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la Capitanata Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia Anno II (1964) n. 1-6 (genn. - dic.) L'ANNO DI GALILEI Metodo e tempo Sempre il drammatico svolgimento storico delle cose umane comporta il travaglio del parto. « Nasce l'uomo a fatica ed è rischio di morte il nascimento ». Così il poeta, ma anche la morale, la religione impongono, al momento del rischio mortale, la fine della madre, cioè di chi porta per la salvezza del portato. Nel nostro caso, il « portato » può essere un'idea, un nuovo modo di vedere le cose di questo mondo. E qui ancor piú il crisma del dolore non allenta la morsa: possono alcuni uomini portare una nuova luce e possono molti uomini amare le tenebre più che la luce. Il poeta, l'evangelista e lo scienziato pensoso, tra divergenze e convergenze, nell'urto drammatico, tipico della condizione umana, in un'opera di redenzione si troveranno sempre di fronte a un calvario, a una coppa di cicuta, a una catena di prigione. Rivolgimenti e rivoluzioni sono sempre il prodotto di una idea, di una invenzione, di una scoperta o semplicemente di un metodo nuovo di ricerca. Guerre, sommosse di popoli, roghi, carceri, deportazioni, condanne a morte, ordigni atomici e genocidi sono, però, le conseguenze funeste di funeste idee. Mentre queste portano rovine e danni collettivi come i flagelli naturali, le idee benefiche, invece, sono fatali singolarmente a chi le porta e annunzia. In tal caso costui si carica del gran peso atlantico del mondo e paga per tutti con la croce, la cicuta e la prigione. 1 Di tale carica rivoluzionaria sono dunque le tranquille e tremende meditazioni dei filosofi e degli scienziati nel Seicento. Dal riposo invernale, accanto al tepore di una stufa, si parte dal « cogito » e si arriva, in una progressiva reazione a catena di abbattimento di tutte le specie di autorità, alla ghigliottina. Dal fondo di un carcere, quasi contemporaneamente a sua volta, in una tetra meditazione di oltre un quarto di secolo, e con pazienza pari alla sua rovina, il calabrese Campanella (primo comunista a suo modo), cantava: « Stavamo tutti al buio... Altri sopiti d'ignoranza nel sonno... Io accesi un lume... ». Galilei, col suo terrificante buonsenso, guardò con occhi nuovi e limpidi le cose che lo circondavano; e partendo dal moto delle cose vicine, con geniale slancio « vide / sotto l'etereo padiglion rotarsi / più mondi, e il Sole irradiarli immoto ». Sgombrò egli cosí le vie del firmamento non solo all'anglo Newton ma anche al tedesco Einstein per l'iniziale intuizione della relatività del moto. Vide e lesse, non più nel contingente libro storico (in quanto a sapere scientifico) della Bibbia, ma in quello non erroneo, più veritiero e sicuro della natura, scritto esclusivamente da Dio. La sua fulminea ribellione abbatté d'un fiat tutti i muri d'ombra prodotti dai vani sillogismi, dai miti, dalle leggende, dalle più ventose dottrine e ideologie del tempo. E venne, così, l'ora sua di fama e di sventura. Nello storico svolgersi degli eventi umani, con una svolta decisiva e radicale, si è avuto il momento di Galilei, la sua stagione, l'anno o il secolo che potrebbe portare il suo nome. E questo tragico portatore di luce, per via di un metodo, pagò, dové pagare di persona. Il metodo galileiano è per l'appunto, detto brevemente, nuovo in questo: « le istorie », cioè le cose sensate, si fondano sull'esperienza e tutti gli stabilimenti di princìpi derivano da essa. Ora, queste osservazioni di Galilei non sono osservazioni teoriche, ma praticamente fatte. Vale a dire, non è il solito metodo, che dire?, di Bacone o di Cartesio. Cartesio segue la via opposta, quella che si chiama del metodo deduttivo, lo scendere, cioè, dal principio generale al particolare. E anche il metodo di Bacone è un metodo generico e, si direbbe, esteriore. La grandezza del metodo galileiano sta proprio nel partire dalla osservazione, nel provocare la natura in un gabinetto scientifico per arrivare alla 2 enunciazione della legge. Ed ecco, per inciso, il gabinetto scientifico che nasce con Galilei, come laboratorio, sia laboratorio universitario, sia laboratorio privato, perché ogni professore a quel tempo, per campare, doveva avere anche alunni privati ed un laboratorio in casa. Prima, quindi, osservare, poi provocare la natura ad una risposta, cercando di riprodurre il fenomeno nel chiuso di un laboratorio, infine enuciare conseguentemente una legge, ma con tutta prudenza; e, se mai, in un tempo ulteriore, farne verifica per correggere il principio o per distruggere la stessa ipotesi da cui è nata la legge. Sembra una cosa da nulla, quand'essa è riferita così, semplicemente, ma per l'urto che essa ebbe con la mentalità del tempo e per la novità in sé grandissima, rappresenta un fatto di primaria importanza nella storia della civiltà della scienza. Galilei dice sempre, infatti, « l'eternità della natura »; l'eternità è la necessità delle cose in natura. Noi diciamo oggi che una legge scientifica è fondata, per l'appunto, sulla uniformità e sulla necessità. Ed egli già diceva eternità per uniformità, scorporando, quindi, tutta la parte sensibile per cogliere quello che permetteva a lui di guardare la cosa dal punto di vista quantitativo; e quantitativo significa la possibilità dell'applicazione matematica, e conseguentemente il passaggio dell'applicazione matematica al campo fisico, e dal campo fisico alla tecnica, e dalla tecnica alla scienza. Questa è la grandezza di Galilei, vista da un punto prospettico semplicemente scientifico. Ma se noi poi ci trasferiamo nel campo filosofico, dobbiamo dire che Galilei comprese una cosa di fondamentale valore, cioè che qualsiasi osservazione noi facciamo, anche se la vogliamo ridurre ad assoluta oggettività, ad assoluta quantitatività e, si potrebbe dire in questo senso, ad assoluta uniformità, essa è sempre soggetta alla esperienza umana, vale a dire essa è sempre in rapporto alla nostra sensibilità. Problema di grande importanza da cui scaturisce quella famosa scienza moderna, l'epistemologia, anch'essa derivata, si potrebbe dire, da Galilei: quella scienza, cioè, riguardante la validità dei nostri mezzi nell'apprendere e nell'enunciare leggi scientifiche, o anche l'esame della capacità umana in rapporto ai fatti di natura che sono sempre eterni, uniformi, costanti. È un problema, vedete, che in qualche modo adombrerà poco dopo anche il Vico, che in un certo senso intuì, sia pure in modo pratico, Leo3 nardo da Vinci, ma che risolse più tardi Emanuele Kant con la sintesi a priori. Questo metodo Galilei attuò, esemplificandolo nelle sue opere scritte in volgare perché tutti avessero la possibilità di essere informati delle sue scoperte e potessero apprendere anche le conseguenze pratiche. Direttamente, c'è qui un riflesso sociale della sensibilità galileiana, ma c'è anche una delle ragioni della drammaticità della sua situazione, una volta venutasi a trovare di fronte alle sovrastrutture corazzate della mentalità del tempo. Tuttavia quello che ci preme dire è che la innovazione metodologica galileiana è in rapporto alla sua concezione modernissima della scienza, rispetto alla mentalità dominante negli ambienti culturali e scientifici del suo tempo. Che cosa, infatti, è il metodo? Che valore hanno i nostri mezzi di conoscenza empirici, sperimentali, matematici, filosoficì e speculativi? Fino a che punto ci portano ad una conoscenza vera della realtà? Questa domanda che a noi, oggi sembra così chiara come è chiara la tavola pitagorica, era una novità che doveva necessariamente urtare contro i tempi suoi. Galilei venne così a trovarsi come uno che avesse tra le mani una miccia pericolosa, una miccia, che, accesa da lui, provocò appunto l'esplosione nel campo della scienza vera e propria, nel campo sociale, nel campo, come si è detto, religioso. Badate: metodo che urta contro il tempo. E qui bisogna distinguere tre aspetti del tempo (ci riferiamo soprattutto ai giovani per essere meglio compresi): c'è un tempo storico, che è quello che vediamo tutti; c'è un tempo scientifico, già più assottigliato in rapporto ad un pensiero che man mano progredisce; e c'è un tempo assoluto, cioè un tempo metafisico. Qual'è questo tempo storico nel quale è vissuto Galilei? P, bene esaminarlo; questo ci farà comprendere quello che possiamo chiamare il dramma di Galilei e forse il dranuna di ogni scienziato. Negli stessi anni, o poco prima del secondo processo di Galilei, un giovane innamorato, promesso sposo, va verso la terra di S. Marco. Siamo intorno al 1630, al tempo della peste, e nel famoso capitolo manzoniano dedicato alla peste troverete questa espressione: « Erano i tempi in cui il buon senso aveva paura e si nascondeva dietro il senso comune ». Questi erano i tempi galileiani, e la peste sta anche a significare, per noi, la mentalità del tempo in cui, appunto, è vissuto Ga4 lilei. Mentalità da predominio spagnolo, che non è certo quella entro cui si è venuta maturando la personalità di Galilei, prima a Venezia, che era ancora la Parigi del tempo, e poi in Toscana. Si spiega così l'urto tra mentalità vecchia e mentalità nuova; nuova quella di Galilei, che ha reso pericolose dopo cinquant'anni le teorie copernicane per via del metodo e della loro applicazione, vecchia quella dei suoi contemporanei, aristotelici che hanno tutta l'aria di essere altrettanti don Ferrante del tempo. Ci sia permesso di dire, comunque, che di una cosa tutta la letteratura galileiana sembra non aver tenuto conto: dell'opera della Spagna contro Venezia. Non dimentichiamo che proprio a Venezia era stato avvelenato nel 1613 Traiano Boccalini; non dimentichiamo che Galilei era notoriamente legato da rapporti di studio e da interessi tecnici con gli scienziati olandesi e che l'Olanda era in perpetua lotta con gli Spagnoli. Quindi l'intervento spagnolo è il momento politico primo da mettere in luce, quando si parla dei processi a Galilei; la lotta contro di lui fu opera soprattutto di certi Domenicani e di certi Gesuiti che per l'appunto vengono dalla Spagna. Questo è forse un motivo da approfondire da un punto di vista storico, ma riferendoci ai don Ferrante del tempo ci sia concesso fare questa seconda osservazione: che cos'è questo aristotelismo, se non una posizione dogmatica che si fonda sull'ipse dixit, un giustificare col principio di autorità qualsiasi concezione, anche scientifica? Contro questa concezione viene ad urtare l'evidenza, l'autorità dell'evidenza, dei fatti, del metodo sperimentale, delle esperienze sensate, quelle che Galilei chiama le « istorie ».Siamo quindi al secondo momento, ci troviamo di fronte al secondo aspetto del tempo, di fronte a questo tempo scientifico che urta contro la mentalità scientifica di quel tempo storico; urto che non è soltanto di allora, ma anche di oggi e di sempre. Fondarsi sull'autorità non tolta dall'evidenza, ma sull'evidenza dell'autorità e viceversa, sono due momenti dialettici sempre presenti nella storia della vita intellettuale dell'uomo. Come si può parlare, oltre che del Romanticismo inteso quale momento storico, che è quello che è stato, anche di un Romanticismo come stato d'animo, come momento costante dello spirito, cioè come categoria che poteva esprimersi prima del Romanticismo storico e lo potrà sempre, così c'è un aristotelismo perenne contro di cui si è combattuto ieri 5 e si può combattere oggi, cioè un aristotelismo che è quasi un momento costante contro cui ogni scienziato, e soprattutto Galilei, ha lottato e deve lottare. Torna nuovamente in evidenza la necessità di chiarire qual'è la posizione di Galilei in questo momento storico, qual'è il momento di Galilei rispetto al doppio dissidio tra scienza e religione, da lui risolto egregiamente, e tra filosofia e religione, da lui appena intuito e non risolto. Ora si parla, ed ecco una osservazione che ci sembra pertinente, si parla di errore allora commesso ed ora generosamente ammesso dalla Chiesa, col dire che la Chiesa è fatta dagli uomini e che quindi cammina con gli uomini, e di essi condivide alle volte passioni ed errori. Ci pare anche questa, sostenuta recentemente da qualche padre gesuita, una concezione aristotelica che insiste su un falsificamento della storia: si doveva, non si doveva fare così. A noi sembra che errori non ve ne siano stati, che errore non ci poteva essere, perché si è trattato semplicemente di due coordinate ritmiche che ad un certo momento si sono sconcordate per via del metodo galileiano. Giustamente poteva credersi: uccidiamo Galilei per uccidere il metodo. La questione qui è che la Chiesa aveva una preoccupazione d'ordine teologico, d'ordine educativo che improvvisamente non poteva più correre al passo della scienza. E aveva bisogno di tempo. PASQUALE SOCCIO ___________ Prof. PASQUALE SOCCIO, preside del Liceo Classico Statale « R. Bonghi » di Lucera. 6 Realtà e prospettive di sviluppo dell’agricoltura in Capitanata Metodologia e limiti del presente lavoro. 1. - La persistente fondamentale importanza dell'agricoltura per l'ulteriore progresso economico e sociale della Capitanata è così largamente diffusa tra le classi dirigenti e tra gli strati della pubblica opíinione che, dopo le analisi e i dibattiti svoltisi a livello nazionale e locale, in questi ultimi anni, si potrebbe ritenere superfluo indugiare in ulteriori diagnosi ed indicazioni terapeutiche, attendendo invece alla pratica realizzazione dei rimedi già indicati. Ma una simile opinione può aver un certo fondamento ed essere accolta, se consideriamo statici il pensiero e la vita economica e sociale di una determinata comunità locale o nazionale e riteniamo largamente convergenti le opinioni sulle vie dell'ulteriore cammino da percorrere. Poiché, invece, il pensiero e la vita sono in continuo divenire, mentre permangono dissensi sulle linee e sugli strumenti dello sviluppo economico e sociale, il periodico riesame delle esperienze, delle realtà e delle possibili vie di ulteriore progresso, nonché il frequente confronto delle opinioni, lo scambio d'informazioni e di idee, l'aggiornamento delle analisi, si rivelano utili e feconde. Del resto una riconsiderazione dei problemi agricoli nazionali, regionali e provinciali è resa necessaria da particolari importanti fenomeni nuovi. Infatti, l'impetuoso sviluppo economico dei nostro Paese, che, nonostante i caratteri di disuguaglianze di ritmo, ha visto in questo ultimo quindicennio accrescersi il reddito nazionale in misura di gran lunga 7 superiore a quella dei primi ottantacinque anni della nostra storia unitaria, ha determinato nell'agricoltura situazioni, tendenze ed esigenze nuove, nel tempo stesso in cui ha reso più accentuato e più evidente il dislivello di reddito e di produttività tra settore agricolo ed altri settori economici. Con la crescente liberalizzazione degli scambi e con il processo di unificazione economica europea in atto, sono oramai definitivamente tramontati i tempi romantici della nostra vita agricola, così come è in corso di rapido superamento il tempo dell’economia di sussistenza, di autoconsumo, allorché i coltivatori si preoccupavano prevalentemente di produrre le quantità ed i tipi di produzione sufficienti a soddisfare i bisogni ed i gusti delle proprie famiglie. L’agricoltura è diventata un'attività eminentemente economica, orientata - nel quadro delle sue connaturali caratteristiche strutturali - verso un continuo sforzo di adeguare metodi e procedimenti a quelli impiegati in altri settori economici. L’economia di mercato è una realtà che va sempre più affermandosi e dilatandosi, costringendo le produzioni ad adeguarsi ai gusti delle masse crescenti di consumatori ed accentuando l'esigenza di produrre a costi competitivi. Questi fatti, altamente positivi, accompagnati da altri fenomeni, quali il progressivo generale miglioramento del livello di vita delle nostre popolazioni, la mobilità territoriale e settoriale della mano d'opera, la diversa e migliore posizione del lavoro rispetto ad altri fattori della produzione, rendono particolarmente pressante la necessità di organizzare l'agricoltura su basi tali da assicurare livelli di redditi unitari di lavoro e di capitale, comparabili con quelli di altre attività economiche. E' questa una esigenza imprescindibile da tenere costantemente presente, se si vuole effettivamente inserire l'agricoltura nel contesto dinamico della nostra economia e se si vuole contenere, nei limiti fisiologici, l'esodo rurale, assicurando alle campagne la presenza di sufficienti energie attive, valide ed anche giovani. Tutto ciò richiede di affrontare una serie di problemi, la cui soluzione pone nuovi grossi compiti all'azione pubblica ed a quella privata; ma soprattutto esige il defintivo abbandono dei tradizionale isolamento degli operatori agricoli e la operante presenza di efficienti organizzazioni. 2. - Ciò premesso, desidero subito indicare i limiti della mia esposizione. La complessità e molteplicità dei problemi posti allo sviluppo agricolo dall'accentuato dinamismo economico e sociale dei nostri tempi, l'indubbia influenza delle tormentate vicende storiche della Capitanata 8 sulle realtà presenti ed i profondi mutamenti culturali e psicologici delle popolazioni rurali, indurrebbero ad una analisi ampia ed approfondita degli aspetti, delle tendenze e delle reali possibilità di sviluppo dell'economia e della società della Provincia Dauna nel contesto del possibile sviluppo generale della Regione e dei Paese. Ciò è reso necessario dal rapporto di crescente, stretta interdipendenza che lo sviluppo dei sistemi economici e sociali moderni va stabilendo tra i vari settori d'attività e le diverse aree territoriali. Questa esigenza sarà tenuta presente ed ispirerà sostanzialmente le mie osservazioni e considerazioni sulla realtà agricola foggiana, ma non sarà esplicitamente richiamata che in qualche caso. Ai fini di introdurre il dibattito odierno, mi sembra sufficiente un esame rapido e sommario degli essenziali fenomeni economici e sociali, delle principali linee evolutive manifestatesi nella situazione foggiana dalla fine dell'ultimo grande conflitto mondiale ad oggi. Da tale esame sarà possibile trarre alcune indicazioni sui nuovi problemi e sulle vie da battere nei prossimi anni per consentire balzi in avanti all'agricoltura dauna. La mia esposizione non sarà quindi una radiografia della realtà foggiana, per la cui esecuzione sono ovviamente necessari ulteriori studi particolari, ma tenterà di tracciare un quadro di assieme dei fenomeni e dei problemi che oggi si presentano all'osservazione non disattenta di un economista agrario che ha avuto ed ha la possibilità di compiere dirette esperienze e di contribuire alla trasformazione dei mondo agricolo della Capitanata. Passato e presente. 3. - Ad avviare il tentativo di delineare tale quadro, possono giovare alcuni cenni ad episodi importanti e significativi nel processo di sviluppo della Capitanata. La giacitura delle terre del Foggiano e la loro prevalente natura, presentando un notevole grado di suscettività, specie nei confronti di quelle dell'Appennino campano e lucano, sin dall'epoca dei Borboni spinsero a considerare le potenziali risorse agricole della Provincia e a compiere i primi esperimenti di colonizzazione, quali ad esempio, quelli di S. Ferdinando, di Margherita di Savoia, ecc. Con l'abolizione della Dogana delle pecore disposta con legge del 21 maggio 1806 e la successiva completa affrancazione delle terre del 1865, il Tavoliere di Foggia cominciò ad essere oggetto di alcuni interventi pubblici e di studi sulle possibilità di rinnovamento agricolo. Apprezzabili proposte fu9 rono presentate alla fine dei secolo scorso da Leone Morì, amministratore della Casa Rochefoucol di Cerignola. Ma, com'è noto, l'avvio alla difficile e lunga azione di bonifica del Tavoliere risale ad epoca più recente, alle leggi di bonifica integrale del 1933 e al Piano Curato, cui seguirono il Piano Medici-Carrante-Perclisa e quello Mazzocchi-Alemanni. Questi piani rappresentano indubbiamente dei pregevoli documenti che rivelano anche l'alto livello di progresso conseguito in quel tempo dalla scienza e dalla tecnica agraria. Tuttavia l'esame attento della realtà dei Tavoliere consente di rilevare come ho fatto in altre occasioni - che lo sviluppo agricolo di larghe zone si è realizzato secondo linee radicalmente diverse da quelle indicate dalle direttive di trasformazione dei piani stessi. Le cause di tale diversità sono state indicate da me altre volte e sono sostanzialmente da ricercarsi nella scarsa valutazione dei requisiti tecnici produttivi dell'ambiente e nella non prevista linea di politica economica dello Stato concretatasi nell'ulteflore difesa del grano rispetto ad altri prodotti agricoli. Ma il motivo fondamentale sta, a mio avviso, nella scarsa fiducia e conseguente modesta valutazione della capacità degli uomini che nell'ambiente già erano dediti all'agricoltura. I predetti piani di bonifica si ispirarono a due criteri principali : il primo faceva perno essenzialmente sullo sviluppo zootecnico, in sostituzione di quella che era considerata « misera » cerealicoltura; il secondo - per me ancora più importante - prevedeva nell'organizzazione aziendale l'introduzione dei contratto di mezzadria, tentando così di organizzare la società agricola dauna sul vecchio modello di quella toscana e di lasciar consolidare una situazione in cui la direzione aziendale, i centri decisionali restassero nelle mani di pochi individui ritenuti i soli dotati di preparazione e di intelligenza sufficienti ad assolvere i compiti imprenditivi. L’azione successiva intrapresa nel dopoguerra, sia pure disordinatamente, per iniziativa di singoli operatori, di organizzazioni e di Enti, svoltasi in un clima sociale spesso molto acceso, ma nel quale l'individuo andava acquisendo progressivamente maggiore dignità e rispetto, ha sortito risultati apprezzabili. La costituzione di cooperative per la conduzione unita delle terre, i decreti per l'occupazione delle terre incolte, le leggi sulla formazione della piccola proprietà contadina in particolare la legge stralcio della Riforma Fondiaria, hanno posto in evidenza l'influenza che la proprietà della terra da parte di chi la lavora o la conduce direttamente può esercitare nel processo di rinnovamento agricolo. Mi sembra perciò opportuno rilevare che i segni di progresso oggi evidenti in larghe zone della Capitanata traggono origine essenzialmente 10 dal fatto che è stata riconosciuta agli uomini addetti all'agricoltura della Provincia una capacità notevole di operare affidando direttamente la responsabilità delle iniziative di sviluppo agricolo. Oggi è infatti dato di notare che all'insuccesso della colonizzazione dell'O.N.C., basata sulla conduzione mezzadrile e di alcune aziende gestite con sistema mezzadrile proprio ed improprio, si contrappongono i risultati altamente positivi di tutte le zone a nuova proprietà contadina e di quella a proprietà imprenditrice capitalistica nelle quali l'elemento responsabile, il protagonista dei processo produttivo resta l'imprenditore. Anche nelle prime esperienze di riforma fondiaria in Capitanata il pregiudizio di tecnici maturatisi in ambienti diversi dal nostro ha avuto effetti ritardatori nello sviluppo delle aziende contadine. Tale pregiudizio si manifestava nell'opinione secondo cui taluni ordinamenti produttivi affermatisi presentavano caratteri di arretratezza. D'altro canto i lavoratori chiamati alle nuove responsabilità imprenditive erano ritenuti incapaci di evoluzione. Furono così preparati piani comunali, aziendali e poderali rigidi ai quali i contadini erano chiamati ad attenersi rigorosamente. Citerò alcuni fatti significativi. Alcuni già in possesso di un equino furono indotti a venderlo, perché ritenuto superato e sostituibile con bestiame di razza marchigiana. Fu vietato il ringrano anche su terre idonee ed imposta l'introduzione di foraggere seccagne in determinate e rigide percentuali e di alcune colture di rinnovo che in asciutto non potevano dare adeguati risultati. Furono imposti un determinato tipo di casa colonica ed alcune formule di concimazione e di lavorazione della terra; vennero eseguiti scassi su terreni crostosi mediante esplosivi; furono affidati in appalto gli impianti dei vigneti, la costruzione delle spalliere e del tendone e persino l'innestatura ed a volte la potatura dei vigneti stessi. I risultati di tali operazioni non furono incoraggianti. Essi furono invece migliori allorché ci si accorse della infecondità dei metodi di imposizione dall'alto di nuove tecniche e di nuove economie aziendali e si cominciò a fare affidamento sulla libertà e responsabilità dei nuovi proprietari e sulla loro capacità ad evolversi limitando l'azione dell'Ente ad un'opera di assistenza, di collaborazione e di incentivazione. Tali esperienze possono costituire motivi essenziali di ispirazione e di orientamento per l'azione da svolgere nei prossimi anni, tenendo costantemente presente il principio secondo cui anche in un programmato ed organico processo agricolo il ruolo fondamentale di protagonista deve essere lasciato alla responsabilità del l'imprenditore. Dopo questi rapidi ricordi delle vicende più significative della storia recente dello sviluppo agricolo della Capitauata, il nostro inte11 resse si svolge ora a rilevare i fenomeni più importanti manifestatisi nell'agricoitura dauna in quest'ultimo periodo. Proprietà agricola: struttura e situazioni. 4. - Alla fine dell'ultima guerra mondiale, la realtà agricola della Provincia di Foggia risultava caratterizzata da situazioni economico-sociali e da strutture produttive cristallizzate ed immobilistiche: la proprietà era fortemente accentrata ed in larga misura assenteista; molto diffuse la cerealicoltura e la pastorizia. Erano ancora in atto alcuni allevamenti bufalini a pascolo brado; pochi i bovini da reddito e da lavoro; limitato lo sviluppo della meccanizzazione. A ciò si aggiungevano tre grandi centri di particolare sviluppo viticolo, olivicolo ed arboricolo, quali quello di Cerignola fino ai confini di Terra di Bari, quello di S. Severo e dei Comuni limitrofi, e quello dei Gargano, dove esisteva un'oasi particolarmente fiorente ma molto limitata di superficie orticola lungo la fascia litoranea da Margherita a Zapponeta fino a Manfredonia. Generalmente i rapporti fra proprietà, impresa e lavoro erano quelli tipici dell'impresa capitalistica con salariati fissi ed avventizi specie sulle terre buone di pianura. Nelle vicinanze dei centri abitati prevalenti erano le piccole imprese contadine su terre in proprietà o in affitto gestite dai cosidetti « versurieri ». Ma nel Tavoliere dominante era il latifondo che raggiungeva le porte della città, come ebbe a scrivere il Ricchioni parlando di Lucera. Su tali strutture agricole gravavano una forte pressione demografica ed un foltissimo bracciantato misero, sottoccupato e spesso disoccupato. Ciò acuiva la tensione tra impresa e lavoro dando luogo a manifestazioni talvolta violente ed a conflitti sociali. Non vi è chi non ricordi le avvilenti condizioni del lavoro agricolo: l'ingaggio della mano d'opera avveniva ancora di sera o nelle prime ore dei mattino sulle piazze dei Comuni, spesso valutando la forza muscolare dell'operaio. In realtà il lavoro era in posizione di netta soggezione nei confronti della proprietà della terra. L'imprenditore proprietario ed affittuarici conduceva il processo produttivo della terra secondo la propria convenienza economica imponendo tipi di rapporto fra imprese e lavoro, patti agrari e salari. In forza di questo predominio contrattuale della proprietà sul lavoro e sull'impresa, si configuravano alcune situa12 zioni imprenditoriali e produttive. Ovunque infatti vi erano possibilità di sviluppo di colture suscettibili di assicurare una rendita fondiaria o un profitto d'impresa, quali i cereali, gli allevamenti ovini, l'olive ecc., prevaleva l'impresa capitalistica. Laddove invece la terra era magra, come sul Gargano, lungo i tornanti di Monte S. Angelo o lungo la striscia di sabbia di Margherita di Savoia o Zapponeta, o nelle terre magre del subappennino, Deliceto, Faeto, Alberona, Casalnuovo Monterotaro ecc., l'impresa veniva affidata a piccoli affittuari; qualche volta si organizzavano alcune colonie parziarie e solo per alcune colture fortemente attive, richiedenti cioè molta mano d'opera, venivano concesse in compartecipazione zone di terra ricca. Nonostante tali condizioni di immobilismo sociale ed economico, nel primo periodo dell'immediato dopoguerra, gli sforzi di tutti furono diretti a riparare i considerevoli danni prodotti dalla guerra, ad aumentare la produzione e la produttività sia per soddisfare i bisogni alimentari, sia per elevare i redditi di capitale e di lavoro. Nel quadro di tali sforzi l'agricoltura foggiana mantenne un ruolo non trascurabile cercando di migliorare le tecniche produttive, diffondendo la meccanizzazione, aumentando i consumi di concimi, utilizzando semi selezionati. Gli sforzi dell'iniziativa privata furono agevolati da una serie di provvidenze legislative e da interventi pubblici, fra i quali assumono rilievo quelli relativi alle opere di bonifica, finanziati dalla Cassa per il Mezzogiorno, alle agevolazioni sui miglioramenti fondiari, alla riforma fondiaria, al Piano Verde. Incrementi produttivi: 1959-1962. 5. - Per effetto degli investimenti pubblici e di quelli privati, provocati e spontanei, l'agricoltura foggiana ha segnato considerevoli incrementi produttivi, realizzatisi con lo sviluppo di ordinamenti più attivi ed intensivi e con una graduale contrazione di quelli estensivi. Nel quadriennio 1959-62 ad una contrazione della superficie cerealicola, rispetto a quella dei periodo 1939-42 (7,3%), ha fatto riscontro un aumento considerevole della produzione. Il frumento, infatti, ha avuto nel corso dell'ultimo quadriennio un incremento dei 33,6% rispetto al quadriennio 1939-42 con una maggiore incidenza del grano duro, la cui area di diffusione nell'ultimo triennio ha superato quella investita a grano tenero. L'introduzione di trattrici pesanti ed il più largo impiego di fertilizzanti e di sementi elette hanno determinato un aumento notevole 13 delle rese unitarie per il grano duro (da q.li 13,9 in media per ha. nel 1951 a q.Ii 22,5 nel 1962), e per il grano tenero (da q.li 14,4 a q.Ii 21,4). Lo sviluppo delle colture industriali, ortive e foraggere ha ridotto l'estensione dei pascolo e dei riposi seminativi. La coltura del tabacco che nel 1929 risultava nel Catasto estesa su 10 ettari, ha oggi superato i 200 ettari, mentre la barbabietola, che non veniva neanche menzionata nel precitato Catasto, si estende su circa undicimila ettari. Nel settore delle colture ortive mentre la superficie investita a patata si è ridotta di più del 50%, quella del pomodoro si è più che raddoppiata. Particolare espansione ha avuto la coltura del carciofo che da meno di 100 ettari nel periodo prebellico raggiunge ora diverse migliaia di ettari, con evidente tendenza ad un progressivo aumento. Anche l'area delle foraggere risulta oggi quasi triplicata rispetto al 1939-42. Per le colture arboree in complesso si è avuto nello stesso periodo un aumento determinato dalla maggiore diffusione degli olivi ed ancora piú dall'espansione della vite; per il mandorlo e per gli agrumi è proseguita la nota tendenza a ridurre l'area. In particolare la produzione di uva da tavola della provincia di Foggia, seguendo l'andamento ascensionale della Puglia - ove la produzione si è quintiplicata in confronto al periodo pre-bellico - ha subito un incremento di 18 volte. Gli incrementi produttivi si sono tradotti in un aumento del valore della produzione lorda vendibile ed in sensibili variazioni nella sua composizione. Infatti, il valore della produzione lorda vendibile dell'agricoltura in Provincia di Foggia a prezzi correnti si è quasi raddoppiato, passando da oltre 49 miliardi di lire del 1951 a 109 miliardi e 191 milioni del 1962. L'incidenza delle colture erbacee dal 47,9% si è ridotta al 36,9%, mentre quella dell'ortofrutticoltura è salita dal 9% al 18,7% e quella della vite dal 13 al 24,1%. Anche il peso relativo dell'olivicoltura ha avuto un lieve aumento (dall8,4% all'11%), mentre quello dei prodotti zootecnici è sceso. Vi è tuttavia da registrare un miglioramento qualitativo dei patrimonio zootecnico che oggi conta un più elevato numero di bovini di razza pregiata, mentre risulta contratto quello degli equini. Gli allevamenti ovini, dopo la drastica riduzione operata dagli interventi di riforma, vanno segnando una ripresa. I risultati produttivi della Provincia di Foggia sono stati conseguiti in aziende che, secondo il censimento dei 1961, risultano per l'87,6% a conduzione diretta, per l'8,4% a conduzione salariale e per il 4% ad altre conduzioni. Un indice dei considerevoli progressi tecnici conseguiti è dato dal 14 parco trattoristico che è passato da 1547 trattrici nel 1952, per una potenza di 57.437 HP, a 4.988, per una potenza complessiva di 187.814 HP nel 1962. Elevata è stata la diffusione delle motopompe, il cui numero è salito da 333 a 6.465. Notevole anche la diffusione delle mietitrebbie che con un parco di 612 macchine pone la Provincia di Foggia al primo posto tra le altre provincie italiane. Sensibili variazioni si sono pure verificate nel campo dell'esportazione dei prodotti tipici. Nel settore della lavorazione e trasformazione dei prodotti, da una recente indagine sono state rilevate 80 cantine della capacità complessiva di lavorazione di 810 mila q.li di uva; di esse solo 33 sono ritenute efficienti per una capacità lavorativa complessiva di circa 600 mila quintali, mentre le produzioni di uve da vinificare toccano punte di oltre 3 milioni di q.li. Nel settore olivicolo-oleario, sono stati rilevati 122 oleifici per una capacità lavorativa complessiva di 380.000 q.li di olive; di essi solo 12 hanno attrezzature moderne ed efficienti per una capacità lavorativa di circa 80.000 q.li di olive, contro una produzione che in questi ultimi anni ha superato 1 milione di quintali. Nel settore lattiero-caseario, la Centrale dei Latte di Foggia utilizza parte della produzione provinciale, ma non ha una adeguata rete di centri di refrigerazione per la raccolta del latte stesso. Notevole sviluppo ha avuto recentemente l'industria saccarifera che ha realizzato due nuovi stabilimenti. I progressi produttivi e tecnici si sono tradotti in un incremento dei reddito globale e dei redditi individuali. Proprietà, impresa e lavoro. 6. - Ma nell'ultimo dopoguerra si sono verificati nel mondo contadino profondi mutamenti di ordine psicologico e culturale che hanno spinto e spingono tuttora a porre su basi diverse i preesistenti rapporti fra proprietà, impresa e lavoro. Per effetto delle esperienze belliche, dei contatti con le truppe alleate, della prigionia trascorsa in paesi diversi, dello sviluppo delle grandi comunicazioni di massa (stampa, radio, tv e cinema), della libertà politica e sindacale e della diffusione dell'istruzione, si andava maturando una nuova presa di coscienza dei propri diritti e della propria dignità da parte di numerose schiere contadine. Accentuatasi fortemente l'ansia di miglioramerito economico e so15 ciale, la proprietà della terra era ritenuta conquista di fondamentale importanza, strumento indispensabile per soddisfare l'inderogabile bisogno di reddito e di sicurezza per le famiglie. Per corrispondere a tale diffusa e profonda aspirazione delle categorie bracciantili, fu adottata una serie di misure volte da una parte, con l'imposta patrimoniale, i contributi unificati, l'imponibile di mano d'opera, a rendere piuttosto difficile la vita dei proprietari assenteisti, dall'altra, con le leggi sulle terre incolte, sulla formazione della proprietà contadina e con la riforma fondiaria, a favorire largamente l'accesso alla proprietà della terra da parte di numerosi braccianti. In provincia di Foggia in questo dopoguerra in forza delle leggi di riforma sono state costituite n. 7.610 unità produttive per un totale di 52.810 ettari; per effetto delle leggi a favore della piccola proprietà contadina si sono verificati acquisti per una superficie complessiva di oltre 47.000 ettari. Nel frattempo si determinavano nuovi movimenti verso la realizzazione di più moderni assetti produttivi delle aziende. Alcuni medi e grandi proprietari di terre, dediti esclusivamente all'impresa agricola, avviavano infatti una graduale conversione colturale ed una ristrutturazione produttiva dell'azienda introducendo la meccanizzazione, eliminando il bestiame da lavoro e riducendo la mano d'opera salariata ed avventizia. Peraltro nei primi anni « 50 » si organizzavano grandi e grandissime aziende sia su basi cooperative per la conduzione unita della terra e sia su base capitalistica con afflusso di capitali da parte di società industriali e di assicurazioni. Cooperative furono infatti organizzate a Cerignola, a Manfredonia, Foggia, Lucera, Deliceto, ecc.; sorsero l'azienda di Palazzo D'Ascoli, della SEBI, l'azienda Zaccagnini, quella di « Terra Apulia », aziende che, secondo alcuni, erano destinate ad essere le imprese dell'avvenire. Anche iniziative borghesi a carattere dilettantistico tornavano ad affacciarsi, sull'esempio lodevole di un compianto tecnico pugliese, il Prof. Carrante : medici, avvocati, professionisti di ogni genere, artigiani e commercianti della provincia di Foggia, ma anche estranei alla provincia stessa cominciavano qua e là ad organizzare imprese con notevoli apporti di capitali ed entusiasmo. Inoltre vicino ai centri abitati dove ferveva anche l'attività edilizia, sorgeva qua e là, specialmente a Foggia, S. Severo e Cerignola, un tipo d'impresa gestito da famiglie di cui alcuni componenti realizzavano redditi in altre attività. 7. - Nel corso degli anni « 50 » si andavano dunque sostanzial16 mente affermando, sul piano dei l'organizzazione aziendale, le seguenti tendenze: 1 ) aziende capitalistiche di grandissime dimensioni appartenenti ad elementi extragricoli e condotte con salariati fissi e avventizi per la pratica di colture fortemente attive e spesso su terre magre a compartecipazione (vedi i vigneti di Palazzo D'Ascoli); 2) aziende cooperative di grandi dimensioni per la conduzione unita delle terre, nelle quali il socio della cooperativa forniva il lavoro come nella grande impresa capitalistica, ricevendone un compenso integrato a fine della gestione con la ripartizione di eventuali utili; 3) imprese capitalistiche di proprietari o affittuari conduttori con salariati fissi e avventizi o a compartecipazione per le colture attive industriali o orticole che timidamente andavano comparendo (bietola da zucchero, peperoni, ecc.); 4) imprese contadine in proprietà o affitto e colonia parziaria di vecchia e nuova formazione con il ricorso a mano d'opera avventizia nei momenti di punta; 5) imprese di proprietari borghesi che spesso facevano ricorso a compartecipanti per le colture arboricole o orticole; 6) imprese integrative di artigiani o di contadini con figli operai di industrie locali o braccianti agricoli presso terzi. Sarebbe certo interessante un esame particolare dell'evoluzione subita da questi tipi di imprese nell'ultimo decennio; ma ciò che preme ora sottolineare è la pluralità delle iniziative che davano luogo ad un vivace movimento, impegnando molte energie umane locali o immigrate, mentre gli interventi della Cassa per il Mezzogiorno e dei Consorzio di Bonifica andavano eseguendo numerose, anche se non sufficienti, opere infrastrutturali. Intanto la Riforma Fondiaria, determinando un risveglio della proprietà privata, induceva anche molti proprietari assenteisti a vendere o ad impegnarsi nella conduzione delle imprese. Non mancano infatti esempi lodevoli di proprietari che prima vivevano di rendita fuori dell'ambiente e che sono poi tornati in provincia di Foggia per gestire direttamente la loro proprietà. Larghe zone dell'agricoltura di Capitanata si sono quindi mosse con slancio conseguendo risultati apprezzabili. Infatti, mentre l'impresa capitalistica introduceva la Simmenthal oppure la Bruno-Alpina, i fruttiferi a Palazzo d'Ascoli, nelle aziende contadine si andavano affermando la coltura del carciofo, quella del mellone, del peperone, del vigneto a tendone. Lo sviluppo di queste ultime colture va indubbiamente attribuito a merito del lavoro contadino, perché anche quando le imprese capitalistichie o della borghesia 17 cittadina si interessavano a tali piante, quasi sempre lo facevano con sistemi a compartecipazione. Naturalmente in questo moto di rinnovamento produttivo vi è stata possibilità di sperimentare nuove energie imprenditive ed affinare le capacità di vecchi conduttori o direttori di grandi aziende o di fattorie e di masserie. 8. - Ma, nella seconda metà degli « anni 50 », il nascente equilibrio economico e sociale delle campagne, caratterizzato da più vaste responsabilità imprenditoriali da parte degli strati contadini e da un graduale miglioramento dei salari e dei redditi di lavoro, subiva un grave turbamento per effetto del diseguale sviluppo economico generale del Paese. Le nuove possibilità di occupazione industriale a livelli salariati più alti offerte dalle regioni nord-occidentali del Paese, la domanda estera di mano d'opera, determinavano massicci spostamenti territoriali di popolazioni rurali ed un intenso esodo dalle campagne particolarmente da parte delle giovani generazioni contadine. Tutto ciò ha dato luogo in questi ultimi anni ad un fatto di estrema importanza e profondamente innovatore dei rapporti preesistenti nelle campagne: il lavoro agricolo ha assunto in molti territori una posizione di forza, talvolta di preminenza rispetto all'impresa. In altri termini, il lavoratore può dire al l'imprenditore: « lo sono disposto a lavorare per te, se mi assicuri un adeguato compenso ». Permangono tuttavia situazioni di sottoccupazione, stati di soggezione dei contadini soprattutto appartenenti alle vecchie generazioni nei confronti della proprietà e dell'impresa. Le une e gli altri si sono comunque notevolmente ridotti. E' peraltro scomparso il metodo di ingaggio fatto sulle piazze tastando i muscoli; sono scomparse le forme tradizionali e romantiche della spigolatura. Chi non ricorda le fitte schiere di contadini che provvisti di bisacce scendevano a dorso d'asino dai paesi del sub-appennino nel Tavoliere e giungevano da Andria su un carretto? Appena i covoni venivano ritirati essi invadevano come cavallette la sterminata piana cerealicola alla ricerca delle briciole, ché così poteva considerarsi la spiga di grano lasciata sul campo dai lavoratori dell'impresa capitalistica. Queste nuove condizioni dei lavoro agricolo vanno dunque salutate con soddisfazione e con l'augurio che esse possano consolidarsi e diffondersi anche nelle residue zone nelle quali non è stato possibile realizzarle. Tuttavia da più parti si lamentano l'insufficienza della disponibilità di mano d'opera avventizia o a salario, la scarsa propensione dei lavoratori a stipulare contratti di mezzadria o di compartecipazione e si auspicherebbero anacrostiche ed irrazionali misure atte a frenare 18 la fuga dai campi. Non manca anche chi giudica negativo l'esodo rurale considerandolo una « cacciata dalle campagne ». E' necessario valutare tale fenomeno caratteristico di ogni processo di sviluppo economico con senso di equilibrio e di obiettività. Esso ha ricreato in molte zone un più giusto equilibrio tra terra e uomo; ha posto fine allo stato di soggezione del lavoro; ha dato ai lavoratori una nuova posizione di dignità e di forza contrattuale; ha indotto ed induce le imprese di ogni tipo ad accrescere la loro competitività. L'esodo rurale è sostanzialmente un fatto positivo e fisiologico in un sistema economico come il nostro che nel complesso ha superato la fase di decollo. Certo le forme disordinate e spesso patologiche con cui l'esodo si è realizzato in molti territori meridionali non sono esenti da riserve e rilievi. Ad ogni modo la positività degli effetti dell'esodo si rivela anche nell'esigenza di una diversa organizzazione agricola. Oggi, infatti, non si tratta più di assicurarsi il possesso della terra di qualsiasi dimensione, ma di organizzare aziende che siano in grado di produrre redditi di lavoro e di capitali in parità con quelli realizzabili in altri settori di attività. Ciò deve anche realizzarsi nel tempo in cui la costituzione del M.E.C. e la liberalizzazione degli scambi esigono di produrre a costi decrescenti. Sembrerebbe contraddittorio pensare a dover aumentare i redditi e contemporaneamente diminuire i costi; eppure il processo evolutivo in atto ci dice che ciò è possibile anche se richiede sacrifici, maggiore impegno da parte delle categorie imprenditoriali e adeguati interventi dello Stato. Una via facile ci sarebbe per raggiungere lo scopo: basterebbe una politica di artificiosa difesa dei prezzi dei prodotti agricoli. Ma questa politica che - come è noto - già è stata praticata per decenni, in particolare con il dazio sul grano, non ha consentito al Mezzogiorno agricolo di progredire, ha attenuato lo spirito di iniziativa e non consente la formazione di un'agricoltura moderna e competitiva. Un'altra via viene indicata dallo stesso mondo agricolo di Capitanata, anche se essa si va percorrendo con sforzi notevoli e velocità inferiori a quella desiderata. Tale via consiste nel porre i fattori della produzione in condizione di esprimere al massimo la loro produttività e le aziende in grado di elevare al massimo la propria redditività. E' possibile realizzare ciò nell'agricoltura di Capitanata? Vi sono potenziali risorse da mobilitare per contribuire a raggiungere tale scopo? Siamo dunque al punto più interessante e più delicato di questa disamina. 19 Produttività, redditi e costi di produzione. 9. – Le linee di azione per conseguire il massimo di produttività, l'elevazione dei redditi unitari di lavoro e di capitale e contemporaneamente l'abbassamento o il contenimento dei costi di produzione sono le seguenti : 1 ) Per elevare la produttività: a) localizzazione delle colture in base alla vocazione economica delle terre; b) elevazione del rendimento del lavoro sia attraverso la qualificazione e specializzazione sia attraverso la modifica delle strutture produttive; c) adozione delle tecniche colturali moderne e meccanizzazione. 2 ) Per elevare la redditività : organizzazione dei produttori per aumentare la capacità contrattuale ed intervenire decisamente nella formazione del prezzo. 10. - Forse sarebbe stato opportuno disporre di una particolare indagine volta ad individuare le singole situazioni pedo-climatiche al fine di stabilire la migliore destinazione delle terre in base alla loro vocazione economica. In mancanza di tale indagine, ai fini dei nostro dibattito può essere sufficiente il ricorso alle esperienze ormai ventennali che ho dell'agricoltura di Capitanata e che ho avuto modo di fare sia come tecnico di aziende private che come tecnico di aziende della Riforma. Dal 1944 in poi mi sono infatti interessato dei terreni ubicati in agro di Manfredonia, località Pagliete, in agro di Lucera, Volturara, Ascoli Satriano, Rocchetta S. Antonio, Cerignola, Margherita di Savoia, e nel Gargano da Torre Mileto agli olivastreti di Cagnano Varano. Alle indicazioni derivanti da tali esperienze vanno aggiunti i risultati degli studi condotti per diversi anni per conto dell'Osservatorio di Economia Agraria dell'Università di Bari su numerose aziende, ambienti e poderi del Tavoliere. 11. - La provincia di Foggia, che si estende per circa 700 mila ettari, può essere suddivisa in quattro grandi zone aventi una sufficiente omogeneità. Esse sono: 1 ) quella dei Tavoliere centrale che, partendo da Ripalta e dal lago di Lesina e scendendo lungo il corso del Candelaro, si estende sino ai confini della Puglia, comprendendo parte dell'agro di S. Severo, Foggia, Cerignola, Trinitapoli, Margherita di Savoia. Essa è caratterizzata da terre da grano, terre pesanti argillose, nelle quali le condizioni favorevoli alla cerealicoltura meccanizzabile rendono di difficile introduzione altre colture. La natura dei terreno e il clima non sono favorevoli alle colture arboree ed arbustive. A prescindere da alcune parti leggermente elevate che potranno pure alimentare una viticultura o oli20 vicultura e frutticultura ad alto reddito, specialmente con l'irrigazione di soccorso, nella zona non si tratterà di sostituire il grano, ma di altenarlo con altre colture, quali il carciofo e la barbabietola da zucchero, specie se per quest'ultima la meccanizzazione sarà perfezionata. D'altra parte, i continui progressi delle tecniche colturali e della meccanizzazione con conseguente aumento delle produzioni unitarie, consentono di affermare che è possibile conservare una cerealicoltura altamente economica, anche perché non solo la produzione dei grani duri ma anche quella dei terreni risultano avere caratteristiche nettamente superiori a quelle dei prodotti di altre regioni cerealicole italiane. Potrà anche essere avviata una pioppicoltura su vasta scala, dopo che i primi tentativi in atto consentiranno di trarre più concrete esperienze. 2) zona che si estende sulle cosiddette « terre di crosta » e « terre rosse » pedegarganiche ed interessa anche la parte pianeggiante dei comuni garganici, parte dell'agro di S. Severo, San Paolo Civitate, Serracapriola, Chieuti, Torremaggiore, Lucera, Troia, Castelluccio dei Sauri, Ordona, Ortanova, Cerignola, S. Ferdinando, Trinitapoli, Margherita di Savoia. In questa situazione economica si riproducono gran parte delle caratteristiche della fascia litoranea barese, anche se con un clima leggermente meno mite. Essa può considerarsi il prolungamento della terra dell'albero, come fu definita dal Ricchioni parte della Puglia, e può evolversi insistendo ancora sulle colture arboree, prima fra tutte la vite per uva da vino e per uva da tavola. A questa indicazione alcuni obietteranno che l'uva, è in crisi. E' necessario replicare che trattasi di crisi derivante da fattori vari e suscettibili di modifiche e di correzioni, mentre attraversiamo una fase di transizione caratterizzata dalla ricerca di nuovi equilibri produttivi nel cui quadro la vite per uva da vino e da tavola troverà collocazione economica, se coltivata in ambienti adatti. Del resto oggi più che mai le terre di S. Severo, Lucera, Cerignola, stanno rivelando un'elevata suscettività delle colture arboree, specie se si può disporre di irrigazioni di soccorso. D'altra parte, le zone agrumicole del Gargano, quelle viticole già esistenti e ampliabili, le zone olivicole ampliabili anche con l'introduzione dei nuovi sistemi di impianti irrigui, e con la coltura delle piante fruttifere, quali il pesco e probabilmente l'albicocco, il susino, potranno consentire una migliore destinazione di quelle terre in base proprio alla loro vocazione economica; 3) la zona rappresentata dalla parte alta, montagnosa, asciutta del Gargano e dalle terre collinari e montane del subappennino dauno. La sua vocazione economica sta esclusivamente nell’allevamento del be21 stiame per l'utilizzazione dei pascoli naturali. Ancora oggi visitando tali zone si nota che terre con pendenza eccessiva e quindi non meccanizzabili vengono destinate alla cerealicoltura o al granoturco o a fava. In realtà esse non hanno possibilità di realizzare produzioni competitive. Si rende quindi necessario un ulteriore alleggerimento della pressione demografica, in modo da favorire la formazione di aziende zootecniche. E' altresì necessario realizzare alcune infrastrutture, specie quelle riguardanti le strade di fondo valle che possono collegare gli abitati e le terre migliori con la pianura sottostante. Tale necessità deriva anche dal fatto che molti di coloro che emigrano lasciano nei comuni di origine le famiglie che con forze di lavoro esigue (vecchi, donne e bambini) continuano a reggere l'azienda agricola. Sono infatti sorte aziende integrative in cui il reddito principale è rappresentato dal salario percepito dagli uomini che lavorano nelle industrie del Nord o in Paesi dell'Europa Occidentale. Il collegamento attraverso le strade di fondo valle, per esempio, lungo il Fortore, il Calaggio, il Carapelle e d'altri corsi d'acqua più o meno importanti, potrebbe spingere a trasformare i comuni collinari e montani in zone residenziali da cui potrebbero muoversi le maestranze delle industrie destinate a svilupparsi nel Tavoliere a seguito del probabile reperimento di notevoli risorse metanifere. Alcune terre di questa terza zona potrebbero quindi dar luogo ad aziende integrative, o « part-time », mentre la maggior parte della zona dovrebbe essere indirizzata verso l'allevamento zootecnico, in particolare quello della pecora, giacché i prodotti ovini, specie carni e formaggi, hanno riacquistato notevole pregio sul mercato. La zona garganica si presta anche a un più vasto allevamento dei caprini, che potrebbe essere favorito abolendo una vecchia legge che impedisce il pascolo delle capre nei boschi. Si può constatare che nei boschi, negli olivastreti o cespuglietti la capra non arreca danno alcuno, ma vantaggi. Danno essa arreca in fase di rimboschimento e di sviluppo di boschi tagliati, per cui in questi casi si potrebbe conservare il divieto. 4) la quarta zona comprende aziende a specializzazione orticola, localizzate negli arenili di Margherita di Savoia, ed in varie parti dell'agro di Ortanova, Chieuti, Lucera, Foggia, Trinitapoli, Manfredonia, Lesina, Cagnano Varano, Macchiarotonda, Fonterosa, Mattinata. La superficie orticola va assumendo crescenti dimensioni, come si osserva lungo la strada che da Foggia porta a Lucera, ma, ancor più, lungo la strada che da Trinitapoli, via Mezzanone, porta a Foggia e nella zona orientale del Lago di Lesina ed in agro di Ortanova : oramai diverse migliaia di ettari sono investiti a cavoli, carciofi, finocchi, lattuga, agli, cipolle, indivia, ecc. Trattasi quindi di una situazione econo22 mica in grande slancio. Essa, a parte eventuali fattori depressivi dovuti a qualche gelata o a strozzature di mercato, ha un sicuro avvenire, tenuto conto della riduzione dell'area napoletana destinata all'orticoltura, della tendenza all'espansione dei consumi interni di ortaggi freschi e del possibile incremento della domanda da parte dei mercati dell'Europa centro-settentrionale. Tracciate così molto succintamente, per ognuna delle quattro grandi situazioni economiche, le linee di sviluppo già manifestatesi, possiamo tranquillamente affermare che l'azione pubblica e privata deve essere decisamente ed organicamente indirizzata verso una più diffusa localizzazione di esse secondo la vocazione economica dei singoli ambienti. Nelle quattro zone indicate, lo strumento che può determinare un miglioramento della produttività è indubbiamente costituito dall'acqua di irrigazione. Però, mentre per la prima, quella delle terre da grano, e per la terza, quella delle terre da pascolo, l'irrigazione può avere una funzione complementare, diretta cioè ad integrare le risorse foraggere o a consentire la coltura della barbabietola o del carciofo, per la seconda o la quarta l'irrigazione sostituisce uno strumento fondamentale per favorire il processo di intensificazione. 12. - Di recente si è visto che la produttività di molte terre foggiane può salire rapidamente, può anche raddoppiarsi con l'introduzione dell'acqua destinata alle colture già in atto. E' questo il fatto più importante che si sia spontaneamente manifestato. Si è visto cioè che, se si irriga l'oliveto già esistente con irrigazioni di soccorso, è possibile triplicarne le produzioni; se si irriga un vigneto per uva da tavola con irrigazioni di soccorso in momenti difficili, quel vigneto può produrre 100 quintali di uva in più, abbassando quindi in misura sensibile il costo di produzione. Se si irriga il carciofo nel mese di luglio, è possibile raccogliere i carciofi in ottobre, novembre fino a tutto il periodo invernale realizzando produzioni e prezzi soddisfacenti; se si irrigano certe colture orticole verso la fine dell'estate, è possibile realizzare nell'inverno prodotti di pregio per i mercati dell'Europa centrale e dei Nord d'Italia. Si può quindi riaffermare che lo strumento capace di elevare la produttività delle terre nelle aziende agricole è essenzialmente l'acqua di irrigazione. Vale perciò la pena di soffermarsi un po' sull'argomento. Nel passato tutta la programmazione riguardante la bonifica e la irrigazione dell'italia meridionale fu informata ai criteri seguiti nello sviluppo dell'irrigazione della Valle Padana. Si disse che nel Sud bisognava utilizzare l'acqua nella coltura delle 23 foraggere per sviluppare gli allevamenti di bestiame ed ottenere anche la produzione di letame e la reintegrazione della fertilità dei suoli. Furono così previsti grandi impianti di irrigazione per le terre seminatorie, per le terre cioè molte volte compatte delle pianure litoranee, scartando di proposito quelle zone arboricole che potevano rientrare anche in comprensori irrigui, perché si riteneva inutile e talvolta dannoso destinare l'acqua alle colture arboree. Si è verificato però che in molte terre destinate all'irrigazione, la coltura cerealicola, che sembrava destinata a scomparire, va acquistando una crescente posizione di favore. Essa infatti consente la meccanizzazione integrale e la riduzione di oltre il 60% della mano d'opera, anzi fino al 70% attraverso l'uso delle trattrici per la semina, per la sarchiatura, per la eliminazione delle cattive erbe, della mietitrebbia. Si sono quindi cambiati i termini del problema e il giudizio di convenienza economica nella trasformazione irrigua di terre da grano con colture foraggere. Nello stesso tempo si è visto che la stessa quantità di acqua se anzicché alle foraggere, viene fornita all'ulivo acquista un prezzo di trasformazione da giustificare il suo reperimento in condizioni ritenute antieconomiche per la coltura delle foraggere. Nuove prospettive di valorizzazione produttiva delle terre sono quindi aperte dalla tecnica moderna e dall'irrigazione. Poiché oramai dalle esperienze fin qui fatte risulta evidente che le colture arboree in Puglia elevano di più il prezzo di trasformazione dell'acqua - come ha avuto modo di rilevare in altre occasioni - è possibile porci il problema di estendere notevolmente l'irrigazione in Terra di Capitanata. Dove reperire l'acqua? Vi sono risorse nel sottosuolo? Per queste però è bene dire subito che non si può andare oltre certi limiti, avendo già messo in azione un numero notevolissimo di pozzi i quali attingono acqua dalla falda sotterranea e possono anche col tempo rischiare di depauperarla fino al punto di doverne sospendere l'utilizzazione. La Capitanata può considerarsi in posizione privilegiata quanto a risorse idriche. Entro un anno o poco più saranno invasati 300 milioni di mc. nella Diga di Occhito; altri invasi possono essere costruiti sull'Ofanto a valle di Occhito, sul Cervaro e sul Carapelle. Notevoli quantitativi di risorse idriche di non difficile acquisizione potrebbero quindi essere destinate all'irrigazione, dopo aver soddisfatto le esigenze dell'industria e degli usi civili. E' tuttavia necessario prepararsi ad affrontare in termini globali il problema dell'utilizzazione delle acque in maniera che, man mano che esse sono disponibili, possano essere razionalmente utilizzate anzicché essere per molti anni costretti a confluirle in 24 SUL TAVOLIERE DI PUGLIA Ieri: distribuzione governativa del chinino in una masseria della zona malarica ( Fotografia inedita di Nicola Scardino, g.c. dell’Archivio Simone) SUL TAVOLIERE DI PUGLIA Oggi: speranze di un avvenire sereno nel comprensorio della riforma fondiaria ( Fotografia, g.c. dell’Ente di Riforma Fondiaria) SUL TAVOLIERE DI PUGLIA Macchine nuove per un’agricoltura moderna ( Fotografia di Leone, g.c. dall’E. A. « Fiera di Foggia » ) SUL TAVOLIERE DI PUGLIA Una fattoria modello, presupposto di migliori prodotti ( Fotografia di Leone, g.c. dall’E.A. « Fiera di Foggia » ) gran parte al mare, così come purtroppo si fa per alcuni invasi meridionali. Lavoro agricolo e istruzione professionale. 13. - Altra fondamentale linea di sviluppo agricolo è costituita dal miglioramento della produttività del lavoro. Ciò va conseguito anzitutto con un più equilibrato rapporto tra terra e uomo e fra capitali ed unità lavorative. L'impresa agricola non può oggi esercitarsi con il semplice possesso della terra nuda; occorrono adeguati investimenti fondiario-agrari, aziendali ed extraziendali, nonché capitali di esercizio. Naturalmente, il rapporto fra capitali e unità lavorative assume dimensioni e termini diversi in relazione al possibile processo di intensività o di estensività degli ordinamenti produttivi. Peraltro il lavoratore non deve essere più fornitore di forza bruta, di forza fisica, soltanto, ma deve essere invece prestatore di un lavoro intelligente e specializzato che riduce sensibilmente le forze materiali e sviluppa quelle organizzative. Come in tempi lontani chi, anziché limitarsi a fare lo zappatore, era capace di potare gli alberi, o di azionare un qualsiasi congegno, o di selezionare o di innestare le piante, conseguiva un salario ed un reddito di lavoro notevolmente superiore, così oggi chi, anziché guidare un cavallo, guida un trattore può venirsi a trovare nella condizione di avere un compenso più adeguato. Perciò si pone per coloro che devono restare in agricoltura l'esigenza di un miglioramento sensibile e diffuso dell'istruzione di base e dell'istruzione professionale. La guida del trattore, ad esempio, dovrebbe essere una conquista di larghi strati di lavoratori da realizzarsi con corsi di massa in modo che, come nel passato i ragazzi imparavano a guidare i carretti tirati dai buoi o dai cavalli o dal mulo, oggi siano posti in grado di guidare un trattore. Ma, oltre alla guida della trattrice, è necessario conseguire una maggiore specializzazione nelle varie operazioni agricole. Sarà così possibile anche il ricorso a mezzi meccanici per i trattamenti anticrittogamici e fare uso razionale dei diserbanti. E' superfluo rilevare il danno che può produrre un trattamento sbagliato. Bisogna che il lavoratore abbia cognizioni adeguate e competenza. Ecco quindi la necessità di una più larga diffusione dell'istruzione professionale, post-elementare, post-scuola media. In provincia di Foggia non mancano buone iniziative al riguardo. I problemi della scuola a tutti i livelli meritano dunque di essere 25 affrontati su scala più vasta e con programmi rispondenti alle prospettive che lo sviluppo economico offre all'occupazione. 14. - Ma la realtà agricola della Capitanata, accanto agli aspetti positivi, presenta non pochi aspetti negativi, cui in parte si è già accennato in precedenza. Questi ultimi attengono soprattutto al suo aspetto strutturale e ai persistenti irregolari rapporti tra impresa e mano d'opera. Gli aspetti negativi derivano da un insufficiente sviluppo economico generale della provincia, che, globalmente considerata, nonostante gli innegabili progressi di questo ultimo decennio o dodicennio, permane un'area sottosviluppata. Grave risulta ancora lo squilibrio di rapporto fra agricoltura ed industria, come è facile rilevare dagli ultimi dati pubblicati dal Tagliacarne sull'alta percentuale del reddito agricolo sul reddito globale della provincia. Nel settore delle strutture fondiarie, il principale aspetto negativo è costituito dal grave e crescente fenomeno di polverizzazione e frammentazione delle aziende e delle proprietà, che contraddistingue tutte le zone agricole, anche se la sua intensità e gravità si distribuiscono in misura varia. Ai fini della localizzazione del fenomeno, non disponendo di indagini recenti, può ritenersi sostanzialmente valida la distribuzione del numero delle proprietà per classi di superficie risultante dall'indagine INEA 1947, giacché il fenomeno sembra non abbia subito considerevoli correzioni in questi anni ed anzi sembra essersi aggravato. Tale problema che negli anni passati non è stato possibile affrontare ed avviare a soluzione, a causa della forte pressione demografica e della fame di terra, oggi deve essere affrontato e può essere gradualmente avviato a soluzione, data la progressiva rarefazione della mano d'opera agricola. Le misure legislative e gli strumenti operativi vanno attentamente, ma rapidamente studiati ed organizzati. Un fatto deve essere comunque chiaro: che un processo di riordino fondiario va orientato ed organizzato, poiché il suo svolgimento naturale, oltre a trascinare il problema per lunghi anni rischia di produrre risultati parziali e spesso, dal punto di vista tecnico, economico e sociale, di scarsa efficacia. In provincia di Foggia le zone a più diffusa polverizzazione sembrerebbero quelle arboricole e quelle orticole e si potrebbe essere tentati di andare a ricomporre gli orti di Margherita di Savoia od i vigneti intorno a S. Severo. La polverizzazione che deve invece preoccupare è quella della zona collinare montana. Infatti, mentre le piccole aziende e le piccole proprietà delle zone orticole e viticole non consen26 tendo la meccanizzazione, non risentono molto dell'ampiezza del fondo, nelle zone collinari da estensivare ha molto peso sulla produttività l'ampiezza della terra disponibile perché da essa sono condizionati il numero di capi di bestiame allevabile e l'impiego delle macchine. Per una maggiore efficienza delle imprese. 15. - Nel quadro della ristrutturazione agricola, assumono anche rilievo misure organiche e coordinate atte a determinare lo sviluppo dei tipi di impresa ritenuti più efficienti. Può a tal fine essere utile ricordare che sono sparite o tendono a sparire le conduzioni unite della terra. Anche gli allevamenti collettivi organizzati dalla Riforma Fondiaria alla « Moschella » in agro di Cerignola o per l'utilizzazione dei pascoli del Gargano non hanno avuto successo. Ad essi si sono dovuti sostituire quelli individuali con risultati migliori. Il motivo dell'insuccesso delle conduzioni unite (che pure furono numerose in Terra di Capitanata) va indubbiamente ricercato nella mancanza di senso di responsabilità e di stimolo da parte del lavoratore il quale non proprietario della terra, ma semplice prestatore d'opera, non si sentiva vivamente impegnato nel processo produttivo. A sottolineare l'importanza della responsabilità individuale nell'esercizio dell'impresa agricola, concorrono le ultime vicende di grandissime aziende finanziate dal capitale e organizzate da uomini provenienti dalle regioni settentrionali del nostro Paese. La SEBI, ad esempio, è in vendita; l'unica soluzione è di cederla in proprietà ai mezzadri che in gran parte la coltivano e l'hanno resa, con l'assistenza del capitale, altamente produttiva. « Terra Apulia » non dice più nulla all'agricoltura di Capitanata; Palazzo d'Ascoli è tramontata e vorrei che ciò si fosse verificato solo per il fatto che al tramonto si avvia anche chi con tanto entusiasmo la organizzò nei primi anni del dopo-guerra. Sono invece convinto che il tramonto è da attribuirsi al fatto che in questa azienda, come in quelle a conduzione unita, coloro che prestavano il loro lavoro tecnico ed esecutivo si sentivano estranei alla proprietà della terra ed ai risultati dell'impresa. Va quindi sottolineato che una tendenza fondamentale, non solo della nostra agricoltura, è quella di unificare nella persona del lavoratore la proprietà e l'impresa. Ecco perché sono destinate a progressivo tramonto molte forme di conduzione che in altri tempi ebbero modo di affermarsi, così come non rispondono alle attuali esigenze delle campagne e alle profonde aspirazioni dei lavoratori agricoli, vecchie forme 27 contrattuali e sistemi di organizzazione aziendale sperimentati in alcuni Paesi. Significativi sono infatti i recenti discorsi di Kruscev sulia situazione agricola del suo Paese dopo aver constatato per decenni che la conduzione unita della terra non consente di raggiungere gli obiettivi dei piani quinquennali o decennali. Perciò i tipi fondamentali di impresa destinati ad affermarsi anche nell'agricoltura di Capitanata sono rappresentati dall'impresa contadina a carattere familiare, vitale e di dimensioni economiche, e dalla media impresa capitalistica, gestita da operatori quotidianamente impegnati nell'esercizio agricolo e rispettosi delle esigenze nuove del lavoro. 16. - E' comune e diffusa opinione che oggi in Capitanata come in Italia, per poter produrre a prezzi concorrenziali sul mercato nazionale ed estero, bisogna favorire la formazione di grandi e medie aziende, perché ritenute le sole capaci di produrre a costi più bassi rispetto alle aziende familiari, giacché per le prime è agevole il pieno impiego delle macchine. Da uno sguardo retrospettivo al processo di sviluppo dei tipi di impresa nell'agricoltura italiana, si rileva che fino a qualche anno addietro, tranne nelle zone di riforma, l'impresa contadina si affermava là dove si dovevano praticare colture richiedenti forte impiego di mano d'opera. Laddove invece più ridotta era la mano d'opera cointeressata, si riteneva più idonea l'impresa capitalistica. Aggiungo che, ovunque la terra era povera e non presentava prospettive di miglioramento della produttività, si è maggiormente concentrata ed affermata l'impresa contadina; dove la terra era ricca ha resistito l'impresa capitalistica. L'affermazione dell'impresa contadina è stata quindi favorita dal bisogno di mano d'opera. Tutta la regione pugliese, nelle zone povere, era ad impresa contadina, od in affitto o a mezzadria o piccole proprietà, ma sempre impresa contadina. L’impianto di gran parte degli oliveti ha avuto origine da vecchi contratti di colonia miglioritaria, in virtù dei quali il contadino profondeva risparmi e sudori per tutta la sua vita per lasciare poi l'oliveto al proprietario. Sono sorti in questo modo migliaia e migliaia di ettari di oliveto. Anche in zone dove si coltivava, per esempio, la fava da seme come miglioratrice del grano, si concedeva la fava a compartecipazione, mentre il grano era di pertinenza dell'impresa capitalistica. Né si può affermare che queste situazioni siano del tutto scomparse, riscontrandosi zone in cui il contadino coltiva i piselli in compartecipazione sotto l'oliveto ed il proprietario si riserva la raccolta delle olive. Una manifestazione della tendenza ad affidare all'impresa conta28 dina le colture che richiedevano molta mano d'opera, o la terra più povera, è data dal regime fondiario a tutti noto. Nei Paesi poveri di montagna, la proprietà presenta un elevato grado di frazionamento, mentre a valle è più accentrata. Quivi la grande proprietà si è sostenuta perché, attraverso la capitalizzazione del lavoro, l'introduzione di colture pregiate e di colture nuove, poteva dar luogo a fenomeni di suscettività, era capace cioè di assicurare al capitale investito un reddito certamente crescente. L'aspirazione al possesso della terra non era un fatto psicologico, come alcuni credono, ma un elemento di sicurezza o di previdenza, in un tempo in cui non erano stati istituiti assegni familiari, carente o inesistente era in Italia qualsiasi forma di previdenza ed assistenza sociale, per cui un evento dannoso, come un sinistro o una malattia, poteva essere causa della miseria più nera in una famiglia, spesso costretta a privarsi di ogni bene per fronteggiarlo. Guardando al tipo di proprietà e di impresa contadina sviluppatesi in condizioni difficili, molti concludono a favore dell'organizzazione dell'impresa capitalistica, delle grandi aziende cioè nelle quali, attraverso il razionale impiego dei fattori della produzione, con un direttore tecnico ad alto livello, con parco macchine adeguato, seguendo le norme tecniche più moderne, remunerando bene la mano d'opera specializzata, si possa produrre a costi competitivi. E' questo l'orientamento di buona parte della nostra letteratura di questi ultimi tempi, di molta stampa agricola ufficiosa ed ufficiale. Forse tale orientamento non è estraneo ad una certa influenza sull'atteggiamento della Cassa per il Mezzogiorno, la quale ha finanziato la trasformazione fondiaria di una grande azienda agraria di un proprietario che vive a Milano, e quella di una grande azienda del Tavoliere di proprietà di un industriale, con la convinzione che l'impresa capitalistica sia l'azienda dell'avvenire. Ma, da un esame della realtà concreta, in particolare di quella delle zone irrigue, su terre che possono dar vita ad ordinamenti produttivi che richiedono molta mano d'opera anche specializzata, non è difficile pervenire a conclusioni diverse. Non sono poche le grandi proprietà che in siffatti ambienti non si muovono neanche sotto la spinta dell'irrigazione, universalmente riconosciuta come elemento propulsore del rinnovamento agricolo. Lungo le strade dei Tara e dei Rendina, si notano da una parte proprietà contadine che utilizzano l'acqua, dall'altra invece, dove esistono alcune grandi proprietà, finora non è stata richiesta l'acqua. Tuttavia alcuni affermano che in qualche grande azienda irrigua il livello di produttività sia più elevato di quello raggiunto da 29 aziende contadine di limitata estensione. Ma un esame più ponderato porta a convincersi che l'azienda contadina produce a costi più bassi dell'azienda capitalistica. Anche nelle zone del Fortore, dove esiste la proprietà contadina, si nota una maggiore utilizzazione dell'acqua da pozzi, riscontrandosi ovunque poderi con delle macchie verdi, mentre nella grande proprietà persiste la coltura granaria unitamente a qualche ettaro di vigneto a tendone. Analoghi fenomeni si riscontrano in ambienti ad irrigazione casistica, da pozzi. A convincersi di ciò, più di ogni discussione, varrà la constatazione delle realtà irrigue del Sud. Macchine e uomini. 17. - Preme ora osservare che non è neppure esatta l'opinione secondo cui nell'impresa contadina non è possibile l'impiego della macchina. Vediamo il caso della cerealicoltura specializzata. Anch'io, fino all'anno scorso, ho sostenuto che essa fosse dominio esclusivo dell'azienda capitalistica. Tre anni fa, in un Convegno qui a Foggia, suscitando non poche perplessità fra i presenti, affermai che gli agricoltori deil foggiano non avrebbero mai irrigato le terre se avessero dovuto destinare l'acqua alle foraggiere. A distanza di tempo essi non possono non darmi ragione. In quella occasione sostenni anche che un'azienda cerealicola di 100-200 ettari in Sicilia, come in Calabria o in Puglia e anche in Valle Padana, avrebbe potuto realizzare redditi più elevati impiegando la macchina. Ciò resta valido. Ma anche nel settore della cerealicoltura si stanno manifestando fatti nuovi ed importanti. E' infatti possibile noleggiare macchine operatrici ad un prezzo non superiore al costo di esercizio delle stesse macchine che si realizza nell'impresa capitalistica. Inoltre si sta avviando un movimento cooperativistico che proprio attraverso la mietitrebbia e la trattrice pesante sta avendo una affermazione superiore ad ogni previsione, rendendo conveniente la gestione delle macchine. Così nel settore della cerealicoltura, l'impresa contadina è messa in condizione, se non di vantaggio, almeno di parità nei confronti dell'impresa capitalistica. Nel settore poi degli allevamenti di pecore, l'organizzazione di una grande azienda incontra difficoltà nel reperimento dei pastori. I lavoratori si dichiarano disposti anche ad una maggiore fatica, come la zappa, piuttosto che alla custodia del bestiame. L'avversione è spiegabile ove si pensi ai sacrifici che comporta la vita del pastore. Ancora 30 oggi si incontrano pastori che restano sui pascoli 14-15 giorni, per recarsi il 16° giorno in famiglia. Non è raro vedere ovili dotati di un unico vano nel quale si preparano latticini e nello stesso vano in un angolo vi è il letto per il pastore. Ma per quanto ancora si potrà protrarre questa condizione di inferiorità in una società in continuo sviluppo con la crescente diffusione della radio, dei cinema della televisione ed in genere di tutti i conforti? Se oggi a stento si adattano gli anziani e gli analfabeti, con la fuga dei giovani verranno a ridursi sempre di più le forze di lavoro in questo settore. Come si può quindi pensare ad organizzare una impresa capitalistica con grande allevamenti ovini? Se i pastori avranno la proprietà della terra e del gregge ed una abitazione munita di un minimo di comodità, è possibile che ancora per una o due generazioni resteranno pastori conduttori diretti, capaci di mantenere dei greggi numerosi ed utilizzare i pascoli delle zone povere. E' quindi, quello della pastorizia, un altro settore dove l'azienda famigliare trova la sua migliore affermazione. Ciò è confermato anche dai risultati dei bilanci dei poderi di riforma dell'estensione di 70-80 ettari con greggi di 100 capi affidati a contadini di Altamura che vantano un'antica tradizione di allevamento di pecore. Rimane peraltro da considerare il lavoro che, nell'impiego a costi ottimali di tutti i fattori della produzione, costituiva un elemento elastico del costo. Se per l'uva, per il tabacco o per il grano si ricavano un prezzo inferiore al costo o un utile poco remunerativo, si riversava sul lavoro l'alea della produzione, come in genere tutto il peso della cattiva annata. Non essendo ciò oggi possibile, poiché il lavoro è divenuto un elemento rigido del costo di produzione, se si vuole conseguire un'adeguata produttività bisogna cointeressare il lavoro. E' fuori dubbio che nel vigneto un potatore cointeressato presta la sua opera con diligenza maggiore di quella del potatore a salario. Altrettanto può dirsi per altre operazioni, come la lotta contro i parassiti, l'assistenza al bestiame, ecc. Tutte queste considerazioni si confermano nell'opinione che l'azienda contadina a carattere famigliare abbia un avvenire sicuro, giacché si manifesta la più idonea a produrre a costi competitivi. Trattasi naturalmente di organizzarla su basi sviluppando anche in agricoltura un processo di industrializzazione inteso come aumento della quantità di capitali intorno alle singole unità di lavoro. Oltre all'impresa contadina, ha ed avrà vitalità l'impresa media capitalistica la quale ha possibilità di raggiungere il duplice scopo di 31 assicurare ai lavoratori soddisfacenti condizioni civili e di reddito e buoni redditi ai proprietari di terre e di capitali. Anche gli altri due tipi di impresa, cioè quella dilettantistica e quella integrativa, hanno possibilità di conservare la loro vitalità e di realizzare un certo sviluppo. Può destare qualche riserva e qualche commento il fatto che molti poderi dell'O.N.C. non siano diventati proprietà di mezzadri ma di elementi borghesi. Però, l'apporto di risparmi e di entusiasmo da parte di tali gruppi extragicoli può comunque essere considerato un fatto positivo nella fase di sviluppo dell'agricoltura. Ciò tuttavia non deve essere sopravvalutato fino al punto di indurre gli organi dello Stato a concedere contributi di qualsiasi genere. Questa mia affermazione può non incontrare il consenso di molti che sostengono la necessità di premiare coloro che intervengono con nuovi mezzi e nuove iniziative nel l'agricoltura, da qualsiasi ambiente essi provengano. Questa opinione poteva avere una certa validità in altri tempi quando diversa era la posizione del lavoro. Ma, oggi, con le nuove esigenze di redditività del lavoro e del capitale agricolo l'attività imprenditiva di figure extragricole può costituire motivo di turbamento dell'andamento economico generale dell'agricoltura. Queste figure economiche non sono infatti costrette ad organizzare l'impresa agricola sulla base dell'equilibrio fra costi e ricavi, come deve fare chi vive esclusivamente di agricoltura. Manca in esse l'interesse e lo stimolo alla competitività. Perciò, ben vengano in agricoltura uomini di ogni ceto, ma operino con i propri mezzi. I mezzi finanziari della collettività siano invece destinati esclusivamente alle imprese contadine che devono costituire il tessuto connettivo, le strutture portanti dell'agricoltura italiana. Particolare considerazione meritano anche le aziende integrative o part-time, la cui importanza è destinata a crescere, specie se il processo di industrializzazione del Mezzogiorno investirà adeguatamente anche la provincia di Foggia. Poter evitare il sorgere di agglomerati umani intorno ai nuovi centri industriali consentendo condizioni civili di vita in campagna a popolazioni di cui parte dei componenti attivi possano essere impiegati nelle industrie, sarebbe un fatto altamente positivo dal punto di vista sociale ed economico. Si eviterebbero così il completo spopolamento di certe contrade e gli inconvenienti gravi degli accentramenti di popolazione; si avrebbe peraltro il vantaggio di vedere destinate all'agricoltura forze altrimenti inutilizzate nei centri urbani. Tra i problemi principali di tali tipi di imprese, oltre alle abitazioni ed alle infrastrutture, vanno considerati quelli relativi alla raccolta, al collocamento, e all'utilizzazione delle produzioni. 32 Un più largo e razionale impiego dei mezzi tecnici. 18. - Ma la produttività dell'azienda può essere elevata anche con un più largo e razionale impiego di mezzi tecnici. Non ripeterà qui quanto è già noto sull'importanza delle concimazioni, della lotta antiparassitaria, dell'impiego delle sementi elette, ecc.. Ribadisco solo la necessità di una sempre più capillare assistenza tecnica. E' opportuna invece qualche considerazione sulla meccanizzazione. Le operazioni meccaniche che sembravano limitate a determinate colture oggi hanno possibilità di più ampie applicazioni. Gli stessi vigneti a tendone - come è stato rilevato in precedenza - possono abbassare del 50% le spese di lavorazione ed eliminare il 50% della mano d'opera con l'introduzione dei mezzi motorizzati. Anche per l'ulivo, oltre all'aratura, non si tarderà a disporre di mezzi meccanici per la raccolta. Ma la meccanizzazione non va intesa semplicemente come acquisto di trattrici e di macchine operatrici, ma anche nel settore dell'irrigazione (come l'acquisto di motopompe) nonché come realizzazione di impianti per aspersione che possono addirittura ridurre al minimo la mano d'opera per ettaro di coltura. Come è stato rilevato in precedenza, nel periodo 1952-62 si è realizzato un considerevole incremento di macchine. Tenuto conto dell'incremento dei cavalli vapore derivante dall'aumentato numero dei trattori e dall'incremento dei cavalli vapore riferiti ad altre macchine che sono mietitrebbie, motozappe, motocoltivatori, ecc. si rileva che l'aumento complessivo di cavalli vapore nel periodo 1952-62, che è andato a sostituire l'energia animale ed umana, è di CV. 767.821. Supponendo che ogni macchina lavori circa 500 ore effettive all'anno in agricoltura, si rileva che nell'anno si hanno CVh. 83.910.000 circa. Ritenendo ancora che di questi CVh due terzi hanno sostituito lavoro animale ed un terzo lavoro umano, poiché il prof. Candura ritiene che un'ora di lavoro umano equivalga a 5/72 di CVh di macchina, si deduce che le macchine hanno sostituito 194 milioni di ore di operaio e 24.250.000 di giornate lavorative. Nell'ipotesi che un operaio agricolo lavori 250 giornate all'anno, si può calcolare che l'incremento delle macchine ha sostituito il lavoro di 970.000 unità emigrate. Ma è possibile un'altra considerazione: il prof. Candura ha valutato anche il costo dell'unità del CVh fornito dall'uomo in L. 4320, dagli animali in L. 500 e dalle macchine in L. 120. Moltiplicando i cavalli vapore ora forniti dall'uomo ed i cavalli vapore ora forniti dalle macchine 33 che hanno sostituito il lavoro umano, per i prezzi unitari fissati dal prof. Candura, è possibile affermare che con l'introduzione delle macchine si è realizzata una riduzione notevole dei costi di diverse decine di miliardi. Elevare la redditività. 19. - Ma oramai si riconosce da tutti che non basta produrre bene, occorre anche saper acquistare e vendere bene. Con la produttività occorre elevare anche la redditività. L'agricoltura subisce da una parte i costi dei servizi e dei beni strumentali e dall'altra i prezzi dei suoi prodotti nella misura imposta dalle categorie industriali e commerciali. Analoga imposizione subiscono i consumatori dei prodotti agricoli alimentari, i quali pagano tutto l'anno o per tutto il periodo stagionale le uve o i mandarini o le arance allo stesso prezzo, mentre il prezzo dell'uva scende più o meno settimana per settimana o mese per mese, il prezzo degli agrumi subisce oscillazioni continue a seconda di determinati elementi che subentrano nei rapporti tra produttore e commerciante, tra produttore ed industriale trasformatore del prodotto. Questo ci conferma che non sempre il costo di produzione può essere l'elemento su cui agire per rendere conveniente una certa attività agricola. Alle volte il gioco del mercato e specialmente delle figure economiche intermediarie tra produttori e consumatori è tale da attribuire alla produzione un prezzo inferiore al costo minimo. I consumatori invece pagano un prezzo di gran lunga superiore. Recente è il caso delle patate che a Roma costavano ancora 70-80-100 lire, mentre nella zona di Margherita, ad esempio, alla produzione si volevano pagare 5-6-7 lire al chilo, al di sotto cioè della sola spesa per la raccolta. Quelle patate, raccolte e messe invece in frigorifero locale ed immesse gradualmente sul mercato, avrebbero potuto essere forse tranquillamente assorbite ad un prezzo leggermente superiore al costo di produzione. E' quindi evidente che, in presenza di queste strozzature di mercato, un modo efficace per poter mantenere il costo leggermente al di sotto del prezzo è quello di una attiva influenza dei produttori nel processo di formazione del prezzo. Non si può prescindere assolutamente dalla necessità di organizzare da parte dei produttori una difesa dei prezzi. La evoluzione della nostra economia ha determinato una progressiva riduzione dell'area di influenza dei produttori agricoli nella determinazione dei prezzi. Gli agricoltori sono diventati i produttori di materia grezza e l'economia 34 delle regioni agricole è sempre più diventata economia a carattere colonialistico, cioè un'economia di produttori ai quali si chiede la materia prima che altri operatori economici trasformano e distribuiscono ai consumatori attraverso organizzazioni imprenditoriali completamente staccate dall'agricoltura. Per poter assicurare ai redditi agricoli un più elevato incremento, occorre che gli agricoltori partecipino alla fase di formazione dei prezzi dei propri prodotti e non subiscano i prezzi dell'esterno. Tutti abbiamo quotidiana esperienza del forte divario esistente tra prezzi alla produzione e prezzi al consumo. Nel suo passaggio dalla azienda al mercato di consumo, il prezzo del prodotto agricolo, allo stato naturale o trasformato, subisce un incremento del 50-100-200 e più per cento rispetto al prezzo pagato al produttore. Ma tale incremento concorre a remunerare adeguatamente tutte le figure economiche che hanno partecipato al processo trasformativo e distributivo, ad eccezione del produttore agricolo che fornisce la materia prima. Con ciò non si vuole sostenere la necessità di riportare all'imprenditore agricolo il valore finale del prodotto, ma di consentirgli almeno i redditi che si sono assicurati le altre categorie, cioè fare in modo che la categoria agricola che ha prodotta la materia prima ricavi la stessa remunerazione ottenuta da tutte le altre figure economiche ed equilibrare così i redditi di distribuzione. Mi sia consentito dire, anche se la parola può suonare male alle orecchie di qualcuno o dispiacere, che dobbiamo arrivare anche noi a un monopolio dei produttori agricoli. Larga parte della economia italiana è organizzata in imprese che sono in grado di fissare a priori il prezzo di vendita dei loro prodotti. Perché soltanto gli agricoltori devono rimanere in una posizione di inferiorità? E' invece possibile organizzarsi per assicurare ai prodotti agricoli prezzi più remunerativi, considerando anche il fatto che la percentuale delle spese per l'alimentazione, rispetto al reddito delle famiglie, va diminuendo. Qualcuno obietterà che l'organizzazione dei produttori è difficile ad attuarsi, perché essi non sono ancora maturi. E' ovvio che ciò non può realizzarsi da un giorno all'altro; ma questa è la via da battere. Nel frattempo lo Stato dovrebbe svolgere una certa azione di sostegno e difesa dei prezzi in modo tale da non fare subire tracolli eccessivi e danni notevoli a coloro che si dedicano all'attività agricola così come sta facendo, sostenendo in sede di M.E.C. alcuni prezzi per i prodotti italiani tipici. Resta comunque imperiosa la necessità di organizzare i produttori 35 di uva in cantine cooperative, i produttori di olio in oleifici cooperativi, i produttori di latte in caseifici cooperativi. Occorre anche costruire centrali ortofrutticole ed una adeguata catena del freddo. Va quindi studiato e realizzato un programma di sviluppo cooperativo nei suoi diversi e necessari gradi e di dimensioni capaci di consentire ai produttori una disponibilità di prodotti tale da regolare opportunamente l'offerta e concorrere efficacemente alla formazione dei prezzi. Ciò implica naturalmente anche un programma di capitali di investimento e di credito che il settore agricolo non può affrontare e risolvere senza la concreta, larga solidarietà dello Stato. Anzi nelle zone particolarmente depresse, gli impianti di lavorazione e trasformazione dei prodotti vanno realizzati ad iniziativa ed a spesa dello Stato, provvedendo successivamente al loro trasferimento in proprietà delle cooperative. Nel settore della cooperazione l’Ente Riforma ha promosso ed assistito n. 49 cooperative a scopo plurimo e dei servizi collettivi, alle quali hanno aderito n. 6.812 coltivatori diretti di cui 380 non assegnatari. Di esse 22 sono meccanizzate con un parco macchine che comprende anche 71 trattori e 12 mietitrebbie. Nella scorsa annata le suddette cooperative hanno fornito ai soci sementi, concimi ed anticrittogamici per un valore complessivo di circa 210 milioni ed hanno collocato prodotti dei soci per un valore di 430 milioni circa. Inoltre lo stesso Ente ha promosso ed assistito n. 6 cantine cooperative con 2.777 soci, n. 5 oleifici cooperativi con 525 soci. Nel 1963 sono stati lavorati 133 mila q.li di uva e circa 13 mila q.li di olive. Presso l'oleificio di Cerignola sono stati lavorati 5.500 quintali di olive da mensa. Inoltre le cooperative dei servizi collettivi hanno svolto operazioni di credito di esercizio per un totale di 4 miliardi e 58 milioni. Programmazione. 20. - Le linee di sviluppo agricolo in precedenza indicate ed in particolare i problemi di ordine strutturale, le cui soluzioni si rendono indispensabili per la creazione di un nuovo equilibrio economico e sociale nelle campagne, non possono realizzarsi per moto spontaneo o con un processo automatico, ma hanno bisogno di essere inquadrati in un programma organico capace di adeguare gli obiettivi di una politica di sviluppo stabiliti a livello nazionale alle diverse realtà locali. Ciò non significa introduzione nelle campagne dei sistemi collettivistici e dirigistici, mortificatori della libertà e responsabilità delle imprese agricole. 36 Trattasi invece di una serie di misure coordinate dirette a rimuovere ostacoli e a creare condizioni di piena affermazione dello spirito imprenditoriale di tutti i ceti agricoli ed in particolare di quelli che attualmente rivelano maggiore debolezza. Una volta create strutture aziendali idonee a tutte le economie esterne, la programmazione può arrestarsi ai limiti dell'azienda, mentre forme associative di imprenditori agricoli potrebbero costituire strumenti per un coordinamento delle scelte produttive onde impedire un disordinato sviluppo di produzioni e soprattutto di varietà che non rispondono alle esigenze dei mercato. Il discorso sulla necessità o sulle modalità della programmazione meriterebbe un ampio sviluppo, in riferimento anche ai livelli e agli organi che si ritengono qualificati per una formulazione e la sua attuazione. Basti qui accennare all'opportunità che gli organi locali, e in particolare la Provincia, partecipino alla fase preparatoria del programma, predisponendo tutti gli elementi conoscitivi necessari a meglio individuare le risorse e a fornire un quadro aggiornato delle realtà economiche e sociali. Questi elementi potranno indubbiamente giovare alla fissazione degli obiettivi e delle linee della politica di sviluppo. Nel quadro della programmazione globale nazionale può inserirsi un piano di sviluppo agricolo per la Provincia di Foggia, alla elaborazione ed esecuzione del quale, con il competente controllo del Ministero dell'Agricoltura e Foreste e quindi dell'ispettorato Compartimentale e Provinciale, possano dare il loro contributo il Consorzio di Bonifica e l'Ente di Sviluppo. In particolare i compiti del Consorzio di Bonifica dovrebbero essere quelli di : 1 ) rivedere il piano generale alla luce delle nuove esigenze economiche sociali ; 2) impostare su nuove basi l'approvvigionamento idrico prevedendo l'invaso di tutte le acque che vanno attualmente perdute; 3) approntare un primo piano di viabilità tenendo conto della necessità di aprire le strade di fondo valle; 4) programmare una capillare rete di distribuzione di acqua potabile nelle campagne; 5) completare la rete dell'energia elettrica completare i borghi di servizio. L'Ente di Sviluppo dovrebbe: 1) curare il passaggio agevolato della proprietà di quelli che emigrano, e di chi, dedito ad altre attività, considera la terra solo come una fonte di rendita fondiaria, trasferendola nelle mani di quelli che effettivamente la lavorano. Verrà così effettuata una necessaria opera di ricomposizione fondiaria; 2) favorire la formazione di cooperative necessarie per ridurre i costi di produzione (cooperative di servizio per mietitrebbie, per macchine di ogni genere, anti parassitarie, consorzi antigrandine e cooperative creditizie, 37 ecc.), per migliorare la qualità dei prodotti e la loro tipizzazione (cantine sociali, oleifici sociali, conservifici sociali, caseifici sociali, zuccherifici sociali) e per aumentare la competitività commerciale dell'agricoltura (centrali frigorifere e di mercato, ecc.); 3 ) attuare una assistenza tecnica capillare a tutte le aziende nella fase di rinnovamento delle strutture aziendali ed in quella dell'esercizio; 4) organizzare un moderno sistema di esercizio dei credito agrario alle singole aziende ed assistere finanziariamente le organizzazioni cooperative, per consentire ai produttori capacità di resistenza ad eventuali azioni di speculazione e superare i momenti di depressione dei prezzi dei prodotti agricoli; 5) collaborare con istituti già esistenti per favorire le ricerche di mercato e la sperimentazione necessarie per localizzare sempre meglio le colture ed individuare le varietà più idonee a soddisfare le richieste dei mercato stesso, provvedendo ad una vasta azione di informazione fra gli imprenditori agricoli; 6) individuare con la massima aderenza alla realtà le linee naturali secondo le quali si svolge l'esodo rurale ed intervenire per favorire il trasferimento di aliquote di addetti all'agricoltura dalle zone da estensivare verso le zone da intensivare o verso i poli di sviluppo industriale, cercando di creare i presupposti atti a rendere il più agevole possibile il trasferimento delle famiglie ed il loro adattamento nei nuovi ambienti di lavoro. Conclusioni. 21. - Il quadro sommario della realtà e delle prospettive di sviluppo dell'agricoltura di Capitanata che ho tentato di abbozzare con riferimento agli aspetti positivi e negativi, alle innegabili luci ed alle persistenti ombre, va ora completato con un duplice ordine di particolari rilievi che scaturiscono dal l'osservazione attenta dei fenomeni economici e sociali in atto non solo nella provincia dauna. Il primo attiene al fatto che una soluzione integrale ed organica dei problemi economici e sociali dell'agricoltura non è realizzabile nell'ambito dei solo settore agricolo. Sorge quindi la necessità inderogabile di creare nuovi e più razionali equilibri tra agricoltura e altri settori economici, in particolare tra agricoltura ed industria. Il secondo ordine di considerazioni si riferisce alla modalità della mano d'opera. Nel momento in cui si dà luogo ad un dinamico processo di sviluppo economico che non può, ovviamente, investire in eguale misura i sessanta campanili della Capitanata, movimenti settoriali e territoriali delle forze di lavoro sono inevitabili. Essi sono altresì sostanzial38 mente positivi se determinano più giusti equilibri e sociali ed economici e soprattutto se si svolgono lungo le direzioni stabilite non dalla concentrazione capitalistica ma lungo le vie segnate dal potenziamento delle risorse naturali e da forme umane e razionali di attività economiche. Trattasi quindi di studiare ed attuare organici programmi che consentano alle popolazioni di compiere liberamente le proprie scelte professionali, senza condizionare queste al cambio della resistenza. Nel caso della Capitanata ritengo che sussistano notevoli possibilità per recuperare l'attuale stato di sottosviluppo di vaste zone, a condizione che si ponga mano ad una solidale e programmata azione di equilibrato sviluppo economico che consenta anche alle popolazioni daune ulteriori progressi sociali. DECIO SCARDACCIONE Prof. DECIO SCARDACCIONE, presidente dell'Ente Irrigazione di Puglia e Lucania 39 FEDERATI AUTORI EDITORI TIPOGRAFI E LIBRAI MERIDIONALI ENCICLOPEDIA (in 8°, fig.) – Salvatore Calabrese, Agostino Gervasio e gli studi umanistici napoletani nel primo Ottocento. Pref. di Antonio Altamura. Pp. VIII-128, 3 tavv. f.t. L. 1.000. TEMI E TEMPI. "Biografie del Sud" (in 8°, cop. fig.) - Domenico Lamura, Terra salda. Pres. di Raffaele Ciasca, Note e schiarimenti. Pp. 132, cop. e 4 tavv. orig. f.t. di Francesco Galante. L. 700. - 2. M. Brandon Albini, Tommaso Fiore, Alfredo Petrocci, Michele Vocino, « France Observateur », La « Legge » di Vailland, con Due parole dell'editore (Mario Simone). Pp. 80, cop. di Luigi Pellegrino, dis. nel t. di Petrucci e Vocino. L. 500. MISCELLANEA GIURIDICO -ECONOMICA MERIDIONALE - Serie « Dogana e Tavoliere di Puglia » (in 16°, fig.) - Angelo Caruso, La Dohana menae pecudum, o Dogana di Foggia, e il suo Archivio, con Nota bibliografica. Pp. 52, n. 4 tavv. f.t. L. 500. Giuseppe Coniglio, La Dogana di Foggia nel sec. XVII. Documenti ined. dagli archivi spagnuoli. Pp. 148, n. 4 tavv. f.t. L. 1.500. Addolorata Sinisi, I beni dei Gesuiti in Capitanata nei sec. XVIIXVIII e l'origine dei centri abitati di Orta, Ordona, Carapelle, Stornarella e Stornara. Documenti inediti e bibliografia. Pp. 132, n. 8 tavv. f.t. L. 1.500. - Serie « I Maestri » (in 8°, fig.) - Angelo Fraccacreta, Scritti meridionali. Pref. di Mario de Luca (in corso di stampa). QUADERNI DI « RISORGIMENTO MERIDIONALE » (in 8°, cop. fig.) Dimenico Pace, Vincenzo Lanza e la vita universitaria e ospedaliera a Napoli nel primo Ottocento. Presentazione di Raffaele Chiarolanza. Contributo documentario di Alfredo Zazo. Note, bibliografia, indice dei nomi. Pp. 80, tav. f.t. L. 600. - CRISTANZIANO SERRICCHIO, Gian Tommaso Giordani e il liberalismo dauno nel 1820. Note, appendice di documenti ined., indice dei nomi. Pp. 124, tav. f.t. L. 1.000. 3. G. e E. Tedeschi, Ascoli Satriano dal 1799 al 1829. Diario. Avvertenza e notazioni di Mario Simone. Bibliografia e indice dei nomi. Pp. 152, 5 tavv. f.t. L. 1.000. P O E S I A, collana in ricordo di Umberto Fraccacreta (in 8°) - John Gawsoworth, Maggio d'Italia (La Gradogna). Trad. poetica di U. Fraccacreta col testo inglese a f. Pp. 72, 2 ritr. f.t. L. 600. « LA FORTUNATA TERRA DI PUGLIA », biblioteca del turista (in 16°, soprace. fig.) 1. Michele Vocino, Alla scoperta della Daunia con viaggiatori di ogni tempo. Nota bibliografica. Pp. 144, 16 tavv. f.t. ril. L. 1.000. 2. Pasquale Soccio – Tommaso Nardella, Stignano. Pp. 64xIV, 10 tavv. f.t. L. 500. 3. Caruso, V. D'Alterio, G. de Matteis, Aria ed arie di Alberona. Pp. 190, 10 tavv. f.t. L. 1.000. Commissioni a: LAURENZIANA in Napoli (via Tribunali, 316), c.c.p. 6/23302. - Studio Editoriale Dauno in Foggia (Casella Postale) c.c.p. 13/3637. Diploma accademico di Agostino Gervasio ( da: S. Calabrese, « Agostino Gervasio...» ) INGRESSO AL GARGANO Siponto, Manfredonia e lo Sperone dalle cave di tufo di Santa Lucia ( dal Saint-Non, « L’Italie Pittoresque » ) MANFREDONIA La sede municipale nel settecentesco convento di S. Domenico ( Fotografia del rag. Nicola de Feudis ) GARGANO Un secolare colloquio che dura ( Fotografia di Losciale, g.c. dal Liceo « Galilei » di Manfredonia ) Agostino Gervasio e gli studi umanistici dell'Ottocento Uno strano destino sembra pesare talvolta su alcuni studiosi: dimenticatí o addirittura ignorati per lungo periodo di tempo, ridestano all'improvviso un interesse vivissimo, appaiono nella loro giusta luce, vengono - come oggi suol dirsi - ridimensionati e riescono ancora a direi qualcosa d'interessante e di nuovo, offrendo innumerevoli spunti di lavoro e suggestioni e insegnamenti.E’ questo il caso di Agostino Gervasio: per circa un secolo quasi del tutto dimenticato, ora solamente si è cominciato a delineare intorno alla sua figura un certo interesse per merito di un accurato e bene informato lavoro di mons. Salvatore Calabrese (Agostina Gervasio e gli studi umanistici a Napoli nel primo Ottocento, C.E.S.P., Napoli-Foggia-Bari, 1964), e grazie ancora a due letture di carattere bibliografico tenute dal p. Antonio Belluccii all'Accademia Pontaniana nell'aprile 1964 e nel marzo 1965. Nato a San Severo in Capitanata il 19 giugno 1784 da Antonio e da Gaetana Patavino, il Gervasio fu educato nei primi anni dallo stesso padre, che era un bravo medico, e poi nel Seminario Urbano di Napoli. Di là a quattro anni ritornò in patria, dove terminò i suoi studi nuovamente sotto la guida paterna e quella del geologo Matteo Tondi e del matematico Michele Zannotti. Di nuovo a Napoli nel 1802, frequentò la scuola del famoso giurista Nicola Valletta e poi quella di Adamo Santelli, laureandosi in legge. Sentendo però di possedere assai scarse attitudini alla libera professione forense, preferì piuttosto impiegarsi presso il ministero dell'Interno, dove rimase per l’intera sua vita ( il Gervasio mori’ a Napoli il 15 novembre 1863 ), percorrendo tutti i gradi della carriera amministrativa fino a quella di Ufficiale di Dipartimento. Già dai primi anni di residenza a Napoli il Gervasio venne a contatto con i piu’ eminenti rappresentanti dell'alta cultura napoletana del tempo, quali il p. Giovanni Andrés, Giovanni Antonio e Luigi Cassitto, Francesco Daniele, Francesco Maria Avellino, Gian Vincenzo Meola, 41 Camillo Minieri Riccio, ecc. La continua dimestichezza con questi dotti uomini fece sorgere in lui la passione per gli studi letterari e archeologici; inoltre, i suoi doveri di ufficio gli consentivano di venire a contatto anche con studiosi stranieri, e ciò gli fu di grande aiuto per iniziare, con l'apporto di numerosi corrispondenti disseminati in tutta Italia e all'estero, la raccolta di documenti creduti smarriti, di stampe rare e di medaglie e iscrizioni di cui sembrava perduta ogni traccia. Da parte sua, il Gervasio forniva agli amici lontani - più illustri tra tutti il De Rossi e il Mommsen - notizie di scavi, informazioni bibliografiche, trascrizioni di lapidi, proposte di emandamenti testuali, spesso rinunziando alla paternità di una scoperta o di una sua peregrina congettura, sempre lieto di render cosa grata ai suoi compagni di studi, che poi lo ripagavano a loro volta di egual moneta. Sessant'anni di operoso fervore di studi: ma, al tirar delle somme, il Gervasio riuscí appena a pubblicare una quindicina di memorie negli Atti dell'Accademia Pontaniana e di quella Ercolanese, e quasi tutte di carattere archeologico. A tal proposito, è da considerare che il Gervasio, non certo inferiore ai contemporanei Avellino e Minervini e Jannelli e De Jorio, offrì importantissimi contributi agli studi di archeologia campana, segnatamente in tema di iscrizioni napoletane e puteolane (e della sua collaborazione si avvalse frequentemente lo stesso Mommsen per alcuni testi epigrafici del Corpus inscriptionum latinarum); senonché, il Calabrese ha visto giusto quando ha limitato un po' il valore critico di alcune dissertazioni archeologiche del Gervasio, perché, in verità, il nostro erudito era sì un abilissimo raccoglitore di notizie, un acutissimo ricercatore, un uomo capace di fiutare a migliaia di chilometri di distanza i « pezzi » esistenti in qualche lontana biblioteca europea (e le centinaia di lettere con corrispondenti italiani e stranieri sono testimonianza non solo di tale sua abilità, bensì della tenacia con la quale inseguiva e individuava i suoi tesori, dandosi pace solamente quando era riuscito a ottenerne copia), ma si avvaleva di un rudimentale metodo critico, era sempre incerto nelle sue stesse opinioni e si lasciava troppo facilmente suggestionare quando in una disquisizione ricorrevano i grossi nomi dello Henzen, del Rochette, del Garrucci, del Cavedoni, del Borghesi o del Mommsen. A mio avviso, l'opera del Gervasio è stata davvero meritoria nel campo delle ricerche sull'Umanesimo napoletano; ma anche qui l'erudito pugliese ha dimostrato la sua incapacità di pervenire a una sintesi storica di quei cento anni così ricchi di cultura e di poesia, quali furono quelli dal 1442 al 1550 circa. Al pari del profeta Daniele, il Gervasio veniva chiamato vir desideriorum dagli stessi suoi amici: tutto avrebbe voluto leggere, di ogni libro raro avrebbe voluto un esemplare, di ogni antico testo avrebbe desiderato una copia: ma, dopo aver tutto ottenuto a furia di richieste pressanti e di iterate preghiere, dichiarava egli stesso di « esser ritroso a venire in pubblico e a farsi strada fra gli amatori della nostra letteratura ». E le carte si aggiungevano alle carte, gli appunti agli appunti, le copie alle copie; e talvolta arrivava persino a buttar giù il testo di una biografia o di uno studio preliminare all'edizione critica di qualche rara operetta, ma alla fine 42 veniva preso dal panico e, anziché darlo alle stampe, lo conservava, insieme con cento altri tentativi più o meno riusciti o falliti, tra quei suoi brogliacci, che ora costituiscono ben ottantotto volumi manoscritti serbati nella Biblioteca Oratoriana di Napoli. Ovviamente, grandissima parte di quel materiale non è affatto rara né preziosa come forse il buon Gervasio credeva: molte le trascrizioni da incunaboli e cinquentine tuttora esistenti in molte biblioteche italiane; numerose le copie di testi inediti di discutibile autenticità ricevuti da quell'allegro ed infido falsario che fu Gian Vincenzo Meola; del tutto superflue alcune faticose rimasticature delle opere biografiche dell'Ammirato, del Toscano, del Capaccio, del Chioccarelli, del Crasso, di Toppi-Nicodemi, del Tafuri, del Soria, del Napoli,Signorelli. Ma la messe è tale e tanta che chiunque abbia familiarità con i quattro-cinquecentisti meridionali potrà sempre rinvenirvi notizie ignote per altre vie, copie di documenti scomparsi, testi di indiscusso interesse come quelli di Camillo Porzio (per i quali cfr. la recente edizione di E. Pontieri, Napoli, 1958, pp. 386-410) e memorie manoscritte ricche di preziose informazioni bio-bibliografiche, che si rilevarono di somma utilità ad Erasmo Pèrcopo per i suoi studi sul Pontano e sul Cariteo e sul Tansillo, ad Alfredo Parente per la sua edizione laterziana dei drammi e degli altri scritti di Marcantonio Epicuro, e a me stesso che per il passato mi avvalsi di appunti e documenti gervasiani riguardanti il Compatre, il Summonte, Bernardino Oriense, così come più recentemente - negli studi dedicati a Riccardo Filangieri e a Berthold L. Ullman - mi son fatto grato debitore del Gervasio a proposito di Scipione Capece e di quel famoso « codicillo » del testamento del Sannazaro da lui rinvenuto, mediante il quale ho avuto la prova inoppugnabile per poter fissare al 6 agosto 1530 la vera data di morte del poeta napoletano anziché quella tradizionale ma erronea del 24 aprile. Per codesti motivi penso che le ricerche letterarie del Gervasio siano state superiori a quelle di natura archeologica. Per comprendere ed apprezzare l'importanza della sua opera nella storia della cultura napoletana bisogna ricordare in quale dimenticanza fossero caduti già da lunghi anni gli studi sul Quattrocento. La breve stagione dell'Umanesimo napoletano - iniziatasi col Panormita e col Pontano, e poi giunta col Sannazaro al più alto segno di ricchezza espressiva e di perfezione formale - aveva cominciato a declinare fin dalla metà del Cinquecento, allorquando Don Pietro di Toledo, sospettoso sull'ortodossia di Scipione Capece e di altri simpatizzanti dell'Ochino e del Valdés., aveva ordinata la chiusura dell'Accademia Pontaniana. Erano poi venuti i tempi grigi della dominazione spagnuola e di quella austriaca e di quella francese; e la instabilità politica, le continue soppressioni di conventi, le spoliazioni delle più vetuste biblioteche napoletane avevano portato a una quasi totale dispersione di tutto il materiale ancora inedito dei nostri umanisti, che andò poi ad arricchire le biblioteche di Francia, di Spagna, di Austria. Solamente alla fine della prima guerra mondiale fu possibile rivendicare all'Italia alcuni manoscritti trafugati dal convento napoletano di San Giovanni a Carbonara e poi finiti nella Staatsbibliothek di Vienna; 43 ma ancora oggi interi « fondi » della Nazionale di Parigi e delle più importanti biblioteche di Monaco, di Siviglia, di Valencia sono costituiti da preziosissimi manoscritti umanistici rubati a Napoli dai sovrani austro-spagnoli e francesi. Buona parte, però, di codesto materiale, è ritortiato a Napoli da piú di un secolo attraverso le più o meno accurate trascrizioni dei corrispondenti stranieri del Gervasio e costituiscono il nucleo più vitale della monumentale raccolta di documenti da lui lasciati in eredità ai pp. Filippini dell'Oratorio, alla quale hanno già attinto copiosamente alcune generazioni di studiosi, e molti ancora potranno rintracciarvi, sol che sappiano ricercare con cura ed amore, i tesori di dottrina accumulati dall'umile ed operoso erudito di San Severo. ANTONIO ALTAMURA Prof. ANTONIO ALTAMURA, libero docente nell'Università di Napoli, preside di quel Liceo Classico Statale « G. B. Vico ». 44 Come vivono e come parlano sul Gargano Raccolgo qui alcune impressioni che sono andato fermando un tre-quattro anni addietro, durante le inchieste che ho condotto in Puglia e in Lucania per conto dell'Atlante Linguistico Italiano. L'opera, che è in cantiere sin dal 1925, interessa non meno di un migliaio di comuni distribuiti su tutto il territorio nazionale; e per ognuno di questi è stato raccolto un materiale corrispondente al risultato di un interrogatorio di circa una settimana su argomenti di ordine generale, sulla famiglia, sul focolare, sulle usanze, sugli utensili, sulle tradizioni, sulle manifestazioni di vita pubblica, sulle arti e sui mestieri, sull'agricoltura, sull'arte della pesca, su tutto ciò che riguarda le attività e la vita di un centro. Tutte notizie che saranno leggibili diffusamente in una serie considerevole di carte linguistiche. In ognuna di queste carte sarà raffigurata la fortuna che una parola o un oggetto ha avuto da un capo all'altro dell'Italia. Una raccolta di carattere linguistico, ma anche di carattere etnografico e sociale. Le voci e i suoni vanno considerati insieme alle cose e alle usanze e in considerazione dei ceti e delle categorie che costituiscono una società di uomini. E quando si coglie l'indirizzo di una voce o di una corrente fonetica o di un movimento lessicale, si viene a cogliere anche la parabola di un uso, di una tradizione, di un fatto storico. Perché l'Atlante Linguistico Italiano (ora specialmente che la direzione è affidata alla competenza e alla sensibilità del prof. Benvenuto Terracini) vuole essere essenzialmente un'opera storica, o, se piace di piú, un'opera strumentalmente linguistica, ma sostanzialmente storica. A MANFREDONIA Divisa da una lunga strada centrale, che si svolge parallela alla fascia costiera, la cittadina di Manfredonia distribuisce dalla parte di ponente quelli che vivono del retroterra. Due categorie di abitanti che vivono di attività e di abitudini diverse. I contadini e gli agricoltori hanno disposto le loro case sulla strade che li portano a lavorare alle vicine pendici del Gargano, dove i detriti della montagna hanno reso lussureggianti le ampie distese di ulivi, o li portano sulle caratteristiche lande pianeggianti rese deserte 45 dalla malaria che un giorno vi ha infuriato da padrona lasciando dietro di sé la testimonianza di una solitudine che oggi è rotta solo dalla presenza di qualche mandra di bufali che bruca un'erba rada e filiforme. Dove la terra emerge di qualche metro sul livello del mare non vi è che tufo, uno “smalto”, che sembra rimuovere da sé ogni possibilità di una vera e propria vegetazione, e dove si abbassa all'altezza del mare od anche al di sotto (a meno che non vi sia giunta l'idrovora che ridona alla luce del giorno il fondo del pantano) non vi è che acqua stagnante e limacciosa. Un ambiente favorevole alla caccia, alle sortite brevi, alla sosta di una giornata. I casolari costruiti con abbondanza di materiali e senza economia di spazi sono lontani l'uno dall'altro divisi da enormi distanze, divisi dalla comunione con gli uomini, come testimonianze di tentativi sovrumani fatti per superare le avversità del luogo. Tentativi compiuti in tempi lontani anche da ordini religiosi, che poi hanno ceduto abbandonando tesori di scultura e di arte, quali quelli compendiati nell'oasi di San Leonardo, che di tanto in tanto si cerca di abbellire e di popolare sempre senza successo. Gli uomini vi passano come ombre. Dì vivo non vi resta che l'immagine del mandriano, la sagoma di qualche carretto che si staglia sull'ampio ponte del Candelaro sospeso su un mondo che sembra tutta una cosa con la immensità del mare, l'andar trepido di un cacciatore, l'ansimare della macchina o del treno che ti riporta dove a te pare che sia stabilita la vera stanza degli uomini. Un mondo avvolto in un'atmosfera di fuga, di corsa o di scampo. Gente che non vuol sentirsi sola, gente che non riesce a dominare la campagna o che va correndo come dinnanzi a un nemico che ti insegue. Una psicosi di devastazione tramandata dagli antichi sipontini, dai primi manfredoniani superstiti del maremoto e della successiva infestazione malarica, che seppellirono l'antica Siponto fondata dagli Elleni della prima colonizzazione. Corsero al sicuro su di una costiera piú alta, proprio là dove Manfredi stava costruendo quello che poi al Lenormant, lo storico della Magna Grecia, è parso « opera d'ingegnere piú possente e meglio architettata che abbia lasciata il secolo decimo-terzo ». Alla campagna va strappato tutto quello che può offrire, di corsa, senza essere eccessivamente abitata. E cosí, tolti i giorni della maggiore attività, al tempo della semina o del raccolto, la gente di campagna, che poi corrisponde ad una buona metà dell'intera popolazione, vive in città, alimentando la vita dei circoli, delle piazze, dell'interminabile corso centrale, di ogni manifestazione piú propriamente sociale. Ma i marinai (pescatori, pescivendoli e calafati) vivono per conto proprio, tagliati da tutti quanti gli altri. Un grande esercito di uomini valorosi (80 motopescherecci, 170 motobarche, 243 removelici), che si muove di tutte le stagioni per nutrirsi del mare che sentono veramente tutto loro. Le case che abitano sono tante logge che spiano soltanto sul mare. Sulle imbarcazioni che sostano in attesa di prendere il largo, su quelle che si stagliano lontano all'orizzonte, su quelle che tornano cariche di quel pesce, di cui riescono ad imporre e per la qualità e per l'abbondanza un primato non solo nelle Puglie, ma in 46 tutto il Mezzogiorno. Un'attività incessante, che è in rapporto inverso con le possibilità di penetrare nella parte viva della società. I loro stessi circoli li riuniscono solo per il resoconto di un viaggio o per la preparazione di una, partenza; non comunicano con gli altri, e direi fra loro stessi. Divisi in pieno mare per la gettata delle reti, divisi ancora nelle lunghe ore di attesa, si incontrano solo alla levata nel momento culminante di una attività che si ripete sempre uguale con la solennità e la successione dei tempi di un rito. Quelli che non hanno un'imbarcazione, chiusi anche essi ad un conversare libero ed esteso, si avvicendano a tirare gli aloni della sciabica, uniti fra loro soltanto da una stessa corda e dal ritmo di un ' oh! ' lungo e roco che accompagna ogni nuova spinta in avanti; oppure sciolti dalle corde, dove la riva diventa scogliera, si piantano nel mare intenti come rìcercatori di perle ad una pesca minore che sa piú di romanticismo che di lavoro davvero redditizio e produttivo. Un lavoro quest'ultimo che ripetuto dai tempi omerici non si adatta ad organizzarsi e a produrre di piú. Un'ulteriore prova della solitudine che avvolge la gente di mare ed anche una testimonianza della loro fedeltà alle tradizioni, al mestiere, un saggio della loro indifferenza a ciò che interessa piú da vicino le vicende della vita cittadina. Rotti alla parola e al conversar sociale gli agricoltori, chiusi in se stessi e quasi confinati nell'uso di un lessico sempre uguale quelli del mare. Loquaci e ciarlieri gli agricoltori, muti o di brevi cenni i marinai. Etnicamente però (e quindi linguisticamente) gli agricoltori e i marinai sono i veri custodi del patrimonio storico di Manfredonia. Un patrimonio fondamentalmente appulo, come quello di Vieste e di Monte Sant'Angelo. Un fondamento tipicamente orientale, che è in fondo segnato nei suoi tratti piú notevoli dai caratteri fondamentali della civiltà ellenica, dualistica, etnicamente e socialmente, come appare ampiamente dagli studi del compianto professore Raffaele Pettazzoni. O si è dei campi o si è del mare. Non vi è un posto di rilievo per una categoria diversa. Lo stesso artigianato non costituisce una categoria veramente a sé. Vive di riflessi come rifugio di chi è stanco di navigare o di zappare. Un artigianato che completa quella classe cittadino-borghese di negozianti, di municipali e di professionisti, che sono nati essi pure da contadini o da marinai. Nonostante questa comunione di origine, linguisticamente la cittadina è sensibilmente divisa. Una lingua che presenta tanti piani, su cui gli abitanti piú che per ceti vanno raggruppati per generazioni. Molti manfredoniani lasciano la loro terra per trovare delle fortune migliori, ma sono ancor di piú quelli che si ritirano a Manfredonia. La cittadina, dove gli originari continuano a battere la stessa strada degli antenati di epoche incalcolabili, è meta ambita degli abitanti di Monte Sant'Angelo e dei cittadini del capoluogo della Capitanata. I primi, i montanari, che fino ad oggi ascendono ad un numero che corrisponde a non meno di un quinto della intera popolazione manfredoniana, si sono arroccati nel quartiere piú alto della città. Vi hanno trasferito il culto del loro Patrono, al quale hanno dedicato la moderna Chiesa di San Michele, e vivono legatissimi alle loro tra47 dizioni e alla loro lingua. Restii ad accogliere ogni influenza da parte degli ospitanti, compatti premono sulle abitudini e sulla lingua di Manfredonia. Foneticamente e lessicalmente. Ed i Manfredoniani interpellati per lo svolgimento del questionario dell'Atlante Linguistico, quelli che hanno accompagnato il colloquio con le fonti principali, talvolta sono stati divisi nella risposta. Alcuni hanno risposto con l'antica voce manfredoniana, ed altri con la voce venuta dal prestito dei Montanari. I Foggiani poi, che arrivano a Manfredonia per utilizzare la spiaggia locale e quella della nuova Siponto, sono numerosissimi, al punto da dare l'impressione che ormai il golfo, specialmente nella stagione balneare, diventa cosa tutta loro. Influenzano naturalmente anch'essi lo svolgimento della parlata manfredoniana. Per avere un saggio di queste innovazioni basterà mettersi dinnanzi (come è stato fatto dal ricercatore dell'Atlante) quattro fonti, corrispondenti a quattro generazioni diverse: un giovane poco piú che ventenne, un quarantenne, un sessantenne ed un ottantacinquenne. Da una parte vi è il giovane che usa generalmente ll da LL (mullé 'bagnare', u ruzzìlle 'il cerchio', iallícchie 'lo spicchio', ecc.) e gi da DJ (iògge HODJE, ecc.) alla maniera foggiana, o palatilizza la A tonica di sillaba aperta (sciusscé, iaté 'soffiare', iasteié 'castigare', tucché 'toccare', ecc.) alla maniera montanara. Dall'altra parte vi sono le restanti fonti che dal quarantenne in su conservano fedelmente le consonanze delle origini: dd da LL (muddé, ecc.), sc da GJ e simili (felíscene 'fuliggine', desciuno 'digiuno', ci scètta 'si getta', ecc.) ed una a tonica che non ha ancora raggiunto un grado di completa palatilizzazione o di riduzione al moderno e dei giovani. L'informatore della generazione piú giovane ha dimenticato o ha trasformato molte delle parole che poi sono mantenute intatte nella lingua di quelli che stanno oltre la quarantina. Il che vuol dire che i tempi precipitano anche per la lingua di Manfredonia. Ed i vent'anni che dividono il marinaio dell'ultima generazione dalla fonte di mezza età contano molto di piú dei quaranta e cinquant'anni che dividono quest'ultima dal vecchio di ottantacinque anni. A MONTE SANT’ANGELO Un'inchiesta linguistica ha sempre due tempi. Uno preparatorio o di orientamento e l'altro d'impressione o di pratica attuazione, che si svolge con il questionario alla mano alla presenza della fonte o delle fonti prescelte. Con la stessa seguenza di tempi si svolge l'inchiesta di Monte Sant'Angelo. Il paese (piace intenderlo come tale anziché come città o cittadina, per quel non so che di antico, di sano e di composto che vi traspira da tutte le parti) viene raggiunto con una corriera. La quale per il ricercatore è un pò come l'anticamera del centro da studiare. Quando il mezzo arrivando da Foggia viene a sostare a Manfredonia, nel quartiere di Monticchio (il quartiere che i montanari hanno po48 polato nella parte piú alta della città di mare per muovere uniti fra le attività e le abitudini degli altri), i paesani vi ci si trovano gioiosi come a casa propria, liberi dalle costrizioni che un ambiente non abituale impone alla lingua e al cuore. Esplode liberamente la gioia di un affare, di un successo, di un ritrovamento impensato, e spesso si aggiunge una nota di amarezza per un viaggio sfortunato o la vicenda di una pena che riprende a camminare per l'antica strada. Lingua e cuori sciolti che ti danno il quadro sincero di quello che circola nei sentimenti, nella storia, nella cultura, nella lingua di questa gente. Il quadro si va compiendo o meglio incorniciando man mano che avanzi sul rettilineo che corre parallelo alla fascia costiera. Da una parte il mare limitato all'orizzonte dalla chioma compatta dei campi di ulivi, dalla parte del Tavoliere campi quasi brulli dove testimoni di terre infeconde prosperano rigogliosi sconfinati filari di fichidindia, di fronte il baluardo del Gargano su cui svolgentisi per lunga tesa si protendono ben salde la case di Monte Sant'Angelo. Le casette, che lungo la strada vanno diventando piú numerose man mano che ti accosti alla frazione di Macchia, tutte sormontate nell'architrave dalla statuetta del loro Santo, sembrano tante ancone di uno stesso Santuario, che ha poi il suo Sancta Sanctorurn là in alto dove in un antro immenso si apre la caratteristica Basilica dedicata all'Arcangelo San Michele. Una civiltà cristiana che è venuta a distendersi su di un paesaggio e di una storia che sanno tanto di primitivo e direi di 'grotticolo'. Di una civiltà che va apparentata a quella dei 'sassi' o a quella che si è sviluppata nelle cosidette 'grave', nelle caverne, che hanno offerto ed offrono naturalmente, senza l'intervento della mano dell'uomo, il primo rifugio contro le avversità delle intemperie e gli assalti delle fiere. Una civiltà che si è fissata lungo la strada alle pendici della montagna, dove di sotto ai piedi improvvisi ti spuntano foggiati come enormi colonne o come piramidi addolcite nella cuspide terminale i giganteschi fumaiuoli delle case che sono interrate al di sotto del livello stradale. Una gente che dei sassi ha fatto la propria ragion di vita. Nella pietra che ti acceca, là dove è tagliata di fresco, disposti di grado in grado, hanno aperto degli ariosi terrazzì che hanno reso fecondi col terreno portato di lontano perché vi prosperino il grano, il mandorlo, l'ulivo, la vite. Gente attiva, intraprendente, sicura di sé, che ha trasferito sulla montagna le iniziative e la vitalità della gente appula. Le peculiarità di questa stirpe vengono poste in maggiore risalto, quando finalmente, raggiunta l'altezza della montagna, ti fermi ad aprire il colloquio con un gruppo di montanari che vestiti di panni pesanti e strettamente imberrettati d'inverno e d'estate si trattengono volentieri sulla loro piazza centrale quasi in attesa di offrire, con i loro discorsi, con il loro lessico, con la loro inflessione, al primo arrivato la testimonianza vivente delle vicende della loro storia. L'attenzione del ricercatore si ferma su tre fonti. Un funaro quarantunenne che viene utilizzato per un questionario generale; un 49 'tufarolo' in pensione di oltre sessant'anni, che viene utilizzato per un questionario che riguarda le arti e i mestieri; un agricoltore-pastore di ottantatre anni che viene utilizzato per il questionario speciale che riguarda le abitudini e le attività della vita di campagna. Queste le fonti principali. Ma all'inchiesta, per correggere o per meglio illustrare, partecipano ancora altri montanari: un giovane contadino di trentasei anni, molto informato e molto pronto, un professionista di mezza età che ha messo a disposizione la sua raccolta di animali locali (bruchi, coleotteri, serpi, ecc.), un muratore di una sessantina di anni, un contadino-pastore intorno ai sessant'anni, un contadino-boscaiolo di ottant'anni (un analfabeta che poi senza essere mai stato a scuola ha imparato a segnare la sua firma). Un quadro completo dei ceti e delle generazioni, che ha fatto da sottofondo ai tre protagonisti essenziali, che erano incoraggiati dal consenso dei presenti. Mancano le donne, restie ad affrontare il colloquio con un forestiero, e quindi inadatte (almeno per Monte) a dare un'impressione sincera della vita e della lingua del loro paese. Il colloquio si converte in un estenuante interrogatorio che condotto saltuariamente per cinque giorni svolge circa seimila domande. Quante bastano per fare una rassegna completa della fonologia e del lessico di Monte. Le conclusioni che se ne traggono sono quelle della prima impressione. Che qui ci troviamo in un centro tipicamente pugliese, pugliese del tipo barese (non vogliano scandalizzarsene i daunisti ad oltranza). Gli Appuli, che hanno occupato una lingua di terra che comprende buona parte dell'attuale Puglia e tutta la parte orientale della Lucania, si sono assestati a Monte, conservando la schiettezza originaria, alla stessa maniera che oggi ci è data riscontrarla dall'altezza della linea Cerignola-Zapponeta in giú. Si conservano fondamentalmente appule Manfredonia e Vieste, ma qui a Monte non ancora sono arrivati gli influssi del dominio appenninico (o sono arrivati molto attenuati). Per intenderci meglio si vuol dire che è più pugliese Monte che una Foggia, o una San Severo o una Torremaggiore, che pur essendo molto anticamente abitate da popolazioni indubbiamente appule, oggi (e sembrerebbe ormai da parecchio) vanno stabilizzandosi in una nuova fase linguistica. Nel Tavoliere l'elemento appulo si è ridotto alla funzione di un sostrato notevole, ma ormai fossile, su cui viene a stratificarsi l'incessante dilagare degli Appenninici, che, abbandonate le montagne di origine, scendono al piano per trovare delle nuove fonti di lavoro. Ma a Monte (dove la vera ed ultima immigrazione deve rimontare a quella delle origini) il pugliese originario dà segni di grande vitalità. Tutto questo naturalmente per la posizione particolare del paese pressoché isolato e per la sua stessa popolosità. I montanari hanno fatto della loro montagna (tutta un sasso) un loro edificio, a cui non sono disposti a rinunziare. Vi ci si sono arroccati come in una fortezza, e di tanto in tanto ne scendono (non rinunziando quasi mai al diritto di residenza) per estendere la loro attività (come agricoltori, impresari e professionisti) fin dentro le mura della stessa 50 Manfredonia ed anche oltre. Nella provincia di Potenza non vi è centro dove non arrivi un uomo di Avigliano. Nella provincia di Foggia non vi è attività dove non sia arrivata (e con che forza!) la penetrazione di un montanaro. Monte fa la parte del leone in tutto il Gargano, e va modellando sensibilmente costumi e lingua di una stessa Manfredonia, che è molto piú popolata e che pure vanterebbe storia e tradizioni lontane. Un isolamento offensivo, che violenta la unità culturale e linguistica degli altri, rinsaldando la schiettezza originaria delle proprie abitudini e della propria lingua. Comunque una lingua non sarebbe mai vitale, se non avesse un suo svolgimento, un suo fermento, una sua storia. Ed anche la lingua di Monte, per conservativa che possa essere, offre indubbi segni di una certa disgregazione, di un certo movimento, di un qualcosa che va mutando. Basterà esaminare i risultati di un controllo condotto mettendo di fronte alle stesse domande due fonti di età diverse, un quarantenne ed un ottantatreenne. Foneticamente non ci sarà dato annotare delle differenze notevoli. Per l'uno e per l'altro ci si dovrà limitare a segnare delle oscillazioni. La vocale tonica e a volte suona come una e molto aperta e a volte resta invariata. La vocale tonica a sembra a volte pressoché invariata e a volte tendente ad un'e apertissima (un particolare questo che viene a colpire per prima l'orecchio del forestiero che per la parola 'stella' registra 'stalla' e viceversa per la 'stella' annoterà una 'stalla'). I dittonghi tonici a volte sembrano piú ii ed úu e a volte piuttosto degli íe e degli úo. Il che vuol dire che vi sono, delle incertezze e che quindi la lingua è in uno stato di fermento. Vi è una condizione di svolgimento endogeno per cosí dire: anche se poi la distanza che divide le generazioni non sembra almeno da un punto di vista fonetico cosí marcata. Lessicalmente però è da notare che tra le generazioni sta correndo parecchia acqua. La fonetica, solo però per i fatti piú diffusi e meglio radicati, è legata alle nostre predisposizioni fisiche, che sono indubbiamente di natura etnica e quindi molto antiche e molto difficilmente eliminabili. Ma il lessico cammina con maggiore rapidità. Se arrivano notizie di cose nuove, arrivano naturalmente dei fatti linguistici nuovi, delle parole nuove, che vengono accolte nella lingua tante volte con la stessa fonetica di origine, alimentando quell'insieme di oscillazioni che determineranno in parte anche il movimento fonologico. I vocaboli sono un po' come le punte di avanguardia nello svolgimento della lingua. Il controllo (condotto saltuariamente solo per un numero limitato di voci) rivela che le due fonti, appartenenti l'una alla generazione giovane, l'altra alla generazione anziana, pur concordando in un congruo numero di suoni, discordano in un numero piú abbondante di voci. A che cosa attribuire questo passo in avanti? Esclusa la possibilità di un'influenza veramente pesante dall'esterno, bisognerà ripiegare su qualcosa di veramente connaturato con le esigenze di una lingua. Le esigenze di una comunicatività piú estesa, piú raffinata, 51 piú propria, e conseguentemente meno concreta. La culìma, che per la fonte giovane è soltanto una pianta, 'l’attacamani', per la fonte di ottantatre anni fa tutt'uno con lo 'scolatoio per il latte', che egli otteneva tutte le mattine sistemando quest'erba nel fondo dell'imbuto del latte. Lo 'spaventapasseri' che resta tale nella versione della fonte giovane, dalla fonte antica è indicata con gli 'stracci', (i strázze), di cui in genere è composto. Il 'pascolo', che i moderni definiscono con un termine pressoché astratto o impreciso, dagli antichi veniva definito con il parco (u párche) ossia a dire con un'indicazione estremamente concreta. Un aggettivo come 'tiepido' nella fonte giovane è pressoché la stessa cosa (tépede), ma nella fonte antica l'aggettivazione è ottenuta con un'immagine concreta (ácqua de sóle). Un bisogno di concretezza che persiste ancor oggi, e la stessa fonte giovane per indicare quelli «che domandano la parola» per il fidanzamento, alludendo alla realtà della cerimonia tradizionale, dirà che quelli sò venúti nnánze la pórta. A SAN MARCO IN LAMIS La preoccupazione principale che un ricercatore ha quando si accinge ad avviare un'inchiesta linguistica consiste nell'individuazione della fonte adatta a fotografare lo stato della lingua presa in esame. O meglio consiste nella individuazione delle fonti. Perché una sola fonte è generalmente insufficiente. Occorrono tante fonti quanti sono i ceti, quante sono le categorie, quante sono le generazioni. Solo così si ha un quadro veramente completo dello stato dì una lingua, della sua storia, della parabola che la lingua va percorrendo nel giro degli ultimi settanta-ottant'anni. E così arrivando a San Marco in Lamis, si pensa di mobilitare tre fonti: un dodicenne appartenente a famiglia che vive tra la campagna e il paese, utilizzato solo per un saggio della generazione piú giovane; un uomo di mezza età (utilizzato per tutti e quattro i questionari), che dice di essere fondamentalmente fabbro, ma di fatto è vissuto interessandosi di un po' tutte la attività del paese, dei lavori di campagna, della bottega ed anche (e parrebbe moltissimo) del ricamo di chiacchiere che gli uomini di tutte le età si consentono di fare una volta assicuratasi la disponibilità dell'essenziale per tutta un'annata; e da ultimo, per un saggio della generazione piú antica, un muratore di ottant'anni che sembra sazio della sua magra pensione, che forse deve essere molto piú abbondante della paga in natura percepita nei periodi della sua piú fiorente attività (il pagare a contanti è un'invenzione moderna, un privilegio da pensionati: generalmente qui si paga in natura o a credenza, che è poi una forma di pagamento in natura dilazionato). Il paese vive con personaggi di questo tono. La topografia stessa del centro abitato sembra un'ottima alleata per favorire una vita divisa dal progresso frenetico che tutti gli altri paesi vicini stanno realizzando per crearsi un piano di attività che vada oltre i confini della 52 propria terra (e penso a quelli di San Giovanni Rotondo, che vanno attrezzando modernamente alberghi e ospedali al punto da stabilire un primato indiscusso fra tutti gli altri centri del Mezzogiorno, e a quelli stessi di Rignano, della cittadella del Gargano, che sono scesi in pianura per contendere con le attività di una San Severo o di una Foggia). Ma San Marco è restata chiusa nella gola delle sue montagne. Quando vi ci si accede da Foggia, una volta lasciata a destra la massiccia costruzione del convento di San Matteo, la Montecassino del Gargano, si ha l'impressione di precipitare nella cava piú paurosa di tutto il promontorio. Improvvisamente ci si inabissa in uno dei primi grandi canali che venano la compattezza del Gargano. Sul letto di questo canale, un immenso 'decumano' naturale, si assiepano le bianche case di San Marco. Timidamente pendendo dalle pareti della montagna, ancora altre case, ancora tanti terrazzi guardano tutti sulla strada principale, sul corso o sulla piazza, che è il cuore di tutto il paese. La loro vista non va oltre le chiuse dei loro monti. Lontano, al di là di questi, non vi è che l'emigrazione. Chi è intenzionato a distinguersi vive in agguato pronto a scattare il volo lontano per affermarsi come ottimo professionista o come intelligente e laborioso lavoratore. Gli altri, i piú, vivono una vita uniforme, quasi inerte, eternamente la stessa. La campagna medesima in nessun altro posto sembra come qui una cornice, un completamento del paese. Altrove si esce all'aperto per stabilire una comunione di lavoro e di interessi con altri paesi. Qui invece la campagna, quella veramente frequentata, non si estende oltre lo sguardo del paese. Ai campi lontani si preferiscono quelli che consentono di far capo piú frequentemente (anche pìú volte in una stessa giornata) al richiamo del paese, della piazza, sia che si vada al pascolo, o che si vada a tagliar legna o che si vada a cavar le pietre. Magre attività che vengono tutte, come le rimesse dell'emigrante, ad alimentare una vita senza progresso. Sono delle condizioni queste che naturalmente vengono a stabilire una posizione di privilegio per la unità e la conservazione (sempre limitatamente, come si vedrà) della lingua. Non vi sono delle attività ben distinte, non vi sono dei ceti veri e propri. Vi è una lingua che è un po' di tutti e che va colta là dove tutti mirano, nel pieno del paese, là dove sì svolge la vita a cui tutti aspirano, là dove i paesani nella continuità dei loro incontri vanno essi pure modellando suoni e voci. E cosí nessun ambiente meglio di uno dei tanti circoli, che si affacciano sulla piazza numerosi come gli usci di uno stesso cortile, poteva offrire dei soggetti piú idonei a darci testimonianza delle condizioni della parlata del paese. Il colloquio avviato nel circolo degli artigiani non parte da un soggetto prestabilito. I soggetti hanno una qualifica approssimativa, e l'informazione è fornita un po' da tutti. Si tratta di scegliere il piú paziente ed anche il piú disinvolto, e questo soggetto si scopre strada facendo, dopo la distribuzione delle fotografie che ricordano la loro esperienza diretta nell'agricoltura o nei mestieri. Il questionario gene53 rale viene svolto successivamente, quando ormai la fonte ha superato quello stato di disagio che si viene necessariamente a stabilire al primo contatto con un interrogante non abituale. Gli interventi dei presenti ci vanno convincendo che una gamma di oscìllazioni non manca, ma queste sono proprie della stessa fonte principale, sono proprie di tutte le fonti. Non si vede che si possano determinare dei gruppi di parlanti bene individuati e ben distinti nei loro ceti o nelle loro categorie. In fondo il professore di liceo (un giovane valoroso che ha raccolto nel gabinetto di scienze della sua scuola tutta la fauna e tutta la flora del paese) è intervenuto di frequente per illustrare e talvolta per correggere, ma la sua parlata non si distingueva gran che dalla parlata del nostro fabbro. Dei gruppi debbono esserci però quando i parlantì vengono considerati nei piani delle varie generazioni. La prova dì questa varietà per generazione è balzata fuori attraverso un breve controllo, che si è voluto spingere dalla generazione piú giovane (quella del ragazzo dodícenne mai uscito dalla gola dei suoi monti) alla generazione piú antica (a quella del vecchìo ottantenne che ha passato tutta la sua vita stando sempre legato alle consuetudini del suo paese). Foneticamente le oscillazioni piú frequenti delle fonti consultate con maggiore insistenza riguardano la pronunzia della vocale a in posizione tonica e in posìzione di atonìa. La a finale, propria in genere dei femminili ìtaliani, e tante volte anche della terza persona singolare dei verbi, e qualche rara volta di espressioni pronunciate con enfasi (particolari che potrebbero suggerire di esaminare la cosa per stabilire se la vocale debba intendersi come il continuatore dell'A latina o solo come una variante dell'abituale schwa delle regioni centro-meridionali), nelle 17 voci esaminate ricorre 9 volte nella fonte giovanissima, 8 volte nella fonte di mezza età e 12 volte nella fonte antica. Un certo vantaggio a favore dell'ultima fonte, che comunque non è bastevole per definire esattamente la curva del fenomeno. La a protonica di 6 vocì prese in esame è pronunziata come leggermente palatilizzata una sola volta dalla fonte giovanissima, due volte dalla fonte di mezza età e nessuna volta dalla fonte piú antica. Indicazioni di un fenomeno in atto, dì cui però non si riesce ugualmente a stabilire la direzione. La a tonica in sillaba aperta considerata in 7 voci è generalmente palatilizzata dal giovanissimo (due volte debolmente e 5 volte fortemente), è palatilizzata 4 volte dalla generazione di mezzo ed è pronunciata senza essere palatìlizzata dalla generazione antica. Un fatto notevole questo che dovrebbe dire a chiare note che certi turbamenti fonetici sono avvenutì in epoca molto recente e sono naturalmente attribuibili all'azione dei paesi del contermine, del foggiano, del territorio di San Severo, della parlata del tipo montanaro. Tutte parlate che riscono a far sentire il loro peso, non ostante che i sammarchesi siano così gelosi del patrimonio linguistico. Le strade che vengono a morire a San Marco dalla parte di San Severo, dalla parte di Foggia, dalla parte di Rignano, di San Giovanni, di San Nicandro, riportano 54 ogni giorno al centro di origine l'emigrante di un giorno o di un anno, che ha da offrire qualcosa di piú fresco allo svolgimento della lingua materna. Nel controllo lessicale il giovanissimo non ripete la fonte di mezza età per ben 14 volte su 20; quest'ultima fonte poi non ripete la fonte antica solo per una o due volte. Il che vuol dire che il progresso lessicale della lingua è piú sensibile, e che questo progresso risalta con maggiore evidenza negli ultimi tempi. Nel complesso una lingua molto unitaria nei raggruppamenti dei ceti, ma sensibilmente divisa nei raggruppamenti per età. Una lingua che fondamentalmente sembrerebbe del gruppo appenninico-molisano e che è sottoposta agli attacchi di provenienza tipicamente appula. La presenza delle dd da LL (che poi si vanno diradando sempre di piú dinanzi alle voci moderne che entrano a far parte del patrimonio linguistico tante volte con la fonetica che sembrerebbe propria della corrente originaria) fa pensare a quella unità linguistica che dovette pur esservi tra la Puglia, la Lucania (parzialmente), la Calabria, la Sicilia e la Sardegna. Le voci comuni che hanno accompagnato questa antichissima e vasta comunione di popoli non dovrebbero esser poche, ma non ancora ci è dato riconoscerle come veramente sicure. La maggior parte di queste voci debbono essere nascoste, nella toponomastica, nei nomi delle contrade, nei nomi dei fiumi, in qualcosa di legato al veramente primitivo, là dove i simboli restano piú o meno gli stessi, anche quando una lingua tramonta nella sua fisionomia di base. Simboli oscuri, che per essere scientificamente validi debbono risultare presenti almeno in qualche altro punto di questo vasto territorio che sembrerebbe qualificabile come essenzialmente mediterraneo. Un problema che qui naturalmente per la sua serietà si può delibare soltanto ponendolo. D'incomparabile rilievo sono le prove dell'ossatura appeninico-molisana. Ricordiamo fra i fenomeni fonetici: la schiettezza dei suoni vocalici (che comunque, almeno per la a, è sensibilmente intaccata nelle generazioni giovani), gli esiti di DJ, GE e simili generalmente uscenti nella semivocale i; l'attenuazione o la perdita di G, sia iniziale, sia intervocalico e sia componente del nesso GR; l'inserimento di uno schwa nei nessi di L con T, K e simili; la riduzione del nesso MBJ e del consonante NG al suono palatilizzato gni; la palatalizzazione del nesso si. Per il lessico si potrebbero ricordare delle voci come ammuccia 'nascondere', vussà 'spingere', ntasà 'comprimere', annicchià 'nitrire', abburretà 'avvolgere', la cróffela 'la piaga', la puca 'il ramoscello dell'innesto', lu cóffele 'la paglia della pannocchia', lu zencóne 'la scala a piuoli', la tónza 'il ciuffo', li grúgghie 'le rughe', li kózze 'i contadini', la spàra 'il cercine', la lózza 'la chiavarda nella punta del timone', l-acchie 'la bica del frumento', lu manócchie 'il covone di frumento', li listre 'la resta del frumento', li ciavúrre 'i grandi mucchi di fieno sul prato' e tante altre, che stanno tutte a dar testimonianza del fondamento appenninico. Una costruzione solidamente appenninica che viene però minata sempre piú. E pensiamo al 55 caratteristico pronome impersonale ci (es. ci méte, ci pésa, ecc. per dire « si miete, si trebbia » ecc.), alle varianti specciàvete, sbreiàvete 'muovetevi', (la prima tipicamente appenninica, la seconda tipicamente appula), alle voci piú propriamente pugliesi (sarebbe lungo e complesso enumerarle anche in parte). Tutti sintomi di una disgregazione della lingua, anche quando i parlanti chiusi fra i monti sembrerebbero messi al riparo da ogni innovazione. A SAN NICANDRO I paesi di montagna, a meno che non siano frequentati per delle attrattive turistiche, offrono in genere uno spettacolo di pauroso abbandono. Case nella maggior parte disabitate, strade pressoché deserte, solo qualche ombra di una generazione che si va consumando. Ma qui a Sannicandro hai l'impressione di qualcosa di robusto e di veramente vitale. Le case fanno tutt'uno con il fondo roccioso. I muri sono innestati direttamente sulla roccia, che tante volte si solleva dalla strada per accompagnare di qualche metro l'altezza della costruzione. Qua e là dei portali che fanno a gara con quello imponente della Chiesa Madre, una ricchezza di scalinate, di archi e di portici, ariose volte a botte, grandi balconate, superbi architravi, dappertutto un uso abbondante della bella pietra del Gargano. Ti senti con i piedi veramente al sicuro, o che tu sia in casa o che cammini sulle strade che hanno la saldezza della pietra mai rimossa, di un tutto pieno, di un cuniculo aperto in una roccia compatta. Un'impressione di solidità che si completa con la disposizione topografica del paese. Le case sono strette le une alle altre, con gli spioventi piegati tutti nella stessa direzione, ordinate come ambienti di uno stesso edificio. La parte piú antica del paese è quella della 'terravecchia': case basse e robuste solcate da labirintiche stradette che si svolgono attorno al 'Castello' (u kastédde). Dalla parte di mezzogiorno vi è il quartiere del vaddóne, dall'altezza del quale spii l'ultima parte del Tavoliere che si stende fino al mare. Dalla 'terravecchia' e dal vaddóne si scende alla 'terra rossa', al quartiere della Chiesa del Carmine, verso la parte un pò pianeggiante del paese, sulla piazza o sul corso principale, la zona piú frequentata, un passo obbligato per chi abita verso il Convento o verso San Martino, o piú a Nord nel quartiere della 'civetta', o dalla parte del 'boschetto' o dalla parte del Camposanto, dalla parte piú lontana della Stazione, o anche dalla parte dello stesso villaggio Brenna. Una disposizione molto benarticolata, ma unitaria ed adatta a favorire incontri facili e frequenti. Qui non trovi nulla del tipico fatalismo della gente meridionale. Hai dinnanzi una massa di uomini in pieno fermento. Ti restano indelebilmente fissati i tratti di questa gente di campagna che si muove per la via principale compassata e disciplinata come sospesa nei tempi di una lunga marcia. Le donne stesse strette nei larghi fazzolettoni neri rilegati dietro sotto la crocchia dei capelli sembrano esse pure in procinto di metter mano ad un lavoro. Gente compatta che ti spaura 56 se la vedi irrompere inquadrata in una processione o in un corteo. Anticamente erano dei pastori, perché questa era l'unica possibilità di impiego che offriva la loro campagna, che non produceva nient'altro al di fuori dell'erba, dei cespugli e degli olivastri. Una campagna per giunta non loro, possesso del demanio, fino a quando non sono passati all'occupazione arbitraria, alla divisione e finalmente allo sfruttamento razionale dell'olìvastro, che ora hanno ingentilito e reso fecondo di provvidenziali bacche. Una storia che si è svolta negli ultimi cento anni e che è valsa a levare di un piano tutta la loro attività: da pastori a piccoli contadini, a potatori, ad agricoltori. Un'attività che ha miracolosamente accresciuto la popolazione di San Nicandro con gente che è venuta dalla vicina San Marco in Lamis in tal numero che non vi è sannicandrese che non vanti di avere o di avere avuto un antenato sammarchese. Anche senza la testimonianza di questi rapporti di parentela, l'affinità linguistica che intercorre tra i due centri fa pensare a una comunione di vicende molto intensa. Si azzarderebbe l'ipotesi che ci si debba trovare dinnanzi ad un'isola caratteristica del Gargano, che, affermatasi prima tra San Nicandro e San Marco ora si va espandendo fino a Lesina. Questo centro, che in origine era popolato probabilmente da albanesi e poi certamente da pugliesi del tipo foggiano-sanseverese, ora si va modellando secondo la lingua e i costumi sannicandresi. San Marco, San Nicandro, Lesina sono le tappe dell'espansione di una stessa popolazione. Dalla cittadina chiusa nel cuore del Gargano i pastori di origine sono scesi a popolare la terra di San Nicandro. Ed ora San Nicandro riversa su Lesina la irruenza della sua vitalità e della sua popolosità. Gente che si sposa giovane e che figlia abbondantemente, e che oggi disdegna di stabilire rapporti di sangue e di lavoro con chi non sia nato e domiciliato a San Nicandro. Tutte condizioni che dovrebbero favorire la conservazione di questa singolare comunità linguistica. Malgrado queste misure di sicurezza, i giovani vanno parlando una lingua che non è piú quella dei loro padri. A questa conclusione si arriva dando uno sguardo ai risultati del controllo ottenuto mettendo di fronte alle stesse domande un bracciante di 53 anni ed un giovanissimo di 16 anni, appartenente a famiglia di braccianti. Su 31 voci prese in considerazione i due informatori concordano pienamente o all'incirca 19 volte. Ma nelle restanti 12 voci presentano delle differenze sensibili. La fonetica si svolge anch'essa piuttosto rapidamente. Su 27 suoni presi in esame la concordanza piú o meno assoluta si riscontra in un numero di suoni inferiore alla metà, mentre in un numero superiore si riscontrano, specie per quanto riguarda l'uso delle vocali toniche, delle differenze di rilievo. Ma un quadro ancora piú completo della instabilità della parlata ci è offerto dalle incertezze, dalle esitazioni, dalle correzioni ed anche dalle apparenti contraddizioni che si possono raccogliere nelle deposizioni di altre fonti, che pure sono state scelte fra le meglio informate 57 e le meno esposte agli elementi disgregatori. Un bracciante, che non ha fatto neanche il servizio militare, che ha frequentato le scuole elementari del paese e che non è andato mai oltre il tenimento del suo comune, si corregge frequentemente, e altrettanto frequentemente offre delle varianti lessicali e fonetiche. La a di sillaba chiusa oscilla fra un suono schietto ed un suono palatilizzato in genere; ma sono anche molto frequenti le palatilizzazioni deboli e non manca qualche esempio con una palatilizzazione forte. Un'oscillazione analoga si ha per la a delle tronche degli infiniti: generalmente schietta, ma di frequente anche palatilizzata debolmente, ed isolatamente palatilizzata con una maggiore accentuazione. La a finale in genere non è percepita, ma non mancano casi in cui si fa sentire con molta chiarezza. E' addirittura sconcertante l'uso dell'articolo femminile singolare: la fonte oscilla tra la ed a. Una sola volta è stato inteso un la con la consonante molto indebolita (una prova della gradualità dello svolgimento dell'oscillazione, che comunque non basta per farci intendere da che parte stia la forma piú antica). La locuzione del tipo pasqu-i-róse ('Pasqua delle rose', ossia la 'Pentecoste') oscilla con la locuzione del tipo la téle de line, la quale ultima forma dovrebbe essere molto verosimilmente quella di epoca piú recente. Le cose non cambiano quando dal bracciante passiamo al calzolaio di 71 anni. Ha l'arte della parola, e quando ti risponde dà l'impressione di volere dire la sua come la migliore, la parola del vero sannicandrese. Eppure anche nella solennità di questo simpaticissimo uomo rion sarà difficile raccogliere i sintomi di qualcosa che ti fugge dinnanzi, di qualcosa di veramente vivace e mutevole. In un interrogatorio che è durato non meno di quattro ore si corregge per ben 12 volte; la a tonica di sillaba chiusa generalmente è pronunciata schietta, ma risulta anche palatilizzata con una certa frequenza, talvolta anche fortemente. La stessa vocale tonica in sillaba aperta in genere viene pronunciata come una schietta, ma di rado anche leggermente palatilizzata. La a tronca degli infiniti generalmente suona immutata, ma non mancano esempi di a palatilizzata. La vocale finale dei femminili è generalmente percepita come a. Ma non mancano esempi in cui la vocale si dilegua. L'articolo singolare femminile è reso generalmente con la, ma non mancano esempi, anche se pressoché isolati, della forma con a. L'articolo plurale maschile in genere è ottenuto con i, ma si contano pure pochi esempi con li. L'ultima fonte, l'agricoltore, quest'uomo davvero unico che ha una conoscenza ammirevole della sua lingua e che disdegna la terminologia e l'accentuazione degli ultimi tempi, preoccupato quasi di evocare solo ciò che vi è di veramente antico, manifesta egli pure senza volerlo (e forse non lo crederebbe) le sue sintomatiche incertezze. Si corregge egli pure, ma a differenza degli altri possiede un uso costantemente schietto della a tonica ed atona in qualsiasi posizione. Non fa sentire la a delle finali se non in qualche esempio isolato. L'articolo singolare femminile oscilla tra la forma con a e la forma con la, con un leggiero vantaggio per la seconda. Ogni fonte dunque ha una propria storia linguistica, ha delle pro58 prie contraddizioni e riflette lo stato di disagio in cui parlano una lingua che pure sanno di conoscere (e a ragione) in maniera perfetta. Se consideriamo ora nell'insieme alcuni particolari fenomeni nelle tre fonti principali, ci accorgiamo che la parlata presenta dei piani diversi distinti non solo a seconda delle età o delle generazioni (come quando mettiamo il ragazzo sedicenne di fronte all'uomo fatto di 53 anni), ma anche a seconda delle categorie professionali. Vi è la lingua del bracciante, che per quanto possa vivere confinato nel territorio del suo comune, pure corre da una parte all'altra, da un padrone all'altro ed ha dei contatti svariati anche con gente che scende a lavorare da altri centri. Vi è la parlata vivace dell'artigiano che è investito egli pure dalle correnti forestiere, che salgono la scaletta della sua casa assieme alle scarpe da riparare e alla suola da acquistare. Piú conservativo sembrerebbe il piano dell'agricoltore che ha un campo di azione che non varia: un andata e ritorno quotidiano tra la 'masseriola' e la casa del paese. Tre piani linguistici diversi nelle categorie professionali piú importanti, ed un piano linguistico fra i giovani (almeno per quelli del ceto bracciantile). Ci troviamo cosí in una comunità che presenta quattro gruppi di parlanti diversi. Una distinzione bastevole per farci orientare sulla direzione che la parlata nel suo svolgimento va seguendo e sulla storia dei vari fatti fonetici, morfologici e lessicali. Il suono della a tonica, ad esempio, che in tutte le posizioni è generalmente schietto nella pronunzia dell'agricoltore, si tinge di una certa palatilizzazione nella parlata dell'artigiano, si palatilizza piú frequentemente con il bracciante e si palatilizza fortemente con il sedicenne, direbbe a chiare note che certi turbamenti vocalici (e oltre all'a si pensi pure alla serie delle altre vocali turbate che potrebbero indurci a fantasticare su non si sa quali precedenti etnici) vanno messi in relazione con dei fatti storici che sono di epoca molto recente, e piú precisamente con le correnti pugliesi che ti premono da tutte le parti. L'insistenza con cui l'artigiano pronunzia la a finale dei femminili di contro all'abituale schwa dell'agricoltore e la preferenza spiccata che il primo rivela per un articolo femminile singolare in tutto identico alla forma italiana di contro alle oscillazioni del secondo starebbero ad indicarci che anche qui stiamo di fronte a correnti di epoca moderna provenienti non piú dalle parlate del contermine ma dalla stessa lingua letteraria. Dei fatti notevoli questi che dovrebbero servire a farci intendere con quanta facilità si vada svolgendo, almeno per alcuni fenomeni, il cambio della lingua, e con quanta labilità si affaccino quelli che non sono gli elementi veramente costitutivi di una lingua. D'altra parte vi sono degli altri fatti, che, ritornando con la stessa costanza in tutti gli strati, potrebbero avviarci a riconoscere quel fondo non trascurabile di un antico patrimonio comune. Si ricordino per tutti l'inserimento della u in funzione di semivocale dopo il suono k, la particella impersonale ce, le locuzioni del tipo i sfér-u llórg 'lancette dell'orologio', quel bisogno di concretizzare o di sintetizzare le 59 espressioni un po' troppo astratte o letterarie, la inclinazione a portare il colloquio ad un livello di confidenza e di bonarietà. Sono questi caratteri che ci richiamano a quel non so che di saldo che è in tutte le manifestazioni di questa gente, anche se poi vadano trovando ognuno per proprio conto delle vie diverse per una maggiore affermazione delle proprie individualità. A VIESTE La cittadina, qualcosa di veramente molto bello, è sistemata sulla Testa del Gargano, come in capo al mondo. Il che potrebbe indurre a vedere segnato dal faraglione che è detto di pízze múmme un FINIS MUNDI, e quindi si potrebbe essere tentati a correggere la toponomastica tradizionale accertata sulla bocca di tutti i viestani con un indicativo pízze múnne, in cui la voce múnne dovrebbe derivare da un anteriore múnde. E saremmo cosí arrivati ad ottenere qualcosa come il FINIS TERRAE del Capo di Leuca o, se vogliamo andar piú lontano, come il Capo di Finisterra nella Galizia. Un'interpretazione seducente, che ho personalmente carezzato per un po' di tempo, ma che ora respingerei, perché lasciando le cose come stanno (cioè continuando a dire pízze múnne e non pízze múmme), vedo rispettata la tradizione linguistica viestana e vedo che quel benedetto mú-mme potrebbe essere messo in relazione con un onomatopeico del tipo 'mommo' letterario, che poi è presente nella fantasia popolare del Mezzogiorno per indicare bonariamente un qualcosa che non si muove e non serve a nulla. Per l'inchiesta sono state utilizzate tre fonti principali. Un bidello delle scuole elementari, di 38 anni, abitante in uno dei rioni piú antichi (in dialetto ind-a víste), per il questionario generale e per quello riguardante arti e mestieri; un agricoltore quarantenne del quartiere piú moderno (sópe la réna) per quanto riguarda la fauna, la flora ed in genere le occupazioni di campagna; ed un marinaio sessantenne del quartiere che si stende dalla parte del mare (sópe la tórre) per quanto riguarda la nomenelatura dei pesci, le attrezzature e le abitudini della pesca. Una distribuzione per quartieri, pur cercando di tener conto delle professioni e delle età. Qui il mestiere, come in tante altre parti del Mezzogiorno, sa sempre di generico e di suppergiú. Il bidello in fondo è stato marinaio, ed aveva lavorato al 'trabucco' paterno, là dalla parte della spiaggia di San Francesco. Ma questa sua attività di pescatore da terra non lo dispensava dai lavori di campagna; in famiglia oltre il 'trabucco' vi sono un uliveto da coltivare, un carretto da guidare, dei muli da governare. La seconda fonte, l'agricoltore, dopo la sua giornata di lavoro è in paese, e qui con il mare che ti si apre dinnanzi da tutte le parti non puoi sentirti del tutto estraneo alla partenza delle paranze, al loro rientro, allo scarico del pesce, alla contrattazione, alla spedizione lontana. Tutte cose che avvengono nelle due piccole 'secche' (mi servo della loro terminologia) che vengono ad aprirsi fin dentro al paese 60 perché tutti possano essere informati delle vicende che le animano a tutte le ore del giorno e della notte. La fonte più matura, la terza, quella che attualmente parte ogni sera con la sua breve ciurma, in gioventù era agricoltore, e con la stessa disciplina, con lo stesso ritmo ripeteva le sue andate e i suoi ritorni dalla campagna. Senza allontanarsi mai molto. Perché questa è la caratteristica dei Viestani. Non vanno oltre le sette miglia, o che stiano in mare o che stiano in campagna. La campagna (veramente molto bella ed estesa), sempre oltre detta distanza, la vanno abbandonando all'iniziativa di quelli di Mattinata (l'antica frazione di Monte S. A.) che vanno popolando sempre di piú i quaranta chilometri e piú dell'hinterland che si svolge lungo la fascia costiera della Testa del Gargano. I Viestani si ritirano dal mare di fronte all'organizzazione dei Molfettesi (gente che in fatto di pesca sa il fatto suo), che fanno scalo a Vieste per alleggerirsi degli abbondanti carichi di pesce che passati su dei veloci camions vengono indirizzati a Foggia, a Bari, a Napoli, a Roma. I Viestani, un po' per natura e un po' perché sprovvisti di un porto che li incoraggi, assistono tranquillamente al movimento che si svolge sotto i loro occhi. Ma non si impegnano quasi mai in una gara di iniziative. O si impegnano solo per creare il tanto quanto basta per tirare avanti una vita senza scosse, una vita che è fatta solo per sostenersi. Bando dunque ad una vita professionalmente specializzata. Ognuno produca quanto basti per non aver bisogno di altri. Una concezione radicata nelle abitudini che viene a scartare la possibilità di stabilire o di graduare una certa gamma di ceti e di professioni. Non resta che una distinzione topografica, una distinzione per quartieri. Da una parte, dalla parte alta, il borgo, il quartiere antico, che fa capo al castello (u kastídde), con un complesso di rioni, che prendono nome o da una semplice disposizione topografica (mmizz-u fússe, la parte piú bassa e meno panoramica; a d-alte, cioè in alto, dalla parte della Chiesa Madre; ngastídde, proprio là dove sta il castello; u mundaróne, la parte scoscesa che si inerpica verso il castello, il rione piú popolare), o dal ricordo e in parte dalla testimonianza delle antiche mura (índ-a viste, dentro Vieste cioè e non fóre la pórte): delle case ben salde che si inseguono come gradi di un'immensa scala tenute strette alla mole del castello che le sovrasta da archi e da portici che sembrano essere quegli stessi levati al tempo delle incursioni dal mare. Dall'altra parte tagliata decisamente dal quartiere alto, in basso si stende la seconda ala del paese, dove i rioni prendono nome dalla testimonianza di un antico edificio (u kumménte; sópe la tórre; addrete la tórre), oppure da una chiesa (Sandakróce con la t di Santa sonorizzata in d, come è in tutte le parlate centromeridionali), da un albero ormai inesistente (u cilze 'il gelso') da un posto di vendita (la peskaríe), da una depressione molto breve (la funnate) o anche da un'ariosa balconata (la bankíne, con la b iniziale molto rafforzata analogamente con quanto avviene in tutte le parlate del Mezzogiorno): un complesso di case molto uniformi, ma anche molto razionali, che debbono essere state costruite le piú in un periodo di tempo che non 61 dovrebbe andare oltre i due secoli dai borghigiani scesi al piano da fóre la porte o anche da gente affluita dai paesi vicini. Questa condizione di distacco che passa tra le due grandi ali del paese (che doveva significare anche una divisione linguistica sensibile) oggi apparirebbe mutata per la creazione di un nuovo quartiere (sópe la réne), che, svolgendosi lungo la moderna via Fazzini ed il Viale XXIV Maggio (dove si trova tutto ciò che vi può essere di piú vitale per le necessità e i rapporti della comunità: vari circoli, qualche ristorante, qualche locanda, una chiesa molto frequentata, la villetta, i negozi, ecc.), viene ad accostare necessariamente gli abitanti dei due agglomerati piú importanti. Perciò le antiche differenze linguistiche si debbono essere andate man mano appianando. E cosí oggi di veramente distintivo tra i due complessi non vi è che il trattamento dell'a tonica in sillaba aperta con esito generalmente (o quasi) palatilizzante (ossia tendente al suono della e) nei rioni antichi e generalmente (o quasi) schietta nei rioni moderni. Per appurare l'entità di questo e di altri eventuali dati distintivi le tre fonti sono state messe di fronte alle stesse domande. Le fonti hanno confermato l'impressione che era venuta prendendo corpo nel corso dell'interrogatorio: che vi era cioè piú una varietà fonetica che lessicale. Su 21 voci prese in esame la fonte del quartiere piú in alto, il bidello, palatilizza la a tonica di sillaba aperta per 11 volte, ma per 10 volte non offre traccia di palatilizzazione. Le altre due fonti, l'agricoltore e il marinaio, pronunziano la a generalmente schietta. Lessicalmente non si notano delle notevoli differenze (almeno lì per lì). Nella fonte piú giovane, in quella che rappresenterebbe la varietà piú conservativa, si noterebbe una conoscenza sicura della parlata, ma qua e là si notano anche varie incertezze, che naturalmente stanno ad indicare che la parlata è si conservativa, ma è anche violentemente attaccata da nuove correnti culturali. Un grado di notevole conservazione in rapporto alle altre due fonti la stessa fonte lo rivelerebbe nella preferenza che mostra di possedere per le voci e per le immagini che sono piú aderenti alla concretezza e alla realtà. Mi limito ad un solo esempio: al 'santonico', alla medicina indicata per distruggere il mal dei vermi nei bambini. Per l'agricoltore, quello del quartiere piú moderno, e per quelli del suo ceto, la medicina è intesa come u vermefúoche; per la fonte del quartiere che data a uno-due secoli fa, la stessa medicina è intesa come sanduníne; ma per la fonte della varietà piú conservativa la medicina si risolve in un atto concreto, nella indicazione esatta del movimento che si compie per la cura: l'ágghie vecíne u náse. E' come dire: « io non conosco l'astrattezza della medicina, ma so solo che la malattia va curata accostando l'aglio alle narici del naso ». Al di là degli indubbi segni di disgregazione che la parlata offre nel limitatissimo esame fatto sulle fonti provenienti dalla stessa comunità linguistica, vi sono dei fatti che rapportati alle peculiarità delle parlate viciniori mostrano quali sono le forze che si contendono la caratterizzazione in atto della parlata di Vieste. 62 Se Monte S. A. sta a significare il punto estremo dei parlari piú propriamente pugliesi nella parte interna e molto elevata del Gargano, Vieste rappresenta la punta estrema del pugliese vero e proprio sulla fascia costiera dello stesso promontorio. Una caratterizzazione pugliese che è alimentata dai contatti con la stessa Monte, con Mattinata, con Manfredonia, che sono fondamentalmente pugliesi del tipo barese piú che foggiano. Ma da nord premono anche quelli di Vico, quelli di Peschici e quegli stessi di Rodi, che hanno un fondamento che sembra piú molisano-appenninico che pugliese. Anche dalla parte del mare, se è vero che degli incontri frequenti avvengono con gente che viene da Manfredonia e da Molfetta, è pure vero che i Viestani preferiscono alle flottiglie organizzate delle cittadine anzidette gli accoppiamenti con le modeste paranze di Rodi o di Tremiti stessa (che è poi una colonia napoletana in pieno Adriatico che ha non meno di due secoli di vita). Le oscillazioni, che sono svariate e da un punto di vista fonetico e da un punto di vista lessicale, fanno pensare che i fatti che si vanno affievolendo siano quelli di origine pugliese. Del caratteristico inserimento della u in funzione di semivocale subito dopo la iniziale k dei nomi maschili ho registrato solo pochissimi esempi, in cui peraltro la semivocale è molto attenuata. Vedo poco frequente la sonorizzazione della consonante che segue L, R. La caratteristica epitesi delle tronche del tipo barese la ritrovo (e per giunta attenuata) solo isolatamente. Trovo varie testimonianze della caduta delle vocali atone in protonia oltre che delle atone finali: una conseguenza della natura spiccatamente dinamica dell'accentuazione pugliese che poggiando tutta su di una sola vocale viene a sacrificare la tonicità delle altre. Il lessico ci conforta con un'esemplificazione ancora piú indicativa. Di fronte alle tante voci che sembrano apparentabili al pugliese del tipo barese (la sarcetédde, u filatúre, u skúpele, i mmíquele, ecc.), vanno messe tutte le altre che sembrano piú proprie del dominio appenninico-molisano. Concludendo si ha l'impressione che siano vari i sintomi della erosione che su di un corpo fondamentalmente pugliese viene esercitata dall'attacco sistematico di quelli che premono dall'estremo confine della Puglia settentrionale. Un processo che sembra l'inverso di quello che va indicato per la lingua della vicina San Marco in Lamis, l'oasi appenninico-molisana in un territorio investito da tutte le parti dall'espansione del pugliese. MICHELE MELILLO ___________ Prof. MICHELE MELILLO, libero docente di dialettologia nella Università di Roma. Preside del Liceo Scientifico Statale «Galilei» di Manfredonia. 63 NOTA BIBLIOGRAFICA - Per un'informazione sull'ambiente, sulla storia e sui problemi del Gargano troverai sempre molto importanti le impressioni lasciateci dai viaggiatori d'ogni tempo (cfr. per dei saggi il prezioso manuale di Michele VOCINO, Alla scoperta della Daunia, con 8 tavole, Studio Editoriale Dauno, Foggia, 1957, dove per di piú potresti trovare un'ampia elencazione dei contributi piú notevoli). Il libro che comunque non dovrebbe essere trascurato per sensibilizzarsi sul peso che ha la parte umana e sociale in ogni aspetto della vita garganica è quello di Antonio BELTRAMELLI (Il Gargano, con 156 illustrazioni, edito dall'Istituto d'Arti Grafiche di Bergamo nell'ormai lontano 1907). Per un'informazione piú propriamente linguistica ci si dovrà rifare ad uno studio accuratissimo del compianto mio zio Giacomo MELILLO (I dialetti del Gargano, Pisa, Simoncini, 1926), del quale potresti vedere, per intendere con quanto profitto gli usi e i costumi della nostra gente possono essere utilizzati in una ricerca scientifica, un saggio su La pesca nel Lago di Varano in quel di Foggia, con 9 illustrazioni e 2 tavole nella rivista « L'Italia dialettale », vol. I, 1935, pp. 252-266. Inchieste linguistiche sul Gargano sono state condotte da Gerard ROHLFS, limitatamente ai centri di San Giovanni Rotondo e Vico Garganico, e sono state pubblicate nel voluminoso primo Atlante linguistico (Sprach-und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, Halle, 1928 e ss.), il cui materiale, ora che specialmente l'opera è stata seguita da un preziosissimo Index generale, costituisce un primo contributo veramente scientifico alla conoscenza del patrimonio lessicale del Gargano. Successivamente è toccato proprio a me (postremo fra tutti) di riprendere in esame i dialetti di tutti i centri del Gargano per inquadrarli nelle tavole del mio Atlante fonetico pugliese (Roma, 1955). Ed ultimamente vi son dovuto ritornare per conto del secondo Atlante linguistico italiano e per portare a termine una nuova rilevazione linguistica di tutta la Puglia, muovendo non piú dall'analisi di una frase o di una parola, ma dall'esame di un discorso liberamente ed ampiamente espresso. Sono delle opere che stanno per vedere oggi la luce nella loro interezza (speriamo presto), comunque la sostanza di quest'ultime mie ricerche può risultare piú evidente dalla relazione dell'inchiesta a S. Nicandro (pubblicata nel « Bollettino » dell'A.L.I., 1962) e dalla comunicazione fatta circa gli Appenninici ed Appuli nel Gargano al X Congresso internazionale di linguistica e filologia romanza a Strasburgo nel 1962 (ora pubblicata nel III volume degli Atti dello stesso Congresso). Naturalmente non si vorrebbe gettare ombra su studiosi locali quali G. TANCREDI (Vocabolarietto dialettale garganico, 2a ed., Lucera, 1915) o L. PASCALE (Il dialetto manfredoniano ossia dizionario dei vocaboli usati dal popolo di Manfredonia, 2a ed., Roma, Tip. Conti, 1931), che hanno compiuto opera indubbiamente molto meritoria. Ma negli ultimi cinquant'anni anche la dialettologia è diventata una scienza, e di conseguenza la ricerca va affrontata con strumenti e metodi piú aggiornati non solo per la trascrizione (che è la cosa piú appariscente ma la meno sostanziale), ma anche per il metodo di ricerca, per l'uso del questionario, per il settore da indagare, per la parte veramente interessante su di un piano piú propriamente scientifico e storico. Ecco perché, prima di avviare uno studio specifico sulla parlata del Gargano, occorrerà agguerrirsi anche tecnicamente. E per me il primo passo va fatto sempre muovendo dal manuale di Clemente MERLO (Fonologia del dialetto di Sora, Annali Università Toscane, vol. IV, 121-258). 64 La Capitanata negli scritti di Tommaso Fiore TOMMASO FIORE nell'arco di poco più di un decennio, dal 1951 al 1962, ha dato alla luce tre volumi fondamentali per lo studio e la conoscenza della nostra Puglia: Un popolo di formiche, Il cafone all'inferno, Formiconi di Puglia. Se consideriamo che, oltre i tre volumi anzidetti, egli in questo lasso di tempo ha dato alle stampe altri scritti, come I corvi scherzano a Varsavia (Milano, 1954) e consideriamo altresì la sua molteplice e varia attività di studioso, di pubblicista, di uomo politico in una sfera vasta di interessi sociali, economici, politici, letterari, scolastici, sempre attento ai problemi della Puglia e del Mezzogiorno, davanti a tale attestato di vitalità e di fecondità possiamo bene affermare di lui ultrontattenne quanto egli scrive dello scrittore bitontino Giuseppe Caiati: « Pochi sono gli scrittori che, come il Caiati, a tardissima età producono il meglio di loro » (« La Gazzetta del Mezzogiorno » 11/2/1964). Di fronte a numerosi altri contributi precedenti, di sicuro grande pregio, come: La poesia di Virgilio (Bari, 1930) noi non possiamo perentoriamente affermare che i tre volumi costituiscono « il meglio » di Tommaso Fiore. Attendiamo vivamente che Mario Simone pubblichi col Fiore un'interessante Antologia storica della Puglia in tre volumi, mondo antico e medievale ed età moderna, fatta con molta cura. Dal punto di vista che più ci interessa, e cioè da quello meridionalistico e pugliese in particolare, potremmo senz'altro affermare di sì. E comunque questa viva, instancabile e complessa attività sta a dimostrare che per lui non valgono gli schemi biopsicologici che qualificano « età caduca » il decennio che va dal 71° all'80° anno di vita. Possiamo se mai catalogarlo nella « verde senilità» del decennio precedente ed augurarci che possa felicemente pervenire ad summan senectutem in stato di giovanile vivacità, feconda di nuovi pregevoli frutti. Egli che ha provato il morso dell'umana malvagità, attraverso la persecuzione politica e la tragica uccisione del figliuolo Graziano, temprato 65 dalle lotte e dal dolore, sta lucido e vivo sulla breccia, continuando ad agitare la vecchia gloriosa bandiera del riscatto della terra e delle genti di Puglia. Tale riscatto costituisce in sostanza il contenuto e l'oggetto dei tre volumi indicati, che compongono una magnifica trilogia pugliese, per lo stretto legame che vi è tra di essi. Il vivo amore per la sua terra, lo studio attento dei suoi problemi, la diagnosi acuta e spregiudicata dei suoi mali e la viva speranza e il caldo auspicio del riscatto e del rinnovamento sono la nota costante dei tre volumi. « UN POPOLO DI FORMICHE » Nelle sei lettere scritte dal 15 gennaio 1925 all'agosto 1926 a Piero Gobetti prima ed a Giuseppe Gangale poi, che costituiscono il contenuto di Un popolo di formiche, la sua indagine sul fenomeno dell'emigrazione e dell'acclimazione del fascismo nel Sud, specie in Puglia, e sulle cause dello stesso, non potè essere estesa alla Capitanata a causa della repressione che glielo impedì (egli fu fermato a Cagnano Varano) e rimase limitata al Barese ed al Salento. E tuttavia quante analogie fra quelle terre e la nostra, e soprattutto l'amore, la comprensione e la pietà pei contadini, i cui problemi egli sente e studia ed analizza in maniera esemplare. Tale amore e tale simpatia per questi umili discendono in Fiore, oltre che dalla sua stessa umile origine (egli è figlio di un muratore), dalla sua viva passione pel grande poeta contadino latino, per l'autore immortale delle Georgiche, come ebbe a rilevare Gabriele Pepe. E peraltro questo « popolo di formiche », così come egli chiama la gente del paese dei trulli « della murgia più aspra e più sassosa », tutta intenta con paziente e tenace lavoro di formiche « a ridurla a coltivazione, facendo le terrazze », non è lo stesso dei nostri contadini de Il cafone all'inferno, dei quali egli stupito ammira il prodigio di un lavoro immenso, di un'opera paziente, di un popolo di formiche o di schiavi ostinati e il sacrifizio per generazioni di lavoratori? Qui, egli osserva, (siamo nella zona di Mattinata), « salendo verso il bivio, ai due fianchi, su per la gran massa montuosa, aspra per qualche cocuzzolo che se ne stacca d'improvviso per la regolarità di cono, tutti gli aspetti intorno intorno non sono che muri rustici, a secco, saldamente piantati per contenere appena un piccolo lembo di terra; e non dieci muretti, non venti, non cinquanta, ma a centinaia, a migliaia, senza più numero, impensabili, dall'alto, dalla punta estrema giù giù per lo snodarsi dei fianchi e sino alle valli invisibili ». Contadini cacciati dal bisogno scesero già da Monte S. Angelo e con le loro mani « scavarono abitazioni, con le loro mani ritrovarono, ammucchiarono, difesero, lavorarono quel pò di terra, ricolmo d'acqua piovana per sè e pei loro microscopici orti, piantarono ulivi fra pietra e pietra». Fertilizzarono la roccia: ecco il miracolo di queste pazienti ed operose formiche! Il tema contadino è dominante ed assorbente per Tommaso Fiore; ed esso peraltro è il nostro punctum dolens. I contadini, i cafoni sono sempre presenti al suo cuore ed al suo spirito. Il Mezzogiorno, la Puglia: ecco il suo costante pensiero, la sua passione, il suo cruccio. Quale immenso la66 voro da compiere per operare il riscatto di queste nostre terre, la loro redenzione, il loro rinnovamento! Redimere la terra, « il gran sogno umano », il suo sogno, che è il nostro sogno! Ma quanto cammino da compiere perchè i nostri contadini possano assurgere dallo stato di alienazione e di suprema abiezione a dignità di uomo, « non più oggetto di mercato altrui, ma soggetti pensanti, ormai maturi, creatori di una nuova vita ». Siamo a S. Nicandro Garganico, « la gloriosa cittaduzza, la Molinella del Sud, che da mezzo secolo è il segno delle lotte sociali più accese », il luogo donde « si godono i tramonti più luminosi d'Italia ». Ma eccoci a Torrevecchia, « dove tutto è lercio, maiali, cani, bambini ». Egli conta in un locale sotterraneo « dieci persone, più, inchiodati per terra secondo l'uso locale, il porco, poi un asino e le galline ». « Dei 18.000 abitanti ben tremila son chiusi in queste carceri, condizione veramente straziante ». E qui apprende quella che egli chiama l'epopea contadina, « lotte per il pane al posto del parrozzo, lotte per il peso giusto, che all'antica era un quinto di meno, una frode, lotte per introdurre il chinino di stato, lotte per l'abolizione del lavoro notturno, lotte soprattutto per la terra ». Chi potrà mai narrare con precisione e ordine la storia di queste grandi battaglie per la liberazione, per la dignità dell'uomo? E lo rattrista lo spettacolo del calcare nudo, senz'ombra di verde, come una condanna irreparabile della natura. Come sono trattati nelle masserie i lavoratori! Ed ecco il cafone dal suo inferno, nel racconto immaginario di Giovanni Mascolo, si incontra con Satana e gli espone la sua condizione di vita e quegli teme la concorrenza al suo inferno. « IL CAFONE ALL'INFERNO » Storie di altri tempi, storie del passato. Ma oggi il nostro contadino per la disperazione lascia la terra ed emigra al Nord d'Italia o all'estero. Già il Fiore, accennando a questo angoscioso problema, fin d'allora si domandava ne Il cafone all'inferno: « Siamo noi forse retori incartapecoriti della fedeltà alla terra? Non credo. Ma per redimere il Mezzogiorno bisogna restar nel Mezzogiorno, penetrarne l'anima, tradurla in termini che gli altri possano capire. Cosa sarà di questi giovani, una volta emigrati a Torino o a Milano? Ma poi... quando non è possibile vivere in questi luoghi? ». Ecco il grande problema dell'oggi pel nostro Mezzogiorno. Richiamare a noi questi nostri fratelli emigrati, richiamarli alla terra disertata, ma ad una terra redenta dal dispotismo degli uccelli grifoni e che essi possano fare propria. Il « piano nudo » del Tavoliere lo fascia di tristezza e gli stringe il cuore la « dura realtà di cultura estensiva » della terra; e teme il ritorno « dello squallido autunno, quando angosciosamente si allunga la faccia terrea, ripugnante del suolo brullo ». Egli sente fisicamente la sofferenza per la nostra terra povera e deserta, soffre la sofferenza dei cafoni e dei cozzi, dell'umile gente dei campi, e lo rattrista anche lo spettacolo delle « case dei contadini, color sporco e rosa... e intorno a ognuna nient'altro che l'aia vuota, con un unico stollo ». A Foggia, la nostra Foggia, il nostro capoluogo? « Per tante piaghe fa 67 sangue il misero corpo della città e soffre in segreto, come nessuno saprebbe immaginare. Lo spettacolo dei « Granili » e delle « Casermette » è terribilmente raccapricciante e desolante! Infinita miseria e suprema degradazione! Gente «istupidita dalla miseria » allogata in orridi stambugi già destinati a latrina, in una nauseante lordura! Un moto di ripugnanza e di sdegno ti stringe il cuore! Il tragico problema della casa, delle grotte e delle baracche trova riscontro negli orrori dello Zimotermico di S. Severo, già deposito di rifiuti di ogni sorta e poi rifugio di esseri umani ridotti al rango di bruti. Sono una trentina questi canili disposti in due fabbricati, alti non più di un metro, su due fronti, dinanzi e di dietro ». Il Ministro Tupini, venuto per visitare i lavori della falda freatica che minacciava la stabilità di quel centro abitato, rimase esterrefatto davanti alla sconcertante visione. E così al quartiere Hoffmann e così all'ex convento di S. Berardino, altri aspetti « della stessa miseria ». E così anche a Lucera con la sua Stalingrado, « una misera chiesa abbandonata, dove han trovato rifugio nove famiglie ». E che dire dei cavernicoli del Gargano? « Anche l'arcangelo protettore è un cavernicolo ». Dalle buche-case di Montesantangelo (buche scavate nella roccia scoscesa) e dalle baracche e dalle grotte (« ancora grotte, maledette grotte ») passiamo di sopra al vico chiamato del dirupo: sotto ci sono altre grotte, ma chi ha forza di scendere? E Peschici, la « necropoli dissepolta del Vittorini »? « La strada si incassa paurosamente fra la nuda roccia; a mano a mano una serie di miserevoli porticciole su grotte, o l'occhio scuro di locali abbandonati, da cui subito ti afferra una zaffata di escrementi ». Terra delle grotte e delle caverne dunque questa nostra terra, nell'epoca dei grattacieli? In stridente contrasto con tanta miseria e con tanto squallore il Fiore ci fa vedere in una triste sequenza di quadri ritratti con spregiudicato realismo i nostri signori « feroci per tirchieria paesana », che « odiano a morte la politica, specie quella dei ceti medi, pensa un pò quella dei contadini! »; e l'esosa avidità degli « uccelli grifoni » ed il « cerchio di corruttele ». Uno dei maggiori e più urgenti problemi della nostra vita associata è l'estirpazione recisa delle radici nelle quali alligna il malcostume, e la moralizzazione della vita pubbica. DOPO LE « FORMICHE » I « FORMICONI » Racconta il Fiore stesso nella prefazione: « Un giorno che c’era stato un comizio nella capitale dei contadini, Andria, (aveva parlato Peppino Di Vittorio, con quell'umanità che lui solo sentiva), dopo si andò alla Camera del lavoro e lì ridevano i contadini accennando a me: 'E’ quello delle formiche'. E poi additarono l'oratore e gli altri della presidenza: 'Quelli sono i re delle formiche', diceva uno; e un altro soggiunse: 'Sono formiconi'». Ecco spiegato il titolo di questo volume della trilogia. Primo e massimo dei formiconi Pietro Giannone di Ischitella, che il Fiore definisce « vero creatore del Mezzogiorno », e del quale non vi è maggiore elogio di quello del De Sanctis ricordato dal Fiore: « Giannone fu lo storico del mondo civile, come Vico ne fu il filosofo... In tempi di feroci persecuzioni lottò sino al martirio: la persecuzione fece di lui un eroe ». 68 Larga parte fa il Fiore nei suoi Formiconi di Puglia ad uomini e cose della Capitanata, alla quale è quasi completamente dedicato Il cafone all'inferno. E noi gli siamo grati per l'attenzione che egli, di Altamura, presta ai nostri problemi e per l'amore che manifesta per la nostra terra. « Vita e cultura in Puglia dal 1900 al 1945 ». Questo il sottotitolo. E la manchette: « E’ il libro della democrazia pugliese e della opposizione al fascismo ». Anche qui la questione centrale, quella preminente, è la questione contadina. Ed ecco in prima linea Peppino Di Vittorio, il grande bracciante, il « capo-cafone », tutto inteso « a redimere il popolo di formiche », ad affermare la nuova civiltà contadina, il diritto dei contadini alla vita civile; ecco Ruggiero Grieco, « tutto impegnato nella soluzione comunista del problema agrario », e Luigi Allegato, « uomo mite ed onesto », cui tutti volevano bene e che da « magro pastorello » ignorava che cosa fossero il pane e la casa e doveva « ben presto trovar casa nel carcere e saggiarvi un pane amaro; ma poi, in carcere e nell'esilio, avidamente si cibò di quel pane dolcissimo che è il sapere »; e Domenico Fioritto, « uno dei patriarchi del socialismo », « l'animatore delle lotte contadine a Sannicandro Garganico e nella provincia ». Siticulosa la Puglia secondo Orazio; e Matteo Renato Imbriani chiari, nel presentare il progetto dell'Acquedotto pugliese, che era sete « di acqua e di giustizia ». Ma oggi ancora l'acqua l'abbiamo col contagocce e la giustizia, la giustizia piena, è di là da venire. Il Fiore ci presenta una ricca galleria di quadri, di uomini che onorarono ed onorano la nostra terra con le loro opere e che lottarono per il popolo e per la libertà e contro l'oppressione fascista. Il fascismo, si sa, fu una malefica espressione e produzione del Nord d'Italia e trovò poi nel Sud un clima favorevole nella mentalità della borghesia agraria, retrograda e reazionaria. Così noi non fummo esenti da arbitri, da prepotenze e da abusi di ogni sorta. Non mancarono le violenze e le persecuzioni e molti nostri uomini ne furono le vittime, perchè non vollero piegare la schiena all'infausta dittatura. Quella che fu chiamata « la peste nera » purtroppo maculò e afflisse anche le nostre contrade ed anche noi in tante occasioni abbiamo sopportato la visione di certe facce patibolari... Possiamo però segnalare anzitutto il magistrato Mauro Del Giudice che non volle, nel processo Matteotti, piegare alle sollecitazioni, che la sua altissima coscienza ripudiava. Poi dai repubblicani Felice Figliolia, caduto sul Carso, e Mario Simone che con altri costituì l'associazione « M. R. Imbriani » ed il circolo giovanile « Oberdan », e ancora i radiologi Pasquale Tandoia e Giuseppe Muscettola, e infine Ciro Angelillis e Raffaele Perna, studiosi e scrittori di Montesantangelo, Michele Vocino di Peschici, che fece innammorare il Fiore « di quella terra dalle infinite bellezze », il Gargano, e poi lo scienziato Antonio Lo Re e Antonio Salandra. Che dire di Antonio Salandra, l'ultra-conservatore che, come dice Romolo Murri, « dal suo ceto sociale e dalla sua terra pugliese... portava la fierezza rude del proprietario di suolo e del signore rurale », l'uomo del « sacro egoismo », dell'interventismo e della guerra 1915-18, il fautore del fascismo, che fu giocato dal Re e dai fascisti e che solo il 3 gennaio 1925, il giorno della riscossa del regime, dopo le preoccupazioni dell'Aventino 69 e della temuta furia popolare, troppo tardi si accorse che, complice il Sovrano, la nera dittatura stava smantellando ed affossando lo stato costituzionale; l'uomo, che fu poi dimenticato al punto che quasi alla chetichella nel 1931 le sue spoglie mortali furono trasportate nel camposanto della natia Troia. Un senso di cristiana pietà ci indurrebbe a « parcere sepulto », ma per la sua personalità e per le alte funzioni che ebbe come uomo pubblico, la Storia non può che darne un giudizio negativo e severo. Non si possono dimenticare Pasquale Soccio di S. Marco in Lamis e Romolo Caggese di Ascoli Satriano, G. B. Gifuni di Lucera e Mario Simone di Manfredonia, del quale si segnalano pregevoli lavori di storiografia e di carattere bibliografico, e il poeta dialettale di Cerignola Filippo Pugliese « poeta maledetto ». Umberto Fraccacreta nel poemetto Il pane che, fra i suoi, resterà quello di più lungo respiro, canta il lavoro dei campi. Filippo Ungaro, il vecchio pubblicista montanaro, con Il canto della speranza ci fa pervenire una voce poetica garganica. E poi tutta una nuova generazione di studiosi, scrittori, poeti ed artisti che avevano in cuore i postulati del Risorgimento, Matteo Fraccacreta, Gian Tommaso Giordano e Saverio Altamura. Presso l'Istituto tecnico « Giannone » si accese un focolaio di democrazia positivista con Giovanni Carano Donvito e il preside Santoro, il fisico Vincenzo Nigri, l'agronomo e sociologo Lo Re sino al Tria. Il filantropo Rodolfo Santollino animò l'Università popolare, prima che fosse conquistata dal fascismo, a Lucera la cultura laica « pontificava per bocca di uno studioso di Vico, Michele Longo » e ad opera di Gaetano Pitta sorgeva il periodico socialista « Il Foglietto », stampato da Massimo Frattarolo. Angelo Fraccacreta, liberale « autentico e fiero », portò la sua attenzione alla questione sociale. Alfredo Petrucci, poeta e romanziere, « un'autentica gloria della Capitanata », di cui si segnalano due opere: Gli incisori dal sec. XIX, ed il recente volume sulle Cattedrali di Puglia, una grande opera, geniale e destinata a non morire. Egli ha dimostrato che « la scultura nostra si chiamerà d'ora innanzi romanico-pugliese; è nata nè più nè meno sul Gargano ». Fra le iniziative locali vengono segnalate lo « Studio Editoriale Dauno » di Antonio Simone e del figlio Mario, la « Corte d'Assise », diretta dal magistrato Cocurullo e dagli avvocati Lamedica e Mario Simone, la « Biblioteca del Risorgimento, pugliese » che tra gli altri ospìtò il Lucarelli e il Pontieri, l'Istituto per la storia del Risorgimento, « che non potè inaugurare un monumento allo Zuppetta », un'altra grande pura gloria nostra, di Castelnuovo della Daunia « ed una Sezione della Società internazionale di criminologia e antropologia » che fu subito soffocata (oh matta bestialità!) dal Sindacato fascista. Lamedica poi fondò a Roma « Il Mezzogiorno ». Umberto Giordano è « il maggiore di quanti musicisti ha dato la Puglia nel nostro secolo », una delle figure più cospicue e interessanti del teatro lirico contemporaneo. Le tragedie di Umberto Bozzini di Lucera « furono colmate di lodi anche dal maggior critico teatrale del tempo, l'Oliva ». Opportunamente si ricorda la nobile figura - alla quale abbiamo sopra accennato - di Mauro Del Giudice di Rodi Garganico, che, nella Sezione d'accusa nel processo Matteotti, non volle riversare « la colpa del delitto sopra la vittima ». Trasferito a Catania sotto la vigilanza 70 della polizia, fu costretto a ritirarsi in pensione. Anche Vincenzo Tangaro con la moglie riparò a Napoli, essi pure vittime del fascismo. I pregi del volume, come degli altri due volumi della trilogia, sono molti ed evidenti, ed essi sono stati rilevati nelle presentazioni e nelle varie recensioni e da quanti hanno avuto occasioni di occuparsene. Noi porremo l'accento soprattutto sulla grande efficacia delle descrizioni, di un realismo vivo ed impressionante, delle situazioni di estrema miseria, talora abietta e degradante, delle nostre popolazioni, e su talune caratteristiche espressioni dello stile, come « color di carogne uccise », « povere coppole di cafoni », « innocenza culturale », « cicciuto e sanguigno », « guardava allocchita ». Rende con molta efficacia le situazioni di contrasto che gli dettano accenti commossi di pura poesia, come allorchè la visione « fascinosa » del Gargano lo riconforta dopo quella rattristante delle « nostre povere terre, così schive e chiuse ». « Ma laggiù in fondo in fondo, sulla destra, poco prima di Foggia e soprattutto dopo, cos'è che si stende ora come un lungo velario; quasi trasparente, con striature di rosa nell'azzurro? ». Ed ancora: « Ma la desolazione di tutte le altre terre, lo squallore continuo richiamavano per l'assenza di ogni forma di vita; salvo che la mollezza del Gargano, sempre più vicino, e il suo color rosa tentavano di sedurci a non so quale evasione obliosa ». « A destra e a sinistra la monotonia accecante dei campi mietuti dà come una vertigine di stupidità. Sempre più si va in direzione del mare: non dovrebb'essere lontano. Ah! eccoci dinanzi la linea lievemente mossa del Gargano. Ora il grande acrocoro pare si dimembri, si spartisca in zone varie, tutte remote, scoscese, inaccessibili; non altro che macchie e sole, sole e macchie, nessun segno di vita ». Siamo al lago di Varano, il lago malato, terra travagliata che sa l'infinita miseria dei pescatori dalla « vita stracciata », trascorrente « entro misere capanne di fango e di paglia simili a tucul abissini », nella zona delle moffe (dune sabbiose). « A sinistra il Gargano solleva l'aerea illusione del suo teatro azzurro, vuole incantarci lì per non farci vedere il resto. D'un tratto una piccola sorpresa lo arresta: « la casa del guardiano del Consorzio Bonifica ». « Il posto è piccolo, ma delizioso per il nostro vecchio cuore arcade »... « un pergolato sotto i pini »... « canne fogliute e rossi oleandri »... « un gelso con alte viti »... « polli a pigolare, cani a uggiolare, inoffensivi ». Con un rapido lieve tocco ecco una visione rasserenante, una nota lieta, una piccola oasi di pace fra tanto squallore e tanta dolorante miseria! Sempre vibra nella pagine del Fiore la passione viva della sua terra e, di fronte a spettacoli penosi di miseria e di abbandono che egli descrive con insuperata efficacia e con icastica precisione, si arresta sconfortato; e tu senti, manifesta o sottintesa, l'accusa e la condanna di una classe dirigente inetta ed incapace, responsabile di tanta miseria e di tanta bruttura. Case sordide e fatiscenti, muri crollanti, figure lercie e subumane, degradazione suprema, squallore ed abiezione sconfinate! Tutto questo richiama la sua attenzione ed il suo pennello è all'opera per darci squarci descrittivi di grande potenza. La visione dei « Granili » e delle « Casermette » di Foggia, come tutti 71 gli spettacoli di desolazione e di abbandono, gli stringono il cuore nell'amarezza, lo immalinconiscono: « Non posso liberarmi dall'ossessione di questo paesaggio, se prima non vado a fondo, non ne bevo tutto l'amaro... Mai un albero dovunque all'intorno, mai una forma umana ». Ovunque miseria, dolore, abbandono! Sunt lacrimae rerum! Ed egli partecipa, di una partecipazione sofferta, alla miseria, al dolore, all'abbandono. Con i tanti pregi, dei quali ci siamo limitati a segnalare qualcuno, vi è da rilevare qualche lacuna e qualche omissione, avvertite dallo stesso Fiore. Accanto ad Umberto Fraccacreta, « il poeta che aveva cantato la fedeltà alla terra », altro gentile e squisito poeta, pure di S. Severo (natio tuttavia di Casalnuovo Monterotaro) merita di essere annoverato. Parlo di Ernesto Mandes, morto il 27 gennaio 1959, del quale abbiamo un volume di versi Rosai in cui effonde la piena dei suoi sentimenti (« I canti del cuore », « Canti mistici » e « Italici canti ») con una ricca e dolce vena di schietta poesia. Egli appartiene alla scuola del Pascoli, del quale fu alunno diletto. In una lettera a lui diretta in lingua latina l'autore di Myricae gli comunica che nella scuola gli avevano dato il nome di « Ape Matina », « poichè tu, a mo' dell'ape, vai suggendo il timo (della poesia) e sei nato presso il monte Matino » (« ore enim apis thima carpis, ad montem Matinum natus es »). E rinviandolo al carme II del 4° libro dei Carmi di Orazio « tuo conterraneo » (« civis tuus ») che tratta dell'ape matina, conclude: « Spero che tu per questo ci amerai di più. Addio dunque, apetta nostra dolcissima (apicula nostra mellitissima) ed a mio nome saluta tanto il monte Gargano ed i suoi querceti ». Il Mandes, di fede socialista, fu sindaco di S. Severo e fu altresì valente avvocato penalista e lottò in favore della sua terra e della gente povera ed umile. In morte del poeta Umberto Fraccacreta egli cantò: Il poeta non muore: il canto resta di là del gran mistero de la vita: e sfida il tempo, il gelo, la tempesta, la sua perenne, magica fiorita. .. .. .. .. .. .. .. .. .. .. . Tu l'armi pie del pio lavoro umano cantasti; l'armi sole benedette: il Pane, il cibo esangue, sovrumano... e il verso attinse le più alte vette ». E Ai Mani di Domenico Fioritto: Tutta la vita donata al popolo per le battaglie dure, magnanime: pel santo ideale che vuole fugato ogni male. Pel Socialismo... Oh! fede altissima che noi stringemmo nel cuore giovane. Oh! nostra bandiera purissima tra la bufera. » 72 GARGANO Antico rione di Monte S. Angelo ( Fotografia di Losciale, g.c. dal Liceo « Galilei » di Manfredonia ) GARGANO Un altro discorso, ma in musica ( Fotografia di Losciale, g.c. dal Liceo « Galilei » di Manfredonia ) ARTE IN CAPITANATA MAESTRO DI BOVINO: « Martirio di San Pietro » Tela del sec. XIII in « San Pietro » di Bovino ( Fotografia di Mastrolilli, Bari ) ARTE IN CAPITANATA VACCARO: « L’Annunziata e l’Angelo » Tela intorno al sec. XV nella Chiesa dei Cappuccini di Vico Garganico ( Fotografia di Ficarelli, Bari ) E giacchè siamo a parlare di S. Severo, non può essere dimenticato Luigi Schingo, apprezzato pittore, scultore, architetto. A proposito di una rassegna tenuta in Foggia nel 1962 Alfredo Petrucci in una sua presentazione così scrive, fra l'altro: « La squadra, la stecca, il pennello si avvicendano nelle sue mani, pronti al richiamo di un'anima particolarmente sensibile, in cui gli aspetti del mondo e le voci del sogno assumono volta a volta la figura dell'edificio ben costrutto, della statua potentemente modellata, del quadro sfavillante di luci. Il nome di Luigi Schingo si lega al Tavoliere di Puglia ed al Promontorio del Gargano per la preponderanza che tali paesaggi hanno nella sua produzione ». È doveroso aggiungere qualcosa al fugace accenno su Michele Longo il quale, nativo di S. Giovanni Rotondo, rifulse quale insigne giurista e professore di diritto e procedura penale, con pregevoli opere apprezzate anche all'estero. Fu penalista di grido e partecipò a parecchi dei processi più celebri del tempo. Illustre letterato e filosofo, a soli 30 anni pubblicò un pregevole lavoro su Lucrezio - egli ebbe grande passione per la poesia - e successivamente lavori rinomati su Spinoza, Vico e Romagnosi. Fu attivo giornalista e grande conferenziere, e trattò i più svariati argomenti, quali Pessina, S. Tommaso d'Aquino, Cavallotti, La soglia del mistero, Delinquente nato e delinquente passionale, Ofelia, Giulio Cesare Vanini. Va fatta menzione anche dei poeti subappenninici, di Alberona, M. Caruso, G. De Matteis e V. D'Alterio che nel 1963 han pubblicato presso lo « Studio Editoriale Dauno », Aria ed arie di Alberona e celebrati dal Fiore. Per costui, l'abbiamo già rilevato, è assorbente il problema contadino, il problema della terra, che poi è il problema dei cafoni e delle formiche. Ma se esso volesse fare una sommaria escursione verso l'altro problema, quello industriale, che oggi costituisce il nostro problema essenziale e preminente, anche per i suoi riflessi sul problema agrario, non potrebbe non accennare fra l'altro alla difesa ed al potenziamento della Cartiera di Foggia ed alla valorizzazione della Miniera di bauxite di S. Giovanni Rotondo, denunciando l'assurdo del minerale estratto dalle viscere della nostra terra, che viene trasportato con ingenti e con assurde spese e lavorato al Nord, mentre l'installazione in loco di un impianto per la suddetta lavorazione ovvierebbe in gran parte alla disoccupazione e contribuirebbe notevolmente allo sviluppo economico della Provincia. VERSO L'AVVENIRE Chi scrive ha sostenuto una lunga battaglia, parlamentare ed extraparlamentare, per tale scopo, cozzando di fatto contro la pervicace ostilità della Società concessionaria, la « Montecatini », come contro una mostruosa ed invincibile fatalità. Che vale nelle fata dar di cozzo? La recente scoperta di ricchi giacimenti di metano nella Provincia potrebbe fornire l'occasione per spezzare una lancia in favore della sua industrializzazione. Del problema della bauxite, come della industrializzazione in genere dei Mezzogiorno e delle Isole lo scrivente si interessò tra l'altro con vari interventi al Senato della Repubblica, nel 1951 e successivamente, sostenendo, come già tanti altri, che la questione aveva carattere nazionale e spez73 zando fin d'allora, tra i pochissimi sul piano parlamentare, una lancia in favore della nazionalizzazione delle industrie elettriche. Siamo lieti di leggere ne « La Gazzetta del Mezzogiorno » (4 dicembre 1964, Francesco Schino), che anche la rivista « Civiltà degli scambi » di Bari, sostiene che il problema meridionale « è fatto unitario e nazionale non solo per un atto di giustizia riparatrice, ma perchè lo stesso sviluppo del Nord è legato, per ragioni economiche sociali e politiche, al superamento del divario ancora esistente tra le due parti della Nazione ». Il Fiore ha accennato anche agli eccidi di Lucera ed ai moti di S. Severo, indici degli squilibri sociali che affliggono la nostra terra. Su questo piano il discorso sarebbe lungo e assai doloroso. Candela ci ricorda il primo eccidio contadino del secolo, con la scandalosa premiazione del brigadiere Centanni. Ma il primato degli eccidi proletari, che insanguinarono l'Italia nel primo dopoguerra, tocca purtroppo nella nostra Provincia a S. Giovanni Rotondo, ove il 14 ottobre 1920 ben 14 morti ed un centinaio di feriti bagnarono col loro sangue la Piazza dei Martiri, che già era stata teatro nel 1860 di una feroce reazione borbonica, nella quale 24 egregi cittadini caddero vittime. Chiudiamo queste rapide note, rilevando che per il riscatto della nostra terra, ed in genere del Sud, preliminare e decisivo è il rinnovamento sostanziale della classe dirigente, nemica di ogni progresso e talora persino dell'alfabeto. Giovanni Giolitti, nelle Memorie della mia vita, parla di un convegno di grossi proprietari a Caltagirone, il quale propose nientemeno che l'abolizione dell'istruzione elementare, perchè i contadini e i minatori « non potessero, leggendo, assorbire delle idee nuove ». Questa esigenza, già affermata dal Dorso, oggi è conclamata da tutti i meridionalisti, e tra questi, recentemente da Francesco Compagna. Nello stesso solco e nello stesso spirito è Tommaso Fiore. Oggi, nel ventennale dello storico Congresso di Bari, risuonano ancora attuali le parole ivi pronunziate da Guido Dorso: « Noi abbiamo bisogno di una classe dirigente meridionalista, cioè di una classe di meridionali che lotti per l'elevazione del Mezzogiorno e lo sollevi dalla situazione coloniale, in cui è stato finora tenuto. Da anni avevamo chiesto una bandiera intorno alla quale raggrupparci; ebbene ora l'abbiamo, ed è quella del meridionalismo rivoluzionario». Mezzogiorno dunque irredento e irredimibile! esclama con amarezza Tommaso Fiore, giudicando La loi di Vailland, che presenta un quadro pessimistico del Mezzogiorno, in particolare del Gargano, dominato dalla violenza nell'amore e nella vita sociale, come nei secoli passati. Ma il giudice Alessandro insegna alla moglie, donna Lucrezia, che « le présent pourrait étre transformé »; e noi diciamo, deponendo l'amarezza, può e deve essere trasformato, negli uomini e nelle cose, negli spiriti e nelle istituzioni. A quest'opera di necessaria e doverosa trasformazione Tommaso Fiore ha dedicato la sua vita e la sua azione. E noi che già all'inizio del nostro dire abbiamo messo in rilievo la mirabile vivacità e la fecondità giovanile di lui, non possiamo che ripetere con fraterno amore l'augurio che egli felicemente superi la tardiva vecchiaia e giunga fra molti anni alla meta lieto e sereno di una vita inten, samente operosa e bene spesa per il bene dell'umanità. La vittoria già si intravede, ma non bisogna deflettere, non bisogna 74 desistere. La battaglia, la buona, sacrosanta battaglia continua. « Ciò che conta nella vita è la trincea da cui si combatte ». Così scrive Fiore nelle ultime pagine de Il cafone all'inferno. La trincea buona, la trincea valida è quella che ci addita Guido Dorso, quella dalla quale ha combattuto e combatte Tommaso Fiore, e con lui tutti i meridionalisti di buona lega. Avanti dunque, da tale trincea, per colmare « la frattura storica », per realizzare, nell'uguaglianza, la vera unità d'Italia. Oggi ormai tutti rintengono che qualcosa si muove nel Mezzogiorno ed una grande trasformazione è in corso. Uomini di studio ed uomini di Governo sono della stessa opinione, vi sono nuove provvidenze pel Mezzogiorno, prossima è la presentazione della nuova legge sulla Cassa del Mezzogiorno e si parla di rilancio della politica meridionalistica. Il grandioso « Centro Italsider » di Taranto è già in piena operosità e fra le nuove iniziative industriali che dovranno realizzarsi vi è un grande stabilimento per la produzione e lavorazione di gomma sintetica che, secondo ultime notizie giornalistiche, prossimamente sarà costruito a Brindisi dalla Monteshell nelle immediate adiacenze del petrolchimico. Giovanni Russo, un giornalista collaboratore dell'organo magno della borghesia nostrana, « Il Corriere della Sera », nel suo recente lavoro Chi ha più santi in paradiso (Laterza, Bari, 1964), prevede che i contadini « magma secolare di odio e di disperazione », che in Svizzera spregiativamente chiamano « Sioux » o « gli ultimi dei Moicani », « entreranno, come protagonisti, finalmente, nella storia ». E di Foggia, della nostra Foggia, scrive: « A Foggia si può osservare il mutamento della vita sociale ed economica nella più grande pianura d’Italia, dopo quella padana: il Tavoliere. Se diventerà una terra coltivata modernamente, una grande ricchezza sarà data non solo al Mezzogiorno, ma all’Italia ». E poco dopo soggiunge: « Il Tavoliere diventerà la California del Sud ». Con questa speranza e con questa prospettiva noi attendiamo fiduciosi il grande rinnovamento auspicato da secoli. Foggia, 5 dicembre 1964 LUIGI TAMBURRANO __________ Senatore prof. avv. LUIGI TAMBURRANO (S. Giovanni R. 14-1-1894 - Foggia 18-12-1964). Questo scritto conchiuse la giornata laboriosa del suo autore, di cui può considerarsi, senza retorica, il testamento culturale. Quando egli lo abbozzò nella primavera u.s., per destinarlo a « La Capitanata », il cuore di Lui non reggeva 75 più alla fatica di superare razionalmente le contraddizioni del nostro tempo che, pur trovandolo comprensivo, lo amareggiavano. Aggravatosi dopo un ardito intervento chirurgico, sembrò che il vecchio rappresentante popolare del Gargano contendesse gli ultimi giorni alla morte, per dettare la chiusa, che è un viatico di amore ai superstiti. Avvocato dall'anima nuda di ogni orpello, abilitato all'insegnamento della Filosofia nelle scuole medie, L.T. aveva aderito giovanissimo al Socialismo, tanto che nel 1920 - leggiamo nell'Annuarío parlamentare - era eletto sindaco del suo Comune, trovandosi in carcere per i fatti locali del 14 ottobre di quell'anno. Partecipò con coraggio alla guerra 1915-18, raggiungendo il grado di capitano, dal quale fu rimosso, per la sua convinzione repubblicana. Nel 1943, ritornato alla Scuola da cui era stato dimesso per quel medesimo motivo politico, concorse a riorganizzare in provincia il P.S.I., che volle affidargli importanti incarichi. Fece parte della Amministrazione provinciale democratica, presieduta dal sen. Allegato, assolvendo le funzioni di vice presidente; senatore,nel primo Parlamento repubblicano per il Collegio di Foggia (voti 32.848 di preferenza), fu componente della Il Commissione « Giustizia e autorizzazioni a procedere ». Tra i suoi numerosi interventi, ricordevoli quelli: per la industrializzazione del Mezzogiorno e delle Isole; per la riorganizzazione della Cartiera di Foggia appartenente al Polígrafico dello Stato; per la lavorazione in loco della bauxite garganica; per la riparazione dei danni causati dal maltempo; per la ricostruzione edilizia di Foggia; per i rimedi della disoccupazione; per la valorizzazione turistica del Gargano. Doveva toccare proprio a Tommaso Fiore di commemorare a Foggia il suo sodale nel Palazzetto della Cultura e dell'Arte. Sgorgò dalla sua rievocazione quella profonda simpatia umana che, insieme con la tematica socialistica, aveva promosso e tenuta viva la loro collaborazione. Il ricordo del Fiore rivela lo stato d'animo del Nostro, mentre elaborava le pagine, che dovevano significare il primo e più significante sdebitamento della Capitanata, verso il padre vivente dell'ultimo meridionalismo. « Ho avuto la fortuna in questi ultimi anni di trovarmi in corrispondenza con l'amíco Luigi, e io ero lieto di dettare lunghe epistole rivolte a un uomo come lui, semplice e probo. Ora i suoi figli dicono che con questi scritti gli prolungavo la vita, suscitavo in lui nuovi interessi ed egli finiva con l'immergersi di nuovo nel mondo delle idee, dimenticandosi di tutte le avversità... Di rado accennava alle sue sofferenze fisiche, di sfuggita, senza fermarsi su. Si sforzava, anzi, di minimizzarle, di negarle addirittura. Il discorso del mio eccezíonale corrispondente era, come nel meglio della sua giovinezza, pieno di pathos... ». « La Capitanata », nella commozione procuratale dal compito triste e onorifico di presentare un cotal documento, associata nel grave lutto che ha colpito la Cultura e la Puglia, si fa interprete della Cittadinanza dauna, ringraziando gli Eredi del compianto Senatore, i quali hanno destinato gran parte dei suoi libri alla Biblioteca provinciale di Foggia. 76 Profilo economico di Manfredonia IL PAESAGGIO Il viaggiatore che viene da Foggia lungo la statale 89, dopo aver superato la balza di Monte Aquilone e la badia di S. Leonardo, a una svolta della strada, vede in lontananza, tra il grigio violaceo del Gargano e l'azzurro del mare, una macchia bianca circondata da una fascia verde scuro che si allunga verso sud lungo la costa. E' questa l'immagine che offre Manfredonia, una delle più importanti città della Capitanata, che si adagia alle pendici della montagna in un paesaggio che assume caratteristiche diverse a seconda della natura del terreno. Infatti a nord dell'abitato si erge il Gargano con formazioni calcaree nude affioranti in più punti, con pascoli molto magri e discreti uliveti che vanno però diradandosi procedendo verso ovest. E' questa la zona più povera dell'intero territorio; mancano nuclei abitati ad eccezione della frazione « Montagna » che ricade però interamente sul Gargano. Abbondano invece i tratturi demaniali che costituiscono i segni dell'antica attività armentizia molto fiorente nel passato, quando cioè l'intero Tavoliere era tenuto a pascolo e costituiva un complemento dell'economia agricola dell'Appennino. Tale zona continua con caratteri piú o meno accentuati fino all'incidenza del torrente Candelaro con la strada statale, ed è delimitata a sud dalla ferrovia Manfredonia-Foggia. A valle della ferrovia si estende immensa la pianura, solcata dai torrenti Candelaro, Cervaro e Carapelle, che la rendono paludosa lungo una fascia immediatamente vicina alla costa. E' questa la parte dove viene maggiormente praticata l'agricoltura, e in essa ricadono le altre due frazioni: Mezzanone a ovest, quasi a costituire un'isola nell'agro di Foggia, e Zapponeta a sud, sulla costa. La zona è solcata da una fitta rete stradale, in pessimo stato di viabilità, che collega le numerose case coloniche sorte in seguito all'attuazione della riforma agraria. Accanto a queste costruzioni recenti che vanno raggruppandosi intorno ai centri di Fonterosa e di Beccarini, di tanto in tanto si incontrano nuclei di case decrepite, in stato di progressivo abbandono: sono le tradizionali masserie che fino a decenni addietro ospitavano eserciti di braccianti nel periodo della semina e della mietitura del grano. 77 Lungo la costa, bassa e sabbiosa fino alle porte della città, si rinvengono numerosi 'sciali' sedi di un'attività agricola molto arretrata con allevamenti di bufali e ovini che sfruttano i pascoli dei terreni paludosi e sotto colmata. A settentrione della foce del Candelaro, in un triangolo che ha per lati la costa, la ferrovia e la strada delle Saline, si estendono le ex paludi sipontine avviate a bonifica sin dai primi dell'800 dal governo francese (Murat) e sedi di una fitta vegetazione. Qui, alle spalle dell'antica Basilica di Siponto, sorge l'importante centro balneare di Siponto che, distante da Manfredonia 2 chilometri, va collegandosi a questa lungo la costa con numerosi villini. LA CITTA' La città è dotata di una discreta rete stradale che la collega con i piú importanti centri del Tavoliere (Foggia, Cerignola, Margherita di Savoia e quindi tutte le città della costa barese) e del Gargano (S. Giovanni Rotondo, Monte S. Angelo, Vieste). Altra importante via di comunicazione, una volta molto attiva per i commerci che realizzava con l'altra sponda adriatica, è il porto che, con i suoi 4 km. di banchina e la sua attrezzatura, è uno dei più importanti esistenti sull’intera costa pugliese. Il centro abitato si snoda lungo la « Garganica » su una superficie di circa 3 kmq., piú in lunghezza che in larghezza, con strade diritte e funzionali specie nella parte più antica dell'abitato, con costruzioni solide e modeste, ora soffocate dai moderni mostri di cemento armato. Importanti sono i monumenti storici (Castello Svevo-AngioinoAragonese, Palazzo San Domenico, le Chiese di S. Maria di Siponto e di S. Leonardo); notevoli anche i rinvenimenti archeologici che portano alla luce i segni di antichissime civiltà. LA POPOLAZIONE La popolazione (41.101 abitanti) piú che raddoppiata in circa 30 anni (nel 1934 si contavano 17.827 abitanti), solo in minima parte è rappresentata da gente originaria; in maggioranza essa è costituita da cittadini dei comuni limitrofi (specie di Monte S. Angelo) che si sono stabiliti al piano a causa della mitezza del clima e della piú fervida attività economica. Infatti si calcola che dal 1934 siano immigrati nel comune oltre 14.000 cittadini, mentre nel medesimo periodo si sono avute emigrazioni per circa 12.000 unità, rappresentate in massima parte da originari emigrati nell'Italia centrosettentrionale e in questi anni anche all'estero. Nella Tav. I sono raffrontati i dati relativi alla popolazione residente distinta per classi di età,rilevata nei due censimenti del 1951 e del 1961. Dal loro esame risulta che nel decennio 1951-1961 la popolazione fino a 25 anni è scesa dal 57,40% àl. 53,85%, mentre quella oltre i 25 78 anni è salita dal 42,60% al 46,15%. Ciò è dovuto piú che a una contrazione del tasso di natalità e di sopravvivenza (che sono alti, essendo rispettivamente il 33% i nati morti e il 50% i morti entro il primo anno di vita), al fatto che nel decennio, in seguito alla abrogazione della legge contro l'urbanesimo, è aumentato il flusso delle immigrazioni specie negli anni dal 52 al 56, prima cioè che gli stessi 'rnontanari' prendessero direttamente la via dell'estero. L'ISTRUZIONE L'istruzione si è molto sviluppata in questi ultimi anni. Infatti accanto a tre circoli didattici (due cittadini e uno rurale) esistono due Scuole Medie, un Liceo Ginnasio e un Istituto Magistrale legalmente riconosciuti, un Liceo Scientifico, un Istituto Magistrale, due Istituti Tecnici, uno commerciale e l'altro nautico, un Istituto di avviamento professionale a indirizzo marinaro. I dati rilevati nel censimento della popolazione del 1961, che si riportano nella Tav. II, raffrontati a quelli del 1951, sono vicini a quelli provinciali e dicono che molto cammino occorre ancora fare per ridurre ulteriormente la percentuale degli analfabeti che si aggira sul 17% della popolazione. E' pur vero che dal 1951 tale percentuale è passata dal 24,42 al 16,95%, ma la situazione resta pur sempre grave per una cittadina come Manfredonia le cui condizioni di vita non sono certamente quelle della Lucania o della Calabria che detengono il triste primato della piú alta percentuale degli analfabeti (rispettivamente il 20,1 e il 21,45% degli abitanti). Se si potesse disporre dei dati relativi all'età degli analfabeti e degli sprovvisti di titolo di studio (qualificati alfabeti nel prospetto), risulterebbe senz'altro che buona parte dei cittadini in tale condizione sono i piú anziani. Ciò non toglie però che sono molti i giovanissimi che, conseguita la licenza elementare, vengono utilizzati nell'attività edilizia e quindi destinati ad ingrossare il flusso di ritorno all'analfabetismo. I SETTORI DI ATTIVITA' I settori di attività, il numero delle imprese e quello degli addetti, risultano dalle Tavole III e IV in cui sono raffrontati i dati rilevati nei due censimenti del 1951 e del 1961. Per quanto riguarda i settori di attività economica, è da notare come l'agricoltura continui ad assorbire il 21,95% dell'intera popolazione da 10 anni in poi e oltre il 50% della popolazione attiva, con una contrazione del 4% circa rispetto al 1951. Il settore 'industria' ha subito un incremento dovuto soprattutto al maggiore sviluppo avuto dalle costruzioni edilizie, mentre quasi invariata è rimasta la percentuale della popolazione impegnata in altre attività. Invariata è rimasta pure la popolazione non attiva costituita in massima parte da donne che continuano a dedicarsi alle cure domestiche, non avendo alcuna possibilità di occupazione. 79 Se si passa ad esaminare i dati relativi alle imprese e agli addetti, si nota subito come manchino aziende industriali in senso proprio, capaci di assorbire un numero rilevante di addetti con un alto rapporto capitale-lavoro. Nella maggior parte dei casi si tratta di botteghe artigiane con 1-2 addetti la cui attività non va oltre i confini comunali. Anche l'attività edilizia non ha assunto dimensioni imprenditoriali rilevanti. Il numero delle imprese nel 1961 è risultato quasi raddoppiato rispetto al 1951, mentre gli addetti sono aumentati di circa il 3%. In realtà anche qui si tratta di piccole imprese individuali esercitanti un notevole sfruttamento della mano d'opera, specie di quella minorile, e che sono pullulate ìn un perìodo particolarmente favorevole per il settore. Non appena la nota disavventura congiunturale ha provocato la stretta credìtizia, molte di queste imprese hanno dovuto cessare la loro attìvità in attesa di tempì migliori. Un discorso particolare merita il settore commerciale rappresentato in massima parte da negozi al minuto di generi alimentari e di articoli di abbigliamento. Nel decennio tale settore è lievitato di circa il 10%, con conseguente aumento dei già alti costi di distribuzione che poi si sono tradotti in un notevole aumento del costo della vita. Gli addetti ai trasporti e alle comunicazioni sono diminuiti di circa il 16% a causa della razionalizzazione dell'attività portuale che con l'introduzione di mezzi meccanici ha provocato l'espulsione di oltre 300 addetti. LA PESCA Nel prospetto manca il raffronto dei datì relativi alla pesca e alle attività connesse all'agricoltura perché non furono rilevati nel 1951. Quelli relativi al 1961 sono riportati in calce al prospetto e mettono in evidenza come l'attività peschereccìa non assorba un rìlevante numero di addetti, contrariamente a quanto si sarebbe indotti a ritenere a prima vista. In via di sviluppo è l'attività peschereccia che si avvale di una discreta flottiglia di recente costruzione e motorizzata che risulta così costituita: motopescherecci n. 80; motobarche 170; removelici 240. La produzione ittica, molto varia e pregiata, è destinata in massima parte ai mercati di Napoli, di Foggia e a quelli delle città delle province di Bari e Foggia. Essa è in continuo aumento e nel 1964 è stata di 2987,25 tonnellate, per un valore complessivo di L. 977.619.702. Tale attività, però, non è riuscita a superare le tradizionali dimensioni familiari; tranne alcune eccezioni, infatti, in massima parte si tratta di piccole e medie imbarcazioni che esercìtano la pesca nell'ambito del Golfo, in zone relativamente vicine. La sua redditività è alquanto modesta e il settore è riuscito a potenzìarsi solo grazie ai notevoli contributi devoluti dalla Cassa per il Mezzogiorno i quali, però, sembrano essere stati distolti dalla loro funzione dì incentivi, per trasformarsi in interventi di sussistenza dato che non sono riusciti a far sorgere una flottiglia di alto mare capace di immettere sul mercato ingenti quantità di prodotto. 80 IL PORTO Il movimento mercantile del porto si aggira sulle 240 mila tonnellate. Il 90% di tale tonnellaggio, però, è costituito da bauxite che, proveniente dalla vicina miniera di S. Giovanni Rotondo, viene imbarcata e destinata agli stabilimenti venetì della Montecatini. Il tonnellagío rimanente è rappresentato da piccole partite saltuarie di carbone, di grano, di legname. Le operazioni portuali, effettuate a dorso d'uomo fino al 1959 con l'impiego di circa 300 unità lavorative, attualmente vengono effettuate con l'ausilio di grue installate dalla Montecatini, sicché il numero degli addetti a tale settore è andato sempre piú scemando, riducendosi a una cinquantina di persone attualmente riunite in una cooperativa molto efficiente. Pure legato al traffico portuale è un deposito di concimi chimici che alimenta un discreto traffico automobilistico. IL TURISMO Infine altra risorsa cittadina di indubbio avvenire è l'attività turistica. Manfredonia infatti, oltre che ad essere dotata di due spiagge (il Lido di Siponto e la spiaggia 'Castello'), è anche la porta di accesso alle bellezze naturali del Gargano che si trova agli inizi della sua valorizzazione turistica. Tale attività potrebbe svilupparsi in modo notevole anche in relazione all'attività venatoria che si svolge nella zona paludosa del territorio e che richiama un gran numero di appassionati nel periodo invernale. Attualmente il grosso del flusso turistico si riversa sulle due spiagge, che raccolgono in massima parte bagnanti provenienti dal capoluogo che fanno ritorno alle proprie sedi la sera. Però condizione affinché il turismo si sviluppi è il potenziamento delle infrastrutture ricettive e dei servizi igienici, oltre che di manifestazioni che rendano piacevole il soggiorno. L'INDUSTRIA Si è cercato fin qui di tracciare a grandi linee un quadro quanto piú esatto possibile delle caratteristiche dell'economia di Manfredonia. Da quanto si è detto risulta chiaro che la maggior parte della popolazione si dedica all'agricoltura, che scarseggiano le attività industriali e manifatturiere e che la emigrazione ha temporaneamente rinviato al futuro i problemi fondamentali dell'occupazione. Possiamo ora porci la domanda se esistono possibilità di sviluppo per l'economia di Manfredonia. La risposta è positiva, in quanto esistono enormi risorse economiche allo stato potenziale, suscettibili di una notevole valorizzazione attraverso un processo di trasformazione industriale. Per quanto riguarda l'industria in senso proprio, allo stato attuale non sono stati rinvenuti giacimenti di materie prime nell'ambito del territorio comunale. Esistono però importanti fattori tecnici ed economici determinanti ai fini della realizzazione di notevoli iniziative in81 dustriali per lo sfruttamento delle materìe prime del sottosuolo dauno. La giacitura pianeggiante del territorio, la disponibilità di acqua dolce e marina, la facilità delle comunicazioni terrestri, la mano d'opera, il porto etc., sono tutti fattori vincolanti ai fini della localizzazione delle industrie. La più antica e legittima aspirazione cittadina è la creazione di uno stabilimento per la lavorazione degli enormi giacimenti di bauxite della miniera di San Giovanni Rotondo che fornisce circa l'80% della produzione nazionale; ma accanto a questa possibilità ve ne sono altre quali l'installazione di industrie alimentari e petrolchimiche per l'utilizzazione dei prodotti agricoli e dei giacimenti di metano e gas naturale rinvenuti nel sottosuolo della Capitanata. Di queste possibili iniziative una è in via di realizzazione (fabbrica per la produzione di glutammato monosodico) un'altra è allo studio (progetto della SNIA Viscosa per l'impianto di una fabbrica per la produzione di cuprolattame - prodotto base per la fabbricazione di fibre tessili artificiali - con annessi impianti per la produzione di ammoniaca, acido solforico, idrogeno ed energia termoelettrica). Ma affinché queste ed altre inizìative si realizzino è necessario superare incomprensioni e resistenze; è necessario che la popolazione faccia prevalere il carattere sociale dell'industrializzazione, concependola non come una benevola concessione, ma come un fatto conseguenziale di una determìnata realtà socio-economica. L'AGRICOLTURA Un discorso particolare merita l'agricoltura. Infatti questa, se opportunamente sostenuta e guidata nell'attuale fase critica di trasformazione, potrebbe assumere caratteri modernì e possibilità di sviluppo impensabili con la trasformazione degli attuali ordinamenti colturali asciutti, basati sulla cerealicoltura, in ordinamenti irrigui con annesso sviluppo della zootecnia. L'agro di Manfredonia è costituito in massima parte da terreni alluvionali recenti e da terreni argillosi calcarei; essi hanno una fertilità potenziale enorme in vista di una diversa e più intensa attività agricola. E' vero che essi richiedono una profonda azione bonificatrice dì canalizzazione e di colmata a causa della loro giacitura, ma è risaputo del resto che la terra, originariamente intesa quale fattore primordiale e naturale di attività economica, non ha mai permesso forme dì agricoltura evoluta. Una tale opera di bonìfica si rende necessaria, perché essa non è stata mai effettuata in modo radicale e completo, in quanto fino ai primi decenni di questo secolo gran parte dei terreni erano per lo piú paludosi e insalubri e gli insediamenti umani erano resi impossibili dal prevalere dalla malaria. E' venuto a configurarsi così un particolare assetto fondiario basato sull'assenza della proprietà diretto-coltivatrice e sulla prevalenza della grande e grandissima proprietà assenteista che non aveva né la necessità, né la voglia di pervenire a quelle importanti e utili forme 82 di capitalizzazione del lavoro in capitale fondiario, che sono i presupposti fondamentali affinché la terra originaria si trasformi in capitale fondiario, abbia cioè tutti i requisiti necessari per ospitare forme di attività agricola intensiva. Il particolare assetto fondiario ha favorito per contro la diffusione dell'affitto - che perdura tuttora - e che per sua natura postula scarsi investimenti fondiari e la conservazione dei tradizionali ordinamenti colturali che assicurano un'alta rendita fondiaria. La riforma fondiaria, effettuata dall'Opera Nazionale Combattenti prima e dall'Ente di Riforma dopo, ha sensibilmente modificato questo stato di cose e, con la creazione di numerose unità poderali, ha trasformato il volto di intere zone nelle quali le condizioni di vita e di lavoro per i braccianti agricoli erano tali, che nei loro confronti l'inferno parve un paradiso al povero bracciante del Tavoliere, come racconta una storiella popolare riportata nel pregevole volume di Tommaso Fiore: Il cafone all'inferno. Ciò nonostante il fenomeno della dissociazione del lavoro dall'impresa agricola continua ad essere rilevante, come viene messo in evidenza molto chiaramente dai dati sui tipi di azienda per forma di conduzione, rilevati nel censimento dell'agricoltura del 1961. Tali dati dicono che dei 37.744,40 ha. costituenti la superficie agraria di Manfredonia, 12.277,40 (46,64%) sono coltivati da 1.384 aziende a conduzione diretta; 18.999,01 ha. (50,53%) sono coltivati da 159 aziende a conduzione con salariati e/o compartecipanti; 1.071,31 ha. (2,83%) sono coltivati da 38 aziende a colonia parziale e appoderata; 447,20 ha. (1,18%) sono coltivati da 8 aziende condotte con altre forme. Se si tiene presente che le corrispondenti percentuali provinciali sono rispettivamente del 61,80, del 33,07, del 2,08 e del 3,02%, si vede come l'agricoltura manfredoniana sia diversamente strutturata rispetto a quella dell'intera Provincia di Foggia. Inoltre, poiché il tipo di azienda è in netta correlazione con gli ordinamenti colturali che si attuano, si può dire che fino a quando nell'agro di Manfredonia prevarrà l'azienda a conduzione con salariati, difficilmente si verificherà la tanto auspicata trasformazione degli attuali ordinamenti colturali. Infatti gli imprenditori cerealicoli (e tali sono in massima parte gli imprenditori agricoli che agiscono a Manfredonia) non hanno alcun interesse a trasformare la propria azienda da asciutta a irrigua malgrado abbiano l'acqua a disposizione. E ciò perché mentre nella prima l'introduzione delle macchine porta all'eliminazione della mano d'opera, l'introduzione dei concimi all'accrescimento delle rese unitarie, e il maggior reddito si trasforma in una maggiore redditività del capitale fondiario; con l'irrigazione il maggior reddito (che a volte risulta persino quintuplicato rispetto alla produzione cerealicola) va a compensare meglio il lavoro e i capitali, senza trasformarsi in una maggiore redditività del capitale terra nuda. E poiché un'agricoltura irrigua, richiedendo maggior lavoro, riduce la disoccupazione e l'emigrazione, fa aumentare i redditi di lavoro in valore assoluto (per le maggiori giornate lavorative) e in valore relativo (per le maggiori retribuzioni giornaliere), dilata la capacità di 83 consumo della popolazione, crea i presupposti per l'istituzione di industrie che utilizzano la trasformazione dei prodotti agricoli, risulta evidente come la conduzione diretta sia l'unica forma di impresa capace di dar luogo a un effettivo rinnovamento della nostra agricoltura e di creare pertanto le premesse per il nascere e l'affermarsi di iniziative industriali capaci di incidere in modo notevole sull'economia della zona. Inoltre, se si pensa che la prima iniziativa industriale avviata a realizzazione a Manfredonia utilizzerà prodotti agricoli per la produzione di glutammato monosodico, non si può disconoscere quale prospettiva reale può offrire a Manfredonia un ammodernamento dell'agricoltura. Quindi, se si vuole accelerare il processo di sviluppo dell'agricoltura, occorre potenziare e diffondere l'azienda diretto-coltivatrice, facilitando l'accesso alla proprietà della terra a un numero sempre maggiore di contadini e di imprenditori agricoli e modificando sensibilmente le attuali linee di politica agraria che si ostina a tener in vita un protezionismo granario quanto mai anacronistico e controproducente sia per le categorie agricole, sia per i consumatori. In questa direzione a livello cittadino, un ruolo molto importante spetta al Comune il quale dovrebbe reperire tutti i terreni demaniali e quotizzarli tra gli aventi diritto,incominciando da quelli concessi alla Società « Daunia Risi ». Per concludere, non si possono disconoscere le reali possibilità di sviluppo che stanno di fronte all'economia di Manfredonia; esse saranno realizzabili nella misura in cui tutte le forze locali sapranno fare dell'industria di base e dell'agricoltura i capisaldi di una nuova politica per un effettivo rinnovamento economico e sociale della Città. GIROLAMO CAMPO N O T A B I B L I O G R A F I C A - Oltre le monografle sulla regione pugliese e gli studi generali di economia e statistica (v. per ultimo: O. Baldacci, Puglia, Torino, UTET, 1962), fonte primaria di una informazione particolare sulla Capitanata è il bollettino della Camera di Commercio I. e A. di Foggia il quale attraverso le sue varie serie - l'ultima, col titolo « Foggia » -, espone dati e considerazioni inerenti anche a Manfredonia. Un « Bollettino Sipontino, periodico statistico del Comune di Manfredonia » fu pubblicato nel biennio 1950-51, e nel 1953 apparve il numero unico « Rinascita di Manfredonia Marittima » a cura della Compagnia portuale « Felice Muscatiello ». Per gli aspetti economici delineati nel nostro articolo sarà utile consultare le relazioni a stampa dei sindaci e commissari del Comune, i pochi interventi parlamentari sui problemi della città e del suo interland e le seguenti pubblicazioni: Atti del convegno provinciale per la sistemazione del basso Tavoliere (Manfredonia, 6 gennaio 1957) a cura del Comune di Manfredonia, 1957; Convegno Internazionale sui problemi della irrigazione nel bacino del Mediterraneo - Atti ufficiali della sessione preliminare, Foggia 4 e 5 maggio 1960 - Foggia, Consorzio Generale per la Bonifica e la Trasformazione Fondiaria di Capitanata, s.d. (ma 1961); R. TRAMONTE: Contributo allo studio delle acque della Capitanata. Bari, 1955. Sulla storia, sul paesaggio e sui monumenti della città si vedano: Mario Simone (a cura di) Manfredonia e il Gargano (Manfredonia, 1925), S. Mastrobuoni e N. De Feudis, Manfredonia (Collana di « Quaderni Turistici » dell'E.P.T. di Foggia, n. XVI, Foggia s. d.); S. Mastrobuoni, S. Leonardo di Siponto, con 16 tavv. f.t., appendice di documenti e indice delle fonti archivistiche e bibliografiche (Foggia, Studio Editoriale Dauno, s.d., ma 1960). 84 Testimonianze d'Arte e di Cultura ARTE CONTEMPORANEA A TRINITAPOLI A una mostra di bianco e nero in Trinitapoli, alla quale hanno partecipato artisti di fama nazionale e internazionale quali Cantatore, Ceracchini, Di Pillo, De Chirico, Greco, Guttuso, Magnolato, Migneco, Omiccioli, Purificato, Sarra, ecc., e che perciò si pone come una delle più qualificate mostre grafiche italiane dell'anno, ha fatto seguito una discussione sull'attuale situazione artistica. Alla discussione, che ha avuto luogo al Palazzetto delle Arti di Foggia, hanno preso la parola, oltre il sottoscritto, i critici d'arte Vito Apuleo e Duilio Morosini, i quali - di fronte a un pubblico numeroso e qualificato hanno avuto modo di mettere a fuoco alcuni tra i problemi artistici più scottanti. Aprendo la discussione abbiamo creduto di poter stabilire, quale punto di partenza, il crollo internazionale dell'astrattismo: venuto alla ribalta come elemento di rottura, esso aveva finito con l'adagiarsi in un facile modulario il quale aveva partorito una infinita schiera di epigoni. Scaduto nell'informale e nel materico, aveva ormai esaurito la sua funzione, che era quella di ricerca d'una pura forma in senso assoluto e della eliminazione di ogni contenuto per amor di purezza. Il recupero dell'oggetto - abbiamo detto fra l'altro - è sintomo di una ripresa, anche se la « pop-art » opera una trasposizione al posto della trasfigurazione; abbiamo a volte delle scelte, ma delle scelte che impegnano la riflessione come attività teoretica e pratica; non abbiamo - in molti casi l'intervento determinante della fantasia, cioè l'opera estetica quale prodotto dello spirito potenziato come fantasia. Apuleo, intervenendo per primo nella discussione, ha voluto anzitutto sottolineare che l'artista, in quanto uomo del suo tempo, è impegnato nella società; ed è quindi logico che, con l'annullarsi delle distanze e il crescere dei contatti, la cultura artistica italiana si sia inserita in un colloquio internazionale; il che non vuol dire - aggiungiamo - che non sia da respingere ogni identificazione tra «internazionale» e «universale» (universale come postulazione). Il continuo e per la scienza tipico sperimentare (spesso a vuoto) porta all'idea di combattere la tecnica con la tecnica; senza pensare che il fatto tecnico sovente si risolve in una trovata che perde di vista non solo il fatto estetico ma anche la perizia artigianale. Pertanto i valori umani, secondo Apuleo, dovrebbero essere in cima a ogni operare dell'artista. 89 Non lontano da questa prospettiva si è posto Morosini sottolineando il bisogno di tendere alla ricostruzione dei tessuti complessi ed intimi del rapporto fra artista e società. Il problema, toccato dai due precedenti interventi, per Morosini diventa non solo di primo piano ma unico ed assoluto. Siamo a una poetica che scaturisce da una precisa ideologia e che pone il fatto economico quale fine ultimo di ogni azione. Dal cubismo al surrealismo, per Morosini, la nuova figurazione è una sorta di montaggio di cose diverse non decifrabili o non ancora decifrate. L'arte, al contrario di quanto pensano certi critici impegnati e che presumono di essere i soli rappresentanti dell'« alta cultura », ha il compito di mettere ordine, cioè di dare una forma alle cose del mondo; quindi una situazione è valida in quanto « vitale ». Alle tre tesi ha fatto seguito un ampio dibattito, ora proprio e ora improprio (monotona contrapposizione delle città artisticamente vive con la provincia in cui le idee arrivano di rimbalzo e quando sono già scontate); esso comunque ha servito a dar rilievo alle convergenze e alle divergenze delle tesi in parte accennate e in parte documentariamente esposte da Apuleo da Morosini e dal sottoscritto. Tesi che penetrano nel vivo dell'odierna situazione artistica internazionale, che ridimensionano certi risultati per alcuni addirittura miracolisti e che della « pop-art », danno una visione senza dubbio congruente: frutto di un fraintendimento, che si giustifica con la particolare vita americana, per noi diventa un esperimento da non trascurare per Apuleo; e per Morosini essa è una questione-base della « figurazione » oggi in discussione, perciò - sotto questo aspetto - il fenomeno pop-art « non va guardato come un fenomeno specificatamente ed esclusivamente americano ». Quanto è stato oggetto dell'ampio dibattito foggiano verrà presto pubblicato in volume perché oltre al numeroso pubblico presente, un altro più vasto pubblico di lettori possa averne conoscenza. Fra tante « tavole rotonde », in cui tutti sono conformisticamente dello stesso parere, questa volta è stato possibile un colloquio tra studiosi di diverso avviso ma che ansiosamente cercano una via d'uscita all'empasse provocato dalle pseudocostruzioni modali e dalla diffusa mania di voler sostituire le poetiche allo spontaneo nascere della poesia. La domanda, che concludendo il nostro intervento, abbiamo posto ai colleghi e agli ascoltatori è stata questa: - La nostra è un'epoca di transizione o di nuova rinascita? Più che dai critici, però, la risposta ci deve venire dagli artisti, cioè dalla loro buona fede e dalla loro volontà di essere (oltre che dalla loro fantasia): non è possibile continuare a ridurre la produzione artistica a fenomeno intellettualistico; quanti scelgono questa via come la più solida, sappiano che sono destinati a formare, su piano storico, il sottobosco della nostra epoca. GIUSEPPE SCIORTINO GIUSEPPE SCIORTINO, critico d'arte. 90 LA CAPITANATA ALLA «MOSTRA DELL'ARTE IN PUGLIA DAL TARDO ANTICO AL ROCOCO’ » Il dieci ottore u. s., con il presidente avv. Vittorio Panunzio, i Lions di Foggia e le loro famiglie, si sono recati a Bari per visitare la « Mostra dell'Arte in Puglia dal tardo antico al rococò » allestita nelle sale della Pinacoteca Provinciale al Palazzo della Provincia, dove sono stati accolti in un'atmosfera di affettuosa fraternità. Avendo per guida il dr. D’Elia, conservatore della Pinacoteca, e la sua gentile consorte, dottoressa Pina Belli D’Elia, hanno visitato la mostra, che abbraccia quattordici secoli di arte e di storia, tanto da richiedere da parte dei coniugi D'Elia un lungo e paziente lavoro che è durato oltre tre anni. Il materiale reperito, nei musei, nelle chiese, e in parecchi Comuni ha portato a interessanti e piacevoli scoperte. Non tutto è stato possibile presentare al pubblico nei pur vasti ambienti della Pinacoteca Provinciale. Nell'interesse della Capitanata, sulla scorta della documentazione fotografica molto ampia in possesso al dr. D’Elia, si potrebbe aprire un interessante discorso con le nostre Autorità. Perché non far conoscere a tutti i tesori da noi posseduti? Perché non valorizzarli, indicarli ai giovani i quali quanto meglio potrebbero apprezzare il presente, se messi in condizione di meglio conoscere il passato, fuori dall'angustia dei confini della realtà materiale che oggi ci opprime? I frutti della sistematica e puntigliosa esplorazione della regione pugliese (Capitanata, Terra di Bari, Terra d'Otranto) potrebbero, se portati a conoscenza di tutti, essere fecondi di risultati considerevoli. Non è solo infatti un panorama dell'arte pugliese, distribuito in quattordici secoli, ma un quadro sintetico della civiltà (e dell'arte) in Puglia, regione che se pur si dimostra spesso più ricettiva che creativa, « partecipa soprattutto per certi preziosi aspetti delle arti minori alla civiltà meridionale ». Non potendo soffermarci su tutto quanto abbiamo visto e ammirato nei vari saloni, e quanto abbiamo ascoltato dalla voce dei dotti e solerti accompagnatori, ci piace sottolineare la presenza notevole della Capitanata nella mostra, e la impareggiabile bellezza di tanti capolavori, - non da tutti conosciuti -, ivi presenti. Hanno inviato pezzi artistici di notevole pregio: Bovino, Chieuti, Lucera, Manfredonia, S. Giovanni Rotondo, S. Marco in Lamis, S. Agata di Puglia, S. Paolo Civitate, Serracapriola, Siponto, Isole Tremiti, Troia, Vico Garganico. BOVINO è presente alla mostra con un « Ostensorio » in argento dorato del XV secolo appartenente alla Cattedrale, opera dell'orefice ascolano Pietro Vanini, già esposta alla mostra d'arte sacra di Orvieto nel 1896; con una tela « Martirio di S. Pietro », del XIII secolo, appartenente alla chiesa di S. Pietro, ritenuta una delle più importanti di un « Maestro di Bovino » non meglio identificato. CERIGNOLA espone una tela « S. Giorgio uccide il Drago », appartenente alla chiesa di S. Giorgio, opera di Alessio D’Elia del quale si hanno notizie tra il 1717 e il 1755, divulgatore in Puglia di modi e di temi settecenteschi napoletani. FOGGIA. Tra i pittori settecenteschi è presente Francesco De Mura (Napoli, 1696-1782), del quale esiste in Cattedrale una «Moltiplicazione dei pani e dei pesci ». 91 MANFREDONIA espone « L'Annunciazione » situata nella chiesa di S. Benedetto: tela opera del celebre pittore napoletano Ippolito Borghese, di cui si posseggono notizie limitatamente al periodo 1601-1621. S. GIOVANNI ROTONDO presenta alla mostra un bacile di rame sbalzato, del diametro di cm. 41, recante la scritta in lettere romano-Onciali « Rahe wis Knbi », interpretato dal Savini in « Die Ra(c) he w(e)is (zt)kn(e)be "La vendetta sa afferrare" »: al centro del bacile un'« Annunciazione ». SAN MARCO IN LAMIS con una « Croce Processionale » della Chiesa Matrice, opera di oreficeria aquilana del XV secolo, totalmente inedita, avente la « forma tipica delle croci abruzzesi del XV secolo e si rifà da vicino ai modi di Nicola da Guardiagrele ». SANT'AGATA DI PUGLIA è ricordata per un « Presepe » in pietra, opera dello scultore Stefano da Putignano (notizie tra la fine del '400 e il 1530) e per una inedita «Madonna del Carmine» opera del pittore Pacecco De Rosa da Napoli (1580-1656). S. PAOLO CIVITATE è presente alla mostra con un legno dipinto e dorato raffigurante « S. Rosalia », opera di intagliatore napoletano del XVII secolo. Si tratta di «un tipico esemplare della scultura napoletana che tanto favore incontrò in Puglia, e particolarmente in Capitanata, durante i secoli XVII-XVIII ». SERRACAPRIOLA presenta un « trittico»: le tavole raffigurano una « Madonna col Bambino », « S. Caterina (?) », « S. Mercurio ». L'opera era del tutto sconosciuta, situata com'era, nella Chiesa di Mercurio, molto in alto, quasi nascosta dietro il coro. Il trittico è stato attribuito al pittore Francesco da Tolentino, del quale si hanno scarse notizie e limitatamente al periodo 1525-1530. SIPONTO con il celebre « Crocefisso ». E’ una scultura lignea del XIII secolo che mostra nella parte superiore « una impostazione formale prettamente bizantina » e nella parte inferiore motivi oltremontani. Il « Crocefisso » apparitene alla Chiesa di S. Leonardo. TREMITI esibisce elementi di un polittico (dalla Chiesa di S. Maria) la cui esecuzione, attribuita a un abile maestro veneziano, sarebbe da fissare tra il 1450 e il 1460. TROIA è rappresentata da un prezioso Cofanetto in avorio e bronzo dorato attribuito « ad arte mussulmana » e datato tra l'XI e il XIII secolo; da una « Pisside » in avorio e bronzo dorato, appartenente alla « Cattedrale », dai due celebri « Exultet », rotoli membranacei con scrittura beneventana e miniature, che furono restaurati, per interessamento del compianto prof. Beniamino D'Amato, e presentati alla « Mostra Storica della Miniatura Italiana » del 1953 in Roma. Si attribuiscono all'opera di un miniatore meridionale del XII secolo. Ancora appartenente alla Cattedrale di Troia è un « Fermaglio per piviale » in rame con smalti. Finora trascurato negli inventari del tesoro della Cattedrale è stato giustamente valorizzato trattandosi di « uno dei rari smalti quattrocenteschi esistenti in Puglia ». E’ « da collocare in ambiente abruzzese sulla metà del '400 ». VICO DEL GARGANO partecipa con una tela (appartenente alla Chiesa dei Cappuccini ove decora il monumentale altare marmoreo) raffigurante « L'Annunziata e l'Angelo » reca la sigla « Vaccaro » ed è da datarsi intorno al 1650. LUCERA. E’ la città di Capitanata meglio rappresentata, esponendo: uno 92 sculto, opera di artista napoletano del XIV secolo, raffigurante un guerriero giacente, nel quale per molto tempo la tradizione ha ravvisato Carlo II, monarca angioino, mentre piú recenti studi vedono nel guerriero lucerino Giovanni Pipino, distruttore della Lucera saracena; ricami Enissimi che abbellivano la stola e il pettorale del camice del beato Agostino Kazotic, vescovo di Lucera (1322-1323); un dittico in lamina d'argento sbalzata e cesellata, su struttura lignea, con inserti di smalti e traccia di doratura, del XIV secolo, appartenente anche questo alla Cattedrale e raffigurante la « Crocefissione e Cristo in trono fra i simboli degli Evangelisti», esemplare di oreficeria sulmonese; una tavola raffigurante una «Madonna in gloria, S. Giovanni Evangelista e S. Nicola», che nel catalogo della Mostra è attribuita, contro il parere espresso da vari studiosi, a Fabrizio Santafede, come del resto si deduce anche dalle sigle F. S. che sono venute alla luce nel corso di una pulitura del quadro». Di Lucera (Convitto Nazionale) è anche la tela di un artista seguace del Solimena, «Visione di S. Benedetto», da datarsi intorno al 1750; una tela l'«Addolorata» di De Mura, situata nella Chiesa del Carmine, e un legno dipinto, della Chiesa di S. Domenico, raffigurante «S. Giuseppe e il Bambino», opera dello scultore Giacomo Colombo, napoletano che operò tra la fine del seicento e i primi decenni del '700. La Mostra, che per la prima volta riunisce tanti tesori appartenenti alla Puglia, è documentata dal Catalogo. (Angelo Celuzza) ONORANZE ALLA MEMORIA DI NICOLA ZINGARELLI Nel 1960, centenario della nascita di Nicola Zingarelli, il Comitato cerignolese della «Dante Alighieri», presieduto dall'avv. Luigi Borrelli, coadiuvato dalle autorità cittadine, riuscí a realizzare un programma celebrativo che in un primo momento era sembrato troppo ambizioso. Detto programma prevedeva l'innalzamento di una stele col busto bronzeo dello Zingarelli, la pubblicazione di un'opera inedita dell'insigne dantista e la stampa di un volume di scritti in sua memoria. Il monumento è stato inaugurato il 19 aprile 1964, con un grande concorso di pubblico e di personalità del mondo politico e culturale; il discorso commemorativo, in quella occasione, fu detto dal prof. Salvatore Battaglia, il quale lumeggiò egregiamente la figura e l'opera di Nicola ZingareIli. Ma senza dubbio i risultati più cospicui che si sono avuti nel quadro delle onoranze che Cerignola ha tributato a Nicola Zingarelli sono costituiti dalle pubblicazioni sopra ricordate; la prima consiste in un commento alle Rime del Petrarca, ponderoso e diligentissimo lavoro a cui l'illustre studioso aveva atteso negli ultimi anni della sua vita e che aveva lasciato inedito. Il manoscritto, custodito nella Biblioteca Provinciale di Foggia, è stato sottoposto, prima della stampa, a un'accurata e paziente revisione, specialmente nella parte bibliografica, dove molte abbreviazioni di nomi propri e di titoli di opere dovevano essere controllate e trascritte in una forma chiara e intelligibile; sebbene il lavoro fosse stato compiuto interamente dall'autore, certi dettagli non avevano ancora ricevuto la loro sistemazione definitiva. Questo commento petrarchesco, 93 stampato in una nitida ed elegante edizione dalla Casa Zanichelli, presuppone tutte le minuziose ricerche e gli studi condotti dallo Zingarelli sulla poesia provenzale e duecentesca e particolarmente su Dante; di qui la costante ricchezza dei richiami e de i riferimenti che testimoniano la complessità e la molteplicità dei rapporti tra la poesia petrarchesca e la cultura medievale. Il volume ha avuto una lusinghiera accoglienza da parte degli studiosi, il che chiarisce l'importanza del contributo che, sia pure a tanti anni dì distanza dalla sua morte, lo Zingarelli è venuto a dare agli studi petrarcheschi. Non minore importanza ha il volume miscellaneo pubblicato a cura del Comitato per le onoranze a Zingarelli. Stampato nella tipografia Cressati di Barì, il volume comprende scritti di varia umanità in onore di Zingarelli. La raccolta è divisa in tre sezioni: nella prima figurano scritti dedicati allo Zingarelli filologo, critico e maestro esemplare; nella seconda saggi vari di critica e di filologia; nella terza scritti rari o inediti dello stesso Zingarelli. A un saggio biobibliografico di Mario Pensa seguono scritti su Zingarelli e l'Enciclopedia Italiana (B. Migliorini), su Zingarelli interprete del Leopardi (V. Terenzio), su Zingarelli e i problemi della tradizione folklorica e della tradizione letteraria (A. Viscardi); altri aspetti dell'opera e della personalità zingarelliana sono lumeggiati da M. Vocino, G. Devoto, F. Piccolo, G. C. Rossi, G. Toffanin, M. Vinciguerra. Nella seconda sezione figurano saggi cospicui di L. Anceschi (sul pensiero estetico di P. Carabellese), di A. Del Monte (su Tristano e la Bibbia), di F. Flora (sul Pascoli poeta cosmico), di R. M. Ruggeri (Armi ed amori dalla piazza alla Corte), di R. Spongano, di M. Vitale. L'ultima sezione del volume comprende uno scritto inedito dello Zingarelli sull'Ariosto studente di giurisprudenza e vari saggi in parte pubblicati in opuscolo o su riviste filologiche la cui difficile accessibilità ha reso opportuna in questa sede la ristampa. (Vincenzo Terenzio) 94 L I B R E RIA Documenti e monografie della Biblioteca Provinciale di Foggia Come annunziammo con una pagina pubblicitaria, alla fine dello scorso anno sì pubblicò il primo volume di questa collana, deliberata dalla Commissione per l'amministrazione straordinarla della nostra Provincia (*). Senza affanno, col ritmo consentito dalla contingenza, anche la Biblioteca Provinciale deterge i suoi mss. dall'annosa polvere dell'oblìo, per offrirli alla conoscenza di una più vasta cerchia di lettori. « Documentì e Monografie » sì aggiungono, pertanto, alle altre pubblìcazioni ufficiali del nostro Ente, che dal 1952 ha potuto costituirsi un patrimonio editoriale apprezzabile non soltanto per il valore pratico dei testi, ma anche e soprattutto, per il significato politico di un'attività culturale, che non può essere più considerata marginale della P.A. Molto a proposito, per ciò, ricorre la presentazione del volume, al quale facciamo seguire la « Premessa » di Mario Simone alle sue dotte notazioni che, anno per anno, illustrano il diario, con dovizia di riferimenti bibliografici e di rilievi critici. PRESENTAZIONE La collana " Documenti e Monografie della Biblioteca Provinciale dì Foggia ?, deliberata dalla Commissione Straordinaria per l'Amministrazione Provinciale di Capitanata -, non documenta soltanto l'adeguarsì di questo Ente all'indirizzo politico-amministrativo, che riconosce nella Cultura un pubblico servizio di primo grado. E' - e vuol essere considerata testimonianza di fede civìca, di riconoscimento ufficiale dei valori di una Terra, come questa dauna, che tanto illustre quanto duramente provata dal clima e dalle guerre, grida le sue rivendicazioni dalle pagine della sua millenaria vicenda. Un atto di giustizia riparatrice e ad un tempo di omaggio umano sentiamo, dunque, di compiere oggidì, schiudendo aglì studiosi ed ai lettori (*) G. A. e A. TEDESCHI, Diario 1799-1829. Presentazione di Ermete Cerza. Notazioni di Mario Simone. Foggia, Amministrazione Provinciale, 1963. In 8, pp. 152 con 4 tavv. f. t. e cop. fig. - s.p. 95 in genere quelle latébre del nostro passato, che dalle vecchie, ingiallite carte riprende forma e sostanza al calore dei nostri interessi culturalì, rinvigoriti dal servizio politico, che richiama alla lezione della Storia. Ermetica fino a ieri, la Sezione dei manoscritti nella Biblioteca Provinciale di Foggia ha richiamato la nostra curiosità di intellettuali e di pubblici amministratori meridionali con più di un documento, che riteniamo fondamentale per questa Provincia. Tali sono indubbiamente Capitoli e statuti per la Città di Foggia, raccolti lo scorso secolo per le cure dell'avvocato umanista Saverio Celentano, e Notizie per il buon governo della Regia Dogana dell'altro giurisperito conterraneo Andrea Gaudiano. Da una parte la necessità di condurre un esame critico su le scritture (anche comparativo tra i numerosi esemplari esistenti del Gaudiano) e di trascriverle prima di darle alla stampa, dall'altra il proposito di contribuire alla illustrazione del periodo risorgimentale in Capitanata, hanno consigliato, per ora, di pubblicare questo "Diario" dei fratelli Tedeschi su gli avvenimenti che dal 1799 al 1829 si svolsero nel Sud-appennino, con riguardo particolare ad Ascoli Satriano. Essi sono specialmente commendevoli per la risonanza che ebbero in tutto il Regno e per l'attesa degli studiosi e dei conterranei di averne notizia dalla pubblicazione del chirografo che, donato molti anni or sono dal benemerito dottore Pasquale Rosario alla Biblioteca Comunale di Foggia, dopo la sua fusione con quella Provinciale, vede oggi la prima volta la luce per le cure di Mario Simone, inaugurandosi la presente collana. ERMETE CERZA Dott. ERMETE CERZA, vice prefetto, presidente della Commissione per l'Amm.ne Straordinaria della Provincia di Foggìa. PREMESSA ALLE NOTAZIONI La presente edizione fu condotta sull'originale del fondo « manoscritti » della Biblioteca Provinciale di Foggia, trasferitovi dalla « Comunale » al tempo della sua incorporazione a quella (v. l'opuscolo da noi curato: La Biblioteca Provinciale di Foggia, Foggia, Studio Editoriale Dauno, 1957). In un secondo tempo presso il dott. Pietro Rosario in Napoli, tra alcune dispense della Storia di Puglia: dall'Ofanto al Carapelle del suo illustre genitore, scovammo la ventiduesima della seconda parte (Ascoli Satriano nell'evo medio e moderno. La Diocesi e il Collegio elettorale politico) íntitolata Diario contemporaneo senza altri elementi storici e bibliografici idonei a ragguagliare i lettori sulla provenienza del chirografo, pubblicato con quella insufficiente indicazione. Nello stesso fascicolo erano compresi una relazione giudiziale sui fatti ascolani del 1799 e le prime lettere di un carteggio del Duca Trojano Marulli con i Reali di Napoli e personalità politiche del tempo di Ferdinando IV (v. Bibliografia). L'opuscolo, come 96 gli altri della stessa serie e quelli su diversi argomenti, è relitto della soda e dignitosa cultura del Rosario 1. Il ms. è costituto di due quaderni di carta-pezza uniti in rilegatura, che sul dorso di pelle reca in oro: Comune di Ascoli Satriano - Tedeschi: Diario 1799-1829 Dono del dott. Pasquale Rosario. Il primo quaderno (cm 12x18) ha pp. 172, numerate fino a p. 171 con scrittura diversa da quella delle annotazioni, che s'iniziano a p. 1 con la data del 5 febbraio e terminano a p. 165 con quella del primo marzo 1806. Le restanti pp. 166-171 sono bianche. Il secondo quaderno (cm. 13,5x19,5) ha pp, numerate da 172 a 405, con annotazioni da quell'ultima data a « tutto febbraio » 1829; bianche le restanti pp. fino alla 414. La scrittura è di due tipi, che si possono attribuire ai due compilatori, fratelli Tedeschi: Giuseppe Antonio, che scrisse fino al 6 giugno 1799, ed Ermenegildo, intervenuto per la malattia di lui, che non vedrà la catarsi degli avvenimenti vissuti. Ma le due prime pp. (5-19 febbraio) sono di grafia del notaio e mancano alcune pagine di marzo-aprile 1822. Non vi è dubbio che scrivesse l'Ermenegildo col medesimo senso di responsabilità sociale richiesto da un rogito: ne fa fede la forma di alcuni passi ed è proclamato con enfasi nell'indirizzo ai « posteri » datato 1814. Ma chi erano questi fratelli Tedeschi? Tace per loro l'archivio parrocchiale antico in riordinamento. Il diario offre pochi dati anagrafici. Giuseppe Antonio era accolito (chierico che ha ricevuto il quarto degli ordini minori); al suo decesso (27 luglio 1799) contava ventuno anni. Ermenegildo, notaio e procancelliere della Università, aveva un figlio, Bartolomeo, nato nel febbraio 1799. Essi aderirono ai tempi nuovi e per tanto il primo fu municipalista nell'Amministrazione del 6 maggio 1799 e il secondo militò nella Guardia Civica del Decennio, guadagnandosi entrambi la destituzione dagli uffici pubblici che occupavano e poi la riabilitazione dallo stesso Governo borbonico. Del notaio si conservano i protocolli, a incominciare dal 1786 fino al 1829, anno in cui a febbraio si arresta il diario (Arch. di Stato, sez. giud. in Lucera Prot. not. n.ri 2386-2424). Antonio Lucarelli scoprì un Angelo Tedesco di Ascoli S., amico del famoso abate Minichini e partecipe della sedizione militare liberale con Michele Cutinelli di Lucera e con Pasquale Baselice di Biccari; egli ci ha tramandato anche il nome di un Carlo Tedeschi, forse fratello del primo, compreso nella lista dei Pugliesi extraregnati, cioè colpiti dall'esilio (La Puglia nel Risorgimento, vol. II, pp. 120, 170). Può darsi che fossero discendenti del Nostro la cui famiglia sembra emigrasse in Principato Ultra (il suo casato è tuttora presente ad Avellino). A patrocinare l'edizione del diario presso la Società Dauna di Cultura, che la proponeva alla Biblioteca Provinciale, e a corredarla di note ci indusse anzitutto l'esigenza generale degli studi. Infatti, se il trentennío percorso dai fratelli Tedeschi riproduce fatti, sentimenti, pensierì 1 Il 1875, in un edificio « sopra S. Potito » del suo sfortunato paese, il Rosario allestí una sala archeologica e di pubblica lettura, donando al Comune le sue collezioni, vascolare e libraria (altri libri furono donati dagli Eredi). 97 comuni a tutta la società meridionale all'inizio del suo processo formativo in nazione, il ruolo svolto nel Regno dal feudatario di Ascoli, duca Trojano Marulli, e la sua responsabilità, sia pure indiretta nel doppio giuoco dell'agente-baronale, nella conseguente carneficina dei patrioti e nella iniziale indifferenza della Legge, fanno sì che, comparata alle cronache di altri paesi del Sud, questa non poco aggiunge a tutto quanto è noto agli storici di quel periodo2. Si consideri, poi, che, pur doviziosa di tantì altri beni, la Capitanata continua ad essere povera di monografie le quali, oltre la stereotipata leggenda diomedea e le chimere degli annalisti medievali, ci scoprano l'intimo suo travaglio verso una organizzazione civile adeguata alla ragione dei tempi nuovi, promossi anche dai martiri conterranei. Ogni pubblicazione, che si aggiunge alla esigua bibliografia sulla Regione e ne segna il suo difficile avanzare, è pertanto conquista di Cultura3. C'è, poi, la peculiarità del diario che, sebbene scevro di alcun senso della Storia e corredo di belle lettere, esibisce un caratteristico e inedito panorama in cui a tutte le altre solite componenti si aggiunge un fattore insolitamente registrato, sia pure senza la consapevolezza della sua influenza, a volte determinante, sulla condotta umana. E c'è il sapore, che la prosa del notaio riesce a darci del clima fisico e morale di Ascoli, e fa del suo repertorio intimo un documento singolare e stimolante a meditare sull'assurdo, tuttora operoso nelle società provinciali al di qua e al di là del faro. « Si trattava di un paese », ricordiamo con G. M. Galanti, che scriveva il 1792, « dove il Governo non è l'opera della sapienza civile, ma un avanzo di calamità di molti secoli », di un ambiente sociale in cui « le persone piú distinte serbano un tono di puerilità e generalmente tutti un certo egoismo, che li rende poco sensibili al bene della patria ». Si vedrà come e quanto la diagnosi di quel famoso visitatore possa riferirsi all'antico Contado angioino, che nell'ultimo Settecento di sotto l'investituta servile scopre il fermento di una società nuova, tributaria di libertà e dì sangue alla legge dell'avvenire. Nelle notazioni, che seguono, rilevando gli stati d'animo, le opinioni e i silenzi, anch'essi molto eloquenti, del diarista, se ne colgono le ispirazioni, le fonti, la dialettìca. Qui basti osservare che, vivendosi la breve, abbagliante giornata di Giuseppe Antonio e quella piú lunga e cupa di Ermenegildo Tedeschi, il più grande e implacabile protagonista ci appare la natura, da tanti secoli ostile alla gente dell'alta Puglia. Il notaio vi ravvisa una testimonianza di Dio, vindice degli errori terreni, che invece sono effetto di quella e, di pagina in pagina, tentando di respingere la lotta politica approdante alla sua coscienza, come un certosìno rileva 2 La strage di Ascoli del 1799 fu taciuta furbescamente dai cronisti sincroni di parte regia e ignorata dagli altri, compreso il diarista De Nicola, pur sensibile all'eco delle provincie. E' poi sfuggita finanche alla insigne Valente, che avrebbe potuto tenerne conto nell'esaminare la condotta politica del Duca D'Ascoli (Gioacchìno Murat… v. Bibliografia). Vi fece accenno il Caggese, ma l'editore gli rese un cattivo servigio, stampando 1789 invece di 1799 (v. in Appendice del presente quaderno). 3 Con iniziativa, poi trasmessa al C.E.S.P., nel 1940 lo Studio Editoriale Dauno risollevò gli studi storici in Capitanata, meritandosi il patronato dell'Istituto per la Storia del Risorgimento. 98 i disordini atmosferici, con riguardo particolare all'andamento stagíonale delle culture, che ha sempre inciso sul corso della Storia nel Tavoliere. Quel personaggio dolce e amaro, amato e odiato a seconda dei benefizi e malefizi portati dai suoi interventi, finisce col rimanere unico e solo in iscena ad occupare lo spazio della ultima scritturazione, dandoci cosí la esatta dimensione del dramma svoltosi sull'acrocoro dauno nelle rilevate circostanze politiche, per un giudizio meno frettoloso e severo di quello, che il romanticismo patrio suggeriva fino all'altro ieri sulla stabile contraddizione meridionale. Non si può escludere, dunque, che queste pagine diano un contributo alla Storiografia meridionale, pur senza il prestigio di magia che il nome di un grande autore potrebbe avvalorare. Nel modesto inventario editoriale del Risorgimento in Capitanata il Subappennino, finora assente, vi entra con questo diario, avendo per fideiussori i fatti, controllati dalla critica, sí che, nonostante il carattere tutto affatto locale della cronaca e le lacune e le altre mende, esso aggiunge un nuovo documento ai molti altri che illustrano l'inizio della emancipazione meridionale. Ma se pure trascurabile fosse l'apporto dei fratelli Tedeschi alla configurazione della vita in provincia tra il Sette e l'Ottocento e alla sua significazione politica, per l'adesione alle idee nuove; se pure irrilevante fosse il loro atteggiarsi modernistico allo schiudersi lassú della crisalide borghese, il presente quaderno, pubblicato dalla benemerita Amministrazione di Ascoli, rimarrebbe lo stesso un valido segno di sdebitamento e d'iniziativa della nostra generazione. Quale criterio e metodo abbiamo adottato, curando questa edizione che, per le cose innanzi dette, è la prima ad affacciarsi al mondo della libreria nazionale? Convinti che la sua importanza storica e demopsicologica prescinde dalla forma e che purtuttavia questa gli conferisce valore non trascurabile; sensibili alla esigenza editoriale di presentare ai non « specializzati » una lettura piú tollerabile di quella offerta dal manoscritto, si è cercato di sollevare il testo a livello del moderno linguaggio parlato, lasciando nella originaria frase arcaica i temi piú singolari, come quello meteorologico. Quindi si sono riordinati i paragrafi corrispondenti al calendario e si sono dati loro titoli idonei ad enunciarne il contenuto. Al testo si è per ultimo apportato un sussidio esplicativo piú generoso della solita nota, allo scopo di verificare le registrazioni e collocarle nella cornice dei tempi. Cosí rinfrescato, articolato e corredato, senza aver subíto l'onta di un tendenzioso restauro, il solitario monologo dei fratelli Tedeschi potrà forse contribuire alla rinascita di Ascoli, promossa dall'Amministrazione democratica. MARIO SIMONE MARIO SIMONE, pubblicista. 99 Il « Libro Rosso » della Città di Foggia Ricostituitasi a Palazzo Dogana l'Amministrazione elettiva questa non si è sottratta all'impegno della Commissione per la gestione straordinaria di mettere in luce gli inediti della Biblioteca Provinciale. Pertanto, su proposta della Direzione di quest'ultima, ha destinato alla stampa un secondo manoscritto, affidando la cura della edizione critica al dottor Pasquale di Cicco. Ai lettori di « La Capitanata » non suona certamente nuovo questo nome. Esso è legato alla raccolta dei Capitoli e Statuti della Città di Foggia che, pervenuta da casa Celentano all'antica Biblioteca Comunale del Capoluogo dauno, per l'incorporamento di quella nella Biblioteca Provinciale, fa parte del suo cospicuo fondo di manoscritti. Fin dallo scorso,anno il dott. Di Cicco ha trascritto i documenti e se n'è diffusamente occupato in questa rassegna, pubblicando i due capitoli che aprono il seguente sommario del libro: PARTE I - Introduzione: 1) Il Libro Rosso; 2) Il Governo ed il Reggimento dell'Università nei secoli XV-XIX. PARTE II - Documenti tratti da « Capitoli e Statuti della Città di Foggia »: Concessioni diverse del Re Ferrante d'Aragona alla terra di Foggia (1465); 2) Capitoli di Re Federico d'Aragona (1499); 3) Concessioni del Viceré Consalvo Ferrante (1504); 4) Grazie ecc. del Re Ferdinando il Cattolico (1507); 5) Varie prerogative di Foggia confermate da Carlo V (1533); 6) Privilegi concessi da Carlo V (1533); 7) Privilegio del Viceré Pietro di Toledo (1538); 8) Concessioni del Viceré Pietro di Toledo (1541); 9) Capitoli provisionalì del Reggente Villanova (1559); 10) Distretto di Foggia (1334); 11) Fiera di Foggia (1551); 12) Capitoli del vino (1407); 13) Capitoli del forno (1467); 14) Capitoli della carne (1467); 15) Capitoli della porta (1467); 16) Capitoli della baglìva (1485); 17) Capitoli della farina; 18) Capitoli della catapania. PARTE III - Appendice: a) Descrittione di quanto deve fare il Mastro Giurato, e suoi compagni nell'anno del suo governo di Foggia; b.) Governanti dell'Università dal 1600 al 1806. Il dott. Di Cicco è direttore da un sessennio dell'Archivio di Stato di Foggia, il più importante del Mezzogiorno, dopo quello napoletano, soprattutto per la nostra storia economica. Succeduto al dott. Caruso, funzionario di grande valore, oggi soprintendente a Napoli, il giovane archivista di Stato, che è nativo di Maddaloni, è stato subito conquistato dalle vicende storiche del Tavoliere e di Foggia, che con la Dogana delle Pecore costituiva l'ombelico dell'ex Rearne. Documento dei nuovi interessi suscitatigli dalla sede del suo ufficio, sono i suoi vari contributi, già apparsi per le stampe o in via di pubblicazione, intitolati: Un documento di molto valore per la storia del Tavolìere di Puglia e della Dogana delle Pecore; Censuazione ed affrancazione del Tavoliere di Puglia (1785-1865); Il primo istituto governativo di credito agrario del Regno di Napoli (Il Monte frumentario di Foggia); La Ricevitoria del Tavoliere di Puglia; Produzione della lana nella Dogana di Foggia e relativi rapporti commerciali con Terra di Lavoro nella seconda metà del Seicento, oltre quello che oggi annunciamo e che rappresenta l'unico lavoro scientifico sulla pubblica amministrazione di Foggia nei secoli XV-XIX. Il volume, con le caratteristiche della collana portate da quello precedente, costituito di circa 160 pp. con tavole f.t., sarà pubblicato nella seconda metà del 1965. Sarà distribuito dalla Biblioteca Provinciale. M. S. 100 CRONACHE DELLA CULTURA Il riordinamento della Società Dauna di Cultura Il 30 ottobre 1947, convocato dallo Studio Editoriale Dauno di Antonio Simone, e per sua proposta, il I Convegno Provinciale degli Scrittori ed Artisti della Daunia, ospitato dalla Camera di Commercio, diede vita alla Società Dauna di Cultura, con lo scopo di coltivare, promuovere, favorire e documentare l'attività scientifica, letteraria, artistica nella nostra provincia. Al suo attivo si ricordano, tra le altre più importanti manifestazioni: la I Mostra Collettiva di Arti Figurative in Capitanata, i tre Convegni per la protezione e valorizzazione del patrimonio storico, artistico e archeologico, il I Convegno nazionale di Studi Fridericiani, che aprì la serie dei fortunati congressi storici pugliesi, promossi dalla Società di Storia Patria per la Puglia, le Celebrazioni risorgimentali del 1848, il Premio nazionale di Poesia « Umberto Fraccacreta» attribuito negli anni 1953 e 1957. Sulla soglia del suo diciassettesimo anno di vita, l'ente avvertiva l'esigenza di perfezionare la sua struttura e imprimere nuovo vigore alle iniziative, perché meglio fosse sentita la sua presenza, quale istituto rappresentativo della cultura di Capitanata. D'altra parte, s'imponeva la ricostruzione degli organi direttivi e di sorveglianza, essendosi di essi ridotta la consistenza numerica e la funzionalità. Per provvedere in conformità di siffatta situazione e delle nuove esigenze, il 5 aprile c.a., nella sede sociale di Palazzo Acquedotto, si riuniva l'assemblea generale, diretta dal vice presidente prof. Soccio, essendo impedito da grave lutto il presidente, Michele Vocino. L'avv. Mario Simone, che dalla fondazione ricopre la carica di consigliere e responsabile della Segreteria generale, esponeva l'attività dell'ultimo periodo della vita sociale, resa difficile dai nuovi oneri causati dalla perduta ospitalità della Camera di Commercio, in seguito alla demolizione della sua vecchia sede. La condensiamo nei seguenti paragrafi: Biblioteca-Emeroteca Modesti gli incrementi bibliografici, per difficoltà di bilancio. Contratti alcuni abbonamenti, per non interrompere le collezioni, e acquistata qualche opera di antiquariato. Notevoli i doni del Ministero dalla P.I., di enti e ditte industriali. Mostra pugliese dell'età risorgimentale (Bari, autunno 1959). Si è collaborato, quale ente di selezione e di raccolta di materiali e con materiali propri. Convegno italoalbanese (Bari, aprile 1960) - Vi si è ricordato l'apporto culturale «pro-libera Albania,» del prof. Marchianò, per molti anni docente nel Liceo «Lanza» di Foggia e presentata una tesi di laurea sul dialetto di Casalvecchio di Puglia, discussa innanzi l'Università di Bari. Manoscritti Villani e Altamura (1960, 1963) Rintracciati e assicurati al Comune di Foggia: il «Diario Patrio» di Casa Villani, costituito da 47 fascicoli mss. dal 1800 al 1907 e alcune cartelle di 101 autografi e altri documenti di F. Saverio Altamura. Edizioni - Dopo il « Fraccacreta » di Carlo Gentile e Simone, nella collana « Nuovi Scrittori Dauni » è apparso il quarto volumetto: Zuppa, « Giuseppina Carillo, poetessa dell'amore divino ». La Società, senza assumersi oneri finanziari, dava il suo patrocinio alla collezione « Biblioteca Dauna » e alla serie « Dogana e Tavoliere di Puglia », compresa nella « Miscellanea giuridico-economica meridionale ». Onoranze alla memoria di Michele Bellucci (1960) - Con riferimento alle manifestazioni promosse dalla Società e svolte in più tempi dal 1950 a Manfredonia, si è ottenuta da quel Comune la concessione gratuita dell'area, per la costruzione della tomba. Celebrazione centenaria dell’Unità (1960-61) - La costituzione in Foggia di un Comitato tra gli esponenti delle associazioni di ex militari, e la crisi amministrativa comunale e provinciale frustravano l'azione societaria, che nel 1948, per il centenario della Rivoluzione italiana, era stata ricca di risultati positivi. Purtuttavia si è promossa la celebrazione di tre figure madri del Risorgimento Dauno: Saverio Altamúra, Saverio Barbarisi, Vincenzo Lanza. Celebrazione del VII centenario di Manfredonia (1962) - Con la sezione « Michele Bellucci », promossa la celebrazione del VII centenario di fondazione di quella città. Terzo convegno per la protezione e valorizzazione del patrimonio storico, artistico e archeologico della Daunia (1962) - Svoltosi il 30 maggio a Manfredonia, relatore il proboviro avv. Mario Prignano, presente il prof. Molajoli, direttore gen.le alle A. e B.A. presso il Ministero della P.I. Antichità e Opere d'Arte -Ripetuti gli interventi presso il Ministero della P.I. e le due soprintendenze interregionali, per la istituzione a Foggia di un loro uffìcio. Biblioteca-Museo di Ascoli Satriano Ottenuti il restauro e il riordinamento, con sollecitazioni verso quel Comune e la Soprintendenza Bibliografica di Puglia e Lucania. Diario Tedeschi - Ottenuto che l'Amministrazione Provinciale di Foggia desse alle stampe il manoscritto, posseduto dalla sua Biblioteca. Al termine di un'ampia e serena discussione, su proposta del prof. Soccio, si è ravvisata la opportunità di rinviare la ricostituzione degli organi statutari e di affidare a un Comitato di gestione straordinaria il compito di: 1) assicurare una sede stabile all'ente; 2) modificare lo statuto sociale, abolendo l'ordinamento in classi per agevolare l'iscrizione dei soci effettivi; 3) elaborare un programma di attività da svolgere nel corrente anno; 4) istruire le pratiche per l'ammissione di nuovi soci, da proporre alla prossima assemblea; 5) convocare l'assemblea generale, per la elezione degli organi ordinari dell'Ente e per le altre opportune deliberazioni. Alla unanimità erano chiamati a farne parte il notaio avv. Alessandro Imperati, il dr. Domenico Lamura, il rag. Alfredo Massa, l'avv. Mario Simone e il dr. Vincenzo Terenzio. Come tutte le altre precedenti manifestazioni della Società, anche questa assemblea suscitava larga eco nella stampa nazionale e locale. Di quest'ultima, le dedicavano editoriali e servizi: « Il Foglietto » (dir. Mario Ciampi), « Il Corriere di Foggia » (dir. Giuseppe Spagnuoli), « L'Eco di Foggia » (dir. Gaetano Matrella), « Il Gazzettino Dauno » (dir. Maurizio Mazza). Tra i quotidiani, oltre « Il Tempo » (red. Follieri e Tibollo), « Il Messaggero » (red. Ciccone), « Il Mattino » (red. Mazza), « La Gazzetta del Mezzogiorno », con un articolo di apertura del collega Anacleto Lupo, iniziava una inchiesta su la cultura in Capitanata e la funzione della Società Dauna. Al concludersi del 1964 avevano collaborato con interviste ed articoli: il dott. Domenico Lamura, la prof.ssa Giulia Di Leo-Catalano, l'avv. Romualdo Laporta ed altri. (Dauno) 102 Le « deformazioni » dello Stato contemporaneo in una conferenza di Michele Cifarelli Alcune tra le preoccupanti deformazioni dello Stato contemporaneo, che costituiscono vere e proprie disgregazioni dello stesso, con insorgenti fenomeni di tipo feudale, sono state oggetto della conferenza che la sera del 9 dicembre ha tenuto a Lucera l'avv. Michele Cifarelli, su invito della locale Sezione dell’U.D.A.I. (Unione degli Avvocati d'Italia). L'avv. Mario Follieri, presidente di quella Sezione dell'UDAI, dopo il saluto all'oratore, ha posto in luce l'intento di discussione democratica concreta, che hanno le iniziative dell'UDAI. E ricollegandosi a tale funzione della nuova organizzazione della professione forense, Cifarelli ha detto che, per tanti problemi, un po' tutti i cittadini sono d'accordo nel rilevarli e forse anche nel sapere quali soluzioni andrebbero adottate. Manca, però, la possibilità di varare anche le più semplici di tali soluzioni, perché l'opinione pubblica è disorganizzata, e i partiti politici pensano ad altro, e le correnti, nelle quali essi sono divisi, si fanno la guerra come al tempo dei baroni rissosi, che impedivano la normale vita del popolo, nei secoli del Medio Evo. Cifarelli ha, pertanto, sottolineato l'esigenza che la UDAI e altri organismi democratici agiscano come «centri di pressione» col mettere a punto progetti di legge, cioè soluzioni aggiornate e concrete (con riferimento anche a quanto si è già fatto in altri Paesi), per chiedere cosi alla classe politica di pronunciarsi, cioè «prendere o lasciare», ed in tal modo influire su di essa in modo determinante e urgente. Una esemplificazione di quanto si può e si deve fare, Cifarelli l'ha presentata riferendosi ai partiti politici, ai sindacati, agli enti pubblici. Occorre egli ha detto - che i partiti siano compresi nell'ordinamento giuridico. Indispensabili in una società democratica, tramiti necessari per la formazione popolare della volontà dello Stato, i partiti devono essere regolati dalla legge e ciò con un «regolamento tipo», che ne garantisca il funzionamento pubblico, in modo che l'inderogabile necessità di provvedere al loro funzionamento non divenga la copertura di abusi di ogni genere e l'incentivo alla corruzione, che ammorba la nostra vita pubblica. Quanto ai sindacati, Cifarelli ha chiesto l'attuazione della Costituzione circa i presupposti ed i modi del loro giuridico riconoscimento, nonché circa il diritto di sciopero e quello di serrata. Non è ammissibile lo sciopero dei pubblici dipendenti perché lo Stato non è un qualunque datore di lavoro. Una Corte regolatrice deve essere costituita, quindi, per decidere le questioni economiche e di categoria degli impiegati dello Stato, con il punto fermo che le decisioni della stessa valgano senz'altro ad introdurre le variazioni corrispondenti nel Bilancio dello Stato. Per i servizi pubblici fondamentali, valga l'esempio di altri Paesi democratici, nei quali lo sciopero non ha luogo perché esiste la soluzione dell'arbitrato obbligatorio. Quanto agli enti pubblici, Cifarelli si è occupato della possibilità di potenziare il controllo della Corte dei Conti e di stabilire un tipo di contabilità che sia valido per le molteplici esigenze connesse con gli interventi pubblici, i quali si fanno sempre più estesi e varii nel nostro tempo. Bisogna anche - egli ha 103 rilevato - configurare nuove forme di incompatibilità; nuovi tipi di strumentazione, per operare e per controllare; nuove configurazioni dell'illecito. Ché, per esempio, assumere impiegati più del necessario in un ente pubblico, magari per esigenze elettoralistiche, deve costituire un illecito. Esso non è peculato, bensi una forma di «sperpero del pubblico denaro», configurabile sia come dolosa, sia come colposa. In sintesi - ha concluso Cifarelli - siamo di fronte ad una vasta e complessa necessità di rinnovamento, per rendere lo Stoto Italiano piú moderno ed efficiente ed il cittadino italiano meglio difeso di fronte ai pubblici poteri e davvero partecipe della sovranità democratica, che ad ogni cittadino spetta nei liberi ordinamenti. Tutto questo significa, ad esempio, che di una attuazione costituzionale, come è il referendum, il Governo deve rendersi sollecito per l'approvazione, e non già, come pare, tenerla in secondo piano. Questo inoltre significa che per la Corte Costituzionale, per il Consiglio di Stato, per lo stesso Parlamento, provvedimenti di attuazione costituzionale e leggi nuove per forgiare strumenti democratici efficaci, devono uscire dal limbo delle buone intenzioni e dalle discussioni vaghe sulle innovazioni possibili, per entrare nella realtà di un'Italia meglio ordinata e che sia all'altezza dei problemi veri del popolo italiano, nel mondo difficile e complesso del nostro secolo XX. (« Giustizia Nuova ») CONCORSO « IL CARCIOFO D'ORO » La Mostra in bianco e nero di cui parla il critico Sciortino, è stata organizzata dalla « Pro Trinitapoli », in occasione della terza edizione (1964) del « Carciofo d'Oro » (le precedenti sono state tenute nel '62 e nel '63). Poi che accanto ad una cultura agri non poteva non esserci una cultura animi, queste manifestazioni hanno annualmente articolato un convegno nazionale sulla coltivazione e la industrializzazione del carciolo (le cui relazioni usciranno in volumi), e una rassegna d'Arte. La medaglia, Il Carciofo d'Oro, che viene assegnata al vincitore del primo premio, dà il nome a tutta la manifestazione, patrocinato dal M.ro dell'Agricoltura in collaborazione con la Camera di Commercio I. e A. di Foggia e col Comune di Trinitapoli. Nel '62 la Mostra, aperta ai pittori di Puglia e Lucania, ebbe per tema: Il Carciofo, anche negli aspetti umani e talvolta drammatici della sua coltivazione. Vincitore del 1° premio: Vincenzo Spizzico di Bari. Nel '63 il tema pittorico fu: Trinitapoli nel suo insieme paesaggistico. La Mostra fu aperta ad un certo numero di artisti del Sud. Vincitore del 1° premio: Roberto De Robertis di Bari. Nel '64 la Mostra è stata riservata ad un ristretto numero di artisti italiani, per il disegno figurativo contemporaneo, col tema: L'uomo nel suo mondo di lavoro. Con questo tema si voleva richiamare l'attenzione degli artisti sulla figura umana in genere e anche sottolineare la condizione o materia in cui e su cui l'uomo « si travaglia » e vive e si svolge. E' toccato il 1° premio a Domenico Purificato di Roma. Anche quest'anno, così come i precedenti, dopo essere stata inaugurata e tenuta aperta a Trinitapoli, la Mostra è passata a Foggia, dove l'inaugurazione ha coinciso con il dibattito di cui parla Sciortino (d.l.). 104 ASCOLI SATRIANO Croci, campane e gonfaloni nel feudo di Trojano Marulli ( dal Pacichelli, « Il Regno di Napoli in prospettiva » - 1703 ) ASCOLI SATRIANO Il Castello ducale al tempo nostro ( Fotografia di A. Battista ) LA CAPITALE DELLA DOGANA Foggia, « ventris nostrae Neapolis » ( dall’Atlante del De Michele ) FIERA DELL’AGRICOLTURA IN FOGGIA Aspetti della XV manifestazione nazionale ( Fotografie di Leone, g.c. dall’E.A. « Fiera di Foggia » ) PROBLEMI REGIONALI Per un istituto universitario di Genio Rurale in Foggia Il giorno 8 maggio 1959 venne indetta dall'Ente Fiera di Foggia la Prima Giornata dell'Istruzione Professionale con la finalità precipua di richiedere l'istituzione in Foggia di una Scuola Superiore di Genio Rurale con tre sezioni: Meccanica agraria, Idraulica agraria, Costruzioni rurali. Questa Scuola, di carattere universitario, collegata con l'Università degli Studi di Bari, doveva rilasciare il titolo di «esperto in genio rurale» e formare una schiera di giovani da non «esportare», ma immettere nelle attività economiche del nostro Mezzogiorno, al fine di realizzare quel progesso tecnico ed economico al quale tutti aspiriamo. La proposta derivava da due ordini di considerazioni: la deficienza di tecnici laureati in tutti i campi della ingegneria, in contrasto con l'esuberanza di tecnici diplomati (geometri, periti industriali e periti agrari); la scarsa possíbilità per le medie e per le piccole aziende (industriali, commerciali ed agricole ed anche di attività terziarie) di trovare dirigenti qualificati e tali da essere capaci di condurre in maniera autonoma le aziende loro affidate. Nel discorso inaugurale del nuovo Politecnico di Torino, il prof. Capetti, nel 1959, gettava un grido di allarme sullo scarso numero di laureati in ingegneria, giudicando che, per il normale sviluppo economico del nostro Paese, occorrevano allora circa il 27% in piú d'ingegneri. Questa deficienza, dopo un lustro, è aumentata notevolmente, anche per il rapido sviluppo industriale dell'Italia nell'ultimo quinquennio. In contrasto con la posizione dei tecnici laureati, si presenta quella dei nuovi tecnici diplomati, i quali sono nella sola Puglia e Lucania circa mille all'anno, e che difficilmente trovano tutti adeguata occupazione. Una delle ragioni di questo contrasto certamente può ricercarsi nel fatto che negli ultimi anni il ritmo del progresso della scienza e della tecnica si è accresciuto tanto che gli studi superiori non riescono a formare diplomati autonomí. Insisto sull'aggettivo « autonomo », perché le aziende richiedono tecnici i quali possano operare da soli, senza l'ausilio di tecnici laureati. Tale richiesta è giustificata dal fatto che è difficile e costoso formare in seno alle aziende medesime tecnici autonomi. L'anno successivo, il 7 maggio 1960, in occasione della IIa Giornata dell'Istruzione Tecnica, veniva presentato il progetto della Scuola Universitaria di Genio Rurale, che comprendeva tre specializzazioni in a) Meccanica agraria; b) Costruzioni rurali e c) Idraulica agraria, che riguardano le attività ove i nostri giovani possono sicuramente trovare occupazione nel Mezzogiorno. Il ruolo della meccanizzazione dell'agricoltura, presenta aspetti tecnici, economici e sociali. I vantaggi tecnici della meccanizzazione dell'agricoltura 105 riguardano la possibilità di un'appropriata scelta delle colture e del carico di bestiame in dotazione all'azienda, la possibilità pratica di compiere trasformazioni fondiarie, ecc. I vantaggì economici dell'impiego della macchina sono evidenti se si confronta il costo dell'energia meccanica rispetto a quello dell'energia umana e animale. Da computì da me eseguiti sì può ritenere che: un cavallo-vapore ora di energia meccanica costa L. 120; un cavallo-vapore ora di energia animale costa L. 500; un cavallo-vapore ora di energia umana costa L. 4320; cioè 36 volte di più dell'energia meccanica. Da un punto di vista sociale, infine, vi è da osservare che i vantaggi della meccanizzazione dovrebbero porre un freno al fenomeno che si verìfica in quasi tutto il mondo: il notevole spostamento della popolazione attiva dall'agricoltura all'industria, al commercio e ad altre attività. I riflessi sociali dell'introduzione in agricoltura della macchina derivano ancora dal fatto che essa, trasformando l'operaio da fornitore di energia a conduttore o controllore di macchine, consente all'operaio stesso di ottenere maggiore retribuzione, congiuntamente al raggiungimento di un migliore tenore di vita. Perché la meccanìca agraria possa svolgere questo importante ruolo, addirittura « rivoluzionario », come è stato autorevolmente ammesso, occorrono bravi tecnici e maestranze preparate. Allo stato attuale, si rìtiene che nel campo agricolo vi siano 354.000 operai qualificati, mentre invece vi sono 883.718 ditte iscritte all'U.M.A. Il che significa che molte macchine agricole sono affidate per la conduzione a mani inesperte, con conseguenze tecniche ed economìche non buone ma anche con effetti disastrosi in ordine alla sìcurezza sul lavoro. Da un'indagine svolta da noi per incarico dell'ENPI (Ente Nazionale di Previdenza Infortuni), si è constatato che nel Lazio, per il solo impiego delle trattrici, si hanno ogni anno 86 decessi per 100.000 trattrici in esercizio; nelle Puglie se ne hanno 63, mentre invece in Inghilterra si hanno 14 decessi all'anno per ogni 100.000 trattrici in esercìzio. In ordìne alle Costruzioni rurali, poi, è noto che esse di norma richiedono la maggiore spesa nelle trasformazioni fondiarie delle aziende agrarie; si raggiungono e si superano infattì le 300.000 lire per ettaro. E’ quanto mai opportuno avere in questo campo tecnici preparati, i quali sappiano trovare soluzioni tecnicamente rispondenti ed economicamente più convenienti di quelle attuali. I grandiosi piani di sviluppo della irrigazione che prevedono un'area dominata di circa 400.000 ettari richiedono - come è stato chiaramente posto in risalto dal Congresso Internazionale tenutosi proprio a Foggia nel 1960 - molti tecnici specialisti in Idraulica agraria, sia per la costruzione e l'esercizio dei nuovi impianti irrigui, sia per l'insegnamento professionale alle maestranze da specializzare. La scelta di Foggia appariva fin d'allora, e appare ancora oggi, come la sede più indicata per l'istituzione della Scuola Universitaria di Genio Rurale. A Foggia, infatti, hanno sede tre istituzioni altamente qualificate negli studi e nelle ricerche nel campo agricolo. L'Istituto Zooprofilattico, diretto egregíamente dal professor Battelli, libero docente universitario, ha giurisdizione in 6 province di 3 regioni: Puglia, Molise e Lucania. L'Istituto Agrario, presieduto dal professor Angelo Salerno, già ordinario nell'Università degli Studi di Bari, e diretto dal prof. Alfredo Cogna, è collegato con una regolare convenzione alla Facoltà di Agraria di Bari per fornire alla stessa i mezzi per svolgere i 106 Corsi annuali di esercitazioni pratiche, previsti dallo Statuto della Facoltà stessa. Il primo Direttore dell'Istituto Agrario dì Capitanata è stato il prof. Pantanelli, già preside della Facoltà di agraria di Bari e illustrazione della scienza agraria italiana. L'Ovile Nazionale, diretto dal dott. Pelosi, svolge ricerche nel campo degli ovini, dei caprini e dei bovini e, con brillanti risultati, anche nel campo degli animali da bassa corte. Il primo Direttore dell'Ovile Nazionale è stato il professore D'Alfonso, prorettore dell'Università di Napoli, al quale successe il prof. Tortorellì, attualmente ordinario all'Università di Palermo. E’ noto altresi che la provincia è stata sempre all'avanguardia nel campo degli studi per il progresso dell'agricoltura. Con i suoi 685.000 ettari di superficie agraria e forestale (è la piú estesa provincia dell'Italia continentale), con i suoi 430 mila ettari di superficie seminativa, e con la sua produzione media annua di circa 3 milioni di quintali di grano, superìore di gran lunga a quella delle altre province d'Italia, la provincia di Foggia non poteva non seguire con visibile interesse i progressi con cui, fin dalla seconda metà del secolo scorso, si andava affermando e sviluppando la meccanica in agricoltura. Il prof. Milone, docente di meccanica agraria nel glorioso Istituto Superiore di Portici, afferma nelle sue Lezioni che « l'aratura a vapore fin’oggi (1878) trovasi tra noì posta in opera nel podere dell'Ill.mo Sig. Principe di Sansevero, agricoltore intelligente per quanto nobilissimo signore ». E ancora: « Attualmente (1896) l'ing. Francesco Rispoli, in provincia di Foggia, ha un apparato Powler a due macchine col quale va lavorando qua e là come imprenditore ». Le prime locomotive stradali con motore a vapore sono anche impiegate per l'aratura a trazione diretta in Capitanata. Ma ancora prima delle locomotive stradali sono a Foggia da molto tempo impìegate le coppie locomobili trebbiatrici, tanto che lo stesso prof. Milone scrive che « i nostri proprietari conoscono perfettamente (le locomobili) usandole già da gran lungo tempo per le macchine da trebbiare; giacché non occorre che io ne parli qui di proposito. E molti pure di essi hanno accolto con favore le locomobili bruciapaglia che l'ingegnere Head della casa Ransomes, Sìms ed Head di Ipswich, studiò espressamente con un ingenere russo per quelle contrade ove la mancanza di combustibile fa riescir conveniente l'uso della paglia per somministrar la forza motrice ». Ancora nel secolo scorso ha luogo in provincia di Foggia il primo importante concorso per seminatricì, del quale fu componente della Commissìone giudicatrice lo stesso prof. Milone. La Scuola di Meccanica Agrarìa delle Capannelle, sorta a Roma nel 1924, istituisce una sua sezione in Puglia, e precisamente a Cerignola, utilìzzando le attrezzature del cessato « Servizio motoaratura di Stato », creato durante la prima guerra mondiale con l'importazione dall'Amerìca di oltre 6.000 trattrici di vario tipo. Le prime mietitrebbie compaiono da noi intorno al 1920. Successivamente, ma prima in Italia, le mietìtrebbie Deering, Massey-Harris, Caterpillar ed Oliver sono provate dall'Istituto di Meccanica agrarìa di Portici nel perìodo 1928-1930, rispettivamente nelle tenute del signor Colarossi, del marchese Angiulli, 107 del marchese Fíliasi e del dottor Giuseppe Leone, tutte in provincia dì Foggia. Il campo sperimentale di aridocoltura di Cerignola (1926-1935) è certamente un centro di sperimentazione importante, forse tra i pìù importanti del mondo, sia per la vastità delle ricerche intraprese, sia per i risultati ottenuti, sia per le alte capacità dei ricercatori, tra i quali basta rìcordare solo i compianti professori De Cillis, Pantanelli, De Dominicis, G. Rossi, Leggieri e Santini. In questo Campo di Cerignola sono provate tutte le macchine operatrici esistenti in quell'epoca: la prima, e forse unica fresatrìce SIEMENS-SCHUCKERT di 35 HP importata in Italia, il primo coltivatore rotativo Howard da applicare alla trattrice Fordson, aratri a disco, ripuntatori ad un solo elemento e ripuntatori multipli, erpici a disco a tandem, ecc. Il sistema del Pelo Pardi è posto in evidenza dall'illustre prof. De Cillis e si afferma soltanto « dopo i risultati conseguiti nel campo di Cerignola» (G. De Marzi, 1933). Nello stesso campo di Cerignola, e successivamente nel podere n. 124 dell'Opera Nazionale Combattenti, è adoperata la prima sarchiatrice meccanica a 5-6 elementi (Candura). Il primo campo sperimentale di fognatura con l'aratro talpa è stato quello di Foggia, presso l'azienda del marchese Luigi Filiasi. Le prove si iniziano nel 1931, quando le difficoltà di trazione dell'aratro talpa sono « superate con la costruzione dì nuove macchine a cingoli capaci di dare al gancio oltre 3000 chilogrammi di sforzo (FIAT 700C)». (Candura, 1932). Le prime prove complete e prolungate sulla trattrice elettrica (brevetto Sacerdoti) sono eseguite a Cerignola nel 1933 in località Pozzo Terraneo, nell'azienda del conte Pavoncelli. Si tratta di una trattrice elettrica a due ruote motrici della potenza di 30-35 Hp, con motore trifase da 500 Volt, 42-50 periodi, 1400 giri, del peso di circa 36 quintali. La macchina rappresenta effettivamente una grossa novità nel campo delle trattrici, tale da poter conseguire i brevetti anche nelle nazioni in cui vige il preventivo esame, come negli Stati Uniti d'America, Inghilterra e Germania (Candura). Volendo trascurare, per non prolungare questa pur rapida rassegna, le altre iniziative certamente prese nella provincia di Foggia nel campo della meccanica applicata all'agricoltura (spanditrici lateralì e frontali, portate da trattrici di oltre 100 HP; ruspe della capacità di molti metri cubi; ripuntatori di 75 quintali, ecc.), si ricordano ancora le recenti esperienze condotte presso il Centro di colonizzazione di riforma fondiaria di Bovino, in agro di Castelluccio dei Sauri, a cura degli Istituti di Agronomia e di Meccanica Agraria dell'Università di Bari. I risultati dei primi due anni di esperienze - diffusamente illustratì dal punto di vista agronomico dal prof. R. Baldoni, dal punto di vista meccanico dal sottoscritto e dal punto di vista economico dal dott. S. Garofalo - hanno consentito di mettere un punto fermo sul fondamentale e dibattuto problema della profondità di lavorazione nei riguardi dei risultati economico-produttivi. Le conclusioni alle quali si è finora giunti consentono di affermare che la zona ìn cui si è operato, sotto tutti i punti di vista, per le colture è la più conveniente. I risultati rappresentano anche una sicura guida agli agricoltori della zona per la scelta del pìù conveniente apparecchio di aratura per la loro azienda. Più recenti ancora sono le prove triennali svolte all'azienda Valdistella in agro di Troia, al fine di determinare il consumo di energia nella produzione 108 delle piante agrarie, raggiungendo, primi nel mondo, risultati concreti in questo importante campo d'indagine. Altri importanti risultati si sono ottenuti dallo studio sull'impiego delle raccoglitrìci-presse (Zanna, 1962, Trentadue 1962, Giametta 1962), dallo studio sull'impiego delle macchine per la raccolta delle barbabietole (Trentadue, 1962), dallo studio sull'impiego delle macchine per i trattamenti antiparassitari (Trentadue, 1963), dallo studio delle nuove mietitrebbie semoventi (Bianchi, 1959-'61); dalle ricerche sui fattori che influenzano la lavorabilità del terreno (Bianchi, 1963), dallo studio dei nuovi aratri polivomeri e delle macchine per lavorazioni complementari (Bianchi, 1959-'61), ecc., ecc. Le conclusioni di questa rapida rassegna mirano a mettere in evidenza non solo come la provincia di Foggia abbia seguito passo passo gli sviluppi della scienza agraria nel volgere di questi ultimi ottant'anni, ma come gli agricoltori della provincia siano stati sempre all'avanguardia di tutte le iniziative intese a conoscere e a far conoscere l'impiego dei nuovi mezzi che la tecnica segnalava. Oggi, dopo cinque anni dalla prima proposta, ritorno sull'argomento per indicare un'altra soluzione dello stesso problema, cioè di attuare in Foggia un Istituto Universitario di Genio Rurale. Si tratterebbe prima di chiedere l'istituzione, presso la Facoltà di Agraria di Bari, di un Corso di laurea in scienze agrarie, sezione genio rurale, con un biennio di applicazione da svolgere a Foggia. Questa nuova proposta ha il pregio di essere di facile attuazione, in quanto non richiede né un'apposita legge con le difficoltà di trovare i fondi per la copertura della spesa relativa; né un'altra legge per la creazione di un apposito titolo «esperto in genio rurale ». L'ordinamento del nuovo corso di laurea è il seguente: Durata: 4 anni, dei quali due anni accademici presso l'Università di Bari e due anni solari, ripartiti in 4 semestri, presso l'Istituto Universitario di Foggia: I semestre: 7 gennaio - 30 maggio. Esami sessione estiva: 1-15 giugno; Il semestre: 10 luglio - 5 dicembre. Esami sessione invernale: 6-20 dicembre. Quattro specializzazioni: I) Meccanica agraria, Il) Edilizia rurale, III) Bonifiche ed Irrigazione, IV) Industrie agrarie, da conseguire attraverso la differenziazione degli esami complementari ed il progetto di laurea. BIENNIO PROPEDEUTICO (presso l'Università di Bari) - A) Insegnamenti fondamentali: 1. Istituzioni di matematiche (biennale) - in comune con il corso di laurea in Chimica; 2. Fisica sperimentale (biennale) - in comune con il corso di laurea di Chimica; 3. Chimica generale ed inorganica con elementi di organica - in comune col corso di laurea in Matematica e Fisica; 4. Botanica - in comune con il corso di laurea in Medicina Veterinaria; 5. Zoologia generale - corso di laurea in Scienze Agrarìe; 6. Anatomia e fisiologia degli animali - corso di laurea in Scienze Agrarie; 7. Principi di economia politica e statistica - corso di laurea in Scienze Agrarie; 8. Disegno (biennale) - in comune con il biennio d'ingegneria. B) Insegnamenti complementari: Ia e IIa Specìalizzazione (Meccanica agraria ed Edilizia rurale): l. Meccanica razionale con elementi di statica grafica - in comune con il corso di laurea in Chimica; 2. Fisica tecnica - in comune con il corso di laurea in Chimica; 3. Mineralogia e geologia - corso di laurea in Scienze Agrarie. IIIa Specializzazione (Bonifica ed Irrigazione): 1) Ecologia - corso di laurea in Scienze Agrarie; 2) Geografia Fisica - in comu109 ne con il corso di laurea in Scienze Naturali; 3. Mineralogia e geologia - corso di laurea in Scienze Agrarie; IVa Specializzazione (Industrie Agrarie): l. Chimica delle fermentazioni e batteriologia industriale - in comune con il corso di laurea in Chimica; 2. Chimica analitica - in comune con il corso di laurea in Chimica; 3. Fisica tecnica - in comune con il corso di laurea in Chimica. BIENNIO DI APPLICAZIONE (da compiere, in internato, presso l'Istituto Universitario di Foggia) - I Semestre: 1. Agronomia generale; 2. Chimica agraria; 3. Economia e politica agraria; 4. Zootecnica generale e speciale; 5. Entomologia agraria; 6. Patologia vegetale; 7. Topografia. II Semestre: 1. Coltivazione erbacee ed arboree; 2. Idraulica generale ed agraria; 3. Meccanica agraria; 4. Costruzioni rurali; 5. Estimo rurale e contabilità; 6. Industrie agrarie. III Semestre: 1. Igiene applicata; 2. Tecnica delle trasformazioni fondiarie; 3. Complementi di Meccanica agraria; 4. Complementi di Idraulica agraria; 5. Complementi di Costruzioni rurali. IV Semestre (corsi di lezioni differenziate a seconda della specializzazione e del progetto di laurea prescelti). Ia Specializzazione in Meccanica agraria - 1. Macchine idrauliche; 2. Applicazioni elettro agricole; 3. Economia delle macchine agricole; 4. Trasporti agricoli. IIa Specializzazione in Edilizia rurale – 1. Costruzioni stradali; 2. Costruzioni in ferro, legno e cemento armato; 3. Ruralistica; 4. Tecnologia dei materiali da costruzione. IIIa Specializzazione in Boniftche e Irrigazione – 1. Tecnica delle colture irrigue; 2. Macchine idrauliche; 3. Costruzioni idrauliche (progetti); 4. Bonifica collinare e montana. IVa Specializzazione in Industrie agrarie - 1. Impianti industriali agrari; 2. Scienza dell'alimentazione; 3. Tecnica frigorifera; 4. Tecnica delle conserve alimentari. GIOVANNI CANDURA Prof. GIOVANNI CANDURA, direttore dell'Istituto di Meccanica Agraria dell'Università di Bari. 110 Appunti per la redazione di un piano decennale per lo sviluppo di Foggia L'Amministrazione comunale dì Foggia, retta da una Giunta di centro-sinistra, deliberò di affidare ad una triade di consulenti esterni la redazione di un piano di sviluppo di quella collettività, estendendo il raggio cronologico al futuro ottennio, così da far coincidere la validità del piano-base con le ricorrenti consultazioni elettoralì amministrative che, per il Comune di Foggia, avranno luogo, appunto. nel 1966 e nel 1971. La iniziativa, ratificata dalla competente autorità tutoria, è tanto più degna di nota, in quanto si andava a sovrapporre con un analogo sforzo compiuto dal Consorzio per il Nucleo omonimo di sviluppo industriale. Questo ente, costituito da alcuni anni, ma ancora non vitale per una serie di dolorosi impedimenti di natura giuridico-locale, promosse, difatti, la redazione di un documento economico-sociale e di uno urbanistìco-ingegneristico (queste le dizioni originali) che meriterebbe di essere conosciuto. In tale elaborato, fu dedicata una prevalente attenzione agli aspetti demografici per la prima parte ed infrastrutturali per la seconda, ritenendo, tacitamente, che l'elaborato medesimo non potesse essere altro che la prima fase di un accertamento ricognitivo e poi previsionale da perfezione una volta noti gli orientamenti di politica industriale del Consorzio. E’ subito evidente che tra questa analisi e quella richiesta dal Comune di Foggia si pongono alcune differenze basilari, che sarà opportuno richiamare introduttivamente: a) anzitutto un elemento territoriale: il piano del Consorzio si estende praticamente a tutto il territorio provinciale utilizzando, perciò, le statistiche esistenti a stessa base; il piano richiesto dal Comune ha una base esclusivamente comunale, salve le implicanze connesse a ricorrenti spostamenti di studenti e prestatori di opera; b) in secondo luogo, il Consorzio ha utilizzato esclusivamente dati statistici di base già disponibili per indagini Istat, Camera di Commercio, ecc. mentre il Comune ha fornito od ha richiesto dati numerici e di giudizio a base totalmente diversa; c) il Consorzio inoltre ha fatto soffermare l'attenzione dei suoi esperti solamente su dati demografici ed agricoli, limitandosi a descrivere analiticamente, laddove non poteva sintetizzare numericamente; il Comune, invece, impone questa sintesi per il reddito, per i consumi, per gli investimenti, ecc. oltre che per gli aspetti già comuni con la citata relazione. E’ fuori dubbio che, allorché i tre consulenti avranno esaurito il loro lavoro e nella ipotesi in cui riescano a farlo soddisfacentemente, ne deriverà un documento di altissimo interesse, probabilmente unico o quanto meno estremamente orìginale. Non risulta, difatti, che tentativi organici siano mai stati fatti, ad esempio, per ricostruire i dati relativi ai redditi, ai consumi ed agli investimenti per un piccolo ambìto territoriale resistendo alla tentazione di elaborare ulteriormente gli studi del prof. Tagliacarne e preferendo, invece, costruire ex-novo secondo una diversa metodologia. 111 Non è da dimenticare, peraltro, che essendo il committente una amministrazione comunale, i fini della indagine sono notevolmente diversi da quelli che potrebbero se fosse il Ministero del Bilancio e della Programmazione a commetterlo. Una amministrazione locale, difatti, tende a realizzare due scopi fondamentali che non possono e non debbono essere dimenticati se non si vuole falsare completamente il giudizio sul lavoro medesimo: a) anzitutto, prevedere con una certa precisione, quale sarà l'andamento della evoluzione demografica, per quantità totale, per classi di età, per sesso e per genere di occupazione, al fine di prevedere correlativamente le esigenze diverse cui l'amministrazione medesima potrà e dovrà far fronte; conseguentemente derivare, dalle previsioni sul reddito e sui consumi, le evoluzioni dei gettiti tradizionali del bilancio comunale così da tentare un primo raffronto indispensabile per una sana programmazione dell'amministrazione stessa; b) in secondo luogo raccogliere organicamente tutta una serie di dati di giudizio estremamente utili per poter degnamente «dialogare» con tutti gli enti aventi facoltà e potere di iniziativa sullo stesso territorio, come Cassa per il Mezzogiorno, Ministero dei LL. PP., Ministero della Pubblica Istruzione, Ministero dei Trasporti, Consorzi di Bonifica e di Miglioramento Fondiario, Amministrazione Provinciale, Comitati per la Programmaziine Regionale, ecc. ecc. Questi, molto sinteticamente, gli elementi del problema che l'Amministrazione di Foggia, dopo avere ampliamente dibattuto nella sua assise cittadina, ha sottoposto ai consulenti incaricati. La prima attenzione è stata dedicata alla evoluzione demografica del Comune, evoluzione che ha presentato prospetticamente alcuni problemi di non facile soluzione, sia perché i dati relativi ad alcuni accertamenti censuari anteguerra erano evidentemente viziati (si tratta di «vizi» dell'ordine del 15-20 per cento) da cause oggi molto difficilmente valutabili, sia perché le leggi evolutive negli ultimi anni presentavano delle anomalie dietro le quali evidentemente - si celavano delle cause extra-demografiche da chiarire con esattezza per la razionalità delle conclusioni. Si è così stabilito che la popolazione segue un trend ascensionale costante, il che non costituisce, ovviamente, un motivo di sorpresa, rallentato od accelerato periodicamente da fattorì estranei. La natura di tale estraneità è stata identificata da correlazioni stabilite tra l'andamento delle variazioni e quello degli incrementi del reddito nazionale: ne è derivata una conclusione piuttosto interessante perché si è visto che tanto più velocemente progrediva il reddito nazionale, tanto più si accentuava la stasi nella formazione delle eccedenze naturali della popolazione. In altre parole, le correnti migratorie da Foggia verso altre aree si accentuano allorché le possibilità di reperire una occupazione a miglior reddito si moltiplicano e si facilitano altrove, mentre rallentano, fino a trasformarsi in correnti immigratorie nei periodi recessivi. Il fenomeno apparentemente, potrebbe essere classificato come comune a tutti i centri abitati del Mezzogiorno d'Italia; in realtà, in questo caso, ci si trova di fronte ad un caso piuttosto peculiare. La collettività foggiana - come si vedrà meglio oltre - è costituita prevalentemente da occupati ìn agricoltura ed in pubbliche amministrazioni, mentre 112 il reddito di questi due settori funge da volano dei settori commerciali, artigianali e della piccola industria locale. Da ciò deriva una certa stabilità reddituale e sociale che, pur confidando nell'apatia e nella stasi priva di progresso, non pone il problema della occupazione in termini drammatici caratteristici di altre località. Non si hanno quindi flussi e riflussi di occupati stagionali o similari. Si hanno - esclusivamente - flussi di occupati a migliori condizioni che vanno altrove e flussi immigratori (lievi e solo nei momenti di maggiore preoccupazione economica nazionale) non già «in rientro» di foggiani già emigrati, quanto di abitanti della provincia che convergono, per diversi motivi o speranze, sul capoluogo. La definizione numerica di tali aspetti, controllata sugli andamenti degli ultimi 50 anni correlati con l'andamento del reddito nazionale, ha reso possibile la scelta intermedia di una previsione costituita da una perequazione analitica della curva di lungo periodo estrapolata per i prossimi dieci anni. Si è successivamente inserito un fattore di correzione consistente, appunto, nella variabile indipendente del reddito nazionale. Questa variabile è stata ipotizzata in modo da ritenere ascendente con una certa energia il reddito nazionale per gli anni compresi tra il '66 ed il '69 e prevedendo, invece, un rallentamento negli anni '70 e '71. Si è cioè ipotizzata una riproduzione ciclica delle espansioni economiche nazionali e dei periodi di raccoglimento, traducendola in flussi emigratori o migratori a correzione del movimento naturale della popolazione per nascite e decessi. Ne è risultata una sequenza di cifre, relativa agli abitanti di fine anno, che riproduciamo di seguito: Popolazione residente del comune di Foggia: 1861 1871 1881 1901 1921 1931 1951 31.562 38.138 40.548 53.134 66.772 55.763 97.738 1954 104.761 1957 112.020 1960 118.695 1963 124.471 ………………… 1971 140.000 1973 144.700 Questo perciò che concerne il numero globale degli abitanti. Per quello che si riferisce, invece, alle classi di età sono stati considerati determinanti l'allontanamento del periodo 46-50 che fu quello della esplosione demografica, e la generalizzata e piú completa assistenza medica anche nelle campagne. Entrambi considerazioni che propendono a far ritenere estremamente probabile un «invecchiamento» medio complessivo del nucleo di cui trattasi. Trattasi di un « invecchiamento » molto relativo, ma che fa sentire i suoi riflessi sulla percentuale di cittadini in età di scolarità, ad esempio, con conseguenti variazioni non proporzionali per le esigenze che si presenteranno alla amministrazione comunale. Tralasciando un gruppo di altre considerazioni marginali, si preferisce indicare quali sono stati i punti di arrivo cui si è giunti, esprimendo le varie classi di età in percentuale sui totali di ogni anno: 113 Popokizione residente del Comune di Foggia per classe di età: 0-14 anni 14-25 anni 25-45 anni 45-65 anni oltre 65 anni 1951 33 % 20% 27% 15% 5% 1961 31% 19% 27% 16% 7% 1971 30% 19% 26% 17% 8% Da questo lieve « invecchiamento » medio della popolazione derivano, inoltre, anche alcune conseguenze, rilevanti ai fini della amministrazione comunale, quale la graduale formazione di redditi fissi « pensionati » in numero e proporzioni crescente e, quindi, con minori sollecitazioni verso la beneficenza pubblica, o quale la relativa minore pressione di giovani in cerca di prima occupazione. Entrambe queste ipotesi sono state tenute presenti allorché l'attenzione degli analizzatori si è spostata verso la composizione della popolazione per categorie di occupazione. Ricostruzione che, nonostante l'ottimo funzionamento dei servizi statistici del Comune di Foggia, ha presentato difficoltà di rilievo per i criteri non sempre uniformi con cui vengono effettuati i censimenti e, d'altra parte, per la necessità di realizzare un inquadramento estremamente preciso, data la necessità di servirsene poi per l'analisi del reddito comunale. In modo particolare si è dovuta prestare la massima attenzione all'isolamento della parte non attiva della popolazione che è stata considerata tale con un criterio radicalmente dissimile da quello applicato dall'Istat, nel tentativo dì rendersi conto degli studenti in regime di scolarità obbligatoria, di quelli ìn regime di scolarità volontaria e degli inferiori di anni 6 non vincolati ancora a nessun obbligo di istruzione. Questo modo di procedere ha equivalso a ritenere, perlomeno sotto alcuni aspetti, attiva la popolazione studentesca o scolara e ad escludere, per la medesima aliquota, la denominazione di non-attiva che è stata limitata a casalinghe, invalidi, non-occupati, ecc. Seguendo questo particolare tipo dì analisi si è passati, quindi, alla valutazione delle circostanze che potevano, nel prossimo ottennio, rivestire un valore modificativo rispetto alla struttura degli ultimi anni. E’ stato così tenuto nel debito conto quanto era già avvenuto nel decennio 1951-1961, integrato e corretto con un esame delle prospettive economiche di Foggia nei prossimi anni. Il confronto tra i reperti censuari 51 e 61 poneva cosi in luce una serie di variazioni estremamente interessanti. 1) La popolazione occupata passava dal 23,80% al 28,23% del totale: constatazione tanto più ricca di significato, in quanto essendo la popolazione totale ascesa da 98, a 119mila unità, un incremento del 4,5% ha interessato ben 9 mila unità. E’ degno di nota la circostanza che tale incremento della occupazione ha interessato più o meno tutti i settori presi in considerazione, con particolare rìguardo per i settori commerciali che hanno fatto registrare una espansione del tutto particolare. Questo è avvenuto per la definitiva abolizione delle autarchie agricolo-famìliari di cui hanno beneficato, in special maniera i commercianti in derrate alimentari con conseguenze decisamente molto vistose. 2) Gli addetti alle attività industriali ed artigiane sono saliti dal 5,48% 114 al 6,18% del totale della popolazione, con un incremento che è da ritenere normale in quanto espressione di un saldo negativo derivante dal licenziamento progressivo da una grande industria locale del settore cartario e dal potenziamento di una miriade di piccole iniziative specialmente nel settore artigiano. 3) Gli addetti alle attività agricole hanno avuto un incremento dal 9,24 al 10,93% come conseguenza di un più intenso e razionale sfruttamento della terra e del graduale abbandono delle culture meramente estensive, verso altre forme di agricoltura specializzata ed intensiva, seppur con i limiti imposti dal clima arido della zona. 4) Per il settore commerciale già si è detto; non rimane da precisare che la dilatazione degli occupati ha interessato un aumento dal 2,96 al 4,46%. La fusione dei criteri indicati in precedenza in un unico criterio statistico ha così consentito una estrapolazione sufficientemente convincente delle tendenze già delineatesi nell'ultimo decennio, giungendosi ad un quadro prospettico che presenta dei dati di indubbio interesse e vale la pena di ricordare per la sua linearità: Andamento della struttura economica della popolazione: Occupati - industria ed artigianato - commercio - agricoltura - attività terziarie - amministrazione pubblica Non-occupati - verosimilmente disoccupati - in cerca di prima occupazione - non in scolarità (meno di 6 anni) - scolarità obbligatoria - altri studenti medi-superiori - popolazione effettiv. non attiva in totale 1951 1963 1971 5.355 7.355 9.800 2.892 5.316 5.600 9.033 12.998 16.800 3.801 4.927 7.000 2.500 3.000 4.200 6.769 802 --2.780 2.881 3.000 16.161 16.343 20.000 16.380 20.947 21.000 5.500 6.500 8.750 26.567 37.820 43.850 97.738 118.889 140.000 Su di una ricostruzione del genere si possono, indubbiamente, appuntare molte critiche per le variazioni introdotte rispetto ai canoni classici cui si è costantemente ispirata l'attività censuaria in Italia, nonché le elaborazioni dell'Istat. Resta, comunque, il fatto che ad una amministrazione comunale è molto più utile il dato statistico così formulato che non quello di conoscere genericamente quante persone aventi meno di 10 anni saranno presenti nel suo territorio. Basta esaminare le cifre che precedono per rendersi, infatti, conto di come sia conseguente per l'assessorato competente programmare l'adeguamento dei servizi scolastici elementari o, comunque, d'obbligo, nonché quelli superiori. In ogni caso, l'Amministrazione avrà in mano un documento utile a dialogare con i dicasteri dello Stato che intervengono a soddisfare le relative esigenze. Un maggiore interesse, mi sembra, può essere oggettivamente scorto nelle previsioni che vengono formulate per gli addetti ai vari settori. Mentre, a questo proposito, si può subito affermare che industria, attività terziarie e pubblica amministrazione sono state inquadrate in un ambito previsionale del tutto normale, altrettanto non può dirsi per il settore agricolo e per quello commerciale. 115 Per essere più chiari si potrà, difatti, stabilire come per industria, attività terziarie e pubblica amministrazione si è esclusa la possibilità (sempre, in ipotesi, ovviamente) di insediamenti produttivi di grossa mole che, per ciò stesso, possano o potrebbero rivoluzionare radicalmente le previsioni che precedono. Si è invece elaborato il metodo su di una ipotesi « normale », ovverossia di tranquilla e continua evoluzione positiva nel senso già riscontrato nello scorso decennio. Per il commercio si è ritenuto che il numero degli esercizi in atto sia in grado di soddisfare esigenze molto maggiori delle attuali, più attraverso una razionalizzazione dei servizi distributivi ed un ammodernamento delle tecniche di vendita seguite, che non attraverso un aumento degli addetti in una stasi numerica degli imprenditori. L'agricoltura, viceversa, è stata esaminata come un settore nel quale il fatto «nuovo» che si è ritenuto improbabile in altri comparti produttivi potrebbe verificarsi con un notevolissimo grado di probabilità. Il fatto «nuovo» cui si allude è il completamento dei lavori relativi allo imbrigliamento delle acque del torrente Fortore in un invaso per irrigazione ed alla costruzione di una rete di canali principali e secondari che permetterà una radicale trasformazione delle culture praticate da decenni in quel tenimento. È da precisare che la rete di canalizzazione interesserà una vasta parte della zona centrale e meridionale della provincia di Foggia per un totale di molte decine di migliaia di ettari, ma - ciò che interessa è appunto questo -comprenderà tutto intero il territorio foggiano nel suo ambito. Da un lato questa possibilità pone come una certezza una modifica totale dei metodi di coltivazione e delle specie stesse di coltivazione nel Comune di cui trattasi per il 1971 (come inizio, se non come fatto già concluso), e dall'altro apre una serie di opportunità ed occasioni di diversa natura. Per alcuni anni, difatti, il canale principale (che transita immediatamente a nord-ovest di Foggia toccandola in tangente) recherà al mare una parte delle acque non utilizzate, costituendosi, in tal modo, come mezzo di approvvigionamento per eventuali insediamenti industriali largamente bisognosi di tale « merce ». In un secondo momento - completata la rete capillare di irrigazione il canale principale non sarà più adduttore al mare di acqua altro che per pochi mesi all'anno, ma incominceranno a farsi sentire gli effetti benefici di una irrigazione su vastissima scala nelle falde freatiche della zona, già note, identificate e sfruttabilissime, una volta che si possa contare su di una minore aridità superficiale dei comprensori a «monte» dei punti di sfruttamento. Quello che si è già verificato nel decennio scorso potrebbe così perpetuarsi ancora nel prossimo, rendendo l'agricoltura foggiana una eccezione sulla media nazionale. Nel 1951-61 gli addetti all'agricoltura foggiana sono cresciuti numericamente ed hanno migliorato la loro qualità media per un avvio alla trasformazione culturale che ha trovato e trova un limite invalicabile nella aridità attuale. Le esperienze fatte, i profitti realizzati, l'abilità umana acquisita sia pure sporadicamente, costituiranno altrettanti fattori « esplosivi » in senso produttivo allorché l'acqua sarà disponibile per tutti nelle quantità sufficienti. È evidente che per un tenimento agricolo secolarmente estensivo che si 116 tramuta in intensivo-specializzato non può parlarsi di spopolamento delle terre, ma dovrà esaminarsi la possibilità di maggiore occupazione, nei limiti resi compatibili dal ricorso alla meccanizzazione. La differenza delle due tendenze ha portato a ritenere che, nel 1971, l'agricoltura foggiana, vedrà occupati non meno di 4.000 unità in più di quelle attuali, con un regime economico di più elevata produttività di settore e di addetto. Il secondo gruppo di considerazioni è stato rivolto alla struttura reddituale del Comune analizzato nell'intento di determinare un dato ritenuto fondamentale, costituito dalla somma dei redditi individuali maturati nell'ambito del territorio. È noto a tutti come le uniche indagini sistematiche realizzate in Italia sul relitto prodotto siano quelle curate da alcuni anni dall'Istat per grandi zone geografiche, sulle quali lo zelo del prof. Tagliacarne consente di disporre di successive approssimazioni provinciali. È anche noto come queste cifre debbano essere utilizzate con notevole cautela, poiché gli indici di derivazione usati rendono sempre possibile una distorsione che, pur rimanendo trascurabile nel contesto generale del Paese, può assumere un valore rilevante nel singolo. Per ciò che concerneva l'accertamento in questione, apparve subito evidente che i dati e le elaborazioni esistenti non erano utilizzabili per tre diversi ordini di considerazioni: a) per la approssimazione degli stessi che non poteva essere tollerata in una indagine che - tra l'altro - sarebbe dovuta servire di base per una programmazione fiscale (imposta di famiglia) richiedente una maggiore specificazione; b) per il diverso criterio metodologico di accertamento; all'amministrazione comunale di Foggia non interessando tanto il reddito economicamente prodotto dalla comunità da essa amministrazione rappresentata, quanto la somma dei redditi, monetariamente espressi, dei soggetti individuali, familiari, o collettivi aventi residenza o sede nel suo ambito territoriale; c) per l'ovvio bisogno di disporre di elementi numerici a base comunale e non provinciale come tutti quelli sin qui ricordati. Quanto precede ha immediatamente fatto accantonare l'ipotesi o l'idea di servirsi in un modo qualsiasi delle cifre reperibili attraverso elaborazioni preesistenti, anche se - per generiche finalità di controllo e di verificazione sono stati accuratamente analizzati due gruppi di cifre ai quali si è attribuito un valore esclusivamente indicativo: 1) anzitutto si sono esaminati i dati in possesso dell'amministrazione comunale per ciò che si riferisce alla imposizione di famiglia; denunzie, concordati, ricorsi, iscrizione a ruolo, sono stati altrettanti elementi che hanno condotto ad una valutazione globale finale alla luce della quale si è potuto affermare che il Comune di Foggia valutava in x miliardi il reddito tassabile utilmente, ed escludendo da quel valore - ovviamente - la parte non perseguibile per la sua esiguità unitaria e per le difficoltà oggettive di accertamento; 2) in secondo luogo si è esaminata accuratamente la provincia di Foggia nelle elaborazioni del prof. Tagliacarne ricavandone alcune sensazioni che hanno trovato un equivalente numerico in un tentativo di specificazione a livello comunale. Si è, cioè, calcolato che, ove esatti fossero stati i calcoli del prof. Taglia117 carne a livello provinciale e noto il suo sistema di elaborazione, si poteva controdedurre un reddito comunale che avrebbe avuto le seguenti consistenze per gli anni indicati: reddito netto prodotto nel comune di Foggia: 1951 - compreso tra 10 e 12 miliardi di lire; 1960 - idem fra 19 e 24; 1961 - idem fra 26 e 31; 1962 - idem fra 33 e 41; 1963 - idem fra 36 e 43. Si noti che non sono state enunziate delle cifre assolute ma dei limiti bilaterali che costituiscono la espressione di alcune incerte attribuzioni di « peso » ai vari fattori in corso di valutazione. La conclusione fu, comunque, che - secondo le stime del citato studioso - il reddito cittadino doveva avere avuto, nel corso del 1963, una dimensione presuntiva di 40 miliardi di lire; pur rigettando ogni tentativo di confronto diretto con le cifre ottenibili per altra via a causa delle diversità metodologiche ed economiche di contenuto, la cifra indicata rimaneva come termine di valutazione della vicinanza o meno al reale. A questo punto, non rimaneva che porre a fuoco i termini esatti dell'indagine da perseguire ed i limiti di approfondimento da utilizzare. Una prima suddivisione (e se ne è parlato) veniva effettuata in base alla diversa qualificazione giuridica degli interessati, debitamente integrata, così da costituire uno schema del quale si sarebbero poi dovute completare le varie « caselle ». Si addivenne, in tal modo e secondo i criteri esposti, alla formulazione di un elenco di categorie di redditi facenti capo ad altrettante categorie di cittadini foggiani: Redditi fissi: occupati nell'industria e nell'artigianato; occupati nel commercio; occupati nell'agricoltura; occupati nel servizi e nelle attività terziarie; occupati nelle pubbliche amministrazioni; redditi dell'investimento dei capitali in valori mobiliari, depositi bancari e postali; redditi da vitalizi o da regimi di pensionamento. Redditi professionali: professionisti residenti nel Comune. Redditi imprenditoriali: imprenditori del settore industria ed artigianato; imprenditori del settore commerciale; imprenditori del settore agricolo; imprenditori del settore terziario. Redditi immobiliari: canoni di affitto e locazione di immobili. 118 In ciascun caso si è fatta estrema attenzione alla residenza anagrafica presumibile dei beneficiari del reddito, per la esclusione di tutti i redditi che, pur prodotti nel Comune di Foggia, affluissero a beneficiari residenti in aree a quella considerata e per la inclusione di quei redditi che - all'inverso - pur prodotti in altre aree affluissero a cittadini di questo comune. La determinazione dei redditi derivanti da contratti di prestazione d'opera è stata abbastanza agevole per la qualificazione certa dei soggetti e per la possibilità di determinare con notevole precisione il numero ed il ruolo; la esistenza poi di contratti collettivi o di tabelle comunque aventi forza di legge ha consentito una serie di semplici prodotti il cui risultato equivaleva a quanto desiderato. A parte sono stati presi in considerazione gli assegni familiari dovuti ai prestatori d'opera e costituenti dei cespiti reddituali, nel complesso piuttosto ingenti. Il lavoro di ricerca e di deduzione è stato notevolmente facilitato laddove, come nel caso delle pubbliche amministrazioni, delle Ferrovie dello Stato, degli enti previdenziali, assicurativi, bancari, ecc. esisteva la possibilità di apprendere direttamente la consistenza delle cifre erogate nel corso del 1963 come emolumenti a dipendenti residenti nel Comune di Foggia. Sì è dovuto ricorrere, invece, ad una approssimazione maggiore allorché si è trattato di accertare l'ammontare dei redditi derivanti da investimenti di capitali in titoli mobiliari, in depositi bancari e postali. Come elementi di giudizio sono stati presi gli ammontari dei titoli in deposito a custodia presso le banche foggiane, le cedole pagate dalle medesime alle scadenze varie, nonché l'ammontare dei depositi bancari e postali della città medesima. Il risultato raggiunto, probabilmente, non costituisce un capolavoro di precisione, ma dovrebbe essere, in ogni caso, il massimo di approssimazione possibile date le circostanze e considerati gli elementi reperibili e disponibili. Ben diverso è stato il caso dei vitalizi e dei redditi da regimi di pensionamento, per i quali era possibile contare su cifre sicure fornite dalle amministrazioni cui fa carico l'erogazione e che hanno consentito un bilancio assolutamente fedele alla realtà. A questo punto l'indagine ha rilevato la prima sorpresa del suo corso in quanto ha condotto ad un totale largamente superiore a quello che - secondo indicazioni largamente orientative raccolte « in loco » prima della impostazione della indagine completa -, era stato considerato un punto probabile di arrivo. Il totale è stato, difatti, calcolato in 25.655 miliardi di lire per il 1963, con margine ristrettissimo, di errore e con la seguente specificazione: - occupati nell'industria e nell'artigianato - occupati nell'agricoltura - occupati nel servizio e nelle attività terziarie - occupati nel commercio - occupati nella pubblica amministrazione - vitalizi e pensioni - interessi su capitali 7.000 6.500 5.800 2.180 6.360 3.060 600 milioni circa » » » » » » » » » » » » Si sottolinea con particolare vigore il già ricordato « ristrettissimo margine di errore », in quanto il metodo seguito ha consentito degli accertamenti così dettagliati da contenere al minimo ogni illazione ed ogni possibilità di errore dovuta ad erronea interpretazione dei fenomeni mal definiti. Questa contrazione massima dell'incerto e dell'approssimato non è stata 119 evidentemente possibile in eguale grado per i redditi professionali, anche se per qualche categoria - la esistenza degli istituti previdenziali e di assistenza facilita notevolmente l'induzione. Per i redditi professionali - oltre tutto - l'universo era costituito da relativamente pochi soggetti, come è facile intuire, strutturati nelle seguenti categorie: 166 avvocati; 38 procuratori; 144 ingegneri; 17 notai; 238 medici; 47 ostetriche, 12 veterinari 79 farmacisti; 40 commercialisti; 20 geometri; 10 diversi. Vari criteri impiegati ed alcune possibilità di restringere il campo, così, condotto ad una cifra totale di oltre 2 miliardi di lire. Totalmente diverso, necessariamente, è stato il sistema seguito per quantificare monetariamente il reddito conseguito dagli imprenditori foggiani ed assolutamente lontana ogni speranza di poter giungere ad un accertamento rigido e certo. Per quanto riferibile al settore agricolo le difficoltà non sono state molte perché l'Ispettorato Agrario Provinciale è stato in grado di fornire con estrema esattezza i quantitativi di merci-base prodotti dal tenimento di coltivazione. Da ciò si è potuto ricavare un conto economico netto della economia agricola foggiana, piuttosto interessante ed il cui saldo è apparso pari ad oltre 5 miliardi di lire. A questa cifra sono stati aggiunti i ricavati provenienti da alcune derrate non costituenti oggetto di rilevazione da parte dell'Ispettorato citato e, cioè, latte, uova, carne e prodotti ortofrutticoli minori. Da una valutazione piuttosto accurata effettuata tenendo conto delle consistenze zootecniche censite e risultate agli accertamenti sanitari del Comune interessato si è giunti a calcolare in circa 1500 milioni questi profitti netti marginali che hanno così condotto ad oltre 6,5 miliardi di lire il reddito netto della agricoltura foggiana facente capo agli imprenditori locali. Un diverso criterio ha ispirato la ricerca relativa al settore commerciale, che, se da un lato beneficiava di una assai precisa conoscenza della distribuzione commerciale foggiana (come numero, tipo e dimensione di esercizi), dall'altro si imbatteva nella colossale incognita di fissare - almeno - una media unitaria di fatturato per tipo di esercizio. Inoltre, a complicare il già non semplice problema, veniva la considerazione che per molti pubblici esercizi, per negozi di articoli di lusso e similari esiste una clientela che gravita su Foggia come su ogni capoluogo e che sposta, quindi, nell'atto dell'acquisto alcune logiche geografiche. Per essere più chiari, a Foggia si vendono bevande e simili, preziosi, mobili, tessuti ed elettrodomestici che vengono acquistati da cittadini della provincia o di passaggio: non si può, quindi, tenere conto dei consumi medi ipotetici del foggiano medio perché si andrebbe fatalmente a sottovalutare la realtà delle cose. Contro queste difficoltà è stato possibile, per contro, avvalersi delle imposte di consumo, come di un mezzo che ha reso possibile controllare abbastanza attentamente generi di molte nature cosí da arrivare alla conclusione che la rete commerciale di Foggia nel corso del 1963 ha distribuito beni per 35 miliardi di lire e con utile netto per i rivenditori all'ingrosso ed al minuto non inferiore ai 4 miliardi di lire. La complessità del settore industriale ha reso necessaria - com'è facilmente intuibile - una specificazione per classe che ha condotto ad una serie 120 distinta di rilevazioni, caratterizzate da diverso grado di difficoltà e di incertezza. Nel caso dell'industria della carta e della cellulosa, ad esempio, è stato molto semplice giungere ad una conclusione data la esistenza di un unico soggetto industriale di grande dimensione. Lo stesso settore delle costruzioni edilizie e di impianti ha dato molto meno incertezze di quanto si possa pensare, perché la conoscenza dei prezzi di mercato dei singoli tipi di immobili costruiti nel corso del 1963 e ha simultanea conoscenza dei prezzi pagati dagli imprenditori per realizzare le costruzioni (costi delle aree, dei materiali, della mano d'opera, ecc. ecc.) hanno reso possibile un riesame critico dei dati già acquisiti presso l'Ufficio del Registro per cìò che concerne la determinazione consensuale degli importi contrattuali da assoggettare da imposta. Mentre la quantità totale degli immobili costruiti nel 1963 è stata calcolata con un notevole margine di precisione, lo stesso valore unitario ha soddisfatto per la approssimazione elevata di determinazione. La conclusione monetaria di questo iter ricostruttivo è stata quella di stabilire in circa 3,5 miliardi di lire l'utile imprenditoriale di settore; cifra questa che ha, però, costituito un unicum, rispetto agli anni passati; per la sua elevatezza ed è da considerare, comunque, difficilmente ripetibile in avvenire; ha pur sempre, però, rappresentato una occasione di profitto che autofinanzierà iniziative produttive anche in altri settori con un beneficio finale per quella comunità. Tralasciando di passare in rassegna con maggiore dettaglio tutti gli altri rami di produzione artigianale od industriale basterà rilevare che, nel suo grande complesso, questo raggruppamento economico, ha fornito redditi imprenditoriali individuali a cittadini foggiani per circa 17 miliardi di lire. La determinazione dei redditi provenienti ai proprietari foggiani dalla locazione di immobili non è stata ancora completata, in quanto il sondaggio campionario affrontato non è stato ancora esaurito, ma si può prevedere che il gettito complessivo dovrebbe aggirarsi intorno ai 3 miliardi di lire sempre per il 1963. Tutto quanto precede indica come il reddito globale della città di Foggia sia cosi sintetizzabile: - redditi fissi - redditi professionali - redditi imprenditoriali - redditi immobiliari - redditi totali 26 miliardi circa 2 » » 17 » » _4_ » » 49 idem La cifra è apparsa soddisfacente, in quanto in 40 miliardi era stato già precalcolato orientativamente il reddito netto prodotto nella città. Tenendo conto delle approssimazioni triplici contenute nella definizione di tale reddito netto e delle duplicazioni economiche insite nella valutazione di tutti i redditi individuali si dovrebbe - cioè - pervenire ad un totale pareggiante che convalida reciprocamente le due vie seguite in questa fase del lavoro. Mentre questo breve studio viene redatto i compilatori del piano sono occupati nella rassegna dei consumi della città di Foggia, ovverossia nello studio delle destinazioni a consumi che i cittadini fanno de redditi di loro spettanza. 121 Una parte di estremo rilievo è stata dedicata alla parte alimentare nell'intento di fornire delle indicazioni molto precise all'amministrazione comunale su ciò che sarà l'avvenire delle imposte di consumo come mezzo di finanziamento delle occorrenze di bilancio e su ciò che potrà essere l'eventuale insediamento di industrie alimentari (oggi esistenti solo a livello artigianale) in presenza di un mercato autonomo di consumo di mole piuttosto ampia. Le statistiche dei generi soggetti a dazio ed i risultati di un sondaggio campionario per ciò che si riferisce al consumo delle derrate alimentari hanno così consentito di stabilire dei punti certi per il 1963 ed un movimento tendenziale dal 1963 ecco la sintesi dei risultati ottenuti: consumi e derrate alimentari nella città di Foggia nel 1963: (milioni di lire per prezzi al consumo) - carni di grosso taglio - pesce ed animali minori - carne e pesce conservati - derivati del latte - pane, pasta e riso - legumi - condimenti - latte ed uova - dolciumi - ortofrutticoli - bevande alcooliche e non - diversi in totale consumi per 2.350 690 665 815 1.905 300 1.265 765 700 2.850 1.315 __1.480 L . 15.000 Su tali derrate sono stati, successivamente, applicati i motivi tendenziali riscontrati e consistenti in: a) una elevazione progressiva della qualità e della quantità delle carni consumate; b) una contrazione costante nei consumi di pesce conservato ed una dilatazione abituale di quelli di carne salata; c) una stasi quantitativa con una elevazione quantitativa nei consumi di amidacei; d) un fenomeno equivalente per le derrate ortofrutticole; e) una dilatazione quantitativa e qualitativa nei consumi dolciari; f) una lieve tendenza alla maggiore spesa nelle bevande. Tali modificazioni hanno ricevuto un valore monetario supponendo costante il potere di acquisto della moneta 1963 per facilitare il calcolo e rendere più agevole i confronti del caso; il tutto è stato necessariamente riferito alla popolazione esistente nel 1971 e nel 1973 così da completare l’indagine. I risultati finali sono stati quelli di stabilire in 19.570 milioni i consumi per derrate alimentari nel corso del 1971 ed in 20.220 per il 1973, con una serie di considerazioni accessorie per ciò che si potrà riferire alla struttura degli incassi per imposte di consumo che potranno derivarne all'amministrazione comunale competente. Una analisi di protesti cambiari (in quanto fatto traumatico di un mezzo normale di pagamento per l'acquisto da privati di beni di consumo durevole) e l'abituale uso delle « voci » interessate del gettito imposte di consumo hanno 122 consentito di provvedere alla redazione di un bilancio globale dei consumi realizzati - sempre nel 1973 - per oggetti di abbigliamento, elettrodomestici ed altri prodotti. Il risultato in corso di verificazione in questo periodo è stato quello di un consumo totale per 20 miliardi circa, suddiviso, approssimativamente, in 1/3 di tale cifra per l'abbigliamento, gli accessori ed i tessili per la casa, 1/3 per gli elettrodomestici, i mobili e simili beni di consumo durevole, 1/3 per i mezzi di locomozione ed i beni diversi. Per l'esattezza la somma effettivamente calcolabile come valore corrente di beni acquistati dovrebbe essere stata maggiore, ma la cifra pagata effettivamente nel corso del 1963 non dovrebbe avere superati i 20 miliardi di lire. Il resto è stato assunto a carico dei maggiori redditi avvenire in cui ogni individuo spera per la sistemazione del proprio bilancio familiare e di cui, appunto, il protesto cambiario è un indice sufficientemente orientativo per il genere e la quantità. Sempre in tema di consumi sono stati poi considerati i costi dell'abitazione che già noti per la parte relativa alle locazioni in favore di residenti nel comune di cui trattasi, dovevano essere opportunamente integrati con le locazioni in favore di non-residenti (compagnie di assicurazione, istituti previdenziali, ecc.), nonché con i canoni di ammortamento e riscatto pagati ad istituti esercenti il credito fondiario o comunque abilitati alla vendita in qualche modo rateale o differita. Si è cosi giunti ad un totale di circa 10 miliardi di lire che ha elevato, in conclusione, a 45 miliardi le spese per consumi degli abitanti di Foggia. Le due cifre - 49 miliardi il reddito e 45 miliardi i consumi -, hanno una loro eloquenza che ne renderebbe superfluo il commento: la differenza e, difatti, così esigua che gli investimenti liberamente effettuabili da parte di quella comunità appaiono decisamente molto ridotti, sopratutto se si tiene conto che, mentre la parte relativa al reddito non dovrebbe offrire il fianco a sopravalutazioni, molto probabilmente i consumi hanno avuto un andamento lievemente superiore a quello che è stato possibile calcolare. In linea teorica ci si trova di fronte ad una sostanziale incapacità di modificare radicalmente il ciclo economico per la scarsezza delle risorse destinabili ad investimenti produttivi, mentre appare chiaro che una marcata propensione a certi tipi di consumo renderebbe vitali iniziative tendenti, almeno, a soddisfare tali esigenze direttamente « in loco ». Questa parte riguarda però una panoramica piú vasta e più dinamica che comprende gli investimenti effettuati da quelle amministrazioni pubbliche per le quali non tutto il reddito effettivamente « prodotto » in Foggia è stato considerato (basterebbe il caso delle Ferrovie dello Stato) o per quelle altre figure giuridiche che a Foggia hanno degli interessi e che, con ogni probabilità, continueranno a considerarlo positivamente come un buon mercato di investimento. Tutto ciò non basta ed è stato appunto per poter giungere a disporre di un efficace strumento ricognitivo di dialogo e di contrattazione che quella amministrazione locale ha deciso di pervenire ad una sintesi numerica, altrimenti non ricavabile. Nei prossimi mesi la Commissione Regionale per la Programmazione Pugliese dovrebbe iniziare i suoi lavori; in quel momento sul tavolo della discussione sarà anche il documento del quale si è parlato; esso non sarà pro123 babilmente il migliore nè l'unico, ma sarà certamente un invito a fare altrettanto da parte delle zone che ne fossero sprovviste per sostituire finalmente alle sensazioni le notizie, ed agli orientamenti irrazionali e spesso improvvisati, delle opinioni meditate e documentate. MARCELLO di FALCO ____________ Dott. MARCELLO DI FALCO, Roma. FOGGIA (1898) - Palazzo Civico a Porta Arpana 124 MANIFESTAZIONI NAZIONALI La XV Fiera dell'Agricoltura in Foggia La XV Fiera dell'Agricoltura in Foggia è stata inaugurata il 30 aprile dal Ministro Delle Fave al quale l’on. Meo, che presiede l'Ente « Fiera di Foggia », ha rivolto un caloroso saluto, rilevando come la nuova edizione riproponga in termini di urgenza per tutta l'economia italiana i dibattuti temi del mondo agricolo meridionale. Nel suo discorso inaugurale l'on. Delle Fave, dopo essersi compiaciuto dei progressi della manifestazione agricola di Foggia, riconoscendo a questa il titolo di « capitale agricola del Mezzogiorno », ha ribadito la necessità di un impegno reciproco dello Stato e degli operatori agricoli, per assicurare un migliore avvenire all'economia meridionale. E’ seguita la inaugurazione delle mostre fieristiche con un cordiale scambio di idee tra gli espositori dei vari settori. Nel settore zootecnico, invece, la Fiera si è animata sin dalle prime ore del mattino, con l'effettuazione del IV Mercato Nazionale del Bestiame Bovino e i lavori delle giurie, per le rassegne e i concorsi zootecnici. Nella sua seconda giornata, con la visita del sottosegretario on. Guadalupi, il Campo Fiera ha ospitato la « IV Giornata del Gargano », organizzata dal Consorzio di Bonifica Montana, sui problemi della zootecnia garganica. Vi si è effettuata la premiazione inerente alle rassegne bovine. Il 2 maggio si è svolto un ricevimento offerto dalla Delegazione francese in Fiera alle autorità cittadine e ai rappresentanti della stampa. Nel pomeriggio si è effettuata la « Giornata della Germania », la cui presenza nel mercato fieristico ne conferma la validità commerciale. A cura dell'Amministrazione Provinciale di Foggia si è svolta una « Conferenza sui problemi dell'agricoltura nella Capitanata », in base a relazione del prof. Scardaccione, direttore generale dell'Ente Riforma di Puglia, Lucania e Molise, sulla realtà odierna e sulle prospettive di sviluppo dell'agricoltura dauna. Particolare successo ha arriso al settore avicolo, nel grande padiglione che ha ospitato contemporaneamente sia le mostre dei soggetti vivi delle varie razze introdotte in Italia, sia la esposizione delle attrezzature e dei mangimi. Il 3 maggio si è tenuta la « Giornata Europea », organizzata dall'Ente Fiera in collaborazione con il servizio stampa della Comunità Europea. Il Convegno, al quale hanno partecipato esponenti politici nazionali e comunitari, ha dibattuto i problemi relativi al Mezzogiorno agricolo nell'ambito della Comunità, che ha esposto in un padiglione divulgativo le attività della CEE, della CECA e dell'EURATOM. Con l'intervento del vice presidente della Cassa per il Mezzogiorno, avvocato Michele Cifarelli, ha avuto luogo in Fiera un raduno di agricoltori indetto dalla Confederazione Unitaria della Produzione Agricola, che intende svolgere un'azione calmieratrice e intermediaria fra la produzione delle macchine agricole e gli 125 agricoltori associati. A tale scopo, infatti, l'Associazione ha anche allestito in Fiera un proprio stand, presentando macchine di case italiane ed estere, offerte in vendita direttamente agli associati. L'esposizione ha avuto grande successo anche per la larga diffusione fra i visitatori di materiale illustrativo approntato dall'Ufficio Stampa della Comunità e per la riuscita iniziativa di far parlare su registrazione i piú noti esponenti dell'agricoltura meridionale. Per la « Giornata della Cooperazione » sono affluiti in Fiera migliaia di assegnatari dell'Ente Riforma e presidenti di cooperative aderenti alla Federazione Nazionale della Cooperazione Agricola. il movimento cooperativistico italiano aderente alla Federazione conta circa 110 mila soci fra imprenditori agricoli e piccoli proprietari della Riforma agraria, che fanno capo a circa settecento cooperative di servizi, a centotrentacinque cooperative di trasformazione e a oltre duecento mutue bestiame. Rilevante la presenza di grandi ditte a carattere internazionale, fra le quali la Ford, sempre più interessata alla manifestazione foggiana, non solo come sicuro mercato di vendite, ma come polo dello sviluppo agricolo del Mezzogiorno. Nel quadro delle manifestazioni riservate all'avicoltura specializzata, pieno successo ha arriso alla « V Mostra - Concorso degli allevatori avicoli del Mezzogiorno ». La manifestazione ha lo scopo di favorire il miglioramento, il potenziamento e la difesa della pollicoltura nel Sud, nonché mettere in evidenza i lavori di miglioramento svolti da imprese agricole specializzate. « Le Prospettive dell'Ortofrutticoltura della Puglia » è stato il tema di un convegno del 5 maggio. Alla relazione generale tenuta dal prof. Cupo della Facoltà di Agraria di Portici, sono seguiti interventi del dr. Musenga del Servizio bonifiche e trasformazioni fondiarie della Cassa per il Mezzogiorno, del dr. Porcelli, direttore della Stazione Agraria Sperimentale di Bari e del dr. Biasoli, direttore della Centrale Ortofrutticola di Foggia. Successivamente ha avuto luogo una visita alla Centrale Ortofrutticola presso il Quartiere fieristico, sorta per iniziativa della Camera di Commercio, del Consorzio Generale di Bonifica, dell'Ente Riforma e di altri Enti e associazioni locali di produttori, i cui impianti consentiranno la possibilità di sfruttamento sia per prodotti ortofrutticoli di breve e di media e lunga conservazione. Nella stessa giornata si è avuto la visita dell'ing. Hanke, direttore dell'Associazione Nazionale Tedesca dei Produttori di Macchine Agricole, il quale ha manifestato l'interesse particolare della industria meccanico-agricola tedesca per la Fiera. Il giorno successivo, presenti numerosi allevatori di tutta l'Italia centromeridionale, ha avuto inizio la Fiera Nazionale del Bestiame, tradizionalmente impostata sui mercati equino, bovino e suino, cui sono riservati gli ultimi tre giorni della manifestazione, periodo di maggior affluenza in Fiera di operatori e di visitatori. Si è svolta anche la « IV Giornata dell'Istruzione Tecnica » con una larga partecipazione di docenti e discenti, convenuti in Fiera per esaminare la possibilità di istituire a Foggia una facoltà universitaria di Genio Rurale, aspirazione antica della popolazione della provincia. Relatore è stato l'ing. Candura, che ha indicato i motivi di scelta della sede e ha illustrato il piano di attuazione dell'iniziativa e l'adesione degli enti locali. Il 7 maggio ha registrato la visita del presidente della Camera dei Deputati, on. Bucciarelli-Ducci. « Avevo conoscenza - egli ha detto - attraverso le informazioni della stampa nazionale, della importanza di questa Fiera. Visitatala, ogni mia previsione è stata superata dalla realtà. È una manifestazione che ono126 ra non soltanto l'Ente che l'organizza con intelligenza e fervore ammirevole e la Città che l'ospita, ma tutto il Paese». Nella stessa giornata, continuando la Fiera Nazionale del Bestiame, indetta dall'Associazione Italiana Allevatori, si è celebrata la « I Giornata della Zootecnica » con un tema di grande interesse: « Gli aspetti organizzativi della fecondazione artificiale nel Mezzogiorno d'Italia», su relazione del prof. Valerani. Organizzato dall'Associazione Nazionale Giovani Agricoltori, si è tenuto anche il tradizionale raduno di giovani imprenditori ad essa aderenti. Dopo la visita ai settori della Fiera, essi hanno tenuto una interessante discussione sulla produzione unitaria agricola in Italia paragonata a quella di altri paesi di elevata agricoltura, come gli U.S.A. La relazione generale è stata tenuta dal prof. Carrante. Il dibattito è stato autorevolmente diretto dal dr. Chidichimo, segretario generale dell'A.N.C.A. L'8 maggio la XV edizione della Fiera è stata ufficialmente chiusa dal sottosegretario dell'Industria e Commercio, on. Danilo De Cocci, in rappresentanza del Governo. Egli ha dichiarato che: « l'Italia, con la manifestazione di Verona, può contare, nel Sud, su una seconda Fiera Internazionale dell'agricoltura perché questa Fiera ha tutti i titoli dell'internazionalità ». A chiusura della edizione la Segreteria generale dell'Ente ha emanato il comunicato conclusivo, per documentare la vitalità del più importante centro agricolo del Mezzogiorno. (il «Mastro») EDIZIONI DELLA FIERA. Durante le intense giornate, comprese nel nutrito calendario delle manifestazioni fieristiche, l'Ente ha presentato una serie di pubblicazioni ufficiali, curate dal suo segretario gen.le prof. Vitulli. Tra esse, oltre il voluminoso catalogo delle mostre e degli espositori, molto apprezzato il n.u. intitolato Foggia 1964: un "rotocalco" impresso a Foggia, ricco di illustrazioni, con il seguente sommario, in aggiunta alla cronaca delle "giornate": L'Amministrazione Comunale e la Fiera dell'agricoltura di Foggia; L'Istituto di Genio Rurale; (CARLO FORCELLA) Camera di Commercio I. e A.; Consorzio per il nucleo di sviluppo industriale di Foggia; La Fiera e i nuovi studi sulla Dogana di Foggia e il Tavoliere di Puglia (MARIO SIMONE); Consorzio Agrario Provinciale di Foggia; Istituto Autonomo per le Case Popolari della Provincia di Foggia; Istituto Professionale di Stato per l'Agricoltura; Consorzio di Bonifica Montana del Gargano; Ente Nazionale Prevenzione Infortuni; Consarzio Dauno per la valorizzazione Turistico-Economica del Gargano; Automobil Club; Cooperativa Daunia Latte; Azienda Autonoma di soggiorno e turismo di San Giovanni Rotondo (ANTONIO CASCAVILLA) 127 PALAZZO DOGANA La nuova Giunta Provinciale La seconda Giunta di centro-sinistra, presieduta dall'avvocato Gabriele Consiglio ed eletta nella seduta del 6 luglio 1963, dopo aver operato per circa un semestre, si dimise il 18 febbraio 1964 in seguito alla mancata approvazione, da parte del Consiglio Provinciale, del bilancio di previsione per l'esercizio 1963. All'atto della crisi, lo schieramento dei gruppi politici in seno al Consiglio Provinciale, per alcuni mutamenti verificatisi, risultò essere il seguente: 11 consiglieri del P.C.I. 10 » della D.C. 2 » del P.S.I. 1 consigliere del P.L.I. 1 » del P.D.U.M. 1 1 1 2 » del P.S.D.I. » del P.S.I.U.P. » del M.S.I. consiglieri indipendenti di sinistra. Dopo una serie di votazioni infruttuose, nella seduta del 2 marzo, si arrivò per ballottaggio alla elezione a presidente del dott. Savino Vania, che accettò con riserva, e alla elezione, nella seduta del 16 marzo, in seguito allo scioglimento iri senso positivo della riserva da parte del presidente neo-eletto, di una nuova giunta minoritaria appoggiata dal PCI (11), dal PSIUP (1) e dai due consiglieri indipendenti di sinistra, professori De Miro e Bafunno. Questi i nomi dei suoi componenti, con le rispettive attribuzioni: Savino Vania: Programmazione Pasquale Panico: V. pres. e Lavori Pubblici Filippo di Venosa: Personale Emilio Amoroso: Assistenza Pasquale Ricciardelli: Bilancio, Finanza e Contenzioso Matteo Merla: Pubblica Istruzione Nicola d'Andrea: Caccia e Pesca Antonio Nardella: Turismo Lorenzo Dell'Osso: Igiene e Sanità. 128 FIERA DELL’AGRICOLTURA IN FOGGIA Aspetti della XV manifestazione nazionale ( Fotografie di Leone, g.c. dall’E.A. « Fiera di Foggia » ) LA NUOVA GIUNTA PROVINCIALE Il Presidente dottor Savino Vania ( Fotografia « Olimpia » ) Programma della nuova Giunta Provinciale Signori Consiglieri, (Omissis) questa premessa ha voluto dimostrare due cose: l'una, quella della particolarità di una situazione obiettiva alla Provincia, l'altra quella, che la nostra decisione, se pure è discesa direttamente dalla valutazione interna di quella situazione, contiene motivi di più vasto respiro e di più vasta portata che non possono essere ristretti alla visione - assai interessata e particolaristica - di un trasformismo strumentale, né a quella, d'altra parte, che non debba ritenersi valida e quindi da far cadere ad ogni costo una giunta che non sia maggioritaria, perché quando si teorizzasse una simile posizione se ne comprenderebbe subito l'assurdità se non altro per l'assurdo principio secondo il quale ogni volta che si verificasse una giunta minoritaria bisognerebbe ricorrere ad una gestione commissariale, vi fossero o no le condizioni per ricorrere all'elettorato. Sono qui i motivi che ci consigliano di non restringere il dibattito a questa aula e di promuovere iniziative per cui il dibattito, l'incontro o lo scontro, le scelte, le maggioranze che venissero a costituirsi fossero soprattutto il portato e il risultato di una battaglia politica non di vertici, ma delle masse. Noi saremmo soddisfatti di avere contribuito a questa lotta e a questa battaglia anche con i limiti di questa giunta che né voi né noi ignoriamo. Il problema dell'agricoltura, dell'industria della città e della campagna, la questione meridionale che pare già ridimensionata ai termini tradizionali delle incentivazioni - anche con le aree e con i nuclei - e 129 praticamente della soggezione degli interessi meridionalistici a quelli del nord industriale avanzato, in provincia di Foggia, la questione del rapporto industria-agricoltura e degli indirizzi generali di una programmazione per le tre zone del Tavoliere, del Subappennino e del Gargano da inserirsi nel contesto di una unità regionale e nazionale - come anche la scoperta del metano e della sua utilizzazione - premono nel senso di una azione, di un intervento immediato che sia di conoscenza deì problemi di tendenza e di una loro giusta collocazione nella tematica generale di un indirizzo antimonopolista e nel contempo, anzi, soprattutto, già di incontro di forze e di organizzazioni, di partiti, di enti e di nuove istanze di potere e di direzione. Problema economico e politico quello della programmazione che nelle strette economiche odierne viene a rompere tra l'altro anche gli attuali obbligatì schemi di una necessaria maggioranza precostituita, quando non vi sia o non vi siano le condizioni reali per ottenerla, e, specie, se si tiene conto del fatto che anche questa può risultare vuota di contenuto se non sa mettersi alla testa del movimento, non lo sa indirizzare e finisce poi col perdersi dietro le vie intricate e i mezzi concertati ed assai bene articolati della politica dei monopoli. Direi che il metano, gli altri bene della terra e della ricchezza che produce tutto il lavoro umano rischiano di perdersi per infiniti rivoli e di essere convogliati per le solite destinazioni se non si sanno bene indirizzare e non servono a creare condizioni oltre che di progresso generale, di maggiore giustizia sociale, se non creano cioè - con nuovi poteri - nuovi valori umani e sociali, cioè una vera nuova ricchezza per la collettività capace di aprire la via alla prospettiva di un nuovo assetto sociale di una nuova direzione economica e politica degli interessi pubblici. Qui è il punto su cui convergere e qualificarsi, dividersi o unirsi. Quì è l'alternativa, il metodo e la scelta. E' ancora la battaglìa ideale che vogliamo richiamare, l'invito che rivolgiamo alle masse alle forze che vogliano agire su una piattaforma comune, omogenea di lotta, che tengano a formare e a costruire nella realtà nuove maggioranze e nuove intese unitarie. Direi che la stessa crisi dei poteri delegati e delle rappresentanze pubbliche - dai partiti alle assemblee rappresentative - può trovare su questo terreno dì lotta per nuovi indirìzzi e per la creazione di nuovi valori umani e sociali, quella continuità, quella forza, capacità di ripresa del potere e del legame con le masse « che oggi gli sviluppi oggettivi che si stanno compiendo nel processo produttivo e le spinte sociali e politiche che partendo da tali processi oggettivi si sono mani130 festate, pongono come problemi attuali di un nuovo moderno aggiornato rapporto fra stato e società civile, fra i soggetti e gli oggetti della produzione, infine come temi di lotta per una nuova democrazia ». In questo contesto prendono significato, rilievo e sostanza i nuovi ruoli che possono assumere gli enti locali, la Provincia, la Regione e per essa oggi l’Unione delle Province di fronte al tempo della programmazione, all'unico tempo della congiuntura e della programmazione, le loro iniziative, ecco, il rapporto che essi riescono ad istituire con le varie fasi della programmazione, con i tempi della sua preparazione e della sua attuazione. la costituzione dell'Unione delle Province in Comitato permanente per la programmazione è un fatto di prima importanza per la regione pugliese e per le popolazioni, per il Meridione e per la provincia di Foggia, intanto che l’istituto della Regione non sia ancora attuato. Essa è certo un risultato positivo, ma che ci porta anche a constatare un ritardo grave e il pericolo reale che si perda l'occasione di inserirsi attivamente nelle fasi dello studio e dell’azione e in quella più importante della lotta per la programmazione regionale e nazionale. Lo stesso prof. Fantasia, presidente dell'Unione delle Provincie Puglìesì, ha riconosciuto questo nostro ritardo rispetto ad altre regioni. Siamo stati assenti nel primo momento, quello dello studio e dell'agitazione che ha proceduto il rapporto Saraceno. E il professore Fantasia ha esplicitamente dichiarato in una delle riunioni dell'assemblea delle Province Pugliesi che il ritardo è da attribursi al fatto che per lungo tempo il Consiglio Provinciale di Foggia non aveva provveduto ad eleggere i suoi rappresentanti. Rischiamo oggi di essere completamente assenti, di trovarci fuori orbita e cadere nel nullismo velleitario, inoltre di veder infine decaduti anche i nostri rappresentanti testé nominati all’assemblea dell'Unione delle Province se dovesse succedere una gestione commissariale. Siamo al punto che potrebbe anche verificarsi per colpa nostra la cessazione di ogni attività del Comitato regionale per la programmazione, e mentre stiamo per passare alla terza fase dell'attività programmatrice che è quella dell'approntamento dei provvedimentì legislativi e a quella non molto lontana, come scadenza, dell'inìzio dell'attività programmatica fissata nel calendario per il 1° gennaio 1965. Scadenze, impegni, iniziative a cui non questa Giunta soltanto ma il Consiglio non può sottrarsi, tanto più che risulterebbero essere tutte cose da rinviare a giorni senza data se dovesse verificarsi il malanno della gestione commissariale: voi sapete quello che è, rappresenta o non è e non rappresenta un commissario in questa circostanza. 131 Se poi per un momento volessimo pensare al tentativo che le Camere di Commercio stanno portando avanti di sottrarre all'Unione delle Province la programmazione per meglio obbedire agli interessi dei monopoli, nonché alle minacce di rinviare a miglior data tutta la politica nazionale di programmazione, possiamo comprendere in tutta la sua estensione la portata delle nostre decisioni e delle nostre possibilità, la responsabilità a cui andiamo incontro e di cui è partecipe tutto il Consiglio, il danno che si farebbe nei fatti e negli obiettivi agli interessi democratici della programmazione per la Provincia e la Regione, per le nostre popolazioni, se questa volontà di percorrere i brevissimi tempi di questa fase della programmazione con impegno dovesse essere frustrata dall'intento e dal più cattivo atteggiamento che fosse di opposizione voluta, di ostacolo e di pratico boicottaggio dei necessari impegni e delle più necessarie iniziative. La critica di fondo che è stata avanzata per il passato alla carenza di iniziative ed all'approntamento e al varo di strumenti di decisione e di potere per la programmazione ha avuto questa preoccupazione, questa coscienza che il tempo - in cui i monopoli marciano piegando ai loro fini poteri pubblici, economie e processi produttivi, e le esigenze di una programmazione invece antimonopolista, democratica delle popolazioni, nel periodo della congiuntura e di crisi delle strutture, richiedono altri indirizzi e altre soluzioni - sia in definitiva una questione di vita o di morte, un fattore determinante ai fini di una evoluzione in un senso o nell’altro della direzione del potere e degli interessi di classe : per cui a coloro che vogliono dare prova di sensibilità democratica, di legame con le masse contadine e dei ceti medi, di sentirsi meridionalisti nel giusto senso, si può dire che il fattore tempo è registrazione, riscontro di volontà, di azione e di capacità di lotta e di validità delle posizioni politiche e ideologiche. La costituzione immediata di un Comitato provinciale per la programmazione, sotto la cui direzione operi un comitato di tecnici e di studiosi, per il quale questa giunta è impegnata e che il Consiglio, confidiamo, renderà esecutiva, così le iniziative per cui desideriamo che prendano corpo certe volontà e certi propositi di agire e di intervenire concretamente, rispondono a due esigenze contenute nei cinque punti dell'accordo raggiunto al livello dell'Unione delle Province: la prima, quella di disporre di un proprio strumento di precisione e di studio, l'altra, quella di concorrere alla fase attiva del Comitato permanente regionale per la programmazione, alla creazione di strumenti finanziari a livello regionale e alla preparazione di un piano regionale di richieste che vengano dal basso in modo articolato e coordinato per assolvere il 132 ruolo di guida verso i comuni della provincia, lo stesso capoluogo e verso il gruppo di interessi che è rappresentato dalle tre zone del Tavoliere, del Gargano, del Subappennino, per stabilire non solo un ruolo in combinazione con quello dei comuni, dei vari istituti economici e politici della provincia, ma anche un preciso rapporto con i problemi reali della Provincia, della Regione e del Meridione. Una Provincia, una Giunta, un Consiglio impegnati verso le comunità montane, verso i comprensori, le varie iniziative come quella di Lucera e di Candela per il metano, che vanno prendendo spazio e rilievo nella provincia, per dire una parola, da protagonisti. Compiti e impegni dì vera continuità attiva e propulsiva che non concedono nulla alle posizioni di attesa, dei rinviì, della gestione commìssariale invocata. Ai partiti, alla Giunta che li rappresenta pare che in questo contesto di reale esigenza delle masse, di impegni e di iniziative rivolte a soddisfarle, debbano subito collocarsi ad essere rese operanti: la iniziativa per una conferenza sulla programmazione che ponga al centro dei suoi interessi e del suo dibattito e quindi delle sue scelte e delle sue decisioni lo sviluppo economico della provincia, delle sue tendenze, della sua destinazione e del suo indirizzo; che ponga al centro i problemi della riforma agraria e delle altre necessarie riforme strutturali e il problema della industrializzazione, che deve basarsi innanzitutto sulla destinazione al Mezzogiorno di tutti gli investimenti delle industrie di Stato e sul sorgere di industrie collegate anche allo sviluppo agricolo; l'iniziativa per una conferenza sull'agricoltura che faccia il punto sulla situazione e trovi la forza e la capacità di mettere in primo piano i suoi nessi con i problemi dello sviluppo economico, dell'industrializzazione, la sua preminente incidenza sugli altri aspetti dell'economia, dei mercati, della produzione, della trasformazione industriale ed agricola, della cooperazione e della scuola, dell'ordine sociale e politico, della società civile organizzata, perché uscendo dalla genericità, dai propositi, dagli obiettivi mancati, dalla denuncia protestataria e rivendicativa, faccia risaltare e compiere un deciso passo avanti ai problemi di struttura, al mondo contadino che dietro di essi preme. Di concerto con queste due ìmportanti conferenze, la Giunta propone e si impegna a portare avanti una importante iniziativa per lo studio dei problemi dello sviluppo del turismo e un'altra per la scuola, perché anche in questi due settori siano visti, definiti, impostati e portati avanti problemi generali di orientamento e di sviluppo, affinché il Consiglio si avvalga della consultazione e partecipazione di tutte le forze vive e più direttamente interessate. 133 Signori Consiglieri, in questa terra di emigrati, di contadini cacciati dalle loro terre e dalle loro famiglie, di indirizzi colturali d'altri tempi e d'altre conduzioni, di proprietà contadine rovinate che attendono ancora di svolgere un ruolo che spetta loro di protagoniste, di braccianti ancora disoccupati e semidisoccupati, di coloni e di mezzadri, di artigiani e di commercianti poveri, il problema dell'industrializzazione non può essere e non è un problema di isole, né un problema di economia e di ricchezza, di sviluppo economico da vedersi o da ridursi nella cornice subordinata e complementare del sistema monopolistico e del mercati da esso dominati, né per questo, in quella di una mortificazione del ruolo degli enti locali ritenuti utili solo a creare condizioni di favore ai monopoli e alle industrie che scenderebbero dal nord come del, e qui si insediano, per una loro collocazione, secondo più un piano regolatore di costrizione del consorzi e del nuclei, che secondo un piano economico di sviluppo. Tutt'altro. Direi che quello che fa l'ambiente e deve fare, costruire la civiltà politica, sociale e culturale di questa terra è il mondo contadino, sono i vecchi cafoni, per cui l'industria può avere un ruolo di progresso, se si sviluppa sulla base e secondo le linee di sviluppo agricolo della provincia. Il metano non si tratterà solo di sfruttarlo e di convogliarlo secondo i vecchi tradizionali schemi dello sfruttamento e delle convenienze di mercato, del sovraprofitto monopolistico. Esso, come le altre fonti di energia deve essere guardato come una fonte di ricchezza da convogliare verso altri canali, processi di sviluppo con i quali formare la ricchezza delle nostre popolazioni, anzi deve servire a questo. Altrimenti tutto è ridotto ad una mera economia di mercato e di profitto. Ed è possibile che si verifichi quanto già si è verificato con altri centri industriali del passato lontano e prossimo, come per la Cartiera di Foggia e per la bauxite di S. Giovanni Rotondo, come si è verificato per il mancato sviluppo di altre attività, ed ultimo - per un fenomeno di rapida contrazione e riduzione settoriale - come si sta verificando per il nucleo industriale di Foggia, nato asfittico e ora impigliato nei conati di velleitarie e per la verità poco rappresentative e poco utili presidenze. In proposito noi riteniamo che la Provincia debba operare con la dovuta fermezza non solo per la difesa dell'industria mineraria del Gargano e di quella cartaria, ma per la loro ripresa, per la lavorazione in loco della bauxite, ottenendo la sostituzione della Montecatini con 134 l'industria di Stato, per il riordinamento dell'Istìtuto Poligrafico dello Stato e l’ammodernamento della Cartiera di Foggia. Prendiamo atto del fallimento della politica dei nuclei, delle incentivazioni, della Cassa del Mezzogiorno, e rovesciamo le impostazioni e gli obiettivi oltre che gli strumenti e i mezzi. Si tratta di creare un rapporto industria-agricoltura-ambiente sociale ed economico della Provincia, e di puntare attraverso l'associazione degli enti locali in comprensori sulla prospettiva di un piano regionale di sviluppo nel più largo contesto della programmazione nazionale cui deve giungere tutto un complesso armonico e diffuso di richieste e di proposte del nostro mondo politico e sociale. Con questa visione è facile comprendere il ruolo che spetta alla Provincia, i compiti che spettano ai Comuni, l'importanza del legame con l'Unione delle Province, l'esigenza di operare per un nostro contributo di conoscenza, di orientamento e di azione e la responsabilità di cui siamo carichi. Così il problema dell'agricoltura è da vedersi nella sua capacità di contrasto all'attuale fase della espansione dei monopoli, con l'esigenza incombente e primordiale di una riforma agraria generale, in relazione al ruolo di protagonista del colono e del mezzadro, dell'impresa contadina resa libera e sviluppata, per attivare un processo autonomo delle campagne, per dare la terra a chi lavora, per intervenire direttamente nella strategia degli investimenti al livello statale, « per scardinare il meccanismo di rapina e di accumulazione capitalistica, per bloccare l'esodo, per spezzare la politica dei poli di sviluppo ed avviare un nuovo processo economico, un nuovo processo di industrializzazione che trovi il suo punto essenziale di forza in un diverso rapporto città-campagna ». Anche qui la Provincia può e deve svolgere un suo ruolo di guida, farsi attiva e presente, intervenendo con iniziative particolari di comune accordo con gli altri enti verso il Subappennino e il Gargano dove la situazione è più particolarmente grave, e verso il Tavoliere, per caratterizzare e definìre una sua politica di bilancio e di vari altri impegni e interventi verso quelle zone e verso la campagna in generale: con aiuti finanziari per lo sviluppo della cooperazione, per impianti di trasformazione e di conservazione, pubblici e cooperativi, promuovendo e sviluppando corsi di addestramento e di perfezionamento professionale in agrìcoltura, portando avanti il lavoro già impostato per le frane, sollecitando e incoraggiando altre iniziative che venissero promosse intanto dal Capoluogo e da altri comuni della Provincia. Una attenzione particolare dovremo rivolgere ai bisogni delle 135 campagne in ordine ai problemi delle opere e del servizi essenziali, all'elettrificazione, all'irrigazione, alle strade. L'Amministrazione Provinciale deve altresì interessarsi ai problemi da più anni trascurati della pesca e della caccia, prendendo anche la dovuta posizione contro le speculazioni sulle riserve di caccia e contro certe gabelle feudali che ancora gravano sulla pesa. Anche i problemi del turismo devono essere visti secondo una prospettiva di sviluppo e come un aspetto della programmazione. In provincia di Foggia per le caratteristiche del Gargano e delle sue coste, per la presenza della Foresta Umbra e di altre attrattive naturali del Subappennino, per l'importanza dei centri balneari, non è possibile lasciare tutto alla estemporaneità e alla speculazione; anche qui è necessario che l'Amministrazione Provinciale svolga una azione ed una attività per uno sviluppo armonico che vada nella direzione degli interessi delle popolazioni e dei comuni, promuova iniziative varie e con le amministrazioni comunali stabilisca una linea che tenda a risolvere i problemi delle costruzioni, delle attrezzature, dei servizi pubblici, dei trasporti nel più ampio quadro delle infrastrutture necessarie. Dobbiamo mettere quindi allo studio una serie di proposte per la pubblicizzazione della ferrovia garganica e dei trasporti interurbani automobilistici. Tra l'altro la Provincia dovrà promuovere e assecondare appropriate iniziative per la valorizzazione della marina di Chieuti, per l'incremento dell'attività consorziale di Siponto, per la costruzione di un villaggio turistico nella Foresta Umbra, per la creazione di nuovi consorzi tra enti locali. La Provincia non può estraniarsi ancora ai problemi della casa, dell'urbanistica, degli ospedali, dell'approvvigionamento idrico. Si tratta di problemi rimasti insoluti e sotto molti aspetti aggravati dalla errata politica dei governi che si sono succeduti nel Paese in tutti questi anni. La popolazione ha sete. Manca l'acqua in tutte le stagioni, e per molte ore della giornata. Finora non vi sono state che promesse. La insufficienza di acqua costituisce un pregiudizio alla salute e un ostacolo serio non solo all'elevamento civile delle popolazioni, ma anche allo sviluppo dell'agricoltura, della industria e del turismo. La Provincia deve intervenire con il necessario impegno affinché il problema sia avviato a soluzione. Essa deve altresì interessarsi, con le iniziative e gli interventi più opportuni, preoccupata esclusivamente degli interessi delle popolazioni, per affrontare gli altri problemi accennati. Tutto questo pone l'esigenza di una stretta collaborazione tra la Provincia e tutti i comunì e gli altri enti ed organismi interessati, specialmente tra 136 la Provincia e il Comune capoluogo, al quale naturalmente spettano compiti particolari. Con la stessa visione dovranno essere affrontati i problemi della Cultura e dello Sport, così la Biblioteca Provinciale non deve continuare ad essere soltanto un luogo dì lettura, ma divenire anche centro promotore di iniziative culturali. Grave è il problema delle attrezzature scolastiche, della necessìtà del decentramento dell'Istítuto Tecnico Industriale di Foggia, del sovraffollamento di altri istituti secondari e della esigenza anch'essa indilazionabile di dotare di scuole superiori importanti zone che ne sono ancora completamente prive. Accanto a questo problema vi è quello nuovo per la provincia di Foggia, ma anch'esso da affrontare, dell’assistenza agli universitari ed agli studenti bisognosi per il quale sarà necessario stanziare delle somme in bilancio da erogare secondo criteri obiettivi fissati da un regolamento. Ma anche la scuola, che è un problema dì struttura, deve trovare i suoi punti di collegamento con la programmazione regionale e con le necessità, le esigenze, i processi di sviluppo dell'economia e dell'industria della provincia e della regione, cosicché anche il problema del Magistero che già una volta è stato sollevato autorevolmente in questo Consiglio e da più parti viene caldeggiato, è un probema da porsi in relazione agli indìrizzi generali di un piano organìco per la scuola. Le soluzioni come le iniziative e le proposte, a nostro parere, dovranno nascere da un confronto e da un dibattito che affronti la globalità delle questioni. Fra i problemi da affrontare vi è quello di una revisione dello stato giuridico e del trattamento economìco del personale, per il quale sarà sollecitata la collaborazione del Sindacati. Per tutte le questionì e i problemi che sono stati sollevati, per gli altri specificatamente che si riferiscono ai compiti di istituto, alle strade, all'assistenza, allo stesso problema della presentazione del bilancio veniamo a porre davanti al Consiglio un metodo democratico, una responsabilità comune alla quale sarà reso partecipe di volta in volta lo stesso Consiglio, anche con la creazione di commissioni che affianchino il lavoro dei vari assessorati così che si arrivi ad un pìano coordinatore delle varie attività e ad una visione d'insieme delle soluzioni dei problemi della Provincia. Molto gravi sono le insufficienze ancora esistenti nell'importante campo dell'assistenza. 137 Vi è innanzitutto la necessità di aggredire il problema della Maternità, in una giusta visione delle crescenti esigenze di tutta la provincia. Radicalmente migliorata deve essere l'assistenza a favore dei sordomuti, dei ciechi, dei dementi, degli illegittimi, delle madri naturali; e una giusta attenzione deve essere rivolta al problema della medicina scolastica e all'azione preventiva contro la t.b.c. La rete stradale nella nostra provincia è fra le meno sviluppate e inefficienti del Paese e anche del Mezzogiorno. Il problema stradale deve naturalmente avere un giusto posto nella programmazione, ma intanto urgono stanziamenti adeguati da parte degli organi centrali dello Stato per consentire alla Provincia di far fronte alla esigenza di sistemare e ammodernare tutte le strade esistenti, nonché della costruzione di tronchi stradali da tempo progettati, in parte da decenni e decenni in costruzione. La Commissione per la preparazione del progetto di bilancio per il 1964 sarà proposta al più presto possibile. Nessuno pensi che vi sia da parte nostra intenzione di procrastinare nel tempo la preparazione e la presentazione al Consiglio di questo importante atto. Ciò non significa che noi approviamo l'intervento del Prefetto, il quale, come se non conoscesse la crisi e la vacanza di poteri alla Provincia, fa cadere nelle nostre mani - e neppure nostre - in data 5 marzo, una lettera veramente intimidatoria, secondo la quale dovremmo approvare il bilancio entro il 31 marzo. Signori Consiglieri, abbiamo parlato a lungo di ina linea e di un metodo, della reale situazione alla Provincia, dei gravi problemi che assillano le nostre popolazioni, delle esigenze di una programmazione democratica e antimonopolista, dei limiti nei quali noi ci accingiamo ad operare. Sono cose che ci chiamano ad una comune responsabilità : per noi sarà preminente l'attività del Consiglio, le riunioni frequenti, la rappresentanza proporzionale nelle varie commissioni, ma soprattutto sarà nostra preoccupazione e nostra cura di fare in modo che le preclusioni, la mancanza di una collaborazione, le adesioni o meno alle nostre iniziative e alla nostra attività risultino chiare in questa aula e fuori, di questa aula, perché il giudizio sulle responsabilità di oggi e di domani sia affidato a coloro che nei fatti, nella lotta, nella battaglia ideale e politica devono consigliarci di agire in un modo o nell'altro, non secondo criteri di opportunità politica, di contingenze passeggere e di trasformismo politico, ma secondo un costume e un convincimento che 138 abbiamo ereditato noi dalla Resistenza e proiettiamo in un avvenire di una maggiore giustizia sociale, di un ordine nuovo, di una società nuova. Vogliamo costruire anche nelle nostre condizioni, con una Provincia in dissesto, con una congiuntura che fa sentire le sue strette, con la coscienza che abbiamo individuato in che consiste il problema di una maggioranza al Consiglio Provinciale, con una Giunta che per questo non fa nessuna concessione a se stessa e pone oggi appunto il problema di formare una valida, stabile, democratica e qualificata maggioranza. Non sentiamo di dover giustificare i voti che ci hanno eletto: le dichiarazioni, i fatti, le decisioni che li hanno convalidati e resi pubblici sono la prova di una coerenza, di un costume, di un metodo e di una linea che hanno trovato in queste mie dichiarazioni sufficienti ragioni per qualificarsi, per ottenere un giudizio da voi e, quel che più conta, dalle popolazioni alle quali esse anche sono rivolte. Signori Consiglieri, ci rivedremo per operare, ma anche per sapere come ciascuno di noi saprà atteggiarsi di fronte ai problemi, alle questioni reali che ci portano a discutere, a unirci o a dividerci. SAVINO VANIA Dott. SAVINO VANIA, presidente del Consiglio Provinciale di Capitanata. 139 SPORT Questo splendido «Foggia» ... Nell'ultimo quadriennio che per il « Foggia » ha segnato una svolta trionfale, sino al suo autorevole insediamento nella massima Divisione, che cosa non è stato scritto su questi meravigliosi atleti in casacca rossonera?! Quali angolini reconditi del loro passato non sono andati a frugare i nostri giornalisti per stilare corrispondenze sempre più appetitose, sempre più inedite, da sottoporre all'avida curiosità dei propri lettori che, dappertutto, seguono, con meravigliato interesse, l'incredibile ruolino di marcia dei «Satanelli»?! La cronaca, diciamo così, spicciola che, « ab. ovo », ha tentato di ricalcare le orme della Squadra foggiana, è sul punto di accantonare le sue indagini, essendo prossima ad esaurire il compito, proprio per mancanza di... materia prima. A noi, veterani numero uno del giornalismo sportivo foggiano; a noi, che, da oltre quaranta anni, abbiamo seguito ed affiancato la crescita di questo « Foggia », sino all'attuale ingresso in Serie « A », si chiede ancora di scrivere qualcosa, che possa interessare il pubblico: quello degli sportivi in particolare. Ma come cominciare? Forse con la solita storia: ... Siamo nel lontano 1911 e da Milano vennero a Foggia i fratelli Tiberini, seguiti a ruota dai fratelli Comei ... ?! O, per la centesima volta, vogliamo fermarci a ricordare le gesta di « Pila e Croce », là dove i pionieri del Calcio foggiano effettuarono le prime sgambature? E già a ripeterci sui nomi di quei ragazzi tanto fiduciosi nell'avvenire del 'Dio Pallone' ed altrettanto coraggiosi nell'affrontare le ire paterne o materne, al ritorno a casa, ogni sera, dopo i rudimentali allenamenti?! Riproporre ai lettori gli episodi riguardanti la beffa perpetuata da alcuni di quegli antesignani; beffa intelligente ed a lieto fine, ai danni di una nota Ditta, per realizzare il Campo Sportivo: Lo Stadio-piteco dell'odierno « Zaccheria », ora teatro esaltante delle gesta del padroni di casa, contro le grosse « Inter » - « Juve » - « Bologna » - « Fiorentina » e via dicendo?! Ripiegare dunque, sopra gli argomenti citati, sino a portarci ai... tempi nostri con le stucchevoli parole apoteotiche per Rosa Rosa, Oronzo Pugliese ecc ... ?! Ma chi non le sa queste cose? Ma quanti, ormai non fanno altro che ribadirle ogni giorno? Da mane a sera? Ed allora, come regolarci? Che scrivere?! E qui non vi è stato altro da fare che chiedere ispirazione a tutti i diavoli, in nome dei « Satanelli » loro figliocci. 140 E l'idea così, ci è stata suggerita... Ci siamo detti che, sino ad oggi, pochi hanno tentato l'avventura mnemonica di comporre, sia pure, con approssimazione, una lista di nomi (e sono tanti) dei dirigenti, degli allenatori e degli atleti i quali hanno contribuito, alcuni, come le formiche, con i granelli della propria capacità; altri con la spiccata competenza specifica (ma tutti con fede illimitata e con passione traboccante) alla costruzione attraverso i lustri, della ormai svettante torre rossonera. Una idea questa, comunque utile a ricordare cittadini ed atleti che ebbero in cima ai loro pensieri il « Foggia », che per il « Foggia » lottarono, attraverso sacrifici fisici, morali e finanziari, in nome dei colori sociali. Molti di essi non sono più di questa terra. I superstiti, i pionieri, hanno le tempie tra il grigio e l'argento. Entriamo, così, nel vivo dell'argomento. Ecco una nutrita lista dei nomi sfuggiti nella memoria, all'annientamento del tempo. In ordine alfabetico cominciamo dai PRESIDENTI rossoneri: Alberini, dott. Vittorio - Apicella, dott. Raffaele - Carella, dott. Giulio - De Biase, dott. Alfredo - De Mita, dott. Diego - De Tullio, dott. Paolo - De Vita, rag. Pietro Di Biase, comm. Pasquale - Frezza, comm. Antonio - Gigliotti, col. Carlo Lupo dott. Ferdinando - Nannarone, comm. Gustavo - Nardella, avv. Ferdinando - Piccapane, comm. Armando - Quarato, ing. Giovanni - Rosa Rosa, comm. Domenico Sarti, comm. Giovanni - Taronna, dott. Aldo Taronna, geom. Oscar Turtur, ing. Luigi. Possiamo dare l'elenco completo degli ALLENATORI: Andreolo Piero - Benincasa Angelo - Cargnelli Tony (austriaco) - Costagliola Nardino - Costantino Raffaele - Karoly Bela (ungherese) - Koenig Adalbert (austriaco) - Kovacs Bela (ungherese) - Kutic Andrea (ungherese) Marsico Vincenzo - Migliorini Cesare - Rebuffo Mario - Remondini Remo Pugliese Oronzo - Rubino Egio (egiziano) - Stritzel Joseph (ungherese) -Weiss Karl (austriaco). Ed ecco gli atleti, elencati secondo il ruolo sostenuto in seno alla Squadra: PORTIERI: Baldi I°, Ballarini, Biondani, Bisson, Bossi, Canè, Carlomagno, Cola, Ferraretti, Filippuzzi, Giuliani Rodolfo, Maniero, Moschioni, Narducci, Notariello, Pandolfo Sannoner Rodolfo, Santarello, Sarti III (Renato), Toriello, Turchiarelli, Viscuso. TERZINI: Allegretti, Antonini, Arnoldi, Bartoli, Buttazzoni, Calzolari, Camero, Cappellini, Carbonelli, Casale, Cerini, Citarelli, Corradi, D'Argenio A., De Biase Guido, De Brita, De Francesco, Del Re, De Meo, De Pase, Di Reda, Formillo V., Galetti, Lavè, Lazzari, Micelli (Nazionale), Parracino, Petti Ettore, Pischianz, Ponzanibbio, Rosso (Torino), Stori, Taronna Aldo, Valadè. MEDIANI: Alboreto, Babay (ungherese), Baldi II°, Baldini, Baldoni, Bedogni, Bettoni, Boniforti, Buin, Consiglio, Della Valle, De Vitis, Di Luzio, Di Tonno, Faleo, Fini Roberto, Formica Luigi, Galante, Ghedini, Giancolini, Giustacchini, (Nazionale), Gorini, Grappone, Kazianca, Labate, Leonzio, Malice, Marsico, Mazzone, Micheli, Migotti, Miniussi, Mussi, Odling, Mupo 141 II°, Pizzi Mimì, Pulcínella, Rinaldi Romano Rossetti Gigino, Saracino, Spinello Michele, Starace, Taronna Oscar, Telesforo Eugenio, Telesforo Guido, Torre, Trovatore, Zonca. ATTACCANTI: Bacci, Baldi III° (Nazionale), Bellotti, Benedetti, Berté, Bobbio, Bortolotti, Bottaro, Bradaschia, Bratta, Calvani, Candiani, Calò, Caracozza, Carrabba, Catalano, Chiaruttini, Cicolella Alfredo, Cifarelli Giulio, Colombo, Comei Peppino, Compagno, Cosmano, Creziato, Crusi, Curci, Della Pace, De Lucia, De Rosa, Di Fonte, Di Giovanni, Diotallevi, D'Onofrio, Faccio, Fariello, Favalli I, Ferri, Fiorindi, Gambino, Geraci, Giuliani Aurelio, Lanciaprima, Lazzotti, Lucentini, Lucera Gino, Maccione, Marchetti, Marchionneschi, Minerdo, Mirabello, Montanari, Mupo I°, Niccoli, Nocera (Nazionale), Occhionero, Oltramari, Orlando, Panattoni, Paravano, Patino, Pavanello, Peruzzi, Piani, Poli Giosuè (Presidente Naz. Atletica Leggera), Pozzo, Piani, Reddi, Riolo Ritrovato Tonino, Rossi Dante, Rosso Severino (Nazionale), Santopadre, Sarti II° (Sandrino), Sarti IV° (Mario), Scarnecchia, Senestro, Silgich, Silvestri, Simone, Stabellini, Stornaiuolo, Sudati, Testa, Thermes, Tiberini Torti I°, Torti II°, Vecchi Egidio (Nazionale), Visentini, Zappaterra, Zini, Zironi. Ma - ripetiamolo ancora - quanti nomi rossoneri (non molti, del resto) non compaiono in questo breve elenco, traditi dal tempo e dalla nostra (ma anche dall'altrui ... ) memoria?! Ai vivi ed ai morti chiediamo venia per l'involontaria omissione. A tutti, comunque, vada la commossa riconoscenza degli sportivi foggiani, poichè molto si deve anche ai dirigenti, ai tecnici, agli atleti di ieri se, mercè i loro sforzi, i loro sacrifici inenarrabili, nell'anno di grazia 1964, il « Foggia » ha potuto allinearsi, con onore, tra le squadre elette dell'ambitissima Serie « A ». MARIO TARONNA Dall'elenco dei dirigenti, ci si consenta di stralciare, rilevandoli con le pinze i nomi di coloro che, dalla nascita dei "satanelli", per lustri e lustri, furon sempre presenti in seno alla Società ed alla testa della Squadra. I nomi di quelli che, troppo presto, oggi, dimenticati, fra ansie, stratagemmi, furberie, incontri e scontri, riuscirono a creare le salde premesse di questo "Foggia" che, odiernamente, guidato con mani salde, dal comm. Domenico Rosa Rosa, sta interessando al suo nome ed alle sue gesta mirabolanti, tutta l'Italia calcistica. Eccoli: Pietro De Vita, Roberto Fini, Gigino Formica, Ferdinando Nardella, Giovanni Quarato, Alfredo De Biase, Filippo Guglielmi, Luigi Favino, Giovanni Sarti. Infine Michele Scarpiello, che con la sua capacità affaristica (ci riferiamo alla " Borsa " dei Calciatori), con la sua onestà, con la non comune intelligenza ed esperienza tecnica riuscì ad assicurare al Sodalizio allori non caduchi. M. T. 142 VITA COMUNALE MANFREDONIA Liberazione e Scuole Medie : Il Liceo Scientifico « ... assistere alle scuole, promuovere l'istruzione, è anche ciò politica che consiste non nel vociare e gridacchiare, ma nelle opere serie ed utili ». Senza dubbio questa verità, sperimentata e chiusa in formula attuale da Francesco De Sanctis, infervorò coloro che tra il 1943 e il 1944 promossero ed organizzarono a Manfredonia l'istruzione pubblica superiore. Gli istituti scolastici di Foggia avevano chiuso i cancelli quello stesso anno 1943, a causa dei primi bombardamenti di fine maggio. Questi e le incursioni aeree successive avevano prima interrotto, di poi molto limitato, il servizio ferroviario tra quel capoluogo e il Golfo; dopo la liberazione, infine, il tronco ferroviario era stato assorbito dalle esigenze militari degli Alleati. Ai nuovi dirigenti della vita sipontina, operanti nell'ambito dello Allied Military Governement1 e del Comitato di Liberazione Nazionale, non era lecito ignorare il problema scolastico, creato dalla crisi delle normali comunicazioni. Contribuirono a farlo risolvere la sensibilità civica e lo spirito di iniziativa, affinati dal nuovo corso, che segnò l'inizìo della piú florida stagione politica di Manfredonia, nonostante i difetti costituzionali e funzìonali degli organi, nostrani e forestierì, soprintendenti alla pubblica amministrazione. Alla ripresa democratica del Comune concorsero in varia forma le associazioni locali di partito e non partitiche: tra esse il Comitato Procultura, impegnato alla rigenerazione della civica biblioteca « Luigi Pascale ». Dal gruppo di promotori, che vì si riuniva, partì la scintilla su1 Manfredonia fu sede distrettuale dell'Allied Military Governement. L'amministrazione civile, nei limiti consentiti dai comandi alleati, e per designazione del Comitato di Liberazione Nazionale della Città, fu affidata a un commissario nella persona dell'avvocato Michele Lanzetta al quale il 9 ottobre 1944 succedette, in veste di sindaco, l'avvocato Giuseppe Gatta, anch'egli designato da quel C.L.N. 143 bito utilizzata dal Comune, perché si realizzasse una delle piú legittime aspirazioni della cittadinanza : trasferimento allo Stato della Scuola Media pareggiata « Mozzilo-Iaccarino », impianto degli Istituti statali di istruzione media superiore, adeguamento della modesta biblioteca civica alle nuove esigenze culturali2. Presiedettero all'iniziativa : 1 ) la ragione politica, che impone al potere pubblico la fornitura del servizio scolastico ovunque e per qualsiasi numero di allievi ; 2) la comprensione e il concorso della comunità. Si realizzò la mobilitazione generale dello spirito pubblico con l'apprestamento di un piano razionale e il suo ordinato svolgimento nel pieno rispetto delle prerogative e dei valori individuali. In base al censimento della popolazione scolastica e alla previsione dei nuovi iscritti, un'assemblea di padri di famiglia, svoltasi in Municipio, convalidò l'iniziativa, accolta col pieno favore dal Provveditorato agli Studi diretto dal professore Franco de Joanna 3. Con il nulla osta dell'A.M.G. si istituirono per l'anno 1943-44 sezioni staccate del Liceo Classico, dell'Istituto Tecnico Commerciale e del Magistrale di Foggia, e l'anno successivo quella del Liceo Scientifico. Il corpo insegnante fu costituito su proposta del Comune, in base ad elenco fornito dal Comitato Pro-cultura. Anche per sua iniziativa, presso la medesima biblioteca, sorsero le associazioni « Insegnanti di Scuole Medie » e « Padri di Famiglia », che funzionarono egregiamente, tanto da essere subito imitate a Foggia, mentre, edotti dal precedente sipontino, altri Comuni, isolati dal Capoluogo, ottennero sezioni di medie inferiori e superiori4. La serietà e lo slancio di quelle prime leghe di interessi, animate 2 Al predetto Commissario il 21 novembre 1943 l'avvocato Mario Simone indirizzò un appello, proponendo l'immediata organizzazione di uno Studio privato, per ovviare alla paralisi dell'insegnamento pubblico governativo, causata dalla guerra. A quel tempo Manfredonia, oltre che delle scuole elementari, allogate negli edifizi « Bozzelli » e « Ciano », era dotata di una « media » parificata (la « Mozzillo Jaccarino »), di una scuola « E.N.E.M. » e dell'istituto « Sacro Cuore », amministrato dall'Arcivescovo. 3 Fu tenuta il 29 novembre 1943, per invito del Commissario, e si concluse con l'approvazione del seguente ordine del giorno: « Padri di studenti impossibilitati a raggiungere quest'anno le sedi delle loro scuole, riuniti per consultazione dal Commissario del Comune, intese le relazioni dello stesso e dell'avvocato Mario Simone, per la istituzione di uno Studio privato, fa voti che questo sia presto una realtà operante per l'istruzione e l'educazione sociale dei giovani, sommamente necessaria nel particolare momento che attraversa il Paese. Sottopongono il presente voto al Governo Alleato, al Prefetto e al Provveditore agli Studi, perché l'iniziativa trovi il loro consenso e ne abbia l'appoggio necessario ». 4 Sull'impianto dei nuovi istituti in Manfredonia. oltre la documentazione, che riteniamo esistente negli archivi degli stessi, del Provveditorato agli Studi e del Comune, si vedano gli articoli : T. e C., Passione Scolastica ( in « Gazzettino Dauno » di Foggia, 14 ott. 1950) ; L'OSSERVATORE, Una nuova scuola al Viale Miramare di Manfredonia : l'Istituto Magistrale governativo (in « Il Popolo Dauno » di Foggia, 18 dic. 1957). 144 LO « SPLENDIDO FOGGIA » La famosa squadra delle « 3 M » Da sinistra, in piedi: Arnoldi, Rossetti, Baldi I, Carbonelli, Bedogna, Mussi, all. Karoli Accosciati: Silgich , Montanari, Marchionneschi, Marchetti, Pavanello I « Satanelli » in seria A A San Siro contro i campioni del mondo (1-2): Parata a terra di Moschioni, pressato da Mazzola. A sinistra, Tagliavini IL « GALILEI » DI MANFREDONIA Il preside Melillo dice la prolusione al ciclo celebrativo di Galilei Il contributo degli allievi alla celebrazione di Michelangelo ( Fotografia di Losciale, g.c. dal Liceo « Galilei » di Manfredonia ) da sinceri propositi di rinnovamento, all'unisono con l'impegno della municipalità, ridussero al minimo gli svantaggi derivanti dalla estemporaneità della difficile impresa, ma soprattutto dalla eccezionale situazione politico-militare. E perciò il primo anno scolastico, ridotto a meno di due trimestri, si concluse in modo onorevole con risultati che meritarono lodi tanto dal Provveditore che dal Governatore militare. La strada verso maggiori conquiste cittadine era aperta : quelle sezioni sarebbero rimaste e poi diventate istituti autonomi con sedi proprie, anche prestigiose, ed altre scuole si sarebbero ad essi aggiunte; un rilevante numero di professionisti e universitari, dopo i primi incarichi provvisori, avrebbe trovato definitiva sistemazione in ruolo; Manfredonia avrebbe attinto la prima vetta della istruzione pubblica. L'origine del Liceo Scientifico risale, dunque, a quella crisi. Pertanto, ai dieci anni della sua vita autonoma ( 1954-55 - 1963-64), si possono bene aggiungere i dieci precedenti ( 1944-45 - 1953-54), trascorsi, quale sezione distaccata, a creare i presupposti dell'autonomia e risolvere i problemi elementari della sua funzionaidà, compreso quello della sede. Ad essa furono destinati per i primi anni alcuni vani dell'abolito convento di S. Chiara, ottenuti non senza fatica dall'allora sindaco avv. Giuseppe Gatta, oggi docente nel « Galilei ». All'ing. Matteo Cainazzo fu conferito l'incarico della vigilanza e dell'insegnamento di Matematica e Fisica dell'anno scolastico 1944-45 ininterrottamente fino all'anno scolastico 1954-55. Durante tutto il lungo periodo dell'incarico, tra le mille difficoltà di mezzi, di attrezzature scolastiche e scientifiche, in sedi mai idonee, egli riuscì a far funzionare la scuola, preoccupandosi di armonizzare la vita dell'istituto in continuo sviluppo con le esigenze ugualmente crescenti della popolazione scolastica. Pertanto con vivo ed appassionato interessamento concorse con le Autorità del tempo, amministrative e scolastiche, alla realizzazione nella nostra città di una sede idonea per il riconoscimento dì una sezione autonoma del Liceo Scientifico che appagasse le giuste aspettative della gioventù studiosa, del corpo insegnante e della cittadinanza tutta. L'autonomia completa della Scuola venne concessa a datare dal 1° ottobre del 1954, e l'istituto fu provvisoriamente sistemato in due appartamenti di uno stabile su viale Sipontino. La presidenza venne affidata al prof. Antonio Caterino. 145 FOGGIA La Festa della Liberazione Nazionale Anche Foggia ha celebrato il ventennale della liberazione, salutato da un messaggio del Sindaco alla Cittadinanza: « Il venticinque aprile si celebra in tutta Italia: "La Festa della Liberazione Nazionale”, che assume quest'anno significato piú memorabile, coincidendo con la ricorrenza del ventennale della Resistenza. « La lotta liberatrice, che ha avuto il suo suggello di sangue nel Movimento Resistenziale e culminò nella vittoriosa insurrezionale popolare, rappresenta l'origine della nuova storia di Italia; la fonte rinnovatrice dei fulgori del primo risorgimento e riverdisce le tradizioni morali del nostro popolo di opposizione alla tirannide e di fede in liberi e democratici orientamenti. «Siano il sacrificio ed il martirio di tanti innocenti moniti severi per tutti i cittadini, in special modo per le nuove generazioni, alla gelosa custodia delle civili libertà, nella giustizia e nella pace per i migliori destini della nostra Patria ». Altri manifesti hanno affisso l'Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti, l'Associazione Partigiani Cristiani e 'lAssociazione Nazionale Partigiani d'Italia. Il giorno 25, muovendo da Palazzo di Città, le autorità provinciali e cittadine hanno formato un corteo, preceduto dai Gonfaloni della città di Foggia e dell'Amministrazione provinciale, che ha raggiunto Piazzale Italia dove davanti al Monumento dei Caduti di guerra, sono state deposte corone di alloro del Prefetto della Provincia, del Sindaco, del Presidente dell'Amministrazione Provinciale e delle Associazioni Partigiane. Quindi il Vicario Generale della Diocesi, mons. Alessandro Cucci, ha celebrato la S. Messa al campo. Il sindaco Forcella ha pronunziato il discorso ufficiale affermando fra l'altro: « Noi avemmo la ventura nel settembre del 1943, all'indomani dei terribili bombardamenti, di vedere seguire all'armistizio la fuga dei tedeschi e la scomparsa del vecchio Stato. Eppure in quei pochi giorni di confusione estrema, nei paesi del Subappennino e del Gargano, dove in seguito alla rovina abbattutosi sulla nostra città si era rifugiato il nostro popolo, quanti e quanti episodi, ancora cosí vivi nel ricordo e che non dobbiamo lasciar disperdere. Ma ben altrimenti accadde nel resto d'Italia: per otto mesi a Roma e nelle zone centrali della nostra Penisola e per ben 20 tremendi mesi al nord, al di là della Linea « Gotica », una lotta impari, titanica, di incommensurabile valore morale e spirituale, si accese, che sarebbe delitto dimenticare ». L'oratore, dopo aver messo in luce il carattere europeo della lotta di Liberazione, che rappresenta una ribellione alla barbarie e al furore bestiale abbattutosi sul vecchio continente, e dopo aver illustrato il significato di « Secondo Risorgimento nazionale » assunto dalla guerra di Liberazione, ha così proseguito: « Una differenza tra il primo e il secondo Risorgimento merita di essere sottolineata: il primo fu un fatto di intellettuali e di borghesi con un sottofondo ideologico e sotto certi aspetti unitario La Resistenza, invece, non è stato mo146 nopolio di una classe, nè di un partito: accanto agli intellettuali vi sono stati operai, contadini, studenti, impiegati e militari. Il giorno in cui, nota Federico Chabod, i componenti il Comando militare di Torino del C.L.N. vengono arrestati e compaiono davanti al (processo Perrotti), in aula troviamo affincati un generale, un operaio, un professore universitario, alcuni avvocati, professionisti, ufficiali. La maggior parte di essi sarà fucilata. E' veramente una lotta di popolo ». Il Sindaco, avviandosi alla conclusione, ha detto ancora: « Mi sia consentito di sottolineare ancora un titolo di altissimo merito della Resistenza italiana: essa servi a spezzare la sinistra equazione dittatura - Italia, servì a dare dignità e fierezza ad un popolo, che aveva saputo in gran parte riscattarsi e rivelarsi da solo, con straordinarie ripercussioni sul piano internazionale.. I tedeschi invasori dovettero distogliere ben otto delle 26 divisioni che avevano sulla linea gotica per impegnarle nella lotta partigiana, mentre 5 divisioni del nuovo esercito italiano partecipavano con gli alleati alla lotta militare. Genova, Torino, Milano furono liberate, così come già Napoli, dai partigiani, prima ancora che dagli alleati: furono i partigiani a scongiurare la distruzione dei grani invasi idro-elettrici e del potenziale industriale del Nord ». L'avv. Forcella, dopo aver dato lettura di alcuni messaggi di condannati a morte per la Resistenza, ha concluso: « Nessuno può dimenticare questa pagina di eroismo, di fede, di speranza con cui si apre il libro della nostra Patria, le cui parole sono idealmente scolpite sulla prima pietra del nostro Stato democratico. Raccogliere questa fiaccola, maturare in noi queste tradizioni, lavorare e vigilare perché nel mondo ci sia sempre più libertà, perché la libertà sia sempre più giusta, perché la giustizia sia sempre basata sulla pace, questo è il monito che gli italiani e i giovani soprattutto devono raccogliere da questa celebrazione». LUCERA Approvato il bilancio di previsione Con sedici voti favorevoli, sette contrari e due astenuti, il Consiglio Comunale di Lucera, riunitosi sotto la presidenza del sindaco Giuseppe Papa, ha approvato il bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 1964. Presenti venticinque consiglieri su trenta. Assenti quattro democristiani e il consigliere missino. Questi i principali stanziamenti previsti per le opere pubbliche: 100 milioni per le opere pubbliche: 100 milioni per ampliamento e restauro di Palazzo Mozzagrugno; 50 milioni per ampliamento e manutenzione del mattatoio comunale; 30 milioni per istituzione, costruzione ed attrezzatura dei mercati rionali; 150 milioni per costruzione collettore e rete idrica fognante nel nuovo quartiere « Salnitro » e a « Porta Foggia »; 80 milioni per ampliamento ed integrazione dell'illuminazione pubblica; 150 milioni per la costruzione, sistemazione e pavimentazione di strade e piazze nell'interno dell'abitato; 100 milioni per costruzione dello stadio comunale nel rione « Porta Croce »; 20 milioni per 147 costruzione strade nel quartiere « Pezza del Lago »; 90 milioni per costruzione di asili rionali al quartiere Nord, a Porta Croce e nel quartiere « Salnitro »; 75 milioni per abbattimento e ricostruzione dell'ex convento « San Pasquale » per istituzione di colonie permanenti; 200 milioni per costruzione di edificio per la scuola media; 100 milioni ad integrazione mutuo per la costruzione del nuovo istituto magistrale; 50 milioni per la costruzione della centrale ortofrutticola. Il totale generale delle spese è di L. 2.946.176.845. In apertura dei lavori, il sindaco Papa ha svolto una lunga relazione, nel corso della quale ha fatto presente le necessità che andavano affrontate con urgenza e i problemi che bisognava risolvere in futuro per restituire a Lucera quella importanza che aveva negli anni scorsi nel consesso delle città daune. Subito dopo ha preso la parola l'assessore alle finanze geom. Emanuele Alfieri, il quale per sommi capì ha illustrato le partì più importanti del bilancio, che hanno subito variazioni. Dopo la relazione dell'assessore, è stata aperta la discussione. Per primo è intervenuto il consigliere socialdemocratico Vecchiarino, che ha voluto far presente al Sindaco la necessità di provvedere al più presto al collegamento del nuovo quartiere « Pezza del Lago » con il centro abitato. Il Sindaco ha replicato, facendo sapere che è allo studio un progetto che prevede l'allacciamento del centro con tutti i quartieri periferici, tramite servizi di circolari. Si è registrato, poi, un lungo ed interessante intervento del presidente della Camera di Commercio di Foggia e consigliere liberale avv. Carlo Cavalli, che ha espresso le sue riserve sulla realizzazione e la concorrenza della centrale ortofrutticola a Lucera, che, a parte la esiguità della somma preventivata, non potrebbe mai, da sola e con materia prima limitata, assicurare l'intero ciclo lavorativo e fronteggiare la concorrenza di una organizzazione piú capillare e più razionalmente organizzata, per la presenza delle nascenti centrali « satelliti ». E' intervenuto subito dopo il capo gruppo della D. C., avv. Vincenzo Scarano, il quale ha sostenuto vivacemente che è una utopia sperare dì realizzare quel bilancio, data la insufficienza dei mezzi finanziari a disposizione del Comune di Lucera. Successivamente sono intervenuti i comunisti Antonio Pitta, Mario Di Gioia, il democristiano Antonio Rucci ed, infine, ancora il Sindaco. Alla fine della discussione, si è passato alla votazione, con i risultati sopra riportati. 148 INDICE GENERALE DELL'ANNATA 1964 - Parte Ia A) PER AUTORI ALTAMURA, Antonio. Agostino Gervasio e gli studi umanistici dell'Ottocento, p. 41. CAMPO, Girolamo. Profilo economico di Manfredonia (quattro tabelle statistiche), p. 77. CANDURA, Giovanni. Per un istituto universitario di Genio Rurale in Foggia, p. 105. CELUZZA, Angelo. La Capitanata alla « Mostra dell'Arte in Puglia dal tardo antico al rococò », p. 91. CERZA, Ermete. Documenti e monografie della Biblioteca Provinciale di Foggia: Presentazione, p. 95. D. L. Concorso « Il Carciofo D'Oro », p. 104. DAUNO. Il riordinamento della Società Dauna di Cultura, p. 101. DI FALCO, Marcello. Appunti per la redazione di un piano decennale per lo sviluppo di Foggia, p. 111. FOGGIA. La Festa della Liberazione Nazionale, p. 145. « GIUSTIZIA NUOVA ». Le deformazioni dello Stato contemporaneo in una conferenza di Michele Cifarelli, p. 103. LUCERA: Approvato il bilancio di previsione, p. 147. MANFREDONIA. Liberazione e scuole medie: il Liceo scientifico « Galilei », p. 143. « MASTRO » (Il). La XV Fiera dell'Agricoltura in Foggia, p. 125. MELILLO, Michele. Come vivono e come parlano sul Gargano, p. 45. SCARDACCIONE, Decio. Realtà e prospettive di sviluppo dell'agricoltura in Capitanata, p. 7. SCIORTINO, Giuseppe. Arte contemporanea a Trinitapoli, 89. SIMONE, Mario. Diario 1799-1829 di Ascoli Satriano. Premessa alle notazioni, p. 96; Il « Libro Rosso » della Città di Foggia, p. 100. SOCCIO, Pasquale. L'anno di Galilei - Metodo e tempo, p. 1. TAMBURRANO, Luigi. La Capitanata negli scritti di Tommaso Fiore, p. 65. TARONNA, Mario. Questo splendido « Foggia » .... p. 140. TERENZIO, Vincenzo. Onoranze alla memoria di Nicola Zingarelli, p. 93. VANIA, Savino. Programma della nuova Giunta provinciale, p. 129. B) PER MATERIA AGRICOLTURA. Capitanata, p. 7. AMMINISTRIZIONE PROVINCIALE DI CAPITANATA. Bilancio di previsione 1964, relazione del Presidente, p. 129; Nuova Giunta, p. 128. BIBLIOTECA PROVINCIALE DI FOGGIA. « Documenti e Monografle », p. 95. 149 CAPITANATA. Arte, sec. XI-XVIII, p. 91; Scritti di Tommaso Fiore, p. 65. FIERA (XVª) DI FOGGIA, p. 125. FIORE TOMMASO E CAPITANATA. Studio critico-bibliografico, p. 65. FOGGIA. Festa della Liberazione, p. 145; « Libro Rosso », p. 100; Programmazione, « Piano decennale di sviluppo », p. 111. GALILEI GALILEO, p. 1. GARGANO. Dialetti, p. 45. GERVASIO AGOSTINO, p. 41. ISTITUTO UNIVERSITARIO DI GENIO RURALE. Foggia, p. 105. « LIBRO ROSSO » DELLA CITTA Di FOGGIA, p. 100. LUCERA. Bilancio di previsione 1964, p. 147. MANFREDONIA. Economia, p. 67; Scuole Medie, p. 143. « MOSTRA DELL'ARTE IN PUGLIA DAL TARDO ANTICO AL ROCOCO’. BARI. Contributo della Capitanata, p. 91. SOCIETA DAUNA DI CULTURA. Riordinamento, p. 101. SPORT. CALCIO. UNIONE SPORTIVA FOGGIA. Cronache e ricordi, p. 140. TEDESCHI GIUSEPPE ANTONIO E ERMENEGILDO. Diario 1799-1829 di Ascoli Satriano,p. 95. TRINITAPOLI. Concorso «II Carciofo D'Oro», p. 104; Mostra d'Arte contemporanea, p. 89. ZINGARELLI NICOLA. Onoranze, 1964, p. 93. ILLUSTRAZIONI SUL TAVOLIERE DI PUGLIA - Ieri: distribuzione governativa del chinino in una masseria della zona malarica (tav. I); Oggi: speranze di un avvenire sereno nel comprensorio della riforma fondiaria (tav. II); Macchine nuove per un'agricoltura moderna (tav. III); Una fattoria modello, presupposto di migliori prodotti (tav. IV); DIPLOMA ACCADEMICO Di AGOSTINO GERVASIO (tav. V); INGRESSO AL GARGANO - Siponto, Manfredonia e lo Sperone dalle cave dì tufo di Santa Lucia (tav. VI); MANFREDONIA - La sede municipale nel settecentesco convento di S. Domenico (tav. VII); GARGANO - Un secolare colloquio che dura (tav. VIII); Antico rione di Monte S. Angelo (tav. IX); Un altro discorso, ma in musica (tav. X); ARTE IN CAPITANATA MAESTRO Di BOVINO: « Martirio di San Pietro », tela del secolo XIII in « San Pietro » di Bovine (tav. XI); VACCARO: « L'Annunziata e l'Angelo », tela intorno al sec. XV nella Chiesa dei Cappuccini di Vico Garganico (tav. XII); ASCOLI SATRIANO - Croci campane e gonfaloni nel feudo di Trojano Marulli (tav. XIII); Il Castello ducale al tempo nostro (tav. XIV), LA CAPITALE DELLA DOGANA - Foggia, « ventris nostrae Neapolis » (tav. XV); FIERA DELL’AGRICOLTURA IN FOGGIA - Aspetti della XV manifestazione nazionale (tav. XVI); Aspetti della XV manifestazione nazionale (tav. XVII); LA NUOVA GIUNTA PROVINCIALE Il presidente dottor Savino Vania (tav. XVIII); LO « SPLENDIDO FOGGIA » La famosa squadra delle « 3 M » - I « Satanelli » in serie « A » (1964) (tav. XIX); IL « GALILEI » DI MANFREDONIA - Il preside Melillo dice la prolusione al ciclo celebrativo di Galilei - Il contributo degli allievi alla celebrazione di Michelangelo (tav. XX). 150 LA CAPITANATA – Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia – Direttore Responsabile: dottor Angelo Celuzza – Direzione Tecnica dello STUDIO EDITORIALE DAUNO – Tipografia Laurenziana – Napoli – Aut. Tribun. di Foggia 6-6-1962 e 16-41963. Registr. al n. 150. FEDERATI AUTORI EDITORI TIPOGRAFI E LIBRAI MERIDIONALI ATTI, DOCUMENTI E STUDI DAUNI - SERIE I: AMMINISTRATIVA - Atti dell'Amministrazione Provinciale di Capitanata (in 4°, sopracc. fig.) Anni 1952-1961. Voll. 12 (fuori comm.). SERIE II: ISTITUTI D'ARTE E DI CULTURA (in 8°, cop. fig.) La Biblioteca Provinciale di Foggia. Pp. 34, 6 tavv. f.t. (f.c.). BILANCIA, collana di critica letteraria e artistica (in 8°) I. ANTONIO REGINA, Pietro Paolo Parzanese a cento anni dalla morte. Premessa bio-bibliografica, note, discorso commemorativo. Pp. 112, con ritratto f.t. L. 800. - 2. ALFREDO DE DONNO, Solitudine di Pirandello. Premessa bio-bibliografica, indice dei nomi, nota bibliogr. Pp. 76, con ritratto f.t. L. 600. BIBLIOTECA MUSICALE (in 8°, Cop. fig.) . VINCENZO TERENZIO, Storia della Musica secondo i programmi ministeriali in vigore. In appendice: Nozioni di acustica. Pp. 224. L. 1.000. P U G L I A 1 9 6 1 - Le celebrazioni del Centenario dell'Unità nazionale, a traverso le mostre, i discorsi, la stampa. Bibliografia e illustrazioni. - 1. MARIO SIMONE, La Capitanata eretta a provincia dello Stato italiano. Pres. del prefetto E. Cerza. Largo corredo, di note. In 4°, pp. 24, ritr. f.t., cop. fig. L. 300. BIBLIOTECA DEL RISORGIMENTO PUGLIESE, sotto gli auspici dell'Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano (in 16°). - 1. ANTONIO LUCARELLI, I moti carbonari della Daunia alla luce di nuovi documenti. Pp. 38. - 2. FRANCESCO GIORDANI, Francesco Paolo Bozzelli. Pp. 64 con ritr. e autogr. f.t. - 3. ERNESTO PONTIERI, I fatti lucerini del 1848. Pp. 58 con 4 tavv. f.t. - 4. CARLO GENTILE, Giuseppe Ricciardi. Pp. 52 con rir. f.t. Ciascun opuscolo L. 500. BIBLIOTECA DAUNA, collana di monografie regionali sotto gli auspici della Società Dauna di Cultura (in 8°, Sopracc. fig.) - SILVESTRO MASTROBUONI, San Leonardo di Siponto, Storia di un antico monastero. Note, append. di docum. ined., bibliogr. Pp. 192, 12 tavole f.t., dis. di Vera Carotenuto. L. 2.000. - FRANCESCO DELLI MUTI, Le Isole Tremiti. Bibliogr. Pp. 176, 16 tavv. fa. L. 1.200. NUOVI SCRITTORI DAUNI, per la Società Dauna di Cultura (in 16°) - 1. CRISTANZIANO SERRICCHIO, Nubilo et sereno. Poesie. Pres. di Alfredo Petrucci. Pp. 46+2. - 2. RENZO FRATTAROLO, Seicento minore. Pres. di Michele Vocino. Pp. 80. - 3. CARLO GENTILE, Poesia di Umberto Fraccacreta. Pres. e bibl. di Mario Simone. Pagine 80 con ritr. dis. da Schingo. - 4. MICHELE ZUPPA, Giuseppina Carillo, poetessa dell'amore divino. Pp. 64. Ciascun opuscolo L. 500. Commissioni a: LAURENZIANA in Napoli (via Tribunali, 316), c.c.p. 6/23302. - Studio Editoriale Dauno in Foggia (CaselIa Postale) c.c.p. 13/3637. ILLUSTRAZIONI SUL TAVOLIERE DI PUGLIA - Ieri: distribuzione governativa del chinino in una masseria della zona malarica (tav. I); Oggi: speranze di un avvenire sereno nel comprensorio della riforma fondiaria (tav. II); Macchine nuove per un'agricoltura moderna (tav. III); Una fattoria modello, presupposto di migliori prodotti (tav. IV); DIPLOMA ACCADEMICO Di AGOSTINO GERVASIO (tav. V); INGRESSO AL GARGANO -Siponto, Manfredonia e lo Sperone dalle cave di tufo di Santa Lucia (tav. VI); MANFREDONIA - La sede municipale nel settecentesco convento di S. Domenico (tav. VII); GARGANO - Un secolare colloquio che dura (tav. VIII); Antico rione di Monte S. Angelo (tav. IX); Un altro discorso, ma in musica (tav. X); ARTE IN CAPITANATA - MAESTRO DI BOVINO: « Martirio di San Pietro », tela del secolo XIII in « San Pietro » di Bovino (tav. XI); VACCARO: « L'Annunziata e l'Angelo », tela intorno al sec. XV nella Chiesa dei Cappuccini di Vico Garganico (tav. XII); ASCOLI SATRIANO - Croci, campane e gonfaloni nel feudo di Trojano Marulli (tav. XIII); Il Castello ducale al tempo nostro (tav. XIV); LA CAPITALE DELLA DOGANA - Foggia, « ventris nostrae Neapolis » (tav. XV); FIERA DELL'AGRICOLTURA IN FOGGIA - Aspetti della XV manifestazione nazionale (tav. XVI); Aspetti della XV manifestazione nazionale (tav. XVII); LA NUOVA GIUNTA PROVINCIALE Il presidente dottor Savino Vania (tav. XVIII); LO « SPLENDIDO FOGGIA » La famosa squadra delle « 3 M » - I « Satanelli » in serie «A » (1964) (tav. XIX); IL « GALILEI » DI MANFREDONIA - Il preside Melillo dice la prolusione al ciclo celebrativo di Galilei - Il contributo degli allievi alla celebrazione di Michelangelo (tav. XX). SOMMARIO del n. 1 - 6 L'ANNO DI GALILEI - PASQUALE SOCCIO: Metodo e tempo PAG. 1 DECIO SCARDACCIONE: Realtà e prospettive di sviluppo dell'agricoltura in Capitanata » 7 ANTONIO ALTAMURA: Agostino Gervasio e gli studi umanistici dell'Ottocento » 41 MICHELE MELILLO: Come vivono e come parlano sul Gargano » 45 LUIGI TAMBURRANO: La Capitanata negli scritti di Tommaso Fiore » 65 GIROLAMO CAMPO: Profilo economico di Manfredonia (4 tabelle statistiche) » 77 TESTIMONIANZE D'ARTE E DI CULTURA – 1. Arte contemporanea a Trinitapoli (Giuseppe Sciortino); 2. La Capitanata alla « Mostra dell'Arte in Puglia dal tardo antico al rococò » (Angelo Celuzza); 3. Onoranze alla memoria di Nicola Zingarelli (Vincenzo Terenzio) » 89 LIBRERIA - Documenti e monografie della Biblioteca Provinciale di Foggia: 1) Presentazione (Ermete Cerza) - Diario 1799-1829 di Ascoli Satriano. Premessa alle notazioni (Mario Simone); 2) Il «Libro Rosso» della Città di Foggia (M. S.) » 95 CRONACHE DELLA CULTURA - 1. Il riordinamento della Società Dauna di Cultura (Dauno); 2. Le deformazioni dello Stato contemporaneo in una conferenza di Michele Cifarelli (« Giustizia Nuova); 3. Concorso «Il Carciofo d'oro» (d. 1.) » 101 PROBLEMI REGIONALI - 1. Per un istituto universitario di Genio Rurale in Foggia (Giovanni Candura): 2. Appunti per la redazione di un piano decennale per lo sviluppo di Foggia (Marcello di Falco) » 105 MANIFESTAZIONI NAZIONALI - La XV Fiera dell' Agricoltura in Foggia (il «mastro» ) » 125 PALAZZO DOGANA - 1. La nuova Giunta Provinciale; della nuova Giunta Provinciale (Savino Vania) SPORT - Questo splendido «Foggia» (Mario Taronna) 2. Programma » 128 » 140 VITA COMUNALE - Manfredonia: Liberazione e scuole medie. Il Liceo scientifico «Galilei»; Foggia: La festa della Liberazione Nazionale; Lucera: Approvato il bilancio di previsione. » 143 Segno in 3ª di copertina l'elenco delle illustrazioni la Capitanata Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia BOLLETTINO D’INFORMAZIONE della Biblioteca Provinciale di Foggia Anno II (1964) n. 1-6 (genn.-dic.) Realtà, esigenze e prospettive della «Provinciale» di Foggia 1. La biblioteca pubblica è una creazione tipica della democrazia moderna: essa perciò vanta una feconda e gloriosa esistenza in paesi dove il regime democratico ha una lunga tradizione. « Assicurare l'educazione degli adulti e nello stesso tempo completare l'opera della scuola, sviluppando il gusto della lettura nei ragazzi, nei giovani per farne degli adulti capaci di apprezzare i libri e di trarre da essi profitto», cosí il « Manifeste des Bibliotèques publiques » edito dall'UNESCO. La biblioteca pubblica, infatti, oggi non può limitarsi a raccogliere e conservare il patrimonio librario; non può neppure accontentarsi di renderlo accessibile a coloro che ne hanno bisogno; ma deve ottenere che essi acquistino coscienza del loro bisogno dei libri e che agiscano in conseguenza. In altri termini la Biblioteca non ha soltanto la funzione di accogliere quelli che spontaneamente entrano e la frequentano, ma deve attirare e incatenare gli altri, i non lettori. Tutto ciò postula il concetto moderno di biblioteca pubblica come organismo educativo e sociale della comunità: quindi la necessità di conoscerla bene e di farsi conoscere per servirla. Tuttavia la estensione del servizio di lettura non ha solo dimensioni sociali e culturali, ma anche topografiche. E per questo ci si domanda: « Una biblioteca pubblica in una città come Foggia, situata 1 nel centro, con un orario di apertura di nove ore giornaliere (orario attuale osservato dalla nostra « Provinciale ») perché è frequentata soltanto da un certo numero di persone? Per tentare di dare una risposta al quesito posto, diamo uno sguardo alle statistiche della lettura in sede e dei prestiti negli ultimi anni: Distinti per categorie, tre quarti di lettori sono costituiti da studenti e professionisti e un quarto da operai, impiegati ed altri. Una gran parte della cittadinanza quindi non fruisce dei servizi che la biblioteca offre. Quali ne sono le cause? I motivi per i quali una parte piú o meno ampia dei membri della comunità non profitta del servizio della Biblioteca pubblica potrebbero essere: 1) arretratezza e insufficienza dei servizi; 2) scarsezza dei mezzi; 3) personale poco preparato; 4) locali vecchi e polverosi e inaccoglienti; 5) orario limitato; 6) procedura di distribuzione e di prestito lenta e defatigante. Non si può dubitare che ci siamo adoperati per ovviare a tutte queste cause impedienti; che da un ammasso informe di libri, quale era ridotto l'istituto dopo i bombardamenti aerei dell'anno 1943, abbiamo con lavoro tenace e intelligente ridato alla Provinciale di Foggia efficienza di servizi, cataloghi perfetti, aggiornamento librario, che la modestia dei mezzi messi a nostra disposizione ha consentito. Rifatti i cataloghi, impostato ex novo l'inventario generale e il registro d'ingresso, creato il catalogo per autori e per soggetti di tutto il materiale concernente Foggia, la Capitanata e il Regno di Napoli, dato per la prima volta ordinamento a venti annate di circa quattrocento periodici posseduti, al fondo dei manoscritti, agli incunabuli e alle cinquecentine, iniziata la bibliografia teatrale (finora comprende oltre quattromila schede), creato un reparto di bibliografie e di repertori bibliografici, completato l'inventario dei vuoti causati dalle vicende belliche, impostato e risolto il problema dell'Archivio Stampa e Documentazione con inizio dal 1°-1-1963. L'ordinamento moderno e la efficienza dei servizi ci hanno dato la possibilità di ospitare, con la collaborazione della Soprintendenza Bibliografica, quattro corsi di preparazione per dirigenti di biblioteche popolari e scolastiche. Il servizio di prestito e di informazioni bibliografiche è stato disciplinato in maniera perfetta, con l'introduzione di scadenziari e di schedoni amministrativi, di tessere e di registri di controllo. Oggi la 2 nostra Biblioteca con un patrimonio di circa 124.000 volumi e opuscoli, con circa quattrocento periodici, manoscritti, 11 incunabuli e oltre 400 cinquecentine, per modernità di servizi e funzionalità, è uno degli istituti piú efficienti dell'Italia meridionale. 2. Se attualmente in Italia le biblioteche attraversano un periodo di crisi, sempre piú acutizzata dai bisogni crescenti della società moderna, ciò accade anche perché il problema delle biblioteche non è stato affrontato mai con chiarezza d'idee. Grave è la carenza legislativa esistente nel nostro paese per le biblioteche non governative, anche se nel Testo Unico della vigente Legge Comunale e Provinciale (artt. 91. lettera B, n. 2 e 144 lettera B, n. 3) esse sono implicitamente considerate oggetto di spesa obbligatoria da parte delle Amministrazioni locali, mentre la legge 24-4-1941, n. 397, relativa al funzionamento delle biblioteche pubbliche in ogni capoluogo di provincia, è praticamente inoperante. Noi ci auguriamo che dopo la costituzione delle regioni cui compete legiferare in materia che regoli la vita delle biblioteche, si sappia (e si voglia) correggere gli squilibri ancora esistenti in questo campo, con l'impostazione di seri programmi di sviluppo culturale, oltre che economico. Poiché all'Ente proprietario rimarrà il compito di provvedere alla conservazione, al funzionamento e alla gestione delle biblioteche, è augurabile che l'Ente Provincia, cui il nostro Istituto appartiene, voglia far meglio e di più per la sua Biblioteca. Questo augurio si riferisce soprattutto agli oneri finanziari da sostenere e alla improrogabile esigenza di una nuova sede, funzionale e moderna. Anche a questo importante oggetto le cifre soccorrono a chiarire e puntualizzare meglio alcune situazioni. Premesso che la produzione libraria italiana, nell'ultimo quinquennio, è stata in media di circa 15.000 unità annuali, che cosa è stato speso da noi? La spesa per le legature, di fronte a un fabbisogno effettivo di oltre ventimila volumi da rilegare (per una spesa di circa L. 18.000.000) è stata sempre contenuta, annualmente, entro L. 500.000. 3 3. Circa la spesa e la dotazione libraria di una biblioteca pubblica che cosa consiglia la moderna biblioteconomia? La biblioteca pubblica, in riferimento ai compiti d'assolvere, deve possedere negli scaffali almeno 1 volume per abitante, almeno dai 30 ai 40 volumi per ogni 100 abitanti per il fondo prestito e dai 5 ai 20 volumi per ogni 100 abitanti per materiale di consultazione. Inoltre nella spesa totale 1/4 deve essere assicurato all'aggiornamento, il 20% per opere di consultazioni; il 7-10% per i periodici; il 25% per le rilegature. Questi gli standard approvati anche dalla FIAB, e ci auguriamo vengano accolti da quanti hanno responsabilità di amministrare la cosa pubblica i quali dovrebbero essere consapevoli che assegnare fondi a una biblioteca significa stanziare somme tali che consentano alla medesima, non solo di sopravvivere ma di operare. Ma se abbiamo accennato innanzi all'esigenza che il nostro istituto, in armonia ai nuovi compiti assegnati alle biblioteche dei capoluoghi di provincia, estenda il suo servizio di lettura a tutti i ceti, per servire la comunità, bisognerà che se ne estenda l'area di servizio con un sistema di succursali o sezioni staccate nel centro urbano e con una rete di piccole biblioteche nei comuni della provincia. Solo cosí esso non resterà isolato e praticamente impossibile a gran parte della popolazione. A questa esigenza si informarono i colloqui avvenuti a piú riprese tra l'Amministrazione Provinciale di Foggia e il Comune del Capoluogo, tra questo e la Società Dauna di Cultura, la Biblioteca e la Soprintendenza Bibliografica che portarono alla stipula di una convenzione che prevedeva oneri e compiti di enti e istituti per la creazione e il funzionamento di cinque biblioteche di quartiere, in città, e di una biblioteca per ragazzi nei giardini pubblici. Il nostro impegno per realizzare una biblioteca per bambini, considerata la mancanza di un'apposita sala in biblioteca, deve essere grande e affettuoso. Se è vero che i primi libri del bambino sono gli occhi della madre, che poi viene la natura e assai tardi debbono venire i libri, è necessario che quanto ottimamente progettato per i piccoli lettori (già tanto ben accolti, oggi, sia pure in ambienti inadatti per loro ... ) sia in uno con le biblioteche di quartiere realizzato al piú presto. Forse le remore e le difficoltà che la Biblioteca incontra nella sua espansione non sono dovute tutte e solamente alla « congiuntura economica »; forse da qualcuno si pensa che la spesa per i libri sia improduttiva. Perciò dobbiamo ancora e più preoccuparci in Capitanata di organizzare presto e bene accoglienti e moderne biblioteche. Il rinnovamento della società e l'installazione di industrie nel foggiano ci porranno di fronte a problemi gravi da risolvere, che non debbono trovarci impreparati, perché, la tecnica, che è creazione dell'uomo per fini e valori umani, non chiuda l'uomo nella solitudine di un io astratto o introverso e neanche lo abbandoni in un ambiente sociale che non lasci posto se non per il gregario. Ma quale livello medio di 4 preparazione tecnico-culturale richiedono nei loro operai le nuove attività industriali? e quali margini di tempo libero consentono? 4. Alla nuova sede della Biblioteca, - attualmente compressa e soffocata in locali insufficienti, privi di luce, umidi e antigienici, dove la moderna attrezzatura e la suppellettile libraria deperiscono -, occorrerà provvedere subito e bene. Non si pensi, per carità, a una nuova soluzione provvisoria come quella adottata dalla pur benemerita Amministrazione che fondò l'Istituto! Il provvisorio troppo spesso qui da noi diventa definitivo. La nuova sede progettata per una dotazione di mezzo milione di volumi, deve tenere conto degli incrementi per un minimo di venti anni e delle altre esigenze di un istituto culturale moderno e funzionale. Quindi non basterà provvedere alle sale di lettura, ai magazzini, agli uffici, alle sale dei cataloghi e delle informazioni bibliografiche, ma occorrerà predisporre tutto per un'ampia e moderna sala di consultazione, ricca almeno di ventimila volumi; di sale per ragazzi, di sale per i fondi particolari, per i periodici, per i manoscritti, per le riproduzioni microtofotografiche e xerografiche, per le audizioni e le conferenze. L'esigenza della nuova sede è imposta anche dalla non lontana realizzazione (come speriamo) del Consorzio per gli studi superiori. Una moderna biblioteca, ben fornita e funzionante, sarà una delle componenti essenziali per il funzionamento dei corsi di istruzione superiore da noi tutti auspicati. 5. Consapevoli delle nostre responsabilità e nell'ansia del meglio, abbiamo parlato soltanto di quanto desidereremmo poter fare per la cultura e la comunità. Ma possiamo affermare che già oggi, nonostante i tagli anonimi e perentori degli organi tutori, che frustano troppo spesso la buona volontà degli amministratori nei confronti delle biblioteche, la Biblioteca Provinciale ha lavorato molto e ha ben operato nella e per la sua comunità. E' stata presente in tutte le manifestazioni culturali organizzate e svoltesi nella nostra città: dal « Convegno per animatori del libro » alla « Mostra Storica Laterza », dalle manifestazioni per celebrare il VII° centenario dantesco alla celebrazione del CL anniversario dell'illustre concittadino Giuseppe Rosati, dalla organizzazione perfetta da essa approntata per la realizzazione del « Piano L. » in Provincia, alla pubblicazione del periodico « La Capitanata », ormai al secondo anno di vita, e della collana « Documenti e Monografie della Biblioteca Provinciale di Foggia », in cui è comparso, per i tipi dello Studio Editoriale Dauno, il volume « Diario di Ascoli Satriano » dei Fratelli Tedeschi, da un manoscritto inedito posseduto dalla « Provinciale », e presto vedrà la luce il secondo volume, anch'esso da un manoscritto inedito in possesso della Biblioteca: « Capitoli e Statuti della Città di Foggia ». La stima e la simpatia dalle quali la Biblioteca è circondata si possono desumere anche dalle donazioni che particolarmente abbondanti sono pervenute negli ultimi anni. 5 Cito le piú importanti, per il periodo 1-1-1960 – 31-12-1964: fondo « Angelo Fraccacreta »; 4.235 voll. e opuscoli e un centinaio di importanti periodici; lascito « Fajella »: 992 voll. due manoscritti e 11 periodici; Ministero P. I. e Ente Nazionale Biblioteche Pop. e Scol., 791. fondo « R. Pagliara »: 2.249 voll. donazioni diverse: 5.716. Per concludere, dopo quanto brevemente accennato in merito ai problemi e alle necessità che una moderna organizzazione della cultura impone alla nostra responsabile attenzione, è superfluo sottolineare l'urgenza di intervenire da parte dell'Amministrazione Provinciale, i cui saggi amministratori siamo sicuri vorranno sin dal prossimo bilancio impostare finanziariamente il problema della nuova sede della Biblioteca e quello del decentramento della pubblica lettura. Cosí operando avremo rimosso in Capitanata uno dei motivi che ostacolano la migliore circolazione delle idee e lo stesso progresso civile delle popolazioni e avremo attuato quanto la costituzione detta all'art. 3, ove si comanda di « rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana ». Ci scusiamo per il tono a volte aspro e perentorio di alcune affermazioni, ma sentiamo onestamente di poter affermare (e giova qui sottolineare che il bibliotecario non può essere per « l'ordinaria amministrazione ») tutto è stato dettato - e si giustifica quindi - dal nostro amore per il libro che, tanto piú nella nostra epoca - in cui stiamo assistendo al capovolgimento di tanti valori -, non cambia mai, mantiene anzi sempre ciò che promette, ci consola, sempre ansioso di infonderci virtú e coraggio, fonte di sapere, non solo, ma anche di dignità. ANGELO CELUZZA Prof. ANGELO CELUZZA, direttore della Biblioteca Provinciale di Foggia. 6 LA « PROVINCIALE » DI FOGGIA Ufficio della Direzione Sala dei cataloghi LA « PROVINCIALE » DI FOGGIA Sala di lettura « Nicola Zingarelli » Sala di consultazione « Angelo Fraccacreta » LA « PROVINCIALE » Di FOGGIA Lettori in sede LA « PROVINCIALE » Di FOGGIA 14 Sul foggiano Giuseppe Rosati Ricerche storico-bibliografiche nel CL della sua morte LE ONORANZE DI FOGGIA L'idea di ricordare Giuseppe Rosati, soprattutto alla gioventù studiosa, nel 150° anniversario della morte, fiorì l'anno scorso nella mente dell'allora preside della Scuola Media «Rosati» di Foggia, prof. Gaetano Piccone. Egli riscosse subito un largo consenso cittadino, che ebbe interpreti volenterosi nel sindaco avv. Carlo Forcella, nell'assessore alla P.I. dr. Leonardo Procino ed in tutti gli altri membri della Giunta municipale. Fu, inoltre, preziosa la collaborazione del prof. Carlo Gentile, dello sculture prof. Salvatore Postiglione, ma soprattutto della Biblioteca Provinciale e dell'Archivio di Stato di Foggia. Il primo atto dal quale presero l’avvio le onoranze è del 16 dicembre 1963. In questa data il preside Piccone indirizzava la seguente lettera al sindaco di Foggia: «Il suo vivo attaccamento alla nostra terra e la sua profonda ammirazione per quanto i suoi figli fecero, mi hanno spinto a scriverle queste parole. Sono il preside della nuova scuola Media « Rosati ». Ho detto « nuova » perché risultante dalla fusione delle due precedenti scuole di avviamento « G. Rosati » e « M. Montessori ». Questa rinnovata scuola non poteva riprendere il proprio cammino con auspici migliori. Ricorre, infatti, nel 1964 il 150° anno dalla morte del grande concittadino Giuseppe Rosati. E, proprio perché gli alunni di questa Scuola e la popolazione tutta della nostra città non dimentichino un figlio che ha dato lustro a Foggia e alle scienze, e perché venga conservato quanto i foggiani delle generazioni passate fecero per onorare e tramandare il nome e la fama di tanto illustre concittadino, le chiedo d'intervenire affinché sia restaurato il tempietto dedicatogli nel 1927 e vi sia riposto il busto attualmente in giacenza presso il Museo civico. Opportuno, inoltre, sarebbe porre all'ingresso della Scuola una lapide che ricordi la ricorrenza e più ancora il nostro impegno ad imitare una vita nobile e retta ». Il sindaco, accogliendo l'invito del preside Piccone, con la seguente partecipazione alla cittadinanza, rese noto il proprio pensiero e quello della Civica amministrazione: « Ricorre quest'anno il centocinquantesimo anniversario della morte dell'insigne Concittadino Giuseppe Rosati, uomo di cultura poliedrica, dai suoi contemporanei definito “il Newton pugliese". Filosofo, matematico, medico e stu15 dioso profondo dei problemi dell'agricoltura. Giuseppe Rosati portò il suo contributo in tutti i campi dello scibile. Fu professore di economia rurale in Foggia (1800) e primo presidente della «Reale Società Economica di Capitanata» (1810). Gli uomini della haute culture usavano chiamare il Rosati l'enciclopedico di Foggia. Fra i suoi numerosi scritti sono da ricordare, per il contenuto tecnico-scientifico: Elementi di agrimensura (1787); Le industrie di Puglia (1808); La concia dei semi; La prolusione alla Cattedra di Agricoltura; La trebbiatura; La conservazione dei boschi; ecc. Nelle sue opere il Rosati, con grande intuito e senso di premonizione, previde il futuro sviluppo della vita dei campi. La predilezione degli studi e delle opere riguardanti la tecnica e l'economia agricola rispecchia l'amore dell'uomo di scienza per la sua terra e per le sue fonti di ricchezza, che il Rosati filantropo cercava di rendere accessibili al popolo. I concittadini, subito dopo la morte, gli eressero un sarcofago monumentale in Cattedrale e gli dedicarono il classico tempietto (appositamente costruito) che sovrasta la fontana a cascata della Villa Comunale, sulla parte più elevata del boschetto (1827), comprendente anche un busto marmoreo (1839). A Giuseppe Rosati furono intitolate una strada e la prima Scuola Tecnica foggiana (1862). L'Amministrazione comunale intende celebrare il 150° anniversario della morte dell'Uomo dì ingegno e dell'illustre Concittadino con degne onoranze, che culmineranno con lo scoprimento di un marmo, a ricordo delle celebrazioni, nel restaurando tempietto della Villa comunale ». Nel frattempo si costituiva un apposito comitato per la cura nei dettagli delle onoranze programmate ed il preside della « Rosati » indirizzava agli ex alunni della scuola la seguente lettera: « Ex-Alunni della “Rosati”, il prossimo primo settembre ricorre il 150° anniversario della morte di G. Rosati, al quale è intitolato la nostra Scuola! Per ravvivare nella memoria di molti il nome e l'opera del nostro illustre concittadino abbiamo pensato di attuare delle particolari iniziative. Sarebbe stata grave colpa per noi, Preside, Insegnanti, Personale e Alunni di questa Scuola, lasciar passare inosservata una ricorrenza tanto importante. Proprio per questo abbiamo voluto rivolgervi due parole attraverso la stampa. Scriveteci comunicandoci il vostro nominativo, l'anno di frequenza, particolari ricordi della Scuola, di Professori, di amici, di voi. Ma soprattutto veniteci a trovare perché vogliamo ricordare insieme la vita e l'opera d'una Scuola tanto cara; perché vogliamo conoscervi come fratelli maggiori che ci spronino al bene, e perché no? perché vogliamo affermarci come voi per fervore dì opere, per rettitudine, per sapere. Forse avrete letto o vi sarà giunta voce di quanto vogliamo fare per onorare degnamente lo scienziato Giuseppe Rosati... Abbiamo ciclostilato un foglio con qualche dato biografico e cenni degli onori che gli tributarono i Foggiani delle passate generazioni. Amici, vi aspettiamo: venite e concorderemo quanto potrà rendere più suggestive le celebrazioni per onorare l'« Uomo » che ammiriamo per la vastità del sapere, per l'amore verso il popolo, per la passione con cui attese all'educazione dei giovani, per l'attaccamento alla Nostra Terra! Nell'attesa di conoscervi di persona v'inviamo un fraterno saluto ». 16 Così prendevano avvio pazienti lavori di ricerche e di documentazione sull'opera del Rosati. Ai direttori delle biblioteche provinciali e comunali il Sovrintendente bibliografico di Bari indirizzava la seguente lettera: «La Città di Foggia intende celebrare solennemente il 150° anniversario della morte del suo illustre figlio Giuseppe Rosati (1752-1814), matematico, scienziato, medico, astrono e geografo. A completamento delle cerimonie che si svolgeranno entro l'anno corrente, verrà allestita presso la Biblioteca di Foggia una Mostra delle sue opere. Pertanto, si prega di voler cortesemente segnalare a questa Soprintendenza le opere a stampa o manoscritte e le carte geografiche del Rosati possedute dalle Biblioteche in indirizzo». * * * Larga eco, infine, dette la Stampa alla puntualizzazione delle manifestazioni commemorative. Eccone un saggio: «II sindaco Forcella ha ricevuto a Palazzo di Città il Comitato per le onoranze a Giuseppe Rosati. All'avv. Forcella, che è il presidente onorario del Comitato stesso, sono state sottoposte le manifestazioni programmatiche per ricordare degnamente la figura del Rosati. E' stato innanzitutto stabilito che tali onoranze avranno la loro realizzazione contemporaneamente alle manifestazioni in programma per la tanto attesa riapertura al pubblico del Museo e della Pinacoteca comunali, fissata per il prossimo mese di ottobre. Grazie alla positiva spinta impressa alla complessa attuazione dei programmi di lavoro, il Museo e la Pinacoteca, ricostruiti con concezioni di alta funzionalità, potranno dunque essere riaperti al pubblico a circa 23 anni di distanza dalle distruzioni inflitte ai due istituti dalla guerra. Sarà, dunque, in questa degnissima sede che grazie alle decisioni del Sindaco potranno svolgersi le celebrazioni commemorative di Giuseppe Rosati, che consisteranno in una rassegna di tutte le opere reperite dell'illustre filosofo, nella pubblicazione di un numero speciale della rivista «La Capitanata», edita dall'Amministrazione provinciale, dedicata a Rosati comprendente scritti dei professori Carlo Gentile e Gaetano Piccone, del direttore della Biblioteca provinciale e direttore della rivista stessa, prof. Angelo Celuzza e del pubblicista Attilio Tibollo. Sempre al civico Museo verrà allestita una mostra di lavori eseguiti da alunni della Scuola «Giuseppe Rosati» di Foggia e verranno tenute conversazioni e conferenze per illustrare e divulgare, specialmente tra i giovani, l'opera di didatta e di studioso geniale del Rosati. A cura del Comune, peraltro, verrà quanto prima ripristinato il tempietto che, nella Villa comunale, prima della guerra, ospitava un busto marmoreo del Rosati, busto che sarà riprodotto dallo scultore prof. Salvatore Postiglione, mentre borse di studio particolari verranno assegnate, per l'occasione, ad alcuni meritevoli della Scuola Media "Rosati" di Foggia». ATTILIO TIBOLLO 17 La figura, la vita e l'insegnamento di Rosati Queste brevi notizie su Giuseppe Rosati non hanno alcuna pretesa di grande o profonda erudizione. Esse vogliono solo, nel quadro delle manifestazioni organizzate per celebrare il 150° anniversario della morte di questo nostro illustre concittadino, ravvivarne le nobile e cara figura. Le persone colte, e quelle che hanno svariati anni sulle spalle, hanno sentito di lui, ma spesso vagamente, molte cose. Ora, perché la nebbia dell'incerto non finisca per avvolgere completamente la figura di un uomo che per la nobiltà del suo sentire e la rettitudine del suo operare, ha ancora molte cose da insegnare anche in un'epoca piena, come la nostra, di nuove conturbanti scoperte, ho pensato di riportare in queste poche pagine i tratti salienti della sua vita e del suo pensiero. L'iniziativa di promuovere manifestazioni atte ad onorare degnamente il 150° anniversario della morte di G. Rosati è nata (mi piace rilevarlo!) nelle aule di una scuola e precisamente della Scuola « G. Rosati » che, sorta nel 1862, si è affermata attraverso i tempi e, pur colpita dalle vicende più varie, ha formato, istruito, preparato alla vita schiere di giovani valenti e operosi. Dalla Scuola, dicevo, è partita l'iniziativa, e non poteva essere altrimenti poiché Giuseppe Rosati, ed è questo il tratto più saliente della sua personalità, nella scuola e per la formazione e l'istruzione dei giovani profuse le sue migliori energie. Egli venne alla luce in Foggia, il 21 settembre 1752 da Marianna Giannone e Raffaele Rosati. Il giorno successivo fu battezzato in Cattedrale e gli furono posti, oltre al nome di Giuseppe, quelli di Marcello, Ignazio, Matteo. Immensa dovette essere la gioia della pronipote di Pietro Giannone e del giureconsulto Raffaele Rosati per la nascita del loro primo ed ultimo figlio. Essi, purtroppo, non vissero a lungo. Del loro affetto e delle loro cure il piccolo Giuseppe venne privato quando era ancora in tenera età. Cosí, il mondo e la vita che si erano presentati al bambino con le promesse più rosee, come per un malefico incanto, gli si mostrarono ben presto crudeli e nemici. Non dovremmo perciò meravigliarci in seguito per il suo rifuggire dal chiasso mondano e per il suo semplicissimo, quasi selvatico tenore di vita allorché si pensi per un momento che egli non conobbe l'affetto dei genitori e non poté gustare le gioie della famiglia. Forse, solo una compagna intelligente e affettuosa, che gli avesse regalato una nidiata di bimbi, gli avrebbero potuto allietare la vita e colmargli il vuoto immenso che portava nel cuore fin dagli anni più teneri. Del piccolo orfano si prese cura uno zio paterno, Bonaventura Rosati, ecclesiastico probo e illuminato. Questi provvide ad avviare agli studi il giovanetto presso il Seminario di Troja. 18 Reggeva allora la diocesi troiana il Vescovo Marco De Simone di Atella, il quale conservò al Seminario la rinomanza a cui l'avevano portato i suoi due predecessori, i Vescovi Cavalieri e Faccolli. La permanenza del Rosati al Seminario di Troja fu un periodo di raccoglimento e un adusarsi agli eventi e ai casi della vita. Gli anni passati a Troja furono, per il nostro giovanetto, anni di studio intenso e proficuo, durante i quali cominciò a rivelare le sue vaste attitudini e la sua non comune intelligenza. Gli studi delle 'belle lettere' aprirono al giovane Rosati gli spazi immensi della fantasia, ne rafforzarono la mente, ne affinarono il gusto. Una breve sosta a Foggia, dopo il ritorno da Troja, e poi eccolo nella capitale del Regno. Napoli l'avrà certamente incantato con le sue meravigliose bellezze naturali, ma più ancora dovettero attrarlo i tesori d'arte, le numerose biblioteche, i gabinetti letterari, l'opportunità di seguire e approfondire sotto la guida dei più valenti maestri dell'epoca gli studi delle scienze fisiche, mediche e matematiche a cui per natura si sentiva particolarmente portato. A Napoli poté dedicarsi anche al disegno e alla pittura, acquistando inoltre una particolare capacità di disegnare a penna sulla carta e di incidere i rami. La sua mente ebbe modo così di arricchirsi, il suo spirito e le sue attitudini si affinarono, la sua cultura divenne più vasta e profonda. Fu allora che il giovane e già apprezzato Rosati partecipò ad un pubblico concorso bandito per l'assegnazione della cattedra di scienze fisiche nelle scuole militari di Napoli. Vi partecipò con la piena consapevolezza delle sue vaste capacità già rivelate nei più svariati campi del sapere, e riuscì primo, ma il posto venne assegnato a un altro concorrente, meno meritevole, che era stato fortemente raccomandato dall'imperatrice M. Teresa alla figlia figlia M. Carolina. A Rosati rimase il conforto morale del plauso unanime riscosso da parte di tutte le persone dotte e imparziali. Ma l'ingiustizia per l'affronto subito rimase, e segnò una profonda traccia nell'anima sensibile di G. Rosati costituendo la causa, se non proprio determinante, certamente occasionale del suo ritorno a Foggia. Non vi è dubbio, infatti, che accanto allo sdegno per l'ingiustizia sofferta, un altro motivo, non meno importante ed essenziale, contribuì a determinare il ritorno del Rosati alla città natìa. Giuseppe Rosati visse, non bisogna dimenticarlo, in un periodo passato alla storia col nome di Illuminismo. E l'illuminismo tendeva a illuminare gli uomini, a liberarli mediante l'istruzione e lo sviluppo della ragione dal giogo della misera e da quello dell’ignoranza. Ora, se al raggiungimento di questo fine gl'Illuministi si dedicarono con en19 tusiasmo e con passione, Giuseppe Rosati non poté non risentire del vasto movimento culturale e filosofico, dell'epoca, il cui fine era il rinnovamento dell'uomo, e della società. All'intelligenza e alla sensibilità di G. Rosati non poteva sfuggire la necessità di rinnovamento della società, e in particolare della nostra società, del nostro popolo meridionale, abbrutito da secoli di servaggio, di ignoranza, di profonda miseria. Egli quindi tornò nella sua città anche e soprattutto per rendersi utile al suo popolo. Aspirazioni analoghe le ritroviamo, a citare solo qualche esempio, in Ferdinando Galiani, in Casimiro Perifano, in Francesco della Martora. « Io per me, diceva Ferdinando Galiani nel proemio al suo trattato Della moneta, qualunque siasi l'opera, confesserò con l'ingenuità propria agli animi ben formati, ch'io credo meritar lode, mentre le forze e i talenti da Dio ricevuti, tutti alla Patria e all'umana società rendo e consacro. Volesse il Cielo potessi ad esse divenire utile tanto, che le infinite obbligazioni mie verso di loro si venissero cosi almeno in parte a soddisfare ». All'educazione dei giovani dedicava frattanto gran parte della sua attività Casimiro Perifano il quale scrisse appositamente per essi testi di geografia e di scienze morali. Sempre per i giovani Francesco della Martora progettava e realizzava in Foggia nel 1872 una scuola officina, la prima del genere sorta in Italia. Più che naturale quindi che anche G. Rosati bruciasse per questo sacro ideale che animò tanti spiriti colti, che lo precedettero e lo seguirono nella difficile, delicata, importantissima opera di elevazione del popolo. E in quest'opera il Rosati trovò certo l'appagamento delle sue più nobili e congeniali aspirazioni. Colla sua parola facile e dotta nello stesso tempo, riuscí ad appassionare e a trarre alle sue lezioni schiere di giovani. Egli non si limitò ad impartire il suo insegnamento solo a coloro che avevano la possibilità di ascoltarlo, ma volle estenderlo a chiunque avesse brama di istruirsi ed elevarsi. Cominciò a scrivere, e numerose furono le sue opere, dalle più semplici e divulgative, a quelle poderose e di vasta risonanza, quali: La geografia moderna, teorica istorica e pratica (1785); Elementi di agrimensura (1787); Elementi per l'edificazione (1805); Le industrie di Puglia (1808). Il contatto con i discepoli che sempre più numerosi accorrevano alle sue lezioni, la multiforme attività che andava dalle visite mediche al disegno di carte geografiche, dalla composizione delle opere agli impegni dovuti alle cariche di cui venne investito, dovettero certamente appagarne lo spirito nobile e generoso. Malgrado, infatti, le sollecitazioni e gli inviti al ritorno nella Capitale, che sempre più insistenti gli pervennero quando la fama della sua dottrina e delle sue opere si era diffusa oltre i confini della città natale, il Rosati non cedette a lusinghe. 20 Egli aveva trovato il più completo appagamento alle sue più intime aspirazioni nell'opera di redenzione del suo popolo e perciò nulla poteva lusingarlo più del convincimento e della soddisfazione di operare per un così nobile fine. Ma tutta questa attività, tutto questo immane sforzo dovevano prostrare le forze e il fisico di colui che aveva curato tanti mali e lenito tante sofferenze. Il medico dei poveri, quando cominciò a sentire che le forze lo abbandonavano, dette l'esempio di come si devono sopportare i dolori quando i rimedi umani non hanno più efficacia. E a quella forma di stoicismo, propria dell'epoca, seppe aggiungere la rassegnazione cristiana. Cosi, tra il cordoglio degli amici e dei discepoli, chiuse la sua giornata operosa il 1° settembre 1814. Foggia, che vivo lo aveva stimato un genio, considerò la sua morte come una pubblica calamità. Questo ci dicono i numerosi scritti pubblicati in occasione dì tanta dipartita, ma più d'ogni altro quello che si legge sul monumento sepolcrale della Cattedrale e l'elegia di Gian Tommaso Giordani. Dei due scritti si dà qui di seguito la versione italiana. perché essi ci presentano in una sintesi viva e sentita l'uomo e lo scienzato e descrivono l'incolmabile vuoto che la sua scomparsa lasciò nei contemporanei. Ecco, dunque, il testo italiano dei due scritti latini: «A Giuseppe Rosati, medico esimio, il quale, essendosi fin dalla tenera età accostato col vigore prodigioso della sua mente ai reconditi tesori della filosofia, matematica, geografia, ingegneria, erudizione letteraria, ed avendoli poi profondamente esplorati, con le sue pubblicazioni, non solo si procacciò la piú sincera stima e l'affettuosa amicizia di tutti gli scienziati italiani e stranieri, ma indusse anche a coltivare quelle discipline tutti i giovani studiosi di Capitanata, di cui egli sempre fu guida e sprone, sicché tutto il merito di quegli studi accurati che fiorirono in mezzo a loro si deve attribuire esclusivamente a lui. E per dare l'impressione che non volesse in qualche cosa abbandonare i suoi discepoli, quelle ricerche, invero non di pregio materiale dorate, egli divulgò per indicare un metodo più semplice di coltivazione e di agrimensura, affinché in tanti latifondi crescesse più rigogliosa la messe e senza inganno fossero composte più rapidamente le contese per la regolazione dei confini. Ebbe pietà profonda, spirituale equilibrio, dolcezza di tratto, rispetto per gli amici, generosità verso i bisognosi, sollecitudine per i malati, e per tutti una bontà straordinaria e davvero ammirabile. Gli amici ed i concittadini, vivamente addolorati per la perdita di un sì illustre uomo, meritevole della riconoscenza loro, della patria e dei cultori di quasi tutte le discipline, questo monumento eressero. Visse anni 61, si spense serenamente il 1° settembre 1814»* * Traduzione dalla lingua latina del prof. Marino, ordinario di Lettere nel Liceo Ginnasio statale «Vincenzo Lanza» di Foggia. 21 GIANTOMMASO GIORDANI: ELEGIA IN MORTE DI GIUSEPPE ROSATI, ASTRONOMO, GEOGRAFO, MEDICO E AGRONOMO SOMMO. Se Virtù, se Fama, e Ingegno che in arti sovrane Mostri sua tempra, in uomo suscitano palpiti ancora, Rompa quegli con me in gemiti pii, e amaro Duol sollevi, e lacrime sparga compagne alle mie. Tu, che dianzi con capo sublime l'Olimpo attingevi Del virgulto superba di generoso suol, Daunia, sciogli le chiome, e i serti che t'ornan le tempie Di flaventi spighe dissipa sotto i tuoi piedi: L'Uomo che era tuo lustro e vanto sommo, il cui nome Risonava lungo tutto il cammino del sole, Quei che Urania seco nel limpido etere trasse A svelargli le vie e della terra e del ciel, Quei cui Apollo dell'erbe l'occulte virtù, cui l'arte D'allietare i solchi Cerere volle mostrare, Quegli, ahimé (compiute parole il dolor mi nega), Piú non è: or grande spoglia esanime sta. Sta la spoglia esanime e negra terra la copre In un abbraccio lieve, tenero come di madre. Questo ardisci tu, Morte? son dunque sì crudeli i tuoi colpi? Tal potere hai tu? tanto infallibile mano? Quando ne incoglie un tal fato e a tali lutti ripenso, Sovrastati da te pur gl'Immortali sospetto. Ecco, molti e molti anni può viver l'odiosa cornacchia Ed il corvo che invoca con crocidar la pioggia; Anche la quercia, dall'ira di Borea e Coro squassata, Molte stirpi d'uomini nascere vede, e perire. Noi, che fisi il volto alle sfere superne Dio volle E capaci d'esprimere con la parola il pensier, Noi, di spirito celeste dotati e di mente assetata D'infinito, e sagaci in discoprire e inventar, Noi nasciamo, ed ecco ci coglie repente la sera: Resta un pugno di cenere, pallide ossa, non più. Invida sei, o Morte, ma su di lui non hai vanto: Dal tentato tuo mal bene maggiore gli viene. Se di quest'aer spirabile l'aure vitali non spira Né calore di sangue può ridestargli più il cuor, Se con accenti soavi l'orecchio a noi non diletta Né del caro sembiante più ci consola la vista, Egli intanto beato si pasce del nettar dei numi E con agile pie' calca le stelle dorate; E rimarranno di LUI la gloria e le carte sapienti Fin che biade vivranno ed erbe e la terra ed il ciel.* Ma prima di concludere queste succinte notizie sulla vita di Giuseppe Rosati, un'ultima osservazione vorrei fare per mettere in rilievo un lato interessante e moderno della sua personalità: la straordinaria corrispondenza del suo ideale di insegnamento ai principi didattici ispiratori della nuova Scuola Media. Cresciuto, com'è stato detto, sotto gl'influssi dell'Illumini* Traduzione dal testo latino del prof. Erminio Paoletta, ordinario di Lettere nel Liceo Ginnasio statale « Vincenzo Lanza » di Foggia. 22 smo e dell'Enciclopedismo, Giuseppe Rosati senti in maniera impellente la chiamata a migliorare il suo popolo, a promuoverne l'elevazione. Elevazione che è il presupposto perché esso poi proceda a successive conquiste e affermazioni. Ora, se per un momento consideriamo i profondi motivi sociali e didattici che hanno determinato l'approvazione della legge 1959 sulla nuova scuola media, non possiamo non rilevare che essi si basano essenzialmente su questo presupposto: l'istruzione di base, impartita fino al 14° anno di età, in forma gratuita e uguale per tutti, deve consentire a tutti gli adolescenti, senza pregiudizi e discriminazioni, di conseguire quella preparazione su cui si baseranno le scelte future. E tali scelte, si badi, saranno fatte tenendo conto delle attitudini rivelate dagli alunni nel triennio di istruzione obbligatoria. Questo ci dice la moderna pedagogia, questi sono i principi didattici che oggi gl'insegnanti della nuova Scuola Media cercano di realizzare. Ed ora torniamo per un momento al Rosati. Non desiderava anch'egli ardentemente di elevare, di migliorare con l'istruzione il popolo? Non era sua somma cura attendere all'istruzione dei suoi discepoli indirizzandoli, proprio come vuole la moderna pedagogia, verso quelle forme del sapere a cui per natura si sentivano maggiormente portati? « Era molto avveduto, dice Serafino Gatti pronunziando l'orazione funebre in onore di Giuseppe Rosati, nel lungo corso di trenta e più anni di magistero si fe' vedere sempre pronto, sempre sereno, sempre paziente, onde a ragione poteva chiamarsi l'uomo di tutti i giorni e di tutte le ore. S'impiccoliva ad istituir de' fanciulli, e a dar lezioni più elementari ad una schiera di nuovi alunni che dovevano prepararsi alle scienze sublimi. E a render sempre più attivo nei docili ingegni l'amor del sapere, e per facilitare ad essi i mezzi di profittare, estendeva la sua beneficenza sino a donar loro libri, sussidiari, ed esemplari preziosi di opere del suo felicissimo ingegno. Tutti i giovani iniziati alle lettere, o già provetti nella loro cultura, trovavano in lui eccitamento e sostegno. Non avaro di lode, commendava i loro progressi, applaudiva a tempo ai loro sforzi e spesso anche giudicava migliori e più perfetti dei suoi i lavori meccanici di quei che, secondando il di lui genio, amavano d'occuparsi della formazione delle carte geografiche d'ogni specie, di coltivare il disegno, l'architettura, ed altri oggetti che servono ad abbellire il rigore degli studi ». Un educatore, quindi, fu il Rosati al quale gl'insegnanti, ancor oggi, devono guardare con rispetto e ammirazione. La cultura era in lui non uno sterile patrimonio da trasmettere freddamente. Essa era vivificata dall'amore, dalla passione con cui egli sapeva avvicinarsi ai suoi discepoli, comprenderne l'animo, studiarne le attitudini. Questo compresero i nostri antenati che nel 1862 gl'intitolarono « La regia scuola tecnica ». E non poteva la scelta essere più opportuna. Chi, infatti più del Rosati, avrebbe potuto dire alle generazioni che nelle 23 aule di quella Scuola si sarebbero formate e preparate alla vita, una parola sicura e sincera in fatto di civismo, di scienza, di rettitudine? La regia scuola tecnica fondata nel 1862, nell'evoluzione degli ordinamenti scolastici, divenne successivamente complementare, di avviamento commerciale e finalmente media. Sempre però conservò il nome di Giuseppe Rosati, cioè di colui che, al di sopra di ogni mutamento di idee, di costumi, di ordinamenti, resta il prototipo della stirpe e del genio di Capitanata ed esprime compiutamente le grandi e multiformi possibilità del popolo pugliese. E’ sommamente auspicabile quindi che anche la nuova scuola media, derivata dalla ex scuola d'avviamento « Rosati », conservi la più che secolare intitolazione della quale i giovani che in questa scuola continueranno ad essere educati non potranno che sentirsi fieri. Giuseppe Rosati continuerà a costituire per essi, come per le generazioni passate, un modello da seguire, un esempio da imitare. Egli continuerà a rivolgere a tutti il suo più alto insegnamento, quello di integrare il pensiero con l'azione, quello di operare per rendersi utili a sé, ai propri simili, alla patria. « La vita, egli diceva, è forza ed azione. La nostra stessa natura bisognosa, pensante, ed attiva, mostra che noi siam nati per fatigare. La ragione è sempre bella, ma dove non sia operatrice somiglia alle gemme che lucono, ma non nutriscono. E poi l'uomo debbe impiegare al vantaggio dei suoi simili le forze e le qualità acquistate. Chi non rende o mediatamente o immeditamente alcun bene alla patria, è un essere vile e nocevole ». Il monito di Giuseppe Rosati, il suo incitamento all'azione, al bene operare per la società e la Patria, sono, oggi piú che mai, vivi e attuali. Inchiniamoci dunque con rispetto di fronte alla sua figura di uomo probo, attivo e colto, e tramandiamone il ricordo conservando, oltre ai monumenti dedicatigli dalla stima dei suoi concittadini, l'intitolazione della Scuola. Alla Scuola il Rosati dedicò le sue energie migliori; è giusto che dalla Scuola si guardi ancora a lui come a un maestro capace, dotto, sollecito del bene degli alunni, dei loro progressi, delle loro necessità. GAETANO PICCONE Prof. GAETANO PICCONE, preside della Scuola Media «Gaslini» di Genova. 24 L'Enciclopedico senza enciclopedia (Agli Amici del Comitato e della Scuola Rosati) Malgrado le sollecitazioni della curiosità (direi pure storica, senza volermi dare delle arie), nessuno è riuscito a scoprire cosa sia stata - nel Teatro Comunale di Foggia, alcuni anni dopo la morte del «Newton pugliese» (entrato poi tra gli altri, nelle pagine del De Tipaldo e del Gervasi) e cioè nel 1828, il 28 gennaio - la rappresentazione del dramma di cui parla il Villani. Il cartellone recava la scritta: L'Enciclopedico di Foggia ovvero Giuseppe Rosati. Si era giusto, per il Regno di Napoli, nel pieno della reazione, nel trionfo ufficiale quindi della ignoranza, e, per giunta correva l'anno delle repressioni atroci della Carboneria nel Cilento. Non so se la parola «enciclopedico» - che pure nella sua significazione filosofica non esclude essenziale contatto con la personalità del Rosati - suonasse troppo frettolosa concessione a titolo in altri tempi adatto, e venisse quindi ripagata col silenzio. Certo, il teatrale enigma, dopo un secolo e mezzo non è stato diradato. Né i Villani, pure possedendo interesse erudito notevole, dicono chi sia stato l'autore o riportano echi di stampati e pubblici riconoscimenti; si aggiunge solo che «il teatro fu in quella sera affollatissimo, come rilevo da manoscritti in memoria di un tanto uomo ». La ragione del silenzio non è forse quella prospettata dalle mie punte maligne sui tempi, consiste piuttosto nel fatto che l'oggetto dalla generosità del Villani, prospettato come «dramma», non fu tale né ebbe autore. Essendo allora i registi sconosciuti, l'ideazione della serata era probabilmente un omaggio di ex alunni alla memoria del loro Maestro. Forse, trattandosi di serata di onore ed affollatissima, fu uno di quei saggi, scolastici o quasi, in concomitanza con l'epoca, e nei quali i giovani erano soliti dare prova di avere appreso pietà edificante, bellissimo modo di gesticolare, e notevole massa di esercizi mnemonici. Il dramma dunque sfuma ai nostri occhi irrimediabilmente, in tonalità fatali di nebbia. Il guaio è che anche il protagonista ideale è rimasto, più o meno a lungo, soffocato dal silenzio, se si eccettua una risonanza immediata fra i concittadini; i quali, a loro onore, lo apprezzarono malgrado la scostante freddezza. La fama sarà andata ancora piú in là, fino a Napoli per un verso, ed a Nord per l'altro; pure nel senso pieno del termine, anche oggi, quella fama include un problema: cosa sarebbe riuscito il Rosati una volta attinta l'area superiore della comunicazione scientifica? Sarebbe stato davvero Newton in Puglia? Forse sì! Il dubbio perseguita, si direbbe, dopo la morte, una esistenza già impastata di punti oscuri. Mano a mano che Giuseppe Rosati si scioglie dall'involucro del travestimento secolare, egli si rivela sequenza costante di antinomie sulla ricorrente tonalità umana (ed inconfondibile) della malinconia. Non so come lo raffigurarono sul palcoscenico quella sera. Era morto senza lasciare diretta famiglia, ma saranno stati in vita nel 1828, gli amici che intimamente lo avevano conosciuto; come Don Michele Cinquepalmi o D. Giuseppe 25 De Chiara, i quali si erano interessati di farne stampare gl'inediti e dovevano spesso raccontare di lui, come riportava Francesco Rio nelle pagine del dizionario di Carlo Villani. Lo avranno essi raffigurato proprio qual era, quale cioè noi non credo sappiamo tanto chiaro. Non aveva certo il volto spianato di giovane insaccato in gilé bianco impeccabile - lui ch’era solito andare in giro trasandato! - del quadro e del busto rimasti a memoria nel Museo della sua terra; o con la fisionomia serena che campeggia in un medaglione di marmo, sormontato dal simbolo dell'Infinito (il serpente che si morde la coda) ove la parola Daunia s'inserisce al compasso pitagorico, sul mausoleo classicheggiante erettogli nel Duomo. Non senza ombre doveva essere certo la fronte di lui, quando morì, tormentata da più mali e dopo ripetuti tagli del chirurgo, ed ancora con la qualità tragica di paziente e medico in contemporaneo soffrire. L'arte dei posteri si è temperata con l'idealizzazione. A teatro la cosa era però diversa. Lo avranno fatto riprodurre scenicamente dal filodrammatico, il più dinoccolato che si era riusciti di scovare; quello specializzato per le apparizioni dei fantasmi, e per di più ammantellato fino a terra, con una delle «robe» degli uomini di scienza e di legge del Medioevo. Qualcosa di strano in conclusione: una figura intinta, ma appena, nel corrosivo della misantropia, perché è chiaro, in vita sapeva farsi intorno il vuoto, senza riuscire antipatico. Era soltanto un poco strano, ma sapeva moltissime cose ed insieme il metodo d'invogliare gente e scolari, ad apprenderle. Non andava mai ad un ricevimento probabilmente perché non si arrischiava a dire frasi di spirito e d'altra parte era convinto che, tenendo là ì propri discorsi abituali, avrebbe annoiato le belle signore. A proposito: sembra che non le potesse vedere, considerato che mai guardò in faccia le donne, né intese sposarsi. Non si capisce che qualche biografo abbia di lui registrato perfino un saggio sul divorzio. Come possa accettare o respingere la soluzione di un dramma, chi del dramma non è stato mai attore, è ancora oggi il mistero delle pretensioni di alcuni autorevoli teorici. Resterebbe però, l'attribuzione di quell'opera, un omaggio al principio che il Rosati doveva per forza sapere tutto. Così a prima vista, in realtà, come avverte l'autore stesso, « io, che sono limitato nelle cose mie, mi restringerò a tessere piuttosto la storia del divorzio, che a formarne un trattato ». Storia peraltro ha saputo scrivere, documentata e convincente, la quale raccoglie le istituzioni e i costumi degli Ebrei, dei Greci, dei Romani e dell'Occidente dopo la caduta dell'Impero, intuendo anche le ragioni economiche della maggiore o minore stabilizzazione dei vincoli. Affrontati inoltre i problemi tutt'ora aperti della esegesi evangelica sull'argomento, il Rosati esamina i pareri dottrinali ed ecclesiastici, tanto diversi al di qua e al di là del X secolo, e sottilmente si ferma con l'esporre la laboriosa discussione effettuata in seno al Concilio Tridentino. Il tono, sereno e chiarissimo, intende certo sciogliere i dubbi e le riserve, e vuole infine conciliare le vedute tipicamente tradizionali con la storia della umanità, sul fondo di una mediazione, libera e critica, espressa dai fatti e dal buonsenso. Ma egli - di persona - non meditò probabilmente mai né vincoli né soluzioni; aveva sposato la scienza e gli bastava, ed aveva per di più tante creature fra le quali sognare, come le sue carte geografiche, e tante amicizie quante erano le branche dello scibile a lui note, cioè molte ed importanti. Lui, che, come Kant a Kënisberg, da Foggia non si era mai mosso, simile a quell'altro saggio 26 della solitudine, sapeva meravigliosamente viaggiare, e condurre gli altri sulla propria scia, in tutti i paesi del mondo. Praticava l'amicizia e per una comprensibile evoluzione, il concetto doveva finire per allargarsi e riempire di pratico umanesimo il suo scetticismo su tutte le teorie. La sola realtà, scriveva il Rosati medico, è il dolore fisico, la sola opera valida da vivere, lo sforzo per alleviarlo. Come il suo lontanissimo maestro Epicuro, cui non erano valse le passeggiate in giardino, era egli una vittima della vita sedentaria; forse anche nel sistema nervoso, e qui si spiegherebbe la freddezza verso chiunque, attutita solo da una inconfessata e quasi pudica filantropia, la quale, insieme al gusto di conoscenza, senza prigionia di specializzazioni, lo ricongiunge e quasi lo riconcilia, con il suo secolo; insieme alla limpida serenità «utilitarista» che, contro gli slanci sentimentali e retorici, dichiara la cultura avere un valore in quanto fa del bene agli uomini. Il personaggio dal «lungo mantello» vampirico si è trasfigurato facilmente ormai nel volto accademico della razionalissima sepoltura ove fu messo a giacere un povero corpo provato in tutti i modi dal Fato - più se si pensi che quel cervello aveva studiato per aiutare gli altri - dopo che l'astrale ebbe accolto un sistema nervoso sostenuto ormai solo dalla rassegnazione. La stanchezza gli faceva accettare la conclusione amara della parte già recitata a fondo sulle scene della vita, ed egli questa volta era in carne ed ossa il protagonista. La riflessione, lo studio, la comunicazione mentale con la gente, lo aveva ripagato - nel silenzio di una casa che alcuni biografi vogliono vedere povera come la soffitta di Colline, e invece sembra essere stata in seguito -postuma « personale » - una sequela di stanzoni semiopachi e quasi da tregenda, nella vigna Rosati, sulla strada di Porta Napoli - di quanto la vita non gli aveva concesso e cioè farsi avanti, rompere l'aria della provincia e tentare altrove la fortuna. Naturalmente anche qui la carità dei biografi ha bisogno di mantenere inalterati i clichés catonici, e parlano di un (esagerato) attaccamento alla patria (che per la verità resta fuori posto, ove alla terra natia piú utili si possa essere, giostrando in alto ed in arengo di maggiore soddisfazione). La fantasia non dovrebbe mettere il punto e dichiarare esaurita quella lontana serata d'inverno. Ma la rappresentazione sarebbe troppo presto conclusa, mentre la originalità di Giuseppe Rosati sta proprio in una tonalità degna di drammaturgo e di regista moderno: sapere trarre cioè l'aneddotica dalla malinconia. L'aneddotica per la verità è un poco la riserva degl'ignorati. Si direbbe un passaggio interno del subcosciente collettivo: là dove violenza di cose o indifferenza di uomini, o tristizia di tempi, hanno tappato i varchi della conoscenza quotidiana, tesaurizzare almeno le note curiose. La storia di G. R. è infatti molto più semplice del pesante epitaffio del canonico Ciampitti degli accademici Ercolanesi. Molto più semplice comunque di quella vita intessuta a tesi, secondo il più antipatico dei generi della patria letteratura, dal forbito elogista Serafino Gatti. Domandiamoci per esempio: ebbe il Rosati, una idea politica? Il suo vero significato (scientifico ed insieme operante) risiede forse nella presidenza della Società Economica ossia nella partecipazione al risveglio napoleonico. Ma pure se ha lasciato l'impressione di non credere in niente e in nessuno, non si può 27 dire abbia mai perduto la fiducia nel « ben fare », la religione di Tom Payne. Come avrebbe potuto dimenticare la discendenza materna da Pietro Giannone, apostolo dei Lumi? Per il resto, il Rosati «elogiato» era il migliore degli scolari possibili, nella più sterminata possibile erudizione, nelle migliori delle scuole possibili, non solo per «dottrina» e «zelo» di chi guidava lo «stabilimento» ma addirittura per «emulazione» che «ardeva» nel petto di alunni «elettrizzati». Il Gatti, seguendo il prefabbricato schema letterario, non si accorge naturalmente come in quel mondo edenico non abbia più posto qualsiasi definizione comparativa, e parla del giovane Rosati « amico della solitudine » contro « fanciulleschi trastulli ». Ma dove si trovava tempo ai giochi se erano tutti sgobboni? In realtà quei giovani tanto valorosi « ripetevano a stento il suono materiale » dell'Italiano, del Latino, del Greco imparato « in ispida farragine di minuzie grammaticali », mentre Rosati solo « ne gustava le bellezze »; anche perché oltre tutto era superiore ai maestri medesimi (« non so quanto valessero » dice il Gatti), finché non divenne, passando dal Seminario di Troia alla Università di Napoli, e fu finalmente, il « maestro di quei che sapevano ». Unica nota discorde, la riserva - solo letteraria, altra non sarebbe stata possibile - sulla non completa « purezza » della lingua usata dal Rosati. Si trattò di « negligenza », perché scriveva di getto, lasciandosi « trasportare dalla corrente delle sue idee ». E’ questa tonalità romantica, e certo un poco nuova, che spezza la cristallina tradizione di freddo addensata intorno a lui. Spunto interessante di psicologica contraddizione forse anche se si pensa alla espressione calda, operante, arguta, alla comunicativa felice che gl'ispirava lezioni piacevoli e briose, essendo il Rosati sulla cattedra, il contrario di quanto si potesse pensare (né burbero né pedante). Siamo rientrati nella penetrazione delle aneddotiche fisionomie. Medico, visitava volentieri i poveri, dai signori non andava: variante del victorhughiano Cimurdain il quale, dopo avere salvato la vita a un disgraziato, a chi gli diceva - poiché allora era ancora prete - che se l'avesse fatto al Re, sarebbe divenuto almeno cardinale, rispose di no, con tutta la fierezza della futura Rivoluzione. Eppure, se si leggono le pagine sull'agricoltura, si resta colpiti non tanto dalla difesa del latifondo in termini di teoria economica (accettabile o meno a secondo dei punti di vista), quanto dall'affermazione del valore decisivo della potenza della classe tradizionale: « La protezione dei grandi - riporta con interessante ricostruzione il Papa - il volere che si determina e si risveglia coi premi e colle onorificenze, che sembra l'unica molla, onde la nostra volontà dispone a superare le più difficili imprese». Il Rosati esercitava tale difesa in un'epoca ove la fine della manomorta ecclesiastica aveva salvato la economia francese ed europea con il sorgere delle piccole e medie proprietà, e per esse sì può aggiungere, la borghesia si fon dava alla ribalta politica, ed era l'anima della Società Economica ch'egli presiedeva. Inoltre, in contemporaneo sviluppo, aveva scritto di tenere presente « la storia dei progressi fatti dalle altre nazioni ». L'autore, uomo dell'inizio dell'Ottocento, di quell'età sembrava non molto prevedere. Aveva comunque un concetto poco ottimista della natura umana, pure essendo uscito dalla cultura dell'Illuminismo. In ogni caso, scrive il Villani, le sue abitudini erano diversamente « definite, giungendo taluno a ritenere derivanti da massimo orgoglio e da disprezzo verso i grandi e i potenti». Quando si trattò di osse28 quiare Maria Carolina e Acton (l'episodio è evidentemente uno solo con varianti occasionali) - il Rosati dichiarò che non si recava a trovare persone per le quali sarebbe stato costretto a togliersi il cappello. Aveva del resto qualche buona ragione per dire cosí, se, concorrendo alla Cattedra di una Scuola militare, si era visto posporre, non ad un militare certo (si trattava dei Borboni), ma ad un frate con meriti integrati dalla raccomandazione di Maria Teresa. Tutta la vita di G. R. sembra essere stata decisa da quel disgraziato avvenimento. Non si capisce come il posto di una scuola napoletana tanto peso rivestisse per un uomo che navigava nell'area della cultura europea. Con Maria Carolina, con Acton o Mack che sia stato, siamo passati dalla psicologia all'aneddoto, e questo è forse di per sé una conclusione. Ma si tratta di un'aneddotica triste la quale, per tale propria tristezza, può assurgere a fisionomia di documento. I potenti non sdegnavano di onorare gl'ingegni, ma con il peso morale del mecenatismo. Onde il «cinico vero e mordacissimo» non si rassegnava. Certo è, come narra Antonio da Rignano, che il Mack - ospite, eletto interprete anzi, della reazione europea nel Regno -era andato a trovare il solitario studioso, e Don Matteo Del Sordo di Sansevero, accennando col bastone alle carte geografiche, premette e sfondò chi sa quale città o punto cardinale. Il cartografo non seppe perdonare e quando, in una serata a teatro, l'archibugio di un soldato - ma andavano allo spettacolo con le armi cariche? cadde dalla spalla del proprietario e sparò da solo, colpendo un orpello inaspettatamente proiettato sull'occhio del sullodato Don Matteo, il Rosati ebbe a dire che giustizia finalmente gli era stata resa. Proprio vero che «in Foggia aveva sì gran fama di letterato e di filosofo, ma di strano un cotal poco» . A proposito: fu il Rosati filosofo? Non nel senso tecnico del termine. Direi anzi che la ostentata antiteoretica indifferenza finisce per impedirgli di penetrare la validità della ricerca sulla problematica dell'uomo e del mondo. Ma «il metodo sperimentale egli applicava a tutti i suoi studi» dice giustamente il Papa ed il sapere, affermava egli stesso, è «lo studio delle scienze naturali», onde necessario resta compiere «i nostri propri esperimenti». Eppure aveva scritto di Pitagora che tutta la sua partecipazione alla scienza della salute era stata colluvie di «stravaganze», fondandosi sulle tradizionali memorie dei giorni fasti e nefasti, pari e dispari, ossia sulle popolari credenze od informazioni di seconda mano, senza passare oltre la vernice folcloristica del problema del rapporto tra le influenze psichiche e naturali e la tonalità dell'organismo. Quelle distinzioni di temporalità positive e negative equivalevano al tracciato dialettico dell'universo ed all'analoga possibilità di reazioni nel soggetto umano, ma il Rosati preferisce risolvere l'intera dottrina degl'Italiani nella «ignoranza di quella stessa scienza, che pretendeva professare». Quel mancato scorgere, per il pregiudizio antiteoretico, la correlazione vitale tra l'individuo e la natura (praticamente la validità dell'Umanesimo), ispira in mezzo alla generale stroncatura di ogni medica teoria - più che mai originale perché scritta da un medico dì valore - e la definizione per esempio di Paracelso (un invasato) e del suo sistema (« mostruoso »). Di lui anzi meglio sarebbe non parlarne. Ma sempre è qualcosa, se si vuole, proprio dello spirito beffardo del Bombast, quando attraversava un campo di feriti recando il diavolo Azot nel pomo della spada, ossia più semplicemente serbando qual29 che fiala di anestetico per i sofferenti. Oltre la polemica, viveva l'umanità ed il Rosati, reggendosi appena, usciva lo stesso a visitare i propri malati. Una intuizione resta interessante, ed emerge dal modo in cui interpreta Empedocle di cui ha appreso la visione misterica (catartica) della vita, propria della scuola crotoniate (« discepolo di Pitagora », cosa che in termini puramente storici non era). La stessa validità filosofica si riscontrerebbe nell'idea del contatto tra la medicina e la filosofia o almeno tra la scienza e la cultura. Nel 1797 si era celebrato il matrimonio di Francesco duca di Calabria con Maria Clementina d'Austria. Il Rosati non si presentò a salutare Maria Carolina; le mandò però in dono - omaggio alla femminilità e regalità a prima vista - un ventaglio adorno di figure ed ornati a punta di penna. La Regina gli offri gratitudine, n'ebbe un rifiuto e prese la cosa male. Ma forse aveva già letto tra le stecche del ventaglio una piccola vendetta per il posto soffiato dal regale imprevedibile capriccio. Il professore mancato, quando ebbe notizia di tanto sdegno gentile, disse: « la gratitudine avrebbe dovuto dimostrarsi nella giustizia », forse ripensando alla politica « illuminata » cui i Borboni non erano del tutto sordi in qualche fase della loro storia. Linearità matematica perfino nell'aneddoto, il quale finisce per assumere la qualità di maschera del vero! Quella serata dunque contenne veramente l'antico seme di un dramma. Ed ora che possiamo calare in pace il sipario, la figura dell'interprete rosatiano si allontanerà, nella notte fonda del tempo, senza lumi a gas lungo le strade, forse sotto la pioggia, in mezzo ad un'atmosfera d'invernale malinconia simile a quella che aveva circondato nella vita, il suo stanco, intelligente, sottile protagonista: conoscitore degli uomini, dei morbi, delle terre nostre e delle esotiche, delle forze della natura, dei rapporti matematici, della battaglia contro la sofferenza, non sempre di se stesso forse ed « autontimorumenos » infine che non coordinò l'opera sua né si curò di salvarla dalla polvere. Era l'Enciclopedico senza enciclopedia. CARLO GENTILE Prof. CARLO GENTILE, docente di Storia e Filosofia nel Liceo Ginnasio statale «Vincenzo Lanza» di Foggia. 30 Documenti su Giuseppe Rosati nell'Archivio di Stato di Foggia L'Archivio della Dogana delle Pecore è notoriamente una fonte preziosa per la storia economica della Puglia dei secoli XVI-XVIII. Non molti sanno, però, che esso, scandagliato a dovere, può rivelarsi una vera miniera anche per lo studioso di storia foggiana, intesa nella sua accezione più vasta. E' nell'archivio doganale, infatti, che si possono leggere, fra l'altro, alcuni documenti cui conviene attribuire il pregio assoluto di far conoscere un aspetto inedito della vita professionale di Giuseppe Rosati, gloria di Foggia. Nessun biografo ha mai fatto cenno del rapporto che intercorreva fra Rosati e l'istituzione doganale: eppure questo ignorato rapporto ha un valore preciso giacché significa il primo riconoscimento ufficiale delle preclare doti del Nostro, già altra volta misconosciute o mortificate1. Esso, invece, emerge pienamente dai documenti ora rivenuti che, pertanto, assumano molta importanza nell'ambito delle testimonianze superstiti relative all'enciclopedico foggiano. I documenti in questione, racchiusi in pochi fascicoli, presentano un Rosati collaboratore fisso del Presidente Governatore della Dogana nella scelta e nomina dei nuovi regi agrimensori, esperto d'ufficio in tema di perizie cui sia interessato il fisco o attinenti a controversie fra privati, e, infine, consulente tecnico, ai cui lumi la Dogana si rivolge in caso di esame di progetti o di nuove invenzioni. Nel 1787 il Rosati indirizzava una supplica al Re con la quale, esponendo con orgoglio consapevole le benemerenze acquistate con i suoi studi in materia di agrimensura - aveva anche dato alle stampe un'opera apposita, molto utile alla formazione di capaci tecnici -, chiedeva di essere nominato direttore del corpo degli agrimensori di Puglia e di Abruzzo: « S.R.M. - Signore. D. Giuseppe Rosati della Città di Foggia umiliato al Trono di VM. la supplica, come in occasione, che la M.V. fece l'anno passato osservare la Puglia in tuttociò che avesse potuto migliorarsi per l'Agricoltura, e Pastura2, fu spinto il supplicante ad esaminare il metodo, di cui si servono gli Agrimensori della Regia Dogana per la misura. e divisione de' terreni, sia per servigio di VM sia per questioni tra le parti, e ritrovò il supplicante, che 1 Mi riferisco all'episodio citato da BENEDETTO BIAGI in Profili.di scienziati, Foggia 1930, pp., 23-24. Si vedano anche: SERAFINO GATTI, Elogio storico di Giuseppe Rosati, Napoli 1815, p. 14 e FERDINANDO VILLANI, La nuova Arpi, Salerno 1876, p. 280. 2 Il Rosati allude alle operazioni di accertamento condotte dal regio incaricato Luigi Targioni, che furono di base per la prima parziale censuazione dei terreni fiscali di Puglia. Cfr. il mio lavoro Censuazione ed affrancazione del Tavoliere di Puglia (1789-1865), Roma 1964, pp. 14-15. 31 detto metodo sia singolare in Europa, ed il più sicuro; a meno che di poche pratiche erronee, che sogliono essere la conseguenza di un'arte esercitata senza principi. Concepì dunque il supplicante il disegno di non solo correggere il disordine, ma di formare una compita ed esatta Istituzione agrimensoria, e questa poi pubblicata colle stampe gli è servita felicemente a formare degli abili Agrimensori3. La pubblicazione di quest'opera, e l'uso della medesima pone nella sicurezza, e rettitudine gl'interessi della M.V. e de' particolari, ed in questa maniera il supplicante si trova di aver fatta una cosa utile ed interessante per tuttociò che riguarda i territori della M.V. Ora siccome gli Agrimensori di Puglia, e di Abruzzo formano un corpo4, i di cui individui, mercé previa approvazione della Regia Dogana di Foggia, esercitano il di loro impiego, così questo corpo non ha alcun capo direttore, che nelle dispute possa esaminare o diriggere le questioni, i dubbi, e molte volte gli errori, che si commettono, per cui il Fisco, o le parti si trovano inviluppati in litigi. Il capo de' Tavolari del Sacro Consiglio ne somministra l'esempio nel Primario, che si trova stabilito5. Questa direzione sull'Agrimensura di Puglia, e di Abruzzo è ben degna della M.V. per cui il supplicante fidandosi alle sue fatiche per la pubblicazione della sua opera, che per la invenzione de' precetti e delle regole può dirsi l'unica in Europa, e per le istruzioni finoggi date a' giovani, che s'impiegano pel vostro Real servigio, perciò ricorre alla M.V. e la supplica compiacersi ordinare, che sia esso supplicante eletto Direttore degli Agrimensori Pugliesì ed Abruzzesi, acciò nelle dispute possa egli rivedere, diriggere, ed esaminare le cose, con tutte quelle facoltà, che debbano competere a tal carica a norma di quelle, che tiene il Primario del Sacro Consiglio. Tanto spera dalla clemenza della M.V. e l'avrà a grazia ut Deus. 3 Si tratta degli Elementi di Agrimensura che il Rosati aveva fatto pubblicare a Napoli, per i tipi del Raimondi nel 1787, e che in seguito, nel 1802 e nel 1813, saranno ristampati rispettivamente presso Angelo Coda e Gennaro Reale, e tradotti anche in francese. Si vedano al riguardo: GATTI, op. cit., pp. 54-57; BIAGI, op. cit., pp. 28-29 e 32; VILLANI, op. cit., pp. 290-291. 4 Secondo la prescrizione dei capitoli del 1574 del Cardinale Granvela, Viceré del Regno, solo i regi agrimensori potevano eseguire i compassi dei territori doganali. Gli agrimensori divenivano regi o doganali sostenendo un esame davanti a due regi compassatori della Dogana, scelti dal Presidente Governatore. L'esito favorevole della prova portava alla concessione della patente di regio agrimensore, cui erano connessi notevoli privilegi, come quelli del foro speciale della Dogana e dell'esenzione da gabelle. Cfr.: ARCHIVIO DI STATO Di FOGGIA, Dogana, serie I, vol. 1 (per i capitoli del Granvela); fasci 337-339, incarti 11973-12150. 5 Il Sacro Regio Consiglio, istituto nel 1442 da Alfonso I d'Aragona, era un organo giudiziario presieduto dal Sovrano, con caratteri di tribunale d'appello, al principio, e poi anche, di prima istanza. Ne facevano parte, oltre ai Presidenti, al segretario, al suggellatore, ai mastrodatti, agli scrivani e dagli esaminatori, anche un Primario e nove Tavolari. Questi ultimi avevano il compito di determinare il prezzo delle cose immobili; di descrivere e misurare fondi, di farne piante in caso di bisogno e di stendere relazioni tecniche. La revisione dei loro operato era incombenza del Primario. Vedasi: LUIGI MANNELLA, L'Archivista o Cronologia, classificazione e nomenclatura degli atti delle Pubbliche Amministrazioni, Bari 1887, pp. 187-193. 32 FOGGIA A GIUSEPPE ROSATI Monumento sepolcrale nel Duomo normanno Giuseppe Rosati supplica come sopra ». Con reale dispaccio del 1 ottobre dello stesso anno Ferdinando Corradini, Direttore del Supremo Consiglio delle Finanze, trasmetteva la supplica al Presidente Governatore della Dogana Nilo Malena, marchese di Carfizzi, perché desse il suo parere. Il Malena, in data 20 ottobre, inviava il richiesto parere con un rapporto favorevole e molto lusinghiero per il Rosati. In esso si diceva, infatti, che « l'opera data alla luce da esso Rosati ha dato lume all'agricoltura, e di quella si possono approfittare coloro, che vogliono applicarsici, essendosi sviluppati con essa que' nodi, che prima erano molto intrigati; onde è di giovamento nommeno agl'interessi reali, che delle parti, e chi si prenda la cura di leggerla, si avvisa di esser egli un giovane fornito di tutta la buona cognizione matematica, alle quali si unisce la sua onoratezza, e buon costume... » e, aggiungendosi « che in questa Città non vi sono ingegnieri e molto meno ne' luoghi circonvicini, motivo per cui accadendo misure, e ricognizioni di stabili, ed edilizi, deve questo Tribunale darne l'incarico ad inesperti muratori, o agrimensori, li qual formano le loro perizie, dalle quali si accorda la revisione a due altri ugualmente inesperti, che li primi », si concludeva, manifestandosi l'avviso che « se V.M. per Sua Real Clemenza, e per ricompensare il merito del suddetto Rosati, volesse erigere una nuova carica con quel carattere, che si benignerà darli, ed addossare ad essolui la cura, stimarei di ordinare, che da oggi avanti non si spedissero dal Presidente Governatore, inteso l'Avvocato Fiscale, come sinora si è praticato, precedente approvazione di altri agrimensori, patenti a persone, che non portasse l'approvazione sua, e che le perizie tutte per cose fiscali, come per le controversie tra le parti si dovessero rivedere in grado di gravame da esso lui sempre che non fusse alle parti sospetto, tassandoseli per il suo incomodo un equo dritto per non essere le parti maggiomente gravate ». Pochi giorni dopo l'invio del suddetto rapporto, il 10 novembre, con una tempestività significativa, giungeva da Napoli l'ordine reale che, attesi il parere favorevole del Presidente Governatore della Dogana ed i suoi suggerimenti, abilitava il Rosati a dare la sua approvazione vincolante in caso di rilascio di patenti di agrimensori doganali ed a rivedere tutte le perizie, riguardanti cose fiscali o riferentesi a private questioni 6. Questo è quanto si ricava dal fascicolo 6591 della serie V della Dogana, intitolato « Atti di ricorso a S.M. in nome di D. Giuseppantonio (!) Rosati ». Da molti altri fascicoli7 risulta chiaramente che, modificato il sistema antico per la concessione della patente di regio agrimensore, il Rosati, sovente qualificato come Regio Esaminatore, si sostituì ad ogni altro nella valutazione della preparazione tecnica 6 L'originale del dispaccio del 10 novembre 1787 è in: ARCHIVIO DI STATO DI FOGGIA, Dogana, serie I, vol. 11, p. 173. 7 ARCHIVIO DI STATO DI FOGGIA, Dogana, serie I, fasci 340-341, incarti 12158-12280. 33 dei candidati, e che conservò il relativo incarico fino all'ultimo anno dì vita della Dogana, il 1806. Da un altro fascicolo della serie V, avente il n. 5489 ed il titolo « Atti di Real Dispaccio a ricorso dell'Architetto e Regio Agrimensore Antonio Ribatti, che ha fatto alcuni progetti sullo sparo dello schioppo, ed altro », si profila la figura del Rosati consulente della Dogana. Il Ribatti di Corato nell'ottobre del 1797 faceva tenere al Sovrano una supplica in cui affermava di aver trovato il modo di far recuperare all'Erario la somma di ducati 10.000 e parlava di varie sue invenzioni. Egli scriveva testualmente: « S.R.M. - Signore. L'Architetto e Regio Agrimensore Antonio Ribatti della Città di Corato, Provincia di Bari, prostrato a piedi del Vostro Real Trono, con umili suppliche espone, come non potendo il supplicante portarsi di persona in Napoli per penuria della spesa a solo fine di avere la somma gloria di riferire colla viva voce alla M.V. di far entrare all'Erario Regio circa docati diecimila al sicuro. perduti di spettanza Reale; essendo ora tempo proprio di recuperarli; come ancora il medesimo supplicante conoscendo la molta inclinazione del Principe Ereditario vostro -amato figlio alle nuove scoperte, le propone le sue invenzioni, le quali porteranno onore al vostro floridissimo Regno, vantaggio alla M.V., ed all'intiera società. La prima riguarda un nuovo metodo aritmetico di calcolo abbreviato, e fin'ora sconosciuto a professori di matematiche; questo farà il supplicante conoscere con prattiche dimostrazioni avant'i più eccellenti professori di questa capitale. La seconda riguarda una esatta puntatura delli cannoni, come ancora delli schioppi per colpire più facilmente al segno. Prattica per quel che sappia il supplicante non ancora nota nell'arte della guerra. La terza sarà l'invenzione d'una machina per tritorare grano, orzo, avena, ed altro con un solo animale per lo sollecito disbrigo delle masserie della vostra Puglia, e per togliersi il grandissimo dispendio, che oggi si porta. La quarta riguarda una machina per macinare le olive senza macina di pietra, per disbrigo delli trappeti, anzi con farsi l'oglio nelle proprie case, ma di altra buona qualità. Finalmente un'altro nuovo metodo da esattamente far misurare i campi, siccome si può scorgere da un'orevole decreto che ottenne il supplicante dall'intiero Tribunale della vostra Regia Dogana di Foggia; quale metodo servirà per istirpare dal vostro Regno tutte le difettose, e false misure che si fanno da tutti i professori in grave danno delle parti. Il supplicante per la scoperta, ed esperienza delle sopradette sue nuove invenzioni ha impiegato molti anni, per la dimostrazione delle quali egli si rimette in tutto alla prattica, volendo pratticamente quanto di sopra si è dato l'onore di esporre alla M.V. senza ricorrere alle dimostrazioni teoretiche, le quali sono difficili a capirsi e mai introiscono sul fatto. Impertanto supplica egli la M.V. ordinare al medesimo tutto quello, che le sembrerà proprio, per far richiamare il supplicante in Napoli, e affinché non sia pregiudicato il Regio Tesoro a ricuperare la suddetta somma di docati diecimila di sopra si è obligato; l'avrà a grazia ut Deus. 34 Io Antonio Ribatti supplico come sopra ». La Segreteria di Stato delle Finanze, con Reale dispaccio del 12 gennaio 1798, rimetteva l'istanza al Presidente Governatore della Dogana, Giuseppe Gargani, incaricandolo di sentire il Ribatti e di accertare « cioché vi ha di positivo su quanto espone aver escogitato ». Il Presidente Governatore si rivolse all'Ufficiale Doganale in Corato, Felice Patroni De Griffi. perché informasse l'agrimensore corantino. Questi fece sapere che si sarebbe portato a Foggia durante la prossima quaresima, ma nell'aprile seguente, non essendogli stato ciò possibile per una sua infermità, scriveva al Presidente Governatore Gargani promettendogli di conferirsi presso la Dogana quanto prima e gli faceva un rapporto delle sue scoperte, includendone altre non menzionate nella supplica al Re inoltrata l'anno precedente. Il Gargani, avendogli poi il Ribatti « fatte le premure per la relazione », con nota dell'8 maggio rimetteva a Rosati tutte le carte dell'Agrimensore, con il carico di esaminarle, e, dopo aver sentito l'interessato, di riferire con parere. Rosati adempiva il compito con sollecitudine ed il 16 maggio inviava in Dogana la relazione. La stessa si riporta qui di seguito interamente, a riprova della multiforme competenza del suo autore: « Ill.mo Sig. e Padrone sempre colendissimo. Con venerato ordine degli 8 di maggio 1798 mi comanda V.S. Ill.ma, che in adempimento di Real Dispaccio de' 12 di gennaro di questo istesso anno, ordinante, che si esaminassero tutti i progetti umiliati a S.M. (che Dio sempre feliciti) dall'Architetto, e Regio Agrimensore Antonio Ribatti della Città di Corato, avessi io esaminato il tutto, e riferito col parere quello che si fosse ritrovato di vero, e di utile, secondo che promette il medesimo ricorrente. Per la sollecita esecuzione de' rispettabili ordini di V.S. Ill.ma, ho letto attentamente tutte le progettate invenzioni del Ribatti, come altresì ho inteso il medesimo rìcorrente, il quale con una facondia d'ingegno poco ordinaria promette niente di meno che dieci invenzioni nuove, ovvero migliorazioni, da potersi adattare non solo alle scienze matematiche, ma bensi alle cose meccaniche, ed anche diverse per la pratica militare, non che qualche altra per la Regia Economia. La prima delle sue scoverte riguarda la esatta puntatura de' cannoni, e degli schioppi. La seconda, una macchina per trebbiare il grano. La terza, una macchina per macinare le ulive. La quarta, una macchina per pulire i porti. La quinta, un molino di nuova specie. La sesta, l'esatto metodo di misurare i territori. La settima, è la pratica di fare in più breve tempo le quattro operazioni dell'aritmetica. L'ottava scoverta consiste, che ne' territori di compra, e vendita si debba fare il profilo de' terreni. La nona, è la conoscenza, che ha di far entrare nel Regio Erario da' terreni di Puglia, e da' sali di Barletta un mezzo milione di ducati all'anno, col patto però, che egli solo debba amministrare una si rispettabile azienda. La decima scoverta finalmente consiste in alcune macchine da guerra, mercé le quali con pochi soldati indubitatamente abbatterà l'inimico sia da lontano sia da vicino. 35 La varietà di tutte le innovazioni di questo novello Archimede, e la certezza dell'esito, di cui è persuaso per le sue scoperte, gli hanno soffiato tanto coraggio, che il medesimo non che paventare, che anzi richiede una pubblica adunanza accademica, composta di matematici, architetti, geografi, tavolari, agrimensori e finanche di razionali, e nella quale si possano mettere in veduta tutti gli esposti progetti. Si protesta però il matematico Ribatti, che in sì fatta adunanza non si debba entrare in dimostrazioni teoretiche, ed astratte giacché con queste speculazioni spinose egli non ci ha avuta mai amicizia. Intanto riflettendo costui, che molte di queste invenzioni, per conoscerne il pregio, han bisogno di modelli, e di spesa, e perché questo articolo non si uniforma alle sue presenti circostanze, perciò egli vuole che per ora si tralasciasse l'esame della seconda, della terza, della quarta, della quinta, e della decima scoverta. Vuole dippiù, che neppure si esaminasse la nona scoverta, giacché si riserba di comunicarne l'intrigo secretamente a chi conviene. Quindi si ristringe solo per ora di manifestare le scoverte della prima, della sesta, della settima, e della ottava invenzione, e le quali sono le seguenti. La prima scoverta del ricorrente Ribatti si poggia sulla esatta puntatura degli schioppi, e de' cannoni. A suo giudizio niuno ha saputo conoscere la vera linea di tiro. I più famosi artiglieri sono un nulla in paragone della sua esattezza. In fatti si prenda in esempio una canna da schioppo. Egli è sicuro, che il vano di questo strumento è di figura cilindrica, il di cui asse prolungato in diretto rappresenta il cammin della palla. Ora egli è anche manifesto, che la massa del ferro, che compone, e forma la canna è molto più crassa nella culatta, e meno crassa nel suo orificio, che ne forma la bocca. Quindi egli ne deduce, che la linea esterna della canna essendo sino all'orificio convergente coll'asse del cilindro del vano, necessariamente prolungandosi ambedue debbano toccare due punti diversi nell'ostacolo, ritrovandosi sempre il punto del tiro più alto, ed il punto di mira più basso; per cui dirigendosi la mira ad occhio per la linea convergente esterna, la palla non potrà mai finire al punto traguardato, ed in questo modo non si è mai unita la linea di tiro colla linea di mira. Quindi conchiude lo scopritore di questo difetto che per rettificare il tiro, ed esser sicuro del punto del colpo, egli è mestieri, che il segno di mira, che si appone sull'orificio della canna, sia di tale altezza, che faccia essere parallele tra di loro le due linee di tiro, e di mira. Sebbene tutto questo così avvenisse, pur tuttavia il Ribatti con questa sua scoverta pretende solo di rimediare a' giusti tiri, giacché poi negli sforzati, e lunghi tiri egli è persuaso, che.la palla dovrà descrivere la parabola, la quale si burla di tutte le sue scoverte, e delle sue invenzioni. La seconda scoverta che egli espone all'attuale scrutinio consiste nel dare un metodo, col quale si misurano i terreni esattamente. Nelle ordinarie misure di territori di affitto annale, che eseguiscono i nostri compassatori, comeché si tratta di un prezzo di poca importanza, così i medesimi trascurano nel di loro calcolo le frazioni di passo, che dia l'apertura del compasso, le quali per verità non meritano 36 tanta attenzione per la di loro picciolezza. Il Ribatti all'incontro addossandosi il peso di una scrupolosa esattezza, egli ha pensato, che le più minuti frazioni di misura debbano includersi nel calcolo, per la ragione, che gl'interessi del nostro prossimo non debbano essere defraudati in minima parte. Tuttociò che in questo articolo asserisce il Ribatti egli è troppo vero, ma la sua conclusione poi è falsa. Imperciocché costui è persuaso, che nelle misure de' terreni di compra, e di vendita, e che sieno di gran valore, si eseguisca la stessa misura colla medesima trascuraggine. La vera esattezza delle misure delle superficie de' terreni di compra, e di vendita, non è ignota a' nostri compassatori, ma questi la praticano nella stessa proporzione del valore de' territori. La terza scoverta del Ribatti si versa sulla pratica esecuzione di alcune operazioni aritmetiche. Uno dei problemi di questa scienza egli è di ridurre allo stesso denominatore molte frazioni, le quali lo abbiano diverso. Egli è persuaso, che il sito metodo sia di lunga mano più breve di quello, che si pratica ordinariamente da' computisti. Fa consistere il pregio di questa sua invenzione nel risparmio del tempo, e nella novità della esecuzione; ma poi inavvedutamente non ha distinto il vero merito di questa nuova sua pratica. Allora potrà dirsi breve. e pregevole un metodo, ogni qual volta in tutte le operazioni del suo genere faccia sempre uso di una sola regola universale, come è per appunto il metodo usato da tutti gli aritmetici. Il Ribatti all'incontro usa regole diverse, a misura, che le frazioni crescono nelle cifre. Intanto la sua scoverta aritmetica ella è anche pregevole tanto perché fa un risparmio di tempo, come altresì somministra un nuovo mezzo, onde conoscere la esattezza di sì fatte operazioni. Finalmente la quarta scoverta consiste nell'aver dimostrato, che nella compra, e vendita de' territori di gran valore si debba solo calcolare la estensione della base, e non già quella della superficie esterna. L'esterior faccia della Terra, come ognun sa, è irregolarmente gibba, per cui la esterna superficie è sempre di maggior estensione della sua base piana, quantunque sieno comprese ambedue tra' medesimi confini. Quindi egli conchiude, che nelle compre, e vendite, poiché si determina l'intervallo tra un confine, ed un altro, perciò deve entrare nella misura la sola estensione della base, e non già della superficie esteriore, comeché questa è sempre maggiore della prima. Per far tutto questo, si deve usare, a suo giudizio, il metodo de' profili de' terreni. Questa volta il matematico Ribatti è caduto involontariamente in un intrigo. Prima ha litigato, che nella misura delle superficie de' terreni di compra, e di vendita si debba aver conto delle più picciole frazioni, ed ora abbandona questa esterna superficie, e fissa la sua attenzione alla sola base piana immaginaria. Non vi è dubbio alcuno, che la irregolare esterna superficie sia maggiore della estensione della base piana, comprese amendue fra' medesimi confini, specialmente trattandosi di territori montuosi, e di altura. Egli è anche chiaro altresì, che tante linee rette parallele fra di loro, e perpendicolari 37 alla Terra occuperanno tanto spazio nel coprire la superficie esterna, quanto ne occupano nella base; ma non per questo si dovrà conchiudere, che la estenzione della superficie esterna dovrà calcolarsi secondo la estenzione della base; imperciocché essendo infatti la prima sempre maggiore della seconda, presenterà sempre maggiore ampiezza à nostri usi di quella, che ne potrebbe prestare la seconda. Dimostrano i Geometri, che se si abbia un Cono il di cui lato sia uguale al Diametro dalla base, allora la superficie conica sarà doppia della superficie della base. Quindi in un caso simile noi possiamo ottenere un uso, ed utile doppio della sola area della base, per cui anche nelle vendite, e compre de' terreni montuosi, ed elevati si deve calcolare la estenzione della esterna superficie, e non già quella della sola base immaginaria. Queste sono per ora le scoverte dell'Architetto, e Regio Agrimensore Antonio Ribatti, che egli ha voluto manifestare in sollievo delle Scienze, delle arti, e della pubblica Economia, promettendo, che a suo tempo mostrerà le altre produzioni del suo felicissimo ingegno. E questo è quanto da me si dovea riferire umilmente ad V. Ill.ma in discarico del mio dovere, ed in adempimento de' suoi rispettabilissimi comandi, mentreché con piena stima ed ossequio mi do l'onore di farle profondissima riverenza. Foggia li 16 maggio 1798. Di Vostra Signoria Illustrissima divotissimo obbligatissimo servo obbedientissimo Giuseppe Rosati. Illustrissimo Signor D. Giuseppe Gargani Presidente della Regia Camera, e Governatore Generale della Dogana di Foggia ». PASQUALE di CICCO Dott. PASQUALE di CICCO, direttore dell'Archivio di Stato di Foggia. 38 39 40 42 43 44 45 46 47 48 Frontespizio di « cartaceo » posseduto dalla Biblioteca Provinciale di Foggia Tavole disegnate dal Rosati per « Elementi della navigazione » 49 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 BIBLIOTECHE DAUNE La civica « Luigi Pascale » di Manfredonia Inaugurazione della nuova sede La manifestazione inaugurale della nuova sede, preceduta da un manifesto del Sindaco alla Cittadinanza, si è svolta l'otto dicembre di questo anno nel salone consiliare di Palazzo S. Domenico, innanzi a un folto pubblico di invitati, tra i quali S. E. l'Arcivescovo sipontino, Mons. Andrea Cesarano, il consigliere provinciale e presidente dell'Istituto Nazionale per le Case Popolari, avv. Berardino Tizzani, il gen.le Raffaele Castriotta, presidente della Società di Cultura « Michele Bellucci », il prof. Michele Melillo, dell'Università degli Studi di Roma. Per l'occasione aveva accettato di buon grado l'invito ad intervenire il nuovo titolare della Direzione gen.le delle Accademie e Biblioteche e per la Diffusione della cultura, gr. uff. dott. Nicola Mazzaracchio, giunto a Manfredonia da Foggia, dove il giorno innanzi aveva avuto un proficuo incontro con gli esponenti locali della cultura e della P.A. Erano in sua compagnia i dottori Carlo e Renzo Frattarolo e il dott. Maioli, tutti alti funzionari del Ministero della P.I., il soprintendente bibliografico per la Puglia e la Lucania, prof. Antonio Caterino, il provveditore agli studi di Foggia, dott. Raffaele Ferrante, il direttore della Biblioteca Provinciale di Foggia, prof. Angelo Celuzza, l'assessore prof. Pasquale Ricciardelli, in rappresentanza dell'Amministrazione Provinciale di Capitanata. Il Sindaco, dottor Nicola Ferrara, che insieme con gli Assessori e numerosi Consiglieri, aveva ricevuto i graditi ospiti, ha loro rivolto il cordiale e grato saluto della Città. Egli ha ricordato che: «L’attuale cerimonia può essere compresa tra le solennità civili del popolo di Manfredonia, che dal manifesto fatto affiggere per l'occasione dalla Civica Amministrazione, ha avuto notizia dell'avvenimento. Essa conclude una lunga serie di tentativi fatti nel passato dal Comune, per soddisfare l'aspirazione dell'intera Cittadinanza. «Disporre di un luogo di incontri e di studio, per cultura generale e per preparazione specifica era una esigenza cui non si poteva più derogare e per ciò essa ha costituito un punto 99 programmatico importantissimo e la preoccupazione costante del nostro Centro-Sinistra. « La Biblioteca "Luigi Pascale" finalmente ha una degna sede e un personale sufficiente: l'Amministrazione, nonostante le note difficoltà di bilancio, comuni a tutto il Mezzogiorno, ha adempiuto la sua parte, creando in questo modo le premesse per l'intervento governativo. « Questo non si è fatto attendere, come dimostra la presenza dell'illustre Direttore generale delle Accademie e Biblioteche, al quale, - nel ricordo di quanti promossero e incrementarono l'istituzione tra mille difficoltà - col ringraziamento affido il voto che, avvalendosi sempre dell'intervento centrale, questa civica Amministrazione possa adempiere in pieno il mandato popolare, che comprende anche e soprattutto la elevazione culturale cui ha diritto ed aspira la città sveva, che ultimamente ha celebrato con dignità il settimo centenario della sua vita storica ». Dopo il Sindaco, ha parlato il prof. Cristanziano Serricchio, assessore alla P.I. presso il Comune di Manfredonia. « E’ questa una data davvero memorabile per la storia della cultura a Manfredonia, che vede finalmente riaprirsi al pubblico, dopo molti anni, la nostra Biblioteca Comunale, intestata al nome di quel filantropo e illustratore di memorie patrie che fu Luigi Pascale, che, insieme col giovane Mario Simone, salvò e raccolse il primo fondo librario della biblioteca costituito con il residuo di 620 volumi e 6 incunabuli, provenienti dal soppresso Convento dei Frati Minori della Curia Provincializia “S. Michele Arcangelo". « Nel 1926 la Biblioteca e il Museo venivano alloggiati in due sale del Palazzo Comunale, dove ebbero stentato sviluppo per mancanza di personale e di locali idonei. « Dall'aprile di quest'anno la Biblioteca è stata trasferita nella sede in via Ten. Rosa. Non a caso, pertanto, è qui tra noi, in rappresentanza del Ministro della Pubblica Istruzione, il direttore generale delle Accademie e Biblioteche, gr. uff. dott. Nicola Mazzaracchio, i cui meriti verso la Scuola e la Cultura sono assai ben noti, perché io li possa o li debba qui ricordare. Egli viene ad inaugurare oggi la nostra Biblioteca, così come nel maggio del 1962 il prof. Bruno Molajoli, direttore generale delle Antichità e Belle arti, venne a dare il via, col III Congresso Archeologico, alle manifestazioni celebrative del VII Centenario della fondazione di Manfredonia, con le quali si ponevano le premesse per la creazione nel nostro Castello del Museo del Gargano Meridionale e della Zona Sipontina. «Due istituzioni, Biblioteca e Museo, tenute a battesimo all'inizio e alla fine delle celebrazioni storiche da due illustri rappresentanti del Governo e del mondo della cultura. 100 « Non si poteva celebrare meglio, io credo, il centenario della fondazione sveva, senza veder poste in termini di concretezza due grandi realizzazioni. «In una così propizia circostanza mi sia consentito porgere a tutti il grato saluto mio e di Manfredonia, e un grazie particolare al chiarissimo dott. Mazzaracchio, che, accettando il nostro invito, ha dato il crisma della ufficialità alla cerimonia odierna e l'alto consenso della Amministrazione centrale all'opera da noi iniziata. « La sua venuta resterà viva nella nostra memoria, perché essa è per noi il segno della giusta strada intrapresa, la promessa di quell'aiuto, soprattutto morale, che sarà di conforto alla nostra azione, e infine d'incitamento affettuoso di un conterraneo, legato dal comune amore a questa terra di Puglia, così ricca di ricordi svevi e di civiltà, che noi vogliamo vedere più prospera e civilmente progredita. « Un saluto e un ringraziamento cordiale desidero porgere a nome di questa città, anche ai due fratelli Carlo e Renzo Frattarolo, nostri amati concittadini, al dott. Maioli e al caro soprintendente, pro/. Antonio Caterino, al quale va il merito di aver reso possibile, col suo consiglio e aiuto, il presente incontro, e infine un cordiale benvenuto alle gentili signore, ospiti di Manfredonia. « Un anno fa, in questa stessa sala, rappresentando l'Amministrazione Centrale in una delle nostre ricorrenti manifestazioni culturali, il dott. Carlo Frattarolo, pur lodando le nostre iniziative, constatava con animo accorato: "Manca la Biblioteca, manca nelle sue strutture fondamentali e nelle sue linee essenziali ritenute valide e idonee perché essa possa costituire un centro pulsante di vita cittadina, perché possa essere istituto di formazione e di informazione, istituto intorno al quale possa valorizzarsi la vita spirituale di Manfredonia". «Noi abbiamo mantenuto l'impegno che prendemmo allora verso la popolazione e verso di lui, impenitente innamorato di questa città. bella di luce e di mare, ricca di monumenti insigni e di storia, dolce città cara al re Manfredi, che, nelle notti di luna, "sceva cantanno sunette e canzune". « Ora Manfredonia è tutta protesa verso la realizzazione di opere indispensabili allo sviluppo economico e industriale che l'attende e per il quale la cultura è il lievito e la base insopprimibile. Questa città, che annovera tre circoli didattici, tre scuole medie e otto istituti medi superiori e varie centinaia di studenti universitari, non poteva non dare l'atteso impulso a questa essenziale istituzione culturale. A tal fine ci siamo adoperati per togliere la biblioteca alla polvere e all'angustia dello spazio in cui pigramente e svogliatamente ha vissuto per vari lunghi anni a vantaggio solo di alcuni isolati frequentatori, ignorata dalla comunità e considerata come inutile ingombro da molti deviati verso altri interessi, per darle ora il giusto posto che 101 le spetta in una società civile, per farla uscire alla luce, renderla accessibile a tutti, adulti e ragazzi, studenti e contadini, artigiani e operai, per farle cioè vivere una vita non tisica, ma continuamente potenziata, che le consenta di diventare al più presto uno strumento efficace di informazione e di studio, di buon uso del tempo libero e di formazione professionale, rivolta a vantaggio di tutta la Comunità. «Per questo l'Amministrazione ha teso tutti i suoi sforzi per dotare la Biblioteca di nuovi locali piú dignitosi e idonei, per provvedere, mediante l'opera di un direttore incaricato, al riordinamento e alla catalogazione del materiale librario di circa 7 mila volumi, ciò che ha permesso fra l'altro di individuare altri incunabuli e cinquecentine, saliti complessivamente a 96. Il notevole incremento sul bilancio comunale dei fondi per la Biblioteca, e i contributi disposti dalla Direzione Generale, su segnalazioni della Soprintendenza Bibliografica, che si è rilevata oltremodo sensibile e sollecita alle nostre istanze, hanno consentito l'acquisto di libri moderni, con i quali si è inteso iniziare l'opera di aggiornamento della Biblioteca, indispensabile per venire incontro alle varie e vaste esigenze della popolazione. « Tutto questo è stato fatto, malgrado le enormi difficoltà economiche in cui si dibatte il Comune, vincendo molti ostacoli, per assolvere ad un preciso impegno verso la cittadinanza e la cultura, consapevoli della utilità di una simile istituzione. Abbiamo così voluto porre le premesse per assicurare il potenziamento e lo sviluppo costante della nostra Biblioteca, antica aspirazione di tanti concittadini, che questa istituzione hanno vagheggiato e difeso, da Luigi Pascale a Michele Bellucci, da don Silvestro Mastrobuoni a Mario Simone e a quanti altri, come noi, sono convinti che le sorti della civiltà e della democrazia sono legate intimamente al maggiore arricchimento spirituale e ad una maggiore conoscenza strumentale, che solo il libro e, per esso, la cultura, possono promuovere negli individui come nelle masse. « Certo molto resta ancora da fare perché la Biblioteca, arricchendosi di libri adatti a tutti gli interessi e a tutti i livelli di cultura, possa servire i bisogni della popolazione. Ma noi crediamo in questa Istituzione, come crediamo nei valori della cultura e dello spirito, e siamo sicuri che non mancherà il valido aiuto della Direzione Generale e della Soprintendenza, per eliminare le presenti manchevolezze e attrezzare adeguatamente la Biblioteca in modo che essa sia non solo eco del venerabile passato, ma testimonianza della molteplice pulsante vita che oggi viviamo, segno della nobiltà dell'uomo, che nel sapere ritrova la base di ogni vero e civile progresso». Ha preso quindi la parola il prof. Caterino: «Raffaello Franchini in un suo recentissimo saggio Teoria della previsione, formula una considerazione che condividiamo 102 in pieno: " L'uomo è un essere che pensa al futuro; l'assillo di tutte le ore, di tutti i giorni è costituito per lui dalla commisurazione più o meno esatta della distanza che lo separa da eventi ipotizzati o reali, da scadenze cui deve far fronte ». Essa risente della suggestione del mito di Prometeo che ha trovato sigillo nelle opere di Esiodo e nella trilogia eschilea. Prometeo conosceva le cose future come le presenti e sapeva che vano è tentare di resistere al corso della Necessità e del Fato; eppure egli volle tentare la temeraria avventura mettendosi contro la Necessità e il Fato. « La rivolta di Prometeo è il segno di una cultura che si sgancia dalle basi tradizionali di ogni cultura arcaica e diviene il modello della civiltà tecnico-scientifica dell'Occidente; sta a rappresentare l'esigenza di una previsione progettante, che bussa ansiosamente alle porte del futuro per provvedere ai bisogni del presente, in modo da sottrarre l'esistenza umana alla incertezza e alla rischiosità di cui essa è fondamentalmente fatta. E non a caso Schubart ha parlato di cultura europeo-prometeica e di uomo prometeico, ansioso ed anticipante, agli occhi del quale il mondo appare come caos da trasformare in un tutto organico, ordinato, normato perché ne sia più agevole lo sfruttamento. «E’, codesto, il discorso serio e carico di interessi che sta pronunziando la società contemporanea, cui partecipano - come animatori e realizzatori - uomini di dottrina educati al rigore della scienza e bibliotecari, che, non più legati agli schemi e alle valutazioni del tempo che fu, ma inseriti nel clima fervido del nostro tempo, conducono un'azione ben precisa e talvolta ardita per far aderire in maniera concreta i loro istituti alla vasta gamma dei problemi della società moderna. Biblioteche e bibliotecari si sforzano di rendersi operanti sul piano sociale, politico, economico, dottrinario e scientifico. In una parola, lavorano per dare risposte chiare e concrete agli interrogativi della tematica nuova suggerita dal concetto della democrazia moderna. «Noi viviamo in un tempo in cui tutti gli uomini vantano uguali diritti, partecipano al governo della cosa pubblica o costituiscono l'opinione di base che, influenzando i responsabili di governo, decide della pace e della guerra, della giustizia e dell'ingiustizia. Viviamo, cioè, in un tempo in cui la forza di decisione e di scelta risiede nel popolo. Orbene, tutto ciò richiede che le masse, messaggere di pace e di guerra e depositarie di potere, si rendano conto dei grandi problemi che le agitano. Non solo, ma è necessario che tutte le componenti della tematica nuova testé accennata vengano a svilupparsi in maniera parallela. Se le scienze progrediscono fino a disciogliere in mille elementi l'atomo che la nostra generazione aveva appreso sui banchi di scuola essere indivisibile, non può non fare lo stesso balzo in avanti il carattere, diciamo, morale-intellettuale dell'uomo. Al103 trimenti verrebbe a determinarsi uno squilibrio tra le componenti, che senza dubbio trascinerebbe a conseguenze tragiche per l'umanità intera. «La scienza, dunque, ci conduce verso orizzonti nuovi ed ha inaugurata l’èra che abbiamo chiamata atomica e spaziale. Gli uomini già bussano alle porte della luna non per chiederle come un dì Leopardi: "Che fai tu, luna in ciel? Dimmi che fai silenziosa luna?” ma per strapparle segreti e sfruttarne le forze che per millenni sono rimaste sconosciute. In tutto il mondo va crescendo il numero dei paesi indipendenti e liberi. Ebbene, cosa succederebbe se l'uomo non fosse in grado di ricevere con coscienza adulta, cioè in tensione di amore, in clima di comprensione e in unione con Dio, di tutte le cose Creatore, i doni della natura e della libertà? E’ presto detto: da una parte, l'atomica potenziata nella sua forza esplosiva dal sadismo degli uomini potrebbe ridurre il mondo intero ad un ammasso di ceneri; dall'altra, l'esempio di popoli dilaniati da lotte fratricide è largamente dimostrativo ed eloquente. «Dunque, è indispensabile un incremento della pedagogia sociale, di massa, che, integrando quella scolastica, rinnovi gli interessi intellettuali e sentimentali di vasta risonanza nel mondo dello spirito e dell'azione volti alla disciplina del vivere nella piena consapevolezza dei valori permanenti della vita. « Ci rendiamo conto che il ruolo del maestro e quindi della Scuola è quello di fornire quadri ben costruiti che il lavoro personale dovrà poi completare. E tale lavoro non è solo ginnastica dell'intelligenza, ma acquista la fisionomia di ricerca della verità; è perfezionamento della personalità umana. Sicché il cittadino di una democrazia che voglia adempiere i suoi doveri verso la società di cui è membro ed acquisire coscienza dei suoi diritti; che voglia, per dirla con John Stuart Mill, essere considerato non come una ricchezza ma destinatario stesso della ricchezza; che intenda correre alla conquista della nuova frontiera deve sforzarsi di tenersi informato di tutto per tutta la vita. E gli strumenti più adatti per farlo sono il libro e la biblioteca, giacché il primo è un crocicchio di luoghi chiariti, la seconda istituto di comprensione tra gli uomini di ogni colore e sotto tutte le latitudini. «Come chiaramente si vede, le biblioteche occupano un posto importantissimo nella vita della società moderna e sono chiamate a svolgere un ruolo di insopprimibile, primaria necessità. « Grandissimo è il numero degli uomini che sanno e sapranno in avvenire leggere, poiché l'insegnamento non è più un privilegio di una classe o di un ceto, ma è divenuto obbligatorio per tutti. Pochi ancora, però, sono quelli che possono comprare i libri per completare la propria educazione morale ed intellettuale. Per le masse, dunque, la sola possibilità è la Biblioteca pubblica, la quale rispondendo al bisogno di istruzione 104 PATRONI DELLA CIVICA « PASCALE » DI MANFREDONIA PATRONI DELLA CIVICA « PASCALE » Michele Bellucci (Manfredonia, 1849 - Roma, 1944). Giurisperito, storiografo, musicista : ultima espressione locale dell'umanesimo meridionale. Autore di innumerevoli contributi monografici, biografici e bibliografici intorno a Siponto e Manfredonia e di musiche pregiate. queste e quelli tuttora in gran parte inediti. Possedette una raccolta quasi completa di pubblicazioni regionali, che intitolò « Biblioteca Dauna » (dispersa nel bombardamento di Ariccia, ove era stata trasferita). Fu molto generoso di consigli per la civica « Pascale », durante la sua formazione. Luigi Pascale (Manfredonia, 1850-1940). Già maestro elementare e per un trentennio segretario comunale di Manfredonia, ne riesumò il passato con quello della progenitrice Siponto, pubblicando numerosi opuscoli di storia, di agiografia, di numismatica e un vocabolarietto dialettale, tutti incentivi di ulteriori ricerche ed approfondimenti. Ispettore onorario dei monumenti e scavi, concorse decisivamente alla fondazione della civica biblioteca (poi intestata alla sua memoria), alla quale donò raccolte di vasi e altro materiale archeologico, e una collezione di monete. Don Silvestro Mastrobuoni (Cerreto Sannita, 1889 - Napoli, 1966). Canonico teologo mitrato dei rev.mo Capitolo metropolitano sipontino, dottore in utroque iure e lettere. Ispettore onorario bibliografico e alle antichità e belle arti. Direttore onorario della « Pascale » e dell'annessa raccolta archeologica. Continuatore degli studi sipontini, autore di numerose pubblicazioni storiche e agiografiche su l'antica e la nuova Siponto. Promotore con pochi sodali del Comitato pro-cultura e dell'Associazione dei professori, che nel 1944 dettero impulso decisivo alla rigenerazione di Manfredonia, investita dalla guerra. Antonio Simone (Manfredonia, 1874 - Foggia, 1954). Donatore alla « Pascale » di numerose pubblicazioni, compresa una raccolta rara del periodico napoletano « Lucifero », nel 1944 riordinò generosamente la suppellettile bibliografica e ne compilò l'inventario. Corrispondente di quotidiani e settimanali, in lunghi anni sostenne le ragioni di difesa, di sviluppo e di rinnovamento della Biblioteca. LA CIVICA « PASCALE » IN NUOVA SEDE Nel salone municipale il dott. Mazzaracchio conclude la manifestazione di Palazzo S. Domenico S.E. l’arcivescovo, mons. Cesarano, e il dott. Mazzaracchio all’ingresso della Biblioteca LA CIVICA « PASCALE » IN NUOVA SEDE Lettori che non mancheranno mai Aspetti della sala di consultazione sollecitato dai progressi economici e scientifici, consentirà agli uomini di dilatare le dimensioni del loro pensero, di coltivarsi, di avere cura della loro dignità in armonia con il livello di vita innegabilmente migliorata sotto tutti i rapporti e gli aspetti. D'altra parte, le macchine e la tecnica richiedono la qualificazione dell'operaio, il quale deve pur saper rispondere alle esigenze del suo mestiere; e l'agricoltura stessa che segue l'irreversibile processo della industrializzazione esige dall'agricoltore e finanche dal contadino preparazione e competenza. E l'operaio, l'agricoltore, il contadino, l'artigiano solo nella biblioteca trovano lo strumento della loro indispensabile, adeguata istruzione. « Una volta filosofi o poeti potevano dire: "Io sono un uomo e niente di ciò che è umano mi è estraneo". Oggi tutti gli uomini devono poter pronunziare questa frase, perché è la divisa dei tempi nuovi. «A Taranto, città dei due mari, venti giorni or sono si dava un lieto buongiorno alla prima meravigliosa colata d'acciaio, simbolo della tecnica moderna, che, moltiplicandosi, è destinata a contribuire all'incremento della ricchezza materiale della Nazione. Oggi qui, a Manfredonia, sbocco marittimo del Tavoliere della Puglia, alla presenza del Direttore Generale delle Accademie e Biblioteche e per la diffusione della Cultura comm. Mazzaracchio e di suoi autorevolissimi e validi collaboratori, tra cui due figli di questa terra, di autorità religiose e politiche e soprattutto di gran folla di popolo s'inaugura la nuova sede della biblioteca comunale. La quale dopo alterne vicende nell'arco di oltre un cinquantennio ha decisamente imboccato la via della resurrezione. « Essa è conferma di un incontro felice, antico di secoli, tra il popolo di Manfredonia e la cultura; testimonianza di fede nella vita operosa; proposito di realizzazione nel campo del pensiero e dello spirito ». Infine, il dott. Nicola Mazzaracchio, che con la sua presenza ha voluto confermare l'attaccamento filiale alla sua Terra di Puglia e il suo interessamento per i problemi del libro e della cultura in Italia, tra vivissimi applausi, ha così espresso il sentimento e i propositi che lo avevano guidato e accompagnato in questo suo primo incontro con la regione madre: « Come direttore generale delle Accademie e delle Biblioteche sono lieto di esprimere il mio piú vivo compiacimento per l'opera che la Civica Amministrazione di Manfredonia, fervidamente assecondata nei suoi sforzi dalla Soprintendenza Bibliografica per la Puglia e per la Lucania, ha ora condotto a termine, istituendo questa pubblica Biblioteca, che inizia oggi la sua attività. « Il mio sentimento di soddisfazione è tanto più intenso e vibrante in quanto il nuovo Istituto, che inauguriamo, si apre 105 in questa città che è la patria di due valorosi e cari miei collaboratori, i fratelli Carlo e Renzo Frattarolo, ed in questa nobile terra pugliese, cui io pure appartengo ed alla quale, con cuore di figlio non immemore, auguro di poter a grandi passi proseguire l'ascesa verso i nuovi e più alti traguardi del civile progresso alla pari delle altre Regioni d'Italia. «Di tale progresso la Biblioteca è certamente, insieme con la Scuola, uno dei principali strumenti, perché essa è mezzo insostituibile per l'educazione e la formazione democratica del cittadino, per la sua elevazione culturale e morale, per il suo aggiornamento professionale e per il migliore impiego del suo tempo libero. «Come la Scuola, la Biblioteca è necessaria per adeguare la società all'odierno grandioso processo di sviluppo tecnico ed economico. Ma, sopra ogni altro obbiettivo, essa deve mirare a tradurre il perfezionamento tecnico in forme ed in termini di perfezionamento umano, che si concreta nel rispetto dei supremi valori dello spirito, nella dignità e libertà della persona umana ed, infine, nell'autonoma scelta dell'attività professionale, perché ognuno abbia eguali possibilità di mettere a frutto i suoi particolari talenti, coltivare la propria particolare vocazione e divenire un cittadino socialmente utile e attivo, cioè capace di dare un proprio personale contributo al progresso dell'intera nazione. « Così intesa, la Biblioteca si pone come uno degli istituti più importanti della Comunità, la quale, in un periodo come l'attuale, dominato dal tecnicismo, dalla meccanizzazione e dalla automazione, può essere salvata dal pericolo di un deprecabile inaridimento spirituale e di un generale livellamento soltanto dai beni della cultura e quindi dalla lettura e dall'amore del libro. « Merita, dunque, amplissima lode l'iniziativa assunta dalla Amministrazione civica di Manfredonia con l'inaugurazione della nuova Biblioteca, alla quale la mia Direzione Generale non farà mancare la propria assistenza tecnica ed il proprio contributo ftnanziario. «Ma, di fronte ai limiti consentiti per questi interventi ministeriali dalle non cospicue disponibilità del bilancio statale, va pur ricordato che il concorso del Ministero ha una funzione meramente integrativa e non già sostitutiva degli oneri, che ciascuna Amministrazione locale è tenuta ad assumersi per la vita della propria biblioteca, in adempimento di un obbligo stabilito dal vigente ordinamento. «D'altra parte, si può essere certi che quando i cittadini, frequentando la loro biblioteca e trovandola accogliente ed aperta a soddisfare le loro esigenze d'informazione e di cultura, avranno imparato ad apprezzare tutti i benefici che possono trarne per l'arricchimento della propria personalità, non sarà più tanto difficile richiedere alla collettività quei sacrifici, che 106 sono necessari per assicurare il fiorente sviluppo dell'Istituto in armonia col progredire incessante del sapere scientifico e della conoscenza umana. «Con la visione di queste alte finalità, mi è caro di salutare la rinascita della Biblioteca Comunale di Manfredonia con l'auspicio latino: vivat, crescat, floreat! ». Dopo la cerimonia, svoltasi nel palazzo di Città, le autorità e tutti i presenti si sono recati, per il taglio del nastro augurale, presso i nuovi locali della Biblioteca, al primo piano di via Tenente Rosa n. 19. E' stato da tutti verificato lo sforzo sostenuto per una decorosa sistemazione della suppellettile bibliografica, cui ultimamente sono andati nuovi incrementi, subito introitati e sistemati nei moderni e funzionali scaffali metallici. Esso ha meritato l'apprezzamento dal Ministero della P. I., che ha completato con altri scaffali e mobili diversi, indispensabili ai servizi (schedari metallici, tavoli di lettura, poltroncine, scaffalatura metallica) ed ha fornito importanti strumenti di studio e di consultazione (enciclopedia, intere collezioni librarie, periodici culturali, ecc ... ). Nella rinata biblioteca « Luigi Pascale » di Manfredonia tutto, dunque, sembra essere stato predisposto per il suo buon funzionamento, ma occorre sottolineare che, essendo la biblioteca pubblica un istituto della democrazia, le sue sorti sono affidate non soltanto alla sollecitudine e alla sensibilità delle autorità preposte al governo della civica amministrazione, ma a tutti i cittadini, i quali debbono amarla e frequentarla, considerandola uno strumento indispensabile del civico progresso. 107 Chiosa per la pubblica libreria di Manfredonia L'indugio di oltre un anno con il quale si pubblica questo fascicolo, consente di aggiungere qualche linea alla cronaca che precede. Sono trascorsi otto lustri da quando (1925) nell'archivio municipale di Manfredonia, ove giaceva, affidato alle tarme e alla polvere burocratiche, rinvenni il fondo monastico dell'O.F.M. e promossi, realizzandola con il vecchio Luigi Pascale, la prima raccolta bibliografica cittadina « a porte aperte ». Otto lustri di carenza dei poteri pubblici nell'associare la mente locale al progresso universale: un lento corrosivo scorrere del tempo sul problema di quella primordiale civica libreria, sempre agitato, mai prima di oggi risolto. Pietà di patria e prudenza politica hanno trattenuto gli odierni amministratori della cosa pubblica sipontina e la stampa fiancheggiatrice dal mortificare la Cittadinanza con la cronistoria di quell'Istituto, dalla quale sarebbero emerse molte e non lievi responsabilità individuali e collettive. Purtuttavia l'odierno insediamento sollecita un più disteso discorso, risalente alle lontane premesse, e che può svolgersi senza ipocriti autolimiti. Siamo infatti psicologicamente molto lontani dalla temperie in cui sono trascorsi i quarant'anni della infelice creatura, che sembra sbocciata da un ardore giovanile di mezza estate ma, come ogni altra istituzione civile, è prodotto di un lavorio storico, non facilmente percettibile, meritevole di essere meglio conosciuto, per un giudizio definitivo. La nuova Manfredonia - alle cui sorti molti collaborano, sebbene non tutti investiti di uffici e privilegi -, ha mostrato di voler criticamente ripensare ì suoi sette secoli di fondazione, celebrandola nella fastica ricorrenza del 1963: riprenda il filo delle rievocazioni, interrotte alla catarsi sveva, e, arrivando al Settecento, raccolga i segni premonitori e poi, progredendo, anche le testimonianze più autorevoli della vita morale e dell'attività culturale cittadina; infine, dalle pagine delle rivoluzioni meridionali ricavi gli auspici che, non del tutto compressi dalla politica piemontese, sono stati raccolti dalle presenti generazioni. Delineare la fisionomia di questa biblioteca, e con lo stato anagrafico e l'inventario inserirla nella cornice, la più ampia possibile, della locale storia della cultura: ecco un'aspirazione e un invito che interpretano, ne siam certi, il sentimento del tempo tra il popolo sipontino. Il trasferimento della modesta libreria dall'angusto deposito di Palazzo San Domenico all'arioso primo piano di Palazzo Rosa, non fa passare agli atti la pratica dell'Istituto. Ne derivano, invece, una serie di ulteriori soluzioni, che non si esauriscono nell'incremento dell'attrezzatura metallica, né in quello della suppellettile libraria. Resta in amara eredità all'assessore della P.I., preside Cristanziano Serricchio, la liquidazione di un vistoso passivo costituito: a) dalla mancanza di un piano razionale di lavoro, di una commissione consultiva e di un biblio108 tecario di ruolo, deficit non alleviato nemmeno da « possibilità » del regolamento, che risale a molti anni or sono; b) dalla spesa inserita nel bilancio comunale, tuttora esigua, ed appena sufficiente a stipendiare gli impiegati; c) dallo stato del patrimonio bibliografico, in larghissima parte bisognevole di restauro e di rilegature. Né molto a lungo, come ci autorizza a ritenere il suo zelo, egli vorrà procrastinare lo svolgimento di quelle iniziative, che la ragione dei tempi nuovi sollecita dalle biblioteche, rivolta a farle conoscere nella loro storia, consistenza, organizzazione, funzionalità e a farle arricchire e potenziare, sì da renderle, più che succursali di obitori, forze determinanti del buon governo locale. MARIO SIMONE NOTA BIBLIOGRAFICA - Per una storia a farsi del «travaglio biblioteconomico» di Manfredonia, pubblico alcune tra le schede più recenti del repertorio bibliografico presso il Centro di Cultura Popolare e Biblioteca «Antonio Simone» di quella Città: Trasferimento della B. C. dì M., ne «Il Giornale d'Italia » (Roma) 8 dic. 1942; MARIO SIMONE, Per la B. C. di M., in « Azione Meridionale » (Bari) 16 febbr. 1947; Si vorrebbe sfrattare la B. C. per installarvi, niente di meno,, che i sindacati liberi, ne « L'Unità » (Roma) 17 apr. 1947; La B. C. di M. relegata in una stanza di Palazzo S. Domenico, ne « Il Messaggero » (Roma) 7 mag. 1949; A proposito di B. è severamente vietato criticare la Giunta Comunale, in « Avanti! » (Roma) 10 nov. 1950; Occorre sistemare la B. di M., ne « Il Quotidiano » (Roma) 20 nov. 1955; ANTONIO CATERINO (a cura di), Servizio bibliografico in Puglia e Lucania, Bari, Tip. Favia, s.d. [ma 1950], pp. 110-1; MATTEO DI SABATO, La B. C. di M. in una edizione della Soprintendenza Bibliografica, ne «Il Mattino» (Napoli) 14 apr. 1961; [MARIO SIMONE], Eterni problemi di M. - La B. C. ha bisogno di tutto: attrezzatura, libri, schedari e impiegati, ne « Il Mattino » (Napoli), 24 sett. 1961. Dovere di cronista e di amico impone di ricordare l'apporto dato all'incremento e alla conoscenza della Civica « Pascale » dai professori Beniamino d'Ama. to e Michele Fuiano. Con il primo, soprintendente bibliografico di Puglia e Lucania subito dopo la « Liberazione », don Mastrobuoni ed io demmo la prima spinta alla rinascita dell'Istituto, confortati dalla presenza del concittadino e sodale dott. Carlo Frattarolo al M.ro della P. L; all'altro, libero docente nell'Università di Napoli, dobbiamo la discussione di alcune tesi di laurea sulle pubbliche biblioteche daune: una sulla « Pascale » di uno studente montanaro, che non siamo riusciti a rintracciare («La storia della B. C. di Manfredonia e i suoi antichi e interessanti volumi »); due sulla « Provinciale », altre sulle « Civiche » di Lucera, San Severo e Torremaggiore. 109 INDICE GENERALE DELL'ANNATA 1964 A) PER AUTORI ALTAMURA, Antonio. Agostino Gervasio e gli studi umanistici dell'Ottocento. - 1-6, I, p. 41-44. BIBLIOTECHE DAUNE. La civica « Luigi Pascale » di Manfredonia. Inaugurazione della nuova sede. - 1-6, II, p. 99; Serricchio, Cristianziano. 1-6, II, p. 100-102; Caterino, Antonio. - 1-6, II, p. 102-105; Mazzaracchio, Nicola. - 1-6, II, p. 105-107. CAMPO, Girolamo. Profilo economico di Manfredonia. - 1-6, I, p. 77-89. CANDURA, Giovanni. Per un istituto di Genio Rurale in Foggia. - 1-6, I, p. 105-110. CELUZZA, Angelo. La Capitanata alla «Mostra dell'Arte in Puglia dal tardo Antico al Rococò ». - 1-6, I, p. 91-93; Realtà, esigenze e prospettive della « Provinciale » di Foggia. - 1-6, II, p. 1-14. CERZA, Ermete. Documenti e monografie della Biblioteca Provinciale di Foggia: Presentazione. - 1-6, I, p. 95-96. D. L. Concorso « Il Carciofo d'Oro ». - 1-6, I, p. 104. Di CICCO, Pasquale. Documenti su Giuseppe Rosati nell'Archivio di Stato di Foggia. 1-6, II, p. 31-38. Di FALCO, Marcello. Appunti per la redazione di un piano decennale per lo sviluppo di Foggia. - 1-6, I, p. 111-124. ELENCO dei manoscritti di Giuseppe Rosati posseduti dalla Biblioteca Provinciale di Foggia. - 1-6, II, p. 39. GENTILE, Carlo, L'Enciclopedico senza enciclopedia. - 1-6, II, p. 25-30. « GIUSTIZIA NUOVA ». Le deformazioni dello Stato contemporaneo in una conferenza di Michele Cifarelli. - 1-6, I, p. 103-104. LUCERA. Approvato il bilancio di previsione. - 1-6, I, p. 147-148. MANFREDONIA. Liberazione e scuole media: il Liceo scientifico « Galilei ». - 1-6, I, p. 143. « MASTRO » (IL). La XV Fiera dell'Agricoltura in Foggia. - 1-6, I, p. 125-127. MELILLO, Michele. Come vivono e come parlano sul Gargano. 1-6, I, p. 45-63. PICCONE, Gaetano. La figura, la vita e l'insegnamento di Rosati. - 1-6, II, p. 18-24. SCARDACCIONE, Decio. Realtà e prospettive di sviluppo dell'agricoltura in Capitanata. - 1-6, p. 39. SCHEDARIO. Fondo « Regno di Napoli-Puglia-Capitanata » posseduto dalla Biblioteca Provinciale di Foggia. - 1-6, II, p. 41-46; Nuove accessioni. - 1-6, p. 47-94; Indice alfabetico per autori. - 1-6, II, p. 95-98. 110 SCIORTINO, Giuseppe. Arte contemporanea a Trinitapoli. - 1-6, pp. 89-90. SIMONE, Mario. Diario 1799-1829 di Ascoli Satriano. Premesse alle notazioni. - 1-6, I, pp. 96-99; Il « Libro Rosso » della Città di Foggia. - 1-6, I, p. 100. SOCCIO, Pasquale. L'anno di Galilei. Metodo e tempo. - 1-6, I, p. 1-6. TAMBURRANO, Luigi. La Capitanata negli scritti di Tommaso Fiore. - 1-6, I, p. 65-76. TARONNA, Mario. Questo splendido «Foggia » 1-6, p. 140,142. TERENZIO, Vincenzo. Onoranze alla memoria di Nicola Zingarelli. - 1-6, I, p. 93-94. TEDESCHI Giuseppe Antonio e Ermenegildo. Diario 1799-1829 di Ascoli Satriano. -1-6, I, p. 95.99. TIBOLLO, Attilio. Sul foggiano Giuseppe Rosati. Le onoranze di Foggia. - 1-6, II, p. 15-17. VANIA, Savino, Programma della nuova Giunta Provinciale. - 1-6, I, p. 129-139. B) PER MATERIA AGRICOLTURA. Capitanata. - 1-6, p. 7-39. BIBLIOTECA PROVINCIALE FOGGIA. «Documenti e Monografie». 1-6, I, 95; Esigenze e prospettive. - 1-6, II, p. 1-14; Fondo «Regno di Napoli-Puglia-Capitanata». Schede. - 1-6, II, p. 41-46; Lettura e prestiti, 1963-1964; Dati statistici. - 1-6, II, 9-14; Nuove accessioni. Schede. 1-6-II, p. 47.94. CAPITANATA. Arte, sec. XI-XVIII. - 1-6, I, p. 91-93; Scritti di Tommaso Fiore. -1-6, I, p. 65-75. FIERA (XV) Di FOGGIA. - 1-6, p. 125-127. FIORE TOMMASO e CAPITANATA. Studio critico-bibliografico. - 1-6, I, p. 65-75. FOGGIA. Festa della Liberazione. - 1-6, I, p. 146-147; «Libro Rosso». - 1-6, I, p. 100. Programmazione, «Piano Decennale di sviluppo». - 1-6, I, p. 111-124. FONDO «Regno di Napoli: Puglia-Capitanata». Schede. GALILEI, GALILEO. 1-6, I, p. 1-6. GARGANO. Dialetti. 1-6, p. 45-63. GERVASIO AGOSTINO. - 1-6, I, p. 41-44. ISTITUTO UNIVERSITARIO Di GENIO RURALE. Foggia. - 1-6, I, p. 105-110. « LIBRO ROSSO » DELLA CITTA, Di FOGGIA. - 1-6, I, p. 100. LUCERA. Bilancio di previsione 1964. - 1-6, I, p. 147-148. MANFREDONIA. Biblioteca Comunale «L. Pascale» inaugurazione nuova sede. - 1-6, II, p. 99-107; Economia. - 1-6, p. 67; Scuole Medie. - 1-6, I, p. 143. « MOSTRA DELL'ARTE IN PUGLIA DAL TARDO ANTICO AL ROCOCO’ ». BARI. Contributo della Capitanata. - 1-6, I, p. 91-93. ROSATI GIUSEPPE. Centocinquantesimo anniversario della morte, onoranze. - 1-6, II, p. 15-38; Bibliografia. - 1-6, II, p. 39-40. SOCIETA’ DAUNA DI CULTURA. Riordinamento. - 1-6, I, p. 101-102. SPORT. CALCIO. UNIONE SPORTIVA FOGGIA. Cronache e ricordi. 1-6, I, p. 140-142. TRINITAPOLI. Concorso « Il Carciofo d'Oro ». - 1-6, I, p. 104; Mostra d'Arte contemporanea. - 1-6, I, p. 89-90. ZINGARELLI NICOLA. Onoranze, 1964. - 1-6, I, p. 93194. la Capitanata Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia Direttore responsabile: dott. Angelo Celuzza, direttore ff. della Biblioteca Provinciale. Direzione tecnica dello Studio Editoriale Dauno - Tipografia Laurenziana - Napoli. Autorizzazioni del Tribunale di Foggia 6 giugno 1962 e 16 aprile 1963. Registrazione presso la Cancelleria del Tribunale di Foggia al n. 150. I INDICE ANGELO CELUZZA: Realtà, esigenze e prospettive della "Pro vinciale" di Foggia (9 tabelle statistiche e 2 grafici) . . PAG.1 SUL FOGGIANO GIUSEPPE ROSATI - Ricerche storico bibliografiche nel CL della sua morte ATTILIO TIBOLLO: Le onoranze di Foggia . . . . . » 15 GAETANO PICCONE: La figura, la vita e l'insegnamento del Rosati » 18 CARLO GENTILE: L'enciclopedico senza enciclopedia . » 25 PASQUALE DI CICCO: Documenti su Giuseppe Rosati nell'Ar chivio di Stato di Foggia . . . . . . . . » 31 Elenco dei manoscritti di Giuseppe Rosati posseduti dalla Biblioteca Provinciale di Foggia . . . . . . » 39 Scritti di e su Rosati . . . . . . . . . . » 40 SCHEDARIO - 1) Fondo "Regno di Napoli-Puglia-Capitana ta, posseduto dalla Biblioteca Provinciale di Foggia (con tinuazione); 2) nuove accessioni (continuazione) . » 41 BIBLIOTECHE DAUNE - La civica "Luigi Pascale" di Manfredonia - Inaugurazione della nuova sede . . . » 99 MARIO SIMONE: Chiosa per la pubblica Libreria di Manfredonia » 108 ILLUSTRAZIONI LA « PROVINCIALE » DI FOGGIA: 1) Ufficio della Direzione; 2) Sala dei cataloghi (tav. I) - IDEM: 1) Sala di consultazione « Angelo Fraccacreta »; 2) Sala di lettura «Nicola Zingarelli » (tav. II) - IDEM: Lettori in sede (tav. III) Prestito a domicilio e con altre biblioteche (tav. IV) - FOGGIA A GIUSEPPE ROSATI: Monumento sepolcrale nel Duomo normanno (tav. V) - Autografo del Rosati posseduto dall'Archivio di Stato di Foggia (tav. VI) - Frontespizio di « cartaceo » posseduto dalla Biblioteca Provinciale di Foggia (tav. VII) - Tavole disegnate dal Rosati per « Elementi della navigazione » (tav. VIII) - PATRONI DELLA CIVICA « PASCALE » DI MANFREDONIA: Michele Bellucci, Luigi Pascale, Silvestro Mastrobuoni, Antonio Simone (tav. IX) - IDEM: Cenni biografici dei predetti (tav. X) - LA CIVICA « PASCALE » IN NUOVA SEDE: 1) Nel salone municipale il dott. Mazzaracchio conclude la manifestazione di Palazzo S. Domenico; 2) S.E. l’Arcivescovo, mons. Cesarano, e il dott. Mazzaracchio all’ingresso della Biblioteca (tav. XI) – 2) Aspetti della sala di consultazione (tav. XII).
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