Formato PDF - Scuola in ospedale

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Formato PDF - Scuola in ospedale
Un nuovo libro di fiabe. Ma un po' speciale. Perché preparato con grande
merito dei nostri ragazzi della Clinica Pediatrica di Monza. Ed anche per merito delle
insegnanti che ogni anno inventano una nuova iniziativa per stimolare, motivare,
rendere meno fastidioso il soggiorno in un letto di ospedale.
L'idea di quest'anno è di grande interesse. Non solo per aver raccolto fiabe di
varie regioni, di vari paesi, illustrate con disegni molto belli. Ma anche perché, mi
auguro, sia di stimolo a far leggere le fiabe, a voce alta, come è ben illustrato in un
libro di Rita Valentina Merletti "Leggere ad alta voce", (Mondadori 1996) una grande
esperta di libri per ragazzi.
Con l'auspicio che si realizzi un'idea che da tempo aleggia nell'aria.
Considerare la lettura di una fiaba una componente della terapia. Tanto più se letta
dal padre. Ripropongo questa idea, nella convinzione che i nostri bambini non hanno
bisogno solo di farmaci, ma anche di fiabe. Almeno una al giorno. Salvo diversa
prescrizione medica.
Per ora molti complimenti e auguri di successo per questo nuovo lavoro di
bambini ed insegnanti. E un ringraziamento ai Lions Club Monza Duomo che ne
hanno generosamente consentito la stampa.
PRESENTAZIONE DEL PROGETTO FAVOLE
“UN GIROMONDO DI FANTASIA”
Gli alunni del "San Gerardo' School" sono orgogliosi di
presentare "Un Giromondo di fantasia", raccolta di fiabe della
tradizione popolare provenienti da diverse parti del mondo.
A me, che sono annoverata tra i grandi del gruppo e che avevo
collaborato alla trascrizione e alla correzione delle fiabe al
computer, è stato chiesto di scrivere due parole d'introduzione.
Reduce dall'esperienza di un ricovero in ospedale, posso dire
con certezza che il lavoro svolto dai ragazzi delle elementari e
delle medie inferiori sotto la guida delle insegnanti ha molte
valenze positive.
L'aspetto più evidente è quello di consentire ai piccoli
ricoverati un utile esercizio scolastico, finalizzato a ridurre il
più possibile le lacune dovute alla mancata frequenza
scolastica.
Quello più importante invece è questo: i bambini hanno
bisogno di continuare il più possibile le loro attività normali
(compiti compresi, ahimè!!!).
Per i piccoli pazienti ricoverati per lunghi periodi, per
numerose volte e per terapie prolungate e debilitanti,
mantenere le attività di ogni giorno assume un significato
importantissimo di "promessa di guarigione". Si potrebbe
quindi dire che la scuola fa parte della terapia.
Questo volume di racconti , voluto anche dal Professor
Masera ,vuole essere un utile suggerimento di come impiegare
il tempo libero sia in ospedale che a casa con i propri figli.
Mamme, ma soprattutto papà leggete queste fiabe ai vostri
bambini o insieme con loro: li aiuterà a crescere meglio e
potrete stabilire con loro un rapporto più armonioso e sereno.
LA BERTUCCIA E GLI OCCHIALI
Una bertuccia, invecchiando, si accorse che la sua vista non
era più quella di una volta e se ne lamentava con le amiche.
“Non te la pigliare!”, la confortò una scimmia molto
aggiornata che aveva vissuto a lungo in una grande città in
mezzo agli uomini, “non te la pigliare: la tua vista è stanca.
C’è un rimedio: basta comperare un paio di occhiali.”
La buona amica le illustrò anche i grandi miracoli di cui essi
sono capaci. La bertuccia, persuasa, andò sino al lontano
villaggio e si comprò addirittura dodici paia di occhiali,
pensando che se uno bastava per ridare forza agli occhi, con
dodici avrebbe avuto la vista migliore di quella della lince.
Non vedeva l’ora di tornare a casa per provarli.
Li provò. Se li mise dapprima sul capo: nulla. Se li mise sulla
coda: nulla ancora. Se li mise sul dorso, sul ventre, sulle
spalle: nulla, sempre nulla.
“Andate a dar retta alle chiacchiere della gente!” esclamò
furibonda “Gli occhiali non servono proprio a niente: con
dodici paia di occhiali ci vedo meno di prima!” E li scagliò
tutti, uno dopo l’altro contro una pietra, riducendoli in minuti
frammenti.
A MONKEY AND A PAIR OF GLASSES
A monkey, while she was getting old, realized she couldn’t see
as before; so she complained about this with her friends.
“Don’t worry!” an informed and modern monkey comforted
her. “I know many things because I lived among men in a big
city for a long time”.
“Don’t take on so: your sight is tired, but there is a cure. It
needs to buy a pair of glasses”.
And she showed her the great miracles they can do. So the
convinced monkey went to the far village and bought twelve
pairs of glasses, thinking that if one pair was sufficient to give
strength to her sight, certainly twelve pairs would make it as
strong as the lynx’s. She looked forward to returning home and
trying them. And she tried them.
At first she put them on her head, but nothing happened. She
put them on her tail: nothing again. She put them on her back,
her stomach and her shoulders: always nothing.
“Believe what people say” she exclaimed angrily “These
glasses don’t help me: with twelve pairs I see less than
before!” And she threw them, one by one, against a stone,
breaking them in many pieces.
LA FAVOLA DI ARTIBELLA (dalla tradizione toscana)
C’era una volta una ragazza di nome Artibella che ogni giorno,
per andare a scuola, passava sotto il balcone del re.
Ogni giorno il re l’aspettava e quando la vedeva le diceva:
“Buongiorno Artibella” e lei per dispetto gli rispondeva:
“Buongiorno, fiol del re.”
Il re si arrabbiava molto e un giorno decise di fargliela pagare.
Così chiamò la maestra di Artibella e le chiese:
“Mi dovrebbe fare un grosso favore. Domani in classe dovrà
dire che ha un forte mal di testa e dovrà chiedere ad Artibella
l’unica cosa che le permette di star meglio: una limonata fatta
coi limoni del giardino del re. Così sicuramente lei si
precipiterà qui e al resto penserò io.”
Il giorno dopo la maestra disse in classe:
“Ho un gran mal di testa. Artibella, puoi farmi un favore? Vai
dal re e chiedi tre limoni, perché coi frutti del giardino del re il
dolore mi passa.”
La ragazza accettò, ma in realtà aveva già capito il piano del
re. Così, arrivata a palazzo, bussò e ad aprire fu un servo che le
domandò:
“Cosa vuoi bella fanciulla?”
“Vorrei tre limoni del giardino del re per la mia maestra che ha
una forte emicrania.”
Il servo la invitò a servirsi da sola e così la fanciulla si recò in
giardino. Ad aspettarla c’era il re pronto a legarla con una
lunga corda. Artibella, più veloce di lui, afferrò la corda e lo
legò come un salame ad un albero.
Il giorno dopo il re disse:
“Artibella, hai vinto una battaglia, ma non la guerra; io ho già
in mente un altro piano.”
Chiese ancora l’aiuto della maestra di Artibella:
“Mi deve aiutare ancora. Questa volta bisogna che dica ad
Artibella che ha mal di pancia e che l’unica cosa che glielo fa
passare è il vino della cantina del re.”
La maestra accettò e il giorno dopo in classe cominciò a
lamentarsi:
“Ahimè! Ho un gran mal di pancia. Per favore Artibella, vai
dal re e chiedigli di darti una bottiglia di vino della sua cantina.
È l’unico rimedio.”
Artibella ubbidì, nonostante avesse intuito il piano del re. Così
andò al castello, dove un altro servo la ricevette così:
“Dimmi, cara, di che cosa hai bisogno?”
“Vorrei una bottiglia di vino per la mia maestra che ha un
fortissimo mal di pancia.”
Il servo le disse:
“Serviti pure da sola!”
Artibella andò nella cantina reale dove, ancora una volta, ad
aspettarla c’era il re con dei chiodi in mano pronto a
scaraventaglieli contro. La fanciulla fu più veloce di lui,
cosparse di chiodini una sedia e spinse il re che vi si sedette di
colpo. I chiodini s'infilarono nel suo posteriore e il sovrano
dovette andare all’ospedale per toglierli.
Il re così inventò una nuova strategia: un ballo organizzato per
tutte le ragazze del paese al quale sicuramente avrebbe
partecipato anche Artibella. Il re pensò di organizzare un ballo
che non durasse come sempre un giorno, ma tre.
Arrivò il giorno del ballo al quale partecipò anche Artibella.
Venne la mezzanotte, l’ora di dormire. Il re aveva assegnato
una camera di diverso colore ad ogni ragazza e ad Artibella era
toccata la camera azzurra. La fanciulla, avendo intuito il piano
del re, chiese ad una ragazza di scambiare con lei la sua stanza,
dicendole che non era abituata a dormire in una stanza azzurra,
ma in una verde. La ragazza, senza esitare, accettò:
“Non c’è alcun problema, ti lascio la mia stanza. Io starò
benissimo anche in quella azzurra.”
La notte il re andò nella stanza azzurra per tagliare i capelli di
Artibella, ma li tagliò alla ragazza che stava al suo posto. La
mattina dopo la malcapitata cominciò ad urlare:
“Aiuto! I miei capelli!”
Artibella corse da lei e le disse:
“Non ti preoccupare. Questa sera ci mettiamo tutte il cappello.
Chi vuoi che si accorga che tu non hai i capelli.”
Alla sera il re vide che Artibella aveva ancora i suoi capelli e
disse:
“Mi hai ingannato, ma stasera non ci riuscirai!”
Quella sera Artibella, con la stessa scusa della sera precedente,
chiese ad un’altra ragazza di fare un cambio di stanza.
Anche questa fanciulla accettò e diede ad Artibella la sua
stanza arancione.
Quella notte il re andò nella stanza dove dormiva la ragazza
che aveva scambiato la camera con Artibella, prese un coltello
e le tagliò un orecchio.
La mattina la ragazza cominciò a gridare:
“Aiuto, il mio orecchio!”
Artibella si precipitò da lei e la tranquillizzò:
“Non urlare, stasera ti metterai un velo sulla testa e nessuno si
accorgerà che ti manca un piccolo pezzo d’orecchio.”
La sera Artibella ricorse allo stesso stratagemma: con la sua
grande furbizia cambiò la sua camera con quella di colore
grigio di un’altra invitata.
Il re la sera stessa andò nella camera azzurra per tagliare un
dito ad Artibella e anche questa volta fu la sostituta a subire
l’amara sorte.
La mattina dopo la ragazza cominciò ad urlare:
“Aiuto, il mio dito!”
Artibella si precipitò da lei e le disse:
“Non urlare. Stasera ci metteremo tutte i guanti e nessuno si
accorgerà del tuo dito.”
La sera il re, disperato, chiese Artibella in moglie, pensando di
ucciderla la notte delle nozze. Artibella accettò, pur sapendo
che il re certamente aveva un piano.
Fu celebrata una meravigliosa cerimonia di nozze. Era ormai
giunta la notte quando la sposa decise di ritirarsi in camera.
Prima che il re arrivasse, Artibella mise una bambola di pasta
dolce, di crema e di miele che si era fatta fare appositamente,
nel letto, al suo posto. Il re arrivò in camera, estrasse un grosso
coltello e lo infilzò nel petto che credeva di Artibella. Uno
schizzo di miele colpì il volto del re che gridò disperato:
“Oh, Artibella di zucchero e miele! Ti volevo tanto bene e ti
ho ammazzata”.
La sposa uscì dal nascondiglio dove aveva trovato la sua
salvezza e disse:
“Sono qui. Quella che hai colpito era solo una bambola.”
Il re corse ad abbracciare la sua sposa e da quel giorno vissero
felici e contenti.
CICIREDDU
Vivevano in Sicilia, in montagna, tanti e tanti anni fa, marito e
moglie.
Non avevano figli e ciò li rendeva molti infelici.
Una domenica, giorno in cui si va in chiesa e non a pascolare,
la donna stava preparando una zuppa di ceci. Mentre la zuppa
bolliva, passò vicino alla casa una vecchia mendicante.
Sentì il gradevole ed invitante profumo della zuppa, si
avvicinò alla finestra e bussò.
“Cosa vuoi?” chiese la montanara.
“Dammi almeno un po’ di zuppa” implorò la vecchietta
“perché non mangio da molti giorni.”
La donna le credette e le offrì un piatto di ceci.
La poverella, che aveva inutilmente bussato a tante altre porte,
esclamò:
“Che tu sia benedetta !” e pensò “Se ti cadrà un cece, si
trasformerà in un bel bambino.”
A mezzogiorno la montanara servì il pranzo al marito e un
cece, caduto dal mestolo sul pavimento, rotolando si infilò tra
le pietre del camino.
Il mattino seguente marito e moglie si alzarono di buon’ora per
mungere le mucche e furono attratti da vagiti provenienti dalla
cucina. Andarono a vedere e trovarono, accanto al focolare, un
bambino piccolissimo.
Non si chiesero da dove venisse: felicissimi lo adottarono e lo
chiamarono Cicireddu. Passarono alcuni anni, il bambino
mangiava, giocava, cresceva in intelligenza, ma in altezza non
si allungava nemmeno di un centimetro. I genitori si
vergognavano e non osavano presentarlo ai parenti. Cicireddu,
vedendoli preoccupati, ripeteva:
“Non prendetevela! Anche così piccolo vi farò diventare
ricchi.”
Un giorno il padre si sentì male e Cicireddu portò le mucche al
pascolo. Mentre la mandria si saziava, colto da sonnolenza egli
si distese sull’erba vicino ad un albero, si addormentò ed una
delle mucche lo inghiottì in un boccone d’erba.
Giunta la notte e non vedendolo rientrare, i genitori andarono
al pascolo a cercare il loro piccolissimo bambino. Trovarono le
mucche, ma di lui nemmeno l’ombra.
Lo chiamarono inutilmente per ore ed ore e, persa ormai la
speranza di ritrovarlo, piansero e si disperarono.
Passarono alcuni giorni e, finalmente, la mucca che lo aveva
ingoiato restituì Cicireddu immerso in una grossa cacca
fumante vapore. Mentre, riavutosi, egli stava ripulendosi, sentì
avvicinarsi delle persone: erano pirati che si recavano in
montagna per nascondere un ricco bottino. Li seguì.
Giunti di fronte ad una parete rocciosa, dopo essersi guardato
intorno, il loro capo ordinò:
“Apriti, sesamo!”
La parete si spostò e si aprì un’immensa caverna sfavillante di
diamanti, d’oro e d’argento.
I pirati aggiunsero nuovi oggetti preziosi e poi se ne andarono.
Se ne andò anche Cicireddu che, nascosto, aveva visto tutto.
Ritornò a casa, consolò e rincuorò il padre e la madre, prese
l’asino col basto e si recò alla caverna nella quale poté entrare
pronunciando le parole magiche:
“Apriti, sesamo!”
Riempite due grosse ceste, le appese al basto e portò tutta
quella fortuna ai genitori esclamando:
“Vi avevo detto che vi avrei fatto diventare ricchi!”
E vissero a lungo felici e contenti.
IL FANTASMA PAUROSO
C’era una volta una vecchia comare coraggiosa che tutte le
sere andava a giocare a dama dai suoi amici e tornava a casa a
notte fonda percorrendo a piedi una strada lunga, deserta e
buia.
Sua figlia si preoccupava e:
“Una volta o l’altra ti ammalerai! Una volta o l’altra qualche
ladrone ti assalirà! Una volta o l’altra …”
Alla fine alla figlia venne un’idea: chiamò uno dei suoi servi,
gli ordinò di vestirsi da fantasma e di spaventare la vecchia
comare per farle passare la voglia di andare in giro di notte!
Detto fatto il servitore prese un lenzuolo, ci fece due buchi per
gli occhi, vi si avvolse e di notte aspettò la vecchia sulla lunga
strada buia e deserta, pronto a fare un ululato spaventoso.
Come lo vide però, la comare esclamò:
“Ehi, bel fantasma bianco, ti sei accorto che alle tue spalle c’è
un fantasma tutto nero con brutte intenzioni?”
Il servo si voltò, vide davvero che un essere nero lo seguiva,
non capì che era la sua ombra e terrorizzato scappò, mentre la
comare urlava:
“Dai, fantasma nero, corri corri che lo prendi!”
Così la furba comare continuò ad uscire ogni sera e la figlia la
lasciò finalmente in pace.
E il servo? Il servo, bambini miei, è ancora là che scappa!
LE FANTÔME PEUREUX
Il y avait autrefois une vieille commère courageuse; tous les
soirs elle allait chez ses amies pour jouer au jeu des dames et
elle rentrait à la maison quand la nuit était déjà noire en
parcourant une longue rue déserte et obscure.
Sa fille se préoccupeait: «Une fois ou l’autre tu tombera
malade! Une fois ou l’autre quelque voleur t’attaquera. Une
fois ou l’autre… »
Enfin la fille eut une idée: elle appella un serveur, elle lui
ordonna de s’habiller en fantôme et d'épouvanter la vieille
femme pour lui faire passer le désir de sortir la nuit toute seule.
Le serveur prit un drap, il fit deux trous pour les yeux et une
nuit il s’habilla avec le drap et il attendit la vieille commère
sur la rue déserte et obscure, prêt à faire un hurlement
épouvantable.
Dès que la commère l’aperçut, elle s’écria: « Oh, mon beau
fantôme blanc, est ce que tu t’es aperçut qu’il y a un fantôme
noir" et il s’enfuit; mais ce n’etait que son ombre!
Alors la vieille femme sage s’écria: « C’est à toi, fantôme noir,
si tu cours, tu attrapperas le fantôme blanc. »
Après cette mésaventure- là, la fille décida de ne plus se mêler
aux affaires de sa mère et la vieille commère rusée put sortir
les soirs tranquillement.
Et le serveur? Il est encore en train de s’enfuire.
SENZA PAURA GIOVANNINO
In una città c’era un castello trasformato in albergo. La cucina
era eccellente, i letti morbidi, ma nessuno ci si fermava perché
di notte vi succedevano fatti molto strani.
Il padrone, allora, promise un mucchio di soldi a chi avesse
passato una notte intera nel suo albergo.
In molti si presentarono. Lui li chiudeva dentro di sera e la
mattina li trovava morti di paura. Alla fine gli si presentò un
certo Giovannino, un giovanotto che non aveva mai avuto
paura di niente. Il padrone gli fece vedere le cento stanze buie
e vuote del suo albergo e lo accompagnò infine in cucina dove,
davanti al camino acceso, c’era una tavola imbandita con ogni
ben di Dio. Lo fece accomodare e se n’andò chiudendo la
porta a chiave. Giovannino si mise a tavola, ma non appena
cercò di portare alla bocca una cucchiaiata di minestra, dalla
cappa del camino si udì:
“Butto o non butto?”
Giovannino senza scomporsi rispose:
“Butta pure, fa' quello che ti pare, basta che tu mi lasci
mangiare!”
Dal camino cadde un braccio umano e di nuovo la voce chiese:
“Butto o non butto?”
Giovannino, che dopo la minestra voleva mangiare anche
l’arrosto, molto seccato rispose:
“Ti ho detto di fare quello che ti pare e te lo ripeto: butta
quello che vuoi, ma lasciami in pace!”
Dal camino caddero un altro braccio, poi le gambe e tutto il
resto e per ultimo la testa. I pezzi si attaccarono insieme e
formarono un uomo grande e grosso che sprigionava fiamme.
Giovannino che ormai aveva mangiato anche il dolce, lo
guardò e disse:
“Mi sembri un po’ accaldato. Bevi un bicchiere di vino
fresco!”
Quello lo guardò e, pieno di rabbia perché il giovanotto non
moriva di paura, se ne andò sbattendo la porta: era l’orco che,
da più di mille anni spaventando tutti, viveva nel castello.
Giovannino bevve un bottiglione di vino e si addormentò. La
mattina dopo arrivò il padrone che, vedendolo vivo, anzi
vivissimo, gli diede tutti i soldi promessi e lo ringraziò per
aver liberato il suo castello dall’orco.
IL CANE E LA CARNE
C’era una volta una famiglia tanto povera che non aveva
nemmeno i soldi per comprarsi da mangiare. Poteva
permettersi la carne solo una volta la settimana.
Un giorno la mamma diede i soldi alla figlia maggiore e le
disse di andare a far la spesa.
Dopo aver comperato la carne, la ragazza si fermò a bere ad
una fontanella, appoggiò il pacchetto sul muretto, ma un cane,
sbucato all’improvviso, glielo prese e scappò di corsa. La
ragazza lo rincorse, ma non riuscì a raggiungerlo; triste e
preoccupata ritornò a casa piangendo.
La settimana dopo la seconda figlia andò a comperare la carne.
Anche a lei venne sete e si fermò a bere, ma sfortunatamente
arrivò ancora il cane che le portò via la carne e si dileguò.
Disperata, tornò a casa piangendo.
La terza settimana la figlia più piccola andò a comperare la
carne e, per essersi fermata a bere, se la fece rubare dal cane.
La bambina, questa volta, riuscì a seguirlo e lo vide entrare in
una grande casa. Tornò in quel luogo con la mamma e le
sorelle, insieme si fecero coraggio ed entrarono.
Quale meraviglia! Davanti ai loro occhi una tavola imbandita
offriva tutti i cibi e le leccornie che avevano sempre sognato.
Da quel giorno, ogni volta che la famiglia ebbe fame andò in
quella casa magica e da allora visse felice e contenta.
IL CONTADINO ANALFABETA
Un contadino rozzo ed analfabeta un giorno decise di scendere
in città. Vagabondò di qua e di là e, giunto mezzogiorno, ebbe
fame. Attratto da un buon profumo di cucina, entrò in un
ristorante. Il cameriere gli presentò la lista delle portate, ma lui
non sapeva leggere ed indicò con un dito alcune parole di cui
non capiva il significato.
Il cameriere gli portò un bel piatto fumante di pasta e fagioli e
lui si arrabbiò perché era il cibo che mangiava tutti i giorni.
Voleva assaggiare qualcosa di diverso.
Si voltò e vide il suo vicino gustare una bella bistecca con
contorno di patate fritte.
“Ecco” pensò, “vorrei mangiare anch’io un buon piatto del
genere!”
In quel mentre il signore, che aveva finito di mangiare la
bistecca, disse al cameriere:
“Replica!” ed il cameriere gli portò un’altra bistecca.
Allora il contadino, pensando che “replica” fosse il nome del
piatto che tanto desiderava, disse pieno di gioia:
“Replica” e … vide arrivare un altro piatto di pasta e fagioli.
LE PAYSAN ANALPHABÈTE
Un jour un paysan grossier et analphabète a decidé d’aller à la
ville. Il s’en est allé en flanant dans la ville et à midi il a eu
faim. Attiré par un parfum de cuisine, il est entré dans un
restaurant. Le garçon lui a porté le menu, mais il ne savait pas
lire et il a indiqué du doigt quelques mots dont il ne
comprenait pas le sens. Le garçon lui a servi un bon plat très
chaud de soupe aux harricots. Alors il s’est fâché parce que
c’était le plat qu’il mangeait tous les jours et il voulait essayer
quelque chose de différent. Il s’est tourné et il a vu son voisin
manger un beau bifteck avec des frites.
« Voilà » a-t-il pensé, « je voudrais manger moi-aussi un bon
plat comme celui-là. »
Au même moment le monsieur qui avait fini de manger son
bifteck, a dit au garçon :
« Bis ! » et le garçon lui a porté un autre bifteck. Alors le
paysan a pensé que « bis » était le nom du plat qu’il désirait
beaucoup, il a dit alors tout heureux : « Bis » et…. il a vu
arriver un autre plat de soupe aux harricots.
IL GATTO MAMMONE
Quando ancora i cammelli non avevano le gobbe tanti e tanti
anni fa, ad un ricco mercante arabo era morta la moglie,
madre delle sue sette figlie.
Le orfanelle gli dicevano:
“Siamo stanche di essere senza una mamma che ci insegni e ci
faccia compagnia! Sposati ancora !”
Dopo tante insistenze, il mercante cedette e si scelse una nuova
moglie: era bellissima, ma cattiva cattiva, anzi perfida. Appena
il marito usciva per i propri affari, la matrigna faceva lavorare
le sette figliastre, dalla più alta alla più piccola, come se
fossero serve. Quando il marito tornava, continuava a
lamentarsi con lui della loro pigrizia, della loro vanità, della
loro disubbidienza e chi più ne ha più ne metta. Il povero padre
ascoltava, taceva e sospirava: capì d’aver commesso un grave
errore a risposarsi e per il dolore si ammalò e morì. Dopo il
funerale, la terribile matrigna portò le sette figliastre nel
deserto fino all’apertura di un pozzo asciutto da più di mille e
mille anni. Calò nella profondità una corda, costrinse le sette
sorelline a scendere giù giù, nel buio sempre più buio, ritirò la
fune, chiuse l’apertura del pozzo e se ne andò, felice di essere
finalmente padrona di tutte le ricchezze del mercante. Laggiù
al buio, senza nulla da mangiare ed impaurite, le povere
orfanelle
piansero
e
piansero
finché,
sfinite,
si
addormentarono. Solo la più piccola, Aica, rimasta sveglia, si
mise a scavare nella sabbia per trovare un po’ d’acqua. Scavò
e scavò con le sue manine e… trovò un pavimento di legno, fra
le assi del quale filtrava un filino di luce. Avvicinò l’occhio
alla fessura e vide in una bella stanza, una tavola apparecchiata
con ogni tipo di leccornie, dagli antipasti fino ai dolci. Nella
stanza, vicino ad un camino acceso, dormiva un bel gattone
che ad un tratto aprì un occhio e disse:
“Uffi, uffi, c’è qualcuno che mi guarda! Ucci, ucci, sento odor
di arabucci. Coda mia, dimmi chi è!”
La coda non rispose e il gatto si riaddormentò.
Aica svegliò le sorelle e, col loro aiuto, si calò nella stanza e
riuscì a portar su tutto il cibo che c’era. Quando il gatto scoprì
di essere stato derubato e di essere rimasto senza pranzo e
senza cena, ruggì:
“Coda mia, mia coda fedele, dimmi: chi s’è permesso di farmi
un simile affronto? Chi è stato?!”
Ma la coda non rispose e il gatto, per spaventarla e farla
confessare, la avvicinò alle fiamme del camino. Voleva solo
spaventarla, si capisce, ma ahimè!, una fiammata incendiò il
pelo fitto fitto e, in men che non si dica il gatto, che come
avrete capito era il Gatto Mammone, fu ridotto in un
mucchietto di cenere. Così le sette sorelline rimasero padrone
di tutte le sue ricchezze che erano immense: cibo a volontà,
oro, argento, platino, profumi, gioielli, pietre preziose, perle,
sete. Là sotto c’era proprio di tutto! Soprattutto c’era una porta
in quella stanza. Aica e le sue sorelle l’aprirono e si trovarono
in una verde e fertile pianura, grande come il deserto che le
faceva da tetto. Vi crescevano mele, pere, cocomeri, banane,
fichi ed ogni altro tipo di frutta e di verdura in abbondanza, vi
vivevano tutti gli animali più belli e più buoni di questo
mondo, vi scorrevano ruscelli dalle acque limpide e
chiacchierine. Là vissero le sorelle e, diventate grandi, ne
uscirono solo per cercare marito fra principi e re. Si sposarono
tutte e poi scomparvero e di sicuro ora vivono felici e contente
nella valle sotto il deserto.
IL LADRO CHE VOLEVA SPEGNERE LA LUNA
Tanti e tanti anni fa Giufà viveva in un paese di campagna.
Egli spesso andava a rubare nei campi degli altri. Una notte
decise di andare a prendersi il grano che il vicino aveva appena
mietuto e, mentre tutti dormivano, incominciò a caricare i
covoni, col forcone, su un carretto. Giufà però non sapeva che
il vicino quella sera era stato a far visita ai suoi parenti e che,
per tornare a casa più in fretta, aveva deciso di attraversare il
campo di grano. Quando Giufà lo vide da lontano, si spaventò
a morte pensando che, essendoci la luna piena che diffondeva
un gran chiarore, il contadino lo avrebbe visto e riconosciuto.
Egli allora, adocchiato un gran mucchio di sterpi e di rovi che
stavano al margine del campo, li sollevò con il forcone e li
lanciò verso la luna per oscurarla. Un rovo però gli si impigliò
alla manica e lo trascinò su, su, sempre più su...
Povero Giufà: egli si ritrovò graffiato e pieno di spine sulla
luna e, se guardi bene, è ancora là che cerca di togliersele una
alla volta.
THE THIEF WHO WANTED TO TURN THE MOON OFF
Many and many years ago Giufà lived in a country village. He
often went to steal into the other people’s fields. One night he
decided to go and take the corn that his neighbour had just
reaped, and, while everybody was sleeping, he began to put the
sheaves into a cart with a pitchfork. But Giufà didn’t know
that night his neighbour had gone to visit his relatives and, for
coming back earlier, he had decided to cross the corn field.
When Giufà saw him coming, he was scared to death thinking
the farmer would see and identify him, as there was the full
moon which spread a bright light.
Then he glanced at a heap of dry branches and bushed that
were along the field, he raised them with a pitchfork and he
threw them towards the moon to obscure it.
But a bush got caught on the sleeve and dragged him up, upper
and upper.
Poor Giufà, he was scratched and full of thorns, on the moon
and if you watch well, he is still there trying to put them away
one by one.
QUANDO UN SERVO PENSA TROPPO
Un giorno un ricco signore si mise in viaggio con il suo servo.
Scesa la notte, i due si fermarono a dormire sotto un albero in un
paese di ladri.
Il padrone disse al servo:
“Mi raccomando, tieni gli occhi aperti, stai attento che non ci
rubino i cavalli!”
Il servo si mise a sedere accanto al fuoco e il padrone si
addormentò. Si svegliò dopo un paio d’ore, vide il servo con la
testa sulle ginocchia, lo scosse e gli domandò:
“Dormi ?”
Il servo rispose:
“No, sto solo pensando da dove sia venuta l’acqua che sta negli
oceani.”
“Speriamo che, mentre tu pensi, i ladri non rubino i cavalli.”
Così disse il padrone e si riaddormentò per risvegliarsi dopo
qualche ora.
Gli sembrava che il servo si fosse appisolato e lo chiamò.
“Ma io non dormivo, stavo solo pensando a come faccia il cielo a
stare su senza pilastri né colonne che lo sostengano.”
“Pensa meno e bada ai cavalli!” ordinò il padrone prima di
tornare a dormire.
Quando si risvegliò era quasi l’alba e vide il suo servo che ad
occhi aperti stava riflettendo profondamente.
“E adesso a cosa pensi ?”
“Padrone, dal momento che stanotte ci hanno rubato i cavalli,
penso a chi di noi due dovrà caricarsi sulle spalle i bagagli.”
WHEN A SERVANT THINKS TOO MUCH
One day a rich man went on a journey with his servant.
When the night was going down, the two men stopped to sleep
under a tree in a thief country. The master said to the servant:
“Don’t forget to keep your eyes open; be careful that nobody
steals our horses!”.
The servant sat near the fire and the master fell asleep.
He woke after two hours, he saw the servant with his head on
the knees, he shocked him and he asked:
“Do you sleep?”
The servant answered:
“No, I don’t. I’m only thinking from where the water of
oceans was coming”.
“We hope that, while you are thinking, thieves won’t steal our
horses” the master said and he fell asleep and he woke after
some hours.
He thought the servant had dozed off and he called him.
“But I didn’t sleep, I was only thinking how the sky can stand
up without pillars and columns that carry it”.
“Think less and look after our horses!” The master ordered
before sleeping again.
When he woke, it was nearly the down and he saw the servant
thinking seriously at open eyes:
“And now, what are you thinking of?”
“My lord, as tonight somebody has stolen our horses, I’m
thinking about which of us will have to take the luggage on his
shoulders ”.
TUTTI INSIEME A NOZZE DAL PRINCIPINO
C’era una volta un asino che andava in giro per il mondo.
Per strada trovò una lettera che diceva:
“Asino ragliante, montone incornante, gallo cristallo, gallina
cristallina, oca badessa, anatra contessa, uccellino cardellino,
andiamo tutti a nozze dal Principino.”
L’asino si mise in viaggio per andarci e incontrò il montone.
“Dove vai, compare asino?”
“Vado a nozze dal Principino.”
“Ci vengo anch’io?”
“Se sei nella lettera… Leggiamo: asino ragliante, montone
incornante… Ci sei! Andiamo!”
Si misero in cammino e dopo un po’ incontrarono il gallo.
“Compare montone e asino, dove andate ?”
“Andiamo a nozze dal Principino.”
“Ci vengo anch’io?”
“Se sei nella lettera” disse l’asino.
Riaprì la lettera e lesse:
“Asino ragliante, montone incornante, gallo cristallo… Sì, sì,
ci sei: andiamo.”
E si rimisero in cammino e incontrarono la gallina.
“Compare gallo, compare montone, compare asino, dove
andate?”
“Andiamo a nozze dal Principino.”
“Ci vengo anch’io?”
“Vieni pure, se ci sei” disse l’asino e lesse:
“Asino ragliante, montone incornante, gallo cristallo, gallina
cristallina… O.k., ci sei: andiamo.”
Cammina cammina, incontrarono l’oca.
“Comare gallina, compare gallo, compare montone e compare
asino, dove siete diretti?”
“A nozze dal Principino.”
“Vengo anch’io?”
“Puoi venire anche tu, se sei nella lettera” disse l’asino
riaprendo la lettera:
“Asino ragliante, montone incornante, gallo cristallo, gallina
cristallina, oca badessa… Ci sei, ci sei! Vieni!”
Ripresero il viaggio e l’oca, la gallina, il gallo, il montone e
l’asino incontrarono l’anatra che chiese dove stavano andando.
“Andiamo a nozze dal Principino.”
“Posso venire anch’io?”
“Vediamo se sei nella lettera” e l’asino lesse:
“Asino ragliante, montone incornante, gallo cristallo, gallina
cristallina, oca badessa, anatra contessa… Andiamo, vieni pure
con noi che ci sei.”
Cammin facendo incontrarono l’uccellino cardellino:
“Dove andate comare anatra, comare oca, comare gallina,
compare gallo, compare montone, compare asino?”
“A nozze dal Principino.”
“Ci vengo anch’io?”
“Vieni, se ci sei” disse l’asino e lesse: “Asino ragliante,
montone incornante, gallo cristallo, gallina cristallina, oca
badessa, anatra contessa, uccellino cardellino… Poiché ci sei,
andiamo.”
Si rimisero in cammino e l’asino, il montone, il gallo, la
gallina, l’oca, l’anatra e l’uccellino cardellino incontrarono il
lupo. Anche il lupo chiese dove stavano andando.
“Andiamo a nozze dal Principino” rispose l’asino.
“Voglio venire anch’io.”
“Sì, se ci sei!” e l’asino riaprì la lettera, ma il lupo non c’era.
“Io vengo ugualmente” disse il lupo e quelli, per paura,
risposero:
“Andiamo!”
Fatti pochi passi, il lupo disse:
“Ho fame.”
“Io non ho niente da darti” lo informò l’asino.
“Allora mi mangio te” e detto fatto lo assalì, lo sbranò e lo
inghiottì.
Passarono due giorni e il lupo ripeté:
“Ho fame.”
Il montone gli rispose come aveva risposto l’asino e, ahimè!,
fece la stessa fine. E così il lupo fece con il gallo, con la
gallina, con l’oca e con l’anatra. Il lupo, sempre affamato,
ancora disse:
“Ho fame!”
“Io da darti non ho niente” disse l’uccellino.
“Allora mi mangerò anche te!” e il lupo spalancò la bocca
pronto ad ingollarlo, ma… l’uccellino gli volò sulla testa. Il
lupo tentava di prenderlo, ma l’uccellino volava di qua, volava
di là, da una frasca ad un ramo, dalle orecchie alla coda del
lupo e lo faceva ammattire.
Ad un tratto vide lontana una bambina con un cesto sulla testa:
portava da mangiare ai mietitori.
Disse l’uccellino al lupo:
“Se non mi mangi, ti faccio fare una bella scorpacciata di pane,
salame, carne e lasagne.”
Il lupo accettò il patto.
Quando la bambina fu vicina, vide l’uccellino ed allungò una
mano per prenderlo, ma lui si alzò un po’. Lei allora mise a
terra il cesto e si mise a rincorrere l’uccellino. Il lupo poté così
mangiare tutto il contenuto del canestro.
Visto il lupo però, la bambina si mise a gridare:
“Aiuto! Al lupo! Aiuto!”
Richiamati dalle grida, accorsero tutti i mietitori armati di
falci, roncole e bastoni, saltarono addosso al lupo e lo uccisero.
Incominciarono poi a scuoiarlo e dalla sua pancia saltarono
fuori l’asino ragliante, il montone incornante, il gallo cristallo,
la gallina cristallina, l’oca badessa, l’anatra contessa e con
l’uccellino cardellino andarono tutti insieme a nozze dal
Principino.
LA LUNA E L’ORFANELLA
Una povera orfanella faceva la serva in casa di un mercante ricco
e cattivo. Doveva cucinare, badare ai bambini, lavare i pavimenti,
fare il bucato…
Doveva andare a prendere l’acqua allo stagno, lontano dalla casa:
i secchi erano pesanti e doveva riportarli pieni fino all’orlo
altrimenti… giù botte!
Una notte gelida d’inverno il mercante vide che in casa c’era
poca acqua e mandò la bambina allo stagno. Faceva un freddo
terribile, la luna piena illuminava lo stagno coperto da una crosta
di ghiaccio che la bambina dovette rompere con l’ascia per
riempire il secchio. Infreddolita e sfinita riprese la via del ritorno,
ma scivolò e cadde rovesciando l’acqua. Scoppiò a piangere
disperatamente e implorò la luna:
”Perché non mi prendi con te? Sono stanca, portami via, ti
prego!”
La luna la sentì, scese dal cielo trasformandosi in un bel
giovanotto vestito d’argento, la sollevò e la portò in cielo. Da
allora la bambina vive sulla luna, servita e riverita come una
signora e se a volte guardi in su, forse riuscirai a vederla.
MJESEC I SIROCE
Jedno siromasno siroce radilo je kao sluga u kuci jednog
bogatog i rdavog trgovca.Trebala je da kuva, cuva decu, cisti
pod i donosi vodu sa izvora koji se nalazio daleko od kuce. Te
kofe su bile pune i teske, morale su biti pune do vrha.
Inace…..batine!
Jedne zimske hladne veceri trgovac vide da u kuci ima malo
vode i posla devojcicu na izvor. Bila je jaka zima i pun mjesec
je obasjavao izvor. Izvor je bio prekriven ledom koji je
devojcica morala razbiti sa sekirom da bi napunila kofu. Puna
zime i sva izmorena nastavila je svoj put kuci. Ali se okliznula
i pala a voda se prosu. Pocela je da place i sva ocajna zamoli
mjesec:
“Zasto me ne uzmes sa sobom umorna sam, ponesi me molim
te ?”
Mjesec je sve to cuo side sa neba, pretvorivsi se u jednog
lepog mladica obucenog u srebro i ponese devojcicu u nebo.
Od tada devojcica zivi na mjesecu sluzena i postovana kao
neka gospoda. Ako ponekad pogledate u visini mozda cete
uspjeti da je vidite.
I VASI DELLA NOTTE
Molti e molti anni fa il sole splendeva senza mai tramontare:
il buio non esisteva.
Gli Indio costruivano le loro capanne sotto gli alberi della
immensa foresta amazzonica, ma anche là era impossibile fare
una buona dormita per la troppa luce. Essi desideravano un
po’ di oscurità, ma non sapevano dove trovarla. Interrogando
un vecchissimo sapiente, un giorno vennero a sapere che là
dove la foresta era più folta, proprio vicino alle rive del grande
fiume, un diavolo faceva la guardia a due vasi pieni di buio.
Si riunirono in assemblea e, dopo molte discussioni, scelsero i
tre guerrieri più coraggiosi ai quali affidarono il compito di
impadronirsi dei vasi. Armati di frecce e cerbottane, i tre
strisciarono fino alla capanna del diavolo e videro in un
cantuccio un vaso piccolo piccolo e un vaso grande grande:
erano neri neri. Da sotto i loro coperchi provenivano voci di
scimmie notturne, di gufi, di pipistrelli, di lupi, di fantasmi:
insomma le voci di tutte le creature che vivevano nell’ombra.
Il rumore era così terribile che i tre coraggiosi non osarono
avvicinarsi ai vasi. Da lontano, lanciando le frecce, riuscirono
però a rompere il più piccolo. Dal recipiente uscì la notte che,
con tutte le sue creature, incominciò ad inseguire i guerrieri.
Essi scappando a gambe levate, arrivarono ai loro villaggi
dove finalmente tutti poterono dormire tranquilli. Ahimè!, il
buio uscito dal vaso piccolo piccolo era troppo poco e presto
finì. Allora i guerrieri, armati di grosse pietre, tornarono nel
fondo della foresta e ruppero il vaso grande grande dal quale
uscì un’enorme onda di buio che li inseguì
pronta ad
inghiottirli. Essi corsero e corsero, cercando di non farsi
raggiungere. Uno dei tre però inciampò in una radice, cadde e
non fu abbastanza svelto a rialzarsi. L’oscurità lo afferrò e lo
trasformò in una civetta. Gli altri raggiunsero le loro capanne.
La tenebra uscita dal vaso grande grande era tanta che ancora
non si è consumata e da allora esiste la notte durante la quale
la civetta canta per far rabbia al diavolo guardiano dei vasi.
LAS ANFORAS DE LA NOCHE
Hace muchos, muchos años, el sol brillaba sin ocultarse nunca,
la oscuridad no existia.
Los indios construian sus cabañas debajo de los árboles en la
immensa selva amazónica. Pero les era imposible dormir bien
por la luz.
Es asi que deseaban un poco de oscuridad, pero no sabian
donde encontrarla y preguntando a un viejísimo sabio, un día
llegaron a saber que allá donde la selva era más tupida, junto a
la orilla del gran rio, un diablo hacia la guardia a dos ánforas
llenas de oscuridad.
Se reunieron en asamblea y después de muchas discusiones
escogieron los tres guerreros mas valientes, a los cuales les
encargaron la tarea de adueñarse de las ánforas.
Armados de flechas y cerbatanas, los tres se dirigieron hacia
la cabaña del diablo y vieron en un rincón un ánfora chica
chica y un ánfora grande grande, las dos negras negras. Debajo
de las tapas se escuchaban voces de monos nocturnos, buhos,
murciélagos, lobos y fantasmas, es decir de todas las criaturas
que viven en las sombras.
El sonido era tan terrible que los tres guerreros no se
atrevieron a acercarse a los jarrones. Pero lograron romper el
más chico lanzando las flechas desde lejos.
Del recipiente salió la noche con todas sus criaturas, las cuales
comenzaron a perseguir a los guerreros que velozmente
llegaron a su tribu, donde finalmente todos pudieron dormir
tranquilos. Pero la oscuridad que habia salido del ánfora chica
chica era muy poca y rapidamente se terminó. Entoces los
guerreros, esta vez armados de gruesas piedras, regresaron de
nuevo al fondo de la selva y rompieron el ánfora grande
grande, de la cual salió una enorme onda de oscuridad que los
siguio dispuesta a comérselos, los guerreros corrieron y
corrieron tratando de no dejarse atrapar. Uno de los tres
tropezó en unas raices y cayó, no fue lo suficientemente veloz
para levantarse y la oscuridad lo trasformó en una lechuza.
Los otros llegaron a sus cabañas.
La tiniebla que salió del ánfora grande grande fue tanta que
todavia no se ha terminado y desde entónces existe la noche,
durante la cual la lechuza canta para molestar al diablo
guardian de las ánforas.
CHASCA LA VERGINE DELL’ACQUA
Tanti e tanti anni fa, nella Barra di Santiago viveva
Pachacutec, un vecchio ricco e crudele. Sua figlia, la bella
Chasca, era promessa al
principe Zutuhil. Un giorno ella
conobbe Acayetl, un pescatore dolce e bello che viveva
nell’isola del Zanate. Essi si innamorarono, ma il padre di
Chasca si opponeva a questo amore. Di nascosto, tutti i giorni,
quando il sole sorgeva tra le montagne, ella scappava dalla
capanna situata tra i boschetti di guarumos per andare alla
spiaggia dove Acayetl, dalla sua zattera,
le cantava dolci
canzoni. Però una mattina, recandosi alla spiaggia vide che la
pozza del Cajete era deserta. L’acqua baciata dal sole, appariva
dorata. Un vento freddo soffiava sui campi di ananas vicini e le
foglie, sbattendo fra di loro, profumavano l’aria. La pozza del
Cayete appariva triste, fredda, silenziosa e solitaria.
All’improvviso apparve una canoa: era quella di Acayetl.
Remava veloce avvicinandosi alla spiaggia, quando un uomo,
inviato da Pachacutec e nascosto in mezzo al canneto, dalla
riva scagliò una freccia. Il pescatore cadde morto. Al tramonto,
mentre il mare si accendeva dei rossi bagliori del sole, nella
spiaggia si sentì gridare una donna: era Chasca, che pazza per
il dolore, correva senza meta. La fanciulla improvvisamente si
fermò, raccolse una pietra, se la legò alla cintura e si lanciò in
acqua. Il mare con le sue onde coprì il suo corpo.
Da quando, in una notte di luna piena Pachacutec morì,
Chasca appare sulla sua canoa bianca assieme ad Acayetl. Nel
paesaggio di sabbia e sale, sopra il fondo nero del mare che si
agita come un mostro, nelle notti di luna piena. Chasca con il
suo vestito di piume, appare ancora oggi come una bianca
presenza nella Barra di Santiago. In quelle notti la pesca
abbonda e i pescatori ringraziano Chasca cantando questa
canzone:
Pescatore, è sorta la luna
lancia la rete
questa notte è di fortuna
perché sta arrivando
l’affascinante canoa bianca.
Non temete, Chasca è buona
non c’è nessuna come Chasca
che toglie ogni pena
quando appare
nella sua grande canoa bianca.
CHASCA LA VIRGEN DEL AGUA
Hace tantos y tantos años, en la Barra de Santiago vivía
Pachacutec, un viejo rico y cruel.
Su hija, la bella Chasca, era la prometida del principe Zutuhil.
Un día ella conoce a Acayetl, un pescador dulce y bello que
vivía en la Isla del Zanate y se enamoraron, pero el papá de
Chasca se oponia a este amor.
A escondidas todos los dias, cuando el sol salía entre las
montañas, ella se escapaba de la cabaña situada entre los
bosques de guarumos para ir a la playa, donde Acayetl desde
su canoa le cantaba canciones dulces. Pero una mañana cuando
llegó a la playa vio que la poza del Cajete era desierta.
El agua besada por el sol, parecía dorada. Un viento frío
soplaba sobre los campos de piñas vecinos y
las hojas
agitándose entre ellas, perfumaban el aire. La poza del Cayete
parecía triste, fría, silenciosa y solitaria. De improviso apareció
una canoa, era la de Acayetl. Remaba veloz aproximándose a
la playa, cuando un hombre, enviado de Pachacutec y oculto
en medio de los cañetos, de la orilla disparó una flecha y el
pescador cayó muerto.
A la puesta del sol, mientras el mar se encendía de rojos
destellos del sol, en la playa se sintió gritar una mujer, era
Chasca, que loca por el dolor corría sin una meta.
La muchacha improvisamente se detuvo, recogió una piedra,
se la amarró a la cintura y se lanzó al agua. El agua con sus
ondas cubrió su cuerpo.
Desde ese día, cuando en una noche de luna llena Pachacutec
murió, Chasca aparece sobre una canoa blanca junto a Acayetl.
En el paisaje de arena y sal, sobre el fondo oscuro del mar que
se agita como un moustro, en las noches de luna llena, Chasca
con su vestido de plumas, aparece todavía hoy como una
blanca visión en la Barra de Santiago.
En las noches que la pesca es abundante, los pescadores
agradecen a Chasca cantando esta canción:
Pescador, salió la luna
Tira tu atarraya
esta noche es de fortuna,
por que ya viene, la hermosa canoa blanca.
No temas, Chasca es buena
no hay ninguna como Chasca
que te quita toda pena
cuando sale en su gran canoa blanca.
PERCHÉ L’ORSO HA UNA CODA COSÌ CORTA
Una volta, durante un freddissimo inverno, un pescatore era
tornato a casa con un grosso carico di pesce. Sulla strada una
volpe molto affamata lo vide e pensò che quello era il
momento giusto per fare un pasto abbondante.
Essa si sdraiò in mezzo alla strada, facendo finta di essere
morta.
Il pescatore la vide e, felice per la fortuna capitatagli,
pensando che avrebbe potuto fare una bella pelliccia per la
moglie, raccolse la volpe e la mise dentro al furgone coi pesci.
La volpe cominciò a lanciare tutti i pesci, uno per uno sulla
strada e, quando non ce ne furono più, scese.
Mentre raccoglieva i pesci rubati pensando che avrebbe avuto
un buon pasto, improvvisamente apparve un orso. Esso non
riusciva a capire come la volpe avesse fatto a pescare tanti
pesci e volle chiederle il segreto di tanto successo. La volpe
furba, volendo prendersi gioco di lui, gli disse:
“Sono stata tutto il giorno a pescare con la coda nell’acqua
gelata del lago e quando ho capito che la mia coda si stava
appesantendo, l’ho tirata fuori con forza e con essa tutti i pesci
che vi erano attaccati.”
Lo stupido orso fece ciò che la volpe gli aveva detto. Calò la
sua coda nell’acqua gelata del lago, ma poiché era una giornata
d’inverno molto fredda, la sua coda rimase catturata dall’acqua
ghiacciata. Quando cercò di tirare fuori il pesce, la sua coda si
spezzò, rimanendo per sempre nell’acqua del lago.
Attenzione: non credere sempre a ciò che la gente dice. Impara
a pensare con la tua testa.
WHY THE BEAR HAS SUCH A SHORT TALE
Once upon a time, in a cold cold winter there was a fisherman
coming home with a wagon full of fish. On the road, a very
hungry fox saw him and thought that was the perfect moment
to have a rich meal.
So, she lied down in the middle of the road, pretending she
was dead.
The fisherman saw her and, happy for such a luck, he thought
he could make a nice fur for his wife, so he took the animal
and put it with into the wagon with the fish. The fox started to
throw them on the road, one by one, and when there was no
more fish left, she got off.
While the fox was taking all the stolen fish and she was
thinking about the good meal she was ready to take, suddenly
a bear appeared. He was very surprised how the fox succeeded
to have so much fish; so, he asked her to tell him the secret of
such a big success.
But the cunning fox wanted to fool him, so she said:
“I have been to fish all day long with the tale in the frozen
water of the lake and when I understood my tale was getting
heavy, I pulled it strongly with all the fish on it.”
The stupid bear did what the fox told him. So, he put his tale
into the frozen water of the lake, but as it was a very frozen
winter day, his tale was caught into the water and, when he
wanted to pulled out “the fish”, his tale was broken, remaining
in the water of the lake for ever.
Warning: don’t believe all the time people say. Learn to think
for yourself!
URSUL PACALIT DE VULPE
Intr-o zi de iarna, un pescar se intorcea acasa cu un car plin cu
pete. Pe drum, o vulpe infometata il vede i se gindete ca a
sosit momentul sa-i potoleasca foamea. Se intinde in mijlocul
drumului prefacându-se moarta. Pescarul o zarete, i bucuros
pentru blana gasita, ia vulpea i o pune in carul plin cu pete.
Vulpea incepe sa arunce tot petele pe drum, iar la sfârit sare
din car.
In timp ce vulpea strângea de pe drum petele furat, gândinduse cu placere la ospatul ce va urma, iata ca apare un urs. Ursul
se mira cum a reuit vulpea sa pescuiasca aa de mult pete, i
luându-i inima in dinti, o intreaba cum a reuit o asemenea
isprava.
Vulpea ireata, ii spune ca a pescuit tot petele bagându-i
coada in copca lacului, i in momentul in care a simtit ca coada
se mica greu, tragea coada cu putere i scotea petele din apa.
Ursul credul, facu cum il sfatui vulpea, i ii baga coada in
apa, doar ca fiind o zi de iarna foarte geroasa, apa ingheta
repede, prinzând i coada ursului.
Crezand ca a prins mult peste, ursul trase cu putere si isi rupse
coada. Astfel, coada lui ramase prinsa in apa, si asa ursul a
ramas cu coada scurta.
Morala: Nu crede tot timpul ceea ce oamenii iti spun: Invata sa
gandesti si singur!