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1 Numero 2 Mensile - anno primo Data di uscita 17/03/2013 Direzione Editoriale: Salvatore Russo Michele d’Orsi Grafica e impaginazione: Enzo Russo Correzione bozze: Mena di Palma In copertina -f&sf Dreams- di Max Bertolini 2 Pannello di Controllo Quì troverete le istruzioni per poter navigare tra le pagine digitali dell’universo di SB (solo per PDF) Ricordate prima di tutto che si tratta di una rivista interattiva per cui ogni pulsante se cliccato avrà delle conseguenze. I pulsanti sono di 2 tipi 1Premendo su questo pulsante, ritornerete all’Indice 2Premendo su questo pulsante potrete accedere ai siti personali dei cosmonauti Ricordate inoltre che premendo su di un titolo nell’Indice, il click vi condurrà alla pagina interessata. Per qualsiasi domanda o “Idea” contattateci Buona lettura 3 Indice Pag 05 staff Pag 07 I cosmonauti di SB pag 13 Editoriale Pag 14 La strega Pag 17 The beauty & the moster (illustrazione) Pag 18 Amore e morte Pag 26 Steam (illustrazione) Pag 27 Fame Pag 31 Skull (illustrazione) Pag 32 Eterno Pag 44 F&sf Dreams (illustrazione) Pag 45 la cacciatrice di stelle Pag 55 Lupo spaziale (Illustrazione) Pag 56 Giovedì Pomeriggio Pag 61 L’angolo della Recensione Pag 65 Consigli Bizzarri Pag 66 Ringraziamenti Spaziali Pag 67 Nei prossimi numeri 4 Staff Nero Freak Disegnatore, illustratore, creatore di giochi e di mondi. Nato all’inizio degli anni 80 si innamora subito dei primi videogame con cavalieri e draghi sul Commodore 64, e poi dei giochi di ruolo con Dungeon & Dragons e boardgame con HeroQuest. DungeonMaster da 20 anni, come poteva non essere il direttore di questa rivista. Partorisce l’idea di Storie Bizzarre insieme a degli amici disegnatori, stanchi di non essere presi in considerazione da altri editori. L’incontro con Michele D’Orsi e la sua conoscenza del fantastico lo spronano a realizzare il suo sogno. Appassionato di barbari e Robert E. Howard, crede nel potere della Heroic Fantasy e della Sword & Sorcery. Attualmente vive e lavora all’ombra di un vulcano. Indizio: non è il Monte Fato. D’Orsi Michele Non c’è molto da dire. Ho fatto studi classici, iniziato a scrivere poesie a 15 anni, per poi passare alla prosa. La scuola mi è servita soprattutto a ricercare un’altra cultura che non fosse quella “ufficiale”. Ciò mi ha consentito in un primo momento di costruirmi un background del tutto personale e in secondo luogo di riconsiderare gli autori che ci obbligavano a studiare ma con la curiosità del lettore più che con l’oCchioannoiato dello studente. Note personali: riceve visite da strani omini di cartapesta che escono di notte dal frigorifero. 5 Staff Enzo Russo Grafico della rivista e appassionato dello sci-fi in ogni sua forma. Da Asimov a Philip k. Dick. Le sue realizzazioni grafiche e fotografiche prendono forma direttamente dai romanzi letti e dai sogni contorti che accompagnano le sue notti Mena Di palma La correttrice di bozze di Sb -Piatto preferito: Carta -regista preferito: Tarkovskij Lettrice accanita annovera tra i suoi scrittori preferiti William Seward Burroughs e J.C. Ballard 6 Special Guest Max Bertolini Max nasce nel 1967 a Milano, dove tuttora lavora e risiede. Le sue illustrazioni, in cui la figura umana è spesso centrale e accuratamente rappresentata , coprono tutto l’arco dell’immaginario fantastico, dal fantasy alla fantascienza, passando dall’horror al thriller, con estrema facilità. In Italia, Max disegna dal 1993 “Nathan Never”, la testata di fantascienza più famosa e venduta in Italia, della Sergio Bonelli Editore, l’editore di “Tex” e “Dylan Dog”. Dal 2001 è uno dei copertinisti della Eura Editoriale, per cui realizza le covers dei settimanali Lanciostory e Skorpio, mentre dal 1997 trova anche il tempo per insegnare Fumetto e Illustrazione all’Accademia dello Spettacolo di Milano. Per la Mondadori realizza le copertine delle serie “I Gialli”, “Segretissimo” e “I Romanzi” , Sue sono anche alcune copertine di Cd musicali per la Lucretia Records ed Editrice Nord. I suoi lavori sono stati pubblicati in tutto il mondo: Francia, Germania, Stati Uniti, Inghilterra, Spagna, Russia, Cina e Cecoslovacchia, per case editrici come Random House Germany, AST Publisher, Paper Tiger, Games Workshop, MG Publishing e magazine come “Fantasy & Science Fiction”, “Heavy Metal”, “Chinese Fantasy Magazine”. Tra le varie altre collaborazioni, ha lavorato alla realizzazione di loghi per Mediaset, alla campagna pubblicitaria del corso di lingue multimediale De Agostini e alla creazione delle illustrazioni per il sito Asics (Onitsuka Tiger). DIESEL, il marchio d’abbigliamento famoso in tutto il mondo, nel 2004 gli affida la realizzazione di 8 illustrazioni per lanciare la linea d’abbigliamento 2005. Nel 2005 esce anche “REVELATIONS: the Art of Max Bertolini”, per la Paper Tiger, conosciutissima casa editrice inglese specializzata in prestigiosi art book dei migliori artisti di fantasy e fantascienza mondiali. Max é il primo artista italiano a entrare nel loro catalogo. Contemporaneamente in Germania e paesi di lingua tedesca esce “The Art of Max Bertolini”, stampato dalla MG Publishing. 7 I Cosmonauti di SB Berti Flavio Tormentato illustratore e fumettista, conosce Giger in tenera età e ne assorbe la folle poetica. I suoi lavori parlano di incubi e mutazioni da cui trae poesie inquietanti, come “Versi dell’uomo mosca, il poeta dei Morti”. Artista autodidatta impara da solo come raffinare e rifinire le sue opere volta per volta come egli stesso ci dice “Opere ancora sotto forma di Bozzolo” Paul Inno Paul inno, nato a Prato il 4 settembre 1969 giorno ventoso ma con il sole. Si presenta in questo numero con un racconto “che serve come medicina per folli visioni” 8 I Cosmonauti di SB Avella Claudio Nasco principalmente come fumettista, cosa che ad un occhio esperto è alquanto visibile. Dopo aver completato il corso di fumetto presso la scuola Comix di Napoli, ho cominciato a lavorare nel fumetto erotico nazionale e internazionale, per case come la Coniglio editore e NBM. Ho continuato gli studi da autodidatta perché nel disegno, nell’illustrazione e nel fumetto non ci si ferma mai, si è sempre alla ricerca della perfezione. Ho lavorato per la Bluewater production creando biografie a fumetti di musicisti famosi, ho pubblicato, inoltre, qualche illustrazione per editori più o meno importanti. L’ultimo lavoro è un fumetto (grimm universe #2) per la Zenescope Enternaiment, una casa editrice di fumetti americana. Spero di non dimenticare nient’altro di importante. Marco Alfaroli nasce a Livorno nel 1968, vive ormai da anni a Pisa ed è sempre stato affascinato dalla creatività artistica. Ha lavorato come modellista scultore, poi è passato alla grafica digitale realizzando tutti i disegni di un divertente gioco per bambini. Fin da ragazzo la sua passione per la lettura l’ha accompagnato, duellando con il suo amore per il cinema... e alla fine si è messo a scrivere. “Archon” è il suo primo romanzo, di cui, da buon disegnatore, ha realizzato anche le illustrazioni della copertina. È già in cantiere il seguito, intitolato Bhlyss, e una serie di racconti brevi Sci-Fi. Nei suo blog pubblica quotidianamente illustrazioni e fumetti e racconti. 9 I Cosmonauti di SB Diraque P.A.M. Svegliato per caso da una comitiva di pensionati svedesi in visita alle rovine di Teotihuacán, dovetti fuggire da un’urna di cristallo del British Museum dove mi avevano portato, sfondandola con un’ascia celtica esposta nella stessa trasparente prigione. Mi impossessai del corpo del direttore, regalandone l’anima al quinto Signore della notte e da allora abito in una via di Croydon a sud di Londra. Il signor Byrne, il mio anfitrione corporeo, si dilettava a scrivere novelline che leggeva agli amici del Club, tra un bicchiere di porto e una birra scura, mentre i ciocchi di quercia si consumano nel camino di una vecchia arenaria rossa del Galles. Ho continuato le sue abitudini, invero gradevoli. Le novelline che vi propongo sono il prodotto sincretico di una cultura tanto antica che non ho termini attuali per descriverla e la rigorosa formazione classica di un moderno gentleman. Sean Foster Sean Foster, nome d’arte di un autore emergente amante del fantasy, del gioco di ruolo, della storia e della letteratura. I suoi scrittori preferiti variano da David Eddings al più recente Neil Gaiman, autori cui si è ispirato nella stesura di due romanzi ( fantasy e fantasy/storico ) in fase di revisione per poi passare in fase di approvazione da parte del maestro Yoda. Solo ultimamente ha cessato di credersi un witch hunter dell’ambientazione “Warhammer” per dedicarsi completamente alla scrittura, alla stesura di racconti brevi ed alla ricerca, ovviamente in incognito, di discepoli di Tzeentch. Come si evince da questa descrizione, Sean Foster è uno scrittore dalle larghe vedute. 10 I Cosmonauti di SB BAlo Fey Classe 89, studente di Lingue e Letterature con un particolare interesse per il Giappone e la cultura anglosassone. Nerd praticante, svezzato dal Commodore 64 e Atari, ho una particolare passione per i giochi capaci di arricchire il giocatore e andare oltre il semplice divertimento lobotomizzante fine a se stesso (anche se apprezzo anche quest’ultimo). Scrivo di videogiochi sul mio blog: LoSciamanoDellaPigna, cercando di offrire un punto di vista alternativo rispetto alla critica ufficiale, più vicino al consumatore e a chi, come me, apprezza una buona trama o un gameplay innovativo piuttosto che l’ultimo sparatutto di grido. Per Storie Bizzarre scrivo recensioni di giochi bizzarri e fuori dal comune, rigorosamente senza voto numerico, che credo essere un metro banale e controproducente per un media così ampio e variegato. Fabio Orefice Nato a Napoli nel 1979, ottenuto il diploma di maturità classica, comincio con il teatro e, dopo l’Accademia, formo con alcuni colleghi e amici la compagnia de I Palconauti. Ritorno al teatro, dopo alcuni anni di stop, lavorando per la compagnia Tappeto Volante di Scafati. Con I Palconauti realizzo anche un programma su RadioClub’91, “Luci in sala”, di cui sono stato co-autore. Nel frattempo coltivo la scrittura, ricevendo una segnalazione speciale al premio “Fara Nume” di Ostia nel 2006, col copione noir “Fino a prova contraria” e pubblicando nel 2010 una favola musicale intitolata “Ali di Farfalla”, terza classificata al premio Sognando Hemingway 2010. Nel 2009 due mie favole per bambini, “Nel regno di Grammatilandia” e “Di dame, spade e fiori”, partecipano alla mostra benefica milanese Fabularia, dedicata ai bambini ospedalizzati e, l’anno dopo, vengono pubblicate dalla e-press Hyde Park. Ancora nel 2010, il debutto nella fantascienza con il noir “Eyes- l’identità e lo sguardo”, attualmente in riscrittura. 11 I Cosmonauti di SB Luca Della Casa Luca Della Casa è nato a Milano e attualmente risiede in Spagna, dove lavora come visual designer e content editor; scrive racconti e poesie, tradotti in inglese e spagnolo. In questo numero con uno frammento del suo romanzo “De occulta tecnologia” un romanazo che ci catapulta Tra Intelligenze Artificiali e cloni cibernetici, tenebre claustrofobiche e misteriose presenze nella rete; l’essenza cyber-punk sfuma inesorabilmente nell’horror, fondendo l’inumana tecnologia del terzo millennio con le arcaiche filosofie esoteriche del culto per il male. “De Oculta Tecnologia” Edizioni Rockshock.It 12 Editoriale “Non esistono certezze, esistono solo opportunità.” da “V per Vendetta” di Alan Moore Sarebbe bello, nella vita di tutti i giorni, avere certezze. Certezze sul futuro, su quello che facciamo, sul lavoro. Ma nel mondo in cui viviamo queste sono ormai poche. Fuggevolmente però, nell’arco della nostra esistenza ci viene offerta un’opportunità. Storie Bizzarre è la nostra opportunità, una chance per dimostrare che la fantasia che ci ha portato da bambini a sognare mondi fantastici non ci ha abbandonato anzi, può diventare il modo più semplice di comunicare. Questa è l’opportunità che noi offriamo anche a voi, da lettori trasformarvi in scrittori e illustratori. Questo mese ospitiamo in copertina il maestro Max Bertolini, artista internazionale che, per la causa di Storie Bizzarre, ha prestato una sua grande opera d’arte. A noi della redazione è stato chiesto di sceglierne una dal suo sito per la copertina; l’amore che è scoccato con l’immagine scelta è stato immediato. Quanti di voi non rivedono se stessi da bambini, intenti a creare con la mente mondi fantastici, dove si è principi e guerrieri, astronauti e esploratori. Bene, è il momento di afferrare la vostra opportunità, in modo da dimostrare che quel bambino che si affaccia nello specchio vive ancora dentro di voi e condividere con tutti noi i mondi che calpesta, esplora, conquista e regna. Il direttore Salvatore Russo 13 La strega di P.A.M. Diraque I calzari affondavano nel fango del sentiero, la pioggia scorreva sugli elmi e sulle armature, si infiltrava nelle giunzioni, sotto la maglia ferrata, sui muscoli allenati dal combattimento. I mantelli erano zuppi e pesanti, l’aria oscura, la gola tra le montagne sinistra. Il vento si calmò e il comandante del drappello alzò gli occhi affaticati verso le cime aspre delle rocce spezzate, cercando nella caligine la fine del sentiero. L’apertura della caverna era imponente: una cattedrale nera che inghiottiva lo spazio, minacciava il monte, rabbrividiva gli animi. I soldati controllarono le armi, si aggiustarono le corazze, spinsero indietro i mantelli e s’ immersero nell’antro, le spade che puntavano verso minacce misteriose e invisibili. E i guerrieri allibirono. Una luna invisibile disperdeva la sua luce infame, affinché si capisse che l’interno era senza fine. Lo sguardo si smarriva, come nelle notti senza astri. L’ Immensità era stata chiusa nella montagna. Le suole calpestarono le ossa umane e fratturarono i teschi che lastricavano il pavimento sconfinato. La paura si manifestò negli sguardi sbigottiti, nei respiri affannosi, nei sussulti improvvisi. Soffocarono ogni rumore, cercando il nemico con l’udito. Volsero le teste intorno, stringendo gli occhi dietro le celate. Videro la strega che scendeva lo scalone di smeraldo, incedendo maestosamente. La figura sinuosa, imperiale, trascinava in nuvole dorate i veli sottili che bagnavano il suo corpo che allucinava gli sguardi, turbava gli animi, annichiliva le volontà. Avrebbero voluto … avrebbero dovuto … Avvinti dal fascino insopportabile di quella visione che infiammava desideri tanto violenti che l’immaginazione si arrendeva, restarono in attesa, trepidi, le nocche che si imbiancavano sulle 14 else, la carne che si irrigidiva nel metallo. Dal mondo della passione peccaminosa, della lussuria più impudica venne la voce della donna: - Uccidetevi per me! - e fece il gesto compassionevole del sacerdote che accoglie i suoi fedeli timorosi. Crebbe nelle loro vene un furioso odio per i compagni, rifornito dal desiderio implacabile di essere schiavi ubbidienti di quella divinità. A due a due le lame si scontrarono, le scintille segnarono l’aria opprimente e le urla di battaglia si mescolarono al sordo schianto del ferro che cedeva, del tormento gridato di chi moriva, del sussurro sanguinoso della carne lacerata. E, dilaniato l’avversario, ognuno rinnovò il duello. E ancora, ancora … Gli ultimi due guerrieri, ansimando, sguazzando nel sangue dei caduti, retti dall’energia che dà il livore, rinnovarono il combattimento. Entrambi avevano ucciso per anni campioni della guerra, avevano lottato nelle steppe aride dell’Asia contro barbari selvaggi, avevano ricoperto di cadaveri le spiagge nere dei regni del Nord, gioito dell’attacco a rocche assediate, massacrato le schiere prezzolate dei Principati mercantili. Si erano divisi il pane secco e l’acqua putrida, si erano fasciati le ferite dei pugnali e i fori delle frecce. Si erano protetti reciprocamente nel tumulto di mille battaglie. Avevano cantato insieme, sotto le tende, alla vigilia degli scontri e pregato in coro gli dei oscuri della morte, perché fossero compassionevoli con chi avrebbe varcato la soglia buia del loro regno. Così, uno morì, il fianco squarciato da una sciabola che tante volte l’aveva protetto. L’ultimo soldato si inginocchiò, si sfilò l’elmo ammaccato e sciolse l’armatura spaccata. Si appoggiò su un braccio, sputò sangue e disse: - Ho vinto, per te! Quella visione lancinante parlò, con il tono dolente di chi riceveva un torto oltraggioso: 15 - Non sei morto per me! – L’ultimo uomo si terse il sudore dagli occhi e volle compiacersi dello sbalordimento soffocante di quella bellezza inumana. Erano stati raccolti eccellenti combattenti, addestrati per uccidere chiunque ed erano stati sconfitti. Abbattuti e annichiliti come una fiammella che cade nell’Oceano oppure una goccia di rugiada di fronte a una valanga. Lei era protetta da uno scudo più duro dell’adamàntio degli dei, più impenetrabile del profondo dei cieli. Era protetta dalla sua impossibile bellezza. Essa era il suo generale invitto, la sua schiera indomita, la sua fortezza inespugnabile. Si uccise, gettandosi sul moncone della sua spada assassina, contento. 16 The beauty and the monster di Claudio Avella 17 Amore e morte di Luca della casa Ci ho provato, annaspando, arrancando, infine ho perso la presa ed è ricominciata la caduta nell’oscurità gelida. Il suo volto disperato si allontana. Persa per sempre. La storia della mia vita fatta di grandi occasioni, tutte irrimediabilmente mancate. Niente paradiso, dunque. Il riposo sarebbe bastato. Riposo eterno, per i disgraziati come me e il mio amore, sepolti nell’eterno rimpianto. I sotterranei del Lounge Lizard ricordavano l’astronave Solaris, quella descritta da Lem, nella quale il disordine mentale trionfava su ogni logica organizzazione tecnologica. Cavi, amplificatori e proiettori laser. Parti meccaniche e lamiere contorte incrostavano i neri muri ricoperti di condensa. Una moltitudine di monitors al plasma riversava immagini di sesso, orrore, arte deviante, news e violenza sulla folla d’avventori pigiati nel salone. Martellanti samples elettronici rimbombavano sotto l’alta volta di cemento armato, mentre le ragazze in lucido latex color rosso sangue, dietro il bancone di titanio, servivano da bere nei vapori fluorescenti. Nonostante il luogo non mi dispiacesse, non riuscivo a scrollarmi di dosso la mia perenne sensazione di disagio. In realtà non mi trovavo bene da nessuna parte. Cominciavo ad avere la certezza di essere un componente difettoso. Un prodotto di serie con qualche mal funzionamento strano. Però, a quanto si diceva nei network, non ero il solo con la testa imbottita di domande. Forse era per questo che i locali come il Lounge Lizard, ritrovo d’emarginati, estremisti e traffici illegali, erano in aumento. La polizia ne chiudeva uno, altri ne spuntava18 no, come funghi velenosi figli della pioggia acida. Al Lounge Lizard c’era in corso una sorta di festa Horror. Molti degli avventori portavano costumi sospesi tra lo stile fetish e la celebrazione di Halloween. Il locale era stracolmo, con la musica assordante e velenosa, come d’abitudine. Tutti sembravano spassarsela. Un’enorme olografia con scene sintetizzate dal Dracula di Coppola scendeva, digradando come una cascata multicolore, sulla ressa frenetica. Mi appropriai di uno sgabello presso il lucido bancone metallico e chiesi una birra alle cameriere esagitate. Una biondina mi porse, con un distorto sorriso da stimolante, la pinta di birra. Poi mi fece le boccacce, ci conoscevamo di vista. Sembrava su di giri. Doveva avere una ventina d’anni. Dietro l’aspetto emaciato e il pesante trucco da film Horror, non era per niente male. La scarlatta tenuta in lattice sintetico la rivestiva come una seconda pelle, risaltandone le forme attraenti. – Che fai dopo? – Domandò la barista. – Smaltirò la sbronza, credo. – Non mi sembri troppo partito – dichiarò passandomi l’indice sui capelli grigi delle tempie – Non ancora, ma vedrai tra un po’ che roba! – Cazzo, e io che volevo fare i numeri con te stanotte – Lascia perdere, non credo che mi si rizzerà. Lei allargò le braccia sconsolata e si diresse sculettando a prendere le ordinazioni dalla parte opposta. Presi un’altra birra, respirai una profonda zaffata d’ossigeno puro e alcool nebulizzato dal dispensatore gentilmente offerto dalla casa, poi mi alzai dal bancone per fare un giretto nella sala. Conoscevo un po’ di pazzi tra i presenti. Ne salutai qualcuno. 19 Hi-five, pollice in alto, pugno contro pugno… Insomma l’intero repertorio di cazzate. “Tutto a posto? … Come butta? ... Non c’è male, ci trasciniamo amico, ci trasciniamo nel liquame”. Infine mi sedetti a terra tra il groviglio di corpi, appoggiando la schiena al muro di monitors. Mi lasciai trasportare dalla musica e dalla proiezione composita della caduta libera, dal puzzle dell’umanità nel baratro della decadenza. Infine venne la camerierina bionda ed emaciata, col suo maquillage Emo e la tutina sexy. Aveva in mano una bottiglia di Scotch di marca. – Credevi di sfuggirmi, papi? – Disse prendendo posto al mio fianco. – Sei una bella testarda tu, eh?– Sono una cagna che non molla la presa facilmente. – – E come fai di nome? – – Genny! Tu invece ti chiami Marco e sei mezzo spagnolo, giusto? – Sei bene informata, vinci un sigaro. – Sii, ma che sia lungo e tosto come piace a me – rispose sfilandosi le scarpe col tacco a spillo. Aprì la bottiglia, tracannò una lunga sorsata e me la passò. – Offre la ditta? – Domandai. – Già, la premiata ditta gola profonda! – Era simpatica la biondina. Parlammo urlandoci nelle orecchie, per superare il volume della musica. – Mi sembri giù di corda. – Azzardò a un certo punto. – Le cose non girano per il verso giusto – – Capitano a tutti i periodi di merda – A me capitano troppo spesso. Sono una specie di calamita per le rogne. – Proclamai dopo avere buttato giù un bell’ingozzo di 20 liquore. Alla fine mi persi nei suoi occhi verdi. Rapito dalle sue labbra porpora, in tinta col vestito. Gran cosa le donne: non c’è niente di meglio per sentirsi vivi, per tirare avanti. Decisi di dimenticare le grane per un po’. Genny mi montò in grembo a cavalcioni. Tirò giù la cerniera lampo e scoprì le tette. Mi guardò dritto negli occhi e socchiuse la bocca, invitante. Baciai, morsi quelle labbra sbavate di rossetto. Quel collo esile, le orecchie minute coperte di orecchini. Frugai sotto la gonna, sondai con le dita le mutandine di newtex lisce come cellophane. – Cazzo come scotti, ma hai la febbre? – Domandai – So solo che ho una gran voglia, sono tutta bagnata … – Ansimò. Eravamo in mezzo alla gente ma nessuno faceva caso alle nostre manovre. Qualche coppietta qua e là, si dava da fare allo stesso modo. Frattanto, in mezzo alla pista aveva luogo un mosh infernale nel quale i corpi si avvinghiavano in una gigantesca mischia a tempo di musica. Slacciai le stringhe del suo corpetto e le liberai i seni, presi a baciarli. Genny s’impossessò della patta dei miei pantaloni, calò la lampo. Ce l’avevo bell’e duro come la pietra. – Non avevi detto che non si sarebbe rizzato … – Merito tuo ragazzina. Le abbassai le calze di nylon. Spostai di lato le mutandine. Era bagnata, calda e invitante. Glielo misi dentro. – Questo è un fottuto altoforno! 21 Poi mi alzai in piedi, la sollevai di peso e la misi contro il muro. Genny mi cinse i fianchi con lunghe gambe nervose. Mi tirò per i capelli. Io badai unicamente a ficcarglielo in corpo. Spinsi a fondo. L’arpionai tenendola contro la parete. Fu percorsa dai brividi, da capo a piedi. Parve una belva presa in trappola. Lo facemmo contro il muro, con la luce strobe e la musica devastante nelle orecchie. – Come sei buona Genny! – Oh Marco… – Sussurrò – Fammi male! Era fuori di sé, glielo spinsi più su che potevo, si dimenò come un pesce preso all’arpione. Roteai i fianchi, lei guizzò come i salmoni che risalgono la corrente. Lo facemmo come si doveva: lentamente e ben a fondo, per interminabili istanti eterni. – Sto avendo l’orgasmo più lungo della mia vita. – Proclamò alla fine, sbattendo la testa come un burattino impazzito. A me mancarono le parole. Piacere reciproco, Pensai. Ci sedemmo a terra esausti. Genny si accese una sigaretta, me la passò, feci un paio di boccate, tossii nel solito modo asinino e gliela riconsegnai. Allora afferrai la bottiglia. – Con le bibite va meglio – dichiarai dopo avere inondato il gargarozzo di whisky. Credetti di sentirmi quasi bene. Se non altro per un po’ m’ero scordato degli incubi. Che si fottessero la Chiesa Nera e la Outright inc. Genny crollò lì per terra. Si rannicchiò su se stessa e prese a dormire della grossa. 22 Poi, un ragazzo coperto di brufoli venne oltre. Lo conoscevo: mi aveva procurato dei componenti rubati per Electra. – Ehi Marco, c’è una tipa qua fuori, un gran bel pezzo di sorca che vuole vederti – – Cos’è, mi prendi per il culo microbo? – Oh no, eravamo lì fuori a fumare, è venuta lei, ci ha chiesto se ti conoscessimo. Ci ha allungato un bel pezzo da venti per venirti a chiamare. - diede di gomito al suo amichetto – È vero, o dico stronzate? L’altro annuì. – È vero, cazzo, un gran bel pezzo di sorca! – La conoscete? – No, mai vista prima – Rispose il foruncoloso, convinto. Baciai Genny sulla bocca, non parve accorgersi di nulla: era partita per la tangente. Imboccai l’uscita scansando i corpi dei frequentatori del Lounge. Avevo uno strano presentimento. Niente di buono. Mi recai in strada. Era quasi l’ alba. Cercai per un poco. La intravidi, una ventina di metri più in là. La responsabile del servizio di sicurezza Outright in persona. L’ interprete dei miei incubi, in carne e ossa. Mi diressi verso di lei. Se mi fai girare le palle stanotte ti metto sulle ginocchia e ti faccio il culo a strisce. Pensai. Se ne stava appoggiata ad una grossa BMV, di quelle appena sfornate. Con fare indolente. Braccia conserte, pantaloni aderenti e giacca in costosissimo cuoio nero. Aveva il potere di scatenare tutta la mia antipatia, tutto il mio odio nei suoi confronti. Sentimento forte, l’odio, proprio come l’amore e il desiderio. La luce gelida dei neon illuminò le morbide curve lucenti della vettura. Le morbide curve lucenti dei suoi seni, dei fianchi, delle 23 cosce. Lei e la macchina sembravano prodotti dalla stessa fabbrica, i manufatti degli stessi robot. - Maledetta strega. Ora ti accomodo io – Grugnii. Ero ubriaco, senza energia. Barcollai. Dovevo aver l’aria di un babbuino stupido. Improvvisamente uno spostamento d’aria enorme, accompagnato dalla vampata di calore e dal boato di un’esplosione assordante, mi sollevò da terra trascinandomi a velocità folle nel vuoto. Ricaddi rovinosamente sul selciato, giusto ai piedi di Gertrud Lilith. Ero paralizzato. Volsi la testa verso il Lounge Lizard. Non potevo credere a miei occhi: quei maledetti assassini l’ avevano fatto saltare in aria. L’ odore di plastica bruciata, l’ assordante crepitare del fuoco, il lamento dei feriti, le sirene d’ allarme impazzite. Qualcuno cercò di salvarsi correndo in preda alle fiamme per poi stramazzare esanime dopo pochi passi. – Genny - Pensai prima di scivolare nell’ oscurità. A chi non è successo di svegliarsi di colpo con l’impressione di piombare nel nulla? Ecco: il mio problema era quello di non riuscire a ridestarmi e perciò continuai a cadere. Sembrava che non mi sarei mai più arrestato ma alla fine due piccole mani fermarono il mio volo. Era Genny. Sembrava in forma, non più male in arnese come prima, più energica e indiscutibilmente carina. Il suo volto era raggiante e il pallore della morte aveva abbandonato le sue gote. - Forza amore - supplicò - un piccolo sforzo e sarai salvo. Rimar24 remo insieme tu e io, per l’eternità -. Ci ho provato, annaspando, arrancando, infine ho perso la presa ed è ricominciata la caduta nell’oscurità gelida. Il suo volto disperato si allontana. Persa per sempre. La storia della mia vita fatta di grandi occasioni, tutte irrimediabilmente mancate. Niente paradiso, dunque. Il riposo sarebbe bastato. Riposo eterno, per i disgraziati come me e il mio amore, sepolti nell’eterno rimpianto. 25 Steam di Flavio Berti 26 Fame di Marco alfaroli Erano loro. Li vidi entrare nel parcheggio sotterraneo semidistrutto, me ne stavo nascosto tra le lamiere contorte e le macerie del soffitto crollato. Sbavai appena li vidi, erano in quattro. Grugnii agli altri torcendo la testa, articolavo male i miei movimenti. Dal buio molti occhi fulgenti mi risposero. Avevamo fame. Io avevo più fame di tutti, ero il capo e dovevo mangiare per primo. C ‘era carne fresca davanti a noi, carne fresca e sana. Tutti insieme uscimmo dai nascondigli; spostavamo casse abbandonate in quel disastro, fusti di chissà cosa che chissà per quale motivo erano lì. Tubazioni pendenti dal soffitto e altre schifezze che ci intralciavano. Urlando in modo inumano, andammo avanti. Loro ci videro, vidi le loro facce terrorizzate dare l’allarme; erano due uomini e due donne, iniziarono a scappare. Uno di loro aveva un’ arma, prese a sparare verso di noi. Fui colpito per primo, i colpi mi trapassarono ma non sentii nulla, vidi solo schizzare brandelli della mia carne marcia per terra, di sicuro fuoriusciti dai fori. Non potevano uccidermi: ero già morto. Trascinandomi a fatica avanzai, dovevo raggiungerli. Gli altri mi affiancavano. Le braccia protese in avanti con le mani ridotte ad artigli. In cerca di una preda. Di un corpo da smembrare. Quello col fucile inciampò. Cadde a terra perdendo la sua arma. Io riuscivo a ragionare sempre meno, imprigionato nella mia carcassa in decomposizione. Vidi che era a portata di denti e la frenesia mi prese, accelerai il passo. Il passo pesante di uno zombi. Ci avventammo sull’ umano caduto al suolo, senza preoccupar27 ci dell’altro col fucile a pompa. Le due donne, invece, si erano fermate dietro di lui e strillavano. Il boato del colpo di fucile scosse tutti, me compreso, anche perché fu il mio braccio ad andare in briciole. Mi guardai lento la spalla. C’era rimasta solo quella e non avevo sentito niente. Ormai gli erano addosso, cominciarono a morderlo e lui urlò di dolore. Il sangue schizzò copioso, io lo guardai. Se fosse solo morto sarebbe diventato uno di noi. Ma erano in troppi sopra, non ne sarebbe rimasto molto. Probabilmente niente che avrebbe potuto camminare. Un secondo colpo di fucile a pompa. La testa dello zombi davanti a me, esplose. Il suo corpo rovinò a terra, ma si muoveva ancora. Così ridotto era cieco, e nessuno di noi l’ avrebbe aiutato. Il lago di sangue in cui giacevano i resti della preda che avevamo raggiunto, ci fece perdere l’ultimo barlume di ragione: volevamo anche gli altri. Se ne resero conto, ci voltarono le spalle e presero a correre. Vomitai mentre li inseguivo, rimasi agganciato a un ferro che fuoriusciva da un pilastro e un pezzo del braccio che mi era rimasto, ci rimase attaccato. Ma tanto non sentivo niente. Come avrei voluto sentire qualcosa ... e come avrei voluto ribellarmi al mio istinto. Non potevo. Non ricordavo chi fossi. L’unica cosa che contava per me era mordere e contaminare chi era sano. C’era qualcosa in me che me lo ordinava. Qualcosa che c’è ancora. Arrivarono in un angolo cieco del parcheggio. Erano in trappola. I grugniti dei miei compagni echeggiarono in segno di vittoria ed anch’ io pregustai avidamente il pasto. I loro volti pieni di paura ci ingannarono, una delle donne aprì 28 una porta. Nessuno di noi si era accorto che ci fosse. Entrarono tutti e chiusero. Con rabbia ci avventammo su quella porta ma era solida, inscalfibile, invalicabile. Mentre gli altri graffiavano e mordevano quella barriera, mi voltai torcendo lentamente la testa. Altri uomini erano arrivati e non li avevamo notati. Avevano delle bombole a spalla e impugnature collegate con un tubo da cui balenavano piccole fiammelle. Lanciafiamme. Urlai per avvertire tutti del pericolo, ma ormai eravamo noi in trappola. Il fuoco illuminò e avvolse tutto. Percepii solo la luce intorno a me. Non potevo sentire il calore e neppure il dolore. Potevo solo bruciare e così fu. Per tutti noi. Il buio assoluto mi sommerse. Ero finalmente libero? Ero un non-morto, morto? Non so quanto tempo sia passato. Lentamente mi sveglio. Uno zombi non si risveglia, semmai si rianima. Non so descrivere la mia sensazione, ma mi rendo conto di essere legato. Su un lettino. Loro sono tutti intorno e si sono accorti che mi sono ripreso. Torco la testa e vedo il mio corpo bruciato. Non è tanto peggiorato in fondo, è solo abbrustolito. Mi agito, ringhio, sbavo, ma sono impotente così legato. Stanno facendo qualcosa su di me. Hanno siringhe, alambicchi, attrezzature mediche. Forse cercano una cura. Forse l’ hanno trovata. Forse possono curarmi. - Può funzionare dottore? - Non lo so, ma ho isolato il virus che mantiene la vita in questi mostri. Proveremo su questo e se riesce a spegnerlo avremo la nostra arma. 29 No, no... vogliono distruggermi. Vogliono... Un liquido verde mi arriva addosso, spruzzato da non so cosa; sento le forze che mi abbandonano. Sento sempre meno il mondo intorno a me... non sento più niente. 30 Skull di Flavio Berti 31 Eterno pt#1 di Sean Foster Il rumore dei loro tacchi rimbalzava sulle pareti assestanti, come lo avrebbe fatto una scura pallina di plastica in una stanza quadrata, adorna di spogli muri bianchi macchiati dal tempo e dagli aloni d’umidità che si spandevano sul soffitto, come lo avrebbero fatto le radici di una quercia su di un fertile terreno chiaro. I bambini non erano inquieti quel giorno, pensavano che sarebbe stata una semplice ed allegra gita a trovare i nonni, in ospedale a causa di una leggera tosse che, tuttavia, per non degenerare aveva bisogno di essere curata nel più meticoloso dei modi; in un’apposita struttura medica. - Dovrebbe essere questa. - Le parole uscirono dalla bocca della giovane donna con timore ed ansia ma senza abbandonare fermezza e rigore; suo padre era stato ricoverato da poco insieme alla madre per un tumore terminale ed i medici, da ciò che avevano lasciato capire poco prima al telefono, non auspicavano buone notizie - Almeno così penso. - Concluse esitando sull’opaca maniglia d’ottone con la mano avvolta dall’abbraccio di un morbido guanto di pelle di renna. L’uomo, che la seguiva, si chinò sulle ginocchia per dire due parole ai bambini, dopodiché si portò dietro la moglie, le cinse la vita con un braccio e portò la mano libera su quella della compagna, incoraggiandola sopra la maniglia - Adi, cara, dietro quella porta non c’è niente di più rispetto a ciò che già sai. - Sorrise mostrando i denti bianchi parzialmente nascosti dai peli dei lunghi baffi neri che gli scendevano lateralmente fino al mento. Lei, continuando ad opporre resistenza con il braccio per non aprire ancora la porta, annuì e ricambiò il sorriso in un breve istante di lucida consapevolezza che portò la sua mano a spingere la maniglia verso il basso. Il corridoio era vuoto, le pare32 ti erano verdi e spoglie se non per qualche quadro inespressivo che faceva sfigurare ancora di più le tavole d’anatomia e gli avvertimenti sanitari racchiusi in sottili cornici di vetro lucido. Non un rumore poteva essere udito se non i fischi ed i corti suoni elettronici di macchinari accesi, intenti a tenere in vita i pazienti nel reparto d’ospedale di terapia intensiva; pesanti bombole d’ossigeno, flebo ed altre strumentazioni che un bambino non dovrebbe vedere. Effettivamente sarebbe corretto dire che i bambini non sarebbero dovuti essere presenti, ma la madre aveva insistito con il capo reparto per fargli vedere un’ultima volta il nonno; da quello che era riuscita a dedurre dalla breve chiamata dell’ospedale, suo padre, come la madre, erano entrati in uno strano stato di piena coscienza nonostante il cancro fosse arrivato a stadi impossibili da arrestare. - Venite bambini e mi raccomando di non fare caso a quello che sentite, qui le persone vengono per riposare ed alcune tendono a lamentarsi. - Aveva redarguito Adia, scompigliando i biondi capelli dei figli ed inarcando visibilmente le labbra rassicurandoli. - Se vengono qui per riposare perché si lamentano, mamma? Aveva domandato Ambra, la più piccolina, spalancando i grandi occhioni azzurri per la curiosità e facendo eco nel corridoio con la sua vocina alta. La donna guardò verso il marito che aveva impercettibilmente aperto le braccia - Silenzio, tesoro, qui la prima regola è il silenzio. - Le aveva risposto lei mettendole il dito indice sul naso per poi porlo davanti alle labbra rosee e guardare Augustin, il figlio più piccolo di circa sei anni, che mettendosi entrambe le manine guantate di lana davanti la bocca annuì. La famiglia mosse i primi passi all’interno del corridoio dell’ospedale, la luce delle piccole e tonde lampade fissate al soffitto si 33 rifletteva esile sulle mattonelle in marmo del pavimento a scacchiera bianca e nera; luccicando tal volta quando ancora umide di detersivo. I loro nasi si arricciarono per via dei forti odori che riuscivano a percepire: alcol, iodio, ammoniaca, disinfettante ed un debole aroma chimico di limone che proveniva dai bagni socchiusi, dove un mocio ed un secchio colmo d’acqua lasciavano intuire che fossero in atto le pulizie pomeridiane. Una sola finestra dava verso l’esterno ma la tendina di stoffa cadeva davanti, pesante sul parapetto interno come le pene che affliggevano chi era costretto in quei letti anonimi, plasmati da troppa solitudine. Andando più avanti passarono le stanze numero tre e sei sulla sinistra, per arrivare quindi alla nove, subito davanti alla stanza degli infermieri, dove la porta accostata lasciava a malapena sfuggire la bassa voce del giovane capo reparto in carriera intento a discutere questioni d’ospedale con gli infermieri di turno. I quattro si fermarono davanti la porta della stanza numero nove, papà Jason sistemò le giacche a vento dei due pargoli ed il cappellino in lana rossa sulla testa del maschietto per poi rivolgersi alla moglie - Entriamo prima noi, poi, se sarà il caso, faremo entrare anche i bambini. - Propose. - No. - Aveva sentenziato Adia fissando il numeretto in plastica nera sulla porta che aveva davanti - Entro io, non voglio che i bambini restino qui fuori da soli, poi verrò a chiamarvi. Non lasciò il tempo al marito di controbattere che spinse la porta, priva di maniglia, verso l’interno ed in un corto cigolio entrò all’interno della modesta stanza. La luce era molto fioca e filtrava giallastra attraverso i rami di un’alta quercia che sporgeva davanti al finestrino in volumetrici raggi che si spandevano sulle tendine giallo sbiadito davanti al vetro; anche quelle verdi pareti erano spoglie se non per l’alone bianco lasciato dalla forma di 34 un probabile crocifisso ed un armadietto azzurro posto vicino al bagno privato. Stesi sul letto c’erano i suoi genitori, lui la fissava con i suoi occhi azzurri ed un debole sorriso sopra la folta barba ancora bianca che scendeva fino al petto. Per sua espressa volontà non era stata tagliata, essendo quello un ospedale privato nessuno avrebbe potuto troppo opporsi alla rigida decisione di un vecchio terminale. Lei sembrava dormire, attaccata al respiratore, con due flebo, stesa sul lettino ed avvolta da bianche coperte sembrava l’ombra di ciò che nella realtà rimarrebbe di una principessa delle fiabe: i lunghi capelli bianchi le incorniciavano il volto magro ma elegante, le palpebre chiuse truccate con un leggero ombretto color carne scura avevano deboli tremiti, le mani con le unghie ancora curate erano incrociate sul petto che si alzava e si abbassava regolarmente sospinto da un tubo trasparente che finiva con una mascherina davanti la sua bocca chiusa. Il vecchio fece forza sugli avambracci e portò la schiena in maniera più eretta sullo schienale del lettino inclinato, si tolse il respiratore e la figlia ebbe un sussulto che lui si affrettò a fermare mostrando il palmo della mano sinistra - Non preoccuparti, tesoro... - Parlò con voce saggia ma roca, tarata dal tempo, le rughe ai bordi degli occhi si accentuarono quando sorrise ed i suoi baffi confusi nella barba sembrarono simpaticamente allargarsi - Non mi serve davvero, riesco a parlare ma quando dormo i dottori dicono che ho difficoltà respiratorie. - Cercò invano di rassicurarla. Adia aveva posto entrambe le mani sulla giacca di pelle marrone strette davanti al cuore. - Hai visto? - Continuò lui tentando di nascondere una fitta di dolore al torace - Ogni mattina, quando mi alzo, la trucco e le do un bacio sulle labbra. Dopo sessantasette anni ancora qui, 35 hanno provato ad impedirmi di alzarmi ma ho il diavolo in corpo, io, non saranno quattro pavoni a fermarmi. - Si sporse sul lato destro del lettino e portò il braccio tremante su quello della moglie, stringendo delicatamente il suo pugno intorno all’esile avambraccio di lei - Sorride quando la trucco, quando riesce a parlare dice che vuole essere bella per me e per il ballo di domani. - Inspirò profondamente guardandola quasi con rimpianto - Il suo oggi è sempre il suo domani. - Carezzandola con la dolcezza di chi per la prima volta abbraccia la sua amante. Adia si costrinse con anima e corpo a mantenere la dignità ed a non mostrarsi debole - Papà, io ho portato i bambini.- Si morse il labbro inferiore trattenendo una lacrima e le cadde l’occhio sull’elettroencefalogramma della madre, debole ma ancora pulsante - Pensi sia il caso di... - Assolutamente si, voglio salutare i miei nipoti. - Decretò quello con fermezza. Lei annuì ed uscì dalla stanza senza pronunciare una ulteriore parola. Si chiuse la porta alle spalle e si sforzò di apparire tranquilla sotto lo sguardo interrogatorio del giovane marito - Venite bambini, la nonna dorme per cui non parlate ad alta voce, non svegliate il nonno e per qualsiasi cosa correte a chiamarmi. - Disse loro chinandosi sulle ginocchia coperte da neri pantaloni di seta e facendo ricadere i lunghi capelli sulle cosce. - Foglia di primavera, io non so se... – Jason aveva provato ad interromperla ma lei si rialzò immediatamente e con fermezza - Nella vita ho imparato tante cose, Jas, e tra queste che non voglio negare ai miei genitori di vedere i loro nipoti, come vorrei che i nostri figli non lo negassero a noi. Le mani alzate dell’uomo si scontrarono per un istante con il cellulare che usciva dalla tasca del suo cappotto facendolo rientrare nello scompartimento adeguato, cercando di sottrarsi al 36 confusionario ragionamento della moglie ed abbassando la testa - Non sono nella posizione di mettere bocca. Lei abbassò lo sguardo e lo abbracciò - Scusami tesoro... – L’altro l’aveva cinta con entrambe le braccia e le aveva carezzato i capelli - Non c’è problema, foglia di primavera. - La sciolse dalla stretta e le prese il mento tra il pollice e l’indice - Vuoi entrare con loro o preferisci parlare con i medici? Aida scosse la testa - Vorrei che io e te andassimo a parlare con i medici. Lui annuì. - Forza bambini. - Batté pacatamente le mani la mamma - Andiamo a trovare i nonni e ricordate: niente domande sul posto dove stanno altrimenti il nonno si arrabbia. La bionda figlioletta inclinò la testa sprofondando nella soffice sciarpa di lana bianca - Perché? - Perché te lo dico io, tesoro. - Severa. - Va bene, mamma. - Parlò il pargolo più piccolo incrociando le dita davanti le labbra per poi baciarle in un sonoro schiocco - Pesciolini nella bocca. Lei abbracciò i bambini, poi aprì la porta - Salutate il nonno. Sorrise ed i due piccolini agitarono silenziosamente le manine. - Eccoli. - Esclamò stancamente il nonno allargando di poco le braccia e cercando di nascondere nelle maniche gli aghi delle flebo - I miei due cavalieri senza nome. - I due quasi esplosero di gioia sentendosi chiamare così e guardarono la mamma che gli fece cenno di andare. Adia rimase un breve istante a guardare, fermando quell’immagine nella sua memoria come una macchina fotografica avrebbe catturato su nuova carta la stessa scena già vissuta in tempi andati. Aveva chiuso nuovamente la porta alle sue spalle ed era uscita dalla stanza a volto basso ma con le labbra inarcate verso l’alto, mentre la mente era persa nei 37 ricordi. - Come stanno? - Chiese Jas. Lei non riuscì a rispondere, si morse il labbro inferiore tinto di rosso - Andiamo a parlare con i medici. - Venite, venite qui sul lettino di nonno. - L’anziano uomo aveva chiamato i bambini battendo due colpetti sul materassino coperto da pallide lenzuola azzurrine, i due giovanotti si erano guardati e senza fiatare si erano mossi in coordinazione prendendo uno una sedia e l’altro usufruendo della stessa per salire ed aiutare l’altro a fare lo stesso. La piccola Ambra si guardò intelligentemente intorno e con spiccata curiosità inclinò la testa da una parte e poi dall’altra facendo battere un fioco raggio di luce sul suo guancino candido - La nonna dorme? - Domandò poi con disinvoltura ma protendendosi verso il nonno nel tentativo di parlare con il tono di voce più basso possibile. Il vecchio Ulrich arricciò simpaticamente le labbra e spalancò le palpebre facendo saettare gli occhi prima destra e poi a sinistra, aggrottò la fronte e come a voler confidare un segreto annuì provocando deboli e coperte risatine nei due nipoti. Rise un poco insieme a loro, tossì avendo ben cura di coprirsi la bocca con la mano ossuta e sorrise - Come state bambini? - Aveva domandato rilassando i muscoli del volto. Augustin tirò su le spallucce per poi riabbassarle - Bene, nonno, grazie. - Tirò distrattamente su con il naso ed una piccola gocciolina di condensa gli si formò sulla punta dello stesso, come la mamma gli aveva insegnato prese il fazzolettino di stoffa azzurra dalla tasca del cappottino e si pulì - Te come stai? Il nonno fece per rispondere ma la piccola s’intromise prima Perché sei qui? - aveva chiesto domandando con sfacciata prontezza ed ovvia disobbedienza - Perché ci sono tutti questi com38 puter qui? e tutte queste cose strane? - Ci pensò su un centesimo d’istante che passò come un granello di sabbia cade in una clessidra di vetro lucido e sfavillante - E perché non ci sono disegni qui? Perché ci sono questi tubi strani? Ulrich aveva già cominciato a scuotere la testa alla prima domanda ed all’ultima sembrava fosse uno di quei giocattoli di plastica chiamati bobble head - Perché? Perché? Perché? Perché? - Le fece il verso cercando di imitarla ma fallendo nel vano tentativo, seppur riuscendo nuovamente a far ridere i due - Perché invece non mi raccontate di voi? - Chiese alzando le sopracciglia ed aprendo ancora più scenicamente gli occhi. I due piccolini si guardarono e fecero spallucce - A scuola andiamo bene e Augustin ha fatto un sacco di amicizie questo mese. - Spiegò perspicacemente la piccola sapientina - La maestra ieri mi ha detto che sono bravissima e alla verifica su storia ho preso distinto. - Si atteggiò stringendo le labbra ed annuendo nell’enunciare all’anziano nonno quanto lei fosse brava. - Ci racconti una storia? - Aveva poi improvvisato il giovane Augustin facendo dondolare le gambe fuori dal letto mentre la sorellina aveva cura di tenerlo in vita affinché non cadesse. La domanda era suonata così voluta e spontanea, detta più con gli occhi desiderosi di apprendere che con le semplici parole, che non riuscivano neanche marginalmente ad esprimere la voglia di sapere del bambino. Il suo era un mondo fatto di colori e nuove sensazioni, le parole si mischiavano solo a queste, dandogli modo di esprimersi per permettere agli altri di comprendere parte di quel concetto che avvolgeva il piccolo in centinaia d’esperienze ogni giorno mai provate. Libri bianchi che altro non aspettavano di essere scritti con tinte quali solo l’ingenua mente priva di preconcetti di un bambino sapeva tracciare. L’altra annuì. 39 - Una storia... - Rifletté ad alta voce il nonno. Si girò verso la moglie e gli cadde l’occhio sul suo encefalogramma, guardò fuori dalla finestra ed infine all’anello che lei portava al dito anulare: una fede celtica acquistata in Irlanda durante gli anni sessanta . Portò nuovamente lo sguardo fuori dalla finestra - Forse è ora di una vera, storia. - Sospirando profondamente ed irrigidendo i lineamenti del volto. Si girò nuovamente verso i nipotini che lo guardavano ansiosamente e desiderosi di ascoltare - Avvicinatevi - Disse lui mostrandosi felice - Vi racconterò una storia che non avete mai sentito. Loro si avvicinarono strusciando sulle coperte, lui guardò verso l’orologio e decise di farsi forza - Allora. - cominciò - Tanti, ma veramente tanti, anni addietro in un mondo che noi non conosciamo e non abbiamo mai conosciuto... - Perché? - Chiese la giovane. - Ssst, non interrompere. - La fermò subito il fratellino poggiandole una mano sulla gamba e mettendo il broncio. Lei alzò gli occhi al cielo e sospirando - Continua, nonno, scusami per averti interrotto. - disse. Lui annuì, - Grazie cavalier Ambra - scompigliandole i capelli ed evidenziando per lo sforzo i muscoli del braccio destro, ancora parzialmente delineati da tanti anni vissuti a praticare le molte arti apprese. - Come vi stavo dicendo... - riprese - In questo mondo c’era un giovane mago, si chiamava Lasar, ed aveva preso carico di una delle più gravose missioni che avesse preteso l’imperatore di Antora, una delle più grandi terre che delineavano i confini del continente più grande che quel mondo avesse mai visto; in lingua antica si chiamava Aluan ovvero: ai confini del mare. - Che vogliono dire: deligneare e continente, nonno? - domandò 40 Augustin, curioso. La piccola Ambra che leggeva già da molto tempo sospirò sonoramente e si girò verso il fratello - Delineare vuol dire che fa da confine, mentre il continente è un grande pezzo di terra che rinchiude altri pezzi di terra.- ci pensò su - Un pezzo di terra molto grande. - Spiegò. Il fratellino ci rifletté un attimo su e, facendo il paragone con il confine che divideva il suo spazio da quello della sorellina nella cameretta ed un grande pezzo di terra su cui ogni tanto si sedeva per guardare le formiche, fece cenno di aver capito. - Un grave male affliggeva in quei tempi l’imperatore. - ricominciò a raccontare il nonno respirando profondamente e buttando ogni tanto un occhio sulla moglie - Un oggetto molto importante, sacro, era stato sottratto dalle sue mani durante una delle ultime battaglie contro il male caotico e per via delle ferite riportate in guerra, come anche per via della sua posizione di imperatore, non poteva partire lui stesso per recuperarla. Ora, accadde che questo imperatore di nome Sergem convocò a corte i più grandi maghi di ogni disciplina, ogni ordine magico accorse alla chiamata e tra questi v’era anche Lasar, esponente massimo nonostante la sua giovane età dell’arte della manipolazione della materia. – Si accorse di aver detto qualche parola troppo complessa e strabuzzando un istante gli occhi si affrettò a correggersi - Questo vuol dire che questo mago poteva modificare le cose che possiamo vedere, trasformandole in altre cose. Caotico vuol dire confusionario. I due piccolini ebbero un sussulto - Anche le montagne? - Domandò il giovane Augustin estasiato dall’idea. Il vecchio Ulrich si lasciò andare ad una sommessa risata - Non era così potente, nessuno lo era nell’impero se non pochi malvagi maghi, più 41 somiglianti a mostri che persone, che si vendevano ai malvagi trovandosi trasformati in orribili creature che tuttavia potevano disporre di un potere più forte. - Spiegò, poi tirò su con il naso e strinse le palpebre - Disporre vuol dire che potevano avere. Guardando il piccolo che annuì soddisfatto. - Ora, non ci fu nessuna gara e nessun duello. L’imperatore cercava un volontario che sarebbe dovuto partire da solo per non essere trovato dal nemico; l’imperatore non avrebbe mai chiesto a nessuno di recarsi in quel malvagio posto che viene chiamato Hitlar Gror e che potrei descrivervi solo come una nera valle con una cittadina arroccata su una ripida montagna solitaria... - Hanno detto di aspettare ancora qualche istante. - Aveva riferito Jason uscendo dall’infermeria del reparto, dopo aver scambiato due parole con il responsabile dello stesso - Stanno terminando di svolgere degli affari interni. - Le aveva spiegato quando lei aveva iniziato a far battere nervosamente i tacchi sul pavimento facendo ben attenzione a non esercitare tanta forza da creare una eco - Ma come mai questo attacco? - Chiese poi, come ricordandosi solo in quell’istante dei suoceri. Lei scosse la testa - Non so. Pochi mesi fa stavano bene, papà ha pubblicato il suo ultimo libro sulla spiritualità e la scienza, poi sono stata chiamata e da Londra siamo dovuti correre qui. L’altro aveva abbassato la testa ed inspirato profondamente - Era ancora un sostenitore di quella strana teoria? - Si - La conferma della bionda uscì secca e definitiva - Il sei giugno doveva parlare ad una conferenza per spiegare come la teoria scientifica del multiverso potesse conciliarsi con la reincarnazione che, volgarmente, definiva pagana e come lo stesso fatto delle reminiscenze potesse fungere da strada per gli studi da seguire. 42 L’uomo aveva lisciato entrambi i baffi con i palmi delle mani Uno strano campo di studi, quello. Lei fece spallucce - Lui ci credeva e ci crede tuttora, anche mia madre lo ha sempre seguito e supportato sostenendo le sue teorie a discapito delle critiche. - Si girò nervosamente dando le spalle al marito, non per scortesia quanto per la necessità di doversi muovere per tentare in qualche modo di ingannare l’attesa con il fisico oltre che con la mente - Da qualche anno a questa parte so che aveva ricominciato a studiare le rune svedesi e che aveva preso un paio di poemi medievali per cercare quelli che chiamava: indizi persi nelle pagine. - Si girò verso la finestra e socchiuse un occhio per lo sbalzo di tensione sulla lampadina sopra di lei che per un istante la abbagliò - Aveva addirittura trovato qualcuno disposto ad investire dei soldi, circa due anni fa, e questa sarebbe stata l’ultima cosa che si sarebbe mai aspettato. Ha intensificato i suoi studi ma poi c’è stato il cancro, la sua volontà di non volersi far ricoverare, di non voler essere di peso alla famiglia e di voler terminare i suoi studi. - Capisco. - Disse l’altro semplicemente. - È sempre stato un padre affettuoso, sempre, quel poco che ci ha fatto mancare ce lo ha ridato con il tempo. - Si intenerì presa dalla foga e dai ricordi come dalla paura e dal timore - Ma l’amore, quello che più è importante in una famiglia, non è mai mancato. - Una sottile e delicata stilla solcò la gota sinistra della donna scendendo fino al mento per poi ricadere lentamente in terra infrangendosi in tanti piccoli frammenti di fluido vetro. Dimore di eventi ed infiniti mondi creati con il passare degli anni, in quei piccoli momenti di cui spesso è difficile ricordare se non in sottili sfere di vetro, chiuse fuori da quell’universo che tanto chiamiamo: realtà. Fine Parte Prima. 43 f&sf Dreams di Max Bertolini 44 La piccola cacciatrice di stelle di Fabio Orefice Attraversando la corsia preferenziale del cielo che sovrasta Los Angeles, Zaira svetta senza indugio sorvolando le cime degli imponenti palazzi, a bordo della sua Mustang fluttuante. Nonostante il traffico congestionato e la pioggia fluorescente che si abbatte senza tregua, nulla può ostacolare la sua corsa. L’intelligenza artificiale di bordo, collegata alla presa scart dei neurotrasmettitori del cervello, è intenta a elaborare i dati raccolti nei giorni appena precedenti. Informazioni preziose quanto scomode, che stavano per costarle la vita. Zaira non ha rivali al centro di ricerche nucleari del MIT di Boston, così come non ne ha mai avuti in ambito accademico. Il controllo, la capacità di lasciarsi scivolare il superfluo dietro le spalle, proprio come i tergicristalli antiradioattivi lasciano scorrere via l’acqua dalla sua visuale. La fanciulla dai lineamenti decisi e dal corpo tonico sembra non tradire mai emozioni particolarmente forti. Del resto, chiunque abbia vissuto in una famiglia importante come la sua, sa bene che per sentirsene parte bisogna imparare a collocare i sentimenti in secondo piano. Suo padre era stato il più giovane centurione durante le rivolte nelle colonie marziane, ai tempi dell’embargo economico voluto dalla Lega Terrestre per arginare il fenomeno dei contrabbandieri di atmosfera sul pianeta rosso. Distintosi per l’alto valore militare, divenne in seguito un politico stimato, fino a essere eletto Pretore di Los Angeles per le relazioni con gli altri pianeti. 45 Onore, patriottismo, disciplina e il buon esempio da dare in società. Per tutta risposta a questi valori Zaira, negli anni dell’adolescenza, aveva tentato di unirsi a un gruppo itinerante di heavy metal teatrale avanguardista. Per lei bambole e ologrammi incorniciati dei divi del cinema erano distrazioni, futilità da sognatori. Quante lacrime nascoste nella penombra del letto e soffocate dal suo cuore di bambina! Fino al punto di ripudiare, non chi le ha imposto veti e proibizioni ma, gli oggetti stessi di tali severi e intransigenti dinieghi. I suoi amati giochi. Così, per sentirsi finalmente accettata come normale, la ragazza si è data anima e corpo alla scienza, alla ricerca e alla politica, scatenando un’inflessibilità tanto impropria quanto paterna. Oggi è, infatti, la presidentessa del Dipartimento per il Monitoraggio e la Confisca dei Sogni Riciclati. Un’attività clandestina, quest’ultima, nella quale risalta particolarmente l’abilità dell’etnia branchia: un ibrido nato durante le colonizzazioni marziane, quando la seconda generazione di pionieri ha fatto ricorso illegalmente alla manipolazione genetica per poter resistere all’atmosfera ancora non del tutto formata, senza supporti artificiali. Il trattamento portò alla comparsa di speciali branchie, quasi delle prosecuzioni esterne dei polmoni. Esiliati, per violazione del codice legale sulla genetica, i branchii hanno continuato a sopravvivere nella clandestinità, odiati e temuti da tutti. Quasi ogni sera non c’è un telepato-giornale che non dia risalto a fatti di cronaca in cui sia coinvolto un branchio o una banda di branchii. Zaira che, come tutti suoi coetanei e compagni d’Accademia, è cresciuta tra quattro mura di pregiudizio nei loro confronti, ne è divenuta la più acerrima nemica; fino a quel fatidico giorno. Il giorno in cui si è imbattuta in Raul. 46 Il giovane e ardimentoso Raul, figlio del capo anziano dei branchii, è il più ostinato, impertinente e prepotente cocciuto che Zaira abbia mai conosciuto … e la cosa più bella che le si sia mai posata sul cuore! Era un freddo e piovoso giorno di dicembre del 2038. La giovane, come sempre inguainata nella sua impenetrabile corazza biomeccanica d’ordinanza, era proprio sulle tracce di Raul e del suo gruppo, scoperto dopo mesi di intercettazioni nei laboratori illegali, gli stessi dai quali i branchii craccavano i sogni dalle banche dati di Stato per riciclarli e rivenderli alle cliniche clandestine, scorporati delle tasse. E proprio quando lei avrebbe dovuto fermarli e mettere il laccio inibitore di movimenti al collo del giovane capobanda, accadde l’imprevedibile. Un grande, soffocante e dolce laccio invisibile travolse nella sua tenera morsa Zaira e Raul, insieme. Per lei il giovane rinnegato appariva all’improvviso come il sogno d’infanzia esiliato per troppo tempo in soffitta. Ne sfiorava la pelle seguendo i solchi delle spalle e del torace, così come si scarta un dono prezioso, con la medesima curiosa voracità, come quando si aggredisce per celare la ricerca di protezione. Raul è stato il suo mondo segreto, la scoperta di una cultura nomade fatta di balli, poesie da sussurrare su un giaciglio di incensi notturni e ghiri canterini. E la scoperta di punti di vista a lei ancora sconosciuti. Condurre una doppia esistenza richiede sempre una pesante contropartita. Adesso la vita sta esigendo il suo conto, mascherandosi da spie governative. Ecco perché Zaira sta correndo veloce nella sua macchina volante, nonostante la forte perturbazione. Dal suo 47 monitor retrovisore giungono le inquietanti immagini in tempo reale delle autovetture fluttuanti alle calcagna. In un baleno le fiancate e i tettucci di quei mezzi si rivoltano palesando le insegne dei caccia-overcraft di stato, evidentemente mandati proprio dal suo adirato padre, ormai consapevole della cospirazione della figlia. Per le lacrime, per i tentativi di riconciliazione o chiarimento, non v’è più tempo ormai. Non sono solo poesie e universi ignoti di eros e tenerezza quelli scoperti da Zaira attraverso la carne inquieta e negletta di Raul. A suo tempo era stato proprio l’inflessibile padre di lei, il temuto Pretore terrestre, a capo di una spedizione governativa segreta su Marte ad appropriarsi del più grande segreto del pianeta rosso, il suo nucleo. Alle estreme profondità del Nuovo Mondo, infatti, non c’è solo il ghiaccio da cui è stata in seguito ottenuta l’aria. Nel cuore − è proprio il caso di usare questo termine − di tale nocciolo glaciale, giace una vera e propria creatura viva, un vegetale dall’aspetto cristallino, capace perfino di auto-rigenerarsi e di sdoppiarsi. Il solo problema era che i pionieri della regione est di Marte, tutti discendenti di comunità di minatori, vi erano giunti per primi. Non solo. Essi avevano anche scoperto che il vegetale ha lo straordinario potere di rendere fertile anche il suolo brullo e arido di quel pianeta all’epoca ancora invivibile. Certo, se solo lo si potesse estrarre dalle profondità e portare a contatto con l’aria prima che muoia! Ma la Lega Terrestre non avrebbe mai potuto permettere che tutto ciò fosse rivelato, giacché per le industrie governative sarebbe stata la fine. E questo perché Marte sarebbe divenuto totalmente autosufficiente. C’è stata una guerra di cui nessuno ha mai potuto o voluto parlare, al termine della quale i minatori ribelli, rei soltanto di aver cercato di regalare la vita e la libertà al proprio Paese, furono 48 processati, confinati e sottoposti a torture in laboratori genetici al fine di imprimere su di essi un ben visibile marchio d’infamia. Ecco la vera storia dei branchii. Ed ecco l’orrore e lo sgomento farsi largo come un fiume ribollente di pece e veleno attraverso il cuore innamorato di Zaira. Marte sarebbe stato destinato in eterno a essere l’ennesima polveriera di esperimenti e sfruttamento di risorse a beneficio dei pochi privilegiati delle lobby terrestri! Ma quella raggelante presa di coscienza, dopo la prima ondata di delusione, ha improvvisamente liberato la fanciulla da un fantasma ingombrante. Svanisce così quell’ultimo opprimente termine di paragone con la così detta normalità, che negli interludi privati con Raul ancora le regalava sfuggenti e taglienti sensi di colpa. La piccola cacciatrice di stelle, come la chiamava il papà quando lei era ancora una bambina, - e quando il babbo era ancora il suo gigante, la montagna su cui farsi portare per guardare il mondo oltre il cielo - sta guardando il proprio sogno da vicino. E sta scoprendo sempre di più quanto le stelle, sempre meno lontane, possano bruciare dentro. Dunque eccola sfrecciare impavida e risoluta, deviando improvvisamente dalle corsie terrestri alle autostrade solari, dalle quali poi imboccherà la statale per Marte. Raul l’aveva pregata di non correre un rischio così grande. Ma lei non può cedere, non dopo tutti gli insegnamenti sull’onore, la trasparenza e l’incorruttibilità che proprio il papà le aveva inculcato! Ora solo Zaira sa cosa fare. Il dossier top secret aperto su di lei aveva per nome Operazione Fiore Degli Abissi, con evidente riferimento alla creatura celata nel nucleo marziano. E sono proprio le informazioni su quel Fiore che la coraggiosa 49 fanciulla stava scansionando in macchina durante la sua fuga. Seminata la polizia terrestre, è il momento di agire. Il fiore degli abissi di Marte, come Zaira sa, è tanto potente quanto delicato e fragile. Il solo modo che ha di preservare ancora il proprio antico potere di dare la vita alla terra è raggiungere la superficie e prendere contatto con l’aria. Secondo gli studi fatti su alcuni campioni prelevati tempo addietro, il fiore ha le ore contate! Lasciata la deviazione per la regione est del Pianeta Rosso, la ragazza si rende conto di essere circondata da centinaia di pattuglie. Sembra non esserci più via di scampo per lei. Il piano originale prevedeva che la fanciulla sarebbe stata coperta da una tasc force ribelle di branchii che l’avrebbe aiutata ad atterrare indisturbata e con la quale avrebbe raggiunto il nucleo per poi estrarne il prezioso fiore. Ma le truppe governative sono arrivate prima, a causa di un’intercettazione telepatica compiuta dal padre della traditrice nel corso di una loro conversazione. Di Raul, del suo genitore capotribù e dei loro amici, non restavano che frammenti scomposti e sanguinolenti sparpagliati nella polvere, rossa più dell’ Inferno. Non sono soltanto stati abbattuti. È raro assistere, anche in tempo di guerra, a un simile spettacolo di accanimento e sadismo contro un nemico. Un’efferatezza in nome dell’ordine che tuttavia, come sempre, non ha nulla di umano! Davanti agli occhi di Zaira non c’è più la pioggia inquinante scagliata dalla volta terrestre. Adesso la tempesta che infuria nei suoi occhi è fatta di lacrime. Lacrime, ancora più acide della pioggia fluorescente, che corrodono uno a uno i petali freschi di una virtù d’amore ormai abulica e ammutolita. Raul, a proposito dell’abnegazione con cui i branchii avevano 50 deciso di perseguire la propria battaglia per la verità a dispetto di tutto, le disse un giorno, affidandosi alla discrezione dei sospiri più intimi: - La vita è il dono più importante e nessuno mai ha o avrà il diritto di strapparlo a qualcun altro. Ma esistono circostanze particolari per le quali un’idea può superare il valore della vita stessa, per quanto sacra essa sia. Non sto parlando di ideali filosofici, religiosi o tanto meno di questioni riguardanti i confini delle terre. Troppe volte l’uomo si è approfittato di tali scusanti spacciandole per la circostanza particolare! Ne esiste una, e una soltanto. La menzogna che minaccia la conoscenza e l’eclissi della conoscenza che a sua volta oscura la libertà di scelta. E dunque, dimmi tu, amore mio taciuto al sole, quale vita meriterebbe d’esser vissuta senza il potere della conoscenza? E quale vita degna di questo nome sarebbe, senza la libertà di non doversi limitare a sopravvivere, che la conoscenza dona a noi tutti? Solo per queste parole ormai marchiate a fuoco nella carne, la ragazza non lascia andare ogni scampolo di speranza e determinazione in balìa delle tempeste cosmiche. Gli ultimi, fatali secondi. La Mustang volante equipaggiata di trivella laser che si sarebbe dovuta utilizzare per arrivare nelle estreme profondità. Lasciando di stucco tutti i poliziotti dall’aria androide, Zaira fa in modo che l’escavatrice a raggi si posizioni elettronicamente sul cofano, prendendo a scendere in picchiata. Ancor prima di calarsi nell’antro nascosto di Marte, attiva il dispositivo di auto regolazione termica dell’abitacolo, portando alla bocca la maschera d’ossigeno. 51 Da un istante all’altro tutto è roccia, eco e dunque silenzio, oscurità. Superato il primo manto, Zaira segue la via già segnata dai pionieri minatori. Il conto alla rovescia per salvare il fiore prosegue tuttavia inesorabile! Il fiore che mai ha potuto vedere la luce, che tutti hanno voluto senza mai poterlo avere … Eccolo! Migliaia di chilometri bruciati alla velocità della luce nel tentativo di annullare il tempo e il suo incedere! Tra gigantesche stalattiti di ghiaccio e le immani trivelle impiantate dai terrestri per estrarre acqua e aria, il fiore degli abissi si erge in tutta la sua bellezza, come un piccolo giglio di cristallo in mezzo al nulla bianco. Riportando i calcoli ai parametri temporali umani, non restano più che alcuni minuti. Zaira, con lentezza e rispetto reverenziale, esce dall’abitacolo incurante della pressione e dell’impossibilità di respirare senza supporti all’interno del nucleo, e fa per accostarsi al sacro portatore di vita. Quel fiore che sembra quasi gemere per segnalare il suo progressivo spegnersi. C’è troppa distanza da ripercorrere verso l’esterno in troppo poco tempo! D’impeto un nuovo improvviso evento. Un’estasi di pura meraviglia, così simile all’epifania romantica vissuta in quel freddo e piovoso giorno di dicembre da Zaira e Raul, quando si sono posati l’uno sul cuore dell’altro. Forse la suggestione che è inconsapevolmente montata dentro di lei per tutta questa, forse lo scatenarsi tumultuoso delle emozioni maturate dall’aver finalmente raggiunto quella preziosa fonte di vita. Quale che sia la ragione, la ragazza non può trattenere un senso di commozione. Un’ondata, come lo scatenarsi degli oceani terrestri. Una burrasca più 52 alta e inarrestabile di quelle che un qualsiasi colono marziano possa mai vedere nelle riserve artificiali di Oceania 2.0! Senza spiegazioni, come accade quando esplode un innamoramento, Zaira si lascia pungere il pollice da una delle punte cristallizzate alle estremità del fiore glaciale. Goccia a goccia, il suo sangue si disperde al centro del fiore, diluendosi e rimettendosi in circolo al proprio interno. Goccia a goccia, il fiore si illumina e prende addirittura ad aumentare le proprie dimensioni come fosse un essere di carne viva che cresce. Il prodigio arriva fino al punto di scuotere dall’interno il nucleo, provocando crolli di stalattiti. Ma Zaira non ha timori, come quando non si temono i sismi dell’anima pronta a crollare e riformarsi nuovamente per amore. È proprio come un’amante che non teme l’intimo assedio dell’anima gemella pronta a farla propria con ingordigia. Così, Zaira abbraccia con un sorriso disteso e gli occhi chiusi il suo piccolo grande fiore degli abissi. Il resto è solo luce. Solo Amore. La terra di Marte trema, e il rosso implacabile e ardente del suolo si inumidisce. Dapprima come fossero solo zolle sparse in mezzo al deserto, e via via in modo più esteso ed intenso. Così, quando il terreno del pianeta si è mutato in un immensa distesa fertile, il nuovo seno marziano prende a germogliare e riempirsi orgoglioso dei più vari e colorati frutti! Specialità e primizie d’ogni stagione. Frutti d’albero e di terra succosi e pieni di sapore. Marte diventa verde d’erba e foglie, giallo di limoni, rosso di pomodori e fragole … E di fronte a tale spettacolo per noi terrestri così ordinario e scontato, termina la condizione subalterna di un nuovo mondo, e comincia la vita senza vincoli né ricatti. Il Vivere! Un giorno ormai lontano, il prodigio d’amore tra Zaira e Raul 53 aveva fatto dono ai due amanti d’un evento assai curioso. Era il loro compleanno, lo stesso giorno d’aprile, e ognuno aveva scritto all’insaputa dell’altro questa lettera, che è quanto di più emblematico ed eloquente resti oggi a narrare la loro esistenza - Ogni volta che sentirai di non poter restare a galla, agiterò quella marea che ti sovrasta e forte la soffierò fino a farne aria nuova e pura per te. Ogni volta che il tuo bagaglio peserà come un fardello, lastricherò sotto di te strade più lisce, metterò le mie spalle al fianco delle tue, così che il peso diverrà come un pargolo. Leggero, necessario e bisognoso di te. Ogni volta che un anno appena passato sarà per te una spina nel giardino dell’età, offrirò a quella spina il mio pollice e la goccia d’affetto che ne scaturirà, innaffierà quella terra di energia e la spina muterà nell’orchidea più appariscente. E quando sarai lì, saprai che io altro non sono se non la tua parte più vitale. E che tutte le orchidee di questo e quel mondo non basteranno mai a dirti che un anno è solo un anno, e che maree, bagagli e le età tutte non sono che messaggi, sparsi qui e lì per ricordarti che sei viva … Vivi, io e te. E così accogli un’altra orchidea nel tuo giardino. E Buon Compleanno! – ( Buon compleanno, piccola cacciatrice di stelle ) 54 Lupo Spaziale di Marco Alfaroli 55 Giovedì pomeriggio di Paul Inno Oro. Color oro. Tutto ne era intinto. Tutto rifletteva quel lucente colore e lo distribuiva sui corpi e sulla distesa di sabbia. Non avrei saputo dire che ora fosse, non avrei forse nemmeno saputo dire che giorno fosse. Giovedì? Giovedì pomeriggio, credo. Qualcuno mi aspettava per cena, o almeno così mi sembrava, ma non ricordavo chi fosse. E non era importante. Onde lunghe. Creste di spuma arancione. Riflessi neri incastrati nella luce accecante del sole riflessa dall’acqua salata. Misteri sommersi, sirene insabbiate, storia del mondo inzuppata e catturata dalle rocce nelle profondità. E mentre anche io lasciavo che la luce intensa dipingesse il mio corpo e la mia mente con quel colore magico, a pochi passi da me un gruppetto di ragazzi si godeva le ultime ore di sole chiacchierando seduti sulla sabbia. Le loro sagome, controluce, erano figure marrone scuro dalle quali, di tanto in tanto, sfuggiva un riflesso, un cono di luce, una linea colorata che mi lasciava intuire ora la catenina alla caviglia della ragazza, ora la scritta sul cappellino di uno dei ragazzi. Cafè Boogaloova. Tuttavia in quel momento non aveva importanza quasi niente, se non godere di quella luce, di quel calore, di quella tonalità che riempiva i buchi neri della mia strana vita. Gli occhi socchiusi, le gambe piegate con i piedi sotto la sabbia, le mani giunte sopra le ginocchia. In quel momento ero solo quello. Una figura piatta stagliata su un fondo oro. Un pezzo di cartone ritagliato ed incollato su un universo bidimensionale. Poi un grido. Una ragazza aveva gridato e mi aveva allontanato forse definiti56 vamente dal mio stato di trance. Anche i colori sembravano aver perso gli accenti intensi e caldi ed aver cangiato a toni più freddi. Mi voltai verso la direzione dalla quale era arrivato l’urlo, breve e deciso, seguito da lamenti bassi e continui e da parole sovrapposte. Sulla riva una macchia nera. Osservai meglio, stringendo gli occhi per poter mettere a fuoco nonostante avessi il sole proprio di fronte a me. Un gruppo di ragazzi era in piedi sulla battigia. Il loro agitare le mani, il movimento nervoso delle gambe e gli scatti repentini della testa erano segnale che doveva essere successo qualcosa. Non avevo molta voglia di alzarmi. Non mi interessava, in fondo, quello che poteva essere successo, fin tanto che quell’avvenimento non fosse arrivato a pochi centimetri da me. E forse non sarebbe mai successo. Ma per una bizzarra e misteriosa caratteristica della natura umana qualcosa mi diceva che avrei dovuto alzarmi ed andare a vedere che cosa c’era che avesse fatto riunire quel numeroso gruppo di persone in un momento così rilassante come quello in cui stavo sprofondando fino a pochi attimi prima. Il cervello mi ordinava di scattare in piedi mentre il corpo compiva un vero e proprio ammutinamento ignorando gli ordini provenienti dal gran capo. Anche i ragazzi vicini a me erano rimasti seduti sulla sabbia, nonostante avessero tutti lo sguardo rivolto verso il mare. Da quel punto, intanto, una donna si stava allontanando con le mani sulla bocca, visibilmente stravolta. Era tutto un agitarsi di braccia, di mani, di gesti rapidi e veloci, ognuno deciso a risolvere la situazione. Le onde erano sempre lunghe, lasciando scie brillanti controvento, cariche di sale e di lontani profumi marini. Incuranti del57 le stupide vicissitudini umane, si rompevano a poche decine di metri dalla riva increspando la nera lastra dell’acqua vicino alla battigia. Il colore scuro di quella parte di mare, appena il flutto lo attraversava, si riempiva di oro, di arancio, di rosa, in miliardi di frammenti lucenti. Stavo pensando ad Alain, a quell’ Alain, non un Alain qualunque. Stavo pensando ai suoi esperimenti, alle teorie che avrebbero potuto cambiare la nostra idea del mondo e dell’universo. E forse l’avevano già cambiata. Se tutto ciò che esiste non fosse altro che un ologramma immenso e perfetto che galleggia nel nulla più assoluto, se tutto quello che tocchiamo, che vediamo, che viviamo fosse solo illusione e il vero creato, anzi il non creato, non fosse altro che un immenso, infinito, eterno spazio bianco, vuoto, ci comporteremmo allo stesso modo? Ci affanneremmo ogni santa mattina per correre da una parte all’altra di questo spazio bianco, solo per scoprire che il nulla segue, precede, sovrasta solo altro nulla? Mi alzai. Il sistema nervoso l’aveva avuta vinta sul desiderio di restare ancora un po’ immerso nella quiete di quel tramonto. Raccolsi il mio zaino e mi diressi con molta flemma verso la riva del mare, dove ancora molte persone continuavano a borbottare, chiacchierare, agitarsi e smanacciare. Qualcosa di brutto doveva essere successo da quel poco che potevo intuire. Mi feci spazio tra la gente, spostando un braccio, spingendo, allungando la testa. Me ne aveva parlato Alain. I lunghi pomeriggi trascorsi nella veranda della sua casa in campagna sembravano ora lontanissimi nel tempo ma potevo ricordare ogni sua espressione, ogni suo gesto; i suoi occhiali sempre sporchi, il suo modo di servire 58 il tè in quelle tazze tutte diverse una dall’altra. Spesso indossava calzini di colore diverso, a volte mi vedevo costretto a fargli notare che i bottoni della camicia erano fuori posto. La sua idea del mondo mi faceva paura, trasformava completamente ogni cosa, ogni convinzione, ogni certezza e distruggeva in un solo attimo tutto ciò che di sicuro ci eravamo costruiti attorno. Un corpo disteso sul bagnasciuga. Questo vidi una volta riuscito a farmi largo tra le persone. Doveva essere morto anche se non sembrava, perché la posizione delle gambe, del busto e della testa erano tipiche di una persona che si addormenta al sole indifferente di tutto quello che gli succede intorno. Era decisamente morto, e l’immobilità dei suoi occhi spalancati, la rigidità della bocca serrata in una tragicomica smorfia comunicava senza dubbio che in quel corpo disteso sulla sabbia la vita non c’era più. Vidi quello che non avrei voluto vedere. Lo vidi e capii. Mi allontanai di corsa con le mie poche cose nello zaino. Le scarpe alzavano nuvole di sabbia mentre correvo verso il sentiero che mi avrebbe portato prima tra le dune e poi, più avanti, verso il paese. I riflessi oro, arancio, argento sembravano ora ancora più intensi, i colori erano diventati quasi una presenza fisica che mi spingeva, mi strattonava e sembrava volesse impedirmi di essere puntuale alla cena alla quale ero stato invitato. Persi lo zaino nella corsa e forse anche una scarpa allacciata grossolanamente pochi minuti prima. Non mi voltai per recuperare quelle cose. Non mi voltai nemmeno quando ebbi l’impressione di aver imboccato il sentiero sbagliato accorgendomi che le dune, adesso, sembravano estendersi per chilometri e chilometri davanti a me. La mia pelle, ora rosso porpora, non godeva più della calda luce solare che mi aveva coccolato tutto il pomeriggio. Davanti a me un deserto sconfinato. E la mia ostinazione a non volermi voltare rendeva quell’orizzonte ancora più irraggiungibile. Poi caddi, 59 con la faccia nella sabbia, bollente, con le mani che cercavano di aiutare il mio corpo a rialzarsi. Con le gambe molli che sprofondavano sempre di più nella sabbia fredda, umida, compatta. Sono morto un giovedì pomeriggio. Un pomeriggio color oro, luminoso, caldo. Sono morto annegato mentre saltavo da un punto all’altro del grande nulla che ci circonda. Forse Alain mi avrebbe potuto aiutare a capire che cosa era successo. Un giorno forse riuscirò ancora a parlare con lui e allora tutte le mie domande troveranno una risposta. Sono morto in quel pomeriggio color oro. Un colore, del resto, che non esiste. Nessun colore esiste in questo immenso, infinito, eterno spazio bianco che ci circonda. 60 L’angolo delle recensioni con lo sciamano della pigna Antichamber La prima volta che ho sentito l’espressione inglese mind-bending (lett. piega-mente) è stata a riguardo della musica dei Tool e dei tempi irregolari estremamente complessi che questi ultimi utilizzano; ho trovato che fosse un modo estremamente calzante per descrivere quella sensazione di disorientamento quasi onirica che si prova quando ci si trova di fronte a qualcosa di completamente diverso da quello a cui si è abituati. Mind-bending per l’appunto è il modo migliore per descrivere l’esperienza di gioco di Antichamber. Antichamber, titolo indie di recente uscita, è un puzzle game con visuale in prima persona che fa uso della geometria non euclidea e si inspira ai lavori di M.C.Escher. In parole povere nel mondo virtuale di antichamber lo spazio, la fisica e la materia si comportano in modo diverso da ciò a cui siamo abituati. I puzzle, che sono il cuore del gioco, si divertono a giocare con questi elementi, costringendo il giocatore a sperimentare e a pensare in modo anticonvenzionale. 61 Gameplay Il gioco è caratterizzato da uno stile minimalista: in Antichamber non ci sono nemici, non c’ è una trama, non si può morire e in effetti non c’ è nemmeno un menù. Avviato il gioco, si viene subito catapultati nella stanza iniziale (l’anticamera per l’appunto) sulle cui pareti troveremo tutto ciò che ci serve: un pannello delle opzioni in-game, la mappa delle zone esplorate con relativa funzione di teletrasporto, la lista dei comandi, la raccolta di tutti gli indizi che abbiamo trovato e infine potremo vedere attraverso un vetro il nostro obiettivo finale, l’uscita. Partendo dall’anticamera ci troveremo a esplorare un gigantesco labirinto disseminato di enigmi da risolvere, in cui l’unica traccia umana è rappresentata dai disegni che troveremo qua e là, ognuno dei quali è correlato ad un piccolo e velato indizio che ci aiuterà a capire come risolvere il prossimo indovinello oppure che ci suggerirà l’importanza di una meccanica che abbiamo appena imparato. Questi indizi, come detto sopra, saranno poi consultabili in ogni momento nell’anticamera. I puzzle e l’esplorazione riescono a tenere il giocatore in un continuo senso di meraviglia: a volte sbagliando strada ci ritroveremo in un punto già visitato in una sorta di loop, altre volte tornando sui nostri passi scopriremo nuove zone al posto del luogo da cui siamo venuti, scendendo in basso ci troveremo più in alto e viceversa, mentre pavimenti, scale e muri si materializzeranno o smaterializzeranno in base al nostro comportamento, oppure ancora guardando nella giusta direzione lo spazio attorno a noi cambierà e ci troveremo trasportati in un altro luogo. Nel corso del gioco avremo modo di acquisire delle pseudo-pistole che ci permetteranno di manipolare cubi di materia, aggiungendo gradualmente nuove meccaniche e permettendoci di 62 superare gli enigmi che precedentemente erano impossibili. Antichamber ha una struttura non lineare, stile Castelvania, quando acquisiremo una nuova abilità potremo raggiungere nuove zone ed è facile finire in vicoli ciechi o scoprire stanze segrete. Stile ed estetica Lo stile grafico è a sua volta minimale ma molto curato, simile al cel-shading, ci troveremo in ambienti dominati dal bianco e dal nero interrotti da esplosioni di colori incredibilmente saturi, quasi psichedelici. I colori sono funzionali alla comprensione del gioco e sono ben sfruttati negli enigmi. Azzeccatissima la colonna sonora ambient nella quale dolci e prolungati suoni si mischiano a rumori ambientali che cambieranno a seconda della zona in cui ci troviamo. Il crepitio di un fuoco, lo scroscio della pioggia, sussurri lontani, il canto degli uccelli, suoni apparentemente estranei a quello che vediamo ma che aumentano esponenzialmente l’atmosfera onirica generale. Longevità Alexander Bruce, lo sviluppatore del gioco, ha dichiarato che sapendo esattamente dove andare e cosa fare, si può completare Antichamber in dieci minuti, il che effettivamente è vero, ma data la non linearità e anche la difficoltà degli enigmi, ci vogliono mediamente dalle cinque alle otto ore per finire il gioco 63 (sempre ammesso che ci riusciate). Qui però sorge uno dei difetti principali di Antichamber.Dato che il motore del gioco è la meraviglia della scoperta, una volta completato ci rimarrà ben poco da fare. Volendo potremo cercare tutti gli indizi e le stanze segrete ma rimane il fatto che la longevità è buona ma non eccezionale e la rigiocabilità è minima. Conclusione Antichamber è un gioco sapientemente realizzato e unico sotto tutti i punti di vista, d’altro canto quest’unicità è anche il suo limite. E’ un gioco che piace in base a quanto si è disposti ad apprezzarne la particolarità e l’artisticità a volte anche un po’ pretenziosa, per questo non mi accodo completamente ai commenti entusiastici con cui è stato accolto dalla critica, in quanto non è un gioco per tutti. Lo consiglio fortemente a chi apprezza la creatività, a chi cerca spunti artistici e visuali inusuali, agli amanti dei puzzle game e a coloro a cui è piaciuto Portal. Per gli altri può essere una graditissima diversione dai soliti giochi ma considerando il rapporto prezzo/longevità non eccezionale potrebbe essere saggio aspettare che il prezzo scenda un po’. Info: Nome - Antichamber Piattaforma - PC (Steam) Prezzo - 19 euro Requisiti di sistema: Windows XP SP2, Vista o 7 Grafica Nvidia serie 8000 o superiore Processore almeno dual core Directx 9.0c o più recente 2 GB di RAM 1 GB di spazio su Hard disk 64 Consigli Bizzarri Per le tematiche trattate in questo numero vi consigliamo: Lettura: -“Il neuromante” di William Gibson -“Ninna Nanna” di chuck Palahniuk -“Gli scultori di nuvole” di J.C. Ballard -”Il sicario” di Laura Iuorio Musica: -Aphex Twin -Einstürzende-neubauten -“requiem” di wolfgang amadeus mozart -Howard Shore: compositore delle colonne sonore di “Il signore degli anelli” “lo hobbit” “Scanners”, “La mosca”... Videogames: -“Blade Runner” il videogame -“Another World” -”Flash Back” Film: -“La notte dei morti viventi” 1968 di george a. Romero-“MirrorMask” di Dave McKean e Neil Gaiman -“Fringe” la Serie -“Strange days” 1995 diretto da Kathryn Bigelow e scritto da James Cameron. -“Screamers - urla dallo spazio inspirato ad un racconto di Philip k. Dick 65 Ringraziamenti Spaziali Ringraziamo per l’uscita di questo numero: Tutti coloro che si sono uniti a noi, nella nostra crociata intergalattica. Il maestro Bertolini per il suo supporto illustrativo. Gli illustratori, maestri che hanno impreziosito le nostre pagine con incredibili opere d’arte. I libri, il cinema e la musica supporti indispensabili per la creazione delle nostre galassie, parole ed idee. Il nostro Staff che dedica tempo ed energie alla realizzazione di questo progetto. Le community di Fantascienza.com e QuazArt che hanno attirato a noi un numero maggiore di scrittori e appassionati. Wanderland di Rai4 che presterà il suo canale per una finestra di SB. Un ringraziamento speciale a Luigi Pignalosa per l’interessamento e il supporto offerto. E come sempre a voi, cari lettori, l’ingranaggio fondamentale che muove questa rivista. “zanzara” Flavio Berti A presto miei cosmonauti 66 Nei prossimi Numeri Navigheremo tra le pagine con: La pindarica penna di P.A.M. Diraque “La torre caduta” di Nero Freak Michele d’Orsi e i suoi folli racconti Illustrazioni, racconti, recensioni... Non perdete il prossimo numero SB 3 In uscita Aprile 2013 Restate Connessi “Biomechanoid hand” di Flavio Berti 67 Quest’opera è stata rilasciata con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia. Per leggere una copia della licenza visita il sito web http:// creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/3.0/it/ o spedisci una lettera a Creative Commons, 171 Second Street, Suite 300, San Francisco, California, 94105, USA. 68 69