviste scientifiche o ritenute tali, e o su Internet. Il bisogno di informazioni costituisce giornalmente il momento di contatto con l’equipe curante, per cui i genitori arrivano spesso a cercare di leggere nell’espressioni non verbali dei curanti (espressioni facciali, modalità di scambio dei saluti...) elementi che possono soddisfare il proprio bisogno di rassicurazione. Alcuni momenti diventano fortemente emotivi (ad esempio l’ingresso nella sezione trapianti) e nonostante l’informazione fornita sia avvenuta nel rispetto dei criteri che ispirano la comunicazione efficace, affiorano con intensità ansie e paure. Il vissuto già spesso comunicato di inadeguatezza rispetto alla malattia del figlio, con situazioni limite che sfiorano talvolta i vissuti di colpevolizzazione, diventa paura di non essere in grado di assistere il figlio. Se nella storia individuale sono stati presenti episodi di attacchi di panico, aumenta la paura che la permanenza protratta in sezione trapianti possa riacutizzare tali episodi. Generalizzata è l’incapacità di comprendere sul piano razionale il perché della malattia, secondo l’atteggiamento tipico dell’uomo secondo il quale solo attribuendo ad ogni evento un suo significato ed una sua motivazione è possibile capire l’evento stesso. Chi ha fede, nonostante il ricorso alla preghiera, non sempre è in grado di trovare in essa una risposta soddisfacente. Il Cittadino e la Salute 137 Ma l’aspetto che maggiormente mette in crisi è quello del dolore. Nonostante oggi siano sempre più numerosi ed efficaci gli strumenti di cui la medicina dispone per il controllo dello stesso, nel genitore continua a permanere l’incapacità di trovare una spiegazione razionale e un profondo senso di impotenza davanti al dolore, rispetto al quale un padre o una madre farebbero qualunque cosa pur di evitarlo al proprio figlio: ma rispetto al dolore si è chiamati a richiamare la propria impotenza. E nelle modalità secondo le quali il bambino o il ragazzo affronta situazioni considerate di dolore, emerge spesso l’influenza involontaria operata dai genitori nei contatti quotidiani con i figli. Per le sue caratteristiche biologiche, psicologiche e ambientali, il dolore finisce con l’influenzare le caratteristiche di personalità, lo stile di vita e la qualità di vita, con cambiamenti relativi agli aspetti relazionali e agli interessi personali. La paura del dolore può svolgere una funzione anticipatoria che spesso precede di molto l’insorgere del dolore. Nella lettura del dolore è presente la possibilità che lo stesso venga letto a seconda dei significati che gli vengono attribuiti in relazione ad esempio all’andamento della malattia; è accumunato inoltre a vissuti di tipo emotivo. Le ripercussioni possono essere a livello somatico, di ansia e/o di depressione. Altro momento difficile per il nucleo familiare è quello delle dimissioni dall’ospedale. Dopo un periodo trascorso in reparto, caratterizzato dai ritmi delle cure, dai prelievi e dai controlli medici, dall’esigenza di chiarimenti e rassicurazioni, la possibilità di trovarsi fuori dall’ospedale privati della percezione di una presenza rassicurante, provoca ansia e paura. In questa prospettiva la difficoltà di leggere nella giusta chiave i sintomi o i piccoli problemi di salute manifestati dai figli dopo le dimissioni costringe i genitori a frequenti contatti con il reparto per ricevere rassicurazioni che tutto stia procedendo nel migliore dei modi. La valutazione complessiva dell’esperienza di supporto psicologico ha portato ad estendere l’intervento anche nel day hospital oncologico, per una prosecuzione ambulatoriale del supporto psicologico nella fase sia dei trattamenti successivi sia dei follow up, al fine di aiutare la famiglia a recuperare la nuova dimensione di salute e a realizzare una progressiva autonomizzazione dalla struttura ospedaliera. 92. LA MALATTIA DI PARKINSON L’azione di alcune sostanze chimiche che si trovano nell’aria, nel cibo, nell’acqua assorbita dall’organismo ed il metabolismo delle stesse danneggiano la sostanza nera del cervello che combinata con una predisposizione genetica, distruggono le cellule nervose di trasmissione (neuroni che producono dopamina) che morendo causano il Parkinson. Bisogna anche dire che emozioni negative, quali paura, panico, senso d’abbandono di impotenza peggiorano la malattia. Queste situazioni vengono chiamate “stress ossidativi”. I fattori di rischio finora individuati sono: solventi, erbicidi, pesticidi, alcuni metalli e particolari esposizioni ambientali-professionali. La diagnosi Le problematiche di diagnosi iniziale e di diagnosi differenziale tra malattia di Parkinson ed altre forme similari, detti Parkinsonismi, possono essere risolte dalla risonanza magnetica. La malattia di Parkinson ha decorso cronico progressivo. Sintomi: tremore, ma non sempre presente, rigidità, bradicinesia, ossia lentezza dei movimenti, instabilità posturale, acinesia, ossia difficoltà a muoversi e ad afferrare oggetti. Parkinsonismi: lesione tumorale anche benigna, traumi cranici ripetuti (vedi i pugili) intossicazioni da minerali o da droghe, disturbi vascolari ipertensivi, focolai ischemici. La terapia Le prime cure nel 1869 si basavano su iniezioni di apomorfina efficace sulla rigidità e sul tremore ma di effetti collaterali invalidanti vegetativi. Fu usata fino al 1980 sostituita dalla amantadina ancora in uso per gli stadi refrattari alla terapia orale. Nel primo decennio del Novecento viene scoperta la LEVODOPA che viene impiegata dal 1960 e viene chiamata terapia sostitutiva. La levodopa sostituisce la mancanza di dopamina, sostanza necessaria al funzionamento del sistema nervoso centrale, e rimane a tutt’oggi il farmaco più efficace per la terapia della malattia. Nel 1990 viene messa a punto la 138 Il Cittadino e la Salute nuova classe di farmaci cosiddetti inibitori quali supporto alla terapia con levodopa per prolungarne gli effetti benefici e fermare gli effetti collaterali ossia i blocchi ed i movimenti involontari. La terapia neurochirurgica La terapia neurochirurgica si basa sull’impianto di neurostimolatori nella profondità dell’encefalo, una specie di pace-maker inserito sotto l’ascella, da cui partono dei conduttori di impulsi, detti elettrodi, sistemati nel cervello. Questa tecnica si chiama stimolazione cerebrale profonda (DBS), un intervento ora in anestesia locale con supporto di diversi specialisti. In seguito alla stimolazione è necessario seguire per anni una terapia farmacologica. Tale tecnica è possibile in soggetti di età non superiore ai 60/65 anni, che non presentino altre malattie importanti né decadimento mentale. Speranze Per la malattia di Parkinson l’obiettivo dei ricercatori è di generare cellule nervose capaci di produrre dopamina partendo dalle cellule staminali sia embrionali che adulte. I risultati finora ottenuti con l’impianto di neuroni embrionali sono stati deludenti. Per le cellule staminali la ricerca è in fase preclinica e l’utilizzo di cellule fetali presenta problemi etici. Per quanto riguarda il patrimonio genetico è stato individuato il tipo di proteina la cui alterazione causa la comparsa della malattia, da qui la terapia genetica. Mediante la terapia genica si potrebbe sostituire il gene difettoso o trasferire il gene assente in modo da rimediare al difetto. A tale scopo si utilizzano come vettori i virus manipolati geneticamente in modo da non risultare pericolosi, ma ancora in grado di insediarsi all’interno delle cellule dell’ospite. È bene ricordare che un gene è una porzione di DNA che contiene le informazioni necessarie a fabbricare una proteina. Trasferire un gene significa trasferire un pezzo particolare di DNA. Oltre alle problematiche scientifiche ci sono delle problematiche a carattere sociale che devono essere affrontate. Terapie di supporto alla malattia Anzitutto cognitivo-psicologiche, poi riabilitative, associative sempre a contatto con un centro neurologico che segue il decorso della malattia adeguandone le cure. Alcuni esempi: educazione sanitariodietetica, riabilitazione motoria, mutuo-aiuto, musicoterapia neurologica emozionale, psicomotricitàbiodanza, shiatsu, consigli sulla deambulazione, ecc. 93. LA MALATTIA DI ALZHEIMER Che cosa è la malattia di Alzheimer? La malattia di Alzheimer è la più comune causa di demenza; ci sono, però numerosi altri tipi di demenze. Tra il 50 e il 70% delle persone affette da demenza soffrono di malattia di Alzheimer, un processo degenerativo che distrugge lentamente e progressivamente le cellule del cervello. Prende il nome da Alois Alzheimer, neurologo tedesco che nel 1907 descrisse per primo i sintomi e gli aspetti neuropatologici della malattia di Alzheimer, come le placche e i viluppi neuro-fibrillari nel cervello. E' una malattia che colpisce la memoria e le funzioni mentali (ad es. il pensare, il parlare, ecc.), ma può causare altri problemi come confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale. All'inizio i sintomi - qualche difficoltà a ricordare e la perdita delle capacità intellettive - possono essere così lievi da passare inosservati, sia all'interessato che ai familiari e agli amici. Ma, col progredire della malattia, i sintomi diventano sempre più evidenti, e cominciano a interferire con le attività quotidiane e con le relazioni sociali. Le difficoltà pratiche nelle più comuni attività quotidiane, come quella di vestirsi, lavarsi o andare alla toilette, diventano a poco a poco così gravi da determinare, col tempo, la completa dipendenza dagli altri. La malattia di Alzheimer non è né infettiva né contagiosa. Può essere considerata a tutti gli effetti una malattia terminale, che causa un deterioramento generale delle condizioni di salute. La causa più comune di morte è la polmonite, perché il progredire della malattia porta ad un deterioramento del sistema immunitario e a perdita di peso, accrescendo il pericolo di infezioni della gola e dei polmoni. In passato, si tendeva ad usare l'espressione "morbo di Alzheimer" in riferimento ad una forma di demenza pre-senile, come contrapposto alla demenza senile. Oggi si ritiene, Il Cittadino e la Salute 139 invece, che la malattia colpisca sia persone al di sotto dei 65 anni di età che persone al di sopra dei 65 anni. Di conseguenza, oggi, ci si riferisce spesso alla malattia come a una demenza di Alzheimer, specificando, eventualmente "ad esordio precoce". Quali sono le persone a rischio di contrarre la malattia? Non esiste nessuna prova sicura che un particolare gruppo di persone sia candidato a sviluppare la malattia. Razza, professione, posizione geografica, livello socio-economico non sono fattori determinanti. Sembra invece che le persone con un più alto livello di istruzione siano meno a rischio di ammalarsi. Confrontando le caratteristiche delle persone con la malattia di Alzheimer con quelle della popolazione sana, i ricercatori hanno prospettato un certo numero di fattori di rischio. Ciò significa che alcune persone hanno maggiori probabilità di contrarre la malattia di altre. Tuttavia, è improbabile che si possa far risalire la malattia ad un'unica causa: è verosimile che sia un insieme di fattori - con incidenza diversa da persona a persona - a determinarne lo sviluppo. Età • E' affetta dalla malattia di Alzheimer circa una persona su venti tra quelle che hanno superato i 65 anni di età, e meno di una persona su mille al di sotto di tale età. E' importante rilevare che, anche se col passare degli anni le persone tendono a perdere la memoria, la stragrande maggioranza degli individui sopra gli ottant'anni è intellettualmente integra. Sebbene, quindi, le probabilità di contrarre la malattia di Alzheimer crescano con gli anni, la vecchiaia di per se stessa non è causa di tale malattia. Dati recenti sembrano, comunque, suggerire che problemi legati all'età come l'arteriosclerosi possano essere fattori di rischio importanti. Inoltre, poiché oggi si vive più a lungo che in passato, il numero di persone affette da malattia di Alzheimer o da altre forme di demenza sembra destinato ad aumentare. Sesso • Da alcuni studi risulta che il numero di donne affette da tale malattia è sempre stato superiore al numero degli uomini. Tale dato può essere, tuttavia, ingannevole, perché le donne vivono mediamente più a lungo degli uomini. Ciò significa che, a parità di durata della vita e in assenza di altre cause di morte, il numero di uomini affetti da malattia di Alzheimer equivarrebbe al numero delle donne. Fattori genetici • In un numero estremamente limitato di famiglie, la malattia di Alzheimer si presenta col carattere di malattia genetica dominante. I membri di tali famiglie possono ereditare da uno dei genitori la parte di DNA (struttura genetica) che causa tale malattia. Mediamente, la metà dei figli di un genitore malato erediterà la malattia, con esordio ad un'età relativamente bassa: di norma, tra i 35 e i 60 anni. Nell'ambito di una stessa famiglia, l'età d'inizio è discretamente costante. E' stato scoperto un collegamento tra il cromosoma 21 e la malattia di Alzheimer. Poichè la sindrome di Down è causata da un'anomalia su questo cromosoma, i soggetti Down hanno maggiori probabilità di ammalarsi se raggiungono la mezza età, anche se non appaiono tutti i sintomi della malattia. Traumi cranici • Ci sono fondati motivi per ritenere che una persona che ha ricevuto un violento colpo alla testa possa essere a rischio di ammalarsi di Alzheimer. Il rischio è maggiore se al momento del colpo la persona ha più di cinquant'anni, ha un gene specifico (apoE4) e ha perso conoscenza subito dopo il colpo. Altri fattori • Non esiste nessuna prova sicura che un particolare gruppo di persone sia candidato a sviluppare la malattia. Razza, professione, posizione geografica, livello socio-economico non sono fattori determinanti. La malattia di Alzheimer è ereditaria? La malattia di Alzheimer non è normalmente ereditaria. La causa non è quindi da ricercarsi nel proprio patrimonio genetico. Avere nella propria famiglia alcuni malati di Alzheimer non significa essere desti- 140 Il Cittadino e la Salute nati ad ammalarsi, perché nella maggioranza dei casi non vi è un origine genetica. Il fatto è che si tratta di una malattia comune tra gli anziani e non è quindi infrequente che colpisca due o più persone nella stessa famiglia. Indipendentemente dalla familiarità, tutti possiamo ammalarci a un certo punto della vita. Tuttavia, è nota ora l'esistenza di un gene che può influenzare questo rischio. Questo gene si trova nel cromosoma 19, ed è responsabile della produzione di una proteina chiamata apolipoproteinaE (ApoE). Esistono tre tipi principali di tale proteina, uno dei quali(l'ApoE4) - sebbene poco comune rende più probabile il verificarsi della malattia. Non si tratta della causa della malattia, ma ne aumenta la probabilità. Per esempio, una persona di cinquant'anni portatrice di questo gene avrebbe 2 probabilità su 1000 di ammalarsi invece del consueto 1 per 1000, ma può nella realtà non ammalarsi mai. Soltanto nel 50 % dei malati di Alzheimer si trova la proteina ApoE4, e non tutti coloro che hanno tale proteina presentano la malattia. In un numero estremamente limitato di famiglie (alcune decine in tutto il mondo), la malattia di Alzheimer si presenta col carattere di malattia genetica dominante. I membri di tali famiglie possono ereditare da uno dei genitori la parte di DNA (struttura genetica) che causa la malattia. Mediamente, la metà dei figli di un genitore malato erediterà la malattia, che in questo caso avrà un esordio relativamente precoce: tra i 35 e i 60 anni. Decorso e sintomi Il decorso della malattia è lento e in media i pazienti possono vivere fino a 8-10 anni dopo la diagnosi della malattia. La demenza di Alzheimer si manifesta con lievi problemi di memoria, fino a concludersi con grossi danni ai tessuti cerebrali, ma la rapidità con cui i sintomi si acutizzano varia da persona a persona. Nel corso della malattia i deficit cognitivi si acuiscono e possono portare il paziente a gravi perdite di memoria, a porre più volte le stesse domande, a perdersi in luoghi familiari, all’incapacità di seguire delle indicazioni precise, ad avere disorientamenti sul tempo, sulle persone e sui luoghi, ma anche a trascurare la propria sicurezza personale, l’igiene e la nutrizione. I disturbi cognitivi possono, tuttavia, essere presenti anche anni prima che venga formulata una diagnosi di demenza di Alzheimer. Diagnosi Oggi l’unico modo di fare una diagnosi certa di demenza di Alzheimer è attraverso l’identificazione delle placche amiloidi nel tessuto cerebrale, possibile solo con l’autopsia dopo la morte del paziente. Questo significa che durante il decorso della malattia si può fare solo una diagnosi di Alzheimer ‘possibile’ o ‘probabile’. Per questo i medici si avvalgono di diversi test: • esami clinici, come quello del sangue, delle urine o del liquido spinale; • test neuropsicologici per misurare la memoria, la capacità di risolvere problemi, il grado di attenzione, la capacità di contare e di dialogare; • Tac cerebrali per identificare ogni possibile segno di anormalità; • Questi esami permettono al medico di escludere altre possibili cause che portano a sintomi analoghi, come problemi di tiroide, reazioni avverse a farmaci, depressione, tumori cerebrali, ma anche malattie dei vasi sanguigni cerebrali. Come in altre malattie neurodegenerative, la diagnosi precoce è molto importante sia perché offre la possibilità di trattare alcuni sintomi della malattia, sia perché permette al paziente di pianificare il suo futuro, quando ancora è in grado di prendere decisioni. Terapie farmacologiche Oggi purtroppo non esistono farmaci in grado di fermare e far regredire la malattia e tutti i trattamenti disponibili puntano a contenerne i sintomi. Per alcuni pazienti, in cui la malattia è in uno stadio lieve o moderato, farmaci come tacrina, donepezil, rivastigmina e galantamina possono aiutare a limitare l’aggravarsi dei sintomi per alcuni mesi. Questi principi attivi funzionano come inibitori dell'acetilcolinesterasi, un enzima che distrugge l'acetilcolina, il neurotrasmettitore carente nel cervello dei malati di Alzheimer. Perciò inibendo questo enzima, si spera di mantenere intatta nei malati la concentrazione di acetilcolina e quindi di migliorare la memoria. Altri farmaci, inoltre, possono aiutare a contenere i proIl Cittadino e la Salute 141 blemi di insonnia, di ansietà e di depressione. La messa a punto di nuovi farmaci per la demenza di Alzheimer è oggi un campo in grande sviluppo, nei laboratori di ricerca si sta lavorando a principi attivi che aiutino a prevenire, a rallentare la malattia e a ridurne i sintomi. Altra via di ricerca attiva è quella che punta sullo sviluppo di una risposta immunologica contro la malattia cercando di sviluppare un vaccino in grado di contenere la produzione di b-amiloide (il peptide che si aggrega a formare le placche). Terapie non farmacologiche Fra le varie terapie non farmacologiche proposte per il trattamento della demenza di Alzheimer, la terapia di orientamento alla realtà (ROT) è quella per la quale esistono maggiori evidenze di efficacia (seppure modesta). Questa terapia è finalizzata ad orientare il paziente rispetto alla propria vita personale, all’ambiente e allo spazio che lo circonda tramite stimoli continui di tipo verbale, visivo, scritto e musicale. 94. CODICE EUROPEO CONTRO IL CANCRO Adottando uno stile di vita sano è possibile evitare taluni tipi di cancro e migliorare lo stato di salute: • non fumare. Se fumi, smetti il più presto possibile e non fumare in presenza di altri. Se non fumi non provare a farlo; • se bevi alcolici: birra, vino o liquori, moderane il consumo; • aumenta il consumo quotidiano di verdura e frutta fresca. Mangia spesso cereali ad alto contenuto di fibre; • evita l’eccesso di peso, aumenta l’attività fisica e limita il consumo di grassi; • evita l’esposizione eccessiva al sole ed evita scottature, soprattutto nell’infanzia; • attieniti strettamente alle norme che invitano a non esporsi alle sostanze conosciute come cancerogene. Rispetta tutte le istruzioni igieniche e di sicurezza per le sostanze cancerogene; • molti più cancri possono essere curati se diagnosticati tempestivamente; • consulta un medico se noti un rigonfiamento, una lesione che non guarisce (anche in bocca), un neo che cambia forma, dimensioni o colore, o qualunque emorragia anormale; • consulta un medico se presenti continui problemi, quali tosse o raucedine persistente, un mutamento nelle abitudini intestinali o urinarie o una perdita inspiegabile di peso. Per le donne: • effettua regolarmente uno striscio vaginale. Partecipa ai programmi organizzati di screening del cancro del collo dell’utero; • sorveglia regolarmente il tuo seno. Partecipa ai programmi organizzati di screening mammografico se hai più di cinquant’anni. 95. LA PREVENZIONE DEL RISCHIO CARDIOVASCOLARE La prevenzione è una delle armi più efficaci in tutte le patologie, in particolare per le malattie cardiovascolari. Infatti, anche in una persona “sana”, diversi fattori (il soprappeso, il fumo anche moderato, la pressione “un po’ alta”...) possono, sommandosi, aumentare in modo considerevole il rischio cardiovascolare globale. Anche lo stile di vita, così diverso nelle popolazioni europee può incidere sul profilo di rischio cardiovascolare. Per fortuna la nostra “dieta mediterranea” contribuisce ad abbassare il rischio rispetto alle altre popolazioni europee. È importante a questo punto ribadire che, “una corretta prevenzione cardiovascolare parte sempre da alcune semplici norme ed abitudini di vita come quelle che indicheremo di seguito”. 1. Pressione arteriosa - un valore importante Una pressione arteriosa corretta (120/80 mmHg secondo le recenti linee guida) protegge dal rischio. Perché tutto sia sotto controllo è opportuno effettuare una misurazione periodica della pressione. È un controllo semplice, da fare possibilmente durante una visita medica, in farmacia o a casa (ma solo con apparecchiature affidabili e certificate). 142 Il Cittadino e la Salute 2. L’esercizio fisico regolare rafforza il cuore e migliora la circolazione del sangue. Non serve strafare: per esempio bastano 30 minuti di attività fisica due/tre volte alla settimana – a volte quattro passi in più, scendendo dall’autobus una o due fermate prima, salire le scale a piedi, dimenticandosi del... comodo ascensore! 3. Il fumo è il fattore più importante nell’aumento del rischio cardiovascolare. Per fortuna, già dopo pochi anni che si smette di fumare, il rischio si riduce in modo molto rilevante! 4. Il controllo del peso corporeo è molto importante. Aumentare in proporzione solo qualche chilo in più vuole dire far aumentare il rischio cardiovascolare, affaticando il cuore a seguito del maggior lavoro. 5. L’importanza del cibo. Quantità, ma anche qualità sono importanti. Cibarsi correttamente secondo i principi della “dieta mediterranea” (pochi grassi animali, riduzione del colesterolo, più pesce, frutta e verdura in quantità) ottimizza le calorie assunte e riduce il rischio di malattia. 6. Come vanno gli zuccheri? – Il diabete non è solo una malattia importante di per sé, ma, quando non correttamente curata, contribuisce anche in misura significativa a danneggiare rapidamente i vasi sanguigni, incrementando il rischio cardiovascolare. Ecco perché è opportuno, con modalità e intervalli consigliati dal medico di famiglia, valutare la propria glicemia (livello di zuccheri nel sangue). 7. Il medico di famiglia – E’ un consigliere indispensabile per farci star bene. E parlando di salute il “fai da te” non è mai consigliabile. Deve essere il medico di famiglia il primo ed indispensabile consigliere cui fare riferimento. Condividere con lui i nostri obiettivi, verificando il profilo di rischio, è sempre fondamentale per impostare il nostro personale cammino verso uno stile di vita a “misura” di cuore. N.B.: Per far star bene il tuo cuore usa sempre anche il tuo cervello: una prevenzione su misura. Attenzione! È opportuno comunque ricordare a tutti che, quando si avverte un dolore intenso al torace o alla zona epigastrica irradiata o meno al braccio sinistro e/o alla mandibola sinistra, tanto più se concomitante ad una difficoltà respiratoria, bisogna urgentemente chiamare il medico di famiglia o la guardia medica e, in caso di difficoltà o di aggravamento dei sintomi, rivolgersi tempestivamente al 118. 96. L’ICTUS CEREBRALE Cos’è l’ictus cerebrale? L’ictus cerebrale è un improvviso danno subito dalle cellule del cervello a causa di un disturbo circolatorio cerebrale che impedisce il normale afflusso di sangue. Si manifesta con un deficit specifico di una funzione cerebrale che insorge acutamente, “di colpo” (ictus in latino significa colpo): il soggetto un minuto prima sta bene, un minuto dopo accusa i sintomi tipici dell’ictus, che possono essere transitori, restare costanti o peggiorare nelle ore successive. Quando il flusso sanguigno diretto ad una zona del cervello si riduce o si interrompe, le cellule nervose che la costituiscono non ricevono più ossigeno e nutrimenti e vanno incontro a sofferenza, cioè svolgono male la propria funzione. Se il flusso di sangue si interrompe del tutto, anche solo per pochi minuti, si arriva anche alla morte cellulare, cioè alla completa perdita della funzione di quell’area cerebrale. Per tali ragioni l’ictus cerebrale è considerato un’emergenza medica alla stregua dell’infarto del miocardio. Alcuni dati sull’ictus cerebrale L’ictus cerebrale in Italia rappresenta la terza causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, e la prima causa assoluta di disabilità. L’incidenza è proporzionale all’età della popolazione: bassa fino a 40-45 anni, aumenta gradualmente fino ad impennarsi dopo i 70 anni; il 75% dei casi di Il Cittadino e la Salute 143 ictus infatti colpisce le persone con più di 65 anni. Il 10-20% delle persone colpite da ictus cerebrale per la prima volta muore entro un mese, il 10% entro il primo anno. Coloro che sopravvivono con una disabilità importante spesso richiedono l’istituzionalizzazione in reparti di lungodegenza o in residenze sanitarie assistenziali; alcune famiglie, ma non tutte se lo possono permettere, si organizzano per ospitare il parente a domicilio; i costi sia a carico delle famiglie che del sistema sanitario nazionale sono elevatissimi. Si calcola che una persona colpita da ictus nella fase acuta di malattia costi circa 10.000 euro. L’invalidità permanente delle persone che superano la fase acuta di malattia determina negli anni successivi una spesa che si può stimare intorno ai 100.000 euro. L’aspetto psicologico personale e familiare presenta costi non calcolabili. Come e perché si viene colpiti da ictus cerebrale? L’ictus cerebrale può essere ischemico o emorragico (emorragia cerebrale): Ischemia cerebrale: rappresenta l’85% dei casi di ictus; è la chiusura di un’arteria cerebrale che impedisce il passaggio del sangue. Le piccole arterie cerebrali possono chiudersi provocando piccole ischemie chiamate “lacunari” anche senza dare sintomi avvertiti dal soggetto (ischemia silente); tuttavia tali piccole lesioni cerebrali, se ripetute nel tempo, possono provocare, sommandosi, una sindrome caratterizzata da perdita progressiva della memoria e disturbo della deambulazione, fino ad arrivare a casi conclamati di “demenza vascolare”. La prima causa di queste piccole lesioni lacunari è l’ipertensione arteriosa, spesso associata a diabete mellito, dislipidemia. Emorragia cerebrale: rappresenta il 15% dei casi; è l’improvvisa rottura di un’arteria cerebrale, causata di solito da ipertensione arteriosa. È possibile che si rompa una piccola arteria profonda (tipico dell’anziano) o un aneurisma cerebrale (cioè una malformazione congenita delle arterie cerebrali, tipico del giovane). Vi sono poi cause minori di ictus cerebrale ischemico, che colpiscono soprattutto il giovane: • alcuni difetti della coagulazione del sangue, ereditari o acquisiti a causa di malattie, che provocano ischemie cerebrali o emorragie; • pervietà del forame ovale (cioè le persistenza congenita di un piccolo foro presente tra i due atri del cuore che si dovrebbe chiudere durante la vita intrauterina, ma che spesso rimane pervio), in cui si formano piccoli trombi che passano poi nel circolo sanguigno e raggiungono il cervello diventando ischemici; i fattori di rischio maggiori sono la trombofilia (tendenza ad una maggiore coagulazione del proprio sangue) e l’assunzione della pillola estro-progestinica in donne emicraniche e fumatrici. Come si manifesta l’ictus? Vi sono alcuni sintomi che devono mettere in allarme il soggetto appena li avverte: • improvvisamente mi accorgo che non muovo più, o muovo con meno forza, un braccio o una gamba o entrambi gli arti di uno stesso lato del corpo; • improvvisamente mi accorgo di avere la bocca storta; • improvvisamente mi accorgo di non sentire più, o di sentire meno, un braccio o una gamba o entrambi gli arti di uno stesso lato del corpo; • improvvisamente faccio fatica a parlare sia perché non articolo bene la parola sia perché non riesco a scegliere le parole giuste; • improvvisamente i miei parenti o chi c’è vicino a me in quel momento si accorge che non riesco più a capire ciò che mi viene detto; • improvvisamente non riesco a vedere bene metà degli oggetti; • improvvisamente non riesco più a coordinare i movimenti ed a stare in equilibrio; • improvvisamente mi capita di avere un violento mal di testa, diverso da quelli che ho sempre accusato. Tali sintomi possono durare anche pochi minuti (si parla allora di attacco ischemico transitorio, TIA); In ogni caso va consultato il proprio medico di famiglia al più presto o va chiamato il 118. Quali sono i fattori di rischio per l’ictus cerebrale? Tra i fattori di rischio, alcuni non possono essere corretti, mentre altri possono essere corretti con comportamenti adeguati. 144 Il Cittadino e la Salute Fattori di rischio non correggibili: • Età. Dopo i 65 anni, l’incidenza dell’ictus aumenta in maniera esponenziale. • Familiarità. Chi ha un genitore o un fratello che ha avuto un ictus cerebrale corre un rischio maggiore di andarvi incontro rispetto agli altri. • Sesso. I maschi rischiano un ictus cerebrale più delle femmine, le quali sono protette dagli ormoni sessuali almeno fino alla menopausa. Dopo i 65 anni le probabilità di incidenza sono uguali. Fattori di rischio correggibili: • Ipertensione arteriosa • Diabete mellito • Ipercolesterolemia • Fumo di sigaretta • Cardiopatie, soprattutto fibrillazione atriale, protesi valvolare, recente infarto miocardio, endocardite infettiva o forame ovale pervio • Placche ateromasiche a livello dei grossi vasi del collo • Obesità • Ridotta attività fisica • Emicrania • Pillola estroprogestinica Come prevenire l’ictus cerebrale? • almeno 2 volte l’anno, provarsi la pressione arteriosa in modo tale da svelare un’eventuale ipertensione arteriosa non rilevata, per iniziare la terapia di profilassi; • almeno 1 o 2 volte l’anno effettuare la misurazione della glicemia per svelare un’eventuale diabete o una semplice intolleranza ai carboidrati (stato che precede il diabete e che può essere corretto semplicemente con dieta e attività fisica); se si è già diabetici controllare spesso i valori glicemici e attenersi scrupolosamente alla dieta e alle terapie prescritte; • smettere di fumare; • almeno 1 volta l’anno controllare i valori di colesterolo nel sangue; se elevati andrà seguita una dieta povera di grassi e, se necessario, assunta una terapia farmacologia; • chi è affetto da cardiopatie, in particolare fibrillazione atriale, dovrà seguire una terapia antiaggregante o anticouagulante orale per diluire il sangue e ridurre il rischio di ictus cerebrale embolico; in ogni caso, andranno seguite periodiche visite di controllo cardiologiche ed eventualmente neurologiche; • chi ha familiarità per presenza di placche alla carotidi, dopo i 50 anni eseguire un Eco-Color Doppler TSA; • chi già conosce di avere delle placche alle carotidi, deve eseguire i controlli periodici con Eco-Color Doppler TSA: • svolgere attività fisica costante almeno 2-3 volte alla settimana, non necessariamente impegnative, è sufficiente camminare a passo sostenuto; • alimentarsi in modo corretto scegliendo un’alimentazione non troppo ricca di grassi e sale; • non eccedere con il consumo di alcolici: un’attività fisica costante ed un’alimentazione corretta permettono di mantenere un’adeguato peso corporeo, prevenendo anche l’obesità; • fra i giovani, in particolare fra le donne, chi soffrisse di emicrania con aura dovrebbe evitare di fumare e di assumere la pillola estro-progestinica; • chi ha già avuto ictus cerebrale deve almeno 2 volte l’anno effettuare le visite di controllo e gli esami strumentali programmati. Il Cittadino e la Salute 145 97. LA CARDIOPATIA ISCHEMICA La cardiopatia ischemica è la conseguenza della riduzione di afflusso di sangue al tessuto cardiaco a causa dell’ostruzione acuta o progressiva delle arterie coronarie. Quando vi è assenza di afflusso di sangue ad una area del cuore si verifica l’infarto del miocardio. Tuttavia vi possono essere segni premonitori dell’infarto quando l’arteria coronaria si sta restringendo od occludendo ed in alcune condizioni non è più in grado di fornire sufficiente ossigenazione, provocando episodi di dolore intermittente soprattutto sotto sforzo fisico (angina pectoris). L’aterosclerosi (cioè la formazione di placche ateromasiche all’interno delle coronarie fino alla trombosi delle stesse) è alla base della cardiopatia ischemica. La progressione delle placche può tuttavia essere fermata dalla modificazione dei fattori di rischio attraverso un’efficace azione preventiva. Soprattutto chi ha familiarità per la cardiopatia ischemica deve sottoporsi ad una serie di controlli e di modificazioni dello stile di vita come in precedenza. 98. L’EPILESSIA E LE SUE CAUSE Causa genetica L’epilessia può essere dovuta ad una predisposizione costituzionale per la quale un soggetto, pur avendo un cervello perfettamente normale, può manifestare crisi più facilmente di altri.La maggioranza di queste epilessie guarisce con lo sviluppo tra i 10 ed i 15 anni. In questi casi, nell’intervallo tra una crisi e l’altra, il soggetto non presenta alcun disturbo ed è assolutamente uguale a tutti gli altri. Causa lesionale L’epilessia può essere dovuta al fatto che il cervello ha subito prima, durante e dopo la nascita, una lesione che è causa delle crisi.Anche in molti di questi casi, l’epilessia può guarire nel tempo. Possono tuttavia rimanere dei disturbi del movimento, della memoria o dell’apprendimento, che non sono dovuti all’epilessia, ma alla lesione primitiva. La diagnosi La diagnosi di epilessia si basa specificatamente sull’analisi precisa delle crisi ed in particolar modo: l’Elettroencefalogramma (ECG) può aiutare a capire qual è il tipo di epilessia, mentre la Tomografia Assiale Computerizzata (TAC) e la Risonanza Magnetica (RMN) possono servire per vedere se c’è una lesione cerebrale. La cura Esistono diversi farmaci che vengono impiegati per curare le epilessie: si tratta di medicine che vengono dosate in base al peso e all’età e che devono essere assunte regolarmente. I farmaci “antiepilettici” si prendono generalmente per bocca: passano dal “sistema digerente” al sangue e quindi al cervello. Dopo qualche anno di cura può avvenire la guarigione completa. Talvolta invece, le medicine non sono efficaci: le crisi possono diminuire, ma non scompaiono e si presentano per parecchi anni o, più raramente, per tutta la vita. In alcuni casi la guarigione avviene senza terapia! Come avete capito non esiste l’epilessia, ma tante epilessie: molte non sono gravi e guariscono spontaneamente, altre sono più gravi e necessitano di cure per diversi anni. Certamente il ripetersi delle crisi può creare qualche problema, ma non rende diverso nè “strano” il soggetto che le ha: talvolta vedere una crisi può anche spaventarci, ma sapendo di che cosa si tratta non si ha più ragione di temere e così si sarà più consapevoli di come comportarsi in maniera adeguata all’occasione. Le epilessie si dividono, a seconda del tipo di crisi che le caratterizzano in: GENERALIZZATE 146 Il Cittadino e la Salute { Convulsive Non convulsive FOCALI { Con perdita di coscienza Senza perdita di coscienza Le epilessie possono essere più o meno gravi e questo dipende dal fatto che le crisi: • si verifichino frequentemente o raramente • vengano in veglia o nel sonno • siano con o senza perdita di coscienza • si presentino con o senza caduta a terra • siano di breve o lunga durata, etc. Le crisi epilettiche non sono mai pericolose per la vita del soggetto; possono esserlo solamente se si verificano quando si sta facendo una attività pericolosa, come pescare sott’acqua, arrampicarsi su un’albero, correre in moto od in acqua, etc. N.B. in presenza di una crisi le cose che si devono fare sono le seguenti: • se il soggetto cade, tenerlo disteso su un fianco senza bloccargli i movimenti; • mettergli qualche cosa di morbido sotto il capo; • osservare bene che cosa succede durante la crisi; • aspettare che la crisi passi; • tranquillizzare il soggetto quando si riprende; • ...e soprattutto... non spaventarsi e provvedere al consulto con i medici! L’Epilessia ad esordio infantile Una quota importante delle epilessie si manifesta tra i primi giorni di vita e i 14 anni. Una parte delle epilessie da questa età della vita sono idiomatiche, legate ad una predisposizione genetica. Tra queste si riconoscono le epilessie parziali idiomatiche, quale l’epilessia rolandica, benigne, con guarigione spontanea nell’ adolescenza. Anche le convulsioni febbrili hanno alla base una predisposizione fanatica: non si tratta però di epilessie ma di crisi epilettiche precipitate. 99. LA MALATTIA DI HUNTINGTON La Malattia di Huntington (MH) è una patologia ereditaria degenerativa caratterizzata dalla presenza di un disturbo del movimento progressivamente invalidante, disturbi del comportamento talvolta molto gravi e decadimento delle funzioni intellettive fino alla demenza. Ha una prevalenza variabile nelle differenti parti del mondo con valori in Europa di circa 5-10\100.000. In Italia stimiamo pertanto che siano circa 6.000 le persone malate e 18.000 quelle a rischio di ereditare la malattia. Fu George Huntington, nel 1872 , a descrivere per la prima volta i sintomi della malattia nel suo articolo “On Chorea”. Caratteristiche cliniche e genetiche Il gene responsabile della MH si trova sul cromosoma 4. Esso contiene le informazioni per la produzione di una proteina chiamata huntingtina (htt) la cui funzione è ancora ignota, anche se è dimostrato che si tratta di una proteina indispensabile per la vita ed espressa in tutte le cellule. Le persone affette da MH possiedono delle alterazioni del gene dell’htt, e per questo le loro cellule producono una forma anomala di questa proteina, che attraverso un meccanismo di funzioni tossiche (gain-of-function) non ancora chiarito, induce la morte dei neuroni in molte aree celebrali. E’ proprio il danno alle cellule che genera alterazione delle capacità cognitive, del controllo dei movimenti e delle emozioni. In molti casi, aspetti legati ad alterazioni comportamentali si manifestano prima che compaiano disturbi di tipo motorio. I primi segni di malattia possono essere irritabilità, depressione, disturbi dell’umore insieme ad un leggero disturbo della coordinazione motoria con lievi e sporadiche ipercinesie simili a scatti. Rallentamento dei movimenti o contratture muscolari persistenti possono caratterizzare l’insorgenza della malattia contribuendo a varianti diverse a seconda dei casi. L’età di insorgenza è assai variabile poiché la malattia si può manifestare a novantanni anche se in genere i primi sintomi appaiono in media tra Il Cittadino e la Salute 147 i trenta e i cinquanta anni. La MH ha un andamento ingravescente per cui corea e disturbo cognitivo peggiorano col progredire della malattia. Altro sintomo è la disartria, che si manifesta come una alterazione della capacità di articolare il linguaggio, spesso associata alla difficoltà di deglutire. Ipercinesie coreiche al volto, arti e tronco e disturbi della deambulazione, costituiscono i segni più tipici di malattia, benché il 5% dei pazienti, non sviluppano corea ma un progressivo rallentamento dei movimenti verso una forma rigida. Le persone non muoiono di MH, ma in seguito alle complicazioni della malattia, come soffocamento o infezione. La morte generalmente si verifica in media dopo 15-20 anni dall’insorgenza, anche se recentemente è emersa l’ipotesi di una durata assai più prolungata. Huntington giovanile In circa il 10% dei casi, la MH colpisce prima dei venti anni di età, fortunatamente solo raramente i bambini o adolescenti. I bambini molto spesso ereditano la malattia dal padre. I sintomi della forma giovanile di MH sono a volte diversi dalla forma adulta, come accade nel caso della forma definita Westphal. I sintomi iniziali generalmente implicano lentezza, rigidità, deambulazione goffa, difficoltà della parola e, talvolta, crisi epilettiche che si manifestano nel 30-50% dei casi. Il decorso della variante giovanile può essere più severo rispetto a quello dell’adulto. Questo gruppo può essere ulteriormente suddiviso in quelli che presentano un’insorgenza infantile ovvero prima dei 10 anni e quelli con insorgenza nell’adolescenza da 10 a 20 anni di età. Ereditarietà La MH è autosomico-dominante ed è trasmessa da una generazione alla successiva attraverso la trasmissione dal genitore al figlio di un gene “mutato”. Ciascun figlio di un genitore affetto ha una possibilità su due (50%) di aver ereditato il gene che causa MH, ed è detto “a rischio”. Le persone che portano il gene sviluppano MH a meno che non muoiano per altre cause prima che si manifestino i primi sintomi. Maschi e femmine hanno la stessa probabilità di ereditare il gene dal genitore affetto. Coloro che non hanno ereditato il gene, non svilupperanno la malattia, e nemmeno i loro figli. Terapia Il trattamento per MH riguarda i sintomi sebbene l’ambizione e’ quella di proteggere i neuroni dalla morte cellulare con cure preventive e neuroprotettive. Per la cura dei sintomi psichiatrici vengono impiegati farmaci neurolettici che possono essere di aiuto per contenere anche i disturbi del movimento. E’ raccomandabile non usare i neurolettici di vecchia generazione come l’aloperidolo i cui effetti collaterali peggiorano l’evoluzione della sintomatologia nel tempo. Benzodiazepine ed antidepressivi possono essere utilizzati. I farmaci che sono efficaci in una fase della malattia possono non esserlo in un’altra. Le persone affette da MH hanno un elevato fabbisogno calorico per mantenere il peso corporeo al fine di aiutare a ridurre i movimenti involontari ed altri sintomi, in particolare nella fase tardiva della malattia. Supplementi nutrizionali possono dunque essere di aiuto. Nell’autunno del 2000 è partita in Italia la sperimentazione di un nuovo farmaco, il Riluzolo. Già impiegato per la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), il Riluzolo ha la funzione di agire sui canali del sodio antagonizzando il rilascio del glutammato. Quando la tripletta si ripete troppe volte, il glutammato viene prodotto in quantità tali da divenire tossico. Lo scopo di questa sperimentazione è di rallentare il decorso della malattia. Il Trial Riluzolo è coordinato dalla nostra Unita’ del Neuromed di Pozzilli (IS). 100. LA SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA Sono malattie che spesso si ha paura anche a nominare. Poi tornano alla ribalta della cronaca e allora tutti ci ricordiamo che esistono e che i malati che ne soffrono hanno anche diritto a parlarne, a farsi conoscere, perché solo dalla conoscenza possono arrivare miglioramenti. Ne abbiamo parlato con un medico, vicepresidente dell’associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica, malato lui stesso di questo serio disturbo. 148 Il Cittadino e la Salute Un problema dei neuroni È uno di questi disturbi che colpisce ogni giorno circa 6 persone ogni 100mila, ma di cui ancora non si sa molto. I medici la classificano tra le malattie neurodegenerative, i malati sanno che è un problema che riguarda i neuroni, le cellule del sistema nervoso che si trovano nel cervello, ma anche nel midollo spinale. In particolare, la Sla colpisce i motoneuroni, quelli che permettono al nostro corpo ogni movimento volontario. • Queste cellule nervose possono essere divise in due gruppi: il primo è composto dai motoneuroni centrali o corticali, che si trovano nella corteccia celebrale e hanno il compito di trasmettere l’impulso nervoso dal cervello al midollo spinale. Per fare un esempio, quando vogliamo alzare un braccio il cervello manda l’ordine “alzare braccio” al midollo spinale, usando i neuroni centrali. • Quando l’ordine è arrivato al midollo spinale, però, servono altre cellule che trasferiscono le informazioni ai muscoli, i veri operai che fanno alzare il braccio: in questo caso entrano in gioco il secondo gruppo di motoneuroni quelli periferici o spinali. • Nei malati di Sla i motoneuroni non funzionano più bene e muoiono. La loro morte progressiva porta conseguenze via via sempre più pesanti per il malato, che perde la funzionalità motoria ossia non riesce più ad usare la muscolatura volontaria. Più la malattia procede più l’uso di determinate funzioni viene meno, con coinvolgimento anche dei muscoli che permettono la deglutizione, l’articolazione della parola, la respirazione fino ad arrivare alla paralisi completa e alla morte per insufficienza respiratoria. • Nonostante ciò, i malati di Sla non perdono le loro capacità cognitive, sensoriali e sessuali. Anche le funzioni intestinali e quelle della vescica continuano a lavorare come prima della malattia. (in quanto tali funzioni sono indipendenti alla muscolatura volontaria scheletrico) Più nomi per un unico disturbo La sclerosi latente amiotrofica oltre che con la sigla Sla viene identificata con altri nomi come il “morbo di Lou Gehrig”, famoso giocatore di baseball americano che ne fu colpito nel 1939 a solo 36 anni o “malattia di Charcot”, da Jean Martin Charchot (1825-1893) il neurologo francese che per primo descrisse la malattia. Quando si parla di Sla si può usare anche la definizione di “malattia dei motoneuroni”, ma è importante non confondere questo problema con un’altra malattia neurologica: la sclerosi multipla. La Sla è una malattia neurodegenerativa, ciò comporta progressivamente la degenerazione e quindi la morte degli elementi nervosi colpiti: i motoneuroni. La S.M. (sclerosi multipla) è una malattia neurologica autoimmune che comporta la distruzione della mielina, il rivestimento, la guaina della fibra nervosa. Come si manifesta I sintomi iniziali della Sla variano molto da persona a persona. In genere, si avverte una progressiva perdita di forza: gli oggetti cadono di mano, si ha difficoltà a compiere gesti abituali, come vestirsi o abbottonarsi. Di solito, l’indebolimento parte dagli arti periferici, ossia mani e piedi. Di conseguenza, la persona sente di avere meno forza quando stringe qualcosa e inizia a inciampare in modo frequente. • In alcuni casi, però, la malattia attacca la regione bulbare del sistema nervoso, la zona che controlla i muscoli che hanno a che fare con la masticazione e deglutizione. In questo caso si parla di Sla. bulbare e chi ne soffre ha difficoltà a parlare, masticare e a deglutire. • Naturalmente, solo una visita specialistica può determinare la presenza di questo disturbo che spesso è difficile da diagnosticare. In linea generale, quindi, si può solo dire che in caso di debolezza persistente, rigidità muscolare, contrazioni involontarie e crampi anche dolorosi è bene fare accertamenti, anche se questi sintomi oltre che della Sla possono essere spia di altri disturbi molto meno preoccupanti. È difficile riconoscerla Anche un neurologo può avere difficoltà a capire se ha di fronte un caso di Sla. Per diagnosticare questa malattia, infatti, non esiste al momento attuale un metodo certo. Non ci sono test specifici e spesso serve molta esperienza e, soprattutto, un attento esame della persona. Il Cittadino e la Salute 149 In genere, un neurologo arriva alla diagnosi di Sla dopo che ha escluso tutte le altre malattie che possono portare a sintomi simili. Per fare ciò la persona si deve sottoporre a un insieme di analisi e controlli. Ecco quelli più comuni: • Esami neuro fisiologici che comprendono: elettromiografia e la velocità di conduzione nervosa. Tali esami consistono nello studio dell’attività muscolare e di conduzione dell’impulso, inserendo piccoli aghi nei muscoli ed inviando stimoli elettrici a basso voltaggio. • Esami del sangue e delle urine (per escludere altre malattie infiammatorie, infettive, autoimmuni tumori, problemi della tiroide ed altro). • Risonanza magnetica nucleare dell’encefalo e del midollo spinale. • Rachicentesi o puntura lombare ( cioè il prelievo del liquido spinale o cefalorachidiano) • Biopsia muscolare e/o del nervo. Le cause non sono ancora note Sulla Sla c’è ancora molto da sapere. Le cause, per esempio, non sono del tutto note quello che è certo è che questo disturbo non è provocato da un solo fattore, ma da un insieme di situazioni. Ecco le principali. • Predisposizione genetica: nel 1993 è stato accertato che la mutazione di un gene la SuperOssidoDismutasi ( S.O.D.I.). può provocare la malattia. A tutt’oggi sono state documentate più di 80 mutazioni genetiche. • Eccesso di anticorpi, le sostanze prodotte in modo naturale dell’organismo per difendersi dall’attacco di virus e batteri. • Eccesso di glutammato: è una sostanza molto utile alle cellule nervose, se presente nella giusta misura. Quando la sua presenza è in eccesso, però, i neuroni diventano iperattivi e ciò sembra giocare un ruolo importante nella comparsa della Sla. Il glutammato di sodio presente in molti cibi non influisce assolutamente sulla malattia. • Carenza dei fattori di crescita: sono sostanze prodotte in modo naturale dell’organismo che permettono la crescita dei nervi. • Fattori ambientali: alcune sostanze, come alluminio, mercurio, piombo, alcuni veleni o certi pesticidi possono danneggiare i motoneuroni. Si cercano nuove cure Le soluzioni per la Sla., purtroppo non sono molte. Al momento attuale i farmaci agiscono soprattutto sui sintomi che accompagnano questa malattia. Da questo punto di vista i medicinali più usati sono soprattutto farmaci miorilassanti per controllare la spasticità e i crampi come il baclofene dantrolene gobapentin solfato di chino o la tossina botulimica. Lo scopo di questi farmaci, però non è eliminare la malattia, ma regalare al malato una qualità di vita migliore, che gli permetta di conservare una certa autonomia nei movimenti. Per garantire una corretta alimentazione nei casi di difficoltà alla deglutizione si pratica la nutrizione entrale tramite posizionamento di PEG (gastrostomia per cutanea) e nei casi di difficoltà nella respirazione l’utilizzo della ventilazione non invasiva, risulta indispensabile per migliorare la qualità di vita del paziente. L’unico medicinale attualmente disponibile per combatte la Sla è il riluzolo (molecola che impedisce l’azione di accumulo del glutammato nel monteurone) che è in grado di rallentare l’evolversi della malattia. Purtroppo, però, mancano soluzioni definitive che possono risolvere il problema all’origine. Da questo punto di vista la ricerca riserva molte speranze nell’utilizzo delle staminali. Si spera che queste cellule siano in grado di riparare direttamente i danni provocati dalla Sla, o indirettamente tramite la liberazione di sostanze neuroprotettive e/o fattori di crescita; al momento attuale non ci sono risultati concreti, anche perché certe ricerche sono molto lunghe e costose. Attualmente è in corso un protocollo sperimentale di fase 1 di trapianto di cellule staminali mesenchimali autologhe (prelevate cioè dallo stesso paziente). Tale protocollo è mirato solo ed esclusivamente a valutare la sicurezza della procedura. 150 Il Cittadino e la Salute Per saperne di più • Per avere informazioni sulla S.l.a., per conoscere i centri di riferimento per la cura e sapere quale sono i diritti dei malati di S.l.a., si può visitare il sito dell’Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica (Aisla onlus) www.aisla.it . 101. LE MALATTIE RARE Le Malattie Rare (MR) sono definite sulla base di una bassa prevalenza nella popolazione e il loro numero è stimato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità intorno a 5000. I problemi connessi con queste patologie sono molti, a cominciare dall'arbitrarietà della definizione. Il limite di occorrenza nella popolazione, unico elemento di definizione della condizione di "rarità" risulta diverso nei vari Paesi. Il Congresso degli Stati Uniti ha fissato la soglia di 200 000 casi nella popolazione totale, mentre il Parlamento Europeo ha definito un limite di prevalenza non superiore a 5 casi su 10.000 abitanti nella popolazione europea. Nel nostro Paese, il Ministero della Sanità ha elaborato il Regolamento di Istituzione della Rete Nazionale delle Malattie Rare e di Esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie per circa 350 MR (DM 18 maggio 2001, n. 279, GU n. 160, del 12.07.2001 SuppI. Ord. n. 180/L). Questo documento, disegna la rete clinico-epidemiologica delle MR, che si articola in Presidi accreditati e in Centri interregionali di riferimento, proponendo una gestione unitaria e integrata del problema. I Centri interregionali provvederanno all'invio di dati epidemiologici all'Istituto Superiore di Sanità (ISS) per implementare il Registro Nazionale MR. L'accomunare tali patologie sotto la dicitura "Malattie Rare" ha le seguenti motivazioni: La Rarità: da tale caratteristica dipendono in parte le difficoltà dei pazienti a ottenere una diagnosi appropriata e tempestiva e un trattamento idoneo. In particolare, i percorsi diagnostico-terapeutici sono complicati dall'esiguo numero di strutture sanitarie e operatori sanitari (e spesso dalla loro non omogenea distribuzione sul territorio nazionale) in grado di fornire risposte soddisfacenti ai bisogni di salute di pazienti affetti da MR. Ciò è dovuto al fatto che la risposta deve essere di alto livello qualitativo: queste malattie necessitano di un'assistenza ultraspecialistica, volendo intendere con ciò il possesso e l'utilizzo di conoscenze che vanno oltre la formazione sul piano teorico (le MR spesso non sono trattate sui libri di medicina) e l'esperienza clinica non solo di base ma anche specialistica. La scarsa disponibilità di conoscenze scientifiche, che scaturisce dalla rarità, determina spesso lunghi tempi di latenza tra esordio della patologia e diagnosi che incidono negativamente sulla prognosi del paziente. La difficoltà a condividere esperienze cliniche determina invece criteri diagnostici fortemente disomogenei. La rarità incide anche sulle possibilità della ricerca clinica, in quanto la valutazione di nuove terapie è spesso resa difficoltosa dall'esiguo numero di pazienti arruolabili nei trial clinici. Il ricorso a una casistica multicentrica può, inoltre, diminuire la qualità dello studio, in quanto i criteri di reclutamento e trattamento possono essere disomogenei. La Numerosità: nel loro insieme le MR rappresentano circa il 10% delle patologie umane conosciute e interessano complessivamente una frazione importante della popolazione, ciò motiva interventi di sanità pubblica comuni e coordinati. La Natura Genetica: la maggior parte di queste patologie è geneticamente determinata e ciò induce a comuni approcci di prevenzione (individuazione dei fattori di rischio, screening dei portatori, ecc.), di diagnosi (diffusione e validazione delle tecniche di genetica molecolare e citogenetica), di trattamento (scarsità di opzioni terapeutiche valide) e infine di riabilitazione (prevenzione e controllo degli esiti invalidanti). Il Cittadino e la Salute 151 Il Contenuto Emotivo dei pazienti e dei loro familiari: questi vivono un'esperienza doppiamente dolorosa rappresentata sia dalla condizione morbosa che dalla condizione di solitudine, legata quest'ultima alla scarsità di conoscenze scientificamente disponibili ("poco si conosce sulla mia malattia") e professionalmente utilizzabili ("il medico non (ri)conosce la mia malattia"). "Rare" ed "Orfane" Per questi motivi le MR sono spesso definite "orfane", intendendo con ciò prive di risorse e attenzioni. In realtà i due appellativi forse non sono utilizzabili indifferentemente e ciò in ragione dei seguenti motivi: La Rarità è una misura quantitativa che può quindi essere espressa direttamente attraverso un valore numerico, mentre la condizione di orfana, che rappresenta in definitiva la difficoltà del Sistema Sanitario Nazionale a rispondere adeguatamente ai bisogni di salute dei pazienti affetti dalla malattia così definita, non è direttamente misurabile. È altresì possibile definire degli indicatori che esprimano le carenze assistenziali riferite a una specifica malattia (incidenza/prevalenza della malattia e distribuzione delle strutture sanitarie in grado di effettuare diagnosi, trattamento e riabilitazione, flussi assistenziali, ritardo diagnostico, ecc.). Non tutte le MR sono "orfane" per alcune di queste patologie le risorse e le attenzioni sono notevoli. Ad esempio, nel nostro Paese, la sorveglianza delle malformazioni congenite ha avuto in questi ultimi anni una notevole espansione che si è realizzata anche nell'attività di alcuni Registri sia regionali che interregionali che consentono la sorveglianza di circa 250.000 nascite all'anno che, seppur non uniformemente distribuite, rappresentano il 45% dei nati nel nostro Paese. La fenilchetonuria e l'ipotiroidismo congenito sono MR sottoposte a screening neonatale obbligatorio e quest'ultima è soggetta a un sistema di sorveglianza imperniato sull'attività di un Registro Nazionale (Registro degli ipotiroidei congeniti) istituito presso l’ISSO 102. DISABILITÀ INTELLETTIVA (E INVALIDITÀ CIVILE) Perché presentare la domanda di invalidità civile? Per ottenere benefici, economici e non, previsti dalla vigente normativa in materia. L’invalidità civile è una forma di assistenza sociale, rivolta, quindi, a tutte le persone, senza distinzione alcuna. Essere riconosciuto invalido, a partire da superiore ad un terzo (34% o più), comporta il diritto ad ottenere la fornitura gratuita di protesi e ausili, ovvero una contribuzione, da parte dell’A.S.L., alla spesa sostenuta. Protesi e ausili concessi sono descritti in un elenco, approvato a livello nazionale e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, ivi indicandosi anche la tempistica delle sostituzioni. Se in età compatibile con il lavoro,una percentuale uguale o superiore al 46% consente l’iscrizione al collocamento obbligatorio. Percentuali uguali e superiori al 74% danno diritto a ricevere un contributo economico sino al collocamento. L’invalido assunto nella relativa quota ha diritto al mantenimento del posto di lavoro. Nei concorsi pubblici detta condizione privilegia la persona rispetto ad altri concorrenti sprovvisti di tale caratteristica. L’invalido superiore ai due terzi (67% o più) ha diritto all’esenzione dal pagamento del ticket sulla spesa farmaceutica e sanitaria, ma soltanto per i farmaci consentiti (quelli in fascia C si pagano sempre a prezzo pieno). Altri diritti, correlati a percentuali diverse e prestabilite, consistono nell’agevolazione ad ottenere una casa popolare, in contributi economici alla spesa sostenuta per impiantare ascensori od altri ausili per la movimentazione dell’invalido. Ancora, i trasporti pubblici sono gratuiti, ovvero proposti a costi inferiori. L’invalido al 100% ha diritto all’esenzione dal pagare la quota fissa per ricetta; ottiene l’erogazione della pensione di invalidità soltanto in funzione del reddito dichiarato. L’invalido al 100% e non in grado di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore, 152 Il Cittadino e la Salute ovvero non autonomo negli atti quotidiani della vita, valutati in relazione all’età, ha diritto a percepire l’indennità di accompagnamento. L’indennità di accompagnamento è slegata dal reddito. Nessuna percentuale d’indennità è incompatibile con il lavoro, per il quale esiste il solo vincolo dall’età. L’indennità di frequenza è concessa ai minori di anni 18, con difficoltà persistenti a svolgere compiti e funzioni proprie dell’età, che frequentino continuativamente o periodicamente centri ambulatoriali o diurni, specializzati in terapie o riabilitazione. Per le persone da 18 a 65 anni. Il criterio di valutazione è la capacità lavorativa. Per chi ha 65 anni o più , si valuta la difficoltà a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell’età. Quando la disabilità del minore è di grado così elevato da abolire ogni forma di autonomia,rendendo impossibile la frequenza della scuola dell’obbligo o di corsi di addestramento – condizioni, queste, indispensabili alla concessione dell’indennità di frequenza- è necessario che la Commissione riconosca il diritto all’indennità di accompagnamento. Anche per i minori in età prescolare deve, comunque, prendersi in considerazione il diritto all’indennità di accompagnamento, laddove le “difficoltà persistenti a svolgere i compiti o le funzioni proprie dell’età” non siano suscettibili di modifiche, neppure a fronte di interventi protesici e/o riabilitativi, ovvero il quadro clinico sia tale da esigere un’assistenza diversa, per forma, modalità e tempi di erogazione, da quella dedicata ad un bambino sano. Dove e come presentare la domanda di invalidità civile? All’A.S.L. di residenza, utilizzando il Modulo solitamente predisposto, corredato almeno dal certificato stilato dal proprio medico di medicina generale, nel quale sono elencate le patologie che affliggono la persona. In alternativa, è possibile allegare alla domanda la documentazione specialistica, in copia conforme. Ciò sia che si tratti della prima domanda, sia che si rinnovi la richiesta, presupponendo un aggravamento del quadro clinico e, dunque, della sua incidenza sulla validità psico-fisica della persona. Quindi, sono pressoché inutili e certo dispendiose le copie di cartelle cliniche relative a remoti ricoveri ospedalieri. Le patologie riscontrate e trattate possono essere adeguatamente dimostrate dall’esibizione della copia della sola lettera di dimissione. Sono invece necessari, anzitutto la valutazione del QI mediante test di W.A.I.S nonché relazioni di visita specialistica, che descrivano le limitazioni conseguenti nelle attività della vita quotidiana e di relazione , eventuali ulteriori patologie associate o correlate (neurologiche, psichiatriche, genetiche),i vincoli imposti dalla malattia o dalla terapia prescritta. Ciò per dar modo alla Commissione di conoscere, comprendere e, dunque, valutare appropriatamente l’incidenza della malattia sulla vita quotidiana e di relazioni, nonché sulla capacità residua al lavoro proficuo della persona sottoposta a visita. Tutte le patologie e le limitazioni devono essere documentate, affinché possano essere riportate fra le diagnosi nel verbale redatto dalla Commissione. Ciò è importante anche per la successiva concessione di protesi e di ausili, che deve trovare giustificazione nella diagnosi specificamente espressa. Una Commissione di II istanza può dunque (che dipende dal Ministero del Tesoro) ricevere il fascicolo sanitario ed esprimere un parere vincolante: favorevole; con riserva (sono di solito prescritti ulteriori accertamenti specialistici); sfavorevole (in questo caso, sempre dopo aver direttamente sottoposto a visita l’interessato). L’esito è inviato al domicilio per raccomandata, dopo circa 60/70 giorni dalla visita. La Commissione di II istanza può, dunque, nei primi due casi, esprimersi sulla base del solo esame della documentazione sanitaria. Dai qui, l’esigenza che sia esaustiva e descrittiva. A proposito, è bene sapere che la Commissione di I istanza ha facoltà (non obbligo) di disporre accertamenti specialistici, laddove la documentazione esibita dall’interessato non sia completa o non riguardi elementi clinici evidenziati. Ne consegue che ha la possibilità di esprimere la propria valutazione basandosi su quanto presentato rimettendo all’interessato l’onere di provare anche ciò che è parso evidente, attraverso la presentazione di una (od ulteriore) domanda di aggravamento. La valutazione prevede l’inquadramento della disabilità intellettiva nell’ambito delle voci specificamente previste dalla Tabella delle percentuali di invalidità per le minoranze e malattie invalidanti, approvata con il Decreto del Ministero della Sanità del 5 Febbraio 1992. Il Cittadino e la Salute 153 Definita come insufficienza mentale è graduata in lieve, quando il QI è tra il 60-70%; sono descritti disturbi emotivi apprezzabili a seguito di stress psichici; la capacità lavoro proficuo è conservata, senza necessità di supervisione;la persona è capace di affrontare i problemi economici ed assistenziali della vita quotidiana. La percentuale di invalidità è compresa tra 41e 50%. L’insufficienza mentale è media, quando il QI è tra 40 e 50 %; sono descritti disturbi emotivi apprezzabili a seguito di stress psichici lievi; la capacità lavoro proficuo è conservata, ma necessita di supervisione; la persona capace di affrontare problemi economici ed esistenziali più semplici, mentre per quelli complessi sono necessari un tutore od un’assistenza sociale adeguata. La percentuale di invalidità è compresa tra 61 e 70 %. L’insufficienza mentale è grave , quando il QI è tra 40 e 50 % sono descritti disturbi emotivi gravi e frequenti; è prescritta terapia, sia farmacologia, sia psicologica di appoggio, associate a frequenti controlli; la capacità lavoro proficuo è abolita; la persona necessità di un tutore o di un’assistenza sociale adeguata per affrontare tutti i problemi economici ed assistenziali. La percentuale di invalidità è compresa tra 91 e 100%. Poiché il danno funzionale permanente è riferito alla capacità lavorativa generica, la Commissione può incrementare i valori gabellati, sino ad un massimo di 5 punti di percentuale, quando riconosca un’incidenza anche sulla capacità lavorativa specifica o semispecifica (occupazioni confacenti alle attitudini del soggetto). Per gli invalidi in età compatibile il diritto al lavoro è garantito dalla Legge 12 MARZO 1999 N. 68, la cui finalità è la promozione dell’inserimento e dell’integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro, attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato. Collocamento mirato dei disabili si intende quella serie di strumenti tecnici e di supporto, che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani, di lavoro e di relazioni. Sono disabili le persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali ed i portatori di handicap intellettivo, che comportano una riduzione della capacità lavorativa superiore del 40%, accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile. Lo sono anche le persone non vedenti ed i sordomuti, gli invalidi del lavoro (INAIL superiori al 33%) e gli invalidi di guerra e per servizio (minorazioni comprese fra la I e l’ VIII categoria). L’accertamento delle condizioni di disabilità è effettuato dalle commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile, integrate da un operatore sociale e da un esperto nei casi da esaminare. Questa stessa Commissione è chiamata a condurre anche gli accertamenti relative alle minoranze, alle difficoltà, alla necessità dell’intervento assistenziale permanente e alla capacità complessiva individuale residua, così come definita dalla L. 5 Febbraio 1992, n 104, legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate. È persona handicappata quella che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione. Quando la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale od in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità. Oltre alle agevolazioni economiche. aggiornate dall’Agenzia delle Entrate, il lavoratore genitore di minore con handicap in situazione di gravità può prolungare sino a tre anni il periodo di astensione facoltativa dal lavoro. Può, in alternativa, chiedere di usufruire di due ore di permesso retribuito (fino ai tre anni del figlio). Successivamente, detto genitore e chi assista una persona con handicap in situazione di gravità ha diritto a tre giorni di permesso mensile, fruibile anche in maniera continuativa. Anche il lavoratore maggiorenne con handicap in situazione di gravità può usufruire dei permessi di cui sopra. Ha, inoltre, diritto a scegliere, se possibile, la sede di lavoro più vicina e non può essere trasferito in altra sede, senza il suo consenso. 154 Il Cittadino e la Salute Principi costituzionali Art.13. La libertà personale è inviolabile. Art.14. Il domicilio è inviolabile. Art.27. La responsabilità penale è personale. Art.32 “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se nono per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Codice civile Art.1. Capacità giuridica - si acquista al momento della nascita. Art.2. Con la maggiore età si acquista la capacità di agire, cioè di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilita un’età diversa (lavoro, matrimonio). Art.5. Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati, quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico od al buon costume. Art.84. Il tribunale può, per gravi motivi ammettere al matrimonio chi abbia compiuto sedici anni (minori emancipati). Art.394 L’emancipazione conferisce al minore la capacità di compiere gli atti non eccedenti di ordinaria amministrazione. Art.316. Sino alla maggiore età od alla emancipazione il figlio è soggetto alla potestà dei genitori (in caso di contrasto, per questioni di particolare importanza, ogni genitore può ricorrere al giudice). “Se sussiste un incombente pericolo di grave pregiudizio per il figlio il padre può adottare i provvedimenti urgenti ed indifferibili”. Art.317 Nel caso di lontananza, di incapacità o di altro impedimento che renda impossibile ad uno dei genitori l’esercizio di potestà, questa è esercitata in modo esclusivo dall’altro . In caso di separazione (Art 155), la potestà è esercitata dal coniuge affidatario fatte salve le decisioni di maggiore interesse per il figlio, da prendersi congiuntamente . Art.414 Il maggiorenne ed il minore emancipato che si trovino in condizioni di abituale infermità di mente, che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, devono essere interdetti. Art.415 Il maggiorenne infermo di mente non al punto da essere interdetto, può essere inabilitato. Possono esserlo anche coloro che, per prodigalità o per abuso abituale di bevande alcoliche e di stupefacenti, espongono sé o la famiglia a gravi pregiudizi economici. Infine, possono esserlo il sordomuto ed il ceco, dalla nascita o dalla prima infanzia, se non hanno ricevuto educazione sufficiente. Interdizione ed inabilitazione sono provvedimenti adottati dal tribunale; sono revocabili dallo stesso; devono essere resi pubblici. Nel primo caso, è nominato un tutore, nel secondo un curatore, quali legali rappresentati dalla persona. 103. IL DIABETE INFANTILE Il diabete è provocato dalla incapacità del pancreas di produrre un importante ormone: l’insulina. La mancanza o l’insufficiente presenza nel sangue di questo ormone causa l’eccessivo aumento di zucchero (glucosio). Il diabete infantile non è come quello degli adulti. In quasi tutti gli adulti il diabete è curabile semplicemente con una particolare dieta o attraverso farmaci per via orale (diabete non insulino dipendente). Una terapia non appropriata del diabete nel bambino può provocare poi nell’adulto seri danni a livello della vista, a livello renale e neurologico. Per questa ragione una diagnosi precoce si rivela di primaria importanza. L’iperglicemia, infatti, ha un effetto tossico sulle cellule beta del pancreas e quindi favorisce un aumento della velocità della loro distruzione. Il bambino viene affidato alle cure del diabetologo pediatra che valuta attentamente il suo stato complessivo di salute attraverso specifici esami del sangue che permettono di evidenziare eventuali carenze determinate dal diabete. Il Cittadino e la Salute 155 Questa fase è forse la più difficile da affrontare per il bambino: esami del sangue, punture, fleboclisi. Una volta risolto si passa alla seconda fase del trattamento: mantenere i valori glicemici prossimi alla normalità, programmando una terapia a lungo termine. I cardini della terapia sono: l’insulina, la dieta, il movimento e un’educazione all’autogestione terapeutica. Questo schema di terapia dovrà essere proseguito fino a qundo la scienza medica non risolverà definitivamente il problema del diabete. Alle porte di questo nuovo millennio si ha l’impressione, comunque, che questo possa avvenire molto presto. Negli ultimi 20 anni siamo passati dalla siringa di vetro a quelle monouso fino allo stilo iniettore (penna) e nel futuro prossimo avremo dispositivi per infusione senza ago. Perciò è fondamentale curare al meglio i nostri piccoli pazienti ed accompagnarli con discrezione e professionalità in questo cammino il cui traguardo è più vicino di quanto si possa sperare al momento attuale. 104. IL DIABETE NON AUTOIMMUNE In età pediatrica la forma più frequente di diabete mellito è quella ad eziologia autoimmune, cioè il diabete mellito di tipo 1, insulino-trattato. Più rare sono le forme di origine non autoimmune in particolare: il MODY, il diabete mitocondriale, la sindrome di Wolfram e il diabete di tipo 2. Maturity-Onset Diabets of the Young (MODY). Una forma di diabete mellito ad insorgenza in età pediatrica e caratterizzata da decorso non grave era stata descritta già nel 1916 da Reisman. In seguito, studi familiari hanno permesso di definire una variante di diabete non insulino-trattato, definita “diabete mellico di tipo adulto ad esordio giovanile o Maturità-Onset Diabetes of the Young (MODY)”, caratterizzata da : eterogeneità genetica, insorgenza precoce (infanzia, adolescenza, inizio età adulta), ereditarietà autosomica dominante. I pazienti con MODY non necessitano di terapia insulinica e non sono soprappeso. Sono attualmente conosciute 6 forme di MODY, ciascuna causata da mutazioni di geni differenti.Comunemente asintomatico,il MODY può manifestarsi clinicamente in corso d’infezioni. Pertanto,a meno di screening familiari,o in corso di approfondimento diagnostico di una iperglicemia occasionale,la diagnosi può essere posta non precocemente,ma in età avanzata. Studi famigliari hanno evidenziato che il MODY è caratterizzato da una progressione lenta,da uno stato di normale tolleranza al glucosio a quello di ridotta tolleranza e quindi a diabete clinicamente manifesto. Il maggior numero di pazienti descritti in letteratura riguarda casi di MODY2 e di MODY3.Esiguo è il numero dei pazienti descritti con le altre forme conosciute:MODY1, MODY4, MODY5 e MODY6. In Italia la forma più frequente è il MODY2, documentato nel 67% dei casi con diagnosi clinica di MODY. Il MODY2 è associato a mutazioni del gene codificante la glucochinasi, enzima essenziale nella regolazione del metabolismo glucidico. Ad un’alterata attività enzimatica della glucochetosi mutata corrisponde un innalzamento della soglia del glucosio ematico per innescare la secrezione di insulina. L’iperglicemia nel MODY2 è spesso modesta e meno del 50% dei soggetti presenta sintomi clinici di diabete mellito. Molti pazienti, talora sin dalla nascita, e comunque già nella prima infanzia manifestano iperglicemia che si innalza con l’età, superando raramente nella vecchiaia 180 mg\dl. La curva da carico orale di glucosio evidenzia dopo 2 ore ridotta tolleranza ai carboidrati e raramente valori superiori a 200 mg/di. La maggior parte dei pazienti è identificata durante controlli occasionali, screening familiari, e in caso di diabete gestazionale. I soggetti con MODY 2 possono presentare un basso peso alla nascita, conseguente al deficit insulinico fetale, e raramente diabete neonatale, di tipo permanente nella condizione di eterozigoti o di tipo permanente nella condizione di omozigosi. Il trattamento del MODY2 è essenzialmente dietetico, con esclusione di zuccheri semplici, associato ad attività fisica. Raramente è necessario ricorrere agli ipoglicemizzanti orali. Nel diabete gestazionale può essere necessaria la terapia insulinica. Nei pazienti MODY2 è riportata una ridotta prevalenza di complicanze microvascolari, quali retinopatia e nefropatia, rispetto ai soggetti con altri tipi di MODY. Diabete mellito tipo 2. Il diabete mellito di tipo2 (DM2)è una complessa malattia metabolica di eziologia eterogenea che può 156 Il Cittadino e la Salute associarsi ad una predisposizione genetica. Il DM2, sino a pochi anni orsono malattia propria dell’età adulta e senile, rappresenta oggi una patologia emergente in età pediatrica, soprattutto adolescenziale. Negli Stati Uniti studi epidemiologi recenti riportano una prevalenza di DM2 negli adolescenti fra l’8% e il 45% delle nuove diagnosi di diabete mellito, variabile a seconda delle aree geografiche e dei gruppi etnici considerati. L’età media alla diagnosi è 13.5 anni e la maggiore frequenza è osservata nel sesso femminile. In Europa non sono ancora disponibili stime di incidenza e di prevalenza del DM2 in età pediatrica e adolescenziale, anche perché molti adolescenti, soprattutto se obesi, possono non sapere di esserne affetti. I nuovi casi di DM2 si stanno evidenziando troppo rapidamente per ipotizzare la componente genetica come principale fattore causale, mentre sempre più importanza viene attribuita ai fattori alimentari, che determinano obesità e iperinsulinismo con insulino-resistenza. Altri fattori di rischio per lo sviluppo del DM2 sono la pubertà, la sindrome dell’ovaio policistico, la presenza di acanthosis nigricans. L’acanthosis nigricans è caratterizzata da cute ispessita e scura, localizzata alle ascelle e sulla superficie posteriore del collo. Il principale fattore ambientale del DM2 è costituito dall’obesità, secondaria ad un’alimentazione non corretta e alla sedentarietà. Il rischio di sviluppare DM2 nel corso degli anni sembra correlato alla durata dell’obesità. Analogamente a quanto osservato nel paziente adulto, errate abitudini alimentari sono responsabili dell’obesità e del DM2 in età pediatrica. Popolazioni dell’America (Indiani e Eschimesi) e dell’Australia, isole del Pacifico, Cina e Asia hanno mostrato un’aumentata prevalenza di DM2 dopo l’introduzione di errori alimentari della “westernized diet”:eccessivo apporto di grassi saturi e di zuccheri semplici, uno scarso introito di carboidrati complessi e di fibre. Un’altra caratteristica della “westermized diet” è l’assunzione di bibite e snack. È stato calcolato che annualmente negli USA si consumano circa 457 lattine pro capite di bibite gassate. Le principali alterazioni metaboliche osservate nel DM2 sono l’insulino-resistenza e le modifiche dell’assetto lipidico. L’obesità inizialmente si associa ad insulino-resistenza con normale tolleranza ai carboidrati, seguite da iperglicemia, inizialmente post-prandiale, da ridotta tolleranza ai carboidrati sino al diabete mellito clinicamente manifesto. Il DM2 è una malattia a lenta evoluzione: i fattori favorenti esercitano la loro influenza anche anni prima delle manifestazioni cliniche, che possono essere le medesime del diabete tipo 1, cioè poliuria e polidipsia, con iperglicemia e glicosuria. Il DM2 può manifestarsi con un quadro clinico anche grave, con chetoacidosi, e necessità di terapia insulinica. In un terzo circa dei casi la diagnosi di DM2 può essere occasionale, per il riscontro di glicosuria, e successiva conferma di iperglicemia. Nel diabete mellito tipo 2 in età pediatrica, analogamente a quanto osservato nel paziente adulto, sono riportate anche alterazioni del quadro lipidico quali: ipertrigliceridermia, elevati livelli di colesterolo totale e di colesterolo LDL, e bassi livelli di colesterolo HDL. L’intervento terapeutico del giovane con DM2 è essenzialmente educazionale, comprende una dieta adeguata ed una regolare attività fisica, modificando lo stile di vita del paziente. Una corretta alimentazione previene l’evoluzione delle complicanze vascolari, che possono manifestarsi già in età giovanile. Non è indicata, se non in casi particolari e in ogni modo, non al momento della diagnosi, la terapia farmacologia con ipoglicemizzanti orali. L’alimentazione nel giovane con DM2 deve includere i principali componenti di una corretta dieta, quali carboidrati, proteine , grassi, fibre, vitamine e antiossidanti. Raccomandazioni generali. Promuovere il consumo di frutta, verdura, ed alimenti contenenti fibre. Disincentivare le abitudini alimentari tipo fast-food e simili; abituare il nucleo familiare a mangiare tutti insieme. Diminuire il consumo di snack, bevande gassate, alimenti ad alto contenuto calorico (cibi con grassi e zuccheri semplici). Educare i bambini e il nucleo familiare a non: a mangiare dinanzi alla televisione; b mangiare per gratificazione; c estremizzare il concetto di dieta. Infine sono fondamentali il calo ponderale e il mantenimento del peso ideale raggiunto. Il Cittadino e la Salute 157 105. LA CELIACHIA Definizione La celiachia fu descritta per la prima volta da Areto di Cappadocia, che nel 250 d.C. scriveva dei Koiliakos, “coloro che soffrono negli intestini”. Nel 1856 Francis Adams tradusse questo termine dal greco all’inglese, coniando l’espressione di “celiaci”. Nel 1888 Samuel Gee descrisse i sintomi dettagliati di questa condizione sia negli adulti che nei bambini, affermando che l’unico trattamento consiste nella dieta adeguata con pochi alimenti derivati dalla farina. Nel 1950 W.M. Dicke descrisse una riduzione dei casi di malattia celiaca in Olanda, durante la seconda guerra mondiale, dato da un ridotto consumo di cereali. Egli collegò la malattia all’utilizzo del glutine, in seguito I.H. Van De Kamer alle gliadine del frumento. Infine nel 1986 C. O’Farrelly coniò il termine enteropatia. Eziopatogenesi L’inquadramento noseologico della celiachia non è ancora certo. L’eziopatogenesi allergica non è da tutti riconosciuta mentre si sostiene anche un’ origine autoimmune. L’intolleranza al glutine è uno stato patologico complesso, che si manifesta molto spesso a pochi mesi di vita, dopo l’inizio del divezzamento, effettuato con alimenti contenenti glutine, quali farine, biscotti, pastine, semolini, ecc. Una delle due componenti del glutine, L’a-gliadina, durante la digestione si idrolizza in piccoli frammenti (peptidi, di cui è stata identificata la sequenza aminoacidica), che sui villi intestinali scatenano la risposta immunitaria, mediata soprattutto da linfociti T-suppressor. Il meccanismo patogenico intestinale è ancora discusso e presenta alcune ipotesi prevalenti: • biochimica (ipotesi ormai superata); • lectinica; • immunologia; • virale. L’esposizione al glutine è uno stimolo che nei soggetti normali induce ben presto uno stato di tolleranza specifica locale e sistematica; nei celiaci, invece, insieme con altri stimoli che accelerano la comparsa di enterociti immaturi, provoca lesioni della mucosa da parte della risposta immunitaria, cui partecipano relazioni sia cellulomediate sia umorali. Il danno finale, evidenziato con il prelievo bioptico , mette in evidenza soprattutto la mucosa assorbente del tratto del digiuno dell’ileo, la scomparsa dei microvilli sulle cellule dei villi, con conseguente appiattimento della mucosa, cui consegue l’incapacità dei nutrienti (ferro, acido folico, Sali minerali, vitamine, ecc.). Epidemiologia L’incidenza della malattia celiaca nelle diverse razze e popolazioni è variabile: elevata in Europa e nord America (fino a 1/100), bassa o nulla in Africa e Asia. Ma l’incidenza sta aumentando, tanto che in Italia si comincia a parlare di 1:75, in funzione non solo del miglioramento delle tecniche diagnostiche e della sensibilità alla celiachia, ma anche di una maggiore sensibilizzazione conseguente alla manipolazione alimentare e dei cibi. I celiaci potenzialmente sarebbero, quindi, circa 800.000, anche se ne sono stati diagnosticati solo 50.000. Ogni anno vengono effettuate 5000 nuove diagnosi ed ogni anno nascono circa 3000nuovi celiaci, con un incremento annuo del 10%. La malattia colpisce più le donne (rapporto uomo-donna 1:2,5) mentre l’età media di comparsa è 35 anni, ma spesso appare nello svezzamento o in età geriatrica. L’importanza dei fattori genetici è dimostrata dalla prevalenza della celiachia nei familiari di primo grado del malato, mentre la componente ambientale è dimostrata dalla concordanza soltanto del 75% nei gemelli monocoriali. Clinica I sintomi, più o meno evidenti secondo la severità della sindrome ed a prescindere dall’età di evidenza della patologia, sono: • Diarrea cronica; • Steatorrea; 158 Il Cittadino e la Salute • Vomito; • Febbre; • Inappetenza; • Rallentamento o arresto della crescita ipostaturismo ; • Astenia e dimagrimento; • Anemia sideropenica e folicopenica; • Osteomalacia; • Ipoplasia dello smalto dentario (macchie scure sui denti); • Malnutrizione generale; • Ipogonadismo, infertilità, aborti ripetuti. Oltre a tale sintomatologia propria della celiachia tipica, sono descritte e classificate altre forme: • Atipica o paucisintomatica, caratterizzata da moderata anemia microcitica, astenia, sindrome depressiva, dispepsia; più raramente da orticaria, dermatite atopica, alopecia areata; • Silente, caratterizzata da sintomatologia quasi inespressa e leggero interessamento atrofico dei villi intestinali; • Potenziale, caratterizzata da assenza di sintomi e soltanto dalla presenza dei markers genetici tipici, per cui sono da considerare predisposti a sviluppare un morbo celiaco, soltanto in particolari favorenti condizioni; • Transitoria, caratterizzata da tutti i sintomi celiaci, atrofia più o meno profonda dei villi non diffusa ma solo a chiazze, regressione spontanea, senza lasciare tracce e sintomi di intolleranza; • Refrattaria, caratterizzata da remissione della sintomatologia dopo dieta di eliminazione del glutine; ricomparsa della sintomatologia, pur in dieta senza glutine (a volte è solo falsa refrattarietà a causa di una dieta di eliminazione del glutine non rigorosa). Degno di nota è il fatto che nel 10-15% dei celiaci si manifesta la frequente associazione con l’apparato gastroenterico caratterizzato da vomito, diarrea ed altre simili manifestazioni e da una più o meno ampia e profonda atrofia dei villi. Complicanze: • Evoluzione neoplastica (linfomi e adenocarcinomi), anche extraintestinale, verso i 60-70 anni nel 14% dei celiaci; • Ulcere intestinali; • Atrofia della milza: 40-70% dei pazienti non trattanti conto il 30% dopo dieta senza glutine; • Dermatite erpetiforme di Duhring, nel 10-15%, caratterizzata da eruzione cutanea, aree eritematose e ponfi orticarioidi, diffusi negli avambracci e nei gomiti, spalle ed ascelle, ginocchia e gambe. La diagnosi prevede un ben preciso protocollo: Ricerca dei markers sierologici nel sangue: • anticorpi antigliadina (AGA), che dà qualche positività; • anticorpi antiendomisio (EMA); • anticorpi antitransglutaminasi tessutale, molto attendibile e specifico; • in caso di positività e sierologia, conferma istologica tramite biopsia digiunale per evidenziare i vari gradi di atrofia ai villi. Ripetizione della biopsia per evidenziare il ritorno alla normalità dei villi (raramente l’atrofia dei villi può non dipendere da celiachia): • dopo 6 mesi di dieta di eliminazione del glutine; • dopo 6 mesi di eventuale reintroduzione di glutine nella dieta. La terapia, ad oggi, consiste esclusivamente nell’eliminare dalla dieta il glutine; a tale misura porta alla completa scomparsa della sintomatologia delle manifestazioni gastroenteriche e della eventuale dermatite erpetiforme. Il trattamento di supporto prevede la somministrazione dei nutrienti la cui deficienza è responsabile del quadro clinico: calcio, ferro, zinco, potassio, acido folico e vitamine B12, K e D. Il Cittadino e la Salute 159 Glutine È opportuno sottolineare che i nostri antenati paleolitici vivevano e si alimentava e quasi esclusivamente di caccia; solo accidentalmente ingerivano qualche seme di grano, trovato in piccolissime quantità ed assolutamente non attraente da un punto di vista del sapore ( l’amido non ha buon gusto, provate a masticarne uno o mettere in bocca uno spaghetto crudo) e della consistenza ( piccolo, duro e secco). Circa 10.000 anni fa, con l’avvento del neolitico e della trasformazione sociale dell’uomo da nomade cacciatore-raccoglitore a stanziare agricoltore-allevatore, è avvenuto il primo massiccio contatto alimentare dell’uomo con cibi inediti e nutrienti, purtroppo enormemente diversi da quelli che avevano”costruito” il suo organismo e con i quali aveva promosso un intimo rapporto biochimico e soprattutto una tollerante interrelazione e correlazione immunitaria. Il glutine è stato certamente la nuova molecola introdotta in quantità maggiore e con frequenza multigiornaliera nel metabolismo umano da 10.000 anni ad oggi: ad ogni pasto non manca mai almeno un alimento contenete farina di grano, cioè il glutine. Il glutine non è un componente della cariosside del grano; si forma quando la farina di grano viene lavorata. Infatti nel chicco di grano oltre all’amido ( 60-68%), ad una piccola quantità di olio di germe di grano (1,5-2,0%) alle fibre (crusca, 10%) e a minime quantità di altri composti ( tra i quali vitamine e minerali) sono contenute proteine per un valore medio del 12%. La maggior parte di queste proteine ( dal 75% al 95%) sono costituite da gliadine e da glutenine. Sono queste che,al contatto con l’acqua e sotto l’effetto dell’impasto, si legano insieme strutturalmente ( non chimicamente) per dare il glutine, il quale conferisce alla pasta del pane viscosità, elasticità, coesione e soprattutto sapore gradevole. Durante la digestione del glutine si formano piccoli frammenti tossici per la mucosa digiunale e per i villi intestinali. Il glutine non è contenuto solo nel grano o frumento ma anche nell’avena, nel ferro, nel kamut, nell’orzo, ecc. PROCEDURA PER LA PREPARAZIONE DI PASTI SPECIALI La eventuale presenza di lavoratori celiaci comporterà da parte del gestore della mensa la predisposizione e l’adozione di procedure atte a garantire la qualità dell’alimento speciale. Infatti un alimento senza glutine, qualora venisse preparato in maniera non corretta (es. uso delle stesse posate, cottura nella stessa acqua, ecc.) potrebbe essere contaminato; pertanto, sarà indispensabile predisporre un percorso obbligato. Il notevole incremento dei soggetti affetti dal morbo celiaco, rilevate da stime statistiche condotte da importanti istituti di ricerca, ha giustamente indotto il legislatore ad emanare la legge n. 123/2005 che, nel riconoscere tale patologia di interesse sociale, ha previsto e introdotto una serie di connessioni e di iniziative atte a favorire l’inserimento dei celiaci del mondo lavorativo e non. Tale disposto normativo, oltre ad assicurare benefici economici (erogazione gratuita di alimenti speciali privi di glutine, esenzione ticket per test diagnostici e visite specialistiche, ecc.) ha previsto che nelle mense delle strutture scolastiche, sanitarie e pubbliche debbano essere preparati, su richiesta dell’interessato, dei pasti per celiaci. Alcuni autori, interpretando in maniera piuttosto rigida la legge n. 123/2005, sono dell’avviso che l’obbligo della somministrazione di alimenti dietoterapeutici debba essere riferito alle sole mense sopra indicate e riportate all’art. 4, comma 3, della citata legge (strutture ”scolastiche, sanitarie, e pubbliche”) e non potrebbe essere esteso anche a ristorazioni collettive situate all’interno di aziende private. Al di là di ogni tecnicismo giuridico condividere un criterio così restrittivo varrebbe a introdurre un elemento fortemente discriminante nella popolazione lavorativa in quanto un celiaco, impiegato in una azienda privata, non avrebbe lo stesso diritto alla salute di un dipendente di una struttura pubblica. Inoltre risulterebbe piuttosto difficile comprendere la valenza e la logica dell’art. 5, comma 2, della legge n. 123/2005 che dispone “ Le regioni e le province autonome provvedono all’inserimento di appositi moduli formativi sulla celiachia sull’ambito dell’attività di formazione e di aggiornamento professionali rivolte a ristoratori e ad albergatori”. Fatta questa doverosa precisazione si ritiene che non sia certamente questa la sede per dirimere lo spigoloso interrogativo; per evitare puntualizzazioni assiomatiche e posizioni dialettico- giuridiche discutibili sarebbe necessario un approfondimento esaustivo dell’art. 5 da parte di giuristi esperti della materia. Per superare il circuito tradizionale dell’incertezza interpretativa si suggerisce, comunque, di valutare la questione da un’altra prospettiva. 160 Il Cittadino e la Salute Il datore di lavoro, secondo gli attuali dettami prevenzionistici, deve assicurare il benessere psico-fisico dei lavoratori, promuovere ogni azione atta a migliorare le condizioni occupazionali ed evitare potenziali insulti patogeni. Nel presente articolo sono state indicate le gravi complicanze della malattia celiaca collegate alla assunzione di alimenti ricchi di glutine (es. frumento, orzo, avena ecc.); inoltre è stato sottolineato che l’unica terapia valida per migliorare lo stato clinico del paziente, oltre alla palliazione farmacologica di scarsa efficacia,risulta la eliminazione del glutine dalla dieta. Pertanto, nell’ambito di una logica cautelare da tempo coralmente condivisa ed adottata nei Paesi dell’Unione Europea, il datore di lavoro, oltre a predisporre ogni misura precauzionale per eliminare o quanto meno mitigare i fattori di rischio emergenti (uso di VDT, movimentazione manuali dei carichi,ecc.) avrà cura di stipulare un contratto con il gestore della mensa affinché, dietro richiesta scritta, possa preparare alcuni pasti speciali. Seguendo le procedure riportate nel presente articolo (es. acquisto prodotti dietoterapeutici, razionale utilizzo della filiera alimentare, ecc.) e tenuto che mediamente la presenza di celiaci è stimata intorno a 1:100 (incidenza comunque contenuta) non sarà particolarmente complesso per il gestore della mensa preparare giornalmente un determinato numero di pasti privi di glutine. Il Cittadino e la Salute 161 106. DERMATITE ATOPICA (ECZEMA) Di cosa si tratta La dermatite atopica è una malattia della cute, che si presenta secca, arrossata, con croste, e prurito intenso. È la conseguenza di una particolare sensibilità della cute del soggetto, che risulta facilmente irritabile ad opera di vari fattori, e di una soglia al prurito più bassa che di norma. Spesso tale problema, così come altre manifestazioni da atopia, può essere presente anche in altri famigliari. Solo in una piccola percentuale di casi alla base della dermatite atopica vi è un’allergia alimentare. Come si manifesta Di solito esordisce all’età di 2-6 mesi sulle guance, per poi interessare la pelle all’interno dei gomiti, dei polsi e il retro delle ginocchia, spesso, nei bambini che strisciano e gattonano, anche gli avambracci e la parte inferiore delle gambe. Occasionalmente possono essere coinvolti anche il collo, le caviglie e i piedi. Nella maggior parte dei casi il viso entro i 2-3anni di vita. La pelle della zona colpita si presenta arrossata e molto pruriginosa. Se grattata appare umida e ferita, dando origine poi a croste. La pelle nel suo insieme è costantemente secca. La malattia ha un decorso cronico, con periodi di quasi completa risoluzione delle lesioni (soprattutto in estate), e di transitori peggioramenti (come a seguito di infezioni respiratorie, oppure durante l’inverno o nelle giornate più ventose). Di solito perdura fino all’adolescenza. Tutto ciò che è irritante, compresi i saponi, ma anche le urine, la saliva, l’acidità di alcuni alimenti, provoca riesacerbazione delle lesioni. Cosa fare Chiamate il medico immediatamente se: • L’eruzione sembra essersi infettata (v.impetigine) e il bambino ha la febbre • L’eruzione è peggiorata dopo contatto con una persona affetta da herpes del labbro • Il bambino sembra stare molto male Chiamate il medico entro le 24 ore se: • L’eruzione sembra essersi infettata (pelle arrossata e gonfia, presenza di pus o di scaglie molli e gialle) ma il bambino non ha febbre • La pelle presenta ferite e sanguina in diversi punti Chiamate il medico nelle ore di studio se: • Il bambino ha meno dei 2 anni di età • Il prurito disturba il sonno del bambino • Avete qualsiasi dubbio e preoccupazione Consigli generali per l’igiene quotidiana. Evitare detergenti schiumogeni e profumati, ma utilizzate “detergenti non saponi” (ad esempio Derma Det Humana, detergente liquido Syndet Kosmida), o il sapone di Marsiglia (esiste anche in confezione liquida: Triderm soap liquido). Il bagno e la doccia vanno fatti con acqua a 34°-36°C, per non più di 10-15 minuti, con soluzioni oleose detergenti a base di oli minerali (ad esempio Oliatum bagno, Triderm bagno, Eubos olio da bagno, Soagen olio da bagno, Eucerin pH 5 crema oleoso), che vanno aggiunte nell’acqua del bagno solo negli ultimi minuti (fare attenzione che il bambino non scivoli!!!), o applicate direttamente sulla cute se viene utilizzata la doccia. Asciugate poi senza strofinare, ma solo tamponando. Entro pochi minuti, applicate una crema o un latte emolliente (ad esempio Lichtena emulsione fluida, Avene Trixera crema emolliente, Eubos emulsione ultra A/O). Ripetete l’applicazione anche più volte al giorno, affinché la pelle sia sempre ben umidificata. Per il prurito Possibilmente non lasciate che il bambino si gratti. Mantenete le unghie corte. Talora la notte può essere necessario fare indossare dei guantini di cotone. Se il prurito è molto intenso, limitate gli alimenti ricchi in sostanze che possono peggiorare la situazione (istamina, tiratina, o simili): 162 Il Cittadino e la Salute • Fragole, agrumi, banane, ananas, lamponi, avocado, melone • Pomodori, spinaci, fecola di patate • Arachidi, noci, nocciole, mandorle • Fave, piselli, ceci, lenticchie, fagioli • Albume, formaggi fermentati (grana, pecorino, gruviera, gorgonzola), yogurt, lievito di birra • Cioccolato, insaccati, alimenti in scatola, dadi per brodo • Crostacei, frutti di mare, pesce conservato (tonno, salmone, sardine, alici) Sempre se il prurito è molto intenso, eventualmente contattate il pediatra per l’eventuale somministrazione di un farmaco antistaminico. Come vestire il bambino A contatto con la cute fate indossare al bambino indumenti di cotone bianco, o lino (rimovendo le etichette). I capi non devono essere aderenti. In inverno possono essere utilizzati vestiti in pile. Le scarpe è preferibile che siano in cuoio (anche con la suola in gomma, ma con intersuola in cuoio). Vanno evitati i capi in lana (anche cappelli e sciarpe). Lavate la biancheria a 60° con il sapone di Marsiglia, e risciacquare a lungo, possibilmente in lavatrice. Evitate l’uso di detergenti biologici e di ammorbidenti. Biancheria da letto Di notte utilizzate lenzuola in cotone, pigiami in cotone non troppo pesanti, ed evitate di coprire troppo il bambino (affinché non sudi). Lavate a 60° con sapone di Marsiglia, e risciacquare a lungo, possibilmente in lavatrice. Evitate l’uso di detergenti biologici e di ammorbidenti. Piscina Il bambino può frequentare una piscina, ma è consigliabile: -prima del bagno: applicare una crema idratante -subito dopo: risciacquarlo sotto la doccia, e riapplicare la stessa crema. Inoltre... In casa mantenete una temperatura sui 18-20° (non oltre perché il surriscaldamento può causare aumento della sudorazione, che irrita la cute e causa prurito), ed un’umidità tra il 40% e il 60% (utilizzare un termoigrometro). Attuate le misure di profilassi ambientale per gli acari (il bambino con dermatite atopica ha un elevato rischio di sviluppare una sensibilizzazione degli acari: v.scheda relativa). Possibilmente evitate la presenza in casa di cani o di gatti. Evitate che il bambino utilizzi colori a dito o sostanze irritanti. Evitate che venga a contatto con soggetti affetti da herpes, varicella, verruche, infezioni della pelle. Cosa non fare Non fate bagni troppo caldi e lunghi: il contatto prolungato con l’acqua irrita la pelle. Non usate altro che sapone, comunque neutro, per la pulizia del bambino. Evitate indumenti troppo pesanti o aderenti, di lana o fibre sintetiche. Non applicare sulla pelle pomate a base di antistaminici: potreste avere più danni che benefici. 107. LA STITICHEZZA Di cosa si tratta Normalmente i bambini scaricano senza difficoltà feci di consistenza abbastanza morbida, almeno una volta ogni 1-2 giorni. Il numero delle scariche dipende dall’età, dall’alimentazione (nei primi mesi il bambino allattato al seno può scaricarsi anche ad ogni pasto), ma anche da molti altri fattori comportamentali, relazionali relativi alla famiglia e all’ambiente in cui si vive. Raramente è una malattia “organica”, ossia una vera e propria malattia dell’intestino: in questi casi la stipsi, severa, è già presente dalla nascita, è associata a vomito ripetuto, ad un addome molto gonfio, a disturbi della crescita. Solo in que- Il Cittadino e la Salute 163 sti casi sono necessari esami specifici. Di solito è un disturbo “funzionale” (legato al tipo di alimentazione, a problemi comportamentali, ad un mancato coordinamento tra i meccanismi di contrazione dell’addome e di rilasciamento dell’ano). Il lattante può presentare stipsi, ad esempio, se passa dal latte materno (ricco, ad esempio, di zuccheri, che non vengono assimilati, e che favoriscono l’emissione di feci cremose, più volte al giorno) ad un latte artificiale (quindi di cereali, frutta e verdura) può essere un fattore favorente alla stipsi, perché le fibre portano alla formazione di una massa fecale morbida, e stimolano i movimenti dell’intestino accelerando la velocità di transito. Come si manifesta Si parla di stipsi quando vengono eliminate, con fatica e dolore, feci dure (caprine, cioè a “palline”), spesso meno di due volte a settimana. La stipsi “occasionale” è un’evenienza molto frequente, e non causa problemi. La stipsi che persiste nel tempo (“cronica”) colpisce circa il 3% dei bambini; se non è una condizione pericolosa per la salute (non è responsabile di intossicazioni da assorbimento di tossine, né di malattie dell’intestino), crea comunque un disagio, che può compromettere la qualità di vita del bambino. Il bambino stitico spinge senza risultato o eliminando solo una scarsa quantità di feci; le feci che si accumulano possono formare una massa ristagnante, voluminosa e dura, detta “fecaloma”. La sua eliminazione può comportare una lesione della mucosa anale, che, per lo sforzo può fissurarsi / questi taglietti profondi, spesso sanguinanti, estremamente dolorosi, sono detti “ragadi”). Per paura di soffrire il bambino impara a trattenere le feci (invece di spingere con i muscoli dell’addome e rilasciare l’ano, contrae i glutei e distende il dorso e il collo); si instaura così un circolo vizioso: ritenzione-feci dure-dolore. Cosa fare - Qualche consiglio Non esiste un’unica terapia che risolve il problema cronico della stipsi: solo il pediatra che conosce la storia clinica del bambino può fornire i rimedi più adeguati. Il successo terapeutico è legato alla collaborazione tra famiglia e pediatra, e alla costanza nel tempo. Se le feci sono di consistenza normale, ma eliminate dal bambino con difficoltà, o con crisi di pianto, la mamma può aiutare il piccolo mettendolo supino, e sollevandogli le gambine (per aumentare la pressione a livello addominale). Se invece le feci sono cronicamente dure, può essere utile: modificare l’alimentazione (ad esempio sostituire il latte artificiale con un prodotto più lassativo, e\o arricchire la dieta con cibi ricchi di fibre). Se non si ottiene beneficio, somministrare farmaci “ammorbidenti”, a base di zuccheri (richiamando acqua nell’intestino, “rammolliscono” le feci, e rompono il circolo vizioso ritenzione-feci dure-dolore). Per risolvere un problema acuto, quando il bambino non riesce a scaricarsi completamente da oltre 48-72 ore, intervenire con: • microclisma o supposta di glicerina (nei casi più lievi) • clistere con 100 ml di soluzione fisiologica tiepida (nei casi più ostinati) (sono rimedi efficaci nel risolvere un ristagno di feci dure ed occludenti, ma che non aiutano il bambino a scaricarsi da solo regolarmente). 108. INFEZIONI DELLE BASSE VIE URINARIE: LE CISTITI Le infezioni delle vie urinarie (IVU) sono molto frequenti e in Italia si hanno circa 800.000 nuovi casi all’anno. Di questi 100000 sono donne affette da cistiti ricorrenti. Le IVU sono frequentemente causa di assenza dal lavoro e possono portare anche a Complicanze con una significativa mortalità. Anche se è vero che la stragrande maggioranza dei pazienti risponde prontamente alla terapia, soprattutto se la diagnosi è precoce, è altrettanto vero che la terapia delle infezioni complicate rappresenta ancora oggi una sfida per l’Urologo. Il termine Infezione delle vie urinarie è una definizione generica che si applica a tutti i casi in cui vi sia colonizzazione microbica delle urine ed infezione delle strutture del tratto urinario dai glomeruli renali al meato uretrale esterno. Le IVU si associano a batteriuria (presenza di batteri nelle urine con una carica batterica maggiore di 100.000 ml) e da giuria (presenza di leu- 164 Il Cittadino e la Salute cociti nelle urine). I microrganismi in genere possono penetrare nel tratto urinario attraverso l’uretra (dall’esterno) o attraverso il flusso ematico (da un qualunque focolaio infetto del nostro organismo) o per via linfatica (dall’intestino). Tra le infezioni delle vie urinarie sicuramente le più frequenti sono le cistiti e le prostatiti. Per cistiti si intende una sindrome clinica caratterizzata da improvvisa comparsa di pollachiuria (desiderio frequente di urinare) stranguria (dolore alla minzione) e dolore sovra-pubico. La cistite può essere causata da germi, ma può anche essere non batterica. È più frequente nel sesso femminile e nelle donne adulte che nel 20-30 % dei casi sviluppano uno o più episodi di cistite ogni anno. Il meccanismo di infezione più frequente è quello ascendente rappresentato dal passaggio di batteri patogeni dalla zona periuretrale all’uretra e di conseguenza alla vescica. Nella donna si tratta di un processo a tappe in cui i germi provenienti nell’intestino colonizzano la vagina e la mucosa uretrale per poi dare origine all’infezione vescicale. Tutte le interazione della flora batterica vaginale facilitano la colonizzazione da parte di patogeni fecali che poi possono risalire attraverso l’uretra e vescica. La flora batterica non patogena, residente in vagina, è un importante fattore di difesa insieme all’acidità dell’ambiente vaginale e vescicale: se vengono a mancare possono verificarsi più facilmente infezioni. La sintomatologia si presenta in modo repentino con disturbi della minzione. Se l’ infezione è confinata alla vescica in genere non c’ è febbre che è sempre presente quando c’è interessamento renale. Nei casi di cistite che si ripete sono necessari esami più approfonditi come l’ ecografia, la cistografia e la cistoscopia. La terapia si basa in prima istanza sull’uso di antibiotici mirati in base all’antibiogramma. Questo trattamento empirico spesso è efficace, ma espone alle recidive ed alla trasformazione di una cistite semplice in una recidivante o peggio ancora cronicizzata. E’ sicuramente utile soprattutto in fase acuta l’uso di antinfiammatorio e antispastici. Le cistiti sono spesso associate all’abuso di alcolici e di cibi piccanti e soprattutto nella donna ai rapporti sessuali poiché i germi presenti in vagina possono essere sospinti durante il rapporto in vescica. Ovviamente se reinfezioni o la persistenza batterica sono sostenute da patologie dell’apparato urinario, per guarire bisognerà trattare tali patologie. Per concludere si consiglia alle pazienti soggette a cistiti di bere molto e di non trattenere troppo le urine poiché l’iperdiuresi ed un corretto e completo sfruttamento della vescica sono i meccanismi batterici più efficaci. 109. FARMACI: USO - CONSERVAZIONE - SCADENZA Le medicine da tenere in casa Certo, ognuno di voi avrà un armadietto a misura sua, per le proprie esigenze: il mal di testa, per fortuna, non è un castigo universale. Dei consigli generali, comunque, si possono dare. Tenete • un disinfettante, preferibilmente a base di cloro e iodio, e dell’acqua ossigenata. Tenete presente che l’alcool serve sulla pelle integra, per esempio per delle punture, mentre è dannoso in caso di ferite: quel bruciore che sentite indica che l’alcool fa bene e che fa soffrire anche i microbi. Sulle ferite, per esempio in caso di caduta, usate sempre dell’acqua ossigenata; • materiale di medicazione come garza, ovatta e cerotti; • un laccio emostatico, un termometro e una borsa per il ghiaccio; • una medicina contro febbre o dolori; se non soffrite di ulcera, di malattie allergiche o se non fate una cura a base di anticoagulanti, in genere date la preferenza a farmaci a base di acido acetilsalicilico come, per esempio, Aspirina, Aspro, Cemirit, Flectadol. L’effetto collaterale più frequente – il bruciore di stomaco – può essere alleviato prendendo la medicina dopo i pasti e scegliendo le confezioni “tamponate” (chiedete in farmacia). In ogni caso, non superate le quattro pasticche al giorno.L’acido acetilsalicilico, tra l’altro, ha anche un effetto antinfiammatorio e quindi è la soluzione migliore in caso di mal di schiena o dolori reumatici d’ogni genere, casi in cui servono a poco altri analgesici molto comuni a base di paracetamolo, come la Tachipirina, o di dipirone, come la Novalgina. Il paracetamolo è il rimedio migliore se c’è qualche ragione per non prendere l’aspirina e simili; Il Cittadino e la Salute 165 • • • un antiacido. Ce ne sono diversi: il più comune è il bicarbonato di sodio che però è controindicato nelle persone con pressione alta o con malattie renali. Ricordate comunque che il bicarbonato non è un digestivo e che non aiuta a digerire: quelle eruttazioni che vengono dopo averlo preso sono dovute al fatto che la sostanza reagisce chimicamente con l’acido dello stomaco e questo fatto produce un gas. Le eruttazioni danno sollievo, ma non hanno a che fare con la digestione. Altri antiacidi efficaci sono i sali di magnesio, con un’azione più pronta e prolungata del precedente, e l’idrossido di alluminio. In commercio ci sono medicine, come il Maalox, che contengono tutte e due le sostanze; un lassativo. Non esagerate, però. Prendetelo se per qualche circostanza vi sentite gonfi. Non abusatene e non prendetelo di continuo perchè non fareste che peggiorare la vostra stitichezza; una crema antiistamica utile per punture d’insetto. La scadenza dei farmaci La legge impone che su ogni confezione sia scritta la data di scadenza. 1. Quando è indicato soltanto il mese si ritiene che il farmaco possa essere venduto fino all’ultimo giorno del mese indicato in etichetta, anche se il farmacista attento provvederà alla sostituzione delle confezioni con anticipo. La data di scadenza va tassativamente osservata al momento dell’acquisto. 2. Chi assume un farmaco scaduto deve sapere che i principi attivi con il tempo possono denaturarsi e perdere le loro caratteristiche, trasformandosi in sostanze diverse. Pertanto i farmaci devono essere acquistati di volta in volta per un uso immediato e non per conservarli. 3. È importante quindi prendere l’abitudine di chiedere confezioni per un solo ciclo terapeutico, in modo da non avere avanzi di medicinali che col tempo potrebbero non essere più utilizzabili. Grazie a una richiesta della Cuf (Commissione unica del farmaco) anche in Italia stanno circolando ora confezioni di farmaci ridotte ad un solo ciclo di cura, e quindi meno costose. La data di scadenza vale solo se le confezioni sono state conservate correttamente. Bagno e cucina: è qui che gran parte delle famiglie italiane conserva i medicinali, mentre è proprio qui che non debbono stare. Le medicine vanno tenute al buio, in un ambiente fresco e secco. Nella maggior parte dei casi è sufficiente farli "dormire" con voi in camera da letto, in un cassetto del comò o in un armadio. Attenzione però a dei casi particolari: • una volta che sono state aperte le boccette, i colliri perdono in breve tempo la loro efficacia; • ci sono medicine che vanno conservate in frigo (non in freezer) e quando è così all’esterno della confezione si leggono raccomandazioni del tipo “Non conservare a temperatura superiore ai 20 gradi”. In casi del genere non state a prendere il termometro per misurare la temperatura della cucina: mettete le medicine in frigo e basta. 110. ALCOL, FARMACI E DROGHE L’Alcolemia che cos’è è la concentrazione di alcol nel sangue che si esprime con il numero di milligrammi presenti in 100 millilitri di sangue. Tale valore è importante perché in relazione al suo aumento corrisponde un decremento proporzionale dell’efficienza psicofisica, anche a livelli minimi di assunzione di bevande alcoliche. Il limite legale per guidare, stabilito nel D.lgs n° 185 del 30 aprile 1992 nuovo codice della strada, è di 50 milligrammi di alcol in 100 millilitri di sangue (0,5 g per litro). Non esistono comunque argomentazioni certe per affermare quanto si può bere per superare questo limite in quanto varia da persona a persona, dal peso, sesso, età, cosa avete mangiato, e da cosa avete bevuto. N.B.: alcuni individui raggiungono questo limite dopo 2 bicchieri di vino o 2 bicchierini di superalcolici. 166 Il Cittadino e la Salute L’Alcol: cosa combina a chi lo assume: • riduce la capacità visiva, tanto da renderla confusa e può ridurre la visione notturna del 25%. Viene inoltre ridotta la visione laterale, rendendo difficoltosa la vista dei veicoli provenienti da destra o da sinistra; • può provocare sonnolenza e quindi diminuisce l’attenzione rendendo difficoltosa la coordinazione dei movimenti ed i relativi tempi di reazione, riducendo inoltre l’abilità a compiere due o più azioni contemporaneamente; • crea un senso di benessere, sicurezza, euforia che porta a sopravvalutare le proprie capacità, ad affrontare rischi che non verrebbero mai corsi; • crea difficoltà e problematiche nella vita comune di famiglia. L’assunzione contemporanea di alcol e farmaci o droghe incide sull’efficienza psicofisica di ogni persona, in quanto l’alcol interagisce con alcuni farmaci, ampliandone l’effetto in modo spesso non prevedibile e/o quantificabile. Anche l’uso delle droghe illegali e di psicofarmaci influisce seriamente sulla capacità di guida. Tranquillanti (es. sonniferi, sedativo-ipnotici, barbiturici, benzodiazepine): la maggior parte prescritti per diminuire la tensione e l’ansia, possono però anche rallentare i riflessi, l’attività cerebrale, ostacolare la coordinazione oculomanuale, offuscare le decisioni e le capacità di giudizio. Stimolanti (es. amfetamine, cocaina): in generale producono più attenzione, ma solo per un breve periodo di tempo, successivamente possono causare nervosismo, minor concentrazione, difficoltà visive, capogiri. Antistaminici, contenuti in preparati antiallergici, nei decongestionanti e nei farmaci contro la tosse, possono causare sonnolenza. Antidolorifici: molti contengono codeina, una sostanza che può causare una sensazione di stordimento; quelli forti possono causare un grande grado di sedazione. Quindi mai mischiare: • Alcol e tranquillanti - essendo entrambe le sostanze depressori del sistema nervoso centrale rallentano la respirazione, le pulsazioni, i riflessi. • Alcol e marijuana - l’uso combinato potenzia gli effetti di entrambe le sostanze e rallentano i riflessi. • Alcol e antistaminici - gli effetti dell’alcol possono amplificarsi nettamente. • Alcol e oppiacei (es. eroina, morfina) - entrambe le sostanze riducono l’attenzione ed i riflessi. 111. L’UTILIZZO DEI FARMACI COSIDDETTI “GENERICI” Si tratta di farmaci venduti in tutte le farmacie, finalizzati, come tutti i medicinali, a garantire la salute dei cittadini. Assicurano qualità, efficacia, sicurezza e sono intercambiabili con i farmaci di marca. I farmaci generici sono medicinali già utilizzati da molti anni, il cui brevetto è scaduto (cioè non appartiene più in esclusiva all’azienda farmaceutica che lo ha inventato). Infatti, dopo un lungo periodo di tempo diventa possibile anche per altre case farmaceutiche produrre lo stesso medicinale e, per di più, a costi ridotti, poiché non devono più essere recuperate le spese sostenute per la ricerca. Sono, quindi, medicinali di comprovata qualità ed efficacia, consolidati dal lungo periodo di impiego e convenienti. Dall’1 settembre 2001 è cambiato il meccanismo di rimborso dei farmaci. Tra i farmaci a carico del Servizio Sanitario Nazionale, i farmaci generici sono fra quelli totalmente gratuiti. Nel caso si richiedesse un farmaco di marca, potrebbe esserci una differenza di prezzo a carico del cittadino qualora per la stessa specialità ci fosse già in commercio un generico. Sulla confezione hanno solo il nome della sostanza che contengono, seguito dal nome dell’azienda farmaceutica che li produce; sulla scatola inoltre deve esserci la scritta “farmaco generico”. Conviene utilizzare farmaci generici sia per avere un risparmio immediato, almeno del 20% rispetto a quello che si spenderebbe per un farmaco di marca, sia perchè è un modo per contribuire a una riduzione della spesa sanitaria nazionale. I risparmi sui medicinali per cui è scaduto il brevetto potranno essere reinvestiti in farmaci innovativi o di nuovi serIl Cittadino e la Salute 167 vizi. Inoltre sono altrettanto sicuri rispetto ai farmaci tradizionali. Per ottenere l’attributo di generico è necessario presentare al ministero della Sanità la documentazione che provi la bioequivalenza, cioè la eguale efficacia rispetto alla specialità medicinale alla quale corrispondono. Un farmaco generico deve possedere infatti le stesse caratteristiche del farmaco che riproduce, cioè: la stessa composizione farmacologica e le stesse indicazioni e controindicazioni. Solo a queste condizioni può essere considerato intercambiabile col prodotto originale. Si può chiedere al medico se esiste il farmaco generico corrispondente a quello abitualmente utilizzato, sapendo che il medico di famiglia è tenuto ad informare il cittadino della loro esistenza. E se il farmaco non necessita di ricetta, chiedere al farmacista se è disponibile nella sua farmacia il farmaco generico corrispondente al medicinale abitualmente utilizzato. • Bioequivalenza: caratteristica per cui un farmaco ha la stessa quantità e qualità di principio attivo, stesse modalità di assunzione e stesse indicazioni terapeutiche di un altro farmaco. 112. VALE LA PENA CURARSI DA SOLI? Sono un esercito le persone impazienti che invece che dal medico preferiscono fare due chiacchiere con la vicina di casa o col farmacista per risolvere il loro noiosissimo acciacco. E se gli studi medici rigurgitano di folle di divoratori di ricette, c’è un’altra fetta di farmacoghiottoni che preferisce fare a meno di quella sosta in ambulatorio e se la vuole sbrigare da sola. Certo, per prendere un digestivo non ci vuole la carta da bollo e per fortuna neppure la ricetta, ma sono mille le insidie dell’automedicazione (così si chiama questa pratica al giorno d’oggi tristemente di moda) che non sospetteremmo neppure. A cominciare dal diffusissimo uso dell’aspirina per mandar via il mal di testa. Magari dopo aver alzato troppo il gomito. Ebbene quel gesto innocente può costare una bella ulcera perforata all’automedicante. Le vie dell’errore sono infinite. Altrimenti i risultati di un’indagine recente non ci direbbero che i 12 per cento delle persone prende un farmaco “acquistabile solo con ricetta” non su consiglio medico, ma dietro raccomandazione di amici e/o parenti. Il vero problema, comunque, è che con l’automedicazione non si possono tenere sotto controllo una serie di dati che un medico invece verifica, dalle allergie individuali alle interazioni fra farmaci diversi, perchè, lo vogliamo ricordare, chi ama “impasticcarsi” ha un debole per i cocktail medicinali, quanto di più sconsigliato e pericoloso si possa immaginare. Infine, anche se sembra esulare dal problema, ci sono forme di “automedicazione timida” che possono essere assai nocive. Per esempio quelle del paziente che va dal medico e, ricevuta la sua cura, se la personalizza un po’, come fosse l’automobile. Il medico dice “una pillola ogni tre ore” e lui la prende ogni sei, il primo scrive “due pasticche” e lui ne prende tre. Nel primo caso, il pericolo è che la medicina non faccia effetto, nel secondo che possa dare degli effetti collaterali senza portare alcun vantaggio. 113. LE LISTE DI ATTESA È difficile in Italia imbattersi in un cittadino che almeno una volta nella vita non si sia trovato di fronte a un problema di liste di attesa. Può capitare di dover aspettare molto per un esame di laboratorio o di diagnostica strumentale per esempio una ecografia o una mammografia, cosi come per alcuni interventi chirurgici, fuori dall’emergenza. Per effettuare un’ecografia nel primo trimestre di gravidanza o un’amniocentesi in tempo utile in molte regioni del paese bisognerebbe prenotarsi prima del concepimento, oppure rassegnarsi a pagare per esami, che pure sono riconosciuti dalla legge come esenti per le donne in gravidanza. Tempi di attesa sino a sei mesi per una mammografia, un ecocardiogramma, una ecografia addominale non possono essere considerati accettabili né giustificabili. Ed è altrettanto inaccettabile trovarsi costretti ad effettuare quelle stesse prestazioni in tre o sei giorni ricorrendo all’intramoenia sempre in ospedale, e cioè pagando di tasca propria. Nel nostro paese si discute tantissimo sul perché ci siano così lunghe liste di attesa. C’è chi pone in evidenza l’inadeguatezza del nostro sistema sanitario rispetto ai bisogni di salute della popolazione; c’è chi incolpa i medici, accusandoli di leggerezza nelle prescrizioni di esami e visite di controllo; c’è anche chi se la prende con i cittadini e con 168 Il Cittadino e la Salute le loro eccessive pretese da consumisti sanitari. Al di là di tutto e di tutte le giustificazioni, un servizio esiste per offrire prestazioni di qualità e sicure in tempi ragionevoli. Se esso è in grado di mantenere questi standard risponde efficacemente alle premesse per le quali è stato istituito e si destinano ad esso risorse pubbliche; se non vi risponde vuol dire che qualcosa non funziona e, quindi, va cambiato. È necessario ricordare che il problema non è solo italiano; si tratta anzi di una questione presente e rilevante in tutti i sistemi sanitari dei paesi sviluppati che garantiscono un sistema sanitario pubblico. In generale, e al di là delle specificità delle singole situazioni, le cause del fenomeno più comunemente evocate sono riconducibili essenzialmente a due elementi: • una maggiore richiesta di prestazioni dovuta all’invecchiamento della popolazione, al progresso scientifico e tecnologico, alla maggiore quantità di informazioni a disposizione dei cittadini, alla crescente soggettività dimostrata dagli stessi sulle questioni relative alla tutela della salute; • una disponibilità di risorse limitata, e comunque definita, da destinare ai servizi sanitari da parte dei sistemi di protezione sociale dei paesi sviluppati. 114. CHE COSA DEVE SAPERE (E FARE) UN CITTADINO La prenotazione Un cittadino può prenotare una prestazione specialistica, di diagnostica strumentale e di laboratorio o un ricovero ospedaliero attraverso un Cup (Centro unico di prenotazione), o i centri di prenotazione di distretto, di presidio o di reparto. I Cup metropolitani sono ancora relativamente poco diffusi, ma laddove esistono consentono di ottenere di tutte le informazioni necessarie circa i posti a disposizione. Spesso, anche se non sempre, è possibile effettuare queste prenotazioni per telefono o attraverso videoterminali posti nelle farmacie o negli studi dei medici di famiglia, come avviene in numerose zone dell’Emilia Romagna. Le Aziende Sanitarie Locali, i presidi e le aziende ospedaliere hanno l’obbligo di tenere il registro delle prestazioni specialistiche ambulatoriali, di diagnostica strumentale e di laboratorio e dei ricoveri ospedalieri ordinari, sotto la responsabilità personale del direttore sanitario. Ciò significa che un cittadino può chiedere di visionare le liste per controllare la sua collocazione, ferma restando la salvaguardia della riservatezza dei dati. All’atto della prenotazione si ha diritto di conoscere il tempo di attesa massimo entro il quale quella particolare prestazione deve essere garantita. In pratica, l’utente deve essere messo in condizione di sapere se il tempo di attesa che gli viene comunicato è “abnorme” rispetto alle sue necessità e la sua patologia o rientra nella norma anche se i tempi sono lunghi. Il cittadino che ha prenotato una visita specialistica o un esame di diagnostica strumentale o di laboratorio è tenuto, qualora non si presenti o non disdica la prenotazione entro i termini stabiliti, al pagamento del ticket previsto per la stessa prestazione, a meno che non sia esente. 115. IL CORRETTO USO DELL’INTRAMOENIA Le prenotazioni per visite ed esami in intramoenia devono essere effettuate in uffici e da personale addetto diversi da quelli che effettuano le prenotazioni per le prestazioni effettuate attraverso il canale ordinario, cioè attraverso il pagamento del ticket. Anche le liste, i sistemi e le modalità di prenotazione devono essere differenti. Le visite specialistiche, casi come gli esami diagnostici di laboratorio e strumentali in intramoenia devono essere effettuati in spazi separati e distinti da quelli nei quali si svolge l’attività ordinaria. Se la A.S.L. non dispone di questi spazi può autorizzare i medici allo svolgimento dell’attività intramoenia anche in un’apposita struttura, pubblica o privata non accreditata, con la quale sia stipulata un’apposita convenzione o anche all’interno degli studi professionali dei singoli medici. Anche in questi casi le prenotazioni devono avvenire attraverso la A.S.L.. Questa possibilità, garantita in un primo tempo sino a tutto il mese di giugno del 2001, è stata successivamente prorogata sino al 31 luglio del 2003. Le tariffe dell’attività intramoenia devono essere definite dalla A.S.L., secondo il regolamento aziendale e il cittadino ha diritto a conoscerle prima di effettuare la prestazione. Il medico che effettui una prestazione in intramoenia deve sempre rilasciare regolare ricevuta, emessa su bollettario della A.S.L.. Il Cittadino e la Salute 169 INTERAZIONE VIA WEB 116. LA TUTELA DELLA SALUTE ON-LINE Internet rappresenta ormai un grande canale per “riappropriarsi” delle propria salute. Il medicinale che, per la cura di una certa malattia, ha gli stessi effetti degli altri farmaci, ma costa meno di tutti perché è privo di “griffe”. Il modulo per richiedere all’Azienda sanitaria il rimborso per quella prestazione che si è stati costretti a pagare pur di poterla effettuare in tempi brevi. Il recapito delle associazioni di tutela dei malati cronici che sono attive in un determinato ambito territoriale. Chi cerca questo, e molto altro, può facilmente trovarlo in Internet. Ecco allora un catalogo, di certo parziale e presto superato dal rapido incalzare della rete, dei siti Internet che si occupano di salute e di tutela dei diritti in campo sanitario. 117. www.sanità.it È il sito del ministero della Salute, e i servizi in linea ne costituiscono il nucleo. Grazie a essi, i navigatori possono accedere a una quantità consistente di utilities e informazioni. Ma quali, tra tutti quelli on-line, sono i servizi che possono essere particolarmente utili al cittadino attivo che desidera informarsi e tutelare i propri diritti? • • • • L’atlante di geografia sanitaria è un’utile directory con l’elenco e la dislocazione territoriale dei servizi sanitari di particolare rilevanza nazionale. Nella sezione esenzioni e patologie, i cittadini trovano indicazioni per comprendere e padroneggiare meglio la nuova disciplina di esenzione per malattia e gli operatori sanitari informazioni funzionali al loro lavoro: sono, infatti, disponibili una guida all’esenzione, la banca dati delle malattie esenti, una raccolta di documenti in materia di esenzioni, le risposte alle domande più frequenti. Il Forum delle malattie rare è attivo per promuovere un ampio confronto sulle malattie rare tra i cittadini, le associazioni dei malati e i loro familiari, gli operatori sanitari e le altre istituzioni coinvolte. Una sezione particolarmente corposa è quella che il sito del ministero della Salute dedica ai farmaci: interessante perché permette di interrogare il database delle specialità medicinali autorizzate dal Servizio sanitario nazionale. È così possibile sapere se un farmaco è compreso nelle classi A o B, a carico del tutto o in parte della sanità pubblica, nella fascia C, a totale carico dei cittadini, nella fascia H, quella dei farmaci impiegati in ambito ospedaliero, o, infine, se si tratta di un medicinale “generico”. È disponibile un Bollettino d’informazione sui farmaci, con aggiornamenti sui nuovi ritrovati, e non mancano le news relative a comitati etici, corsi e convegni, bibliografia. 118. SISTEMA SANITARIO REGIONALE DELLA LOMBARDIA La rete a tutela della salute • La Regione Lombardia, attraverso le sue politiche sanitarie, si assume verso i suoi cittadini l’impegno di garantire i servizi per la salute della regione più popolosa d’Italia, in cui abitano oltre nove milioni di persone. • Per orientarsi nella scelta sanitaria serve un’informazione corretta e completa. • La prima grande risorsa di informazioni è costituita dalle A.S.L. - Aziende Sanitarie Locali che sono suddivise in distretti territoriali e costituiscono il punto di contatto essenziale tra la rete sanitaria ed il cittadino. Il Cittadino e la Salute 171 • Gli URP - Uffici per le Relazioni con il Pubblico e Uffici per la Pubblica Tutela (solo A.S.L.) presenti in ogni A.S.L. e nel caso specifico per Pavia: www.asl.pavia.it - Viale Indipendenza, 3 - 27100 Pavia - tel. 0382.43132.1/2 - fax 0382.431300 e-mail: [email protected] • • • in ogni ospedale (vedi sito specifico), in ogni struttura sanitaria privata accreditata (vedi sito specifico). www.sanita.lombardia.it È il sito internet della Sanità della Regione Lombardia sempre aggiornato su tutto ciò che riguarda il Sistema Sanitario Regionale; dà accesso a utili strumenti, dalla normativa alle pubblicazioni fino alla modulistica. Televideo RAI 3, pp. 530-535, con i numeri utili, gli indirizzi, le “news” della Sanità Lombarda. 840-000.006 è il numero del Call Center per avere informazioni sulle strutture sanitarie che erogano visite ed esami. 119. www.cittadinanzattiva.it • • • • • • • • È il sito di CittadinanzAttiva, Onlus nazionale, l’organizzazione della quale il Tribunale per i diritti del malato costituisce la rete storica. Contiene l’elenco, continuamente aggiornato, delle sezioni del Tribunale per i diritti del malato attive su tutto il territorio nazionale, nella maggior parte dei casi all’interno degli stessi ospedali, con i recapiti e l’indicazione del responsabile di ciascuna sezione, e delle organizzazioni di malati cronici aderenti al Coordinamento nazionale delle associazioni di malati cronici. Rende disponibile inoltre, nella sezione dei documenti, un rapporto elaborato annualmente, a partire dal 1997, sullo stato dei servizi sanitari analizzato secondo l’ottica dei cittadini, nel quale luci e ombre della sanità italiana vengono evidenziate e passate in rassegna, e un rapporto dedicato alle problematiche della cronicità. Moduli utili, contenuti nella sezione del sito Strumenti, consentono di ottenere il rimborso per una prestazione che liste d’attesa troppo lunghe hanno impedito di effettuare a carico della sanità pubblica o di opporsi a dimissioni che si ritengono ingiuste o inopportune. Nella sezione Pronto diritti non manca la possibilità di chiedere direttamente on-line chiarimenti e informazioni sui propri diritti in ambito sanitario, di effettuare segnalazioni e denunce in caso ci si imbatta in episodi di malasanità. Un’apposita sezione dedicata alle campagne di informazione spiega che cosa è il consenso informato nel caso di un trattamento diagnostico, medico o chirurgico particolarmente invasivo, quale è il fine di un consenso davvero informato, quali i requisiti e le caratteristiche ai quali deve uniformarsi. Un’altra sezione del sito è dedicata alla terapia del dolore e spiega come sia possibile combattere il dolore attraverso un’apposita terapia che la medicina mette a disposizione e che ora anche la legge consente e favorisce. Nel sito del Tribunale per i diritti del malato si può trovare anche la Carta dei 14 diritti del cittadino malato e l’elenco di tutti gli istituti di tutela e di partecipazione previsti dalle leggi (in modo particolare, si rimanda all’ articolo 14 e all’articolo 118 della Costituzione). Sito locale di Pavia: www.cittadinanzattiva.pavia.it 172 Il Cittadino e la Salute 120. LA TUTELA E L’ATTUAZIONE PRATICA DEI DIRITTI NEGATI ALL’AMMALATO In alcuni casi, però, può essere utile intraprendere la via di una tutela giudiziale, soprattutto laddove la lesione di un determinato diritto sia causa di un grave danno all’integrità fisica o psichica del soggetto. Di seguito si offrono alcuni consigli da tener presenti qualora si ritenesse necessario rivolgersi alla competente Autorità giudiziaria per veder soddisfatti i propri diritti lesi: • mantenere sempre la calma, la cortesia e il rispetto; • cercare di ottenere tutta la documentazione relativa alla propria situazione; • parlare con i presunti responsabili dell’accaduto per valutare la possibilità di una soluzione alternativa; • completare le cure necessarie ed evitare decisioni affrettate; • ricordarsi che tutti i medici sono coperti da assicurazione professionale; • rivolgersi a: CittadinanzAttiva – Rete Tribunale per i diritti del malato, ubicato a Pavia - piazzale Golgi 5 (piano terra ex poliambulatorio, lato pagamento ticket, Policlinico S. Matteo - orari di apertura: lunedì e venerdì dalle 11.00 alle 12.00, mercoledì dalle 16.00 alle 17.00 - tel. 0382.503966) o altra associazione di consumatori o ad un legale per valutare insieme l’opportunità (in termini di tempi, di costi e di utilità) di rivolgersi all’autorità giudiziaria. Per comunicare con CittadinanzAttiva - Assemblea territoriale di Pavia - Onlus (c/o ex Ufficio animazione anziani) - Via dei Mille, 130 - 27100 Pavia Tel./Fax 0382.309714 - e-mail: [email protected] Per altre informazioni sito web: www.cittadinanzattiva.pavia.it Il Cittadino e la Salute 173 PROGETTAZIONE - FUTURO 121. SPORTELLO DI ASCOLTO PSICOLOGICO Premessa A completamento dell’esperienza del Tribunale del Malato sarebbe auspicabile creare uno spazio d’ascolto sul territorio con la possibilità di gestire situazioni di presa in carico. In particolare in ambito sanitario uno spazio di questo tipo, gestito come sportello di ascolto psicologico non necessariamente limitato a casi di disagio, è divenuto ormai un servizio indispensabile, rivolto ad un ampio spettro di possibili utenti, dal malato ai suoi parenti, dall’anziano al più giovane e così via. Lo spazio di ascolto, infatti, svolgerebbe una funzione non solo di orientamento e di informazione relativa ai vari servizi offerti, ma anche di supporto psicologico rivolto a tutti i cittadini e alla comunità in generale. E’ un punto di accoglienza prima di tutto per i bisogni del cittadino in difficoltà e per i suoi familiari che necessitano di informazioni sul settore sanitario, sui servizi offerti dalle aziende sanitarie alle attività di volontariato, sul corretto indirizzo dei reclami verso gli organi competenti. Può essere definito come la possibilità di offrire un orientamento o un sostegno a singoli individui o a gruppi, favorendo lo sviluppo e l’utilizzo di risorse interne per il raggiungimento del proprio benessere. Tali spazi di ascolto sono gestiti generalmente secondo la tecnica del counseling, ossia senza fini terapeutici, proprio per consentire ai vari soggetti che vi si rivolgono di portare il proprio vissuto di bisogni e difficoltà di fronte alla malattia, relazionandosi con personale competente in grado prima di tutto di ascoltare e di contenere il disagio espresso dall’utente. Compito del counselor, infatti, è di instaurare una relazione di aiuto che si esplicita attraverso un’attività di competenza relazionale che integra lo sviluppo dell’autoconsapevolezza da un lato e la strutturazione di metodologie riabilitative per contenere il disagio e la marginalità psicosociale dall’altro. Lo sportello ha quindi funzione da un lato di ascolto e propositiva dall’altra nel senso che agisce sulle risorse psicologiche del richiedente in modo da far leva sugli aspetti dell’autostima, dell’autovalutazione di sé, dell’espressione delle emozioni e dei sentimenti, dei vissuti e delle problematiche personali, garantendo il giusto contenimento e l’intervento appropriato in funzione delle risorse messe in campo dal soggetto stesso. Una possibile proposta di sportello di ascolto potrebbe essere organizzata come segue: Destinatari: tutti i cittadini Obiettivi: orientamento e informazione relativi ai servizi offerti in ambito sanitario; ascolto del disagio espresso dall’utente; sostegno dell’utente in difficoltà; prevenzione del disagio e dell’insuccesso terapeutico; prevenzione di eventuali situazioni a rischio; consulenza, informazione e sostegno ai familiari. Metodologia: si tratta di colloqui condotti con la tecnica del counseling che consiste nell’aiutare il soggetto ad interpretare in modo corretto una situazione, a individuare i comportamenti utili per fronteggiare una certa difficoltà e a prendere responsabilmente decisioni. Ogni colloquio avrà la durata massima di un’ora, con la possibilità di fissare degli incontri successivi fino ad un massimo di quattro o cinque. L’accesso allo spazio di ascolto avverrebbe attraverso una prenotazione su apposito registro. 174 Il Cittadino e la Salute ALLEGATI Modulo per la diffida e la messa in mora in caso di liste di attesa. Al Direttore Generale dell’Azienda Sanitaria / Ospedaliera di ………………………………………. E p.c. Pit salute – Tribunale per i diritti del malato Sede nazionale o locale Fax: 06 36718333 OGGETTO: ATTO DI DIFFIDA E MESSA IN MORA PREMESSO CHE In data …………. al sottoscritto …………………………….. è stato prescritto l’accertamento diagnostico/visita specialistica ………………………………. CONSIDERATO CHE Il sottoscritto non è riuscito a prenotare la suddetta prestazione prima del ………………… presso ………………………………….. (indicare la struttura con la lista di attesa più breve) PRESO ATTO che il Decreto Legislativo 124 del 29/4/98 prescrive all’art.3 comma 10 che i Direttori Generali disciplino il tempo massimo intercorrente tra la data della richiesta della prestazione e dell’erogazione della stessa; PRESO ALTRESI’ ATTO che nel caso concreto trattasi di prestazione urgente indifferibile/differibile (cancellare uno dei due), incompatibile con i tempi di attesa suddetti; CHIEDE FORMALMENTE che la suddetta prestazione venga resa in regime di attività libero-professionale intramuraria, con onere a carico del S.S.N, secondo quanto previsto dall’art.3, comma 13 del D. Lgs 124/98; che gli venga fornita immediatamente comunicazione in merito; che in caso di mancata prenotazione in regime di attività libero-professionale intramuraria, la prestazione - per natura di urgenza – verrà effettuata privatamente, con preavviso di successiva richiesta di rimborso per inadempienza agli obblighi di legge da parte di codesta Azienda. Luogo e data ……………………… Firma ……………………. Modulo per opporsi alle dimissioni improprie. Al Direttore Generale della A.S.L. …………………………………………………… Al Direttore Sanitario dell’ospedale ………………………………………………. Al Primario del reparto ……………………………………………………………. e p.c. al Tribunale dei diritti del malato sede nazionale o locale fax 06.36718333 Visto l’articolo 4 della legge 23/10/85 n. 595, chiedo che mio/a (marito, moglie)…………………, nato/a a …………………… il ……………... residente a …………………………………………, in via ……………………..............................., attualmente ricoverato/a presso l’ospedale ………………………………………………. reparto …………………………………… non venga dimesso/a o venga trasferito/a in un altro reparto dello stesso ospedale o in un’altra struttura idonea per i seguenti motivi: a causa della malattia (breve descrizione) …………………………………………………………. mio/a (marito/moglie,ecc.)……………………………. ha necessità di interventi sanitari non praticabili a domicilio e che richiedono il ricovero in una struttura sanitaria; le mie condizioni di salute (e/o di lavoro, e/o di altro genere) non mi consentono assolutamente di provvedere a mio/a ……………………….. il/la quale necessita di cure e di assistenza 24 ore su 24. Al riguardo preciso che il mio famigliare non può essere lasciato solo a casa. Confido nell’accoglimento della presente e nel non allontanamento di mio/a ………………………. da …………………………….. in modo da poterlo seguire. Luogo e data …………………. Firma ………………………