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Diocesi di Milano - Servizio Giovani
Materiale per approfondire la terza catechesi diocesana (Video)
TERZA CATECHESI:
«Da dove viene la zizzania? Il mistero del male: dove vado?»
LO SCANDALO DEL MALE E L'EUCARISTIA
Il materiale seguente vuole offrire agli educatori dei gruppi giovanili e ai singoli giovani nuovi
spunti di riflessione e di approfondimento a proposito del tema molto ampio affrontato durante la
terza catechesi diocesana: «Da dove viene la zizzania? Il mistero del male: dove vado?».
Proponiamo, come per il materiale offerto per approfondire le altre catechesi, quattro approcci
che si integrano tra loro, lasciando a ciascuno di scegliere la via preferenziale per accostare il tema
del male e della sofferenza.
L’approccio antropologico, comprendente i primi tre punti, vuole raccogliere alcune provocazioni
dalle quali nascono le domande esistenziali. Il male è uno scandalo, come ha detto suor Maria
Gloria Riva nella catechesi, e provoca in noi diverse domande, non sempre corrette e coerenti. Ci
sono alcuni difetti nella domanda sul perché del male che dobbiamo smascherare.
Un secondo approccio, quello biblico (i punti 4 e 5), ci aiuta ad accostare la figura di Gesù al male,
quello subito da Lui e quello del mondo. Nella definizione sintetica che Gesù dà di sé, raccolta
nell'espressione giovannea “Io sono”, abbiamo una traccia per interpretare alla maniera di Cristo
l'esperienza del dolore e della sofferenza.
L’approccio spirituale, attraverso tre testimonianze (i punti 6, 7, 8 e 9), vuole offrire qualche via
percorribile per stare dentro l'esperienza del male. Dentro questo “fatto”, come diceva suor Maria
Gloria, è presente una rivelazione di Dio. Dio ci può sorprendere: possiamo sperimentare una luce
nella notte, anche in quella più tenebrosa.
Infine, un approccio più catechetico (punti 10 e 11) per approfondire il significato del Sacramento
della Eucaristia. Essa è la sorgente dell'amore di Cristo per noi. È la misura di questo amore che
domanda un sacrificio attuale della vita. “No c'è amore più grande di colui che dà la vita per i
propri amici”.
Riteniamo importante, a prescindere dall’approccio scelto, che non venga meno il confronto con il
Vangelo: in esso ritroviamo la misura dell'amore, come diceva S. Agostino: “Un amore senza
misura”. Nella vicenda di Gesù sperimentiamo la solidarietà, quindi la vicinanza di Dio nel dolore,
una luce che illumina anche l'esperienza più buia, quella della morte.
1.
DOVE STA DIO NEL MALE?
Due cortometraggi che ci aiutano a raccogliere le obiezioni e le provocazioni che vengono
dall'esperienza del male.
- Se esiste Dio, perché tanto male nel mondo?
Questo simpatico cortometraggio, postato anche da Papa Francesco nella sua pagina Facebook,
l'originale infatti è in lingua spagnola, raccoglie la domanda più radicale che nasce dall'esperienza
del male. Simpatica ed efficace è anche la risposta data.
http://m.youtube.com/watch?v=8SEHvqgyFKw
- “Le puits” – “The well”
Cortometraggio di Jérôme Boulbès, Lardux Films, 1999
Come emergere dal POZZO del dolore, della sofferenza? Sentiamo necessario in alcune situazioni,
che oscurano l'orizzonte e bloccano la vita, qualcosa a cui aggrapparci, qualcosa che possa
sostenere, accompagnare nel viaggio verso la luce.
Il cortometraggio a cartoni animati "Le puits", vincitore di numerosi premi, offre diversi spunti per
riflettere sul viaggio della vita come viaggio di liberazione, di ascesi. Alcuni mali sono evidenti, altri
passano sotto forma di tentazione, altri ancora non sono neppure riconosciuti.
Ma questo cammino verso la luce è un viaggio solitario? Mi posso salvare da solo?
Durée 8min20s
Format 1.85
Support film 35 mm
Premi ricevuti in varie manifestazioni:
Aide au tirage de copies UNIFRANCE
Prime à la Qualité CNC
Prix ATOM FILMS Meilleur Film d’Animation Clermont Ferrand
Prix Pixel-Ina « Meilleure Lumière » IMAGINA
2ème Prix Pixel-Ina Fiction IMAGINA
Meilleure Technique d’Animation Festival de Lille 2000
« Danzante de Bronze » HUESCA 2000
Premio Pinoccio per l’Animazione MONTECATINI
Mention Spéciale du Jury Jeunes MONTECATINI
Mention Spéciale du Jury Court 18/Cinéma des Cinéastes
Nomination aux « César »
Prix « Jeunesse et Sports » au festival d’AUCH
Prix du meilleur son au festival Goldfish (RUSSIE)
Prix du meilleur film pour enfants au festival Goldfish (RUSSIE)
http://m.youtube.com/watch?v=cNIStXbNW7I
2
2.
IL DOLORE INNOCENTE
Eric-Emmanuel Schmitt (Lione 1960) è drammaturgo, saggista e romanziere di fama
internazionale.
In Oscar e la dama in rosa racconta la storia di un ragazzino di dieci anni, la cui vita sta già per
finire. La leucemia lo sta uccidendo. E lui lo sa. Lo sa ma non può parlarne con nessuno, perché i
grandi per paura fanno finta di non saperlo.
Nell’ospedale in cui il bimbo passa le sue giornate, solo l’anziana signora vestita di rosa, che va
sempre a trovarlo intuisce la sua voglia di risposte. E gli suggerisce un gioco: fingere di vivere dieci
anni in un giorno e scrivere a Dio per raccontargli la sua vita.
Oscar ci sta: così si immagina a vivere a vent’anni, a quaranta, a novanta.
A centodieci giorni dopo l’inizio del gioco, si addormenta.
Ha lasciato un biglietto sul comodino: «Solo Dio ha il diritto di svegliarmi».
Caro Dio,
mi chiamo Oscar, ho dieci anni, ho appiccato il fuoco al gatto, al cane, alla casa (credo persino di
aver arrostito i pesci rossi) ed è la prima lettera che ti mando perché finora, a causa dei miei studi,
non ho avuto tempo.
Ti avverto subito: detesto scrivere. Bisogna davvero che ci sia obbligato. Perché scrivere è soltanto
una bugia che abbellisce la realtà. Una cosa da adulti.
La prova? Per esempio, prendi l'inizio della mia lettera: «Mi chiamo Oscar, ho dieci anni, ho
appiccato il fuoco al gatto, al cane, alla casa (credo persino di aver arrostito i pesci rossi) ed è la
prima lettera che ti mando perché finora, a causa dei miei studi, non ho avuto tempo». Avrei
potuto esordire dicendo: «Mi chiamano Testa d'uovo, dimostro sette anni, vivo all'ospedale a
causa del cancro e non ti ho mai rivolto la parola perché non credo nemmeno che tu esista».
Ma se ti scrivo una roba del genere, fa un brutto effetto e ti interesseresti meno a me. E io ho
bisogno che t'interessi.
Inoltre mi farebbe comodo che tu avessi il tempo di farmi due o tre piaceri.
Ti spiego.
L'ospedale è un posto strasimpatico, con un sacco di adulti di buon umore che parlano forte, con
un mucchio di giocattoli e di signore in rosa che vogliono divertirsi con i bambini, con amichetti
sempre disponibili come Bacon, Einstein o Pop Corri, insomma. L'ospedale è molto gradevole se
sei un malato gradito.
Io non faccio più piacere. Da quando sono stato sottoposto al trapianto di midollo osseo, sento
proprio che non faccio più piacere. Quando il dottor Düsseldorf mi visita, la mattina, lo fa di
malavoglia, lo deludo. Mi guarda senza dire nulla, come se avessi commesso un errore. Eppure ho
affrontato con impegno l'operazione; sono stato bravo, mi sono lasciato addormentare, ho avuto
male senza gridare, ho preso tutte le medicine. Certi giorni ho voglia di insultarlo, di dirgli che è
stato forse lui, il dottor Düsseldorf, con le sue sopracciglia nere, a sbagliarla, l'operazione. Ma ha
un'aria talmente infelice che gli insulti mi restano in gola. Più il dottor Düsseldorf tace con il suo
sguardo sconsolato, più mi sento colpevole. Ho capito che sono diventato un cattivo malato, un
malato che impedisce di credere che la medicina sia straordinaria.
3
Il pensiero di un medico è contagioso. Adesso tutto il piano, le infermiere, gli interni e le donne
delle pulizie mi guardano nello stesso modo. Hanno l'aria triste quando sono di buon umore; si
sforzano di ridere quando racconto una storiella. È vero, non ridono più come prima.
Solo Nonna Rosa non è cambiata. Secondo me, è comunque troppo vecchia per cambiare. E poi è
anche troppo Nonna Rosa. Nonna Rosa non te la presento, Dio, è una tua buona amica, visto che è
stata lei a dirmi di scriverti. Il problema è che sono l'unico a chiamarla Nonna Rosa. Dunque, devi
fare uno sforzo per capire di chi parlo: fra le signore in camice rosa che vengono da fuori a passare
del tempo con i bambini malati, è la più vecchia di tutte.
TRATTO DA: ERIC-EMMANUEL SCHMITT, Oscar e la dama in rosa, Bur Rizzoli, pp. 9-11
3.
OLTRE LA MORTE
Ogni giorno i giovani incontrano in molte forme il dolore e la gioia, la morte e la vita. Sono
provocati quotidianamente a prendere posizione a favore della verità e della giustizia. Sono invitati
ad offrire ogni sacrificio di autentico amore nella speranza che il regno di Dio sia ogni giorno più
vicino. La fede non si esprime in forme di debole rassegnazione di fronte alle difficoltà e neppure
propone una negazione della felicità umana, ma introduce l’unica speranza in grado di andare
oltre la barriera della morte. La pienezza della vita terrena, pur con le ferite della condizione
umana del peccato, offre i segni di una anticipazione della vita eterna, la quale è già resa presente
e vivace nel mondo dallo Spirito del Cristo risorto.
Il compito educativo tra i giovani e anche quello di aiutare a interpretare il valore della vita in
tutta la sua pienezza, dall’inizio alla fine. È urgente anche educare la sensibilità della nuove
generazioni nei confronti dei numerosi segni di morte presenti nel mondo. Oggi, abituati allo
scorrere vorticoso delle immagini e delle notizie, è troppo forte il rischio di diventare insensibili di
fronte agli eventi di ingiustizia e di morte che si consumano nel mondo per mano dell’uomo a
motivo del suo egoismo e della sua sete di potere. È necessario creare una nuova sensibilità che
vada oltre alla garanzia del soddisfacimento dei propri bisogni quotidiani, ma si faccia carico di una
nuova umana mondialità che soffre, reagendo alle spinte di assoluta indifferenza o di crudele
cinismo, i quali spesso si insinuano in chi è ripiegato soltanto su un suo egoistico benessere. Una
umana lettura della vita e della morte dovrà aprire la mente il cuore delle nuove generazioni verso
inedite forme di solidarietà e di speranza, sostenuti da valori più grandi dei propri bisogni e capaci
di manifestare passione per il mondo e desiderio della vita eterna. Il mistero della morte e della
risurrezione del Signore deve essere ancora in grado di parlare alla concretezza della vita
quotidiana.
Per la riflessione e la preghiera
Provo a riflettere su ciò che mi dà più gioia in questa stagione della mia esistenza. Verifico se
davvero è qualcosa di grande valore. Mi chiedo:
- In che cosa cerco la gioia?
- Mi accontento di ciò che è immediato e facile da raggiungere?
- Mi accontento di surrogati che non durano a lungo?
- sono capace di portare gioia agli altri e di condividerla con loro?
4
Non fuggo dalle grandi domande della vita. Non cedo nemmeno, di fronte ad esse, all’inquietudine.
- Cerco di affrontarle con serietà e serenità, facendomi accompagnare nella ricerca della
verità?
So che è un cammino che chiede pazienza per questo voglio essere perseverante. So che non
sempre potrò giustificare tutto con la ragione. Per questo mi affiderò allo Spirito di Dio.
Non voglio nascondermi nemmeno di fronte agli interrogativi che nascono dal dolore e dalla morte.
Nella loro drammaticità racchiudono il senso ultimo della vita e la meta di ogni esistenza.
- Cerco sempre di scorgere il volto delle persone dietro la forza dei problemi?
- So sempre tenere in grande considerazione il valore della vita?
- So rispettare la dignità di tutti senza distinzioni?
- Credo che Dio sia l’origine e il compimento dell’esistenza e del mondo?
TRATTO DA: Progetto di Pastorale Giovanile Camminava con loro, vol. 1 Il mistero di Cristo, Centro
Ambrosiano, Milano 2011, pp. 139-141
4.
IO SONO
Dal Vangelo secondo Giovanni
28
Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e
che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. (Gv 8,28)
Dopo la domanda dei giudei - che è anche la nostra domanda -. «Tu chi sei?», Gesù rinvia
innanzitutto a Colui che l'ha mandato e a nome del quale Egli parla al mondo. Ripete ancora una
volta la formula di rivelazione, l’«Io Sono», che però ora estende alla storia futura. «Quando
avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono» (Gv 8,28). Sulla croce il suo essere il
Figlio, il suo essere una cosa sola con il Padre, diventa riconoscibile. La croce è la vera «altezza». È
l'altezza dell'amore «sino alla fine» (Gv 13,1); sulla croce Gesù è all'«altezza» di Dio, che è Amore.
Lì si può «conoscerlo», si può capire l'«Io Sono».
Il roveto ardente è la croce. La suprema pretesa di rivelazione, l’«Io Sono» e la croce di Gesù sono
inseparabili. Qui non troviamo una speculazione metafisica, ma la realtà di Dio si manifesta qui nel
bel mezzo della storia, per noi. «Allora saprete che lo Sono» - quando si realizza questo «allora»?
Si realizza continuamente nella storia; iniziando dal giorno della Pentecoste, durante il quale i
giudei «si sentirono trafiggere il cuore» (At 2,37) dal discorso di Pietro e, secondo il racconto degli
Atti degli Apostoli, si fecero battezzare in tremila, unendosi così alla comunità degli apostoli (cfr.
2,41). Si realizzerà appieno alla fine della storia, di cui il veggente dell'Apocalisse dice: «Ognuno lo
vedrà; anche quelli che lo trafissero...» (Ap 1,7).
Al termine delle dispute dell'ottavo capitolo, l'«Io Sono» di Gesù compare un'altra volta, ora
ampliato e spiegato in un'altra direzione. Ancora è in sospeso la domanda: «Tu chi sei?», che
sottintende al tempo stesso la domanda: «Da dove vieni?». Si giunge così a parlare della
discendenza dei giudei da Abramo e, da ultimo, della paternità di Dio stesso: «Il nostro padre è
Abramo. [...] Noi non siamo nati da prostituzione, noi abbiamo un solo Padre, Dio!» (Gv 8,39.41).
5
Il rimando degli interlocutori di Gesù oltre Abramo alla paternità di Dio offre al Signore
l'opportunità di spiegare ancora una volta con chiarezza le sue origini, nelle quali, di fatto, si
compie con pienezza il mistero di Israele a cui i giudei stessi hanno fatto allusione con il
superamento della discendenza da Abramo in direzione della discendenza da Dio stesso.
Abramo, ci insegna Gesù, non rimanda soltanto, al di là di se stesso, a Dio Padre - egli rimanda
soprattutto, verso il futuro, a Gesù, il Figlio: «Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di
vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò» (Gv 8,56). All'obiezione dei giudei secondo cui Gesù
non avrebbe potuto vedere Abramo, segue ora la replica: «Prima che Abramo fosse, lo Sono»
(8,58). «Io Sono» - ecco ancora una volta misteriosamente innalzato il semplice «Io Sono», questa
volta definito, però, dal contrasto con il «fosse» di Abramo. Al mondo dell'arrivare e del passare, al
mondo del sorgere e del tramontare si contrappone l’«Io Sono» di Gesù. Rudolf Schnackenburg
osserva giustamente che qui non si tratta solo di una categoria temporale, bensì «di una
fondamentale differenza ontologica [...] la pretesa di Gesù ad un modo di essere assolutamente
unico, che va oltre le categorie umane» viene formulata con chiarezza (Johannesevangelium II, p.
61).
TRATTO DA: Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, pp. 399-401
5.
IO SONO LA LUCE DEL MONDO
IL VOLTO DELLA LUCE
El Greco, Il Salvatore (1610-1614), Toledo, Cattedrale
Offriamo un commento pittorico al seguente versetto del Vangelo di Giovanni (Gv 8,12) attraverso
il dipinto il “Salvatore” di El Greco:
12
Di nuovo Gesù parlò loro e disse: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle
tenebre, ma avrà la luce della vita».
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Sulla scena dell'arte a cavallo tra Cinquecento e Seicento appare El Greco, libero come il vento.
Forse capita così a chi nasce e cresce in una cultura, matura a contatto di un'altra, e va a deporre i
suoi prodotti più turgidi di linfa vitale in una terza realtà: Creta - Venezia - Spagna. Ma il segreto va
cercato in lui, in quel formidabile assimilatore che sa rifondere tutto ciò che apprende con un
fuoco che è tutto interiore a lui.
Un'arte così non può creare né correnti artistiche né imitatori. O la stimi fino a innamorartene o la
critichi fino a squalificarla. Indifferente non ti lascia. Ogni tema o soggetto sembra per lui l'occasione per un'avventura che gli permette di aggredire le forme, di sviscerare tutte le possibilità del colore, di buttarsi in ardite costruzioni plastiche, di osare fusioni e trasparenze mai viste. Che cosa
vedeva lui in realtà? Allucinazioni? Impronte di vento e di fuoco che passavano direttamente da lui
al suo pennello e quindi alla tela? Oppure c'erano in lui l'entusiasmo e l'impegno di formare sulla
tela un mondo «altro», coerente e compatto nella sua logica interna, frutto di un puro atto
creativo?
Le domande sono tutte legittime e la sua opera le giustifica tutte. Ne resta una, anch'essa valida: e
se El Greco fosse un visionario alla maniera dell'Apocalisse, visione che si fa rivelazione?
È una delle ultime opere di El Greco. Gli occhi del pittore sembrano guardare nel buio per
sorprendersi poi davanti a una figura di luce. È commovente supporre che il momento della sua
morte sia avvenuto proprio così. Infatti egli appartiene alla schiera dei pittori che frequentano la
notte. Come? Chiudendo gli occhi. Lentamente la luce del mondo, la luce materiale, la luce che
abbaglia e scuote i nervi, si attenua. Le cose, le persone, il cielo e i prati perdono i contorni. Nel
frattempo, impercettibile, si diffonde da dentro, dal profondo, dall'origine, dall'anima una luce
strana. È fatta di altre frequenze. Cresce fino ad abbagliare. A occhi aperti invece la luce del giorno
è spesso rumorosa, è incredibilmente varia, è talvolta perfino insolente. Distrae, ti porta fuori da
te stesso. Ti illude. Ma è bella e affascina.
Quale delle due luci è più vera? L'una sembra essere all'altra tenebra. El Greco opta per la discesa
nella notte. Cala il mondo esterno con tutta la ricchezza del suo splendore, delle sue forme e dei
suoi colori nella tenebra/luce dell'anima raccolta nel suo silenzio. E poi lo lascia risalire risorto in
superficie. Quanto piace a noi moderni questa operazione! El Greco la compie invece in epoca
lontana; non ha compagni di viaggio. Chi pure si è avventurato nella notte è stato il
contemporaneo Caravaggio, ma la sua è un'altra luce, che porta su un'altra frequenza. Le figure di
El Greco si portano addosso la luce che le ha affusolate, scarnite, lustrate. Splendono di colori
nuovi. Sanno di carne risorta. Hanno già attraversato la morte. Nuotano in un mondo liquido. Il
vento sembra risucchiarle in alto o portarle via.
Ed eccolo il Redentore venirci incontro da dentro, venirci su dall'anima. Ha la forma della spirale, è
fatto di roveto verde aggredito dal fuoco. Arde e non si consuma. Ti
guarda e dice: «Io sono la
vita. Guarda i miei
occhi. Ho ancora davanti lo splendido lago di Galilea, le mani di mia madre,
le parabole raccontate nelle piazze, i visi curiosi, appassionati o diffidenti degli uomini... Mi sentivo
morire dentro. Morivo in croce, ma morivo anche per il dolore di lasciare tutto e per la cattiveria
con cui mi davano la morte. Ma ardevo già di questo fuoco. Vi sono entrato, senza rancore, senza
propositi di vendetta verso nessuno, senza sospetti nei confronti della volontà del Padre. E ho
ritrovato tutto, anche l'aurora sul lago, anche mia madre, anche... Dirigiti anche tu verso questo
fuoco. Seguimi. Fidati. Vivi intensamente l'istante che ti è dato. Amalo, anche se non ha
consistenza. Vivilo con umiltà, dolcezza e generosità. Non trattenerlo. Chiudi gli occhi, come ha
fatto il pittore. Al momento ti sembrerà notte e solo notte. Ma ben presto vedrai che tutto è
rimasto bello, che tutto si è sostanziato del mio fuoco».
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Il dialogo è immaginario, ma credibile: come ci spiegheremmo, del resto, l'amore che El Greco
nutriva per i libri dei grandi classici, la sua ammirazione per la splendida arte del Rinascimento e
questo suo pennello che sembra consumare ogni cosa per restituircela ardente di un fuoco che
non si consuma?
IN UNA NOTTE OSCURA
(Canto dell’anima)
di Giovanni della Croce
con serena frescura
il collo mi feriva
e tutti i sentimenti mi rapiva.
In una notte oscura
ma con ansie di amor tutta infiammata, o
felice ventura,
uscii, né fui notata,
stando già la mia casa addormentata:
Mi lasciai, mi scordai,
il viso reclinai sopra l'Amato.
Tutto cessò, posai,
ogni pensiero ormai
avendo in mezzo ai gigli abbandonato.
io nel buio e sicura,
per la segreta scala, travestita,
o felice ventura,
a ogni lume sfuggita,
tutta la casa mia stando sopita:
nella notte gioiosa,
in segreto, e nessuno mi scorgeva,
né io vedevo cosa,
senz'altra luminosa
guida che il raggio che nel cuore ardeva.
DALL'IMAGINE TESA
di Clemente Rebora
Questo mi conduceva
più certo della luce in pieno giorno
là dove mi attendeva
chi bene io conoscevo
e dove nessun altro si vedeva.
Notte che mi hai guidato,
notte più compiacente dell'aurora, o notte
che hai legato
all'Amato l'amata
l'amata nell'Amato trasformata!
Sul mio petto fiorito
che per lui solo intatto si serbava, qui rimase,
sopito,
ed io lo vezzeggiavo
e il ventaglio di cedri lo aleggiava.
La brezza dall'altura,
mentre quei suoi capelli discioglievo,
Dall'imagine tesa
vigilo l'istante
con imminenza di attesa e non aspetto nessuno:
nell'ombra accesa
spio il campanello
che impercettibile spande
un polline di suono e non aspetto nessuno:
fra quattro mura
stupefatte di spazio
più che un deserto
non aspetto nessuno:
ma deve venire,
verrà, se resisto
a sbocciare non visto,
verrà d'improvviso,
quando meno l'avverto:
verrà quasi perdono
di quanto fa morire,
verrà a farmi certo
del suo e mio tesoro,
verrà come ristoro
delle mie e sue pene,
verrà, forse già viene
il suo bisbiglio.
TRATTO DA: Un Volto da contemplare (testi di Giuseppe Sala e Giuliano Zanchi), Ancora, Milano 2001, pp. 201-205
8
6.
CHI MI SEGUE NON CAMMINA NELLE TENEBRE
Bisogna aver preso coscienza delle due masse tenebrose fra cui la nostra vita s'inserisce, tenebra
insondabile di Dio e tenebra dell'uomo, per consegnarsi perdutamente al Vangelo, per scoprirlo
attraverso il doppio nulla del nostro stato di creatura e del nostro stato di peccatori. Bisogna
aver toccata il fondo della morte che ci sta intorno in tutto quel che costituisce il nostro amore
di uomini: devastazioni del tempo, della fragilità universale, dei lutti, decomposizione del tempo,
di tutti i valori, dei gruppi umani, di noi stessi.
Bisogna aver toccato, all'altro polo, l'universo impe netrabile della sicurezza di Dio perché si
generi in noi un tale orrore del buio che la luce ci diventa più necessaria del pane. Allora soltanto
ci aggrappiamo ad essa come ad una cordai tesa al di sopra di un doppio abisso. Bisogna sapersi
perdut per voler essere salvato.
Chi non prende nelle sue mani il minuscolo libro del Vangelo con la risoluzione di un uomo che
ha una sola speranza, non pub né decifrarne né riceverne il messaggio.
Poco importa' allora che questo felice disperato, po vero di ogni aspettativa umana, prenda quel
libro sul ri piano di una ricca biblioteca o nella tasca del suo vestito di miserabile o in una
cartella' di studente; poco importa che lo prenda in una pausa della sua vita o in una gior nata
simile alle altre, in una chiesa o in una cucina. In mezzo alla campagna o nel suo ufficio, egli
prenderà il libro, ma lui stesso sarà preso dalle parole che sono spirito.
Esse penetreranno in lui come il grano nella terra, come il lievito nella pasta, come l’albero
nell’aria, elui, se vi consente, e lui, se vi consente, potrà diventare come un’espressione nuova di
quelle parole.
E’ il grande mistero nascosto nel libro del Vangelo. Ogni libro è già un mistero: un mistero di
uomo. In ogni libro si opera un'unione di materia e di spirito, di significato e d'invisibile. Ogni
libro testimonia che le frontiere dell'anima sono al di.Ià della carne e che le sue dimensioni non
si toccano con le mani.
Ma il Vangelo non è un libro fra i libri. Non è una parola di uomo fra parole di uomo: è la Parola
.del Verbo di Dio, è il Verbo di Dio fatto vita umana da contem plare e da raccontare.
In esso c'è una virtù che illumina e che trasforma, un dono di Dio permanente e potente. Ma
ogni dono di Dio non si riversa che nelle mani della fede; ogni dono di Dio non si riceve che nelle
profondità vertiginose del la speranza.
Il Vangelo, perché apra il mistero che è in lui, non chiede né scenario né erudizione né tecnica
speciali.
Chiede un'anima prosternata nell'adorazione e un cuore spoglio da ogni affidamento umano.
Tratto da: Madeleine Delbrêl, Noi delle strade, Ed. Gribaudi, Torino, pp. 76-77.
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7.
APRIRSI A UN DIO SORPRENDENTE
Tutto questo parlare di abbandonarsi, di “lasciare la presa”, di “lasciarsi andare” si scontrerà forse
con alcune nostre inveterate convinzioni. Anche nella nostra fede, forse, abbiamo bisogno di
allentare la presa e spalancare le braccia a un Dio sorprendente. Tempo fa incontrai uno studente
seduto sugli scalini di uno degli edifici del campus universitario, la testa fra le mani.
«Che c'è che non va?», gli chiesi. «Beh», mi rispose, «tutto sembra eccessivo: ci sono troppi corsi,
troppe cose interessanti da fare, troppe possibilità tra cui scegliere. Mi sento come un bambino in
un negozio di dolci che abbia solo un quarto di dollaro e non sappia come spenderlo».
Ripenso al mio giovane amico perché spesso nelle nostre scuole, nei nostri posti di lavoro, tra
conoscenti ci diciamo che se solo trovassimo il tempo e avessimo sufficienti energie potremmo
conquistare il campo, la vita. Persino nei nostri corsi e conferenze su Dio siamo propensi a ridurre
Dio ai nostri preconcetti e sistemi. In fondo, Dio un po' ci fa paura. Vogliamo amarlo, ma ci
difendiamo e lo teniamo a distanza. Le nostre abitudini spirituali, le nostre usanze religiose
diventano quella cortina difensiva. Di fatto diciamo a Dio: «Se vuoi venire, devi usare il vecchio
accesso, la vecchia via».
Ma spesso la sofferenza ci tiene una lezione sull'incomprensibilità di Dio. Dice il Signore per bocca
di Isaia: «Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri
sovrastano i vostri pensieri» (Is 55,9).
Questa è davvero un'affermazione liberatoria. Ci esorta a non conformare Dio ai nostri desideri, a
non cercare di stabilire noi le regole. Perché, per quanto proviamo, noi non potremo mai afferrare
Dio, tenerlo in mano nostra e pensare: Finalmente, ora capisco. Piuttosto, da tutto il turbamento,
il caos interiore o la lunga notte, noi usciamo a mani vuote, e quelle mani le tendiamo a Dio.
Il nostro attendere Dio, il nostro domandargli dove ci stia portando, può allora alimentare in noi
una crescente sensibilità alla sua presenza, oltre che alla sua assenza. Impariamo ad accettare le
sorprendenti vie di Dio e la sua intermittente presenza in mezzo a noi. Non partiamo più dal
segreto presupposto che solo se lavoriamo senza risparmiarci alla causa del Regno, solo se ci
impegniamo nelle nostre attività o in quelle della nostra Chiesa, senz'altro alla fine faremo esperienza di Dio, Dio ci parlerà. Ci troviamo meno spesso ad attendere che Dio venga in base ai nostri
programmi o calcoli.
In teologia si fa un gran parlare di chi è Dio, di come noi lo intendiamo, di come ne percepiamo
l'azione. Parliamo di ciò che crediamo esser vero. Ma si farà anche, se non ci accaniamo a voler
ridurre a sistema l'Infinito e l'Ineffabile, un gran parlare di chi non è Dio: Dio non è solo giustizia,
né solo amore, né solo libertà, non è solo questo o quello. Dio è più grande delle nostre menti e
dei nostri cuori. Abbiamo sufficienti indizi per sapere che Dio sorpassa ogni nostra capacità di
pensare o immaginare.
In simili occasioni, Dio ci chiede di scendere dai baluardi su cui ci eravamo arroccati, di smettere di
calcolare i possibili rischi che corriamo. Gesù ci invita: «Prendi la tua croce, seguimi [cfr. Mt 16,24;
Mc 8,34; Lc 9,23], lascia anche tuo padre e tua madre [cfr. Mt 19,29; Mc 10,29; Lc 18,29], se
necessario. Non avere l'ossessione di sapere esattamente che cosa accadrà, ma confida che sei
nelle mani di Dio, che guiderà la tua vita». E noi possiamo farlo, perché nella Scrittura ci viene
ripetuto di continuo: Non temere. Dammi una possibilità. Sono il tuo Salvatore, la tua Guida, il tuo
Amico, il tuo Sposo.
TRATTO DA: H. Nouwen, Muta il mio dolore in danza, San Paolo, Cinisello B. 2002, pp. 47-49.
10
8.
MISSIONE E VOCAZIONE
di Madeleine Delbrêl
Le due vie sono sempre esistite.
Sempre il Signore dirà agli uni: “A causa di me e del mio amore tu avrai una moglie, dei figli, una
casa, dei beni da amministrare da parte mia nel mondo”.
Sempre il Signore dirà agli altri:
“Tu non avrai che me e io sarò il Tuo tutto”.
Sempre il Signore dirà agli uni:
“lo so ciò che ti conviene, ti darò ogni giorno la tua pena il tuo pane quotidiano, perché
dovunque tu sarai ci sia anche la mia croce”.
Sempre il Signore dirà agli altri:
“Prendi la tua croce e seguimi”.
Prendila con le tre braccia della povertà, dell'obbedienza e della castità.
Perché? Perché questo io voglio: che tu mi ami e che noi amiamo il mondo insieme.
La maggior parte di coloro ai quali Cristo tiene un tal discorso stanno sotto vesti scure, bianche o
nere, discepoli d'un santo che fu attraverso il tempo compagno di strada del Signore.
Altri sono persone come voi e come me, persone affondate il più a fondo possibile nello
spessore del mondo, separate da questo mondo da nessuna regola nessun voto nessun abito
nessun convento. Povere, ma simili alle persone d'ogni luogo. Pure, ma simili a persone di
qualsiasi ambiente. Obbedienti, ma simili a persone di qualsiasi paese.
Sono per tutto e per tutti: ne troverete che insegnano, che emanano leggi, che curano e
consolano, che lavorano in officina.
Per essi un mondo vale l'altro e un'anima un'altra anima. Ma non tediateli con metodi e
tecniche.
Non dite loro: “Qui è meglio aver l'aria un po' ricca: riuscirete meglio”; “Là è meglio sposarvi,
sarete un apostolo migliore”; o ancora: “Sappiate ciò che volete, e mirateci”.
Essi vi risponderanno:
“Non si possono seguire due strade. Ci date delle ricette che non fanno per noi”.
Se noi siamo un po' malconci, se noi facciamo in questo mondo la figura degli accampati, è
perché la nostra ricetta è di non possedere altro che il Signore. Se noi non abbiamo focolare, se
a casa nostra né marito né moglie né figli ci attendono, è perché il Signore ci possiede e da Lui
solo noi vogliamo essere posseduti.
Se noi non abbiamo programma è perché il nostro Padre del Cielo l'ha scritto prima per noi e ci
basta ricevere i suoi ordini giorno per giorno.
Non dite loro che la croce è dannosa, un po' morbosa e un po' malsana, che il mondo ha bisogno
di ritrovare il volto della gioia e non dei penitenti.
Vi risponderanno:
“Noi vi parleremo della gioia quando l'avremo imparata sulla croce dove ritroviamo il nostro
amore. La nostra gioia è d'un prezzo così esorbitante che è stato necessario per acquistarla
vendere ciò che possedevamo e tutto noi stessi”.
Quelli della prima chiamata, devono essere numerosi, perché il mondo è grande e il suo
battesimo è lungo.
Ma quelli della seconda chiamata, bisogna che ve ne siano almeno alcuni per dare agli uomini,
questi adulti fanciulli, l'edizione visiva della vita di Gesù: Gesù, che è la “Missione” stessa.
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9.
UNA LUCE NELLA NOTTE
Testimonianza di David Martìnez – (Comunità “Nuovi Orizzonti”)
“Venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi
purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!»”.
E subito [...] egli fu purificato.”...
quando mi trovo di fronte a Gesù e lo guardo negli occhi mi viene in mente spesso questo brano di
Vangelo e mi permetto di porre una domanda ad alta voce: Cosa ha spinto quell'uomo a prostrarsi
ai piedi di Gesù e supplicare la sua guarigione? Non credo sia stata la necessità di essere sano né
tanto meno la fuga dalla sofferenza.....
Penso alla sua voglia di essere libero.
Mi chiamo David e a 19 anni sto provando ad essere un uomo libero.
Come tutti i miei coetanei, anch'io sono figlio del mio tempo, dove i telegiornali presentano le
solite cronache di morte, dove le prime pagine mostrano titoli di stragi e diritti umani violati, dove
ti arriva una notifica ogni minuto e mezzo e non hai il tempo di organizzare la giornata perché sei
impegnato a condividere le tue foto e i tuoi video per reclamare al mondo la tua parte di
riconoscimento..... ma nonostante tutto questo, ogni giorno lotto con le unghie per arrivare a fine
giornata e trovare una serenità meravigliosa.
Il mio incontro con Dio è cominciato durante una “Luce Nella Notte” di Nuovi Orizzonti in cui fui
invitato ad uscire in strada ad incontrare il primo sul marciapiede per proporgli un incontro unico
e irripetibile. Gli occhi e la determinazione di quella gente, il loro desiderio di volermi bene senza
conoscermi ma solo così, perché ero lì, mi ha mostrato un Dio che non stava lassù a fare la sua
vita, ma era vicino a me ostinato ad amarmi ogni giorno.
Dopo un incontro simile, la tua vita cambia (non dolcemente, ma come uno schianto) e ti costringe
ad amare gli altri, soprattutto quelli dai quali non andresti mai: è lì che l'amore può funzionare,
quando amo chi non può darmi nulla in cambio!
E' un cambiamento che non è avvenuto in me in un semplice incontro, ma durante un percorso
perché quando ti scappa un “SI'” iniziano i miracoli; posso chiedermi cosa spinge uno ad andare
verso le periferie esistenziali? Probabilmente perché non può farne a meno!
Quando assapori il cielo non puoi dimenticartene, perché quasi quasi sei condannato ad amare
chiunque trovi, superando il pregiudizio; insomma, non puoi più tenerlo per te!!!
Nella Messa e nell'Eucarestia, in quel “rendimento di grazie” riesco a ritrovare parte del fuoco, del
nutrimento che mi fa guardare ogni giorno come un'occasione per poter amare qualcuno, sia
nell'ipoteca di un dolore, sia nella gioia della tua resurrezione. Come puoi non innamorarti di un
Dio e di un amore così? È vero, l'amore fa paura perché scardina le tue certezze, ma ti mette in
relazione con gli altri in maniera sincera, perché la vita è una sola e scivola via... Lui mi chiede di
puntare in alto ed essere felice (per questo vengo al mondo e per questo vivo) e così, nella mente
e nel cuore mi viene da ripetere sempre quel “Se vuoi”.
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10. IL SACRAMENTO DELL’EUCARISTIA
208 Che cos'è la santa Eucaristia?
La santa -> EUCARISTIA è il SACRAMENTO in cui Gesù Cristo dona il suo corpo e il suo sangue ovvero se stesso - per noi, perché anche noi ci doniamo a lui nell’amore e ci uniamo a lui nella
santa -> COMUNIONE. A questo modo ci uniamo all'unico corpo di Cristo, la Chiesa. [1322, 1324,
1409]
Dopo il battesimo e la -> CONFERMAZIONE, l'EUCARISTIA è il terzo sacramento di iniziazione della
Chiesa cattolica; è il fulcro di tutti questi -> SACRAMENTI, poiché il sacrificio di Gesù sulla croce
diviene in esso presente in maniera misteriosa e incruenta. La celebrazione dell'Eucaristia è quindi
«la sorgente e il vertice di tutta la vita cristiana» (Concilio Vaticano II, LG 11); è il punto a cui tutto
converge, e non c'è traguardo più grande da raggiungere dell'Eucaristia. Quando mangiamo il pane
spezzato ci uniamo con l'amore di Gesù che ha offerto il proprio corpo sul legno della croce;
quando beviamo dal calice ci uniamo con colui che nel suo offrirsi per noi ha anche versato il
proprio sangue. Questo rito non è stato inventato da noi uomini; fu Gesù stesso a festeggiare
l'ultima cena con i discepoli in previsione della propria morte; si donò loro sotto i segni del pane e
del vino e li incaricò di celebrare l'Eucaristia anche dopo la propria morte. «Fate questo in
memoria di me» (1 Cor 11, 24). -> 126, 193, 217
209 Quando Cristo ha istituito l'Eucaristia?
Cristo ha istituito -> l'EUCARISTIA la vigilia della sua morte, «nella notte in cui fu tradito» (1 Cor 11,
23), quando riunì intorno a sé gli -> APOSTOLI nel cenacolo a Gerusalemme e celebrò con loro
l'ultima cena. [1323, 1337-1340]
210 In che modo Cristo ha istituito l'Eucaristia?
«Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella
notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il
mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese
anche il calice, dicendo: "Questo è il calice della Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni
volta che ne bevete, in memoria di me”» (1 Cor 11, 23-25).
Questa, che è la narrazione più antica di quanto avvenne nel cenacolo, deriva dall'-> APOSTOLO
Paolo; egli non era un testimone oculare, ma si limitò a descrivere quanto era stato conservato
come mistero e compiuto durante la Messa dalla giovane comunità cristiana. -> 99
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211 Qual è l'importanza dell'Eucaristia per la Chiesa?
La celebrazione dell'-> EUCARISTIA è il centro della comunità cristiana ed è in essa che la -> CHIESA
diviene tale. [1325]
Non siamo Chiesa perché versiamo l'otto per mille, perché andiamo d'accordo fra noi o perché per
caso ci siamo trovati collocati in una parrocchia; lo siamo invece perché nell'-> EUCARISTIA
riceviamo il corpo di Cristo e , veniamo di volta in volta trasformati nel corpo di Cristo. -> 126, 217
212 Con quali nomi si indica la cena di Gesù con noi, cosa significano?
Diversi nomi indicano questo insondabile mistero: santo sacrificio - santa Messa - sacrificio della
Messa - cena del Signore - frazione del pane – assemblea eucaristica - memoriale della passione morte e risurrezione - santa e divina Liturgia - santi misteri - santa COMUNIONE. [1328-1332]
Santo sacrificio, santa Messa, sacrificio della Messa: il singolare sacrificio di Gesù che porta a
compimento tutti i sacrifici si fa presente nella celebrazione dell'Eucaristia; la -> CHIESA e i fedeli
uniscono se stessi con il loro dono al sacrificio di Cristo. La parola «Messa» deriva dalla formula
latina di congedo Ite, missa est - andate, portatelo nella vita.
Cena del Signore: ogni celebrazione eucaristica è pur sempre l'unica cena che Cristo celebrò con i
propri discepoli e al tempo stesso l'anticipazione della cena che il Signore celebrerà con i redenti
alla fine dei tempi. Non siamo noi uomini a fare la celebrazione, ma è il Signore che ci invita ad
essa e che è presente in essa in maniera misteriosa.
Frazione del pane: la «frazione del pane» era un antico rituale ebraico che Gesù rievocò in
occasione dell'ultima cena per esprimere il suo sacrificio «per noi» (Rm 8, 32).
Dopo la risurrezione i discepoli lo riconobbero da come spezzava il pane, e la comunità primitiva
chiamava «frazione del pane» la sua celebrazione liturgica della cena.
Assemblea eucaristica: la celebrazione della cena del Signore è anche una riunione di «rendimento
di grazie» in cui la -> CHIESA trova la sua espressione visibile. Memoriale della passione, morte e
risurrezione: durante la celebrazione eucaristica la comunità non celebra se stessa, ma scopre e
celebra in maniera sempre nuova la presenza del passaggio salvifico di Cristo attraverso la
sofferenza e la morte alla vita.
Santa e divina liturgia, santi misteri: durante la celebrazione eucaristica la Chiesa celeste e quella
terrena si uniscono in un'unica festa. Poiché i doni eucaristici, nei quali Cristo è presente, sono in
certo qual modo la cosa più santa del mondo, si parla anche di «Santissimo».
Santa comunione: poiché nella santa Messa ci uniamo con Cristo e tramite lui ci uniamo tra noi, si
parta di «santa -> COMUNIONE» (communio = comunità).
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213 Quali sono gli elementi costitutivi della Messa?
Ogni santa Messa (celebrazione eucaristica) si articola in due parti principali, la liturgia della
parola e la liturgia eucaristica in senso stretto. [1346-1347]
Durante la liturgia della parola ascoltiamo delle letture: dall' -> ANTICO, dal NUOVO TESTAMENTO
e dal Vangelo; durante questa parte avvengono anche l'omelia e la preghiera dei fedeli. Nella
celebrazione eucaristica che segue vengono presentati pane e vino, vengono consacrati e quindi
offerti ai fedeli per la -> COMUNIONE
214 Qual è la struttura della Messa?
La Messa comincia con la riunione dei fedeli e con l'ingresso del -> SACERDOTE e di quanti prestano
servizio all'altare (chierichetti, lettori, cantori ecc.) Dopo la formula di saluto segue l'atto
penitenziale, - che termina con il -> KYRIE. Nei giorni di domenica e festivi (esclusi i periodi di
Avvento e Quaresima), viene cantato o recitato il -> GLORIA. La colletta introduce una o due letture
dall'-> ANTICO e dal NUOVO TESTAMENTO, seguite dal Salmo responsoriale; prima del Vangelo si
canta l'alleluia. Dopo la proclamazione del Vangelo, almeno di domenica o nei giorni festivi, il
sacerdote o il -> DIACONO tiene una predica (-> OMELIA). Sempre di domenica e nei giorni festivi
l'assemblea professa la fede comune nel -> CREDO, a cui fa seguito la preghiera dei fedeli. La
seconda parte della Messa comincia con la preparazione delle offerte fino alla preghiera che
avviene su di esse. Il vertice della celebrazione eucaristica si raggiunge con la preghiera eucaristica,
introdotta dal praefazio e dal -> SANCTUS. Adesso l'offerta eucaristica diviene corpo e sangue di
Cristo. La preghiera eucaristica si conclude di norma nella -> DOSSOLOGIA, da cui si passa alla
preghiera del Signore.
Segue lo scambio della pace, l’ -> AGNUS DEI, la frazione del pane e la distribuzione ai fedeli delle
sacre speci, che spesso avviene solo sotto la specie del corpo di Cristo. La Messa termina con la
benedizione, rendimento di grazie, con una preghiera finale e la -> BENEDIZIONE impartita dal
sacerdote. [1348-1355]
215 Chi presiede la celebrazione eucaristica?
Chi opera in ogni celebrazione eucaristica è propriamente Cristo stesso; lo rappresentano il ->
VESCOVO o -> il SACERDOTE. [1348]
È fede della -> CHIESA che il celebrante presiede dall'altare in persona Christi capitis (lat. = nella
persona di Cristo capo). Questo significa che i -> SACERDOTI non solo operano in vece o per
incarico di Cristo, ma che, in forza della loro consacrazione, è Cristo che opera per tramite loro
come capo della Chiesa. -> 249-254
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216 In che modo Cristo è presente quando si celebra l'Eucaristia?
Cristo è presente nel -> SACRAMENTO dell' -> EUCARISTIA in modo misterioso ma reale. Ogni volta
che la -> Chiesa compie il comando di Gesù «fate questo in memoria di me» (1 Cor 11, 25),
spezzando il pane e versando il calice, si verifica ancor oggi ciò che si verificò allora: Cristo si offre
veramente per noi, e noi partecipiamo realmente a lui. Il sacrificio di Cristo sulla croce, unico e
definitivo, si rinnova sull'altare e compie l'opera della nostra redenzione. [1362-1367]
217 Che cosa succede quando la Chiesa celebra l'Eucaristia?
Con ogni celebrazione dell'-> EUCARISTIA, la Chiesa si pone di fronte alla sorgente dalla quale essa
stessa zampilla ogni volta rinnovata; diviene il corpo di Cristo (e questo è infatti uno dei suoi nomi)
nel momento in cui se ne nutre. Nel sacrificio di Cristo, che si dona a noi con il suo corpo e la sua
anima, c'è posto per tutta la nostra vita, tutto possiamo unire al sacrificio di Cristo: il nostro lavoro,
le nostre sofferenze e le nostre gioie. Anche noi veniamo trasformati da questa offerta: piaciamo a
Dio e siamo per gli uomini nostri compagni come pane buono e fonte di nutrimento. [1368-1372,
1414]
Ci capita spesso di imprecare contro la -> CHIESA, che altro non sarebbe che un'assemblea di
uomini più o meno buoni; essa in realtà è ciò che ogni giorno si compie in maniera misteriosa
sull’altare: Dio si offre in sacrificio per ciascuno di noi e desidera trasformarci con la ->
COMUNIONE con lui, e noi, trasformati, dobbiamo a nostra volta trasformare il mondo; tutto ciò
che la Chiesa è oltre questo è in realtà meno importante. -> 126, 171, 208
218 Qual è il modo corretto di onorare il Signore realmente presente nel pane e nel vino?
Poiché nelle specie consacrate del pane e del vino è realmente presente il Signore, dobbiamo
conservarle con il massimo rispetto e adorare il nostro Signore e Redentore presente nel
Santissimo. [1378-1381, 1418]
Le ostie consacrate eventualmente avanzate dopo la celebrazione dell’-> EUCARISTIA vengono
conservate in appositi recipienti nel -> TABERNACOLO. Poiché in esso è presente il Santissimo, il
tabernacolo è uno dei luoghi più importanti della Chiesa e ci inginocchiamo davanti ad esso. Certo,
chi segue veramente Cristo lo riconoscerà in ogni prossimo, soprattutto nei più poveri e lo servirà
in loro; ma troverà anche il tempo di trattenersi davanti al tabernacolo in adorazione silenziosa e
di donare il proprio amore al Signore sacramentato.
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219 Con che frequenza un cattolico deve partecipare all'Eucaristia?
Tutte le domeniche e le feste di precetto un cattolico è tenuto a partecipare alla Messa. Ma chi
cerca davvero l'amicizia di Cristo risponde più spesso che può all'invito personale di Gesù alla Cena.
[1389, 1417]
A dire il vero il termine di «precetto domenicale» è per un vero cristiano una parola inadeguata
almeno quanto quello di «precetto di bacio» per un vero innamorato; nessuno può avere un
rapporto vivo con Cristo se non si reca là dove egli ci aspetta; per questo per i cristiani la Messa è
fin dai tempi antichi il «cuore della domenica» e il più importate appuntamento della settimana.
220 Come devo prepararmi per ricevere !'Eucaristia?
Chi desidera ricevere l'-> EUCARISTIA deve essere cattolico; se è cosciente di essere in stato di
peccato mortale deve prima confessarsi; e prima di avvicinarsi all'altare bisogna riconciliarsi con il
prossimo. [1389, 1417]
Fino a pochi anni fa si osservavano tre ore di digiuno totale prima di avvicinarsi all'Eucaristia, e
questo era il modo in cui ci si voleva preparare all'incontro con Cristo nella -> COMUNIONE; oggi la
-> CHIESA chiede almeno un'ora di digiuno; altro segno è quello di indossare un vestito dignitoso:
in effetti abbiamo un appuntamento con il Signore del mondo.
221 In che modo la comunione mi trasforma?
Ogni -> COMUNIONE mi unisce sempre più profondamente a Cristo, fa di me un membro vivente
del corpo di Cristo, rinnova le grazie che ho ricevuto con il battesimo e con la -> CONFERMAZIONE e
mi rende più forte nella lotta contro il peccato. [1391-1397, 1416]
222 Si può amministrare l'Eucaristia anche ai non cattolici?
La -> COMUNIONE è espressione dell'unità del corpo di Cristo; alla -> CHIESA cattolica appartiene
chi è battezzato, ne condivide la fede e vive in comunione con essa. Sarebbe una contraddizione nei
termini se la Chiesa invitasse alla comunione persone che (ancora) non condividono la fede e la vita
della Chiesa, e ne sarebbe danneggiata la credibilità del segno dell' -> EUCARISTIA. [1398-1401]
I fedeli ortodossi possono chiedere di ricevere la -> COMUNIONE in una celebrazione cattolica
perché condividono la fede eucaristica della Chiesa cattolica, anche se la loro comunità non è
ancora in perfetta comunione con la Chiesa cattolica.
Nel caso di membri di altre confessioni cristiane la comunione può essere concessa in casi singoli,
quando cioè ci sia una grave emergenza e sia presente la piena fede nella presenza eucaristica. Le
celebrazioni eucaristiche e della sacra cena di cristiani cattolici ed evangelici sono lo scopo cui
tendono tutti gli sforzi ecumenici; ma è falso, e quindi non permesso, anticipare questo scopo
prima che si sia realizzata l'unità del corpo di Cristo nell'unica fede e nell'unica Chiesa. D'altra
parte le celebrazioni ecumeniche, nelle quali cristiani di diverse confessioni pregano insieme, sono
cosa buona e vengono raccomandate anche dalla Chiesa cattolica.
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223 In che senso l'Eucaristia è un'anticipazione della vita eterna?
Gesù ha promesso ai discepoli e a noi di sedere un giorno a tavola con noi. Per questo ogni Messa è
«memoriale della passione, pienezza di grazia, pegno della gloria futura» (offertorio romano).
[1402-1405]
11. PAPA FRANCESCO SUL SACRAMENTO DELL’EUCARISTIA
- Udienza Generale del 5 febbraio 2014 – il video
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi vi parlerò dell'Eucaristia. L'Eucaristia si colloca nel cuore dell’«iniziazione cristiana», insieme
al Battesimo e alla Confermazione, e costituisce la sorgente della vita stessa della Chiesa. Da
questo Sacramento dell’amore, infatti, scaturisce ogni autentico cammino di fede, di comunione e
di testimonianza.
Quello che vediamo quando ci raduniamo per celebrare l’Eucaristia, la Messa, ci fa già intuire che
cosa stiamo per vivere. Al centro dello spazio destinato alla celebrazione si trova l’altare, che è una
mensa, ricoperta da una tovaglia, e questo ci fa pensare ad un banchetto. Sulla mensa c’è una
croce, ad indicare che su quell’altare si offre il sacrificio di Cristo: è Lui il cibo spirituale che lì si
riceve, sotto i segni del pane e del vino. Accanto alla mensa c’è l’ambone, cioè il luogo da cui si
proclama la Parola di Dio: e questo indica che lì ci si raduna per ascoltare il Signore che parla
mediante le Sacre Scritture, e dunque il cibo che si riceve è anche la sua Parola.
Parola e Pane nella Messa diventano un tutt’uno, come nell’Ultima Cena, quando tutte le parole di
Gesù, tutti i segni che aveva fatto, si condensarono nel gesto di spezzare il pane e di offrire il calice,
anticipo del sacrificio della croce, e in quelle parole: “Prendete, mangiate, questo è il mio corpo …
Prendete, bevete, questo è il mio sangue”.
Il gesto di Gesù compiuto nell’Ultima Cena è l’estremo ringraziamento al Padre per il suo amore,
per la sua misericordia. “Ringraziamento” in greco si dice “eucaristia”. E per questo il Sacramento
si chiama Eucaristia: è il supremo ringraziamento al Padre, che ci ha amato tanto da darci il suo
Figlio per amore. Ecco perché il termine Eucaristia riassume tutto quel gesto, che è gesto di Dio e
dell’uomo insieme, gesto di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.
Dunque la celebrazione eucaristica è ben più di un semplice banchetto: è proprio il memoriale
della Pasqua di Gesù, il mistero centrale della salvezza. «Memoriale» non significa solo un ricordo,
un semplice ricordo, ma vuol dire che ogni volta che celebriamo questo Sacramento partecipiamo
al mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo. L’Eucaristia costituisce il vertice
dell’azione di salvezza di Dio: il Signore Gesù, facendosi pane spezzato per noi, riversa infatti su di
noi tutta la sua misericordia e il suo amore, così da rinnovare il nostro cuore, la nostra esistenza e
il nostro modo di relazionarci con Lui e con i fratelli.
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È per questo che comunemente, quando ci si accosta a questo Sacramento, si dice di «ricevere la
Comunione», di «fare la Comunione»: questo significa che nella potenza dello Spirito Santo, la
partecipazione alla mensa eucaristica ci conforma in modo unico e profondo a Cristo, facendoci
pregustare già ora la piena comunione col Padre che caratterizzerà il banchetto celeste, dove con
tutti i Santi avremo la gioia di contemplare Dio faccia a faccia.
Cari amici, non ringrazieremo mai abbastanza il Signore per il dono che ci ha fatto con l’Eucaristia!
E' un dono tanto grande e per questo è tanto importante andare a Messa la domenica. Andare a
Messa non solo per pregare, ma per ricevere la Comunione, questo pane che è il corpo di Gesù
Cristo che ci salva, ci perdona, ci unisce al Padre. E' bello fare questo! E tutte le domeniche
andiamo a Messa, perché è il giorno proprio della risurrezione del Signore. Per questo la domenica
è tanto importante per noi. E con l'Eucaristia sentiamo questa appartenenza proprio alla Chiesa, al
Popolo di Dio, al Corpo di Dio, a Gesù Cristo. Non finiremo mai di coglierne tutto il valore e la
ricchezza. Chiediamogli allora che questo Sacramento possa continuare a mantenere viva nella
Chiesa la sua presenza e a plasmare le nostre comunità nella carità e nella comunione, secondo il
cuore del Padre. E questo si fa durante tutta la vita, ma si comincia a farlo il giorno della prima
Comunione. E' importante che i bambini si preparino bene alla prima Comunione e che ogni
bambino la faccia, perché è il primo passo di questa appartenenza forte a Gesù Cristo, dopo il
Battesimo e la Cresima.
--- Udienza Generale del 12 febbraio 2014 – il video
Nell’ultima catechesi ho messo in luce come l’Eucaristia ci introduce nella comunione reale con
Gesù e il suo mistero. Ora possiamo porci alcune domande in merito al rapporto tra l’Eucaristia
che celebriamo e la nostra vita, come Chiesa e come singoli cristiani. Come viviamo l’Eucaristia?
Quando andiamo a Messa la domenica, come la viviamo? È solo un momento di festa, è una
tradizione consolidata, è un’occasione per ritrovarsi o per sentirsi a posto, oppure è qualcosa di
più?
Ci sono dei segnali molto concreti per capire come viviamo tutto questo, come viviamo
l’Eucaristia; segnali che ci dicono se noi viviamo bene l’Eucaristia o non la viviamo tanto bene. Il
primo indizio è il nostro modo di guardare e considerare gli altri. Nell’Eucaristia Cristo attua
sempre nuovamente il dono di sé che ha fatto sulla Croce. Tutta la sua vita è un atto di totale
condivisione di sé per amore; perciò Egli amava stare con i discepoli e con le persone che aveva
modo di conoscere. Questo significava per Lui condividere i loro desideri, i loro problemi, quello
che agitava la loro anima e la loro vita. Ora noi, quando partecipiamo alla Santa Messa, ci
ritroviamo con uomini e donne di ogni genere: giovani, anziani, bambini; poveri e benestanti;
originari del posto e forestieri; accompagnati dai familiari e soli… Ma l’Eucaristia che celebro, mi
porta a sentirli tutti, davvero come fratelli e sorelle? Fa crescere in me la capacità di gioire con chi
gioisce e di piangere con chi piange? Mi spinge ad andare verso i poveri, i malati, gli emarginati?
Mi aiuta a riconoscere in loro il volto di Gesù? Tutti noi andiamo a Messa perché amiamo Gesù e
vogliamo condividere, nell’Eucaristia, la sua passione e la sua risurrezione. Ma amiamo, come
vuole Gesù, quei fratelli e quelle sorelle più bisognosi? Per esempio, a Roma in questi giorni
abbiamo visto tanti disagi sociali o per la piaggia, che ha fatto tanti danni a quartieri interi, o per la
mancanza di lavoro, conseguenza della crisi economica in tutto il mondo.
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Mi domando, e ognuno di noi si domandi: Io che vado a Messa, come vivo questo? Mi preoccupo
di aiutare, di avvicinarmi, di pregare per coloro che hanno questo problema? Oppure sono un po’
indifferente? O forse mi preoccupo di chiacchierare: Hai visto com’è vestita quella, o come com’è
vestito quello? A volte si fa questo, dopo la Messa, e non si deve fare! Dobbiamo preoccuparci dei
nostri fratelli e delle nostre sorelle che hanno bisogno a causa di una malattia, di un problema.
Oggi, ci farà bene pensare a questi nostri fratelli e sorelle che hanno questi problemi qui a Roma:
problemi per la tragedia provocata dalla pioggia e problemi sociali e del lavoro. Chiediamo a Gesù,
che riceviamo nell’Eucaristia, che ci aiuti ad aiutarli.
Un secondo indizio, molto importante, è la grazia di sentirsi perdonati e pronti a perdonare. A volte
qualcuno chiede: «Perché si dovrebbe andare in chiesa, visto che chi partecipa abitualmente alla
Santa Messa è peccatore come gli altri?». Quante volte lo abbiamo sentito! In realtà, chi celebra
l’Eucaristia non lo fa perché si ritiene o vuole apparire migliore degli altri, ma proprio perché si
riconosce sempre bisognoso di essere accolto e rigenerato dalla misericordia di Dio, fatta carne in
Gesù Cristo. Se ognuno di noi non si sente bisognoso della misericordia di Dio, non si sente
peccatore, è meglio che non vada a Messa! Noi andiamo a Messa perché siamo peccatori e
vogliamo ricevere il perdono di Dio, partecipare alla redenzione di Gesù, al suo perdono. Quel
“Confesso” che diciamo all’inizio non è un “pro forma”, è un vero atto di penitenza! Io sono
peccatore e lo confesso, così comincia la Messa! Non dobbiamo mai dimenticare che l’Ultima Cena
di Gesù ha avuto luogo «nella notte in cui veniva tradito» (1 Cor 11,23). In quel pane e in quel vino
che offriamo e attorno ai quali ci raduniamo si rinnova ogni volta il dono del corpo e del sangue di
Cristo per la remissione dei nostri peccati. Dobbiamo andare a Messa umilmente, come peccatori
e il Signore ci riconcilia.
Un ultimo indizio prezioso ci viene offerto dal rapporto tra la celebrazione eucaristica e la vita
delle nostre comunità cristiane. Bisogna sempre tenere presente che l’Eucaristia non è qualcosa
che facciamo noi; non è una nostra commemorazione di quello che Gesù ha detto e fatto. No. È
proprio un’azione di Cristo! È Cristo che lì agisce, che è sull’altare. E’ un dono di Cristo, il quale si
rende presente e ci raccoglie attorno a sé, per nutrirci della sua Parola e della sua vita. Questo
significa che la missione e l’identità stessa della Chiesa sgorgano da lì, dall’Eucaristia, e lì sempre
prendono forma. Una celebrazione può risultare anche impeccabile dal punto di vista esteriore,
bellissima, ma se non ci conduce all’incontro con Gesù Cristo, rischia di non portare alcun
nutrimento al nostro cuore e alla nostra vita. Attraverso l’Eucaristia, invece, Cristo vuole entrare
nella nostra esistenza e permearla della sua grazia, così che in ogni comunità cristiana ci sia
coerenza tra liturgia e vita.
Il cuore si riempie di fiducia e di speranza pensando alle parole di Gesù riportate nel Vangelo: «Chi
mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno»
(Gv 6,54). Viviamo l’Eucaristia con spirito di fede, di preghiera, di perdono, di penitenza, di gioia
comunitaria, di preoccupazione per i bisognosi e per i bisogni di tanti fratelli e sorelle, nella
certezza che il Signore compirà quello che ci ha promesso: la vita eterna. Così sia!
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