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Numero 2
Mensile - anno primo
Data di uscita 17/03/2013
Direzione Editoriale: Salvatore Russo
Michele d’Orsi
Grafica e impaginazione: Enzo Russo
Correzione bozze: Mena di Palma
In copertina -f&sf Dreams- di Max Bertolini
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Pannello di Controllo
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Buona lettura
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Indice
Pag 05
staff
Pag 07
I cosmonauti
di SB
pag 13
Editoriale
Pag 14
La strega
Pag 17
The beauty &
the moster
(illustrazione)
Pag 18
Amore e morte
Pag 26
Steam
(illustrazione)
Pag 27
Fame
Pag 31
Skull
(illustrazione)
Pag 32
Eterno
Pag 44
F&sf Dreams
(illustrazione)
Pag 45
la cacciatrice
di stelle
Pag 55
Lupo spaziale
(Illustrazione)
Pag 56
Giovedì
Pomeriggio
Pag 61
L’angolo della
Recensione
Pag 65
Consigli
Bizzarri
Pag 66
Ringraziamenti
Spaziali
Pag 67
Nei prossimi
numeri
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Staff
Nero
Freak
Disegnatore, illustratore, creatore di
giochi e di mondi. Nato all’inizio degli anni
80 si innamora subito dei primi videogame con cavalieri e draghi sul Commodore
64, e poi dei giochi di ruolo con Dungeon
& Dragons e boardgame con HeroQuest.
DungeonMaster da 20 anni, come poteva
non essere il direttore di questa rivista.
Partorisce l’idea di Storie Bizzarre insieme a degli amici disegnatori, stanchi di non
essere presi in considerazione da altri
editori. L’incontro con Michele D’Orsi e la
sua conoscenza del fantastico lo spronano a realizzare il suo sogno. Appassionato di barbari e Robert E. Howard,
crede nel potere della Heroic Fantasy e
della Sword & Sorcery.
Attualmente vive e lavora all’ombra di
un vulcano. Indizio: non è il Monte Fato.
D’Orsi
Michele
Non c’è molto da dire. Ho fatto studi classici, iniziato a scrivere poesie
a 15 anni, per poi passare alla prosa. La scuola mi è servita soprattutto a ricercare un’altra cultura che
non fosse quella “ufficiale”. Ciò mi ha
consentito in un primo momento di costruirmi un background del tutto
personale e in secondo luogo di riconsiderare gli autori che ci obbligavano a studiare ma con la curiosità del
lettore più che con l’oCchioannoiato
dello studente.
Note personali: riceve visite da strani omini di cartapesta che escono di
notte dal frigorifero.
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Staff
Enzo
Russo
Grafico della rivista e appassionato
dello sci-fi in ogni sua forma. Da Asimov
a Philip k. Dick. Le sue realizzazioni grafiche e fotografiche prendono forma direttamente dai romanzi letti e dai sogni
contorti che accompagnano le sue notti
Mena
Di palma
La correttrice di bozze di Sb
-Piatto preferito: Carta
-regista preferito: Tarkovskij
Lettrice accanita annovera tra i suoi
scrittori preferiti William Seward Burroughs
e J.C. Ballard
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Special Guest
Max
Bertolini
Max nasce nel 1967 a Milano, dove tuttora lavora e risiede.
Le sue illustrazioni, in cui la figura umana
è spesso centrale e accuratamente rappresentata , coprono tutto l’arco dell’immaginario fantastico, dal fantasy alla
fantascienza, passando dall’horror al
thriller, con estrema facilità.
In Italia, Max disegna dal 1993 “Nathan Never”, la testata di fantascienza più famosa e venduta in Italia, della Sergio Bonelli Editore, l’editore di “Tex” e “Dylan Dog”.
Dal 2001 è uno dei copertinisti della Eura
Editoriale, per cui realizza le covers dei
settimanali Lanciostory e Skorpio, mentre dal 1997 trova anche il tempo per insegnare Fumetto e Illustrazione all’Accademia dello Spettacolo di Milano. Per
la Mondadori realizza le copertine delle
serie “I Gialli”, “Segretissimo” e “I Romanzi”
, Sue sono anche alcune copertine di Cd
musicali per la Lucretia Records ed Editrice Nord.
I suoi lavori sono stati pubblicati in tutto il mondo: Francia, Germania, Stati Uniti,
Inghilterra, Spagna, Russia, Cina e Cecoslovacchia, per case editrici come Random House Germany, AST Publisher, Paper
Tiger, Games Workshop, MG Publishing e
magazine come “Fantasy & Science Fiction”,
“Heavy Metal”, “Chinese Fantasy Magazine”.
Tra le varie altre collaborazioni, ha lavorato alla realizzazione di loghi per
Mediaset, alla campagna pubblicitaria
del corso di lingue multimediale De Agostini e alla creazione delle illustrazioni
per il sito Asics (Onitsuka Tiger).
DIESEL, il marchio d’abbigliamento famoso
in tutto il mondo, nel 2004 gli affida la
realizzazione di 8 illustrazioni per lanciare la linea d’abbigliamento 2005.
Nel 2005 esce anche “REVELATIONS: the Art
of Max Bertolini”, per la Paper Tiger, conosciutissima casa editrice inglese specializzata in prestigiosi art book dei migliori artisti di fantasy e fantascienza
mondiali. Max é il primo artista italiano
a entrare nel loro catalogo. Contemporaneamente in Germania e paesi di lingua
tedesca esce “The Art of Max Bertolini”,
stampato dalla MG Publishing.
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I Cosmonauti di SB
Berti
Flavio
Tormentato illustratore e fumettista, conosce Giger in tenera età e ne assorbe la
folle poetica. I suoi lavori parlano di incubi e mutazioni da cui trae poesie inquietanti, come “Versi dell’uomo mosca, il poeta dei
Morti”.
Artista autodidatta impara da solo come
raffinare e rifinire le sue opere volta per
volta
come egli stesso ci dice
“Opere ancora sotto forma di Bozzolo”
Paul
Inno
Paul inno, nato a Prato il 4 settembre
1969 giorno
ventoso ma con il sole.
Si presenta in questo numero con un racconto “che serve come medicina per folli
visioni”
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I Cosmonauti di SB
Avella
Claudio
Nasco principalmente come fumettista,
cosa che ad un occhio esperto è alquanto visibile.
Dopo aver completato il corso di fumetto
presso la scuola Comix di Napoli, ho cominciato a lavorare nel fumetto erotico nazionale e internazionale, per case come
la Coniglio editore e NBM.
Ho continuato gli studi da autodidatta
perché nel disegno, nell’illustrazione e
nel fumetto non ci si ferma mai, si è sempre alla ricerca della perfezione.
Ho lavorato per la Bluewater production
creando biografie a fumetti di musicisti famosi, ho pubblicato, inoltre, qualche
illustrazione per editori più o meno
importanti.
L’ultimo lavoro è un fumetto (grimm universe #2) per la Zenescope Enternaiment,
una casa editrice di fumetti americana.
Spero di non dimenticare nient’altro
di importante.
Marco
Alfaroli
nasce a Livorno nel 1968, vive ormai da
anni a Pisa ed è sempre stato affascinato
dalla creatività artistica.
Ha lavorato come modellista scultore, poi
è passato alla grafica digitale realizzando tutti i disegni di un divertente gioco per
bambini.
Fin da ragazzo la sua passione per la lettura l’ha accompagnato, duellando con
il suo amore per il cinema... e alla fine si è
messo a scrivere.
“Archon” è il suo primo romanzo, di cui, da
buon disegnatore, ha realizzato anche le
illustrazioni della copertina.
È già in cantiere il seguito, intitolato
Bhlyss, e una serie di racconti brevi
Sci-Fi.
Nei suo blog pubblica quotidianamente illustrazioni e fumetti e racconti.
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I Cosmonauti di SB
Diraque
P.A.M.
Svegliato per caso da una comitiva di pensionati svedesi in visita alle rovine di Teotihuacán, dovetti fuggire da un’urna di
cristallo del British Museum dove mi avevano portato, sfondandola con un’ascia
celtica esposta nella stessa trasparente prigione. Mi impossessai del corpo del
direttore, regalandone l’anima al quinto
Signore della notte e da allora abito in
una via di Croydon a sud di Londra. Il signor Byrne, il mio anfitrione corporeo, si
dilettava a scrivere novelline che leggeva agli amici del Club, tra un bicchiere di
porto e una birra scura, mentre i ciocchi
di quercia si consumano nel camino di una
vecchia arenaria rossa del Galles. Ho
continuato le sue abitudini, invero gradevoli. Le novelline che vi propongo sono il
prodotto sincretico di una cultura tanto
antica che non ho termini attuali per descriverla e la rigorosa formazione classica di un moderno gentleman.
Sean
Foster
Sean Foster, nome d’arte di un autore
emergente amante del fantasy, del
gioco di ruolo, della storia
e della letteratura.
I suoi scrittori preferiti variano
da David Eddings al più recente
Neil Gaiman, autori cui si è ispirato nella
stesura di due romanzi ( fantasy e fantasy/storico ) in fase di revisione per poi
passare in fase di approvazione da parte del maestro Yoda. Solo ultimamente
ha cessato di credersi un witch hunter
dell’ambientazione “Warhammer” per
dedicarsi completamente alla
scrittura, alla stesura di racconti
brevi ed alla ricerca, ovviamente in
incognito, di discepoli di Tzeentch.
Come si evince da questa descrizione,
Sean Foster è uno scrittore dalle
larghe vedute.
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I Cosmonauti di SB
BAlo
Fey
Classe 89, studente di Lingue e Letterature con un particolare interesse per
il Giappone e la cultura anglosassone.
Nerd praticante, svezzato dal Commodore 64 e Atari, ho una particolare passione per i giochi capaci di arricchire il
giocatore e andare oltre il semplice divertimento lobotomizzante fine a
se stesso (anche se apprezzo anche
quest’ultimo).
Scrivo di videogiochi sul mio blog: LoSciamanoDellaPigna, cercando di offrire
un punto di vista alternativo rispetto
alla critica ufficiale, più vicino al consumatore e a chi, come me, apprezza una
buona trama o un
gameplay innovativo piuttosto che l’ultimo sparatutto di grido. Per Storie Bizzarre scrivo recensioni di giochi bizzarri e fuori dal comune, rigorosamente
senza voto numerico, che credo essere
un metro banale e controproducente
per un media così ampio e variegato.
Fabio
Orefice
Nato a Napoli nel 1979, ottenuto il diploma
di maturità classica, comincio con il teatro
e, dopo l’Accademia, formo con alcuni colleghi e amici la compagnia de I Palconauti.
Ritorno al teatro, dopo alcuni anni di stop,
lavorando per la compagnia Tappeto Volante di Scafati. Con I Palconauti realizzo
anche un programma su RadioClub’91, “Luci
in sala”, di cui sono stato co-autore. Nel
frattempo coltivo la scrittura, ricevendo
una segnalazione speciale al premio “Fara
Nume” di Ostia nel 2006, col copione noir
“Fino a prova contraria” e pubblicando nel
2010 una favola musicale intitolata “Ali di
Farfalla”, terza classificata al premio Sognando Hemingway 2010. Nel 2009 due mie
favole per bambini, “Nel regno di Grammatilandia” e “Di dame, spade e fiori”, partecipano
alla mostra benefica milanese Fabularia,
dedicata ai bambini ospedalizzati e, l’anno
dopo, vengono pubblicate dalla e-press
Hyde Park. Ancora nel 2010, il debutto nella fantascienza con il noir “Eyes- l’identità
e lo sguardo”, attualmente in riscrittura.
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I Cosmonauti di SB
Luca
Della Casa
Luca Della Casa è nato a Milano e attualmente risiede in Spagna, dove lavora come visual designer e content editor; scrive racconti e poesie, tradotti
in inglese e spagnolo.
In questo numero con uno frammento
del suo romanzo
“De occulta tecnologia” un romanazo
che ci catapulta Tra Intelligenze Artificiali e cloni cibernetici, tenebre claustrofobiche e misteriose presenze nella rete; l’essenza cyber-punk sfuma
inesorabilmente nell’horror, fondendo
l’inumana tecnologia del terzo millennio con le arcaiche filosofie esoteriche
del culto per il male.
“De Oculta Tecnologia” Edizioni Rockshock.It
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Editoriale
“Non esistono certezze, esistono solo opportunità.”
da “V per Vendetta” di Alan Moore
Sarebbe bello, nella vita di tutti i giorni, avere certezze. Certezze sul
futuro, su quello che facciamo, sul lavoro. Ma nel mondo in cui viviamo queste sono ormai poche. Fuggevolmente però, nell’arco della
nostra esistenza ci viene offerta un’opportunità. Storie Bizzarre è la
nostra opportunità, una chance per dimostrare che la fantasia che ci
ha portato da bambini a sognare mondi fantastici non ci ha abbandonato anzi, può diventare il modo più semplice di comunicare. Questa
è l’opportunità che noi offriamo anche a voi, da lettori trasformarvi
in scrittori e illustratori. Questo mese ospitiamo in copertina il maestro Max Bertolini, artista internazionale che, per la causa
di Storie
Bizzarre, ha prestato una sua grande opera d’arte. A noi della redazione è stato chiesto di sceglierne una dal suo sito per
la copertina; l’amore che è scoccato
con l’immagine scelta è stato immediato. Quanti di voi non rivedono se
stessi da bambini, intenti a creare con
la mente mondi fantastici, dove si è
principi e guerrieri, astronauti e
esploratori. Bene, è il momento
di afferrare la vostra opportunità, in modo da dimostrare che
quel bambino che si affaccia nello specchio vive ancora dentro di
voi e condividere con tutti noi i
mondi che calpesta, esplora, conquista e regna.
Il direttore
Salvatore Russo
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La strega
di P.A.M. Diraque
I calzari affondavano nel fango del sentiero, la pioggia scorreva
sugli elmi e sulle armature, si infiltrava nelle giunzioni, sotto la
maglia ferrata, sui muscoli allenati dal combattimento. I mantelli erano zuppi e pesanti, l’aria oscura, la gola tra le montagne
sinistra. Il vento si calmò e il comandante del drappello alzò gli
occhi affaticati verso le cime aspre delle rocce spezzate, cercando nella caligine la fine del sentiero. L’apertura della caverna era
imponente: una cattedrale nera che inghiottiva lo spazio, minacciava il monte, rabbrividiva gli animi. I soldati controllarono le
armi, si aggiustarono le corazze, spinsero indietro i mantelli e
s’ immersero nell’antro, le spade che puntavano verso minacce
misteriose e invisibili.
E i guerrieri allibirono. Una luna invisibile disperdeva la sua luce
infame, affinché si capisse che l’interno era senza fine. Lo sguardo si smarriva, come nelle notti senza astri. L’ Immensità era stata chiusa nella montagna. Le suole calpestarono le ossa umane
e fratturarono i teschi che lastricavano il pavimento sconfinato.
La paura si manifestò negli sguardi sbigottiti, nei respiri affannosi, nei sussulti improvvisi. Soffocarono ogni rumore, cercando il nemico con l’udito. Volsero le teste intorno, stringendo gli
occhi dietro le celate.
Videro la strega che scendeva lo scalone di smeraldo, incedendo
maestosamente. La figura sinuosa, imperiale, trascinava in nuvole dorate i veli sottili che bagnavano il suo corpo che allucinava gli sguardi, turbava gli animi, annichiliva le volontà.
Avrebbero voluto … avrebbero dovuto …
Avvinti dal fascino insopportabile di quella visione che infiammava desideri tanto violenti che l’immaginazione si arrendeva,
restarono in attesa, trepidi, le nocche che si imbiancavano sulle
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else, la carne che si irrigidiva nel metallo. Dal mondo della passione peccaminosa, della lussuria più impudica venne la voce
della donna: - Uccidetevi per me! - e fece il gesto compassionevole del sacerdote che accoglie i suoi fedeli timorosi.
Crebbe nelle loro vene un furioso odio per i compagni, rifornito
dal desiderio implacabile di essere schiavi ubbidienti di quella
divinità. A due a due le lame si scontrarono, le scintille segnarono l’aria opprimente e le urla di battaglia si mescolarono al
sordo schianto del ferro che cedeva, del tormento gridato di chi
moriva, del sussurro sanguinoso della carne lacerata. E, dilaniato l’avversario, ognuno rinnovò il duello. E ancora, ancora …
Gli ultimi due guerrieri, ansimando, sguazzando nel sangue dei
caduti, retti dall’energia che dà il livore, rinnovarono il combattimento.
Entrambi avevano ucciso per anni campioni della guerra, avevano lottato nelle steppe aride dell’Asia contro barbari selvaggi,
avevano ricoperto di cadaveri le spiagge nere dei regni del Nord,
gioito dell’attacco a rocche assediate, massacrato le schiere prezzolate dei Principati mercantili. Si erano divisi il pane secco e
l’acqua putrida, si erano fasciati le ferite dei pugnali e i fori delle
frecce. Si erano protetti reciprocamente nel tumulto di mille battaglie. Avevano cantato insieme, sotto le tende, alla vigilia degli
scontri e pregato in coro gli dei oscuri della morte, perché fossero compassionevoli con chi avrebbe varcato la soglia buia del
loro regno.
Così, uno morì, il fianco squarciato da una sciabola che tante
volte l’aveva protetto. L’ultimo soldato si inginocchiò, si sfilò l’elmo ammaccato e sciolse l’armatura spaccata. Si appoggiò su un
braccio, sputò sangue e disse: - Ho vinto, per te! Quella visione lancinante parlò, con il tono dolente di chi riceveva un torto oltraggioso:
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- Non sei morto per me! –
L’ultimo uomo si terse il sudore dagli occhi e volle compiacersi
dello sbalordimento soffocante di quella bellezza inumana. Erano stati raccolti eccellenti combattenti, addestrati per uccidere
chiunque ed erano stati sconfitti. Abbattuti e annichiliti come
una fiammella che cade nell’Oceano oppure una goccia di rugiada di fronte a una valanga. Lei era protetta da uno scudo più
duro dell’adamàntio degli dei, più impenetrabile del profondo
dei cieli. Era protetta dalla sua impossibile bellezza. Essa era il
suo generale invitto, la sua schiera indomita, la sua fortezza inespugnabile.
Si uccise, gettandosi sul moncone della sua spada assassina, contento.
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The beauty and the monster
di Claudio Avella
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Amore e morte
di Luca della casa
Ci ho provato, annaspando, arrancando, infine ho perso la presa
ed è ricominciata la caduta nell’oscurità gelida.
Il suo volto disperato si allontana.
Persa per sempre. La storia della mia vita fatta di grandi occasioni, tutte irrimediabilmente mancate.
Niente paradiso, dunque. Il riposo sarebbe bastato.
Riposo eterno, per i disgraziati come me e il mio amore, sepolti
nell’eterno rimpianto.
I sotterranei del Lounge Lizard ricordavano l’astronave Solaris,
quella descritta da Lem, nella quale il disordine mentale trionfava su ogni logica organizzazione tecnologica.
Cavi, amplificatori e proiettori laser. Parti meccaniche e lamiere
contorte incrostavano i neri muri ricoperti di condensa.
Una moltitudine di monitors al plasma riversava immagini di
sesso, orrore, arte deviante, news e violenza sulla folla d’avventori pigiati nel salone.
Martellanti samples elettronici rimbombavano sotto l’alta volta
di cemento armato, mentre le ragazze in lucido latex color rosso
sangue, dietro il bancone di titanio, servivano da bere nei vapori
fluorescenti.
Nonostante il luogo non mi dispiacesse, non riuscivo a scrollarmi di dosso la mia perenne sensazione di disagio. In realtà non
mi trovavo bene da nessuna parte. Cominciavo ad avere la certezza di essere un componente difettoso. Un prodotto di serie
con qualche mal funzionamento strano.
Però, a quanto si diceva nei network, non ero il solo con la testa
imbottita di domande. Forse era per questo che i locali come il
Lounge Lizard, ritrovo d’emarginati, estremisti e traffici illegali,
erano in aumento. La polizia ne chiudeva uno, altri ne spuntava18
no, come funghi velenosi figli della pioggia acida.
Al Lounge Lizard c’era in corso una sorta di festa Horror. Molti
degli avventori portavano costumi sospesi tra lo stile fetish e la
celebrazione di Halloween.
Il locale era stracolmo, con la musica assordante e velenosa, come
d’abitudine. Tutti sembravano spassarsela.
Un’enorme olografia con scene sintetizzate dal Dracula di Coppola scendeva, digradando come una cascata multicolore, sulla
ressa frenetica.
Mi appropriai di uno sgabello presso il lucido bancone metallico
e chiesi una birra alle cameriere esagitate.
Una biondina mi porse, con un distorto sorriso da stimolante, la
pinta di birra. Poi mi fece le boccacce, ci conoscevamo di vista.
Sembrava su di giri.
Doveva avere una ventina d’anni. Dietro l’aspetto emaciato e il
pesante trucco da film Horror, non era per niente male. La scarlatta tenuta in lattice sintetico la rivestiva come una seconda pelle, risaltandone le forme attraenti.
– Che fai dopo? – Domandò la barista.
– Smaltirò la sbronza, credo. – Non mi sembri troppo partito – dichiarò passandomi l’indice
sui capelli grigi delle tempie
– Non ancora, ma vedrai tra un po’ che roba! – Cazzo, e io che volevo fare i numeri con te stanotte – Lascia perdere, non credo che mi si rizzerà. Lei allargò le braccia sconsolata e si diresse sculettando a prendere le ordinazioni dalla parte opposta.
Presi un’altra birra, respirai una profonda zaffata d’ossigeno
puro e alcool nebulizzato dal dispensatore gentilmente offerto
dalla casa, poi mi alzai dal bancone per fare un giretto nella sala.
Conoscevo un po’ di pazzi tra i presenti. Ne salutai qualcuno.
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Hi-five, pollice in alto, pugno contro pugno… Insomma l’intero
repertorio di cazzate. “Tutto a posto? … Come butta? ... Non c’è
male, ci trasciniamo amico, ci trasciniamo nel liquame”.
Infine mi sedetti a terra tra il groviglio di corpi, appoggiando la
schiena al muro di monitors.
Mi lasciai trasportare dalla musica e dalla proiezione composita
della caduta libera, dal puzzle dell’umanità nel baratro della decadenza.
Infine venne la camerierina bionda ed emaciata, col suo maquillage Emo e la tutina sexy.
Aveva in mano una bottiglia di Scotch di marca.
– Credevi di sfuggirmi, papi? – Disse prendendo posto al mio
fianco.
– Sei una bella testarda tu, eh?– Sono una cagna che non molla la presa facilmente. –
– E come fai di nome? –
– Genny! Tu invece ti chiami Marco e sei mezzo spagnolo, giusto? – Sei bene informata, vinci un sigaro. – Sii, ma che sia lungo e tosto come piace a me – rispose sfilandosi le scarpe col tacco a spillo.
Aprì la bottiglia, tracannò una lunga sorsata e me la passò.
– Offre la ditta? – Domandai.
– Già, la premiata ditta gola profonda! –
Era simpatica la biondina. Parlammo urlandoci nelle orecchie,
per superare il volume della musica.
– Mi sembri giù di corda. – Azzardò a un certo punto.
– Le cose non girano per il verso giusto –
– Capitano a tutti i periodi di merda – A me capitano troppo spesso. Sono una specie di calamita per
le rogne. – Proclamai dopo avere buttato giù un bell’ingozzo di
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liquore.
Alla fine mi persi nei suoi occhi verdi. Rapito dalle sue labbra
porpora, in tinta col vestito. Gran cosa le donne: non c’è niente
di meglio per sentirsi vivi, per tirare avanti. Decisi di dimenticare le grane per un po’.
Genny mi montò in grembo a cavalcioni. Tirò giù la cerniera
lampo e scoprì le tette. Mi guardò dritto negli occhi e socchiuse
la bocca, invitante.
Baciai, morsi quelle labbra sbavate di rossetto. Quel collo esile, le
orecchie minute coperte di orecchini.
Frugai sotto la gonna, sondai con le dita le mutandine di newtex
lisce come cellophane.
– Cazzo come scotti, ma hai la febbre? – Domandai
– So solo che ho una gran voglia, sono tutta bagnata … – Ansimò.
Eravamo in mezzo alla gente ma nessuno faceva caso alle nostre
manovre. Qualche coppietta qua e là, si dava da fare allo stesso
modo.
Frattanto, in mezzo alla pista aveva luogo un mosh infernale nel
quale i corpi si avvinghiavano in una gigantesca mischia a tempo di musica.
Slacciai le stringhe del suo corpetto e le liberai i seni, presi a baciarli.
Genny s’impossessò della patta dei miei pantaloni, calò la lampo. Ce l’avevo bell’e duro come la pietra.
– Non avevi detto che non si sarebbe rizzato …
– Merito tuo ragazzina. Le abbassai le calze di nylon. Spostai di lato le mutandine. Era
bagnata, calda e invitante. Glielo misi dentro.
– Questo è un fottuto altoforno! 21
Poi mi alzai in piedi, la sollevai di peso e la misi contro il muro.
Genny mi cinse i fianchi con lunghe gambe nervose. Mi tirò per
i capelli. Io badai unicamente a ficcarglielo in corpo.
Spinsi a fondo. L’arpionai tenendola contro la parete. Fu percorsa dai brividi, da capo a piedi.
Parve una belva presa in trappola.
Lo facemmo contro il muro, con la luce strobe e la musica devastante nelle orecchie.
– Come sei buona Genny!
– Oh Marco… – Sussurrò – Fammi male!
Era fuori di sé, glielo spinsi più su che potevo, si dimenò come
un pesce preso all’arpione.
Roteai i fianchi, lei guizzò come i salmoni che risalgono la corrente.
Lo facemmo come si doveva: lentamente e ben a fondo, per interminabili istanti eterni.
– Sto avendo l’orgasmo più lungo della mia vita. – Proclamò alla
fine, sbattendo la testa come un burattino impazzito.
A me mancarono le parole.
Piacere reciproco, Pensai.
Ci sedemmo a terra esausti.
Genny si accese una sigaretta, me la passò, feci un paio di boccate, tossii nel solito modo asinino e gliela riconsegnai. Allora
afferrai la bottiglia.
– Con le bibite va meglio – dichiarai dopo avere inondato il gargarozzo di whisky.
Credetti di sentirmi quasi bene. Se non altro per un po’ m’ero
scordato degli incubi.
Che si fottessero la Chiesa Nera e la Outright inc.
Genny crollò lì per terra. Si rannicchiò su se stessa e prese a dormire della grossa.
22
Poi, un ragazzo coperto di brufoli venne oltre. Lo conoscevo: mi
aveva procurato dei componenti rubati per Electra.
– Ehi Marco, c’è una tipa qua fuori, un gran bel pezzo di sorca
che vuole vederti –
– Cos’è, mi prendi per il culo microbo? – Oh no, eravamo lì fuori a fumare, è venuta lei, ci ha chiesto se
ti conoscessimo. Ci ha allungato un bel pezzo da venti per venirti a chiamare. - diede di gomito al suo amichetto – È vero, o
dico stronzate? L’altro annuì. – È vero, cazzo, un gran bel pezzo di sorca! – La conoscete? – No, mai vista prima – Rispose il foruncoloso, convinto.
Baciai Genny sulla bocca, non parve accorgersi di nulla: era partita per la tangente.
Imboccai l’uscita scansando i corpi dei frequentatori del Lounge. Avevo uno strano presentimento. Niente di buono.
Mi recai in strada.
Era quasi l’ alba. Cercai per un poco. La intravidi, una ventina
di metri più in là. La responsabile del servizio di sicurezza Outright in persona. L’ interprete dei miei incubi, in carne e ossa.
Mi diressi verso di lei.
Se mi fai girare le palle stanotte ti metto sulle ginocchia e ti faccio il culo a strisce. Pensai.
Se ne stava appoggiata ad una grossa BMV, di quelle appena sfornate. Con fare indolente. Braccia conserte, pantaloni aderenti e
giacca in costosissimo cuoio nero. Aveva il potere di scatenare
tutta la mia antipatia, tutto il mio odio nei suoi confronti. Sentimento forte, l’odio, proprio come l’amore e il desiderio.
La luce gelida dei neon illuminò le morbide curve lucenti della
vettura. Le morbide curve lucenti dei suoi seni, dei fianchi, delle
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cosce. Lei e la macchina sembravano prodotti dalla stessa fabbrica, i manufatti degli stessi robot.
- Maledetta strega. Ora ti accomodo io – Grugnii.
Ero ubriaco, senza energia. Barcollai. Dovevo aver l’aria di un
babbuino stupido.
Improvvisamente uno spostamento d’aria enorme, accompagnato dalla vampata di calore e dal boato di un’esplosione assordante, mi sollevò da terra trascinandomi a velocità folle nel
vuoto.
Ricaddi rovinosamente sul selciato, giusto ai piedi di Gertrud
Lilith.
Ero paralizzato. Volsi la testa verso il Lounge Lizard. Non potevo credere a miei occhi: quei maledetti assassini l’ avevano fatto
saltare in aria.
L’ odore di plastica bruciata, l’ assordante crepitare del fuoco, il
lamento dei feriti, le sirene d’ allarme impazzite.
Qualcuno cercò di salvarsi correndo in preda alle fiamme per
poi stramazzare esanime dopo pochi passi.
– Genny - Pensai prima di scivolare nell’ oscurità.
A chi non è successo di svegliarsi di colpo con l’impressione di
piombare nel nulla?
Ecco: il mio problema era quello di non riuscire a ridestarmi e
perciò continuai a cadere.
Sembrava che non mi sarei mai più arrestato ma alla fine due
piccole mani fermarono il mio volo.
Era Genny. Sembrava in forma, non più male in arnese come
prima, più energica e indiscutibilmente carina. Il suo volto era
raggiante e il pallore della morte aveva abbandonato le sue gote.
- Forza amore - supplicò - un piccolo sforzo e sarai salvo. Rimar24
remo insieme tu e io, per l’eternità -.
Ci ho provato, annaspando, arrancando, infine ho perso la presa
ed è ricominciata la caduta nell’oscurità gelida.
Il suo volto disperato si allontana.
Persa per sempre.
La storia della mia vita fatta di grandi occasioni, tutte irrimediabilmente mancate.
Niente paradiso, dunque. Il riposo sarebbe bastato.
Riposo eterno, per i disgraziati come me e il mio amore, sepolti
nell’eterno rimpianto.
25
Steam
di Flavio Berti
26
Fame
di Marco alfaroli
Erano loro. Li vidi entrare nel parcheggio sotterraneo semidistrutto, me ne stavo nascosto tra le lamiere contorte e le macerie
del soffitto crollato.
Sbavai appena li vidi, erano in quattro. Grugnii agli altri torcendo la testa, articolavo male i miei movimenti.
Dal buio molti occhi fulgenti mi risposero. Avevamo fame.
Io avevo più fame di tutti, ero il capo e dovevo mangiare per primo. C ‘era carne fresca davanti a noi, carne fresca e sana.
Tutti insieme uscimmo dai nascondigli; spostavamo casse abbandonate in quel disastro, fusti di chissà cosa che chissà per
quale motivo erano lì. Tubazioni pendenti dal soffitto e altre
schifezze che ci intralciavano. Urlando in modo inumano, andammo avanti.
Loro ci videro, vidi le loro facce terrorizzate dare l’allarme; erano
due uomini e due donne, iniziarono a scappare. Uno di loro aveva un’ arma, prese a sparare verso di noi. Fui colpito per primo,
i colpi mi trapassarono ma non sentii nulla, vidi solo schizzare
brandelli della mia carne marcia per terra, di sicuro fuoriusciti
dai fori.
Non potevano uccidermi: ero già morto.
Trascinandomi a fatica avanzai, dovevo raggiungerli. Gli altri mi
affiancavano. Le braccia protese in avanti con le mani ridotte ad
artigli. In cerca di una preda. Di un corpo da smembrare.
Quello col fucile inciampò. Cadde a terra perdendo la sua arma.
Io riuscivo a ragionare sempre meno, imprigionato nella mia
carcassa in decomposizione. Vidi che era a portata di denti e la
frenesia mi prese, accelerai il passo. Il passo pesante di uno zombi.
Ci avventammo sull’ umano caduto al suolo, senza preoccupar27
ci dell’altro col fucile a pompa. Le due donne, invece, si erano
fermate dietro di lui e strillavano.
Il boato del colpo di fucile scosse tutti, me compreso, anche perché fu il mio braccio ad andare in briciole.
Mi guardai lento la spalla. C’era rimasta solo quella e non avevo
sentito niente.
Ormai gli erano addosso, cominciarono a morderlo e lui urlò
di dolore. Il sangue schizzò copioso, io lo guardai. Se fosse solo
morto sarebbe diventato uno di noi. Ma erano in troppi sopra,
non ne sarebbe rimasto molto. Probabilmente niente che avrebbe potuto camminare.
Un secondo colpo di fucile a pompa. La testa dello zombi davanti a me, esplose. Il suo corpo rovinò a terra, ma si muoveva ancora. Così ridotto era cieco, e nessuno di noi l’ avrebbe aiutato.
Il lago di sangue in cui giacevano i resti della preda che avevamo
raggiunto, ci fece perdere l’ultimo barlume di ragione: volevamo anche gli altri.
Se ne resero conto, ci voltarono le spalle e presero a correre. Vomitai mentre li inseguivo, rimasi agganciato a un ferro che fuoriusciva da un pilastro e un pezzo del braccio che mi era rimasto,
ci rimase attaccato. Ma tanto non sentivo niente.
Come avrei voluto sentire qualcosa ... e come avrei voluto ribellarmi al mio istinto. Non potevo.
Non ricordavo chi fossi. L’unica cosa che contava per me era
mordere e contaminare chi era sano. C’era qualcosa in me che
me lo ordinava. Qualcosa che c’è ancora.
Arrivarono in un angolo cieco del parcheggio. Erano in trappola. I grugniti dei miei compagni echeggiarono in segno di vittoria ed anch’ io pregustai avidamente il pasto.
I loro volti pieni di paura ci ingannarono, una delle donne aprì
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una porta. Nessuno di noi si era accorto che ci fosse.
Entrarono tutti e chiusero. Con rabbia ci avventammo su quella
porta ma era solida, inscalfibile, invalicabile.
Mentre gli altri graffiavano e mordevano quella barriera, mi voltai torcendo lentamente la testa.
Altri uomini erano arrivati e non li avevamo notati. Avevano
delle bombole a spalla e impugnature collegate con un tubo da
cui balenavano piccole fiammelle.
Lanciafiamme.
Urlai per avvertire tutti del pericolo, ma ormai eravamo noi in
trappola. Il fuoco illuminò e avvolse tutto. Percepii solo la luce
intorno a me. Non potevo sentire il calore e neppure il dolore.
Potevo solo bruciare e così fu. Per tutti noi.
Il buio assoluto mi sommerse.
Ero finalmente libero? Ero un non-morto, morto?
Non so quanto tempo sia passato.
Lentamente mi sveglio. Uno zombi non si risveglia, semmai si
rianima. Non so descrivere la mia sensazione, ma mi rendo conto di essere legato. Su un lettino. Loro sono tutti intorno e si sono
accorti che mi sono ripreso.
Torco la testa e vedo il mio corpo bruciato. Non è tanto peggiorato in fondo, è solo abbrustolito.
Mi agito, ringhio, sbavo, ma sono impotente così legato.
Stanno facendo qualcosa su di me. Hanno siringhe, alambicchi,
attrezzature mediche. Forse cercano una cura. Forse l’ hanno
trovata.
Forse possono curarmi.
- Può funzionare dottore? - Non lo so, ma ho isolato il virus che mantiene la vita in questi
mostri. Proveremo su questo e se riesce a spegnerlo avremo la
nostra arma. 29
No, no... vogliono distruggermi. Vogliono...
Un liquido verde mi arriva addosso, spruzzato da non so cosa;
sento le forze che mi abbandonano.
Sento sempre meno il mondo intorno a me...
non sento più niente.
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Skull
di Flavio Berti
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Eterno pt#1
di Sean Foster
Il rumore dei loro tacchi rimbalzava sulle pareti assestanti, come
lo avrebbe fatto una scura pallina di plastica in una stanza quadrata, adorna di spogli muri bianchi macchiati dal tempo e dagli
aloni d’umidità che si spandevano sul soffitto, come lo avrebbero fatto le radici di una quercia su di un fertile terreno chiaro. I
bambini non erano inquieti quel giorno, pensavano che sarebbe
stata una semplice ed allegra gita a trovare i nonni, in ospedale
a causa di una leggera tosse che, tuttavia, per non degenerare
aveva bisogno di essere curata nel più meticoloso dei modi; in
un’apposita struttura medica.
- Dovrebbe essere questa. - Le parole uscirono dalla bocca della
giovane donna con timore ed ansia ma senza abbandonare fermezza e rigore; suo padre era stato ricoverato da poco insieme
alla madre per un tumore terminale ed i medici, da ciò che avevano lasciato capire poco prima al telefono, non auspicavano
buone notizie - Almeno così penso. - Concluse esitando sull’opaca maniglia d’ottone con la mano avvolta dall’abbraccio di
un morbido guanto di pelle di renna. L’uomo, che la seguiva, si
chinò sulle ginocchia per dire due parole ai bambini, dopodiché
si portò dietro la moglie, le cinse la vita con un braccio e portò
la mano libera su quella della compagna, incoraggiandola sopra
la maniglia - Adi, cara, dietro quella porta non c’è niente di più
rispetto a ciò che già sai. - Sorrise mostrando i denti bianchi
parzialmente nascosti dai peli dei lunghi baffi neri che gli scendevano lateralmente fino al mento.
Lei, continuando ad opporre resistenza con il braccio per non
aprire ancora la porta, annuì e ricambiò il sorriso in un breve
istante di lucida consapevolezza che portò la sua mano a spingere la maniglia verso il basso. Il corridoio era vuoto, le pare32
ti erano verdi e spoglie se non per qualche quadro inespressivo che faceva sfigurare ancora di più le tavole d’anatomia e gli
avvertimenti sanitari racchiusi in sottili cornici di vetro lucido.
Non un rumore poteva essere udito se non i fischi ed i corti suoni elettronici di macchinari accesi, intenti a tenere in vita i pazienti nel reparto d’ospedale di terapia intensiva; pesanti bombole d’ossigeno, flebo ed altre strumentazioni che un bambino
non dovrebbe vedere. Effettivamente sarebbe corretto dire che i
bambini non sarebbero dovuti essere presenti, ma la madre aveva insistito con il capo reparto per fargli vedere un’ultima volta
il nonno; da quello che era riuscita a dedurre dalla breve chiamata dell’ospedale, suo padre, come la madre, erano entrati in
uno strano stato di piena coscienza nonostante il cancro fosse
arrivato a stadi impossibili da arrestare.
- Venite bambini e mi raccomando di non fare caso a quello che
sentite, qui le persone vengono per riposare ed alcune tendono a
lamentarsi. - Aveva redarguito Adia, scompigliando i biondi capelli dei figli ed inarcando visibilmente le labbra rassicurandoli.
- Se vengono qui per riposare perché si lamentano, mamma? Aveva domandato Ambra, la più piccolina, spalancando i grandi
occhioni azzurri per la curiosità e facendo eco nel corridoio con
la sua vocina alta.
La donna guardò verso il marito che aveva impercettibilmente
aperto le braccia
- Silenzio, tesoro, qui la prima regola è il silenzio. - Le aveva
risposto lei mettendole il dito indice sul naso per poi porlo davanti alle labbra rosee e guardare Augustin, il figlio più piccolo
di circa sei anni, che mettendosi entrambe le manine guantate di
lana davanti la bocca annuì.
La famiglia mosse i primi passi all’interno del corridoio dell’ospedale, la luce delle piccole e tonde lampade fissate al soffitto si
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rifletteva esile sulle mattonelle in marmo del pavimento a scacchiera bianca e nera; luccicando tal volta quando ancora umide
di detersivo.
I loro nasi si arricciarono per via dei forti odori che riuscivano
a percepire: alcol, iodio, ammoniaca, disinfettante ed un debole aroma chimico di limone che proveniva dai bagni socchiusi,
dove un mocio ed un secchio colmo d’acqua lasciavano intuire
che fossero in atto le pulizie pomeridiane. Una sola finestra dava
verso l’esterno ma la tendina di stoffa cadeva davanti, pesante sul
parapetto interno come le pene che affliggevano chi era costretto in quei letti anonimi, plasmati da troppa solitudine. Andando
più avanti passarono le stanze numero tre e sei sulla sinistra, per
arrivare quindi alla nove, subito davanti alla stanza degli infermieri, dove la porta accostata lasciava a malapena sfuggire la
bassa voce del giovane capo reparto in carriera intento a discutere questioni d’ospedale con gli infermieri di turno. I quattro
si fermarono davanti la porta della stanza numero nove, papà
Jason sistemò le giacche a vento dei due pargoli ed il cappellino in lana rossa sulla testa del maschietto per poi rivolgersi alla
moglie - Entriamo prima noi, poi, se sarà il caso, faremo entrare
anche i bambini. - Propose.
- No. - Aveva sentenziato Adia fissando il numeretto in plastica
nera sulla porta che aveva davanti - Entro io, non voglio che i
bambini restino qui fuori da soli, poi verrò a chiamarvi. Non lasciò il tempo al marito di controbattere che spinse la porta, priva di maniglia, verso l’interno ed in un corto cigolio entrò
all’interno della modesta stanza. La luce era molto fioca e filtrava giallastra attraverso i rami di un’alta quercia che sporgeva
davanti al finestrino in volumetrici raggi che si spandevano sulle
tendine giallo sbiadito davanti al vetro; anche quelle verdi pareti
erano spoglie se non per l’alone bianco lasciato dalla forma di
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un probabile crocifisso ed un armadietto azzurro posto vicino al
bagno privato.
Stesi sul letto c’erano i suoi genitori, lui la fissava con i suoi occhi
azzurri ed un debole sorriso sopra la folta barba ancora bianca
che scendeva fino al petto. Per sua espressa volontà non era stata
tagliata, essendo quello un ospedale privato nessuno avrebbe potuto troppo opporsi alla rigida decisione di un vecchio terminale. Lei sembrava dormire, attaccata al respiratore, con due flebo,
stesa sul lettino ed avvolta da bianche coperte sembrava l’ombra
di ciò che nella realtà rimarrebbe di una principessa delle fiabe:
i lunghi capelli bianchi le incorniciavano il volto magro ma elegante, le palpebre chiuse truccate con un leggero ombretto color
carne scura avevano deboli tremiti, le mani con le unghie ancora
curate erano incrociate sul petto che si alzava e si abbassava regolarmente sospinto da un tubo trasparente che finiva con una
mascherina davanti la sua bocca chiusa.
Il vecchio fece forza sugli avambracci e portò la schiena in maniera più eretta sullo schienale del lettino inclinato, si tolse il
respiratore e la figlia ebbe un sussulto che lui si affrettò a fermare mostrando il palmo della mano sinistra - Non preoccuparti,
tesoro... - Parlò con voce saggia ma roca, tarata dal tempo, le
rughe ai bordi degli occhi si accentuarono quando sorrise ed i
suoi baffi confusi nella barba sembrarono simpaticamente allargarsi - Non mi serve davvero, riesco a parlare ma quando dormo
i dottori dicono che ho difficoltà respiratorie. - Cercò invano di
rassicurarla.
Adia aveva posto entrambe le mani sulla giacca di pelle marrone
strette davanti al cuore.
- Hai visto? - Continuò lui tentando di nascondere una fitta di
dolore al torace - Ogni mattina, quando mi alzo, la trucco e le
do un bacio sulle labbra. Dopo sessantasette anni ancora qui,
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hanno provato ad impedirmi di alzarmi ma ho il diavolo in corpo, io, non saranno quattro pavoni a fermarmi. - Si sporse sul
lato destro del lettino e portò il braccio tremante su quello della
moglie, stringendo delicatamente il suo pugno intorno all’esile
avambraccio di lei - Sorride quando la trucco, quando riesce a
parlare dice che vuole essere bella per me e per il ballo di domani. - Inspirò profondamente guardandola quasi con rimpianto
- Il suo oggi è sempre il suo domani. - Carezzandola con la dolcezza di chi per la prima volta abbraccia la sua amante.
Adia si costrinse con anima e corpo a mantenere la dignità ed a
non mostrarsi debole - Papà, io ho portato i bambini.- Si morse
il labbro inferiore trattenendo una lacrima e le cadde l’occhio
sull’elettroencefalogramma della madre, debole ma ancora pulsante - Pensi sia il caso di... - Assolutamente si, voglio salutare i miei nipoti. - Decretò quello
con fermezza.
Lei annuì ed uscì dalla stanza senza pronunciare una ulteriore
parola. Si chiuse la porta alle spalle e si sforzò di apparire tranquilla sotto lo sguardo interrogatorio del giovane marito - Venite bambini, la nonna dorme per cui non parlate ad alta voce,
non svegliate il nonno e per qualsiasi cosa correte a chiamarmi.
- Disse loro chinandosi sulle ginocchia coperte da neri pantaloni di seta e facendo ricadere i lunghi capelli sulle cosce.
- Foglia di primavera, io non so se... –
Jason aveva provato ad interromperla ma lei si rialzò immediatamente e con fermezza - Nella vita ho imparato tante cose, Jas, e
tra queste che non voglio negare ai miei genitori di vedere i loro
nipoti, come vorrei che i nostri figli non lo negassero a noi. Le mani alzate dell’uomo si scontrarono per un istante con il
cellulare che usciva dalla tasca del suo cappotto facendolo rientrare nello scompartimento adeguato, cercando di sottrarsi al
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confusionario ragionamento della moglie ed abbassando la testa
- Non sono nella posizione di mettere bocca. Lei abbassò lo sguardo e lo abbracciò - Scusami tesoro... –
L’altro l’aveva cinta con entrambe le braccia e le aveva carezzato
i capelli - Non c’è problema, foglia di primavera. - La sciolse dalla stretta e le prese il mento tra il pollice e l’indice - Vuoi entrare
con loro o preferisci parlare con i medici? Aida scosse la testa - Vorrei che io e te andassimo a parlare con
i medici. Lui annuì.
- Forza bambini. - Batté pacatamente le mani la mamma - Andiamo a trovare i nonni e ricordate: niente domande sul posto
dove stanno altrimenti il nonno si arrabbia. La bionda figlioletta inclinò la testa sprofondando nella soffice
sciarpa di lana bianca - Perché? - Perché te lo dico io, tesoro. - Severa.
- Va bene, mamma. - Parlò il pargolo più piccolo incrociando
le dita davanti le labbra per poi baciarle in un sonoro schiocco
- Pesciolini nella bocca. Lei abbracciò i bambini, poi aprì la porta - Salutate il nonno. Sorrise ed i due piccolini agitarono silenziosamente le manine.
- Eccoli. - Esclamò stancamente il nonno allargando di poco le
braccia e cercando di nascondere nelle maniche gli aghi delle
flebo - I miei due cavalieri senza nome. - I due quasi esplosero
di gioia sentendosi chiamare così e guardarono la mamma che
gli fece cenno di andare. Adia rimase un breve istante a guardare, fermando quell’immagine nella sua memoria come una
macchina fotografica avrebbe catturato su nuova carta la stessa
scena già vissuta in tempi andati. Aveva chiuso nuovamente la
porta alle sue spalle ed era uscita dalla stanza a volto basso ma
con le labbra inarcate verso l’alto, mentre la mente era persa nei
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ricordi.
- Come stanno? - Chiese Jas.
Lei non riuscì a rispondere, si morse il labbro inferiore tinto di
rosso - Andiamo a parlare con i medici. - Venite, venite qui sul lettino di nonno. - L’anziano uomo aveva
chiamato i bambini battendo due colpetti sul materassino coperto da pallide lenzuola azzurrine, i due giovanotti si erano guardati e senza fiatare si erano mossi in coordinazione prendendo
uno una sedia e l’altro usufruendo della stessa per salire ed aiutare l’altro a fare lo stesso. La piccola Ambra si guardò intelligentemente intorno e con spiccata curiosità inclinò la testa da una
parte e poi dall’altra facendo battere un fioco raggio di luce sul
suo guancino candido - La nonna dorme? - Domandò poi con
disinvoltura ma protendendosi verso il nonno nel tentativo di
parlare con il tono di voce più basso possibile.
Il vecchio Ulrich arricciò simpaticamente le labbra e spalancò le
palpebre facendo saettare gli occhi prima destra e poi a sinistra,
aggrottò la fronte e come a voler confidare un segreto annuì provocando deboli e coperte risatine nei due nipoti. Rise un poco
insieme a loro, tossì avendo ben cura di coprirsi la bocca con la
mano ossuta e sorrise - Come state bambini? - Aveva domandato rilassando i muscoli del volto.
Augustin tirò su le spallucce per poi riabbassarle - Bene, nonno,
grazie. - Tirò distrattamente su con il naso ed una piccola gocciolina di condensa gli si formò sulla punta dello stesso, come la
mamma gli aveva insegnato prese il fazzolettino di stoffa azzurra
dalla tasca del cappottino e si pulì - Te come stai? Il nonno fece per rispondere ma la piccola s’intromise prima Perché sei qui? - aveva chiesto domandando con sfacciata prontezza ed ovvia disobbedienza - Perché ci sono tutti questi com38
puter qui? e tutte queste cose strane? - Ci pensò su un centesimo
d’istante che passò come un granello di sabbia cade in una clessidra di vetro lucido e sfavillante - E perché non ci sono disegni
qui? Perché ci sono questi tubi strani? Ulrich aveva già cominciato a scuotere la testa alla prima domanda ed all’ultima sembrava fosse uno di quei giocattoli di plastica
chiamati bobble head - Perché? Perché? Perché? Perché? - Le
fece il verso cercando di imitarla ma fallendo nel vano tentativo,
seppur riuscendo nuovamente a far ridere i due - Perché invece non mi raccontate di voi? - Chiese alzando le sopracciglia ed
aprendo ancora più scenicamente gli occhi.
I due piccolini si guardarono e fecero spallucce - A scuola andiamo bene e Augustin ha fatto un sacco di amicizie questo mese.
- Spiegò perspicacemente la piccola sapientina - La maestra ieri
mi ha detto che sono bravissima e alla verifica su storia ho preso
distinto. - Si atteggiò stringendo le labbra ed annuendo nell’enunciare all’anziano nonno quanto lei fosse brava.
- Ci racconti una storia? - Aveva poi improvvisato il giovane
Augustin facendo dondolare le gambe fuori dal letto mentre la
sorellina aveva cura di tenerlo in vita affinché non cadesse.
La domanda era suonata così voluta e spontanea, detta più con
gli occhi desiderosi di apprendere che con le semplici parole,
che non riuscivano neanche marginalmente ad esprimere la voglia di sapere del bambino. Il suo era un mondo fatto di colori e
nuove sensazioni, le parole si mischiavano solo a queste, dandogli modo di esprimersi per permettere agli altri di comprendere
parte di quel concetto che avvolgeva il piccolo in centinaia d’esperienze ogni giorno mai provate. Libri bianchi che altro non
aspettavano di essere scritti con tinte quali solo l’ingenua mente
priva di preconcetti di un bambino sapeva tracciare. L’altra annuì.
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- Una storia... - Rifletté ad alta voce il nonno. Si girò verso la moglie e gli cadde l’occhio sul suo encefalogramma, guardò fuori
dalla finestra ed infine all’anello che lei portava al dito anulare:
una fede celtica acquistata in Irlanda durante gli anni sessanta
. Portò nuovamente lo sguardo fuori dalla finestra - Forse è ora
di una vera, storia. - Sospirando profondamente ed irrigidendo
i lineamenti del volto. Si girò nuovamente verso i nipotini che lo
guardavano ansiosamente e desiderosi di ascoltare - Avvicinatevi - Disse lui mostrandosi felice - Vi racconterò una storia che
non avete mai sentito. Loro si avvicinarono strusciando sulle coperte, lui guardò verso
l’orologio e decise di farsi forza
- Allora. - cominciò - Tanti, ma veramente tanti, anni addietro
in un mondo che noi non conosciamo e non abbiamo mai conosciuto... - Perché? - Chiese la giovane.
- Ssst, non interrompere. - La fermò subito il fratellino poggiandole una mano sulla gamba e mettendo il broncio. Lei alzò gli
occhi al cielo e sospirando - Continua, nonno, scusami per averti interrotto. - disse.
Lui annuì, - Grazie cavalier Ambra - scompigliandole i capelli ed
evidenziando per lo sforzo i muscoli del braccio destro, ancora
parzialmente delineati da tanti anni vissuti a praticare le molte
arti apprese.
- Come vi stavo dicendo... - riprese - In questo mondo c’era
un giovane mago, si chiamava Lasar, ed aveva preso carico di
una delle più gravose missioni che avesse preteso l’imperatore
di Antora, una delle più grandi terre che delineavano i confini
del continente più grande che quel mondo avesse mai visto; in
lingua antica si chiamava Aluan ovvero: ai confini del mare. - Che vogliono dire: deligneare e continente, nonno? - domandò
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Augustin, curioso.
La piccola Ambra che leggeva già da molto tempo sospirò sonoramente e si girò verso il fratello - Delineare vuol dire che fa da
confine, mentre il continente è un grande pezzo di terra che rinchiude altri pezzi di terra.- ci pensò su - Un pezzo di terra molto
grande. - Spiegò.
Il fratellino ci rifletté un attimo su e, facendo il paragone con il
confine che divideva il suo spazio da quello della sorellina nella
cameretta ed un grande pezzo di terra su cui ogni tanto si sedeva
per guardare le formiche, fece cenno di aver capito.
- Un grave male affliggeva in quei tempi l’imperatore. - ricominciò a raccontare il nonno respirando profondamente e buttando
ogni tanto un occhio sulla moglie - Un oggetto molto importante, sacro, era stato sottratto dalle sue mani durante una delle
ultime battaglie contro il male caotico e per via delle ferite riportate in guerra, come anche per via della sua posizione di imperatore, non poteva partire lui stesso per recuperarla. Ora, accadde che questo imperatore di nome Sergem convocò a corte i
più grandi maghi di ogni disciplina, ogni ordine magico accorse
alla chiamata e tra questi v’era anche Lasar, esponente massimo
nonostante la sua giovane età dell’arte della manipolazione della
materia. –
Si accorse di aver detto qualche parola troppo complessa e strabuzzando un istante gli occhi si affrettò a correggersi - Questo
vuol dire che questo mago poteva modificare le cose che possiamo vedere, trasformandole in altre cose. Caotico vuol dire
confusionario. I due piccolini ebbero un sussulto - Anche le montagne? - Domandò il giovane Augustin estasiato dall’idea. Il vecchio Ulrich
si lasciò andare ad una sommessa risata - Non era così potente, nessuno lo era nell’impero se non pochi malvagi maghi, più
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somiglianti a mostri che persone, che si vendevano ai malvagi
trovandosi trasformati in orribili creature che tuttavia potevano
disporre di un potere più forte. - Spiegò, poi tirò su con il naso
e strinse le palpebre - Disporre vuol dire che potevano avere. Guardando il piccolo che annuì soddisfatto.
- Ora, non ci fu nessuna gara e nessun duello. L’imperatore cercava un volontario che sarebbe dovuto partire da solo per non
essere trovato dal nemico; l’imperatore non avrebbe mai chiesto
a nessuno di recarsi in quel malvagio posto che viene chiamato
Hitlar Gror e che potrei descrivervi solo come una nera valle
con una cittadina arroccata su una ripida montagna solitaria... - Hanno detto di aspettare ancora qualche istante. - Aveva riferito
Jason uscendo dall’infermeria del reparto, dopo aver scambiato
due parole con il responsabile dello stesso - Stanno terminando
di svolgere degli affari interni. - Le aveva spiegato quando lei
aveva iniziato a far battere nervosamente i tacchi sul pavimento facendo ben attenzione a non esercitare tanta forza da creare
una eco - Ma come mai questo attacco? - Chiese poi, come ricordandosi solo in quell’istante dei suoceri.
Lei scosse la testa - Non so. Pochi mesi fa stavano bene, papà ha
pubblicato il suo ultimo libro sulla spiritualità e la scienza, poi
sono stata chiamata e da Londra siamo dovuti correre qui. L’altro aveva abbassato la testa ed inspirato profondamente - Era
ancora un sostenitore di quella strana teoria? - Si - La conferma della bionda uscì secca e definitiva - Il sei
giugno doveva parlare ad una conferenza per spiegare come la
teoria scientifica del multiverso potesse conciliarsi con la reincarnazione che, volgarmente, definiva pagana e come lo stesso
fatto delle reminiscenze potesse fungere da strada per gli studi
da seguire. 42
L’uomo aveva lisciato entrambi i baffi con i palmi delle mani Uno strano campo di studi, quello. Lei fece spallucce - Lui ci credeva e ci crede tuttora, anche mia
madre lo ha sempre seguito e supportato sostenendo le sue teorie a discapito delle critiche. - Si girò nervosamente dando le
spalle al marito, non per scortesia quanto per la necessità di doversi muovere per tentare in qualche modo di ingannare l’attesa
con il fisico oltre che con la mente - Da qualche anno a questa
parte so che aveva ricominciato a studiare le rune svedesi e che
aveva preso un paio di poemi medievali per cercare quelli che
chiamava: indizi persi nelle pagine. - Si girò verso la finestra e
socchiuse un occhio per lo sbalzo di tensione sulla lampadina
sopra di lei che per un istante la abbagliò - Aveva addirittura
trovato qualcuno disposto ad investire dei soldi, circa due anni
fa, e questa sarebbe stata l’ultima cosa che si sarebbe mai aspettato. Ha intensificato i suoi studi ma poi c’è stato il cancro, la sua
volontà di non volersi far ricoverare, di non voler essere di peso
alla famiglia e di voler terminare i suoi studi. - Capisco. - Disse l’altro semplicemente.
- È sempre stato un padre affettuoso, sempre, quel poco che ci
ha fatto mancare ce lo ha ridato con il tempo. - Si intenerì presa dalla foga e dai ricordi come dalla paura e dal timore - Ma
l’amore, quello che più è importante in una famiglia, non è mai
mancato. - Una sottile e delicata stilla solcò la gota sinistra della
donna scendendo fino al mento per poi ricadere lentamente in
terra infrangendosi in tanti piccoli frammenti di fluido vetro.
Dimore di eventi ed infiniti mondi creati con il passare degli
anni, in quei piccoli momenti di cui spesso è difficile ricordare
se non in sottili sfere di vetro, chiuse fuori da quell’universo che
tanto chiamiamo: realtà.
Fine Parte Prima.
43
f&sf Dreams
di Max Bertolini
44
La piccola cacciatrice
di stelle
di Fabio Orefice
Attraversando la corsia preferenziale del cielo che sovrasta Los
Angeles, Zaira svetta senza indugio sorvolando le cime degli imponenti palazzi, a bordo della sua Mustang fluttuante.
Nonostante il traffico congestionato e la pioggia fluorescente che
si abbatte senza tregua, nulla può ostacolare la sua corsa. L’intelligenza artificiale di bordo, collegata alla presa scart dei neurotrasmettitori del cervello, è intenta a elaborare i dati raccolti nei
giorni appena precedenti. Informazioni preziose quanto scomode, che stavano per costarle la vita.
Zaira non ha rivali al centro di ricerche nucleari del MIT di Boston, così come non ne ha mai avuti in ambito accademico. Il
controllo, la capacità di lasciarsi scivolare il superfluo dietro le
spalle, proprio come i tergicristalli antiradioattivi lasciano scorrere via l’acqua dalla sua visuale. La fanciulla dai lineamenti decisi e dal corpo tonico sembra non tradire mai emozioni particolarmente forti. Del resto, chiunque abbia vissuto in una famiglia
importante come la sua, sa bene che per sentirsene parte bisogna
imparare a collocare i sentimenti in secondo piano.
Suo padre era stato il più giovane centurione durante le rivolte
nelle colonie marziane, ai tempi dell’embargo economico voluto
dalla Lega Terrestre per arginare il fenomeno dei contrabbandieri di atmosfera sul pianeta rosso. Distintosi per l’alto valore militare, divenne in seguito un politico stimato, fino a essere
eletto Pretore di Los Angeles per le relazioni con gli altri pianeti.
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Onore, patriottismo, disciplina e il buon esempio da dare in società. Per tutta risposta a questi valori Zaira, negli anni dell’adolescenza, aveva tentato di unirsi a un gruppo itinerante di heavy
metal teatrale avanguardista. Per lei bambole e ologrammi incorniciati dei divi del cinema erano distrazioni, futilità da sognatori. Quante lacrime nascoste nella penombra del letto e soffocate
dal suo cuore di bambina! Fino al punto di ripudiare, non chi le
ha imposto veti e proibizioni ma, gli oggetti stessi di tali severi e
intransigenti dinieghi. I suoi amati giochi.
Così, per sentirsi finalmente accettata come normale, la ragazza si è data anima e corpo alla scienza, alla ricerca e alla politica, scatenando un’inflessibilità tanto impropria quanto paterna.
Oggi è, infatti, la presidentessa del Dipartimento per il Monitoraggio e la Confisca dei Sogni Riciclati. Un’attività clandestina,
quest’ultima, nella quale risalta particolarmente l’abilità dell’etnia branchia: un ibrido nato durante le colonizzazioni marziane,
quando la seconda generazione di pionieri ha fatto ricorso illegalmente alla manipolazione genetica per poter resistere all’atmosfera ancora non del tutto formata, senza supporti artificiali.
Il trattamento portò alla comparsa di speciali branchie, quasi
delle prosecuzioni esterne dei polmoni. Esiliati, per violazione
del codice legale sulla genetica, i branchii hanno continuato a
sopravvivere nella clandestinità, odiati e temuti da tutti. Quasi ogni sera non c’è un telepato-giornale che non dia risalto a
fatti di cronaca in cui sia coinvolto un branchio o una banda di
branchii. Zaira che, come tutti suoi coetanei e compagni d’Accademia, è cresciuta tra quattro mura di pregiudizio nei loro confronti, ne è divenuta la più acerrima nemica; fino a quel fatidico
giorno. Il giorno in cui si è imbattuta in Raul.
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Il giovane e ardimentoso Raul, figlio del capo anziano dei branchii, è il più ostinato, impertinente e prepotente cocciuto che
Zaira abbia mai conosciuto … e la cosa più bella che le si sia mai
posata sul cuore!
Era un freddo e piovoso giorno di dicembre del 2038. La giovane, come sempre inguainata nella sua impenetrabile corazza
biomeccanica d’ordinanza, era proprio sulle tracce di Raul e del
suo gruppo, scoperto dopo mesi di intercettazioni nei laboratori illegali, gli stessi dai quali i branchii craccavano i sogni dalle
banche dati di Stato per riciclarli e rivenderli alle cliniche clandestine, scorporati delle tasse. E proprio quando lei avrebbe dovuto fermarli e mettere il laccio inibitore di movimenti al collo del giovane capobanda, accadde l’imprevedibile. Un grande,
soffocante e dolce laccio invisibile travolse nella sua tenera morsa Zaira e Raul, insieme. Per lei il giovane rinnegato appariva
all’improvviso come il sogno d’infanzia esiliato per troppo tempo in soffitta. Ne sfiorava la pelle seguendo i solchi delle spalle
e del torace, così come si scarta un dono prezioso, con la medesima curiosa voracità, come quando si aggredisce per celare la
ricerca di protezione. Raul è stato il suo mondo segreto, la scoperta di una cultura nomade fatta di balli, poesie da sussurrare
su un giaciglio di incensi notturni e ghiri canterini. E la scoperta
di punti di vista a lei ancora sconosciuti.
Condurre una doppia esistenza richiede sempre una pesante
contropartita.
Adesso la vita sta esigendo il suo conto, mascherandosi da spie
governative. Ecco perché Zaira sta correndo veloce nella sua
macchina volante, nonostante la forte perturbazione. Dal suo
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monitor retrovisore giungono le inquietanti immagini in tempo
reale delle autovetture fluttuanti alle calcagna. In un baleno le
fiancate e i tettucci di quei mezzi si rivoltano palesando le insegne dei caccia-overcraft di stato, evidentemente mandati proprio dal suo adirato padre, ormai consapevole della cospirazione della figlia. Per le lacrime, per i tentativi di riconciliazione o
chiarimento, non v’è più tempo ormai.
Non sono solo poesie e universi ignoti di eros e tenerezza quelli
scoperti da Zaira attraverso la carne inquieta e negletta di Raul.
A suo tempo era stato proprio l’inflessibile padre di lei, il temuto
Pretore terrestre, a capo di una spedizione governativa segreta su Marte ad appropriarsi del più grande segreto del pianeta
rosso, il suo nucleo. Alle estreme profondità del Nuovo Mondo,
infatti, non c’è solo il ghiaccio da cui è stata in seguito ottenuta
l’aria. Nel cuore − è proprio il caso di usare questo termine − di
tale nocciolo glaciale, giace una vera e propria creatura viva, un
vegetale dall’aspetto cristallino, capace perfino di auto-rigenerarsi e di sdoppiarsi.
Il solo problema era che i pionieri della regione est di Marte,
tutti discendenti di comunità di minatori, vi erano giunti per
primi. Non solo. Essi avevano anche scoperto che il vegetale ha
lo straordinario potere di rendere fertile anche il suolo brullo e
arido di quel pianeta all’epoca ancora invivibile. Certo, se solo lo
si potesse estrarre dalle profondità e portare a contatto con l’aria
prima che muoia! Ma la Lega Terrestre non avrebbe mai potuto
permettere che tutto ciò fosse rivelato, giacché per le industrie
governative sarebbe stata la fine. E questo perché Marte sarebbe
divenuto totalmente autosufficiente.
C’è stata una guerra di cui nessuno ha mai potuto o voluto parlare, al termine della quale i minatori ribelli, rei soltanto di aver
cercato di regalare la vita e la libertà al proprio Paese, furono
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processati, confinati e sottoposti a torture in laboratori genetici
al fine di imprimere su di essi un ben visibile marchio d’infamia.
Ecco la vera storia dei branchii. Ed ecco l’orrore e lo sgomento
farsi largo come un fiume ribollente di pece e veleno attraverso
il cuore innamorato di Zaira. Marte sarebbe stato destinato in
eterno a essere l’ennesima polveriera di esperimenti e sfruttamento di risorse a beneficio dei pochi privilegiati delle lobby
terrestri!
Ma quella raggelante presa di coscienza, dopo la prima ondata di delusione, ha improvvisamente liberato la fanciulla da un
fantasma ingombrante. Svanisce così quell’ultimo opprimente
termine di paragone con la così detta normalità, che negli interludi privati con Raul ancora le regalava sfuggenti e taglienti
sensi di colpa. La piccola cacciatrice di stelle, come la chiamava
il papà quando lei era ancora una bambina, - e quando il babbo
era ancora il suo gigante, la montagna su cui farsi portare per
guardare il mondo oltre il cielo - sta guardando il proprio sogno
da vicino. E sta scoprendo sempre di più quanto le stelle, sempre
meno lontane, possano bruciare dentro.
Dunque eccola sfrecciare impavida e risoluta, deviando improvvisamente dalle corsie terrestri alle autostrade solari, dalle quali
poi imboccherà la statale per Marte.
Raul l’aveva pregata di non correre un rischio così grande. Ma
lei non può cedere, non dopo tutti gli insegnamenti sull’onore,
la trasparenza e l’incorruttibilità che proprio il papà le aveva inculcato! Ora solo Zaira sa cosa fare. Il dossier top secret aperto su di lei aveva per nome Operazione Fiore Degli Abissi, con
evidente riferimento alla creatura celata nel nucleo marziano.
E sono proprio le informazioni su quel Fiore che la coraggiosa
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fanciulla stava scansionando in macchina durante la sua fuga.
Seminata la polizia terrestre, è il momento di agire. Il fiore degli
abissi di Marte, come Zaira sa, è tanto potente quanto delicato e
fragile. Il solo modo che ha di preservare ancora il proprio antico potere di dare la vita alla terra è raggiungere la superficie
e prendere contatto con l’aria. Secondo gli studi fatti su alcuni
campioni prelevati tempo addietro, il fiore ha le ore contate!
Lasciata la deviazione per la regione est del Pianeta Rosso, la
ragazza si rende conto di essere circondata da centinaia di pattuglie. Sembra non esserci più via di scampo per lei.
Il piano originale prevedeva che la fanciulla sarebbe stata coperta da una tasc force ribelle di branchii che l’avrebbe aiutata ad
atterrare indisturbata e con la quale avrebbe raggiunto il nucleo
per poi estrarne il prezioso fiore. Ma le truppe governative sono
arrivate prima, a causa di un’intercettazione telepatica compiuta
dal padre della traditrice nel corso di una loro conversazione.
Di Raul, del suo genitore capotribù e dei loro amici, non restavano che frammenti scomposti e sanguinolenti sparpagliati nella
polvere, rossa più dell’ Inferno. Non sono soltanto stati abbattuti. È raro assistere, anche in tempo di guerra, a un simile spettacolo di accanimento e sadismo contro un nemico. Un’efferatezza
in nome dell’ordine che tuttavia, come sempre, non ha nulla di
umano!
Davanti agli occhi di Zaira non c’è più la pioggia inquinante scagliata dalla volta terrestre. Adesso la tempesta che infuria nei suoi
occhi è fatta di lacrime. Lacrime, ancora più acide della pioggia
fluorescente, che corrodono uno a uno i petali freschi di una virtù d’amore ormai abulica e ammutolita.
Raul, a proposito dell’abnegazione con cui i branchii avevano
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deciso di perseguire la propria battaglia per la verità a dispetto
di tutto, le disse un giorno, affidandosi alla discrezione dei sospiri più intimi:
- La vita è il dono più importante e nessuno mai ha o avrà il diritto di strapparlo a qualcun altro. Ma esistono circostanze particolari per le quali un’idea può superare il valore della vita stessa,
per quanto sacra essa sia. Non sto parlando di ideali filosofici,
religiosi o tanto meno di questioni riguardanti i confini delle
terre. Troppe volte l’uomo si è approfittato di tali scusanti spacciandole per la circostanza particolare! Ne esiste una, e una soltanto. La menzogna che minaccia la conoscenza e l’eclissi della
conoscenza che a sua volta oscura la libertà di scelta. E dunque,
dimmi tu, amore mio taciuto al sole, quale vita meriterebbe d’esser vissuta senza il potere della conoscenza? E quale vita degna
di questo nome sarebbe, senza la libertà di non doversi limitare
a sopravvivere, che la conoscenza dona a noi tutti? Solo per queste parole ormai marchiate a fuoco nella carne, la
ragazza non lascia andare ogni scampolo di speranza e determinazione in balìa delle tempeste cosmiche.
Gli ultimi, fatali secondi. La Mustang volante equipaggiata di
trivella laser che si sarebbe dovuta utilizzare per arrivare nelle
estreme profondità. Lasciando di stucco tutti i poliziotti dall’aria
androide, Zaira fa in modo che l’escavatrice a raggi si posizioni
elettronicamente sul cofano, prendendo a scendere in picchiata. Ancor prima di calarsi nell’antro nascosto di Marte, attiva il
dispositivo di auto regolazione termica dell’abitacolo, portando
alla bocca la maschera d’ossigeno.
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Da un istante all’altro tutto è roccia, eco e dunque silenzio, oscurità.
Superato il primo manto, Zaira segue la via già segnata dai pionieri minatori.
Il conto alla rovescia per salvare il fiore prosegue tuttavia inesorabile! Il fiore che mai ha potuto vedere la luce, che tutti hanno
voluto senza mai poterlo avere … Eccolo!
Migliaia di chilometri bruciati alla velocità della luce nel tentativo di annullare il tempo e il suo incedere!
Tra gigantesche stalattiti di ghiaccio e le immani trivelle impiantate dai terrestri per estrarre acqua e aria, il fiore degli abissi si
erge in tutta la sua bellezza, come un piccolo giglio di cristallo in
mezzo al nulla bianco.
Riportando i calcoli ai parametri temporali umani, non restano
più che alcuni minuti.
Zaira, con lentezza e rispetto reverenziale, esce dall’abitacolo
incurante della pressione e dell’impossibilità di respirare senza
supporti all’interno del nucleo, e fa per accostarsi al sacro portatore di vita. Quel fiore che sembra quasi gemere per segnalare
il suo progressivo spegnersi. C’è troppa distanza da ripercorrere
verso l’esterno in troppo poco tempo!
D’impeto un nuovo improvviso evento. Un’estasi di pura meraviglia, così simile all’epifania romantica vissuta in quel freddo e
piovoso giorno di dicembre da Zaira e Raul, quando si sono posati l’uno sul cuore dell’altro. Forse la suggestione che è inconsapevolmente montata dentro di lei per tutta questa, forse lo scatenarsi tumultuoso delle emozioni maturate dall’aver finalmente
raggiunto quella preziosa fonte di vita. Quale che sia la ragione,
la ragazza non può trattenere un senso di commozione. Un’ondata, come lo scatenarsi degli oceani terrestri. Una burrasca più
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alta e inarrestabile di quelle che un qualsiasi colono marziano
possa mai vedere nelle riserve artificiali di Oceania 2.0!
Senza spiegazioni, come accade quando esplode un innamoramento, Zaira si lascia pungere il pollice da una delle punte cristallizzate alle estremità del fiore glaciale. Goccia a goccia, il suo
sangue si disperde al centro del fiore, diluendosi e rimettendosi
in circolo al proprio interno. Goccia a goccia, il fiore si illumina
e prende addirittura ad aumentare le proprie dimensioni come
fosse un essere di carne viva che cresce. Il prodigio arriva fino
al punto di scuotere dall’interno il nucleo, provocando crolli di
stalattiti. Ma Zaira non ha timori, come quando non si temono
i sismi dell’anima pronta a crollare e riformarsi nuovamente per
amore. È proprio come un’amante che non teme l’intimo assedio
dell’anima gemella pronta a farla propria con ingordigia. Così,
Zaira abbraccia con un sorriso disteso e gli occhi chiusi il suo
piccolo grande fiore degli abissi. Il resto è solo luce. Solo Amore.
La terra di Marte trema, e il rosso implacabile e ardente del suolo
si inumidisce. Dapprima come fossero solo zolle sparse in mezzo
al deserto, e via via in modo più esteso ed intenso. Così, quando
il terreno del pianeta si è mutato in un immensa distesa fertile,
il nuovo seno marziano prende a germogliare e riempirsi orgoglioso dei più vari e colorati frutti! Specialità e primizie d’ogni
stagione. Frutti d’albero e di terra succosi e pieni di sapore.
Marte diventa verde d’erba e foglie, giallo di limoni, rosso di pomodori e fragole … E di fronte a tale spettacolo per noi terrestri
così ordinario e scontato, termina la condizione subalterna di
un nuovo mondo, e comincia la vita senza vincoli né ricatti. Il
Vivere!
Un giorno ormai lontano, il prodigio d’amore tra Zaira e Raul
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aveva fatto dono ai due amanti d’un evento assai curioso. Era
il loro compleanno, lo stesso giorno d’aprile, e ognuno aveva
scritto all’insaputa dell’altro questa lettera, che è quanto di più
emblematico ed eloquente resti oggi a narrare la loro esistenza
- Ogni volta che sentirai di non poter restare a galla, agiterò quella marea che ti sovrasta e forte la soffierò fino a farne aria nuova
e pura per te.
Ogni volta che il tuo bagaglio peserà come un fardello, lastricherò sotto di te strade più lisce, metterò le mie spalle al fianco
delle tue, così che il peso diverrà come un pargolo. Leggero, necessario e bisognoso di te.
Ogni volta che un anno appena passato sarà per te una spina nel
giardino dell’età, offrirò a quella spina il mio pollice e la goccia
d’affetto che ne scaturirà, innaffierà quella terra di energia e la
spina muterà nell’orchidea più appariscente.
E quando sarai lì, saprai che io altro non sono se non la tua parte più vitale. E che tutte le orchidee di questo e quel mondo non
basteranno mai a dirti che un anno è solo un anno, e che maree,
bagagli e le età tutte non sono che messaggi, sparsi qui e lì per
ricordarti che sei viva … Vivi, io e te. E così accogli un’altra orchidea nel tuo giardino. E Buon Compleanno! –
( Buon compleanno, piccola cacciatrice di stelle )
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Lupo Spaziale
di Marco Alfaroli
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Giovedì pomeriggio
di Paul Inno
Oro. Color oro.
Tutto ne era intinto. Tutto rifletteva quel lucente colore e lo distribuiva sui corpi e sulla distesa di sabbia. Non avrei saputo dire
che ora fosse, non avrei forse nemmeno saputo dire che giorno
fosse. Giovedì?
Giovedì pomeriggio, credo. Qualcuno mi aspettava per cena, o
almeno così mi sembrava, ma non ricordavo chi fosse. E non era
importante.
Onde lunghe. Creste di spuma arancione. Riflessi neri incastrati nella luce accecante del sole riflessa dall’acqua salata. Misteri
sommersi, sirene insabbiate, storia del mondo inzuppata e catturata dalle rocce nelle profondità.
E mentre anche io lasciavo che la luce intensa dipingesse il mio
corpo e la mia mente con quel colore magico, a pochi passi da
me un gruppetto di ragazzi si godeva le ultime ore di sole chiacchierando seduti sulla sabbia. Le loro sagome, controluce, erano
figure marrone scuro dalle quali, di tanto in tanto, sfuggiva un
riflesso, un cono di luce, una linea colorata che mi lasciava intuire ora la catenina alla caviglia della ragazza, ora la scritta sul
cappellino di uno dei ragazzi. Cafè Boogaloova.
Tuttavia in quel momento non aveva importanza quasi niente,
se non godere di quella luce, di quel calore, di quella tonalità che
riempiva i buchi neri della mia strana vita.
Gli occhi socchiusi, le gambe piegate con i piedi sotto la sabbia,
le mani giunte sopra le ginocchia. In quel momento ero solo
quello. Una figura piatta stagliata su un fondo oro. Un pezzo di
cartone ritagliato ed incollato su un universo bidimensionale.
Poi un grido.
Una ragazza aveva gridato e mi aveva allontanato forse definiti56
vamente dal mio stato di trance. Anche i colori sembravano aver
perso gli accenti intensi e caldi ed aver cangiato a toni più freddi.
Mi voltai verso la direzione dalla quale era arrivato l’urlo, breve
e deciso, seguito da lamenti bassi e continui e da parole sovrapposte.
Sulla riva una macchia nera. Osservai meglio, stringendo gli occhi per poter mettere a fuoco nonostante avessi il sole proprio
di fronte a me. Un gruppo di ragazzi era in piedi sulla battigia.
Il loro agitare le mani, il movimento nervoso delle gambe e gli
scatti repentini della testa erano segnale che doveva essere successo qualcosa.
Non avevo molta voglia di alzarmi. Non mi interessava, in fondo, quello che poteva essere successo, fin tanto che quell’avvenimento non fosse arrivato a pochi centimetri da me. E forse non
sarebbe mai successo.
Ma per una bizzarra e misteriosa caratteristica della natura
umana qualcosa mi diceva che avrei dovuto alzarmi ed andare
a vedere che cosa c’era che avesse fatto riunire quel numeroso
gruppo di persone in un momento così rilassante come quello
in cui stavo sprofondando fino a pochi attimi prima. Il cervello
mi ordinava di scattare in piedi mentre il corpo compiva un vero
e proprio ammutinamento ignorando gli ordini provenienti dal
gran capo.
Anche i ragazzi vicini a me erano rimasti seduti sulla sabbia, nonostante avessero tutti lo sguardo rivolto verso il mare. Da quel
punto, intanto, una donna si stava allontanando con le mani sulla bocca, visibilmente stravolta. Era tutto un agitarsi di braccia,
di mani, di gesti rapidi e veloci, ognuno deciso a risolvere la situazione.
Le onde erano sempre lunghe, lasciando scie brillanti controvento, cariche di sale e di lontani profumi marini. Incuranti del57
le stupide vicissitudini umane, si rompevano a poche decine di
metri dalla riva increspando la nera lastra dell’acqua vicino alla
battigia. Il colore scuro di quella parte di mare, appena il flutto
lo attraversava, si riempiva di oro, di arancio, di rosa, in miliardi
di frammenti lucenti.
Stavo pensando ad Alain, a quell’ Alain, non un Alain qualunque.
Stavo pensando ai suoi esperimenti, alle teorie che avrebbero
potuto cambiare la nostra idea del mondo e dell’universo. E forse l’avevano già cambiata.
Se tutto ciò che esiste non fosse altro che un ologramma immenso e perfetto che galleggia nel nulla più assoluto, se tutto quello
che tocchiamo, che vediamo, che viviamo fosse solo illusione e
il vero creato, anzi il non creato, non fosse altro che un immenso, infinito, eterno spazio bianco, vuoto, ci comporteremmo allo
stesso modo? Ci affanneremmo ogni santa mattina per correre
da una parte all’altra di questo spazio bianco, solo per scoprire
che il nulla segue, precede, sovrasta solo altro nulla?
Mi alzai. Il sistema nervoso l’aveva avuta vinta sul desiderio di
restare ancora un po’ immerso nella quiete di quel tramonto.
Raccolsi il mio zaino e mi diressi con molta flemma verso la riva
del mare, dove ancora molte persone continuavano a borbottare, chiacchierare, agitarsi e smanacciare.
Qualcosa di brutto doveva essere successo da quel poco che potevo intuire. Mi feci spazio tra la gente, spostando un braccio,
spingendo, allungando la testa.
Me ne aveva parlato Alain. I lunghi pomeriggi trascorsi nella
veranda della sua casa in campagna sembravano ora lontanissimi nel tempo ma potevo ricordare ogni sua espressione, ogni
suo gesto; i suoi occhiali sempre sporchi, il suo modo di servire
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il tè in quelle tazze tutte diverse una dall’altra. Spesso indossava
calzini di colore diverso, a volte mi vedevo costretto a fargli notare che i bottoni della camicia erano fuori posto. La sua idea del
mondo mi faceva paura, trasformava completamente ogni cosa,
ogni convinzione, ogni certezza e distruggeva in un solo attimo
tutto ciò che di sicuro ci eravamo costruiti attorno.
Un corpo disteso sul bagnasciuga. Questo vidi una volta riuscito
a farmi largo tra le persone. Doveva essere morto anche se non
sembrava, perché la posizione delle gambe, del busto e della testa erano tipiche di una persona che si addormenta al sole indifferente di tutto quello che gli succede intorno. Era decisamente
morto, e l’immobilità dei suoi occhi spalancati, la rigidità della bocca serrata in una tragicomica smorfia comunicava senza
dubbio che in quel corpo disteso sulla sabbia la vita non c’era
più. Vidi quello che non avrei voluto vedere. Lo vidi e capii.
Mi allontanai di corsa con le mie poche cose nello zaino. Le scarpe alzavano nuvole di sabbia mentre correvo verso il sentiero che
mi avrebbe portato prima tra le dune e poi, più avanti, verso il
paese. I riflessi oro, arancio, argento sembravano ora ancora più
intensi, i colori erano diventati quasi una presenza fisica che mi
spingeva, mi strattonava e sembrava volesse impedirmi di essere puntuale alla cena alla quale ero stato invitato. Persi lo zaino
nella corsa e forse anche una scarpa allacciata grossolanamente
pochi minuti prima. Non mi voltai per recuperare quelle cose.
Non mi voltai nemmeno quando ebbi l’impressione di aver imboccato il sentiero sbagliato accorgendomi che le dune, adesso,
sembravano estendersi per chilometri e chilometri davanti a me.
La mia pelle, ora rosso porpora, non godeva più della calda luce
solare che mi aveva coccolato tutto il pomeriggio. Davanti a me
un deserto sconfinato. E la mia ostinazione a non volermi voltare rendeva quell’orizzonte ancora più irraggiungibile. Poi caddi,
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con la faccia nella sabbia, bollente, con le mani che cercavano di
aiutare il mio corpo a rialzarsi. Con le gambe molli che sprofondavano sempre di più nella sabbia fredda, umida, compatta.
Sono morto un giovedì pomeriggio.
Un pomeriggio color oro, luminoso, caldo.
Sono morto annegato mentre saltavo da un punto all’altro del
grande nulla che ci circonda. Forse Alain mi avrebbe potuto aiutare a capire che cosa era successo. Un giorno forse riuscirò ancora a parlare con lui e allora tutte le mie domande troveranno
una risposta.
Sono morto in quel pomeriggio color oro. Un colore, del resto,
che non esiste. Nessun colore esiste in questo immenso, infinito,
eterno spazio bianco che ci circonda.
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L’angolo delle recensioni
con lo sciamano della pigna
Antichamber
La prima volta che ho sentito l’espressione inglese mind-bending (lett. piega-mente) è stata a riguardo della musica dei Tool
e dei tempi irregolari estremamente complessi che questi ultimi
utilizzano; ho trovato che fosse un modo estremamente calzante
per descrivere quella sensazione di disorientamento quasi onirica che si prova quando ci si trova di fronte a qualcosa di completamente diverso da quello a cui si è abituati.
Mind-bending per l’appunto è il modo migliore per descrivere
l’esperienza di gioco di Antichamber.
Antichamber, titolo indie di recente uscita, è un puzzle game
con visuale in prima persona che fa uso della geometria non euclidea e si inspira ai lavori di M.C.Escher.
In parole povere nel mondo virtuale di antichamber lo spazio,
la fisica e la materia si comportano in modo diverso da ciò a cui
siamo abituati.
I puzzle, che sono il cuore del gioco, si divertono a giocare con
questi elementi, costringendo il giocatore a sperimentare e a
pensare in modo anticonvenzionale.
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Gameplay
Il gioco è caratterizzato da uno stile minimalista: in Antichamber non ci sono nemici, non c’ è una trama, non si può morire e
in effetti non c’ è nemmeno un menù.
Avviato il gioco, si viene subito catapultati nella stanza iniziale
(l’anticamera per l’appunto) sulle cui pareti troveremo tutto ciò
che ci serve: un pannello delle opzioni in-game, la mappa delle
zone esplorate con relativa funzione di teletrasporto, la lista dei
comandi, la raccolta di tutti gli indizi che abbiamo trovato e infine potremo vedere attraverso un vetro il nostro obiettivo finale,
l’uscita.
Partendo dall’anticamera ci troveremo a esplorare un gigantesco
labirinto disseminato di enigmi da risolvere, in cui l’unica traccia umana è rappresentata dai disegni che troveremo qua e là,
ognuno dei quali è correlato ad un piccolo e velato indizio che
ci aiuterà a capire come risolvere il prossimo indovinello oppure che ci suggerirà l’importanza di una meccanica che abbiamo
appena imparato. Questi indizi, come detto sopra, saranno poi
consultabili in ogni momento nell’anticamera.
I puzzle e l’esplorazione riescono a tenere il giocatore in un continuo senso di meraviglia: a volte sbagliando strada ci ritroveremo in un punto già visitato in una sorta di loop, altre volte tornando sui nostri passi scopriremo nuove zone al posto del luogo
da cui siamo venuti, scendendo in basso ci troveremo più in alto
e viceversa, mentre pavimenti, scale e muri si materializzeranno
o smaterializzeranno in base al nostro comportamento, oppure
ancora guardando nella giusta direzione lo spazio attorno a noi
cambierà e ci troveremo trasportati in un altro luogo.
Nel corso del gioco avremo modo di acquisire delle pseudo-pistole che ci permetteranno di manipolare cubi di materia, aggiungendo gradualmente nuove meccaniche e permettendoci di
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superare gli enigmi che precedentemente erano impossibili.
Antichamber ha una struttura non lineare, stile Castelvania,
quando acquisiremo una nuova abilità potremo raggiungere
nuove zone ed è facile finire in vicoli ciechi o scoprire stanze segrete.
Stile ed estetica
Lo stile grafico è a sua volta minimale ma molto curato, simile al
cel-shading, ci troveremo in ambienti dominati dal bianco e dal
nero interrotti da esplosioni di colori incredibilmente
saturi, quasi psichedelici.
I colori sono funzionali
alla comprensione del gioco e sono ben sfruttati negli
enigmi.
Azzeccatissima la colonna
sonora ambient nella quale
dolci e prolungati suoni si mischiano a rumori ambientali che
cambieranno a seconda della zona in cui ci troviamo.
Il crepitio di un fuoco, lo scroscio della pioggia, sussurri lontani, il canto degli uccelli, suoni apparentemente estranei a quello
che vediamo ma che aumentano esponenzialmente l’atmosfera
onirica generale.
Longevità
Alexander Bruce, lo sviluppatore del gioco, ha dichiarato che
sapendo esattamente dove andare e cosa fare, si può completare Antichamber in dieci minuti, il che effettivamente è vero,
ma data la non linearità e anche la difficoltà degli enigmi, ci vogliono mediamente dalle cinque alle otto ore per finire il gioco
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(sempre ammesso che ci riusciate).
Qui però sorge uno dei difetti principali di Antichamber.Dato
che il motore del gioco è la meraviglia della scoperta, una volta
completato ci rimarrà ben poco da fare. Volendo potremo cercare tutti gli indizi e le stanze segrete ma rimane il fatto che la
longevità è buona ma non eccezionale e la rigiocabilità è minima.
Conclusione
Antichamber è un gioco sapientemente realizzato e unico sotto
tutti i punti di vista, d’altro canto quest’unicità è anche il suo
limite. E’ un gioco che piace in base a quanto si è disposti ad
apprezzarne la particolarità e l’artisticità a volte anche un po’
pretenziosa, per questo non mi accodo completamente ai commenti entusiastici con cui è stato accolto dalla critica, in quanto
non è un gioco per tutti.
Lo consiglio fortemente a chi apprezza la creatività, a chi cerca
spunti artistici e visuali inusuali, agli amanti dei puzzle game e a
coloro a cui è piaciuto Portal.
Per gli altri può essere una graditissima diversione dai soliti giochi ma considerando il rapporto prezzo/longevità non eccezionale potrebbe essere saggio aspettare che il prezzo scenda un po’.
Info:
Nome - Antichamber
Piattaforma - PC (Steam)
Prezzo - 19 euro
Requisiti di sistema:
Windows XP SP2, Vista o 7 Grafica Nvidia serie 8000 o superiore
Processore almeno dual core Directx 9.0c o più recente
2 GB di RAM
1 GB di spazio su Hard disk
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Consigli Bizzarri
Per le tematiche trattate in questo numero
vi consigliamo:
Lettura:
-“Il neuromante” di William Gibson
-“Ninna Nanna” di chuck Palahniuk
-“Gli scultori di nuvole” di J.C. Ballard
-”Il sicario” di Laura Iuorio
Musica:
-Aphex Twin
-Einstürzende-neubauten
-“requiem” di wolfgang amadeus mozart
-Howard Shore:
compositore delle colonne
sonore di “Il signore degli anelli” “lo hobbit”
“Scanners”, “La mosca”...
Videogames:
-“Blade Runner” il videogame
-“Another World”
-”Flash Back”
Film:
-“La notte dei morti viventi” 1968
di george a. Romero-“MirrorMask” di Dave McKean e Neil Gaiman
-“Fringe” la Serie
-“Strange days” 1995
diretto da Kathryn Bigelow
e scritto da James Cameron.
-“Screamers - urla dallo spazio
inspirato ad un racconto di Philip k. Dick
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Ringraziamenti Spaziali
Ringraziamo per l’uscita di questo
numero:
Tutti coloro che si sono uniti a noi, nella nostra crociata intergalattica.
Il maestro Bertolini per il suo supporto illustrativo.
Gli illustratori, maestri che hanno impreziosito le
nostre pagine con incredibili opere d’arte.
I libri, il cinema e la musica supporti indispensabili per la creazione delle nostre
galassie, parole ed idee.
Il nostro Staff che dedica tempo ed energie alla
realizzazione di questo progetto.
Le community di Fantascienza.com e QuazArt che
hanno attirato a noi un numero maggiore di scrittori
e appassionati.
Wanderland di Rai4 che presterà il suo canale per una
finestra di SB.
Un ringraziamento speciale a Luigi Pignalosa per l’interessamento e il supporto offerto.
E come sempre a voi, cari lettori, l’ingranaggio fondamentale che muove questa rivista.
“zanzara”
Flavio Berti
A presto
miei cosmonauti
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Nei prossimi Numeri
Navigheremo tra
le pagine con:
La pindarica penna di
P.A.M. Diraque
“La torre caduta”
di Nero Freak
Michele d’Orsi
e i suoi folli
racconti
Illustrazioni,
racconti,
recensioni...
Non perdete il
prossimo
numero
SB 3
In uscita
Aprile
2013
Restate Connessi
“Biomechanoid hand”
di Flavio Berti
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Francisco, California, 94105, USA.
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