Dražan Gunjača CONGEDI BALCANICI
Transcript
Dražan Gunjača CONGEDI BALCANICI
Dražan Gunjača CONGEDI BALCANICI Traduzione di Srdja Orbanić e Danilo Skomerčić ISBN 978-86-6397-044-1 Titolo in Croato: Balkanski rastanci © 2002 Dražan Gunjača © 2014 per il libro elettronico in italiano Media Art Content Ltd, Novi Sad, Serbia www.e-knjige.org [email protected] Copertina: Nives Marić LETTERATURA DEI BALCANI OCCIDENTALI Introduzione Questo romanzo è il seguito del romanzo A metà strada dal cielo che ho scritto una ventina d’anni fa, e racconta quello che accade agli stessi protagonisti in un paese - la ex Iugoslavia - che non c’è più. Quel romanzo è ambientato nel period 1978-1983. Non l’ho mai pubblicato, anche se avrei potuto, ed ero anzi sul punto di farlo: non l’ho fatto per ragioni personali. Il 3 giugno del 2001 lessi la notizia della morte del celebre attore Anthony Quinn: mi ricordai del suo indimenticabile ruolo tragico nel film Zorba il Greco e incominciai a scrivere questo romanzo, che ha soltanto dieci capitoli ma poteva averne pure trenta. Comunque, mi sembra che tutto quello che volevo dire, in questi dieci capitoli l’ho detto. Il libro tratta del periodo di guerra dal 1991 fino al 1994 descrivendo i destini della cosiddetta gente comune in quei tempi turbolenti, in questi “spazi” balcanici, cercando di “sottrarmi” alle ideologizzazioni politiche per quanto ciò sia possibile da queste parti.Ho narrato la storia dei miei piccoli “eroi”,di come sono stati travolti da una guerra le cui cause saranno chiarite da altri più competenti di me. Non so quando, forse presto o forse tra vent’anni (se vivrò), scriverò anche un terzo libro sul periodo post-bellico, ma non sono sicuro che, a parte Congedi balcanici, qualcos’altro verrà mai pubblicato.Vedremo. Ringrazio tutti coloro che sono stati il soggetto delle vicende di questo romanzo, soprattutto il mio amico Luka, senza il quale il capitolo 5. non sarebbe mai stato così com’è. E tutti coloro che ho conosciuto e che non ci sono più: riposino in pace ovunque siano stati sepolti… è solo grazie a loro che credo sinceramente nell’esistenza di un’altra vita, qualsiasi forma essa abbia, perché se la sono meritata. Per concludere, se qualcuno in questo romanzo trovasse parti di sé stesso, del suo passato o del passato di una persona a lui vicina, oppure se per qualsiasi ragione si immedesima in un personaggio, spero che ciò lo indurrà a procedere nella lettura e a riflettere su quello che è avvenuto in questa terra affinché quanto viene raccontato in queste pagine, se Dio vuole, non si ripeta.Almeno non durante la nostra vita e la vita di quelli che ci sono cari. Pola, agosto 2001 1 In quel 1991 una pioggia tetra e persistente inondava i vecchi tetti del centro storico di Pola: guardavo dalla finestra del mio attico cercando di intravedere nel crepuscolo serale qualcosa che mi scuotesse dal letargo, mi rivelasse un motivo per sperare. Inutilmente! Se mai uno può avere l’impressione che il tempo si fermi, una piovosa sera autunnale costituisce la situazione adatta,specie se si è soli. Avevo spento la televisione cercando in tal modo di non offendere quel poco di buon senso che mi era rimasto dopo quanto era successo negli ultimi anni, e, soprattutto, negli ultimi mesi. Come avrebbe potuto un uomo normale stare a vedere un serial umoristico straniero dopo le notizie dal fronte, un serial con personaggi e trame che non avevano niente a che vedere con quanto stava succedendo qui nei Balcani dove si parlava soltanto di guerra, odio, dolore, disgrazie e di tutto ciò che accompagna queste tremende parole? E poi, come concentrarsi sulla trama degli episodi, se proprio nell’istante più divertente (così almeno si deduceva dalle risate sovraregistrate), appariva sullo schermo la scritta che diceva pressappoco che era stato dato l’allarme aereo o quello generale per Karlovac, Gospic (mi scuso, per Gospic appariva una sola volta al giorno, poiché lì generalmente non cessava mai) e per altre città di questo bellissimo paese? In verità non era ancora stato annunciato lo stato di guerra, ma questo non era un ostacolo per la quotidiana distruzione di tutto e l’uccisione di tutti quelli che i “liberatori” riuscivano a prendere. Per fortuna, per chissà quale ragione, a Pola erano state risparmiate le distruzioni, probabilmente solo grazie alla divina Provvidenza (anche se, dopo questa guerra non dichiarata, si sarebbe fatto probabilmente avanti un certo numero di salvatori della città, perché se non ci fossero stati loro, naturalmente, non ci saremmo stati nemmeno noi, cioè la città…). Non fa niente, la lasciassero pur stare, non la distruggessero, e di coloro che poi avrebbero avuto medaglie al valore a nessuno sarebbe importato un giorno! Misi sul giradischi un vecchio disco dei Pink Floyd e mi versai un cognac. Francese simile al Napoleon ma meno costoso. In apparenza buono, ma vistoche non lo bevevo liscio, non potevo dare giudizi. Una notte ideale per riflettere sul passato. Naturalmente doveva essere per forza accompagnata dall’alcol, perché chi ancora nei Balcani poteva meditare del tutto sobrio sul proprio passato o, peggio, sul proprio futuro? Erano anni che avevo smesso di bere, per cui questo primo bicchierino ebbe l’effetto che una volta avrebbe avuto il quinto o il sesto.Avevo pure cambiato tipo di liquore, se mai si poteva dire che bevevo ancora, e quel bicchiere occasionale rappresentava in fondo un’offesa per la maggior parte degli maschi maggiorenni nati nei Balcani. Eh sì, una volta bevevo vodka, e in quantità considerevoli. Ora questo pregiato liquore non lo potevo neanche vedere, e nemmeno riuscivo a capire come lo avevo potuto bere in passato. Ma questa era soltanto una parte del problema che in maniera colloquiale si poteva intitolare: “Come fare i conti con il proprio passato nella sua parte ora, per chissà quale ragione, inaccettabile”. In nessun modo, perché il problema erano le ragioni presenti, e non quelle del passato. Era quindi del tutto utopico che si potessero capire quelle degli altri. Eh, sì! Non appena mi trovo in questo stato d’animo, incomincio a dedicarmi all’inutile filosofia della quotidianità, la quale è infeconda all’incirca come la maggioranza dei miei rapporti con le donne. Donne! Era la prima volta che mi venivano in mente quella sera. Iniziava bene con loro, ma finiva ancor prima. Ne parlerò in seguito. In guerra le donne si trovano in secondo piano, no?! Non tutto il male vien per nuocere (e prova a resistere al maschilismo quando hai per scusa la guerra, seppure non dichiarata…). Uomini! Amici! Prima linea di difesa! Dio mio, dove sono adesso tutti quanti: uomini meravigliosi, pronti al sacrificio, corrotti, ipocriti? Ne ho incontrati di tutti i tipi durante gli anni trascorsi nella divisa della Marina Militare Iugoslava, e anche dopo: l’anno scorso ho abbandonato la MMI e sono finalmente diventato un “borghese”. Alcuni sono morti, in verità parecchi, ma costoro sono arrivati al capolinea prima della guerra, senza onorificenze. Con Toni avevo diviso la prima gioventù e trascorso molte notti insonni. Dopo una di quelle non si era più svegliato: troppa droga per un corpo esausto. La lettera d’addio la leggo regolarmente una volta all’anno,nell’anniversario della sua morte,naturalmente dopo essermi ubriacato per bene e dando libero sfogo alle lacrime tra le mie quattro mura, senza testimoni. Ogni anno. Con il passare del tempo, piango sempre di più e penso sempre di meno a Toni. L’unica costante è la sbornia per l’occasione. Aca, per l’anagrafe Aleksandar, mio amico (io sono stato suo testimone al matrimonio), è un sottufficiale della MMI o come diavolo adesso si chiama la marina. Il suo cuore è grande come la sua nativa Voivodina, ed è l’unica persona a me nota che accetta tutti i mali di questo mondo con una noncuranza buddista perché, come dice lui, cazzo, doveva succedere, cosa ci vuoi fare, andiamo avanti. Di essere stato suo testimone non è poi cosa di cui vantarsi, perché ha divorziato subito, ma siamo restati comunque amici. D’altronde, a suo dire, io ero il testimone da parte sua e non di lei, quindi il fatto del divorzio era senza significato per lo sviluppo ulteriore del nostro legame. Non lo sento da giorni, mesi: è rinchiuso in caserma e non gli è permesso di uscirne fino alla partenza delle navi per il Montenegro. Non può nemmeno telefonare. Niente! Boris, figlio di un serbo e di una croata, nato a Belgrado, non avendo dichiarato la sua nazionalità è forestiero dappertutto. È a Pola da appena tre anni, in base a un contratto a tempo determinato introdotto nell’ormai ex esercito prima del disfacimento del Paese come tentativo di riorganizzazione e modernizzazione, anche se il vero motivo era il fatto che non c’erano abbastanza candidati per le scuole militari: mancavano i pazzi o i ragazzi bisognosi pronti all’educazione militare, cioè gli indossatori di divisa a vita. I genitori divorziati, lui abbandonato a sé stesso, trova la salvezza nell’esercito. Almeno temporaneamente. Niente di originale, però efficace, come direbbe il nostronuovo presidente Franjica. Era naturale che loro si aggrappassero sempre a me. Per le più svariate ragioni, s’intende! Dino, da qualche parte in Slovenia, insegna sociologia. Ha cambiato la divisa con la cattedra. Non sono sicuro che la sua sia stata una buona scelta, ma chi vuoi che capisca gli sloveni? Sono troppo vicini al confine austriaco, e lassù la grande anima slava patisce gli influssi germanici. Ma poi, se considero le donne slovene, mi pare quasi che esse non siano troppo diverse da noi, per cui in media sono accettabili.Almeno quelli che io ho conosciuto. Rrrrring! Il telefono. Chi ha inventato sto maledetto apparecchio che, appena compi la trentina, squilla di regola quando ti dà più fastidio? Mi dovrò procurare un telefono più silenzioso, perché quello che ho, Dio ne scampi, potrebbe servire da sirena d’allarme per l’intero quartiere, anche se in questa parte della città vecchia non puoi più allarmare neppure i ratti se per caso li calpesti sulle scale alle prime ore del mattina, quando la maggioranza dei rispettabilissimi abitanti del quartiere cerca di infilare il proprio portone. - Sì? - sussuro appena al telefono. - Qui Sima. Robi, sei tu? - Sima, chi? - Sima, scemo, dei Servizi, che cazzo c’hai, che non me riconosci? - Ah, sei tu. Ma dove sei, Simke, sei vivo? - Non sfotterme. Senti, devo dirte qualcosa de molto serio. Come amico. Semo ancora amici o hai cambiato partito anche te? - Cazzo, Simke, qual è secondo te il partito giusto? - Dai Robi, tu sei un omo normale. Un po’ matto, ma onesto e me dispiacerebbe che finisci male. Per questo te chiamo. Qua se stanno a inventà qualcosa: gli dai molto sui coglioni perché procuri le carte a sti tuoi croati che fuggono dall’esercito, li inciti e così via. Be’, cazzo, lo facevi anche st’estate e lo sapemo, ma ora che dobbiamo andarcene scoglionano: sarà che t’hanno visto in televisione, in una cerimonia dove se suonava l’inno croato, e tu là impalato, e tutto il resto. Insomma, te volevo avvisà di stare attento nei prossimi giorni. Cazzo, avemo bevuto un mare insieme e non sarebbe stato giusto che non te l’avessi detto. - Eh, Simke, Simke! Cazzo, cosa vuoi che ti dica. Grazie! Ai tuoi idioti puoi dire che abbiamo avuto lo stesso addestramento negli stessi poligoni, per cui se vogliono venire, lo facciano pure. Lo sai come dicono dalle mie parti, in Dalmazia: “Nessuno ti può uccidere due volte!” Tu sai che sono un tipo socievole, perciò non ho intenzione di andarmene in cielo da solo: dunque vengano pure. E chi se ne frega di loro… dimmi, invece, tu come stai? - De merda! Moglie e bambini sono andati a farsi fottere, con la nave in Montenegro, con tutti i mobili, non ho idea di dove sono. Se sopravvivono, e mia moglie ci riesce di sicuro, arriveranno in qualche modo a Pozarevac, dai miei, e dopo sarà quel che sarà. Son già rimasto senza mobili. Te conosci quell’asino di Mirko, quello delle navi ausiliari. Lo conosci, naturalmente. Ecco vedi, lui era imbarcato sulla loro stessa nave e vicino all’isola di Lissa, giusto in mezzo all’Adriatico, gli viene un esaurimento nervoso e prima che riescono a impacchettarlo butta metà dei mobili in mare. Appena vede Lissa capisce che sta a lascià per sempre la Croazia e l’omo parte de testa. Naturalmente, se sottintende che in sta metà de mobili buttati a mare c’erano anche i miei. E bene ha fatto. No capisco molto de ciò che succede oggi. Difatti no capisco niente, ma lui lo capisco. - E tu! Tu che farai? - Be’, cerco de infilarme tra le scartoffie da qualche parte, sai, de diventare scribacchino, per evitare sta guerra de merda, e se ce riesco, bene. Se no, cazzo. Non ce sarò riuscito. - E da dove mi chiami ora? Non sarai mica al comando! - Sei matto! Dall’appartamento de un amico che è già partito per la Serbia, e a me me ha lasciato la chiave. No so che cazzo farmene, mah. Nel mio appartamento non posso farme vedé. Sai, noi dei Servizi ce la svigneremo fra qualche ora. Adesso sono arrivati i parà da Nis, per difenderci, si fa per dire, dagli ustascia e non lasciano uscire più nessuno. Matti, merda, affanculo. Te ammazzano come una lepre. E dopo che te hanno fatto la pelle, te dichiarano disertore. Te mettono in una bara, te spediscono in Serbia e te interrano con tutti gli onori. Ce capisci qualcosa? Semo un popolo de svitati. - Simke, ti ringrazio nuovamente: torna in caserma. Non vorrei averti sulla coscienza. - Ehi, un attimo che te domando ancora una cosa. Cos’era quella cerimonia con l’inno quando eri in televisione! - Niente. Organizziamo il corpo degli ufficiali. - Cosa! - Il corpo degli ufficiali. - Che vuoi dire? - Be’, è qualcosa di simile all’ex Unione combattenti della guerra di liberazione, non lo so esattamente. Unione degli ufficiali. Dei graduati. Di tutte le provenienze: miliziani, ustascia, partigiani, legionari francesi fino a noi dell’Esercito Popolare Iugoslavo. Ce ne sono di tutti i colori. La media degli anni è sulla sessantina, nisba giovani. Parlando della media, puoi entrarne a far parte anche tu, se vuoi. - Io? Come io! - Facile. Dici che te ne sbatti della Iugoslavia, che in cuor tuo ti sentivi da sempre croato, ma che te ne sei reso conto soltanto adesso. Un po’ tardi, ma cazzo, meglio tardi che mai. Oppure puoi rimanere serbo se proprio insisti, ma che consideri la Croazia come tua patria, perché in Serbia non hai nessuno, eccetto la moglie, i figli e il resto della famiglia che ormai hanno rinunciato a te, il che come minimo c’era da aspettarselo da loro. Soltanto non devi dichiararti iugoslavo. Comunque devi dichiarare la tua appartenenza: non dichiararsi, di questi tempi, è rischioso. E naturalmente, occorrendo, dovrai dichiararti disponibile a sacrificare la vita per… - Non sacrifico un cazzo per nessuno! - Ma uomo benedetto, ragiona! Oggigiorno non puoi dichiararti né serbo né croato,se non sei disposto a sacrificare almeno la vita,quindi che differenza fa? In un modo o nell’altro, se Dio vuole, perderai la tua testa bacata da qualche parte, e almeno non dovrai andare lontano. Spese minori. - Sai cosa? Quando ce penso meglio, voi croati siete veramente matti. Voi dalmati soprattutto. Tu specialmente. - Senti chi parla.Appartenete alla nazione più ragionevole del pianeta e dei dintorni. Tra l’altro, per quel che riguarda la trasmissione televisiva, non sapevo nemmeno che stessero riprendendo, finché quella sera non mi sono visto nel telegiornale della sera. Perdio, le ginocchia mi tremavano quando mi sono riconosciuto, così impalato. Lo sapevo io che i tuoi compari si sarebbero subito interessati della mia salute, perciò da giorni dormo con la pistola sotto il cuscino. - Buon modo per iniziare la guerra di liberazione. E perché tenete la mano sul cuore quando suona l’inno? - Non ne ho idea, così come ancora oggi non so a che cosa serviva la metà delle stronzate che facevo in marina. - Questo è vero. Senti vecchio, cosa vuoi che te dico. Tieni duro, scappa il più lontano possibile dal campo de battaglia. Non lasciare che te rifilano qualche fottuto grado, sei finito. Il fronte non te lo toglie nessuno. Sei addestrato per ogni cazzo, così sai che sei fottuto. Eh, sì! Senti, strappo il tuo dossier personale e anche quelli di chi sa qualcosa de te: sàlvati come sai e puoi. In fin dei conti tu sei borghese da un pezzo, forse te lasceranno in pace. Vecchio, non mollare. Potrei parlare con te per ore, ma devo andare. Non so, in qualche modo me sento più leggero dopo questo discorso. Almeno qualcosa non è cambiata, te sei sempre uguale. Ma sai cosa, chi se ne fotte, era bello finché è durata. Me ne vado fra qualche giorno, e se non ce sentiamo più, lo faremo in una altra vita. - Non c’è problema, vecchio. Per noi, nati nei Balcani, la seconda vita è una garanzia, perché la prima non conta un cazzo.Annullata in anticipo. In gamba! - Ehi, ehi! Quando menzioni i Balcani, sento che i tuoi compatrioti al potere dicono che la Croazia non è nei Balcani. Dov’è allora, perdio? - Eh, Simke mio, il tuo problema è di doppia natura. In primo luogo sei agente dei Servizi, e per la natura del lavoro che svolgi certe cose non devi capirle, e poi sei serbo, e dunque certe cose non puoi naturalmente capirle. Questa è la sottile differenza tra politica e geografia, che tu forse capirai nell’altra vita. Soltanto non provare a chiedermi, se certe cose le ho capite. - Ha, ha! Non te lo chiedo, e non sono sicuro che la capirò in una qualsiasi vita. Dimmi Robi, te credi in Dio? Penso a quello dell’altra vita. - Dai, uomo, rilassati e svignatela in caserma. Che vergogna che sei per l’intero movimento comunista! Il povero Jozo si rivolterebbe nella tomba a Dedinje. E dove sono finiti gli ideali? - Sbattitene degli ideali, vedi a cosa ci hanno portato. Chi ancora nei Balcani può realizzare qualche ideale? Da ste parti durano solo dall’oggi al domani, ma per sempre, no, fratellino! Qualche volta questo “dall’oggi al domani” dura anche quaranta anni, ma poi va tutto a farsi fottere. Ma, tu credi in Dio,oppure no? Te lo chiedo seriamente! - Vecchio mio, ovviamente l’avrai capito pure tu, anche se sei dei Servizi e per di più serbo, che in guerra non ci sono miscredenti. - Me lo immaginavo. Ora devo scappare, veramente.Addio, vecchio mio. - Addio! La linea si interruppe. Rimisi la cornetta a posto e la fissai ottusamente. Un altro che se ne stava andando dalla mia vita. Con dignità, almeno nei miei confronti. E nei confronti degli altri? Chi sono io per giudicare? E mi ha detto che non ero cambiato. Dio mio! Non era consapevole di quanto fossimo cambiati tutti o come tutto attorno a noi fosse cambiato. Come si può rimanere gli stessi quando tutto cambia attorno a te? All’esterno seguiti a fingere di essere “te stesso”, come d’altronde hai sempre fatto: adegui solo le smorfie e il vocabolario alle nuove circostanze, dipingi un po’ la facciata per armonizzarla alle tinte di moda: tutto qui. Sempre uguale! Come uguale?! Come ero prima, e come sono adesso? È incredibile come ci conosciamo poco, come trascorriamo anni ed anni con qualcuno di cui realmente non sappiamo nulla. Per un attimo cercai ancora di convincermi che nessuno in fondo cambia: tutto ciò che ci sorprende, tutto ciò che non ci aspettavamo, esiste in noi e negli altri da sempre, ma chi sa per quale ragione fino ad allora non l’avevamo notato. Non lo facevano notare, non lo sapevamo riconoscere, non c’interessava, fa lo stesso. In un modo o nell’altro, alla fine risulta che non sappiamo niente di nessuno.A partire da noi stessi. Nel contesto balcanico, poi, è veramente difficile distinguere fra un cambiamento della persona o un mero adattamento alle circostanze in cui essa si vien a trovare, spesso indipendentemente dalla propria volontà: ognuno di noi non fa altro che ingegnarsi come sa e può, senza regole di comportamento predefinite, con l’unico scopo di sopravvivere fino all’indomani. E l’indomani ci si sarebbe risvegliati (se ci si risvegliava) là dove si era, con tutti quegli immani condizionamenti sociali a limitare il nostro destino,condizionamenti sui quali, naturalmente, non si poteva in nessun modo influire. O ci si adattava oppure no. Mi pare che la più adattabile specie vivente dei Balcani sia appunto l’uomo, a condizione che sia nato e cresciuto lì. Gli altri appartenenti alla razza umana non si sono mai e mai si adatteranno ai Balcani, e tanto meno capiranno la sua gente, da qualsiasi parte essi provengano: non possono capire la forza delle nostre numerose verità storiche, degli ancora più numerosi miti viventi e degli inganni attuali che ormai nessuno conta più. Il tutto poi si intreccia in una matassa così ingarbugliata che è difficile sbrogliarla. Anzi, impossibile. A noi che siamo nati qui (volenti o nolenti) pare che tutto sia chiaro fin dalle origini del mondo, e se un giorno succede qualcosa che non avremmo mai pensato potesse succedere, tutto il ciclo dei ragionamenti riprende dall’inizio. E come potrebbe essere altrimenti quando nella prima parte della tua vita vivi una verità, nella seconda parte un mito, nella terza parte il terzo inganno e così ti passa la vita? Con un inno nasci, con il secondo vivi e solo Dio sa con quale morirai. E fratutti gli innumerevoli e promettenti geni internazionali che circolano in questi giorni per i Balcani e c’insegnano che non è proprio da democratici sgozzare il primo vicino che si incontra (non è nostra la colpa se gli altri sono lontani e non vogliono combattere contro di noi) trovane uno che ci possa capire! Quando arriverà la cuccagna, come dice Miki. In tutti i Balcani non puoi trovare due persone che la pensino più o meno allo stesso modo. Non ha importanza a che nazione appartengano. In mancanza di un’idea comune la guerra è soltanto un altro modo di condurre la politica. Cazzo, mi sono lasciato andare. Per come stanno le cose, stanotte, per cambiare, potrei veramente ubriacarmi, ascoltare i vecchi dischi e ripensare ai tempi in cui con tutto ciò non mi rompevo la testa. Quando pensavo alle cose alle quali pensa anche il resto del mondo che non è in guerra: alle donne, agli amori, ai divertimenti, alle compagnie, alle amicizie che sembravano eterne come la gioventù in cui nascevano. Era già passata la mezzanotte quando constatai di aver bevuto quasi la metà del cognac che mi aveva dato alla testa per bene. Quando iniziai ad ascoltare i dischi di musica croata, mi resi conto che sarebbe arrivata la crisi. Non li ascolto nello stato, per cosi dire,“normale”. E quando li ascolto, incomincio con Oliver, poi con vari altri cantautori dalmati, e dopo qualche ora termino con le canzoni folk. Li ascolto con le cuffie, naturalmente, dato che oggi qualche individuo illuminato potrebbe passare vicino al tuo appartamento, sentire la musica e mettersi a sparare. Me ne sbatto della musica con l’accompagnamento di effetti esplosivi nelle immediate vicinanze. Mi tolsi le cuffie per cambiare il disco, quando sentii il campanello. Chissà da quanto suona, pensai, perché mentre avevo le cuffie in testa, potevano bombardare mezza Pola e io non avrei sentito niente, tanto il volume della musica era alto. Driiinnnn. Devo confessare che il mio campanello ha un tono particolarmente irritante a causa della sua mutazione da un suono normale a questo gorgoglio, che poi è la conseguenza delle mie non troppo coscienti attività d’un tempo. Almeno, per quel che mi ricordo. Infatti, anni or sono, in uno sfogo di passione, lo avevo fatto a pezzi con un colpo accidentale. L’indomani, finite la furia e la sbornia, avevo cercato di ricomporre i pezzi che avevo raccolto per casa. Da allora, ricomposto a metà, si sforza di suonare (se questo rumore si può definire con questo verbo) ricordandomi ogni volta di essere in punto di morte e che quello sarebbe stato uno dei suoi ultimi tentativi di spiegarmi che non era sua la colpa di quel colpo sventurato e ancor meno di tutto ciò che lo precedette. Per qualche ragione inspiegabile continuo ad ascoltarlo senza far niente, anche se da molto tempo ho comprato un campanello nuovo che aspetta solo di essere montato. Non posso. Sto aspettando che quello rotto tiri le cuoia in pace con il Signore, forse perché la coscienza mi bruci di meno. Ma non può. So che non può. Andai velocemente in camera a prendere la pistola, misi il colpo in canna e m’avviai verso la porta. Mi misi di lato e chiesi chi fosse. - Sono Aca, fottiti, dai apri! Sto suonando da mezz’ora. Sei sordo! - Aca, sei proprio tu? - No, il mio povero nonno.Apri sta porta una buona volta! Un milione di pensieri mi passarono in un baleno per la testa, già alquanto rimbombante per il bere e la musica troppo forte (se metto le cuffie, perché non alzare il volume al massimo?). Da dove sbuca Aca, adesso, nel cuore della notte? Che non l’abbiano torchiato, che non ci sia qualcun altro con lui, che non stiano tentando di fregarmi? E se gli chiedessi se è solo… Cazzo, come posso chiedere ad Aca se è solo! Se è venuto per farmi… Se non posso credere a lui, a chi posso credere? Però, come mai è venuto proprio adesso: è da mesi che non lo sento?! Mah, chi se ne frega, se devono proprio farmi la pelle, allora che succeda in modo poetico, lo faccia l’amico con cui ho trascorso metà della vita. Ero veramente fuori di testa. Apro una delle due serrature della porta, quella vecchia, poi passo alla seconda, di sicurezza, che avevo aggiunto un paio di mesi prima, dietro suggerimento di alcuni amici. Questa serratura è così complicata che per aprirla mi ci sono voluti tre o quattro tentativi e già un paio di volte, di mattina presto, snervato per ragioni comprensibili a quell’ora, avevo preso la pistola. Non l’ho fatto ancora, ma grazie a Dio, c’è tempo, mi libererò di quella serratura. Finalmente riuscii ad aprire la porta. Davanti alla porta c’erano Aca e Boris, ambedue inzuppati dalla pioggia, e mi guardavano come…non so come esprimermi senza che ciò risulti schifosamente patetico. Bisogna sottolineare che nel buio e a una decina di metri di distanza è difficile distinguere Aca da un grosso orso di Lika, la selvaggia regione dei suoi genitori, trasferitisi dopo la seconda guerra mondiale in Voivodina. Aca letteralmente schizzò attraverso la porta, mi si butto addosso, mi abbracciò stretto (qui diventa significativa la comparazione con l’orso) e mi diede una manata sulle spalle. Boris se ne stava in disparte e aspettava. Lui è più piccolo, con le sue effusioni me la sarei cavata più facilmente, pensai, solo che mi tolga sto mammouth di dosso. Poi ripetei la stessa cerimonia con Boris. - Ma dove sei stato, compare, va’ a farti fottere! - tuonò Aca con la sua voce da baritono. - Sono stato qui, amico, come sempre. Dove sei stato tu? Sono mesi che cerco di contattarti. Ma sei davvero vivo? - Vivo, cazzo, eccome. Non puoi disfarti semplicemente di me. Cos’hai sulla porta, accidenti a te - mi chiese guardando sorpreso le stanghe della serratura “di sicurezza”. - Cazzo, hai trasformato l’appartamento in una fortezza.Ah, ah, ah! Questa è bella. Anche se viene qualcuno a farti fuori, prima che tu apra tutto sto arnese, desisterà. Chi avrebbe la pazienza di aspettare? Chi te l’ha rifilata? - Vedo che tutto l’alcol che hai ingerito non ha danneggiato del tutto il tuo spirito d’osservazione - dissi ridendo. - Giacché si parla di bere, cos’hai da offrire al tuo compare? - chiese lui. - Sono a secco come un deserto, e lo sai che in questo stato non tutti i tasselli sono al loro posto. - Cognac, sul tavolo. - Ehilà, fratellino, facciamo i francesi! Questo mi suona bene. Aca andò in cucina,prese due bicchieri,per sé e Boris,e ritornò al tavolo.Di nascosto depositai la pistola nel cassetto del comò vicino alla porta, perché non la vedessero e andai verso il tavolo. Boris se ne stava ancora silenzioso in piedi, in disparte. Era pallido in modo innaturale e sembrava sul punto di piangere. - Che cos’hai, perché stai lì impalato? - gli chiesi. - Niente - disse lui. - Cazzo, quasi ci hanno fatto fuori mentre fuggivamo oltre il muro di cinta della caserma - disse Aca. - Quei pazzi di parà. Il piccolo se l’è quasi fatta addosso dalla paura. - Io me la sarei fatta addosso! - sbuffò Boris e finalmente si sedette pure lui al tavolo, mentre Aca aveva già svuotato un bicchiere. - Sei tu che ululavi sul muro come una bestia, e non io. Cazzo, ti avrebbero sentito fino all’Arena, tanto urlavi, e come pensavi che non ti avrebbero sentito quegli scemi al cancello, un centinaio di metri più in là? - Certo, idiota, quando le palle mi si sono impigliate nel filo spinato, e tu dall’altra parte mi tiravi per la gamba come un forsennato - contraccambiò Aca.- Pensa, compare, che tragedia alla serba. Io pendo dal filo con il coglione sinistro mezzo bucato mentre i fratelli serbi mi sparano, e tutto ciò per venire da te, mentre questo cretino di iugoslavo mi tira per la gamba, e tira e ritira. E mi grida di scendere giù, come se per me restare appeso al filo spinato fino alla fine dei miei giorni fosse il massimo dei desideri. E come potevo scendere finché non mi staccavo dal filo? E come potevo staccarmi con questo scemo che mi tirava per la gamba? È così che io, dal profondo del mio animo, urlo a questo cretino che è un figlio di puttana e manda affanculo lui e il resto della sua famiglia, il che è umano, credo, in simili circostanze: gli grido di lasciarmi la gamba, ma lui se ne frega. Tira come un asino. - E come diavolo finisce questa tragedia alla serba? - chiesi. - Bene - risponde Aca. - I pantaloni strappati, mezza gamba stagliuzzata, una marea di sangue e il coglione non l’ho ancora esaminato. Forse c’è ne rimasto qualcosa. Dalla caserma fino a qui ho camminato in modo da non irritarlo. - Ci mancava poco e ci avrebbero fatto secchi per la tua trentina di chili in più - gli rinfacciò con un po’ di cattiveria Boris che pure aveva già bevuto il primo bicchiere e se ne stava versando un altro. - E per quanto riguarda il tuo modo di camminare, grazie alla tua eleganza congenita, non ho notato una grande differenza. - Tu, statti zitto. Di te ne ho pieno il cazzo in questi mesi - borbottò Aca. - Bene, fammi vedere cosa hai lasciato sul filo e cosa ti sei portato dietro - dissi ad Aca. NOTA BIOGRAFICA: DRAŽAN GUNJAČA L'autore è nato il 7 ottobre 1958 a Sinj (Croazia) dove termina la scuola d'obbligo. Conclusa l’istruzione militare a Spalato, serve per una decina di anni nell’ex marina militare jugoslava. Nel frattempo si laurea in Giurisprudenza a Fiume, dopo di che abbandona l'ex armata Jugoslava. Da più di dieci anni è un avvocato di successo a Pola. Bibliografia: * CONGEDI BALCANICI - romanzo, la parte centrale della trilogia di romanzi omonima. Finora pubblicato in Germania, negli USA, in Italia, Australia, Bosnia and Herzegovina, Serbia. * LA ROULETTE BALCANICA - dramma, pubblicato finora in Italia, Germania, Serbia e in USA. * A MEZZA STRADA FINO AL CIELO , romanzo, prima parte della trilogia I Congedi Balcanici. * AMORE COME PENA, romanzo, terza parte della trilogia I Congedi Balcanici. * CREPUSCOLO DELLA RAGIONE , dramma, pubblicato finora in Italia. * BUONA NOTTE, AMICI MIEI, romanzo, pubblicato finora in Italia * I SOGNI NON HANNO PREZZO, romanzo * QUANDO NON CI SARO' PIU', raccolta di poesie * TUTTI GLI UOMINI SONO FRATELLI, raccolta di racconti, pubblicato finora in Italia * ACQUERELLO BALCANICO, dramma, pubblicato finora in Serbia. * LO STUPRO DELLA RAGIONE, romanzo, pubblicato finora in Italia * SETTE GIORNI DI SOLITUDINE, romanzo, pubblicato finora in Italia * ANCHE IL CIELO E' PER GLI UOMINI, romanzo * IL CIELO SOPRA LA DALMAZIA, romanzo