n° 4 Dicembre 2009

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n° 4 Dicembre 2009
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Associazione Pensionati
API
La Vostra Voce
ISTITUTO BANCARIO ITALIANO
n. 4 Dicembre 2009
NOTIZIARIO DELL’ASSOCIAZIONE PENSIONATI DELL’ISTITUTO BANCARIO ITALIANO
NOTIZIE DI SEGRETERIA
.
Il 31 dicembre 2009 scade la quota dell’associazione per il 2009.
Per l’anno 2010 sono state confermate le quote che sono Euro 25,00 per i Soci, Euro 20,00 per i
Coniugi ed Euro 25,00 per i Colleghi ancora in servizio di provenienza I.B.I..
I puntuali versamenti ad inizio anno ci consentono di meglio programmare con le Sezioni l’attività
sociale del 2010.
Le quote possono essere versate direttamente presso i rispettivi Capi Sezione od attraverso bonifico
bancario, facendo indicare dallo sportello accettante il nome del versante.
I pagamenti effettuati attraverso bonifico bancario possono essere appoggiati sul c/c che
l’Associazione intrattiene presso Cassa di Risparmi di Milano e della Lombardia – Milano IBAN
IT07 BO33 0101 600C C000 001 375 (che non percepisce all’Associazione alcuna spesa) o presso
Intesa S. Paolo SpA IBAN IT47 BO30 6909 5770 0009 5746 133.
Fate iscrivere all’ Associazione nuovi Colleghi ed anche i Vostri Coniugi.
La nostra forza sta anche nel numero degli iscritti.
NOTIZIE DELLA REDAZIONE
.
Ricordiamo ai Soci che sono in vendita i libri scritti dall’amico Gabriele Pernigo di Padova ed il cui
ricavato viene devoluto alla Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC).
Le prenotazioni possono essere effettuate dietro pagamento dell’importo complessivo di € 25,00
(non come erroneamente indicato sul precedente “Notiziario”) presso i rispettivi Capi Sezione che
cureranno l’inoltro delle prenotazioni all’Autore e la successiva distribuzione ai Soci prenotanti al
loro arrivo.
“APIBI NOTIZIE”c/o Gualtiero Gravina – Via Ettore Bellani n. 3 20124 Milano
indirizzo telematico: [email protected]
telefono: 02- 6695688
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NOTIZIE DALLE SEZIONI
Firenze. - Si è svolta il 13 ottobre, con il contributo finanziario della Cassa Centrale APIBI, una
simpatica cena alla quale hanno partecipato solo in 14.
Nonostante il numero ristretto, la serata è molto ben riuscita e, insieme ai ricordi dei
tempi passati, abbiamo anche fatto un preconsuntivo di questo 2009.
Oltre agli arrosti misti, è stato servito del “Peposo dell’Impruneta”, cibo particolarmente
apprezzato dalle donne per il risveglio degli ardori giovanili dei partners…..
Sono state anche apprezzate le paste con funghi, naturalmente prima sperimentate sui
gatti del vicinato onde evitare avvelenamenti.
La riunione si è sciolta a mezzanotte, ora insolita per pensionati, con l’impegno di
ritrovarsi per fine anno.
Genova. - I Soci di Genova si riuniranno entro fine anno od i primi del prossimo 2010 per gli
auguri.
Milano - I Soci dei Gruppi di MILANO - LEGNANO - NOVARA - si riuniranno il giorno 12
dicembre 2009 per il consueto scambio di auguri natalizi e per l’anno 2010 c/o il
Ristorante “Canne al Vento” di Via Rosolino Pilo n. 14
Napoli - Il 2 dicembre 2009 i Soci di Napoli si sono riuniti per gli auguri di Natale e fine Anno.
Torino – Il 28 novembre 2009 ore 12,30 presso il Ristorante Arcadia – Galleria Subalpina si è
tenuto il tradizionale pranzo degli Auguri, al quale sono intervenuti oltre una trentina di
Soci.
UN SALUTO UN RICORDO
Ci hanno lasciato:
- Iolanda Tramontano di Napoli
- Marco Jelli di Genova
Ai famigliari le più sentite condoglianze da parte della redazione di “A.P.I.B.I. Notizie” e dei Soci
tutti.
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BENVENUTO AI NUOVI SOCI
Auguri di benvenuto ai nuovi 5 Soci:
Sezione di Milano
Arosio Sergio e coniuge
Caleffi Leonardo
Zanzi Riccardo
Sezione di Padova
Bortolami Pasquale
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I NOSTRI
PROBLEMI
LA QUESTIONE DEL TFR
Abbiamo contattato l’avv. Fanelli al riguardo il quale ci ha comunicato che per alcune vicissitudini
intervenute, problemi di salute e ritardo nell’arrivo di alcune deleghe, si accinge ora a presentare in
Tribunale le pratiche dei nominativi esclusi dalla sentenza del febbraio scorso.
DOPPIA IMPOSIZIONE FISCALE SUI REDDITI DELLA CASSA ex I.B.I.
Sull’argomento possiamo precisarvi che:
“ Il primo ricorso presso la Commissione Tributaria Provinciale di Milano ha confermato che le
somme erogate dal Fondo sono state assoggettate a doppia tassazione e pertanto è stato condannato
l’Ufficio di Milano dell’Agenzia delle Entrate al rimborso di quanto indebitamente trattenuto a
titolo di imposta al lavoratore.
Al fine di evitare che la diffusione impropria del contenuto di questo giornale,
possa arrecare, anche indirettamente danno ai nostri iscritti, Vi invitiamo a non
divulgare a terzi o a colleghi non associati, le notizie contenute.
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AMICI DI ROSSELLA
di Aldo de Angelis
Giusto un anno fa Gianni e Mary Maddaluno sono stati colpiti dalla più grossa disgrazia
che possa capitare a due genitori: la perdita della figlia neppure quarantenne che ha creato
lo scompiglio anche nella Sua giovane famiglia e soprattutto nel figlioletto di appena sette
anni: Alessandro.
La storia di Rossella è stata una lunga malattia, combattuta con coraggio, dignità e tanta
speranza la cui vita, purtroppo si è spezzata dopo quaranta giorni di permanenza
nell’Hospice dell’Ospedale di Busto Arsizio.
Sono stati quaranta giorni durante i quali, nonostante l’ineluttabilità dell’evento finale,
Rossella è stata amorosamente assistita da tutti i componenti (infermieri e medici coordinati
dal dottor Valter Reina responsabile medico) dell’Unità Operativa d i Cure Palliative , oltre
ché, naturalmente, dai propri famigliari.
L’attività dell’Hospice, già di per sé notevole, e svolta in un reparto dell’Ospedale,
modernamente attrezzato e dotato di tutti i macchinari più moderni, in locali che ricordano
più una struttura alberghiera che una ospedaliera, dove i pazienti ed i loro parenti si
possono trovare, per quanto possibile, a loro agio: se non la propria casa, almeno un luogo
quanto più simile ad essa.
Proprio la bontà dei servizi svolti e la possibilità di poterli ulteriormente incrementare
aggiungendo alla degenza ospedaliera anche l’assistenza domiciliare ( solo per coloro che,
purtroppo, sono considerati malati inguaribili), hanno spinto Gianni e Mary, in ricordo
della loro indimenticabile figliola, a costituire – su proposta del prof. Pietro Zoia, Direttore
Generale dell’Azienda Ospedaliera “Ospedale di Circolo di Busto Arsizio”, una
Associazione senza fini di lucro denominata “Amici di Rossella” che fosse in grado di
supportare le attività dell’Unità Operativa di Cure Palliative (UOCP) dell’Ospedale di
Busto Arsizio.
L’Associazione, in sintesi, si propone per Statuto di:
•
Contribuire a lenire le sofferenze fisiche e psichiche degli ammalati affetti da
patologia neoplastica in fase avanzata, o da altre malattie inguaribili;
•
Offrire un sostegno finalizzato all’accompagnamento verso una morte serena e
dignitosa;
•
Consentire loro di vivere una vita dignitosa nell’assistenza continua e attenta fino
all’ultimo istante, possibilmente nel loro ambiente e con la propria famiglia;
•
Aiutare le famiglie ad accogliere ed assistere fino all’ultimo i propri cari;
•
Garantire un appoggio ai loro familiari anche dopo il decesso attraverso un supporto
al lutto;
•
Promuovere e sviluppare in via accessoria la cultura delle cure palliative con ogni
mezzo ritenuto idoneo.
L’Amico Gianni Maddaluno ne è il Presidente ed ovviamente uno dei Soci Fondatori,
insieme ad alcune benemerite famiglie Bustesi che hanno accettato con entusiasmo di
essere partecipi di questa generosa iniziativa, formalizzata con atto notarile il 10/6 di
quest’anno.
I fondi che giungono e giungeranno alla Associazione attraverso le oblazioni e/o
contribuzioni volontarie dei benefattori verranno totalmente offerti in beneficenza
all’Ospedale di Busto Arsizio che li dovrà utilizzare, attraverso l’Hospice, esclusivamente
per l’assistenza agli ammalati terminali per il raggiungimento degli scopi di cui sopra.
L’Associazione, infatti, svolge la sua attività nell’ambito della beneficenza indiretta di cui
al comma 2 bis Art. 10 del D.Lgs n. 460/97.
Eventuali elargizioni possono essere indirizzate sul c/c bancario n. 231 int.”Amici di
Rossella” acceso presso il Credito Valtellinese – ag. 1 – di Busto Arsizio
IBAN IT04 H052 1622801 000000000231
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Raccontando
di A.Maria De Cristofaro Valboa
ARIA DI CASA (è quasi Natale)
E’ il 16 novembre, con un freddo che indispettisce dopo i giorni di ottobre, caldi per il sole quasi estivo.
Esco sul balcone di casa mia e la luce luminescente del tramonto mi incanta con i toni del rosa sfumato
nell’azzurro tenue del cielo - che sembra poi precipitare nel buio della sera. La bellezza del crepuscolo
scatena in me, come sempre, sensazioni di pace e di malinconia. Mi allungo sul parapetto e lascio che l’onda
- che mi stringe lo stomaco - arrivi sino alla mente e gli anni trascorsi si srotolino come un tappeto nella
memoria: lontano, verso la mia casa perduta giù dell’Italia e lascio che il profumo delle cose - che
baluginano nella mia anima - mi attanaglino in caldo abbraccio. Resto a guardare a Nord, scavalcando il
verde intenso della pianura, verso l’incanto delle Alpi appena imbiancate. I campanili lontani, incendiati
dalla luce del sole che sta scomparendo ad est, si accendono come fiammelle di candele, quasi a voler
ingioiellare i monti che vanno scomparendo. Stamani, mercoledì, ho bighellonato per il mercato di Saronno,
soppesando con gli occhi la freschezza delle verdure, la dolcezza autunnale dell’uva. Ho trascinato con fatica
il carrello pieno di meraviglie, quasi un’allegra cornucopia da cui fuoriusciva il giallo delle arance, il verde
dei broccoli, il violetto dei carciofi. Devo pensare alla cena: mi ritrovo accanto ai fornelli, gli occhi attenti
all’olio che sfrigola nella padella. Tendo sul tavolo la tovaglia, allineo le posate ai piatti, aggiusto in quelli
di portata le pietanze che ho cucinato, in anticipo sul Natale per i miei amici Lombardi. E’ una carrellata di
sapori, profumi che arrivano dagli anni trascorsi a Napoli, la mia città di origine: l’insalata di rinforzo
(cavolfiore cotto, punteggiato dai colori allegri delle verdure della giardiniera, con le macchie delle olive
verdi e nere, il tutto condito con olio ed aceto) la pizza di scarola (una pasta morbida di lievito che contiene
scarola passata in padella con olive, uvetta, pinoli e un pizzico di alici salate, il tutto cotto in forno vivace),
scaglie di baccalà chiuse in piccole bolle di pasta lievitata e fritte nell’olio di oliva. Ma in una pentola di
coccio brontola la cazzoeula, un trionfo di carni di maiale intenerita da verdura invernale, croccante di
freddo. E’ il mio omaggio alla terra che mi ha accolto con generosità trenta anni fa e che ora considero un
po’ mia. Tutta la casa è colorata di rosso, le vetrofanie sono quelle che le figlie piccole attaccavano ai vetri
delle finestre, sul tondo di un tavolo un grande S. Giuseppe guarda teneramente una Maria china verso la
culla vuota (sono naturalmente della tradizione napoletana). L’odore delle candele che scaccia quello sinuoso
del fritto, mi porta alla messa del Natale, al baluginare dei ceri accesi sull’altare, le luci soffuse della chiesa
che vibra delle
voci dei fedeli. E ’quasi sera. Mi ritrovo accanto ai vetri della finestra, gli occhi persi sul verde della pianura
sino alla statuaria bellezza delle Alpi - che sembrano svaporare nel buio della notte, lasciando indovinare nel
viola del cielo la zigrinatura del Resegone. Pregusto il momento di sedermi a tavola, i gomiti appoggiati sul
tavolo, le mani aperte sotto il mento e gli occhi che corrono dai visi soddisfatti dei miei amici a quello un
po’ appassito, ma appena un po’, di mio marito. La serata correrà in allegria sino allo spizzicare della frutta
secca e al taglio di un gigantesco panettone, circondato da cassatine, susamielli e dorati roccocò. Io
spumante, rigorosamente Italiano, ci unirà in un brindisi, confuso con baci, abbracci, sinceri auguri e
finalmente il Natale apparirà più vicino, quasi settimo commensale alla nostra tavola. Il campanello della
porta irrompe allegro e mi avvio a ricevere i miei ospiti per una sera in piacevole compagnia.
*Auguri a chi mi legge, a chi non mi legge,a tutti voi e ai vostri cari salute, serenità e pace. Anna Maria
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Mostra Missionaria
di Gabriele PERNIGO
La prima casa dove abbiamo abitato, appena finita la guerra, era sulla collina veronese, entro" le
mura
Scaligere, in. Località “Fontana del Ferro”. Era Il nome di una fonte d'acqua che sgorgava dalla
roccia attraverso un lungo tubo di ferro dal quale le famiglie dei dintorni attingevano tutta l'acqua
necessaria, sia per bere e cucinare, sia per lavarsi.
Detta casa, di proprietà delle Missioni Comboniane, che avevano la Sede Generalizia proprio nelle
vicinanze, doveva essere in origine una grande villa. L’Amministrazione Comboniana ne aveva
ricavato diversi appartamenti di varie dimensioni.
Eravamo in sette famiglie, tutte con numerosi figli in giovane età, dai cinque ai quindici anni.
Alla sera ci si riuniva tutti sulla grande terrazza comune, con le sedie disposte a semicerchio, e si
recitava il Rosario con le litanie. Noi ragazzi non vedevamo l'ora di finire per ascoltare poi le storie
avventurose, che i più vecchi raccontavano, sia sul periodo bellico sia antecedente. Non mancavano
le esagerazioni e la fantasia, ma a quel tempo non ci si accorgeva e prendevamo tutto per buono.
Ricordo ancora lo splendido panorama sul fiume Adige e su tutta la città sottostante che, soprattutto
di notte, si godeva da quella grande terrazza.
Noi ragazzi eravamo un vero e proprio clan, all'interno si era spontaneamente creata una gerarchia, i
più grandi insegnavano ai più piccini e le giornate trascorrevano liete con giochi semplici e coinvolgenti. Giocavamo a "bandiera”, a "nasconderci", al "tiro alla fune", al "salto della fune" "alla petà'
(pietra) salta moneta , con lo sciànco, “mosca cieca con relativi pegni"ed altri ancora, che non sto
ad elencare, ma che probabilmente si perdono nella notte dei tempi: uno per tutti quello di fare dei
fischietti partendo dai noccioli di pesca, raschiati sul selciato bagnato dai nostri sputi, sino a forarli,
e inserendovi poi un nocciolino di ciliegia. A quel punto soffiando con tutto il fiato possibile, sul
bordo forato del nocciolo di pesca usciva un trillo che ricordava, in tonalità più bassa, quello del
fischietto dei vigili.
lo ero particolarmente vivace e ricordo che una volta, mentre mio padre era andato a riposarsi,
inforcai la sua bicicletta e mi lanciai giù dalla discesa, piena di buche e di sassi, che portava sullo
stradone principale. L’ultima parte della discesa era delimitata a sinistra, per un lungo tratto, da filo
spinato molto vecchio e arrugginito.
Poiché non riuscivo a cavalcare la bicicletta, per la sella troppo alta, scendevo pedalando con la
gamba destra infilata sotto la canna, sbilanciandomi paurosamente verso il lato sinistro della strada.
Persi l'equilibrio proprio nel tratto finale della discesa e la mia gamba sinistra (portavo i calzoncini
corti) fu letteralmente dilaniata dal filo spinato.
Tamponai in qualche modo la fuoruscita del sangue e, risalito, corsi subito nel solaio dove trovai
della vecchie bende bianche con le quali mi fasciai senza nemmeno disinfettarmi; i calzoncini mi
coprivano buona parte della improvvisata fasciatura.
Era tardi e bisognava mettersi a tavola per la cena! Scesi le scale con disinvoltura per raggiungere il
mio posto, quando sentii un urlo di mia madre: camminavo lasciando una scia di sangue sul pavimento della cucina! Mia madre, incerta se portarmi subito al Pronto Soccorso o tentare di risolvere
il problema in casa mi disinfettò amorevolmente le ferite e mi rifece una fasciatura più stretta ed
efficace. riservandosi di verificare l'indomani l'eventuale necessità di ricorrere alle cure mediche. La
sgridata di mio padre me la ricordo ancora adesso ed anche l'assoluta proibizione di usare per il
futuro la sua bicicletta, che da quel giorno fu dotata di chiusura a lucchetto.
Qgni tanto qualche missionario di ritorno dall'Africa veniva a trovarci e ci raccontava storie
meravigliose di gesti di bontà missionaria laggiù, di animali feroci, di popoli poveri e semplici,
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ricchi di rcligiosità e morale naturale, che rendevano più facile il loro incontro con Dio.
Era il 1948 e la gente in quegli anni conosceva poco dell'attività missionaria e giustamente i
'Comboniani" pensarono che era forse il caso di organizzare una "Mostra" all'interno dell'imponente
Palazzo della Gran Guardia, nella centralissima Piazza Brà di Verona. .
Molto accuratamente fu allestita la Mostra che conteneva animali imbalsamati feroci e non (leoni,
tigri, zebre, elefanti, rinoceronti, scimmie, serpenti, cammelli), carte geografiche, fotografie dei
villaggi e dei nuovi insediamenti dei missionari, pelli di animali, stampe, oggetti di uso casalingo di
quelle popolazioni, le armi degli indigeni (lance, scudi, archi, frecce, coltelli rudimentali ecc.. .), i
loro prodotti artigianali. Il tutto accompagnato da grandi pannelli che spiegavano e illustravano gli
oggetti in mostra e l'opera dei "Comboniani" in terra di missione, l'Uganda.
Per rendere però più credibile la Mostra e per spingere i visitatori ad essere più generosi nelle
offerte, qualcuno pensò che sarebbe stata molto opportuna la presenza di un paio di negretti.
La scelta cadde su me e su un altro coetaneo della casa dove abitavamo. Solo che, mentre io ero
almeno
scuro di capelli con occhi castani, l’altro, Eleuterio, figlio di una donna trentina, sembrava il tipico
esemplare della razza ariana: biondo con gli occhi chiari.
"Non preoccupatevi dissero le Suore Orsoline ai nostri genitori, ci pensiamo noi a farli sembrare
due negretti, l'importante è che i due ragazzi, a qualunque domanda o provocazione, non rispondano
e tengano la bocca chiusa."
Ci portarono dunque di prima mattina (era domenica) dalle suore che, ci rasarono i capelli e carbonizzando diversi tappi di sughero ci dipinsero testa, viso, mani, braccia e piedi di nero. Ci
ricoprirono poi di una tunica bianca.
Il risultato sembrava buono ma io ero molto preoccupato perché piovigginava, eravamo a piedi nudi
e temevo che, con la pioggia, avrei perso parte del colore rischiando di presentarmi con la pelle a
macchie. Compresero il problema; coperti da un ombrello ci fecero salire su un furgoncino e, dopo
innumerevoli raccomandazioni di stare sempre zitti e al più limitarsi a qualche sorriso,
raggiungemmo la sede della Mostra.
Ci posero al sommo dello scalone proprio all'ingresso della grande sala, uno da una parte l'altro dall'
altra con una lancia in una mano ed un cesto di vimini, per la raccolta delle offerte, nell' altra.
Eravamo entrambi molto tesi e spaventati il che contribuiva a dare una parvenza di autenticità alla
scena.
Al mattino il numero dei visitatori fu contenuto ed erano per lo più adulti, da poco usciti dalla
messa o al passeggio sul “liston “ di Piazza Brà . Entravano, si fermavano un attimo da noi, ci
facevano qualche carezza sul viso e probabilmente lì per lì non s'accorgevano che le loro dita si
tingevano di nero; poi proseguivano il giro della Mostra e se ne uscivano enfatizzando l'interesse
suscitato dalla stessa.
.La situazione divenne veramente difficile nel pomeriggio, quando terminate "le funzioni religiose
pomeridiane" una vera e propria marea di ragazzi e ragazze, solo in parte accompagnati dai genitori, si
riversò curiosa e chiassosa all'interno della Mostra,
L’interesse, maggiore per tutti loro eravamo noi due all'ingresso del salone: si fermavano, ci
facevano
mille domande, ci chiamavano "bongo bongo", ci sollevavano la tunica, che per fortuna era stretta e
non lasciava intravedere la pelle chiara delle gambe. Qualcuno più malizioso cominciò a farci il
solletico sotto le ascelle ed era davvero difficile limitarsi al sorriso e non reagire con qualche
spintone. Le suore lì vicino cercavano con mille scuse di toglierceli d'attorno, ma quei pochi che se
ne andavano erano subito rimpiazzati dai nuovi venuti.
Fu un vero supplizio anche perché io temevo che il mio compagno si lasciasse andare ad un'
esclamazione, alla quale era abituato in passato.
Nonostante le raccomandazioni dei suoi genitori e mie a non dirla mai più, continuava a gridare
purtroppo nei momenti di euforia "Viva il Duce", decisamente fuori luogo e fuori tempo, che in
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quella circostanza sarebbe stata un vero disastro.
Gli feci gli "occhi brutti" più volte e per fortuna, sia pure mordendosi le labbra, egli riuscì a
mantenere il silenzio.
Provati dalle lunghe ore in piedi e dalla tensione a sembrare quello che non eravamo, finalmente
alle 19 la Mostra si chiuse.
Ricevemmo molti complimenti e buffetti di ringraziamento dalle suore e dai missionari, anche
perché l’ammontare delle offerte fu davvero soddisfacente. Da parte mia ero orgoglioso d’aver
avuto per un giorno la pelle nera.
tratto da “ CORRENDO LA VITA ” di Gabriele Pernigo
NON TUTTI SANNO CHE……….
Milano Segreta. Il Cenacolo tra Vangelo e leggende I presunti misteri dell'Ultima Cena di
Leonardo: di chi è la «mano in più»? E se l'Apostolo Giovanni fosse in realtà Maria Maddalena?
«Dette queste cose, Gesù si commosse profondamente e dichiarò: "In verità, in verità vi dico: uno di
voi mi tradirà". I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse». Così il
Vangelo di Giovanni (Gv 13, 21-22) descrive l’attimo in cui Gesù annuncia ai suoi discepoli il
tradimento di Giuda. Quello stesso attimo che Leonardo da Vinci decise di immortalare per sempre
nell’Ultima Cena affrescata nel refettorio di Santa Maria delle Grazie, su commissione di Ludovico
il Moro (guarda il dipinto sul sito www.haltadefinizione.com/it).
Gesù seduto al centro della tavola ha appena pronunciato quelle fatidiche parole. Le reazioni si
diramano da questo centro investendo le dodici figure sedute a tavola con Cristo. E il dipinto
diventa un modo per indagare le diverse reazioni umane, lo stupore, l’incredulità. Nell’angolo
all’estrema destra, Simone e Giuda Taddeo si chiedono se hanno capito bene. Matteo, con un ampio
gesto della braccia, sembra dire: «Ma avete sentito?». Dall'altro lato, Pietro mette una mano sulla
spalla di Giovanni e sembra sussurrargli qualcosa all’orecchio. Che cosa? «Ora uno dei discepoli,
quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli
disse: "Dì, chi è colui a cui si riferisce?". Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse:
"Signore,chi ?"»(Gv13,23-25).
E noi spettatori, che dal centro del refettorio sembriamo trovarci un piano più in basso rispetto agli
accadimenti, siamo sconvolti da quello stesso sentimento e come gli Apostoli ci domandiamo chi
sia il traditore. Leonardo infatti rompe completamente con le precedenti rappresentazioni
dell’Ultima Cena che tendevano a raffigurare Giuda come una figura isolata da Cristo e dagli altri
Apostoli, e lo inserisce ancora nel gruppo, tanto che per noi non è immediato il riconoscimento. Per
desiderio di realismo, Leonardo scelse di rappresentare tutti i personaggi, Cristo compreso, senza
aureola. La stessa voglia di realtà gli fece scegliere di curare molto i volti e la loro espressività,
tanto che forse decise di immortalarsi in uno degli apostoli, o così almeno vuole la tradizione:
Giuda Taddeo, il secondo partendo da destra.
La leggenda vuole che Leonardo abbia girato per mesi nei quartieri più malfamati di Milano
ritraendo i più loschi e bizzarri personaggi che incontrava, alla ricerca di una fisionomia perfetta per
rappresentare Giuda, il traditore per eccellenza. Ma qual è Giuda? A una ricerca più attenta lo si
riconosce: è il terzo, contando a partire da Gesù verso sinistra. L’unico con il volto in ombra. Quello
che sembra ritrarsi davanti all’affermazione del Signore, come a dire: «Non sono io». E facendolo
urta il sale e lo rovescia. Emblematiche sono le sue mani: la destra stringe la borsa con i trenta
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denari, la sinistra si allunga verso il piatto in cui Gesù intingerà il pane che poi consegnerà a Giuda.
«Rispose allora Gesù: "E' colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò". E intinto il
boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone» (Gv 13, 26).
Più di quarant’anni fa cominciò ad affacciarsi una curiosa ipotesi sull’Ultima Cena dipinta da
Leonardo, quella di un tredicesimo Apostolo seduto al tavolo. Un Apostolo di cui si vedrebbe
soltanto una mano, che stringe un coltello puntato alle spalle del traditore Giuda. Curiosamente
l’ipotesi rimbalzò di libro in libro per decine di anni, fino a diventare un vero «mistero» legato al
Cenacolo.
Di chi è la mano che spunta alle spalle di Giuda? Eppure la risposta è sotto gli occhi di tutti.
Chiaramente la mano è di Pietro. L’Apostolo, come abbiamo già visto, appoggia la mano sinistra
sulla spalla di Giovanni per attirare la sua attenzione, mentre nella destra stringe un coltello con il
quale probabilmente stava affettando un frutto. Niente di strano. In molte rappresentazioni
dell’Ultima Cena Pietro è raffigurato con un coltello in mano, simbolo della spada che poche ore
dopo impugnerà nell’Orto degli Ulivi, al momento dell’arresto di Cristo.
Molti sostenitori dell'ipotesi della «mano fantasma» ritengono che non possa trattarsi di quello di
Pietro perché questi avrebbe allora un’anatomia troppo contorta. Probabilmente l’ipotesi poteva
reggere prima dei restauri terminati nel 1997: l’opera era talmente compromessa che la leggibilità
era quasi impossibile. Ma pare assurdo che ancora oggi qualcuno non noti la perfetta coerenza tra la
posizione di Pietro e quella mano «armata». A ulteriore prova restano comunque i disegni
preparatori di Leonardo, conservati alla Royal Library del Castello di Windsor in Inghilterra, dove
si vede chiaramente che si tratta della mano di Pietro.
Ma un quadro così noto e complesso non poteva che suscitare altre polemiche e sviluppare nuove e
misteriose trame. L’attenzione di molti si è infatti concentrata sulla figura che vediamo
all’immediata sinistra di Cristo, quella di Giovanni. Secondo molti si tratterebbe non di Giovanni,
ma di una donna, per la precisione Maria Maddalena (in realtà, Giovanni è sempre raffigurato come
imberbe, essendo il più giovane tra gli Apostoli). La fortuna di questa ipotesi è recente e si deve al
noto romanzo «Il Codice da Vinci» di Dan Brown. Ma l'ipotesi risale a qualche anno fa, alla
pubblicazione del saggio «Il Santo Graal» di Michael Baigent, Richard Leigh e Henry Lincoln.
Secondo questi tre giornalisti, il Graal non sarebbe la coppa che Cristo usò nel corso dell’Ultima
Cena e in cui Giuseppe di Arimatea raccolse il sangue di Gesù al momento della crocifissione.
«Santo Graal» sarebbe invece una storpiatura di Sang Real (sangue reale). Secondo la fantasiosa
ipotesi, Maria Maddalena aspettava un figlio da Gesù e, dopo la morte del Signore, approdata sulle
coste della Francia meridionale, avrebbe dato alla luce quel figlio, iniziatore della dinastia
Merovingia. La realtà di questa storia sarebbe stata difesa da molteplici organizzazioni segrete,
prima fra tutte quella del Priorato di Sion, che contava tra i suoi maestri proprio Leonardo da Vinci
(l’esistenza di questo Priorato di Sion in realtà non è mai stata dimostrata).
L’Ultima Cena di Leonardo racconterebbe proprio questo fatto. Sul tavolo la coppa in cui Gesù
versa il vino non c’è, ma tra le due figure di Cristo e Giovanni (o meglio, Maria Maddalena) c'è uno
spazio vuoto a forma di V, che rappresenterebbe proprio il Sacro Graal. Insomma, molti hanno visto
quello che più gli faceva comodo nel dipinto di Leonardo. Berdini, dell’Accademia di Belle Arti di
Roma, sostiene che le mani degli Apostoli sarebbero le note posizionate su un immaginario
pentagramma del primo componimento conosciuto di musica dodecafonica. Secondo altri, sopra gli
arazzi appesi alle pareti ai lati della sala si troverebbe un codice numerico che occulterebbe chissà
quali misteri (coordinate per ritrovare il Graal...). A ben guardare, i «numeri» altro non sono che i
ganci a cui gli arazzi sono agganciati.
Se volete togliervi ogni altro dubbio sui misteri legati al Cenacolo, oltre ad andarlo a vedere di
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persona (cosa che molti studiosi sembrano non aver mai fatto) vi consigliamo di guardare su
Internet la foto ad altissima risoluzione, composta a partire da 1677 scatti, realizzata dalla società
Hal 9000. Sul sito www.haltadefinizione.com potrete navigare nell’immagine fino a vedere
particolari grandi pochi millimetri. Avrete la soddisfazione di vedere i dettagli ricamati sulla
tovaglia o, alla sinistra dell’occhio di Cristo, il buco in cui era piantato il chiodo che Leonardo
utilizzò per tracciare le linee prospettiche. O ancora il piccolo panorama alle spalle di Gesù, in cui si
vedono alcune case e una torre. Provare per credere.
Bibliografia
Andrea Accorsi e Daniela Ferro, «Il grande libro dei misteri di Milano risolti e irrisolti», Newton
Compton Editori Ippolito Edmondo Ferrario e Gianluca Padovan, «Milano sotterranea e
misteriosa», Mursia
Michael Baigent, Richard Leigh e Henry Lincoln, «Il Santo Graal», Mondadori
Fabio Celoni, «Milano, esoterismo e mistero», Editoriale Olimpia
Francesca Belotti e Gian Luca Margheriti
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LA NOSTRA POSTA
Mi sono giunti i notiziari editi in giugno e settembre c.a. che mi hanno permesso di
ricordare, con commozione, comuni tempi trascorsi con alcune persone conosciute
e, purtroppo, con altre che nel frattempo ci hanno lasciato.
Sono contento nel vedere che le adesioni all’ APIBI continuano ad arrivare e mi chiedo
Se sarà possibile potersi un giorno incontrare tutti in un “a’marcord” che potrà fare solo
bene allo spirito e al corpo.
Come ho avuto modo di dire nel trascorso mese di marzo, epoca della mia adesione,
tuffarmi nella memoria e vedere in essa riapparire i personaggi che hanno fatto del
piccolo ma familiare Istituto Bancario la nostra bottega professionale, arrivando ad
essere negli ultimi cinque, sei anni dalla parola “fine” paradossalmente avanti al sistema
di almeno tre lustri.
Quasi a presagio del noto “canto del cigno”.
Ricordando ciò che siamo stati e quello che continuiamo ad essere non certo nel
rimpianto ma nella fierezza d’essere stati partecipi di quella piccola ma grande banca
chiamata I.B.I. mo è sorto spontaneo e dal cuore questa poesia che, con orgoglio, dedico
all’istituzione “APIBI” ed a tutte le colleghe e colleghi che nell’ IBI trovarono degno
appagamento umano e professionale.
“ TRACCE “
Indelebili chiare tracce
noi dell’IBI lasciammo
nel groviglioso numerico mondo.
Come l’Ibis, in alto volammo
di modestia distinguendoci
nel difficile comune travaglio.
E nel quotidiano lavoro
amici già eravamo, per chi
amico lo cercava
nella stretta di una mano.
Michele Lopergolo
(vulgo IBI Genova: Lopi)
Pescara, marzo 2009-11-24
Per Gualtiero
Penso che ti ricorderai di me, ci siamo conosciuti in quelle temute ????? visite ispettive a
Genova anni 70/75, per me, l’altro ieri.
Spero di sentirti sempre in splendida forma e ti ringrazio, assieme a tutta la redazione, per
l’opportunità che ci date nel farci pervenire il notiziario.
………….”boccata d’ossigeno” contro l’asfissia del pensionamento.
A parte le battute un caloroso abbraccio a tutti e buon lavoro.
A risentirci presto. CIAO.
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RECENSIONI LIBRARIE
(a cura di Federica ZUCCONI)
Erri DE LUCA - IL PESO DELLA FARFALLA - FELTRINELLI
Il re dei camosci è un animale ormai stanco. Solitario e orgoglioso, da anni ha imposto al branco la sua
supremazia. Forse è giunto il tempo che le sue corna si arrendano a quelle di un figlio più deciso. E’
novembre,tempo di duelli: è il tempo delle femmine. Dalla valle sale l’odore dell’uomo, dell’assassino
di sua madre. Anche l’uomo, quell’uomo, era in là negli anni e gran parte della sua vita era passata a
cacciare di frodo le bestie in montagna: E’ anche quell’uomo porta , impropriamente, il nome di “re
dei camosci” – per quanti ne aveva uccisi. Ha una Trecento magnum e una pallottola da undici
grammi: non lasciava mai la bestia ferita, l’abbatteva con un solo colpo. Erri De Luca spia
l’imminenza dello scontro, di un duello che sembra contenere tutti i duelli. Lo fa entrando in due
solitudini diverse: quella del grande camoscio fermo sotto l’immensa e protettiva volta del cielo e
quella del cacciatore, del ladro di bestiame, che non ha mai avuto una vera storia da raccontare per
rapire l’attenzione delle donne, per vincere la sua battaglia con gli altri uomini. “In ogni specie sono i
solitari a tentare esperienze nuove,” dice De Luca. E qui si racconta, per l’appunto, di questi due
animali che si fronteggiano da una distanza sempre meno sensibile, di questi due animali che si
fronteggiano da una distanza sempre meno sensibile, fino alla pietà di un abbraccio mortale.
Niccolò AMMANNITI – CHE LA FESTA COMINCI – EINAUDI
Nel nuovo romanzo di Niccolò Ammanniti gli ultimi Cavalieri dell’Appocalisse, fanno riunioni
sataniste in una pizzeria di Oriolo Romano. Uno scrittore di successo da anni non scrive più una riga.
Un palazzinaro si compra dal Comune di Roma un parco pubblico di 170 ettari per farne la sua
residenza privata. E organizza la festa esclusiva e imprevista del secolo.
Antonio - INGROIA – C’ERA UNA VOLTA L’INTERCETTAZIONE
Le intercettazioni sono nate e si sono evolute in base alle evoluzioni tecnologiche e ai cambiamenti
sociali. Ma il loro utilizzo è stato sottoposto a regole precise, richieste da parte dei pubblici ministeri
dietro l’autorizzazione di un giudice per le indagini preliminari. Tutto questo per fornire ai cittadini
garanzie su cui oggi si cerca di sorvolare:: la politica – o una parte di essa – sta infatti insinuando
l’idea di un mondo costantemente controllato, come nel romanzo 1984 di Gorge Orwell. Il libro va
alla ricerca di fatti che dimostrano quanto il pericolo tanto gridato è inesistente. E lo fa rifacendosi alle
intercettazioni per i reati di mafia e al valore che hanno in fase processuale.
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