La Commedia dell`Arte - Castello dei Burattini

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La Commedia dell`Arte - Castello dei Burattini
La Commedia dell’Arte
La Commedia dell’Arte è un genere teatrale che si afferma nella penisola italiana a metà Cinquecento.
E’ detta anche Commedia all’improvviso per la capacità degli attori di inventare sul momento le
battute che componevano lo spettacolo basandosi esclusivamente sui canovacci, in cui era riassunta
la trama, e sul carattere della maschera che interpretavano (a volte tutta la vita). Le radici di questo
tipo di spettacolo sono da ricercarsi negli ioculares medievali, predecessori dei Giullari: si tratta
di persone capaci di ogni mimesi che lavorano sia in un contesto di piazza che nelle sale dei palazzi
nobiliari; è da costoro che discende lo Zanni, personaggio che lavorando d’improvvisazione riesce
ad interpretare, senza il bisogno di cambiare abito, tre o quattro parti grazie alla sua capacità di
assumere gestualità, vocalità e pose diverse e che si afferma nell’area veneziana; Zanni deriva
probabilmente dalla deformazione dialettale di Giovanni e diventa un personaggio ben definito,
tanto è vero che tra il XVI e XVII secolo viene sfruttato da molti attori il medesimo canovaccio
del Dialogo tra lo Zanni e il Magnifico, una specie di sketch in cui un vecchio libidinoso (il
Magnifico) incarica Zanni di portare un sonetto d’amore alla giovane dirimpettaia di cui si è
invaghito e che in realtà è una ragazza di facili costumi: il sonetto arriva alla ragazza, ma tutto
unto perché Zanni lo ha utilizzato per avvolgere un pollo. Gli attori della Commedia dell’Arte
si organizzano in “fraternal compagnie” professioniste (la prima storicamente accertata si costituisce
a Padova nel 1545) e come gli Zanni lavorano nelle piazze e nelle sale che vengono loro concesse.
La varietà dei ruoli e la ricchezza delle trovate portano all’aumento dei personaggi e alla loro
graduale trasformazione in maschere tipiche. Ed è in questo senso che si compie lo sdoppiamento
dello Zanni: al primo Zanni (violento facchino bergamasco sempre in cerca di cibo e di donne)
si va ad aggiungere il secondo, che recupera la concezione del servo non soltanto burlone, ma
anche benefico. E’ facile vedere in queste due figure le basi su cui si svilupperanno i caratteri di
Brighella ed Arlecchino.
Arlecchino
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Lo scaricatore di porto, il facchino, il ruffiano, il servitore buono, semplice nei modi e nella testa,
che combina guai e che ha sempre fame. Questo è Arlecchino. Deriva dalla figura dello Zanni, il
buffone delle storie comiche del periodo precedente, di cui mantiene il carattere schietto e la
naturale propensione ai guai. L'abito di Arlecchino, conosciuto da tutti come il più colorato fra
le maschere era all'inizio bianco e lacero; per questo motivo si aggiunse prima una toppa, poi
un'altra, finché il vestito fu a losanghe multicolori. E' così che lo vediamo nel teatro del Seicento.
Il suo aspetto è goffo e tarchiato, la mezza maschera nera che porta sul viso è animalesca e in testa
porta un cappello di feltro bianco sormontato da una piuma o da una zampa di coniglio. La piuma
è simbolo di fertilità e il coniglio è simbolo di furbizia. Alla cintura porta appeso il batòcio, il
bastone per mescolare la polenta, che per lui funge da spada. Ha poi un bitorzolo sulla fronte,
per alcuni un residuo di corno diabolico. Il nome Arlecchino, in effetti, richiama quello di un
diavolo, Alichino che viene citato da Dante nella Divina Commedia. Pur assumendo vari nomi
(Truffaldino, Zaccagnino, Tabarrino ecc.) è tuttavia sempre maschera buona. E tale rimane
nell'immaginario collettivo.
Pantalone
Una delle prime maschere della Commedia dell'Arte. Veneziano,
rappresenta il ceto mercantile dell'allora grande Repubblica di
Venezia.
Secondo alcuni studiosi il suo nome deriva da un antico santo
protettore di Venezia, Pantaleone, secondo altri da Pianta-leone,
un antico commerciante che acquistava terreni nei vari porti del
Mediterraneo e piantava orgoglioso la bandiera con il Leone,
simbolo di San Marco e vessillo della Serenissima Repubblica.
Pantaleone è vecchio, ricco, avaro e nonostante l'età "ancor le
voglie à pronte".
I colori del suo abito e le caratteristiche del suo volto sono
identificativi del carattere; Pantalone, infatti, indossa una casacca
con calzoni di colore rosso, simbolo di fertilità, e una palandrana
di colore nero, simbolo di mancanza di virilità, proprio come il
naso che guarda in basso.
Pulcinella
E’ una delle maschere più recenti ed
è stata portata in teatro per la prima
volta nel 1609 da Silvio Fiorillo, che
poi la adotterà stabilmente nel 1632.
Alcune leggende lo vogliono far nascere da un uovo rinvenuto sul Vesuvio: da questo deriverebbe il suo
nome, cioè da “pulcino” o dal latino
pulicinellus. In effetti la voce di Pulcinella suggerisce il verso della
chioccia, visto che i burattinai lo fanno
parlare adoperando la pivetta, una
sottile lamella di metallo che opportunamente inserita sul palato distorce
la voce, rendendola appunto… chioccia.
Pulcinella è un povero che è buono e cattivo allo stesso tempo; il suo carattere complesso ha
permesso ad ogni attore che lo ha interpretato di scegliere i tratti che sentiva maggiormente propri
ed ha determinato la fortuna della maschera in Italia e in Europa. Anche il suo aspetto fisico ha
avuto la medesima libertà: alcune volte lo vediamo con una gobba sulla schiena o sul ventre (o
entrambe), col naso schiacciato o aquilino… Indossa un camiciotto bianco rimborsato in vita,
calzoni bianchi con una cintura, un cappello di feltro a cono (bianco) e una mezza maschera nera.
L’abito è simile a quello portato dai contadini sin dal medioevo: tessuto in canapa, la fibra più
economica filata direttamente in casa e assenza di colore per evitare il costo della tinta.
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Curiosità
Dottor Balanzone (n°15) appartenuto a Italo Ferrari: questo burattino grazie al foro sulla bocca
poteva sia bere che fumare. Quando beveva, il liquido passava attraverso un tubo in un palloncino
posto all’altezza della pancia che, riempiendosi, si ingrossava.