Libro - Club Dirigenti Amministrativi e Finanziari

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Libro - Club Dirigenti Amministrativi e Finanziari
30
ANNI
N E LLA
STORIA
19 8 0 - 2 0 1 0
Club Dirigenti Amministrativi e Finanziari
ORIGINI del Club Dirigenti
Amministrativi e Finanziari
1
1a Il Club Dirigenti Amministrativi e Finanziari
È noto come sia esigenza tra le primarie dell’uomo quella di fare gruppo.
Ai primordi era solo una necessità fisica e di sopravvivenza. A un certo
punto non fu più la biologia a dominare il destino dell’uomo, ma il prodotto
del suo cervello: la cultura.
Per dirla con Gramsci “La Cultura è organizzazione, disciplina del proprio io
interiore; è presa di possesso della propria personalità, conquista di coscienza
superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la
Dagoberto
propria funzione nella vita, i propri diritti, i propri doveri”.
Brion
Ai giorni nostri, quindi, quell’esigenza primordiale si presenta soprattutto a
livello intellettuale. L’osmosi d’idee e di comportamenti trova nel contatto
umano e nel dibattito mezzi insuperabili, divenendo essi stessi necessità
professionale.
Questi i principi; ma come nacque l’idea del Cdaf?
Verso la fine degli anni settanta del secolo scorso la comunità industriale
torinese, attiva e variegata, contava entità manageriali in continuo sviluppo sia
per qualità, sia per numerosità, sia per estensione a tutti i rami di attività aziendale. “Dopo la marcia dei 40 mila, nel 1980, l’Unione Industriale di Torino,
organismo che ha il compito di fornire assistenza alle imprese, si trovava a
vivere un momento particolarmente complesso – racconta Dagoberto Brion,
allora responsabile delle relazioni esterne –. Si sentiva il bisogno d’essere
maggiormente vicino non solo agli imprenditori, ma anche ai loro collaboratori per interpretare meglio le esigenze delle loro aziende.
Si diede così seguito al desiderio di attivare un circuito di scambio di opinioni
più allargato. Il disegno era di far nascere e vivere un servizio arricchente
1 CDAF
l’azienda: le persone che operano in imprese non collegate da relazioni
organizzative, incontrandosi e dialogando in luoghi diversi dai contesti aziendali di appartenenza, oltre che ad accrescere il proprio livello culturale e
professionale avrebbero contribuito a instaurare relazioni inter-firm indirette,
con beneficio della circolazione cognitiva nell’ambito del proprio distretto
industriale.
I presidenti 1988
da sinistra,
in piedi:
Casulli - CDI,
Brion - U.I.,
Chiusano - dep. Eu.,
Lonardi - CDCI,
Gerardi - CDVM,
Bracco - AIDP,
Caccamo - CDT,
Santoro - ADACI,
Cosso - AIDDA,
Martinotti - CDAF
C’era un precedente: la costituzione nel 1976 del Club Dirigenti Vendite e
Marketing - CDVM, il primo, seguito nel 1977 dal Club Dirigenti Tecnici - CDT.
Il presidente dell’Unione, Sergio Pininfarina, nel 1980 ebbe l’idea di procedere alla costituzione del Club dei Dirigenti Amministrativi e Finanziari
- Cdaf applicando il modello precedente. Ma con una ‘mission’ ben precisa:
favorire e realizzare maggiormente formazione, informazione, aggiornamento,
ma soprattutto scambio di idee, di opinioni e conoscenze poiché, in fase di
globalizzazione, stavano nascendo esigenze e si proponevano strumenti del
tutto nuovi.
Ai Consigli direttivi dei Club l’Unione assegnò in primis il compito di individuare bisogni di formazione specifici ai quali si sarebbe risposto costruendo
progetti formativi su misura. Visto il successo incontrato dai primi Club, nel
1982 e nell’85 si aggiunsero rispettivamente i Club degli Informatici (CDI) e
dei Comunicatori d’impresa (CDCI).
Si aggregarono, infine, alcune sezioni locali di associazioni nazionali che
reputarono utile ritrovarsi all’Unione oltre che nelle sedi nazionali di Milano
o Roma: l’AIDP, l’associazione dei direttori del personale, l’AIDDA, imprenditrici donne dirigenti d’azienda, l’ADACI, approvvigionatori e compratori
italiani, l’IDE, imprenditori e
dirigenti europei. Tra Club
e sezioni di Associazioni
‘simpatizzanti’, compreso il
gruppo dirigenti Fiat, i manager che ruotano intorno
all’iniziativa sono in tutto
oggi più di 5 mila.
I Club rappresentarono
un’esperienza unica in Italia,
una finestra sul mondo e sul
futuro”.
La Stampa, dieci anni più
tardi, ne ravvisò la caratteristica fondamentale “non deve trarre in inganno
l’etichetta ‘associazione’ o ‘club’, tipo Rotary o Lions – scrive G. J. Paglia –
di ricreativo o corporativo c’è ben poco in questi gruppi. Si ritrovano per
apprendere, conoscersi e aggiornarsi. Chiamarla Università dei manager può
sembrare una forzatura perché, iniziativa unica in Italia e in Europa, non
distribuisce diplomi o lauree.
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Ciascun iscritto è anche docente, non vi sono esami con voti, l’età media
dei frequentanti s’avvicina alla cinquantina, con 1500 iscritti che una o più
volte il mese si ritrovano per un insolito corso: lezioni di alta managerialità.
Vi partecipano i ‘numeri uno’ delle grandi, medie, piccole industrie della città
e provincia, l’élite di responsabili delle varie funzioni aziendali. I diplomi e
i riconoscimenti arrivano sul posto di lavoro. Sono l’aumento di produttività
nelle aziende, le commesse dall’estero, i risparmi nei costi di gestione, l’efficienza manageriale, la competitività, la tecnologia avanzata, l’acquisizione di
nuovi mercati. Conquiste che non nascono casualmente; unione e aggiornamento, tecniche e filosofie manageriali, confronti e approfondimenti, spunti,
conclusioni e ‘input’ diventano patrimonio aggiunto per le aziende e rendono
più gratificante il lavoro”.
1b L’Unione Industriale di Torino
L’Associazione degli Industriali, dunque, si era aperta ai
manager, ma non solo a loro.
Era nata in contrapposizione alla costituzione della
Camera del Lavoro, avvenuta
nel 1891 a tutela degli interessi del movimento operaio.
Il merito fu di un gruppo di
influenti industriali torinesi,
Giovanni Agnelli (automobilistica), Luigi Bonnefon
Craponne (seta, cotone) e Giacomo Bosso (carta). Decisero, infatti, di trasformare la Società Promotrice Industriale, fondata nel 1869 in rappresentanza
degli interessi imprenditoriali, in un nuovo organismo di coordinamento degli
interessi di carattere politico sindacale, la Lega Industriale di Torino (1906).
La legge sindacale del 1926 impose che tutte le organizzazioni imprenditoriali a carattere territoriale assumessero la denominazione “Unione industriale della provincia di...” e che tutte le imprese esistenti sul territorio vi si
associassero obbligatoriamente. Nel 1944, con la riforma dell’ordinamento
sindacale, tutte le precedenti organizzazioni, dei datori di lavoro e dei lavoratori, confluirono in un’unica “Confederazione generale del lavoro, della
tecnica e delle arti”, in cui l’Unione Industriale mantenne una rilevante
posizione in quanto titolare del “Servizio tecnico economico”.
All’indomani della liberazione, con il ripristino delle regole democratiche
nella vita associativa, fu recuperata anche la denominazione di “Unione
Industriale”, che perdura tuttora.
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“Negli anni che seguirono – ricorda Dagoberto Brion – la
‘Casa degli Imprenditori’ aprì ancor di più le sue belle sale
stile rocaille, un tempo residenza della famiglia Marone
Cinzano, facendo partecipare il tessuto cittadino al mondo
industriale. Con Pininfarina nacque il Centro Congressi, del
quale divenni responsabile, che permise all’Unione, perlopiù ritenuta dall’opinione pubblica ambiente chiuso, quasi
esclusivamente finalizzato alle relazioni sindacali, di aprirsi
alla città con iniziative ricorrenti e con caratteristica di
quotidianità.
Nacquero così cicli dedicati allo sviluppo della conoscenza
e della cultura generale, concepiti con la filosofia di toccare
tutti quei punti che direttamente o più indirettamente fossero ricchezza inespressa dei giovani, dei manager, dell’opinione pubblica, degli anziani.
La corrente di pensiero fluiva negli ‘Incontri con grandi scrittori italiani, dei
Caffè Letterari del Lunedì pomeriggio’, nei filoni di ‘Filosofia, storia, musica,
cultura varia dei Lunedì sera’, nelle conferenze sulla ‘Prevenzione e salvaguardia della salute dei Martedì pomeriggio’ o sui grandi temi di ‘Attualità
economica e politica, di vita sociale dei Martedì sera’ o dedicate agli
‘anziani e ai manager in pensione dei Mercoledì mattina’, oppure ‘all’Arte
in accordo con la Sovrintendenza, dei Giovedì sera’.
Trent’anni di Centro Congressi sempre più vivo nel tempo.
Grazie a queste iniziative è stato possibile organizzare a Torino più di cento
manifestazioni all’anno tra conferenze, dibattiti, convegni e corsi di formazione. È anche così che Torino è diventata negli anni la città della convegnistica, superiore per numero di eventi a Milano”.
Volendo completare il capitolo delle origini è necessario dare uno sguardo
a Torino, la città di appartenenza del Club.
1c
Torino e il suo popolo
Una città di pianura distesa fra colline e montagne, attraversata e
accarezzata da quattro fiumi: Po, Dora, Stura, Sangone.
“…salgono le nebbie dal fiume/nella bella città, in mezzo a prati e
colline, e la sfumano come un ricordo. I vapori confondono/ ogni
verde... Pavese”. “Un po’ vecchiotta, provinciale fresca/tuttavia d’un
tal garbo parigino…, Gozzano”.“La nostra città, del resto, è malinconica per sua natura... la troviamo grigia di nebbia... Filtra qualche
volta, attraverso la nebbia, un sole fioco, che tinge di rosa e di lilla
i mucchi di neve, i rami spogli delle piante..., Ginzburg”. “…incantavano le donnine col cesto enorme di fiori appeso sul ventre in
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piazza San Carlo… Romano”. “Paradossale, mondana, scientifica, magari un
po’ accigliata, ironica, a volte ruvida, patria di santi e di industrie”. Insomma
“tante Torino”, ma con un elemento di unione: il fascino (Leo).“Torino è una
città bellissima. Come spaziosità supera, io penso, tutto ciò che è mai stato
immaginato prima… (Twain)”. “La città con la più bella posizione naturale
(Le Courbusier)”.
La prima poesia
su Torino è di
G. I. Pansoya (1784)
“Vòst Turin a l’è pur bel,
Na magnifica sità,
Dova as treuva ’d brava gent
D’om ’d talent e ’d società.
A-i è ’d tut, a-i è d’arsorse,
I-è ’d banché con ’d bon -e borse,
J’è ’d torcet, a-i è d’ofele
“Da raccoglitori di têtes coupées a costruttori di automobili”
titola Bellando nel suo libro su Torino, quando sintetizza
l’evoluzione del popolo di Torino.
È straordinaria la storia di una piccola città che ha saputo
farsi capitale di un piccolo ducato e poi di un piccolo regno,
artefice dell’unità di una nazione capace di inserirsi nella
storia europea.
In origine popolo derivato dai Liguri e dai Taurini, dall’aramaico Taur o dal celtico Thor, e dai Celti, il primo popolo
nella storia che possa definirsi “europeo”, famoso anche per
la crudele consuetudine delle “têtes coupées”.
Poi tante mescolanze e lotte, fino ai Romani che tolsero la
libertà, ma portarono la sicurezza, la “pax romana”. È proprio
dal titolo onorifico di “Augustus” riconosciuto dal Senato a
Cesare Ottaviano (27°a.C.) che nasce la città con la denominazione di “Augusta Taurinorum”. Avrà tutte le caratteristiche ideate dai romani: mura, torri, quattro porte di accesso, due strade principali che
si incrociano e una settantina di isolati (insulae), non
un castrum ma una progettualità e una realizzazione
immediatamente urbane.
E mile àitre còse bele;
.....
Sté a Turin, e stemne ardi,
Godvla pura sèira e di…”
.....
“La vostra Torino è certo bella,
Una magnifica città,
Dove si trova della brava gente
Uomini di talento e di società.
C’è di tutto, ci sono risorse,
Ci sono banchieri con buone borse,
Ci sono torcetti, ci sono ciambelle
E mille altre cose belle;
.....
State a Torino e statemi arditi,
Godetevela pure sera e mattina..”
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Dopo i Romani, Sarmati e Dalmati. Con il Medioevo Goti, Ostrogoti e
Burgundi, e Longobardi. E poi i Franchi, con Torino che diviene “marca” del
Regnum Italiae del loro condottiero Carlo Magno.
Nel frattempo, il riconoscimento universale della religione cristiana portava a
Torino il primo sinodo della storia (398 d.C.), ospitato dal suo primo vescovo
Massimo II.
Poi ancora brigantaggio, dei Saraceni e degli Ungari (IX e X secolo).
Protetta dal Sacro Romano Impero, fatto risorgere nel 962 dalla dinastia di
Sassonia, per due secoli Torino medioevale godette di tranquilla prosperità
assicuratale anche dai dazi e dai traffici propiziati dalla posizione strategica
sulla Via Francigena. Nel 1280 con Tommaso III i valsusini Savoia divengono i nuovi padroni di Torino; 150 anni dopo promulgheranno gli Statuta
Sabaudiae, le leggi dello Stato in cinque libri, la cui validità sfiderà i secoli.
Dal Quattrocento alla metà del Settecento il Piemonte dovette patire periodicamente la forte aggressività delle grandi potenze europee, che si combatterono spesso sul suo territorio, e il ducato di Torino subì le alterne vicende del
Regno di Sardegna che seppe comunque resistere alle mire francesi, asburgiche e borboniche. Fino alle conseguenze della Rivoluzione Francese e della
resistenza al dilagare del giacobinismo “liberté, egalité, fraternité (quest’ultima tradotta o sostituita con i termini nostrani “democrazia” o “virtù”)”.
Napoleone Bonaparte conquista Torino nel 1798 e i Savoia devono lasciarla
per la Sardegna. Dopo Nizza e Savoia, già annesse in precedenza, anche il
Piemonte viene a far parte della Repubblica Transalpina e
Torino si ritrova a capo del dipartimento dell’Eridano.
Napoleone visitò “sa bonne ville de Turin” due volte (18081810), la elevò a città imperiale (erano 36 in tutto), pose il
seme del passaggio dalla civiltà aristocratica a quella democratica con la cancellazione di vari istituti feudali dell’Ancien Régime, l’adozione del Codice Civile e del Codice di
Commercio, il potenziamento dell’Università e dell’Accademia delle Scienze, l’abbattimento della cinta muraria e
la costruzione del “pont en pierre” di piazza Vittorio Veneto.
Caduto Napoleone segue la Restaurazione e tornano i Savoia (1814) con
Vittorio Emanuele I. Con un editto abolisce tutta la legislazione “francese”, ma
ottiene, imperando la Santa Alleanza, la Liguria e la restituzione del Nizzardo
e della Savoia.
Con lo Statuto Albertino inizia il 1848, detto “l’anno dei portenti” per l’importanza degli accadimenti e la fiammata rivoluzionaria, che faranno diventare
la storia politica di Torino storia d’Italia.
Curiosità: l’unità d’Italia fu realizzata dal meno italiano fra tutti gli italiani,
Camillo Benso, conte di Cavour, nonna savoiarda, madre ginevrina, sospetto
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discendente di un guerriero di Barbarossa (lo stemma dei Benso reca il motto
Gott will Recht – Dio vuole giustizia). E il famoso dirompente “grido di dolore”,
nel discorso della Corona di Vittorio Emanuele II (1859), fu suggerimento di
Napoleone III dal suo esilio inglese “nous ne pouvons pas rester insensibles
aux cris de douleur qui viennent jusq’à nous de tant points de l’Italie”.
In seguito a plebisciti Nizza e Savoia ritornano francesi, l’Unità d’Italia è proclamata e con la Convenzione di Settembre dello stesso anno una clausola
segreta stabilisce che il re d’Italia avrebbe trasportato la capitale da Torino
a Firenze entro sei mesi e l’imperatore Napoleone III avrebbe lasciato Roma
entro due anni. Doveva rimanere segreta ma tre giorni dopo la firma del
trattato, scoperta da un giornalista, la clausola fu pubblicata dalla Gazzetta
del Popolo. Immediate e veementi le proteste che sfociarono in disordini
contrastati con un fuoco furibondo della polizia su una folla disarmata e
inerme: circa 52 i morti e 182 i feriti.
Nella stagione invernale, i passi del Moncenisio e del Monginevro erano resi
impraticabili dalla neve; giunti dove i cavalli non ce la facevano più, tutti a
terra, si smontavano le carrozze e i relativi pezzi, compresi i viaggiatori, erano
portati a spalla da nerboruti portantini sull’altro versante!
Con la scoperta del motore a vapore e della ferrovia, grazie alla dedizione di Cavour e Giuseppe
Francesco Medail nasce e si realizza nel 1871 il traforo del Frejus che collega Torino a Chambéry.
L’evento fu festeggiato con l’Esposizione Industriale
italiana di Milano, antesignana delle successive
Esposizioni di Torino: la Generale Italiana al Valentino
di tredici anni dopo, la Generale Italiana del 1898 e
la grande Esposizione Internazionale del 1911, realizzate per ‘educare il popolo e contribuire all’avanzamento della scienza e dell’industria’. Quell’industria
che, dopo l’uscita dal capannone di Martina, prima
auto costruita interamente in Italia (1895), opera di
Michele Lanza, diede vita alla “Società italiana per
la costruzione e il commercio delle automobili Torino” (1899), denominazione poco dopo mutata
in Fabbrica Italiana Automobili Torino, FIAT.
Un lungo cammino, dunque. Da “popolo di antichissima e radicata tradizione
monarchica, legato alla dinastia sabauda, che a Torino ebbe culla”, a coautore,
dopo la caduta del fascismo, della Costituzione della Repubblica Italiana.
Dalla crudele tradizione delle celtiche têtes coupées a popolo di pacifici e
compassati italiani torinesi costruttori di automobili, tra i quali si intravvede
un lampo,“una faccia segnata da rughe, incorniciata da riccioli grigi, un volto
impenetrabile e sorridente di pellirossa dove non si seppe mai con esattezza
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se leggere il fulmineo senso della realtà e del denaro, la durezza implacabile
del capitalista o, al contrario, il senso della fatuità e vanità del potere, e la
disperata consapevolezza che la vita o si riduce a niente o si trova, irraggiungibile, di là, sempre un passo di là del proprio nome (Aletta copertina di
“Vestivamo alla marinara)”.
Torino ha dato augusti natali. Nel Novecento, per citarne solo alcuni:
Arte, Architettura: Carlo Biscaretti di Ruffia, Alighiero Boetti, Pietro Fenoglio, Roberto Gabetti,
Luigi Mallé, Carlo Mollino, Aimaro Oreglia d’Isola, Carol Rama.
Cinema: Marisa Allasio, Mauro Avogadro, Carlo Borghesio, Franco Cristaldi,
Steve Della Casa, Roberto Faenza, Luciana Littizzetto, Stefania Rocca,
Mario Soldati, Gianluca Tavarelli, Valeria Bruni Tedeschi.
Storia Filosofia: Norberto Bobbio, Alessandro Passerin d’Entrèves, Ludovico Geymonat,
Elémire Zolla, Gianni Vattimo.
Giurisprudenza: Gian Carlo Caselli, Giuseppe Grosso, Gustavo Zagrebelsky.
Giornali, Pubblicità: Piero Bianucci, Giorgio Bocca, Giuliano Ferrara, Ada Gobetti, Gad Lerner,
Ezio Mauro, Armando Testa, Nico Orengo.
Industria: Gianni Agnelli, Giovanni e Giuseppe Bertone, Carlo De Benedetti, Secondo Ercole,
Luca Cordero di Montezemolo, Sergio e Andrea Pininfarina.
Letteratura: Alessandro Barbero, Alessandro Baricco, Guido Ceronetti, Giuseppe Culicchia,
Umberto Eco, Gianni Farinetti, Ernesto Ferrero, Carlo Fruttero, Carlo Levi, Primo Levi,
Paola Mastrocola, Augusto Monti, Margherita Oggero, Nico Orengo,
Maria Luisa Spaziani, Dario Voltolini.
Musica: Salvatore Accardo, Ludovico Einaudi, Massimo Mila, Piero Piccioni,
Alberto Bruni Tedeschi, Felice Quaranta.
Politica: Giuliano Amato, Maria Adelaide Aglietta, Fausto Bertinotti, Mercedes Bresso,
Sergio Chiamparino, Sonia Gandhi, Pier Franco Fassino, Luigi Firpo, Vittorio Foa,
Sergio Garavini, Piero Gobetti, Diego Novelli, Amedeo Peyron, Franco Reviglio,
Giuseppe Saragat, Luciano Violante, Valerio Zanone.
Scienza: Renato Dulbecco, Rita Levi Montalcini e Salvador Luria, Marco Aime,
Piergiorgio Odifreddi, Tullio Regge.
Religione: Pier Giorgio Frassati, Ernesto Olivero.
Sport: Livio Berruti, Giampiero Boniperti, Roberto Bettega, Alessio Boggiatto, Gianpiero Combi,
Alessandro Mazzola, Alessandro Del Piero, Carlo Parola, Vittorio Pozzo,
Spettacolo, Radio TV: Piero Angela, Carla Bruni, Fred Buscaglione, Carlo Campanini, Duo Fasano, Bruno
Gambarotta, Giovanni Minoli, Rita Pavone, Renato Rascel, Nini Rosso, Simona Ventura.
Teatro: Felice Andreasi, Arturo Brachetti, Gipo Farassino, Edmo Fenoglio, Roberto Herlitzka,
Erminio Macario, Emilia Mignon (Milly), Ric Miniggio (Ric e Gian).
D’adozione: Umberto Agnelli, Giovanni Arpino, Felice Casorati, Vittorio Bersezio, Giulio Einaudi,
Nunzio Filogamo, Antonio Gramsci, Natalie Ginzburg, Riccardo Gualino,
Franco Lucentini, Cesare Pavese, Raf Vallone e tanti altri.
I premi Nobel torinesi:
Rita Levi Montalcini,
Renato Dulbecco,
Salvador Luria
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Torino è anche città dai molti “primati” (P. Capra):
Prima Capitale d’Italia, dove, grazie allo Statuto Albertino che riconobbe la
libertà di espressione, nacque il giornalismo italiano attraverso un robusto
stuolo di giornali politici e di opinione.
Città simbolo del volontariato italiano, per il gran numero di persone che
lo praticano attivamente.
Qui nascono il primo francobollo e la filatelia con Bolaffi, la prima gara
ciclistica e la più antica società ginnastica (Magenta) italiani.
Prima capitale del cinema italiano: qui i primi studi cinematografici (Fert),
il primo cinema d’essai (il Romano nella Galleria Subalpina), la principale
associazione cinematografica (l’Aiace), la prima multisala (l’Eliseo) ed è stato
girato il primo kolossal (“Cabiria”).
Nella sede subalpina la RAI ha cominciato a trasmettere i suoi
primi programmi radiofonici e televisivi.
Prima World Design Capital è anche la città italiana con il maggior numero di musei artistici, storici e scientifici e caposaldo
della editoria scolastica più importante d’Italia.
Nella città dei portici, cosiddetta per i suoi 18 km di percorribilità
al coperto realizzati quasi tutti in epoca barocca, il Museo Egizio,
fondato nel 1824, è il primo al mondo per data di fondazione e
secondo solo al Museo del Cairo per l’importanza dei reperti.
La Mole Antonelliana è la struttura in muratura più alta (167,5
metri) del vecchio continente, Piazza Vittorio è la piazza porticata più vasta d’Europa e Porta Palazzo, in dialetto piemontese
Porta Pila, è il mercato all’aperto più grande d’Europa.
A Torino sono nati i grissini, il bicerin, il vermouth, il tramezzino, il gianduiotto e il pinguino, primo gelato al mondo su
stecco con copertura di cioccolato amaro!
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