Corso di Letteratura italiana F (Prof.ssa L. Nay) Le dispense e le
Transcript
Corso di Letteratura italiana F (Prof.ssa L. Nay) Le dispense e le
Corso di Letteratura italiana F (Prof.ssa L. Nay) Le dispense e le parti da studiare sul manuale si troveranno nella copisteria di Via Roero Di Cortanze (dietro Palazzo Nuovo). Il manuale consigliato è il Segre-Martignoni. LEZIONE 1 (18/11/2013) Su Foscolo possediamo una bibliografia critica molto ampia. Le Ultime lettere di Jacopo Ortis non sono da considerarsi come un romanzo ex abrupto, ma come il coronamento del percorso letterario di Foscolo, fatto di tanti noviziati letterari. Foscolo, oltre ad essere un letterato molto precoce, è stato un autore a 360 gradi: le sue opere comprendono poesia, prosa e tragedia. Egli ha avuto, grazie all'istituzione scolastica, una formazione tradizionale, ma vi ha aggiunto un fitto autodidattismo. Cultura classica e cultura moderna coesistono perciò in lui. Per questi motivi il suo percorso, la sua personalità letteraria e quella reale possono essere definite come un ossimoro: egli infatti non è mai lineare e né dev'essere inteso come tale. Foscolo è un letterato: molto precoce. che spazia tra tutti i generi letterari. che, nonostante frequenti diverse scuole, si forma soprattutto da autodidatta. moderno (che fa propria la classicità, ma la supera). contraddittorio. isolato (esule come condizione esistenziale: ha un rapporto conflittuale con gli altri letterati) civile (impegnato politicamente) con Foscolo viene meno l’idea del letterato staccato dalla vita lettera a Giambattista Giovio (19 ottobre 1813): dice che non si sente cittadino del mondo, perché per lui la patria è condizione essenziale (“se io non ho patria, l’anima mia cade avvilita”) non si tratta comunque di una patria che conforta le Ultime lettere di Jacopo Ortis hanno sia una dimensione amorosa che una dimensione patriottica. Ha un rapporto contrastante con i contemporanei: in generale i rapporti personali con i letterati sono rari e tormentati. Egli è un esule sia realmente, sia intellettualmente, ricercando e scegliendo continuamente di essere altro dall'ambiente in cui vive. È molto cosciente delle proprie capacità e dei mezzi che ha a disposizione. Studiando Foscolo, è bene tenere sempre a mente il concetto di IMPEGNO CIVILE: con lui, viene meno l'idea di un letterato lontano dal flusso storico, essendo per lui l'attività letteraria in primo luogo un impegno civile. Le Ultime lettere devono essere lette secondo una doppia prospettiva: quella amorosa (si situa qui il confronto tra Foscolo e Richardson) e quella patrottica. CONCETTO DI PATRIA ---> Lettera del 1813 a Gianbattista Giovio (Epistole, IV vol.): 1. Forte identificazione con il concetto di patria: essa è uno spazio definito, con limiti geografici definiti, che l'autore sente dentro di sé come propria attraverso la riflessione, la passione e l'esperienza. 2. «Altro me dentro»: tendenza forte all'auto-riflessione, l'autore si sente sfaccettato (richiamo alfieriano). 3. «Se io non ho patria l'anima mia cade avvilita», confronto con il suicidio di Jacopo: patria come condizione essenziale dell'uomo. 4. «Cara e misera Italia» la patria non è un luogo qualunque, ma l'Italia (siamo a fine '700!). Il modello alfieriano: rappresenta in generale il modello dell’atteggiamento storico-politico che si deve tenere in quegli anni sia Alfieri sia Foscolo hanno proceduto alla costruzione del mito di sé, ma il primo lo fa post rem (autobiografia tradizionale), mentre il secondo lo fa in rem (non è né un’autobiografia, né un diario, ma la costruzione di un’immagine di sé da usare nell’agire immediato) l’autobiografia tradizionale serve a raccogliere e rielaborare una vita: il lettore si trova un prodotto letterario determinato, che corrisponde all’interpretazione che l’autore ha dato della propria vita invece Foscolo si maschera (assume una determinata immagine) e sfida il lettore a conoscerlo e a dare un’interpretazione della sua vita, ma, quando al lettore sembra di cogliere questa immagine, essa muta Il modello alfieriano è importantissimo per tutta la generazione coeva (e per quelle precedenti) a Foscolo, Alfieri è visto come pater patriae. Per Foscolo esso è ancora più importante, in quanto, sebbene con modalità diverse, entrambi compiono una mitografia e una eroicizzazione di sé. Alfieri la compie post rem, perché è completamente consapevole delle proprie qualità letterarie e attende la vecchiaia per lasciare un'immagine di sé personaggio. Foscolo compie la stessa operazione, ma lo fa in re: egli non attende cioè di vivere la propria vita per riprenderla dopo, ma vive e scrive contemporaneamente; la sua è una autobiografia giorno per giorno e la testimonianza gli serve per entrare nell'immediato nella vita. Per questo è definibile come un INTELLETTUALE MILITANTE. Permane comunque anche la dimensione della posterità. Il “fermarsi e guardarsi alle spalle” alfieriano (e casanoviano), che è soprattutto un raccogliere le memorie, ordinarle consapevolmente e finalizzarle a creare una immagine costruita di sé, deve essere letto con la consapevolezza critica che l'autore ha voluto far passare la propria interpretazione di sé, praticando omissioni e modifiche. Foscolo invece crea con il lettore (è consapevole che vi è un referente) un rapporto aperto e sfaccettato. Il lettore sarà infatti libero di creare da sé l'immagine dell'autore, ma si accorgerà dell'inutilità di tale operazione in quanto Foscolo è molto bravo a dissimulare. Il lettore di Foscolo: non è passivo (deve interpretare l’immagine di Foscolo). non è generico, bensì deve poter condividere quello che prova l’autore ed esprimere un giudizio che va incontro alle aspettative dell’autore (Palumbo). è una persona amica (Fubini) in un contesto di intimità, che legittimi la presenza all’interno della stessa opera di registri contenutistici e stilistici estremamente diversi (aneddoto, riflessione grave, politica, amorosa) scrittura a continui strappi (continui cambi di registro e tono). QUESTIONE DELLA MASCHERA DEL LETTERATO: Foscolo si maschera perché vuole mascherarsi, ha una personalità sfaccettata e non tende a raccogliere (come Alfieri e Casanova) tutti i pezzi per poi rimetterli insieme. Si “romanzizza”, gioca attribuendosi una parte e attribuendone una all'interlocutore (a volte si firma Jacopo Ortis o una volta anche Ugo Chisciotte, nelle epistole). È un grandissimo epistolografo e le se lettere hanno lo scopo di raffigurare se stesso come un personaggio letterario più che di spiegare la sua persona. V. Kaufman ha parlato di EQUIVOCO EPISTOLARE: la distanza, seppur sofferta, va mantenuta, se non altro per il compiacimento della scrittura, che altrimenti svanirebbe perché non sarebbe necessaria (es. di Proust e di Kafka). Foscolo è un grande epistolografo: non intende le sue lettere come funzionali, bensì come opere letterarie, che hanno lo scopo di raffigurare se stesso al destinatario. Foscolo è cioè uno scrittore in forma epistolografica, la lettera diventa cioè per lui un mezzo letterario. Nelle lettere egli spesso immerge se stesso e il destinatario in un gioco letterario fatto di ruoli, soprattutto nelle epistole indirizzate alle molte donne di cui è stato amante (cfr lettera alla Arese), in cui c'è un continuo passaggio tra sé, Jacopo e altri personaggio (Werther, ) e tra la vita reale e la letteratura: a volte egli si identifica con altri personaggi (in una occasione si firma come “Ugo Chisciotte). L'uso delle epistole è eminentemente letterario, esse fungono cioè spesso da alimento del testo letterario. Foscolo imposta le sue epistole su due piani: uno più utilitario e l'altro più inventivo. Da una parte avremo perciò la fantasia letteraria, dall'altra la scelta aprioristica di selezionare i temi, saggiarli, variarli e declinarli con cura, accumulando strategicamente materiale non solo per utilizzarli nelle lettere o nella produzione scritta in genere, ma anche nella vita reale. => ROVESCIAMENTO CONTINUO tra vita reale e letteratura. Volontà di fare della vita un romanzo: in alcune lettere reali si firma Jacopo Ortis paragona persone esistenti a personaggi letterari si identifica in Jacopo, in Werther o in altri personaggi nelle sue lettere reali ci sono due modalità, una utilitaria e una inventiva: quest’ultima è costituita da fantasie di tipo letterario variate in più modi e accumulate come materiale rifinito o grezzo, in previsione di ogni opera letteraria che stia scrivendo in quel momento queste fantasie servono anche a provocare una reazione nella donna corrispondente, che non è passiva, bensì risponde e interagisce La lettera è notoriamente uno spazio letterario breve e come tale ha spesso uno stile molto diverso da quello dei generi più lunghi (romanzo in primis). La modalità epistolare influenza fortemente la struttura del romanzo foscoliano e viceversa: le Ultime lettere sono infatti viste da alcuni come compimento finale dell'epistolario. Foscolo costruisce per sé l'immagine del letterato moderno, impegnato e presente come personaggio, chiamando fortemente in causa il lettore. Cfr Palumbo → Foscolo materializza il proprio modello di lettore creandosi un pubblico di lettori in grado di “compatire” (capire e condividere il suo dolore), ma non per cercare gradimento e consenso in essi, bensì per renderli in grado di esprimere un giudizio che rispetti le proprie aspettative. Anche il lettore, nello stare al gioco, deve impersonare un ruolo, come dice Fubini, egli dev'essere “amico”, collaborativo e ammiccante, che gli permetta di entrare in un'intimità tale da legittimare a quel punto l'uso di registri espressivi, contenutistici, tonali e stilistici tra loro diversissimi (prosa, poesia, continui cambi dall'ambito contenutistico-il significato- a quello stilistico-il significanteecc.) all'interno della stessa opera. Foscolo pratica una scrittura del sé in forma di autoritratto, usando sia versi sia prosa. Crea cioè un modello simile a quello del Laocoonte di Lessing, che segna la caduta della dicotomia tra arti figurative e arti espressive in epoca romantica. Secondo questa visione non più dicotomica, le arti figurative non sono più antagoniste, ma osmotiche con quelle espressive. Cfr Kunstelroman del fratelli Schlegel o di Goethe. Foscolo è un ritrattista: autoritratto sia in prosa che in versi scrittura romantica: il Romanticismo supera l’idea di Lessing, secondo cui le arti figurative e le arti letterarie sono in contrasto tra loro, e fonda il concetto di un’arte universale, una transizione tra le varie arti (il primo ad applicarlo è proprio Goethe, modello di Foscolo) tre modalità di usare il ritratto: 1) come oggetto sulla scena narrativa appare un ritratto che viene descritto oppure una scena viene narrata secondo un gusto pittorico 2) interiore proiezione da parte del personaggio di un’immagine di sé sognata o immaginata 3) di parole descrizione di sé, per suggerire qualcosa di sé che vuole si sappia: in Foscolo il ritratto ha anche l’ambizione di essere uno strumento di autoanalisi (come lo specchio) esempi: - Il ritratto (elegia giovanile, 1794): “l’arte ai miei carmi cede”, ossia un’immagine pittorica non può cogliere ciò che di lui solo la parola può esprimere, perché essa vede oltre l’aspetto fisico - lettera a Fornasini (1795): costruzione avversativa (tipicamente sua e desunta da Alfieri) per descrivere la sua trascuratezza (tipica del letterato romantico, in contrapposizione al manierismo e alla compostezza del letterato tradizionale) secondo Neppi, questa costruzione avversativa riflette tre tendenze fondamentali: 1. l’adesione ossessiva all’attimo, all’hic et nunc, al presente 2. l’instabilità dell’immagine così offerta il ritratto non è perenne, ma deve sempre essere riconsiderato inoltre, questa instabilità riflette bene la sua irrequietezza 3. l’insoddisfazione per il ritratto già nel momento stesso in cui lo fa e la voglia di rifarlo da capo. LEZIONE 2 (19/11/2013) Vi sono alcuni elementi che ci fanno capire che le Ultime Lettere sono l'insieme delle critiche che sono state mosse all'autore e alle Lettere stesse: Foscolo però si sottrae pienamente da questa critica per via della tendenza a sfuggire connaturata nella sua personalità e per la sua forte tendenza allo sperimentalismo. La sua vita si divide solitamente in periodi, scanditi dal suo “cambiare la maschera”: 1) PERIODO DEL NOVIZIATO (1792-1797): Si escludono i primi anni perché di essi non si sa molto: formazione elementare sulle lingue classiche in un seminario e morte del padre, in seguito alla quale la famiglia si disperde. Lui e il fratello Giovanni vanno a Zante, ma in seguito Ugo ritornerà in Italia per trasferirsi a Venezia, dove trova un ambiente letterario fitto e attivo, ma anche l'imperversare dell'Inquisizione. A Venezia Foscolo si forma attraverso l'auto-didattismo e conosce letterati che lo influenzeranno. → cfr De Sanctis, che sosteneva che Foscolo fosse un letterato appartenente ancora al Settecento illuminista: per lui Le ultime lettere sono un’opera lirica che non funziona, perché hanno un’eco ancora troppo forte di Goethe e sono troppo ancorate alla vecchia cultura. → cfr Dionisotti: “Foscolo avrebbe avuto lo stesso peso letterario se fosse nato in un altro momento? Foscolo si presenta a Venezia come homo novus, in realtà lui è romantico e moderno, fungendo da spartiacque ideologico e biografico il biennio 1796-1797 (e non la rivoluzione francese, come alcuni sostengono): in questi anni a Venezia si verifica una rivoluzione culturale, che in realtà non cancella la società veneziana, ma la attraversa, permettendo a Foscolo di arrivare con la forza del rivoluzionario per scompaginarla culturalmente (come anche Foscolo stesso) nasce una nuova immagine di letterato: il letterato civile (non più chierico). Nel 1792 si colloca il suo trasferimento a Venezia, momento e luogo fondamentali in cui: a) si fa autodidatta (scostandosi dalla formazione scolastica). b) incontra numerosi letterati che avranno grande influenza su di lui. c) si impegna politicamente. d) si presenta sulla scena poetica. A Venezia Foscolo incontra Angelo Dalmistro (sacerdote dalla carriera turbolenta), culturalmente in città ha rappresentato molto, essendo egli il promotore della fondazione di una raccolta poetica, l’Anno poetico (1793-1800, stampato a Venezia da Stella), che contenga componimenti inediti di autori viventi (Pindemonte, Cesarotti, Parini, Foscolo). Foscolo, essendo ammesso nel circolo poetico veneziano, ottiene la possibilità sia di avere un palcoscenico di lettori sia di inserirsi tra i nomi importanti del mondo poetico dell’epoca. Inoltre, Dalmistro è un grande conoscitore e traduttore della letteratura inglese (traduce Il Bardo di Gray e pubblica un volume che contiene traduzioni sue e di altri, come Il Bardo, l’elegia di Gray, Young) è un traduttore libero: suggerisce a Foscolo l’idea che la traduzione moderna sia libera (Foscolo sperimenta sia la traduzione letterale che quella libera, perché la prima la sente inerte). Foscolo scrive a Bertola, un “preromantico” che gli pare poter essere un fratello di letteratura, soprattutto riguardo a Gessner (28 maggio 1795): è l’inizio di un sodalizio che sarà costante nella produzione letteraria di Foscolo. A Venezia Foscolo inizia anche a cimentarsi in un percorso politico, a contatto con il mito giacobino e rivoluzionario secondo Cerruti, quello che attrae Foscolo è la componente utopica che individua nella rivoluzione francese: l’idea di una società che non sia rigidamente gerarchizzata in realtà, Foscolo non è mai stato giacobino, la sua è stata più che altro una seduzione intellettuale, non pratica: infatti negli incartamenti degli inquisitori veneziani Foscolo non compare mai e inoltre egli non si arruola nell’esercito francese quando potrebbe (nel settembre del 1796 o nel marzo del 1797) questo spiega perché le odi di Foscolo circolassero liberamente. Intervento di Foscolo presso la Società dell’Istruzione (22 settembre 1797): sente l’esigenza della democrazia (come Alfieri), ma teme “gli effetti di questa libertà prezzolata” (in Italia la libertà è relativa, perché portata da uno straniero). Atteggiamento moderato, la letteratura rimane un'arma, essendo partecipazione, ma lui rimane moderato. Sempre a Venezia Foscolo viene a contatto con una struttura che prende il posto delle Accademie, ossia quella dei salotti letterari: sono dei veri e propri circoli letterari, spesso gestiti da donne (sul modello di madame De Stael), nei quali talvolta si cospira Foscolo inizia a servirsi di questi salotti in due modi: da semplice frequentatore (incontra Pindemonte e Bertola) e come palcoscenico (recita la propria poesia e alcuni sermoni improvvisati di argomento storico, civile, patriottico). Foscolo si fa autore in proprio, iniziando come poeta, perché la poesia era il mezzo più sicuro dove sperimentare, dal momento che l’aveva studiata: Nel 1794 mette insieme 41 componimenti che fanno parte della collezione Naranzi, che non vennero dati alle stampe: sono componimenti siglati dall’influenza di Bertola una lettera dedicatoria apre la collezione: il tema fondamentale è l’amore, non solo come idillio, ma anche come illusione. Attraverso questa tematica amorosa richiama poi il tema della letteratura come occasione di memoria. Nel 1795, tramontato il progetto della collezione Naranzi, si cimenta in una raccolta di 12 odi, ma anche questo secondo volume non arriva alla stampa (forse a causa della censura) ode La verità contro i potenti e i ricchi: per la prima volta Foscolo va al di là del tema amoroso, ma soprattutto sgancia dal contesto eminentemente veneziano gli argomenti civili (la polemica è contro il malcostume e la povertà in generale) in realtà, il registro linguistico è debitore nei confronti di due fonti, una biblica e una letteraria: quest’ultima è rappresentata dalle Odi di Parini (Il modello pariniano agisce su Foscolo ancora più del modello bertoliano). → cfr Dionisotti: dato che Foscolo ha scritto tutte queste poesie, probabilmente aveva già una cultura alle spalle e non si forma solo a partire da Venezia (mito alimentato invece da Foscolo stesso, che definisce la sua preparazione precedente “balbettante”, al punto da non considerarsi pronto dal punto di vista linguistico ad essere un letterato). Alle odi antepone una dedica (chiave poetica essenziale): cinque righe ad Alfieri (non a Parini), il neologismo ai Puristi (apre verso la letteratura europea, entrando nella polemica sulla lingua), la battuta e i margini (per le annotazioni) ai lettori e il restante ai critici dopo questo appello ai lettori, c’è un’epigrafe in latino “vitam impendere vero” (citazione della satira quarta di Giovenale, che è di argomento antitirannico): alcuni critici credono che questa citazione sottolinei la volontà di scrivere odi di argomento politico-sociale (riutilizzo di Giovenale nella Chioma di Berenice), mentre altri critici credono che essa non guardi all’indietro verso Giovenale, ma in avanti verso Rousseau, che cita lo stesso frammento di Giovenale nella quarta delle Reveries per rivendicare la libertà linguistica (Rousseau è proprio uno dei quattro pilastri di Foscolo) la questione linguistica chiama in causa Cesarotti, il quale non si sa quanto abbia influenzato Foscolo. Dionisotti: la sperimentazione poetica delle odi avrebbe rappresentato per Foscolo niente più che un esercizio, perché esse non furono pubblicate in realtà, tre delle 12 odi previste troveranno la via della stampa inoltre, nel piano di studi, Foscolo non abbandona del tutto le odi, dicendo che necessitano ancora di molto lavoro di lima tra l’altro Foscolo dopo le odi scrive ancora un’elegia, In morte di Amaritte, una serie di componimenti per la morte del padre e per la monacazione di una giovane donna veneziana, dimostrando di dedicarsi intensamente alla poesia. Quindi Foscolo in questo periodo (fino al 1795) è esclusivamente poeta (se sperimenta la prosa è nell’ambito circoscritto delle lettere): Foscolo è consapevole di questo noviziato esclusivamente poetico e lo dimostra un testo tra i frammenti di Lucrezio (1802), dove riflette sulla poesia lirica e perviene all’idea che essa nasca da una passione, ma che poi si leghi a sentimenti di tipo politicosociale qui lui stesso divide la sua vita in epoche: al primo periodo poetico seguono la rivoluzione, l’esilio e la guerra e, dedicandosi a queste cose, non può esserci la poesia (modello dell’intellettuale impegnato tipico in quei tempi) infine sostiene che il suo secolo non è più aperto per essere poetico, bensì filosofico questa riflessione è un bilancio a posteriori per frammenti di vita (non è un’autobiografia perché non è conclusivo). LEZIONE 3 (20/11/2013) Negli scritti su Lucrezio abbiamo una dichiarazione riflessiva e poetica di Foscolo stesso (Omero, Dante e Shakespeare sono poeti nazionali e maestri sovrumani): inizia a pensare a una traduzione che non porterà a termina e ripercorre la propria carriera suddividendola in fasi. 1) PERIODO POETICO (vedi lezione precedente); 2) RIVOLUZIONE, ESILIO, GUERRA: lode, prigioni, ferite, assenza di poesia. Sente che le alternative sono la poesia (ossia la penna) e la spada, ma è costretto a impugnare la seconda. Propone un modello intellettuale che tenderà a ripetersi anche negli autori successivi (cfr Santarosa). 3) PERIODO DELLA PROSA: sente che l'800 non è più un secolo poetico, la letteratura deve essere più prosastica e impegnata (1802: “Mi sento in cuor poche di quelle fiamme”). Sono anche gli anni in cui ultima l'Ortis (non può essere formalmente definito biografo, perché scrive in re). A Venezia tenta anche di entrare in società, ma non è adatto e si sente rifiutato. 1796: Vede Padova, dove si reca per un breve periodo, come una terra ideale e vorrebbe trasferirvisi, ma non vi riesce. Essa sarà comunque un luogo di sperimentazione e di incontri (→ Cesarotti). Inizia a programmare un piano di studi (tipico dell'epoca), che è composto di due aspetti: letture fondamentali (autori dai quali non si può prescindere per essere intellettuali e soprattutto per leggere i moderni) e progettazione di opere (già compiute non pubblicate o da compiere). Egli crea innanzitutto dei contenitori (morale, metafisica, politica, teologia): 1) politica e teologia: Montesquieu, Rousseau, Sacre Scritture (come lettura letteraria prima ancora che religiosa → fede razionale, fondata sulla lettura e sulla conoscenza dei testi.). 2) storici: Tacito e Plutarco (modello per le Ultime Lettere). 3) poeti epici: Omero, Ossian (il più importante poeta epico secondo Cesarotti), Virgilio (Eneide), Dante (Commedia), Tasso (Gerusalemme Liberata), Milton (Il Paradiso perduto); lirici: Pindaro, Orazio, Guidi, Gray (tramite Dalmistro), Frugoni, Adler; amorosi: Petrarca, Saffo, Lettere di Abelardo ed Eloisa tradotte in inglese da Pope e in italiano da Conti; drammatici: Metastasio (secondo Del Vento influenzò molto la prosa foscoliana); pastorali: Teocrito, Sannazzaro, Gessner (tramite Bertola); campestri: Thomson, Bertola; satirici: Pope, Parini; tragici: Sofocle, Shakespeare, Voltaire, Alfieri; 4) romanzieri: Swift, Cervantes e secondariamente il Telemaco, l’Amalia (ultimo romanzo di Fielding del 1751, psicologico con una protagonista emblema della mulier; l'autore passa dal registro ironico al registro psicologico con questo ultimo lavoro. → Nell'Ortis del 1798 Jacopo ricorda Amalia), la Nouvelle Heloise e si potrebbero aggiungere Monti, Klopstock, Young come poeti e Richardson, Arnauld e Goethe come romanzieri. Nella chiusa del piano di studi c’è la sua consapevolezza che gran parte dei suoi scritti dovrà essere data alle fiamme, una parte verrà letta da pochi amici e una ancora più piccola verrà corretta e data alle stampe: quindi è un’opera a lungo meditata. Sappiamo due cose fondamentali: nel 1796 l’Ortis è già scritto ed è un’opera cui Foscolo non può sottrarsi II° PARTE DEL PIANO 1) Prose originali, tra le quali è compreso Laura, lettere, primo tentativo dell'Ortis del 1796, nel cui titolo è esplicitato il culto foscoliano per Petrarca (affezione al nome di Laura, anche nell'edizione del 1802): l'opera non è interamente compiuta, ma l'autore è costretto a finirla ugualmente. 2) Traduzioni: Il Contratto sociale, gli Annales. 3) Tragedie: Tieste, Edipo. Si pone l'obiettivo di 10 anni. Secondo lui alcune sono destinate alle fiamme, pochissime ad essere pubblicate. Laura, lettere è l'unica opera di cui è sicuro. Anche Santorre di Santarosa fa un piano di studi con modalità simili (1812) e individua le stesse letture fondamentali di Foscolo: Il Viaggio sentimentale di Yorick di Sterne, il Werther di Goethe, la Nouvelle Heloise di Rousseau, Pàmela e Clarissa di Richardson (e anche le Ultime lettere di Jacopo Ortis!). Santarosa tentò un romanzo storico che rimase in forma manoscritta. A Padova Foscolo incontra Cesarotti (probabilmente è il padre di Foscolo, Andrea, medico che frequenta l’Università degli Artisti a Padova, a rappresentare il canale di collegamento tra i due), ma questo incontro non ha determinato alcuna svolta radicale in lui sul piano della produzione letteraria. Cesarotti è magister (egli intendeva la scuola come una famiglia in cui gli allievi rappresentano i figli e il maestro il padre), rappresenta l'ideale dell'intellettuale che si spende per la patria. Anche Cesarotti aveva fatto un piano di studi con un elenco di autori: Gessner, Racine, Omero, Virgilio, Tasso, Milton, Klopstock, Richardson, Fielding, Rousseau (solo Nouvelle Heloise). Lettera di Foscolo a Cesarotti (28 settembre 1795): lo ritiene un “uomo di genio” (qualcuno che si colloca in una zona superiore agli altri), “poeta della nazione” (gli riconosce un impegno civile), “traduttore dell’Ossian” (nuovo cantore epico in alternativa ad Omero) e gli offre i Canti poetici e la lettura del Tieste. A Cesarotti questa tragedia non piace particolarmente e fa una serie di osservazioni critiche, ignorate da Foscolo, che la manda così com’è sulle scene, ottenendo un grande successo, nel 1797. Foscolo scrive nuovamente a Cesarotti: dice di avere solo 18 anni, che il pubblico che l’ha apprezzato è un pubblico di incolti che non l’ha veramente capito, che è riuscito lo stesso a carpirne la fama e poi si fa critico di se stesso e in questo chiede aiuto a Cesarotti (è stato migliore di lui come tragediografo, ma non come critico). scrivere di sé è una novità da parte di un autore. Egli si sdoppia diventando critico di se stesso e chiede al destinatario conforto come critico letterario della sua stessa tragedia. La lettera ha un procedimento contrastivo e l'autore si lancia in uno sdoppiamento critico che si riflette nelle espressioni che usa in essa. Nel saggio su Lucrezio (1802) Foscolo parla di nazione e di poeti della nazione (Omero, Dante e Shakespeare). Lo stesso fa nell’Ortis nella versione del 1801-1802, ma nella versione del 1798 al posto di Shakespeare c'era Ossian: quindi Cesarotti rappresenta un punto di passaggio fondamentale, ma poi Foscolo cerca di sganciarsi dal suo magistero, probabilmente anche per la questione del Tieste. Infine i loro rapporti si incrineranno definitivamente con l’Ortis del 1798, che a Cesarotti non piace per niente, perché la considera un’opera di una grandezza negativa, un’opera che può fare del male. Egli la definisce “eccellente venefico” e di una “sublimità micidiale”. Quando Foscolo parlerà dell'ambiente universitario padovano (ha frequentato qualche lezione, ma si è accorto che l'ambiente accademico non lo seduce, salva solo Cesarotti e Olivi, allievo di Cesarotti cui questi ha inviato il giudizio sull'Ortis, come professori), dirà di aver visto negli insegnanti un atteggiamento dozzinale e si ritirerà sui colli Euganei. Chiancone sostiene che, se proprio bisogna cercare un confronto storico con l'Ortis, bisogna guardare all'ambiente padovano e al suicidio di Girolamo Ortis (fa un elenco di suicidi). Il Tieste (dal 1795) I modelli sono Crebillon, Voltaire e sicuramente Alfieri, la cui tragedia era così teorizzata: 4 personaggi (tutti principali), 5 atti, impianto e argomento classici, rispetto delle regole di unità, un solo argomento, semplice, tetra e feroce. In ogni caso Foscolo va oltre Alfieri, risalendo fino ai greci, che conosce, declina e rielabora: è una tragedia tutta giocata sul tema del potere tirannico, ma Tieste rappresenta un “re cittadino”, cioè è il portatore di un modello di potere che non è tirannico, bensì democratico (mentre il fratello di Tieste rappresenta ancora proprio questo potere tirannico). Questo superamento alfieriano non è solo contenutistico, ma anche linguistico, grazie alla mediazione di Metastasio. La struttura tragica invece è ancora tutta alfieriana: quindi lui accetta l’involucro alfieriano, ma lo svuota dall’interno. Lettera di Foscolo ad Alfieri: gli raccomanda il Tieste e gli riconosce il magistero di tragediografo, fingendo di collocarsi in una posizione di inferiorità, ma in realtà gliela manda a cose fatte (riconoscimento e allontanamento). Il 22 settembre 1797 Foscolo tiene un discorso in cui attacca e disconosce Alfieri come tragediografo, ma continua a riconoscerlo per il fatto che è stato il primo a concepire la letteratura come impegno civile Foscolo dunque ha dei maestri importanti, ma non rimane alla loro dipendenza. LEZIONE 4 (25/11/2013) SECONDO PERIODO: 1797-1803 Il soggiorno sui colli Euganei ha contribuito a identificare Foscolo con Jacopo Ortis. In questo periodo, secondo alcuni, ha iniziato la stesura di Laura, lettere, ma non è sicuro. Inoltre, proprio in questo momento, inizia a spendersi come letterato militante. Nel 1797 Foscolo fugge da Venezia a Milano, adducendo come motivazione la presenza austriaca, così come farà Jacopo: l’Ortis si apre con una lettera datata 11 ottobre 1797, che fa riferimento al trattato di Campoformio, ma c’è un problema di tipo cronologico, perché questo trattato fu siglato alcuni giorni dopo (gli storici lo collocano tra il 17 e il 18 Novembre) e la sua notizia giunse a Venezia solo a gennaio. Quindi Jacopo non è scappato per questo motivo, ma forse per una spirale di vendette interne. Anche la motivazione di Foscolo non sembra accettabile: se infatti è fuggito a causa della dominazione austriaca, perché non fuggire a Padova, che era nella stessa situazione? => La seconda fuga è da attribuire a cause esterne alla Serenissima e alle vendette nei confronti dei “moderati” come Foscolo, con l'ansia di accaparrarsi il ben volere di Napoleone. 1797: disillusione, fuga, rottura dell'equilibrio e della situazione di quiete. → Jacopo si ritira. → Foscolo invece si impegna ancora di più come intellettuale e particolarmente come giornalista storico: secondo lui la storia antica deve essere vista in funzione esemplare per leggere il presente, attualizzandola. Foscolo finisce la pura sperimentazione e inizia a spendersi come letterato militante in diverse prove di letteratura, compresa la scrittura giornalistica, che ha diverse regole: non si tratta di una pratica incidentale, ma di una parte fondante per il suo percorso verso la scrittura prosastica e di una grande passione che gli permette di dedicarsi alla scrittura del presente. Egli la sperimenta e gli piace perché è critica, perché può scrivere di storia. Scrive per il “Monitore italiano”, i cui principi orientativi sono: 1) libertà (principi e progressi); 2) legislazione; 3) cause morali degli avvenimenti; Su questo giornale si scrive di storia della Repubblica Cisalpina (ma alla luce degli avvenimenti europei, attraverso un quadro politico e culturale dell'Europa -riflessione sulle scienze e sulle arti, → impostazione enciclopedica), arte, scienza e letteratura. Si tratta di un progetto estremamente ambizioso di patriottismo rivoluzionario, che affronta il problema dei profughi che arrivano a Milano da Venezia. Nell'Ortis la visione storica è un riflesso. I collaboratori del “Monitore” si definiscono “uomini liberi che tentano di restituire dignità alla NOSTRA lingua (nel '700 è soprattutto una questione politica), avvilita da scrittori schiavi o inetti, buoni solo a parlare e scrivere di sé. Articolo di Foscolo: “la storia è un monito per i posteri adulatori. La libertà non è un bene regalato, deve essere guadagnata”, chi viene a “regalarla” è già di suo un tiranno, mai un liberatore. Foscolo mantiene qui una visione oggettiva, anche se non nasconde nessuna visione critica. Quando gli austriaci decidono di chiudere il giornale, Foscolo scapperà a Bologna. A Milano Foscolo entra anche a contatto con Parini e Monti. Scrive il saggio Esame contro le accuse su Vincenzo Monti (1798), che era stato accusato per aver scritto “La Bastigliana”: prende delle posizioni politiche molto importanti e scrive di se stesso (frequente ricorrenza di IO, con la modalità negazione-affermazione), facendosi difensore dei letterati che perseguono il vero e opponendo agli oppressori della verità l’esemplarità della propria vita e la capacità di assumersi la responsabilità di ciò che accadrà (qui c’è tutto Jacopo). Dopo un breve prologo di stampo catoniano contro i petulanti che cercano invano un delitto per colpire chi è al potere. Si fa difensore di Monti e di una modalità di difesa della letteratura al tempo stesso. Si assume il ruolo di difensore della verità contro i malvagi dalla cui inimicizia si farà vanto e alle cui calunnie opporrà la propria vita esemplare. E se anche essi vincessero, su di lui ricadrebbe il danno, ,a su di loro l'infamia (cfr Jacopo). Richiama Rousseau come filosofo perseguitato, e comprende la grandezza di Monti in modo esemplare. Invita Monti nella “malinconica solitudine” idilliaca che gli ha permesso di allontanarsi dai malvagi, Shakespeare, Voltaire e Alfieri lo sostengono. Costruisce un ritratto di sé attraverso quello di Monti. Foscolo è consapevole che in Italia una rivoluzione alla francese non è possibile, ma, se c’è una possibilità, questa sta nella letteratura, punto di partenza per una vera rivoluzione (di costumi e di ingegno). A Milano Foscolo si impegna anche all’interno di circoli, in particolare del Circolo Costituzionale. La situazione milanese e quella dell'Italia in genere diventano subito narrative (romanzizzazione della vita) nell’Ortis bolognese (1798), ma non caratterizza Jacopo, bensì Lorenzo in questo frammento tutte le frasi sono estremamente brevi (scrittura tipicamente giornalistica, costruzione stilisticamente oppositiva: → “Non....,bensì”) in questa edizione bolognese c’è una prima lettera, sempre dei Colli Euganei, ma è del 3 settembre 1797: data che richiama il colpo di stato organizzato, sotto il Direttorio, da tre direttori contro la maggioranza moderata del Consiglio dei Cinquecento. Gli onesti sono incarcerati o costretti a diventare esuli. Nella versione bolognese domina la dimensione emotiva, che rimarrà contenuta nell'edizione successiva, La data fondamentale è quella del 3 Settembre 1798 (Del Vento la attribuisce al colpo di Stato dell'ambasciatore Trouvet, incaricato dal Direttorio di pulire la società italiana dai più ribelli). Nel 1798 Foscolo abbandona Milano a causa della chiusura imposta del giornale e fugge a Bologna (e a Modena), continuando la sua attività giornalistica: “Giornale repubblicano di pubblica istruzione” e “Giornale democratico”. 1798, Istruzioni popolari politico-morali: progetto politico-ideologico (volontà pedagogica tipica di Foscolo → stile divulgativo), facenti capo alle opere filosofiche di Rousseau sulla sovranità popolare, con appello alla storia antica (Erodoto e Plutarco sono i riferimenti) come periodo storico e storiografia esemplare. 1798, Ode Ai novelli repubblicani: emerge, declinato in poesia, il tema del sacrificio per la patria, declinato in prosa nell’Ortis. 1798, Ode A Bonaparte liberatore: classicismo repubblicano. Nel 1799 Foscolo abbandona la patria e riprende servizio nella Guardia Nazionale, interrompendo il romanzo l’editore Marsigli chiede ad Angelo Sàssoli di completare l’Ortis, con il titolo Vera storia di due amanti infelici o Ultime lettere di Jacopo Ortis: Foscolo però non aveva affatto in mente di privilegiare l’aspetto amoroso su quello patriottico. Nel 1799 giunge a Genova (Battaglia della Trebbia), che è assediata dai russi e attraversata da un'epidemia: considera il soggiorno genovese (1799-1800) come una prigione. Scrive il Discorso sull’Italia (argomenti politico-patriottici sempre in stile giornalistico e divulgativo; Del Vento vi coglie un eco di Machiavelli) e ristampa l’ode A Bonaparte liberatore con una lettera dedicatoria: questo piccolo testo è fondamentale, perché, da una parte, segna il passaggio dalla prosa giornalistica (tipica dell’Ortis bolognese) alla prosa che appartiene alla revisione dell’Ortis, dall’altra è il punto di incontro tra la scrittura politica e il registro più autobiografico ( è un esempio di prosa divulgativa con struttura giornalistica). Inoltre, da esso emerge il tema dell’utilità e dell’esemplarità della storia: lo storico a cui fa riferimento è Tacito (lui si fa Tacito di Bonaparte) Tacito è una costante (insieme a Plutarco) nella produzione letteraria di Foscolo ed è anche una modalità, perché significa narrare la storia. Troviamo in questa lettera dedicatoria la struttura dell'Ortis. I Commentari della storia di Napoli: in essi Foscolo (lui non vi aveva attribuito titolo) ci indica il suo modo di usare il fatto storico non è ricostruzione, ma riflessione più ampia sulla crisi delle repubbliche giacobine e sull’atteggiamento del Direttorio: la storia serve come riflessione sulla natura dell’uomo in vista della verità in questi commentari Foscolo ci narra la nascita dell’esperienza repubblicana di Napoli, ma con la consapevolezza che la rivoluzione è destinata a fallire, perché è di origine straniera e ha forze non omogenee all’interno (giovani intellettuali giacobini non ben consapevoli, nobili che non vogliono perdere i privilegi, clero che agisce in vista di altri scopi e popolo non collaborativo) c’è inoltre un’attenzione per il popolo, ma visto con atteggiamento paternalistico (Foscolo non pensa che la democrazia possa coinvolgere anche le masse popolari più basse) la rivoluzione napoletana interessa ancora Foscolo nell’articolo storico An account of the Revolution of Naples during the years 1798-1799 (1821), scritto per il “New Montly Magazine”. Nell’Ortis del 1816 ribadisce che la rivoluzione in Italia è fallita per mancanza di forze all’interno: frati anziché clero, nobili (titolati) anziché patrizi (solo questi ultimi lottano per la rivoluzione in guerra e sanno governare bene in pace), plebe anziché cittadini, borghesia senza nerbo né diritto dato che mancano le forze, resta una strada sola: la dedicatoria a colui che viene dal di fuori (Bonaparte), perché intervenga in questa situazione, correggendo il tiro è un invito che suona come grido d’aiuto, ma anche come imperativo morale che dovrebbe indurre Bonaparte ad intervenire, ma rispettando il genio italiano. LEZIONE 5 (26/11/2013) Frammenti di storia italica (1821): opera di impianto storico, che ci informa sullo stato d’animo di Foscolo al momento della scrittura della dedicatoria la rivoluzione francese è attiva: 1) i Francesi non hanno dovuto attendere che arrivasse qualcuno dall’esterno; 2) la loro rivoluzione, come un sole, ha illuminato tutta l’Europa; 3) anche nelle ceneri rimane tanto ardore che non permette che i Francesi ritornino in schiavitù. la rivoluzione in Italia è passiva: 1) è stato Napoleone a portarla con estrema rapidità (valutazione positiva, ma egli è comunque padrone di questa rivoluzione). 2) dopo Napoleone l’Italia ricade nella servitù e quasi si scorda del fatto che c’è stato un moto rivoluzionario. Dedicatoria a Bonaparte: “il fondatore della repubblica deve essere un despota”; è un obbligo per Napoleone portare la rivoluzione in Italia, per riscattare se stesso; Napoleone non è un eroe mitico, ma un uomo, che deve avere a che fare con un secolo di corruzione, quindi che rischia di diventare dittatore, anche se non ne aveva intenzione (come Cesare). Quando c’è la capitolazione di Genova (4 giugno 1800), Foscolo torna a Milano e intraprende una serie di missioni a Firenze incontra la pisana Isabella Roncioni: esiste una sola lettera a questa donna (1801, quindi dopo l’Ortis bolognese e parallelamente al rifacimento definitivo) nella lettera 45sima dell’Ortis bolognese usa dei toni molto simili a quelli che userà nella lettera alla Roncioni, la quale a sua volta rappresenterà un bacino da cui attingere per la lettera corrispondente nell’Ortis del 1802 la prima cosa che si può notare nella lettera a Roncioni è il tono tipicamente di Jacopo: l’esilio (per dovere, onore, destino: c’è una fatalità che lo costringe ad agire) come condizione stabile (non crede di tornare in patria, se non da morto), l’innamorato che bagna di lacrime la lettera dell’amata, la richiesta del ritratto (in nome dell’amicizia e della compassione), la presenza di un altro uomo felice e nobile (che consente alla sua compagna di amare un altro uomo), la noia, la solitudine (a differenza degli altri esuli che si riuniscono), la malinconia, la morte, la chiamata in causa dell’amico (Niccolini > Lorenzo) per custodire il ritratto e piangere il suo stesso amore ricadute sul piano letterario: 45sima lettera dell’Ortis bolognese (1798): il focus è tutto su Teresa, per cui Jacopo prova un sentimento totalizzante, ma poi inserisce un passaggio, che non c’entra con il tono patetico finora tenuto, in cui indossa le vesti del maestro ed elenca alcuni libri che fanno parte del suo piano di studi (Werther, Amalia, Virginia di Saint-Pierre e Clarissa). lettera dell’Ortis definitivo (1802): stessa ora (la nona) e stesso incipit (con qualche aggiustamento minimo) della 45sima lettera dell’Ortis bolognese, ma poi inserisce in blocco la lettera alla Roncioni narrativamente non può più esserci l’altro uomo felice e nobile, perciò viene chiamato in causa il padre di Teresa qui la consolazione non può più derivare dai libri (viene tagliata di netto la parte con la citazione dei testi), ma solo dal ricordo dell’amore con Teresa. Una volta venuto a sapere che il suo romanzo è stato dato alle stampe completato da un altro, scrive una lettera infuocata, abbandona l’editore Marsigli e si dedica alla rielaborazione dell’Ortis, che verrà pubblicata nel 1802 dall’editore Mainardi. Orazione per Bonaparte al Congresso di Lione (1802): oggetto è ancora la corruzione (delle leggi, delle armi e dei costumi), la celebrazione critica di Bonaparte e l’invito ad intervenire non per mettere in luce se stesso, ma per il bene delle genti dal punto di vista stilistico è un passo indietro rispetto alla dedicatoria (struttura latineggiante) Foscolo non perde l’occasione per parlare anche di se stesso: “furore di gloria” (desiderio della fama), “patrio amore” e volontà di sacrificio sono gli aspetti che lo caratterizzano. Sempre in questo periodo Foscolo si impegna in un abbozzo (20 fogli) di romanzo molto complesso e tormentato, che non vedrà mai la stampa: Il sesto tomo dell’Io, che non è il vero titolo (Foscolo aveva ipotizzato Io) e “sesto” forse si riferisce ai precedenti cinque libri del Liber memorialis lettera di Foscolo a Giovio in cui parla di un romanzo “fratello dell’Ortis”: vengono nominati Swift, Sterne e Cervantes, che compaiono anche nel Sesto tomo apprendiamo quindi tre cose: 1) Che l’Ortis non è la sola esperienza romanzesca. 2) Che il secondo romanzo dovrebbe essere più autobiografico. 3) Che dovrebbe anche avere tinte diverse (autori diversi come fonti: romanzi ironici, non patetici) secondo Di Benedetto, il Sesto tomo rappresenta il più grande tentativo di rinnovare il romanzo prima dei Promessi Sposi, perché è misto narrativo (modello: romanzo filosofico settecentesco, cioè Il Viaggio del giovane Anacarsis in Grecia, il Temple de Gnide di Montesquieu, i Viaggi di Gulliver, ma anche la Gerusalemme liberata e la Germania di Tacito) ed epistolare (modello: se stesso) a differenza di quanto capita nell’Ortis (dove prende e declina nel rispetto della fonte), qui capovolge ironicamente il significato delle sue fonti. LEZIONE 6 (27/11/13) Esiste un “effetto Foscolo”: egli arriva ad influenzare anche autori molto distanti dal suo stile ciò accade soprattutto negli Stati Uniti, dove Foscolo arriva sia direttamente che attraverso gli imitatori: il principale trasmettitore è Lorenzo Da Ponte (Emanuele Conegliano) diventa prete, poi si trasferisce a Vienna e diventa librettista di Mozart (è autore del Don Giovanni): il suo nome resta legato a questa produzione, nonostante non abbandoni mai la produzione letteraria a Londra diventa impresario teatrale e libraio: comincia a commerciare i libri di Foscolo deve fuggire per debiti e si trasferisce negli Stati Uniti, dove inizia a presentare i grandi intellettuali italiani tutta la sua vita viene riscritta tenendo presente il modello foscoliano: si presenta come un intellettuale che ha dovuto abbandonare la patria per gli stessi motivi politici di Foscolo (esule rinascimentale), ma in realtà si è sempre sottomesso ai vari poteri il suo modello è Jacopo, perché privo di quelle macchie che rovinano la vita di Foscolo: questo avvicinamento avviene in modo progressivo. Da Ponte esprime una condanna del romanzo storico, quindi in linea teorica si preclude la possibilità di presentare ai suoi lettori le Ultime lettere: risolve questa contraddizione non all’interno dei suoi scritti, bensì nei suoi cataloghi, i quali sono indirizzati a quel pubblico colto che manda a lui i propri figli per imparare si fa arbitro della moralità, quindi deve escludere tutta una serie di testi: invece, le Ultime lettere hanno il vantaggio di essere un’opera deliziosa e di parlare di un amore assoluto tuttavia non spinge tanto per la vendita di quest’opera e diffonde di più i Sepolcri: sia perché ritiene più istruttiva la poesia della prosa sia perché sta scrivendo le sue memorie (dice di non aver trovato tra la prosa italiana un testo adatto al suo insegnamento). Da Ponte torna in Italia per cercare attori per il suo teatro e per riscattare un suo figlio illegittimo avuto a Vienna e arruolatosi nell’esercito francese (elemento taciuto nelle sue memorie): in questa occasione incontra Foscolo (più giovane di lui) nel raccontare questo evento depotenzia l’icona di Foscolo dicendo che si invaghì di alcune sue camicie e lui gliele regalò un altro inserimento di Foscolo nelle sue memorie serve a legittimare la sua conoscenza delle Sacre Scritture, dato che lui è un ebreo convertito: qui fonda la sua identificazione con Foscolo sulla comune formazione classica (citazione di Virgilio, Bucoliche III). Il ritorno a Venezia (considerata patria in tutte le memorie) di Da Ponte è essenzialmente privato (incontro con il padre), ma poi egli inserisce una vignetta patriottica del tutto inventata che coinvolge Napoleone ciò che lo accoglie è un’immagine desolata di piazza San Marco, che gli incute timore seguono tre personaggi (un bottegaio, un nobile e un barbiere), che pronunciano una condanna dei nuovi potenti (gli Austriaci) e della miseria di Venezia: il nobile da vizioso si trasfigura in profeta, esattamente come succede a Jacopo quando si sdegna. Da Ponte fa la traduzione della Prophecy of Dante di Byron, il quale la accoglie con onore, perché ha un’introduzione che lega nel solco dell’esilio politico Dante, Foscolo, Da Ponte e Byron. Successivamente si presenterà come esule dell’intera Italia, non più della sola Venezia. LEZIONE 7 (2/12/13) Foscolo è innanzitutto uno sperimentatore della prosa (nella poesia è più regolare e tradizionale) e la sperimentazione si presenta sotto due forme: le Ultime lettere sono un’opera aperta, ossia un romanzo mai concluso che via via accoglie le esperienze di Foscolo e che conosce molte interruzioni e riprese il Sesto tomo dell’Io è anch’esso un testo complesso, fluido e indeterminato (si hanno fino a sei oscillazioni testuali per segmento). l’intertestualità, ossia il tentativo di riutilizzare materiale testuale precedente (suo e di altri), in modo da farlo confluire in un nuovo romanzo ciò è più radicale nel Sesto tomo dell’Io, perché si tratta di un laboratorio più rilassato, in cui non si preoccupa più di tanto di allontanare lo spettro del plagio, anzi usa direttamente i testi degli altri, capovolgendoli ironicamente (nel frammento Mi inganno, ad esempio, svolge un piano di studi, ma capovolto ironicamente). Nel Sesto tomo emerge il tema della fragilità del pensiero, preso da Pascal e Sterne qui l’influenza sterniana serve a smontare le convenzioni del racconto nella dedica, ad esempio, Foscolo aggredisce l’istituto del rapporto scrittore-lettore, sostenendo l’inutilità della dedica stessa: dice che ci sarà un’epigrafe, ma non la dedica e che se il lettore la vuole se la deve scrivere (rinuncia allo statuto dello scrittore e ci provoca). Sterne è anche molto presente nell’Ortis, ma non in quanto autore ironico che destruttura il romanzo, bensì come autore patetico lettera di Foscolo a Bartoli (29 settembre 1808) sulla funzione di Lauretta: è un personaggio storico, ma letterariamente alterato, che chiude in sé e circoscrive l’influenza sterniana in Sterne la scena che coinvolge Maria piangente e Yorick vede il personaggio maschile distaccato e che riflette più su se stesso che sulla sofferenza della donna, mentre in Foscolo i due personaggi condividono lo stesso dolore inoltre in Sterne l’incontro tra i due è occasionale (mentre Lauretta è una presenza costante) e lui è un amante infedele. Dunque in questo periodo Foscolo sta sperimentando contemporaneamente due registri: quello serio dell’Ortis e quello ironico del Sesto tomo frammento Autocitazione: dato che è presente identico sia nel Sesto tomo che nella terza lettera dell’Ortis bolognese (8 settembre) dimostra che Foscolo era in una fase di sperimentalismo narrativo e che entrambi i laboratori avevano la stessa importanza. Un’altra modalità ironica del Sesto tomo per destrutturare il romanzo è il paradosso: il protagonista cerca di incarnare un Io, ma esso risulta estremamente frammentario inoltre Foscolo chiama questo Io Lorenzo, mettendoci ancora più in difficoltà, perché ci rimanda a Sterne, ossia a registri diversi alla fine Lorenzo è soltanto uno strumento per modulare le transazioni, non un Io frammento Avvertimento: Foscolo abbandona il registro ironico e attraverso lo strumento Lorenzo si ritaglia uno spazio per parlare di sé quando questo strumento si fa personaggio, pronuncia una confessione in cui diventa un uomo che sarebbe disposto ad abbandonare tutto per inseguire la gloria, ma che finisce per incontrare la morte, ma una morte non esemplare come nell’Ortis, perché tramite essa egli perde la sua individualità e si disperde quindi Lorenzo ha la funzione di svelare le illusioni e lo fa attraverso due modalità, l’ironia e la confessione. LEZIONE 8 (3/12/13) Per Foscolo si parla di classicismo (gli eroi del mondo antico sono un modello esemplare cui guardare) e di neoclassicismo (gli eroi del mondo antico non sono più imitabili): il punto di svolta si colloca tra l’Ortis bolognese e quello del 1802 proemio ai Discorsi sopra gli uomini illustri di Plutarco: esiste una forza che abita la natura e che determina se l’uomo sia cattivo o buono Foscolo si dice pronto a rivedere la sua idea ferina del mondo sulla base delle vite di questi uomini antichi illustri, ma in realtà sa che le vicende non cambiano mai se non nell’apparenza: gli antichi sono esemplari solo perché mitizzati dal tempo, quindi l’antichità non è più un luogo dove trovare conforto ed esempio, anzi è demitizzata e riportata nella casualità delle vicende umane in una lettera dell’Ortis troviamo pressoché le stesse parole di questo proemio. Laura, lettere (1796): sarebbe un “proto-Ortis” Olimpia (1795): la protagonista sarebbe la poetessa e umanista Olimpia Morato lettera di Foscolo a Monti (1808): parla di questo romanzo, dicendo che sarà epistolare a due voci (due amanti infelici), con un terzo protagonista, e che vi confluiranno idee politiche, morali e religiose Olimpia è una giovane donna debole che si piega ai dogmi, ma allo stesso tempo trascinata dalle passioni fino a diventare protestante: anche il padre è altrettanto tormentato pietà, amicizia, gioventù, passioni, filosofia, aneddoti, ma anche il tormento morale dell’Ortis e il dolore dell’Eloisa e dell’Anacarsis confluiranno in questo romanzo nonostante quest’opera gli giaccia nella mente da tempo, è troppo complessa per vedere la luce in un simile contesto storico, quindi la rimanda agli anni 18111813, ma in realtà in quegli anni non la scrive, perché ritorna nuovamente sull’Ortis ciò ci fa capire cosa preferisce Foscolo: la modalità narrativa epistolare (a una voce) le tematiche amorose insieme a quelle patriottiche la storia contemporanea L’Ortis bolognese (1798) Romanzo epistolare ad una voce: 45 lettere inviate a Lorenzo (che ne sarà l’editore) nel lasso di tempo settembre 1797 – maggio 1798, numerate con numeri romani (come il Werther). I temi politici sono veicolati solo dai personaggi maschili, mentre il lato amoroso (idillico-patetico) è affidato a Odoardo e Teresa. Jacopo è un individuo che non sa ridere dei difetti delle persone (non c’è l’ironia del Sesto tomo) e che quindi rifiuta il consorzio umano egli registra in sé il fallimento degli ideali giacobini e la figura dell’intellettuale isolato. Foscolo non può completare questo romanzo perché si arruola, quindi l’editore lo affida ad Angelo Sàssoli Foscolo pubblica una diffida sulla “Gazzetta Universale” (Firenze, 1801): dichiara tutte le versioni circolanti apocrife e contaminate sostiene la tesi che quell’opera non è un romanzo, bensì l’edizione di un insieme di lettere vere: l’editore invece, che non ne capisce la natura, fa completare l’opera da un prezzolato e la pubblica come se fosse un romanzo, dando vita ad un “centone di follie romanzesche, frasi sdolcinate e annotazioni vigliacche”. Foscolo parla di tre edizioni apocrife: quella dell’Ortis bolognese (1798) e due con il titolo Vera storia di due amanti infelici, ossia la Vera storia A (1799), che non ha successo, e la Vera storia B (1799), che unisce i primi due romanzi in una versione più gradita ai Francesi e e che era quella di cui Foscolo era in possesso. Il Sàssoli: è stato oggetto di varie ipotesi critiche, ma sappiamo che è esistito veramente: all’età di 21 anni prende parte alla congiura bolognese del 1794, ma viene liberato dal carcere perché confessa faceva parte dell’Accademia degli Audaci Filostorici, dove recitava le proprie composizioni poetiche ed era censore, ossia aveva il compito di rivedere, correggere e riscrivere i testi degli accademici: quindi aveva da un lato una competenza letteraria e dall’altro si era esercitato nelle correzioni quando si trova di fronte l’Ortis bolognese, per quanto riguarda la prima parte decide di rielaborarne il materiale (non di riscriverlo da capo), mentre per quanto riguarda la seconda parte avrebbe rielaborato appunti di Foscolo sulla continuazione quindi la colpa del Sàssoli è quella di aver fatto un’operazione editoriale: rendere vendibile e spendibile quell’opera, tradendo gli intenti di Foscolo, il quale non voleva assolutamente compiacere gli Austriaci o i Francesi. LEZIONE 9 (4/12/13) Confronto della zona degli avantesti: Ortis bolognese (1798): 1) l’avantesto preferito di Foscolo è l’appello al lettore, che permane nel corso delle varie edizioni richiama sempre l’attenzione sulla sua componente alfieriana, ma nell’edizione del 1802 (e del 1816) invece di lagrima troviamo compassione (chiave di volta dell’Ortis) e invece di giovanetto infelice (parola ricorrente nella traduzione del Werther fatta dal Salom) si ha giovine infelice, per allontanarsi dal rischio di plagio e dal magistero di Goethe 2) un altro avantesto è Lorenzo, a chi legge: la frase iniziale è identica nelle varie edizioni e intende sottolineare che queste lettere non sono un romanzo, bensì una vera raccolta. Vera storia A (1799): nella zona degli avantesti c’è un appello al lettore, ma non firmato da Lorenzo, bensì da Sàssoli per risolvere la presenza dell’altro editore, Lorenzo, il Sàssoli ne racconta la storia, sostenendo che è impossibilitato a completare l’opera intrapresa (la raccolta delle lettere) a causa dell’esilio e che l’ha incaricato di farlo al suo posto (scena sepolcrale di gusto preromantico). Vera storia B (1799): due editori si sarebbero divisi il materiale delle lettere la prima parte (quella di Foscolo) viene attribuita a Lorenzo F., la seconda ad Angelo S. in più c’è una parte di annotazioni aggiunte dal Sàssoli dove il testo del Foscolo gli sembra non obbedire alle indicazioni di prudenza nei confronti dei Francesi oppure allontanarsi da un consono sentimento morale e religioso: esse quindi interpretano il testo del Foscolo, ma travisandolo attraverso l’ottica del Sàssoli e del Marsigli il Sàssoli sostiene di non aver rielaborato le lettere e interpreta il suicidio di Jacopo come un fallimento dovuto all’aver seguito una filosofia di paradossi: sono tutte falsità. Luoghi in cui Foscolo respinge le edizioni precedenti a quella del 1801-1802: lettera di Foscolo a Bartoli (1808): ammette di essere lui l’autore del materiale delle lettere e dice che il Sàssoli, per quanto riguarda la prima parte, ha attinto stralci di filosofia, politica e amore da suoi appunti, per poi accozzarli insieme e renderli ben visti ai potenti, mentre per quanto riguarda la seconda parte l’ha scritta ad hoc lo offende anche il fatto che sia stato fatto circolare un romanzo giovanile che era solo una bozza probabilmente Foscolo non vuole che il proprio nome venga associato a quello del Sàssoli. a partire dall’edizione 1801-1802 Foscolo chiede che al testo venga associata una nota esplicativa con la funzione di chiarire la nuova veste del romanzo: egli dichiara che tutte le edizioni precedenti derivano da una sua versione intrapresa, interrotta e fatta continuare da un altro con un’azione mercantile dell’editore e che in quelle edizioni la vita di Ortis “s’è convertita in romanzo”, ossia in finzione. lettera di Foscolo a Giovanni Paolo Schulthesius (31 ottobre 1812): è in questa lettera che per la prima volta compare il nome di Sàssoli, del quale respinge la Vera storia di due amanti infelici. notizia bibliografica: è un testo critico importantissimo che Foscolo aggiunge all’edizione del 1816 in esso finge una conversazione tra due letterati, che, tra le altre cose, parlano dell’edizione apocrifa del Sàssoli (anche qui respinta). Ortis 1801 Cambiamenti: scompare la numerazione romana, per far posto alle date e alle ore di composizione delle lettere. compaiono lunghi segmenti diaristici. si allontana dal Werther, temperando l’aspetto passionale il ritratto di Teresa non deve essere restituito (come nell’edizione del 1798), ma deve scendere con lui nella tomba e compare sulla scena dopo un episodio di congedo molto più composto (non sensuale come nel 1798) è Teresa che dona il ritratto a Jacopo: ciò avviene dopo il dono che Jacopo aveva fatto a Teresa del Werther. lettera di Jacopo a Lorenzo, da Rovigo: in essa si congeda da Lorenzo, quindi suona come una conclusione, scritta in tutta fretta per l’edizione del 1801 perché circolavano le versioni apocrife poi però questa conclusione non lo soddisfa e così nell’edizione del 1802 e del 1816 aggiunge una frasetta che anticipa la presenza di altre lettere. Rimangono, tuttavia, le peculiarità di Foscolo: la cadenza ternaria; la frequenza di frasi esclamative; l’inizio delle frasi con il nome proprio per imprimere nel lettore l’immagine del personaggio; la chiusa della lettera con la parola “addio”; la struttura per asindeto. LEZIONE 10 (9/12/13) L’edizione 1801 è molto importante perché testimonia il passaggio verso la 1802 e il tentativo di allontanarsi dai rimaneggiamenti del Sàssoli Foscolo invia questa edizione a Francesco Melzi De Riel e a Goethe lettera a Melzi De Riel (1802): dice che gli invia la prima parte di un’operetta (quindi non la ritiene completa), che ha anche uno spessore politico (rispetto al modello tedesco Goethe, al modello francese Rousseau e al suo stesso Ortis del 1798) lettera a Goethe (16 gennaio 1802): dice che gli invia il primo volumetto di una sua operetta, a cui forse è di origine il suo Werther, continua a sostenere che si tratta di una storia vera e ribadisce che l’unica edizione genuina è quella del 1801-1802 in entrambe le lettere parla di questo romanzo come di una tragedia: è un richiamo ad un genere letterario questo richiamo compare anche in una lettera a Silvio Pellico (23 febbraio 1813), in cui dice che la tragedia deve avere alcune caratteristiche: 1) caratteri forti d’animo 2) situazioni quotidiane 3) caratteri potenzialmente passionali che vengono scatenati da qualcosa: l’azione tragica è “progresso di passione” secondo Foscolo l’Ortis è “senza azione di avvenimenti” (ossia non capita molto: solo Campoformio e l’amore per Teresa), ma permette il dispiegamento delle passioni di questo singolo personaggio e in questo modo diventa educativo per le donne e per i bambini (come la tragedia) Ortis 1802 Si tratta dell’edizione definitiva Testimonianze: lettera a Cesarotti (12 settembre 1802): riconosce come fase di gestazione dell’Ortis soltanto due anni (lascia da parte le 45 lettere del 1798) lettera a Bodoni (24 ottobre 1802): annuncia la pubblicazione dell’Ortis come prima opera di tale specie in Italia lettera ad Alfieri (ottobre 1802): parla del suo romanzo come di un “libercolo” scritto in soli tre anni, che si allontana dai modelli tedesco e francese, per approdare ad un impegno civile Cambiamenti: romanzo epistolare ad una sola voce (non due) aggiunta della seconda parte maggiore spazio all’editore Lorenzo moderazione delle modalità arcadiche e campestri in favore di un interesse più politico aumento del pessimismo (senso di sconfitta per l’immodificabilità e la vanità della realtà) compare la figura del padre Odoardo diventa un uomo freddo compare la scena del bacio Ortis zurighese (1816) Viene pubblicata con la falsa collocazione a Londra e la falsa datazione 1814 Cambiamenti: Foscolo attinge concetti dai Discorsi sulla servitù d’Italia (l’atteggiamento verso Napoleone è definitivamente negativo e c’è la consapevolezza della scarsa forza militare degli Italiani) si apre un piccolo spiraglio spiritualistico aggiunta sostitutiva della lettera del 17 marzo (svolta in senso politico forte) aggiunta della notizia bibliografica (finge che tre letterati discutano delle Ultime lettere e ne diano un giudizio, soprattutto sui suoi rapporti con Rousseau e Goethe) Ortis londinese (1817) Cambiamenti: divide l’edizione in due parti aggiunta di alcuni capitoli del Viaggio sentimentale di Yorick alla fine del romanzo invece che notizia bibliografica scrive solo notizia e toglie la finzione dei tre letterati (se ne attribuisce la paternità): qui dice che sotto la figura di Jacopo c’è lui stesso (anche per quanto riguarda il suicidio) afferma di pentirsi di aver scritto l’Ortis non per i suoi principi morali e politici, ma per il fatto che esso potesse sembrare un invito al suicidio: invece per lui il sentimento della vanità delle cose deve essere un motivo che spinge a vivere Lettera a Samuel Rogers (1817): mostra come Foscolo inizi ad avere forti dubbi su come il suo romanzo è stato recepito dal pubblico (un invito ad abbandonare la vita in nome di questo senso di vanità del tutto) LEZIONE 11 (10/12/13) Caratteristiche costanti del romanzo sono: la varietà di registri e toni la sintassi soprattutto esortativa o elencativa, che diventa spezzata quando si dispiegano le passioni la rarità degli spazi descrittivi (al massimo ad inizio lettera e relativi agli spazi esterni) Pessimismo: il senso di sconfitta per l’immodificabilità e la vanità della realtà e quindi il suicidio sono solo del personaggio Jacopo, non di Foscolo Intertestualità: 1) fra le opere e le lettere reali di Foscolo stesso 2) fra le opere degli altri i principali ipotesti sono la Nouvelle Heloise di Rousseau e il Werther di Goethe 1) Antonietta Fagnani Arese funge da anello di congiunzione tra Goethe e Foscolo, perché traduce il Werther lettera a Teresa del 9 febbraro nell’Ortis 1802: riproduce fedelmente una lettera scritta alla Arese, adattandola alla modalità romanzesca nell’edizione del 1816 viene sostituita dalla lettera del 17 marzo, per stemperare il motivo amoroso in favore di quello politico 2) Il problema critico di questo romanzo è quello di capire che gioco di intertestualità si ha tra l’Ortis, la Nouvelle Heloise e il Werther: la principale nota comune è la tematica amorosa, ma intesa come “interiorizzazione dell’ideale” oppure come “religione dell’amore” Rousseau ritiene che il mondo reale contenga un riflesso di quel mondo immaginario in cui gli uomini sono perfetti ed è convinto che gli uomini siano essenzialmente buoni (ottimismo) Goethe mette in discussione questa visione ottimistica, ma coltiva ancora l’ipotesi di un riscatto attraverso l’amore (che non sempre si compie, come nel caso di Werther) secondo Foscolo invece l’uomo è nemico dell’uomo (pessimismo): può ancora vivere l’amore, però esso è solo una consolazione (non una soluzione) Rapporto Rousseau-Foscolo: Foscolo non parla apertamente della sua dipendenza da Rousseau, al punto che i primi critici preferivano paragonarlo a Chateaubriand bisogna arrivare al Novecento, perché si inizino a trovare elementi comuni tra Foscolo e Rousseau: Zumbini: la lotta contro la società e il tema del suicidio (come discussione, non solo come atto) ma se Rousseau crede ancora nell’anima, Foscolo abbandona il sentimento religioso per una visione panteistica della natura e Jacopo oscilla tra le due possibilità, non abbracciandone nessuna definitivamente Donadoni (1910): entrambi i loro personaggi finiscono con il disprezzare la ragione e la scienza e con il rifiutare i libri, perché strumenti per traviare le menti Marinoni (1913): ci sono tracce di Rousseau fin dalle opere giovanili di Foscolo per quanto riguarda l’Ortis in particolare: sia Saint-Preux che Jacopo sono “malati del secolo” (malinconici), entrambi sono precettori, entrambi partono per allontanarsi dall’amata, entrambi annotano le loro esperienze, entrambi nelle loro lettere non parlano solo del tema amoroso, entrambi concretizzano l’amore baciando la donna, entrambi celebrano sempre i capelli dell’amata tanto Julie quanto Teresa sono accomunate dalla musica (la prima suona il piano, la seconda l’arpa), entrambe sono di famiglia agiata, entrambe hanno un padre (il primo vieta il matrimonio per veto sociale, il secondo solo per mancanza di soldi), entrambe hanno una madre (la prima è debole, la seconda abbandona il marito), entrambe sono spesso vestite con finta negligenza, entrambe mandano il proprio ritratto all’amato (la prima spontaneamente, la seconda su richiesta di Jacopo) sul piano stilistico condividono il tono turgido, vigoroso, retorico ma Foscolo, a differenza di Rousseau, ha sempre bisogno di figure femminili di mediazione (Isabellina e la madre di Jacopo), perché il suo personaggio non abbia un contatto diretto con l’amata Vittorio Rossi (1917): ritiene che l’Ortis 1802 sia quello più vicino alla Nouvelle Heloise e che esso sia debitore del proto-Ortis (Olimpia) e di Laura, lettere, entrambi romanzi di ispirazione rousseauniana Rapporto Goethe-Foscolo: Tre domande generali: 1) quando e in quale versione Foscolo ha letto il Werther? 2) l’Ortis è un plagio del Werther, un’imitazione o un’opera originale? 3) in cosa è originale? LEZIONE 12 (11/12/13) 1) Foscolo non conosceva il tedesco, quindi non può averlo letto in originale: probabilmente ha letto la traduzione del Salom o quella di Antonietta Fagnani Arese Foscolo sostiene di essersi imbattuto casualmente nel Werther e dopo che il suo romanzo era già quasi concluso (o al massimo mentre lo stava scrivendo), ma in realtà l’aveva inserito nel piano di studi del 1796 Zschech (1879): è il primo che mette in discussione la cronologia fornita dal Foscolo, soprattutto nella lettera al Bartoli (dove l’autore sostiene di aver letto il Werther dopo il 1802) quindi la lettura del Werther è molto precoce, prima della composizione dell’Ortis bolognese 2) L’idea che l’Ortis sia un plagio si diffonde presto, largamente e tra studiosi autorevoli: a Padova nel 1803 esce una recensione anonima sul “Giornale della Letteratura Italiana”, che elenca tutta una serie di analogie un altro detrattore di Foscolo è Stendhal: sostiene che l’Ortis è solo una copia del Werther Le linee di difesa dei sostenitori dell’Ortis come opera originale si basano su due aspetti: formale recensione anonima sul “Corriere Milanese” (1814): il nuovo romanzo di Foscolo imita il Werther, ma non diversamente da quanto l’Ariosto imitava il Boiardo per l’Orlando Pecchio: stesso argomento, ma espressione, stile e maniera diversi contenutistico si basa su tre fatti evidenti: a) la diversa ambientazione storico-geografica b) lo specifico messaggio civile, politico e morale dell’Ortis c) la dimensione confessionale dell’Ortis (forte valenza autobiografica) Scalvini: quanto a questa dimensione confessionale dell’Ortis, ritiene che Foscolo abbia attribuito tutte le proprie negatività a Jacopo, personaggio che può avere una cattiva influenza sui giovani lettori se il Werther e l’Ortis hanno qualcosa in comune è il fatto di aver superato le cautele del romanzo, mettendo in scena un suicidio scomposto e cruento: se c’è un plagio, esso non è di Foscolo nei confronti di Goethe, bensì del lettore nei confronti dell’autore usa l’esempio del Foscolo per criticare l’uso che gli scrittori fanno del romanzo: i lettori iniziano a sentire quello che sente il personaggio, fino a riprodurne i comportamenti sbagliati 3) Luden (1807): primo traduttore in tedesco dell’Ortis, arriva alla conclusione che le due opere sono vicine, ma molto diverse, perché la radice tedesca del romanzo è stata trapiantata in Italia dando dei frutti diversi e più ricchi il Werther è solo un romanzo dell’interiorità, mentre l’Ortis ha anche una pregnanza storica e delle idee che diventano esemplari per la società e rispecchia i sentimenti e le aspirazioni politiche di un’intera comunità nazionale Tronion: traduttore in francese dell’Ortis, crede che i due romanzi abbiano alcune cose in comune, ma molte più differenze le motivazioni che sono alla base delle azioni di Jacopo non si riducono solo a quelle amorose, ma sono anche di natura politica Montani: recensisce le opere di Foscolo, riconoscendo che l’aspetto politico è solo di Foscolo, il quale diventa espressione di un epoca quanto a contenuti e a stile Gemelli (dopo la morte di Foscolo): l’Ortis mette in scena le sofferenze dell’esule ed è un’opera nazionale Deboni: nell’introduzione alla sua edizione dell’Ortis accusa Goethe di non aver capito la Rivoluzione Francese e di essersi concentrato solo su se stesso (immagine del letterato che si chiude sulla sua torre d’avorio) De Sanctis: si occupa di Foscolo in ondate successive (dal 1842 al 1872) ed è un esperto del romanzo europeo (soprattutto epistolare) il suo giudizio non è lusinghiero: secondo lui i modelli di Foscolo sono Richardson e Goethe, il cui punto d’incontro non è tanto l’argomento, quanto la modalità narrativa (scrittura epistolare) il romanzo epistolare offre la possibilità di contenere l’eccessivo autobiografismo tipico di Foscolo, ma alla fine egli scavalca questa modalità narrativa e straripa nella poesia: strutturalmente e narrativamente non è più un romanzo epistolare (Foscolo ha fatto un casino). LEZIONE 13 (16/12/2013) Francesco De Sanctis si occupa in particolare del romanzo europeo (=> Werther, Ortis). E' molto critico sull'Ortis, dapprima lo considera come una copia, poi man mano si stacca da quest'idea. Vi sono diversi momenti in cui egli fa critica, suddivisi in 4 gruppi di lezioni: 42-43: il romanzo europeo, Walter Scott (storico e descrittivo) e Chateaubriant (filosofico e religioso. → Rousseau, Emile, dove gli elementi filosofico e religioso raggiungono la loro massima espressione). L'Italia gioca un ruolo minore e ritardatario, sottomessa alla produzione europea e copia di essa. L'Ortis è una copia della Clarissa di Richardson (1748), che aveva scelto la forma epistolare classica, cioè a più voci e che De S. classifica come esemplare e benefico, al contrario dell'Ortis, venefica imitazione, nocivo e soprattutto povero d'invenzione e di azione, in cui riscontra una falsità dei sentimenti e degli affetti, e anche di stile gonfio e ampolloso. 44-45: ESTETICA APPLICATA O PRATICA: Foscolo-Werther (analogamente alla prima contrapposizione). Entrambi nascono dalla penna di giovani letterati: G. dallo stile spontaneo, F. imitativo di un tema e una modalità che non gli appartengono. Dal Werther si sarebbe potuto prevedere il percorso letterario di G. e lo sviluppo verso le altre forme del romanzo, dall'Ortis non si sarebbero potuti prevedere i Sepolcri (opera massima). Tematicamente, la scelta del suicidio nel Werther è sentita e giustificata, nata dal senso di inferiorità dell'uomo nei confronti della natura; Foscolo, avendo uno spunto narrativo diverso, usa comunque gli stessi personaggi cambiando i nomi, senza però avere una consapevolezza, stravolge infatti e travisa le situazioni del Werther: Jacopo è fin da subito un suicida, le situazioni sono statiche e stagnanti, F. vi pone rimedio giocando con lo stile, che è non fermo e uniforme, intrigato e lungo quando J. Fa orazioni, spezzato quando parla di amore, esagerato fino al comico in certi punti. F. non aveva idea di cosa facesse, il romanzo è pernicioso proprio per quella categoria di lettori che il romanzo si proponeva di educare e dev'essere considerato come il primo tentativo di un autore. Ugo Foscolo di De Sanctis (sulla Nuova Antologia), più incentrato sulle tragedie che sull'Ortis. L'Ortis gli permette di riflettere gradualmente e a più riprese sulla natura di romanzo. 1) L'Ortis è imitativo; 2) E' epistolare; 3) → E' autobiografico, e come tale si struttura a strappi, J. È in realtà Ugo, il romanzo non solo è aperto, ma anche stratificato, l'autore dapprima esplora tutte le fonti, poi tenta di staccarsene via via che si procede nelle edizioni; ma ciò accadeva già nel Werther. Se il Foscolo bolognese (1802) non ha letto Werther, quello del 1816 sì e si è dato da fare (in realtà F. l'aveva già letto nel 1802). L'Ortis è un'imitazione, addirittura un furto. Il romanzo è pernicioso, se si confrontano i due protagonisti essi sono simili solo in superficie, per il resto sono diversissimi (a partire dai personaggi femminili a cui i protagonisti si interfacciano) e antipatici l'uno all'altro. Werther è vera prosa, psicologico, esplora tutta l'anima e tutta la realtà, eredità della filosofia kantiana che spinge a compiere un percorso interiore, allo stesso tempo retaggio di tutta la “nuova scienza”, frutto di un'ispirazione tranquilla e composta (Galileo col telescopio sull'anima umana), attuale come dev'essere il romanzo, obiettivo-oggettivo (cfr Zola) e quindi positivista. L'Ortis è poesia in prosa, (F. aveva detto che il suo stile rispondeva al cuore e non ai dettami della prosa), è un esule senza patria, senza famiglia e senza Dio (come De Sanctis che va a Zurigo d'altronde), vita contraddittoria e inutile (si riferisce in realtà a se stesso). La tragedia (individuale e nazionale) sta alla base e prima di tutto, è l'argomento. All'apertura del sipario è già successo tutto, J. Inizia una vita nuova dal suicidio in poi: l'antico J. È morto ora regnano la forza e la violenza. J. Vive come un suicida, è un condannato a morte fin da subito, senza più appigli (né la patria e nemmeno l'amore), la sua vita è solo una sublimazione della tragedia, una situazione lirica. Tutto il romanzo si può definire come un lento suicidio. Questa è la storia di Foscolo dopo Venezia, W. Crede nel riscatto della vita, J. E F. no, perfino i personaggi di contorno non servono a invertire la situazione, che rimane stagnante e insistita al punto da annoiare il lettore. A F. manca l'analisi e la vicinanza con la vita reale, egli si rifugia in una vuota idealità, retaggio di un Alfieri, che però aveva ancora l'illusione, mentra con F. siamo già nell'epoca del disinganno. Il segno che F. lascia è maggiore, lui lascia il testamento del secolo, sconfinando dal campo letterario, a cui il quasi perfetto romanzo di G. rimane invece irrimediabilmente aggrappato. Giuseppe Nicoletti insiste sul fatto che l'ottica critica da cui si dovrebbe partire (Jean Rousset, Forma e ideologia) per leggere il romanzo epistolare. Cosa attira foscolo nella narrativa romanzesca ed epistolare? Attualizzare il tempo passato (=> tempo presente e uso della prima persona). Mobilità del racconto: le lettere sono degli organismi narrativi autonomi che possono essere lette in modo sincronico o diacronico, ognuna darebbe comunque più spunti sull'ideologia di F. e potrebbe restare a sé, come del resto ogni lettera è legata diacronicamente alla lettera che la precede e alla lettera che la segue. L'oggettività è importante, F. si appella al vero, come del resto gli altri romanzi epistolari, tra i quali il più importante a livello di declinazione del genere è sicuramente Goethe. Nella Nouvelle Eloise, nella prima parte (prima dell'evoluzione) abbiamo lo scambio epistolare tra due amanti, nella seconda parte (dopo lo sviluppo narrativo) diventa un romanzo a più voci, pluridimensionale. In G. e in F. il romanzo epistolare si rivolge a un solo destinatario, che è una figura che non è così incisiva all'interno della narrazione (in G. è una boite à lettre, in F. invece Lorenzo conta un po' di più) → suite monologica: si procede dalla forma epistolare, indebolita, a quella diaristica, rafforzata. Foscolo, cosciente forse più di G. di questo rischio, utilizza due modalità narrative differenti: da una parte quella che gli permette di trasportare il passato nella contemporaneità, dall'altra quella che permette di registrare il presente come immediato, azione-racconto. A J. Appartiene la parte sentimentale, all'editore la parte storica (egli garantisce inoltre la veridicità ). La modalità epistolare permette inoltre di rendere l'Ortis un romanzo degli affetti più che di fatti (dà inizio al paradigma di interiorità che porterà a Svevo e a Joyce). Rousseau monta prima il romanzo e poi lo riveste con la forma epistolare. N. Heloise di Rousseau, Lettera XXXIII (Saint-Preux si sta allontanando da Julie). 17/12 E' il romanzo stesso a indurci a credere che il Werther sia il testo madre, in particolare in due passi esso come libro fisico compare nella trama dell'Ortis: LETTERA (parte del Sassoli): Jacopo si sta allontanando definitivamente da Teresa, ha già scelto il suicidio, e offre lei il libro come un dono, oggetto fisico che permetterà l'unione eterna. LETTERA 45 (parte bolognese): Nell'allontanamento definitivo Jacopo offre all'amata una biblioteca, nella quale sono compresi il Werther, la Virginia, l'Amalia e .. Nella lettera al Bartoli (1808) abbiamo una testimonianza difensiva; in essa infatti scrive di aver sempre meditato sul suicidio e che quando ne 96 lesse la notizia del giovane padovano suicidio, decise di volere lasciare una testimonianza scritta sulle sue riflessioni, poiché questo argomento non era ancora stato approfondito. Poi però, siccome pensa di non essere letterariamente maturo, decide di ritardare la pubblicazione. Infine, poiché erano tempi di Inquisizione, decide di raccogliere questi appunti sotto forma di lettere, perché trova più utile descrivere il suicida che sillogizzare sul suicidio. Quando torna trova la vera storia (le vere lettere), scopre che altri hanno fatto il lavoro che avrebbe dovuto fare lui e così riprende il progetto. → Non nasce come romanzo, ma come verità; → F. vi si sente molto presente, diventa Jacopo il suicida e le riflessioni intellettuali sul suicidio fanno da sfondo alla storia; accentua l'elemento autobiografico (modalità epistolare in forma di romanzo), si mette al centro e fa in modo di far convincere tutti che sia Jacopo a parlare, quando in realtà è lui stesso, proiettato nel protagonista, a parlar di sé. Dopo che ha scelto il romanzo e la forma epistolare, solo dopo, gli è passato tra le mani il Werther e visto che il libro ormai era fatto ha scelto di mutuarvi solo una cosa, e cioè la struttura (la lettera a uno/più destinatari-ROMANZO EPISTOLARE monologico/a una sola voce o a più voci. Ma mentre Goethe, indirizzando le lettere di Werther a una sola persona, ha ottenuto di creare un ambiente confidenziale e quasi sacro, Jacopo scrive a troppe persone e con ognuna muta sé stesso). => Ha quindi inventato l'unico personaggio non reale della storia, l'amico Lorenzo. F. dissimula benissimo. Così come Foscolo scrive la NOTIZIA BIBLIOGRAFICA (1816 a Zurigo), Goethe aveva scritto Poesia e verità, almeno due anni prima, dove spiega il Werther e riflette su esso e sulla propria esperienza letteraria, come semplice modo di spiegare e non come volontà di giustificarsi. Due anni dopo F. pubblica la notizia bibliografica, dove dice che il Werther era stato scritto per affascinare il pubblico, mentre l'Ortis (innovativo) si rivolgeva a personalità politiche e aveva finalità politiche per via della vocazione dell'autore; ma non essendo apprezzato politicamente ha avuto serie difficoltà. Le difficoltà sono in realtà ricollegabili alle continue revisioni. Inoltre io non ho nemmeno fatto troppa attenzione allo stile, che non è uniforme (vi sono oscillazioni stilistiche forti, a partire dal lessico, dedotto dal fiorentino come dalla Bibbia come dai registri più quotidiani). Anche gli argomenti sono vari e questo fa sì che non vi siano molti strappi nella trama e avventure avvincenti, poiché lui ha deciso di indagare il profondo del proprio cuore (come del resto accadeva nella seconda redazione alla Nouvelle Eloise di Rousseau). Mancando l'avventura potrebbe essere al massimo argomento di una tragedia, inoltre Teresa è poco credibile come personaggio, da momento che lei, “dal velo virginale” s'innamora perdutamente di Jacopo e, informata delle intenzioni del padre decida di seguire il suo ordine di sposarsi senza il minimo lamento. Nell'opera rousseauniana abbiamo una situazione analoga, ma la figlia maledice il padre. Foscolo vuole polemizzare contro la nobiltà oziosa, una piccola fetta di pubblico che sono per antonomasia impossibilitati a capire a fondo, e quindi ad apprezzare, il romanzo. Nella quarta sezione della NOTA BIBLIOGRAFICA, F. ribadisce ancora una volta che il suo è un romanzo di verità, con la volontà di distinguersi dagli altri due (Rousseau e Goethe). I suoi personaggi, eccezion fatta per Lorenzo, sono tutti veri, anche se lavorati un po' dalla sua fantasia e i cui nomi possono essere mutati. Jacopo è il vero tra i veri, la descrizione di lui nelle ultime ore prima del suicidio è verissima, così come l'esilio e l'amor di patria. L'oggetto di questo romanzo è il cuore umano, chiunque può capire. Anche se non potrò arrivare ai loro cuori, potrò permetter lor di conoscere se stessi attraverso la storia di Jacopo e a tollerare le angosce umane ma anche a compiangerle (moralità). Esso, essendo il protagonista patriottico a dismisura, può anche essere letto e apprezzato anche all'estero attraverso le traduzioni. Anche se i fatti non sono storicizzati, tutto è posto sotto l'egida di Jacopo, che li giustifica essendo un personaggio storico. E' vero perché usa uno stile che è legittimamente credibile che usasse un giovane suicida. Esso è diretto e giornalistico, naturale nella sua difformità. E' la verità a influenzare lo stile. Lo stile piace perché il suo romanzo “non ha stile”, riflette soltanto le lettere di Jacopo. E' vero in virtù del suo messaggio politico. F. cita un immaginario lettore che ne esprime i caratteri politici patriottici e indipendentisti. Il messaggio arriverà diretto. Tutto questo è ravviluppato in una libretto d'amore, affinché sia letto dai giovani e dalle donne. Importanza del romanzo in quanto esprime un concetto forte e radicale. Rousseau è già citato da F. come filosofo e pensatore, ora si deve confrontare con la Nouvelle E.. In esso si narra di un gruppo di persone pure, che vivono in una città appartata e sono puri ma anche ingenui e fragili. Nelle loro lettere essi esprimono sentimenti Rousseau è un pionierista, ma ha voluto farsi leggere anche dagli abitanti della città e per farlo si è allontanato dalla purezza e diventa poco credibile. Julie è anch'ella una figura contraddittoria, che sbaglia lasciandosi contaminare tra le braccia di Satnpreux, scendendo su un piano di eccessiva realtà. → IL ROMANZO DI ROUSSEAU DIVENTA ROMANZESCO, ampolloso, dallo stile ambizioso e calcolato, troppo lavorato. I personaggi foscoliani sono l'esatte opposto di quelli rousseauniani. Goethe → CONCETTO DI IMITAZIONE (Tragedia di Oreste ripresa e trattata da molti, tutti partono da un fatto che non modificano): ha imitato Goethe, non l'ha copiato, prendendo a prestito la modalità a una voce del romanzo epistolare, inventando il destinatario delle lettere, che non si limita a raccogliere, ma partecipa sentimentalmente a ciò che J. Gli scrive, è ATTIVO. Goethe nelle pagine conclusive fa sì che la veridicità venga meno, dal momento in cui colui che si proclama solo osservatore entra in scena e il pubblico capisce che è lui a raccontare i fatti inventandoli. Lui invece racconta i fatti senza dare una morale, Lorenzo funge da medium. Evita di spiegare e lascia al lettore la possibilità di capire e compatire. La verità permette una piena compassione e il lettore veramente compassionevole sarà l'unico in grado di capire veramente il romanzo. Goethe ottiene lo scopo di atterrire il pubblico, che resterà attonito alla morte del personaggio, Foscolo invece prepara il lettore per tutto il romanzo, il suicidio è qualcosa di aspettato e a cui il lettore è assuefatto. La pericolosità sta proprio qui, in Werther è uno shock passeggero e momentaneo, nell'Ortis il suicidio sembra naturale e consequenziale alla vicenda costruita per tutta l'opera, diventa esemplare. La protagonista del Werther ha una collocazione sociale diversa dall'adolescente Teresa, poiché è sposata, possiede quindi una minore passionalità e forza di rendere la passione astratta e non carnale, un sentimento puro, come invece accade in Teresa, che da esso è spinta a confessare al padre l'amore per Jacopo. Lotte (Carlotta), forte della propria maturità, nasconde la passione, ma ne è lusingata considerando la sua posizione di donna sposata, al punto che in realtà la passione potrebbe rivelarsi come un compiacimento passeggero (quando W. Si dichiara lei si rifiuta e lo invita a cercare un'altra donna, lo seduce e lo allontana, inducendolo al suicidio con la sua freddezza). Di fronte al lei crolla tutta la passionalità di Werther, che viene svilita. Quando Lotte dice di avere un tremendo presentimento, perché poi consegna le pistole a Werther? Voleva forse coronare con un atto eclatante la parentesi romantica della sua vita? LEZIONE 15 (18/12) Lotte responsabile della morte di Werther. Donna fredda, compiaciuta ma non innamorata. Teresa è la donna che potrebbe salvare Jacopo, ma arriva quando il suo cuore è già “in cancrena”, e lui muore “nonostante Teresa”. Lotte ha dei cedimenti e delle realtà di comportamento molto più comprensibili e credibili, è un personaggio più reale. Teresa è idealmente la donna di Foscolo, del mito della donna che deve sapersi sacrificare (vd Learned ladies, saggio in cui Foscolo esprime idee molto conservatrici sulle donne, che devono essere dedite esclusivamente all'amore coniugale e familiare; The women of Italy, qui Foscolo si esprime negativamente sul costume tipicamente italiano delle donne che, prese dall'arte, dalle letture e dalle lettere, hanno smesso di occuparsi dei loro primi compiti e sono corrotte nel costume). Werther ha un atteggiamento più da seduttore, viene spinto al suicidio perché, concentrandosi esclusivamente su Lotte, ha perso gli altri tratti della propria personalità. Jacopo ha un carattere molto più forte e sfaccettato, in lui troviamo interessi storici e politici: è spontaneo, istintivo, naturale. Anche sul piano del linguaggio, possiamo notare come sia spontaneo e poco levigato, fatta eccezione per 2 casi in cui usa “lo bello stile” (ironizza su se stesso e sull'auctoritas letteraria dantesca).: quando si invaghisce della damina a Padova e quando scrive la lettera da Ventimiglia. Il tono di Jacopo è da subito disperato, Werther invece all'inizio è sano ed educato. Nel caso di Jacopo l'amore è una parentesi positiva, una tregua allo sfacelo, nel caso di Werther l'incontro con Lotte è la catastrofe, prima era ancora ingenuo e sano. L'incontro amoroso di Jacopo potrebbe essere la medicina alla malattia. Foscolo non si limita a difendersi dalle accuse di plagio, ma critica anche chi ha “copiato”, che secondo lui ha infranto la legge universale secondo cui un uomo di cuore puro e grande valore non si toglie la vita per una donnicciola (di scarsa moralità). Nella Novelle Heloise abbiamo Saintpreux, che ammalia la donna con comportamenti virtuosi e la conquista. Julie, così grande anima, a un certo punto si fa abbracciare da quell'animaletto di Saintpreux. Analogamente abbiamo il cuore puro di Werther a confronto con quello impuro di Lotte. Jacopo e Teresa sono entrambi puri, non si corrompono a vicenda, ed entrambi rinunciano alla passione, per quanto siano tentati più volte. SI pensa che nella NOTA BIBLIOGRAFICA Foscolo faccia intendere che c'è una ferinità insita all'interno dell'animo umano, che lo rende spontaneo, ma allo stesso tempo porta con sé un elemento di violenza e negatività. Teresa serve appunto per far risaltare questo lato ferino di Jacopo, che infine sceglie la morte, ucciso dalla sua estrema volitività (mentre Werther, ucciso dalla poca personalità, subisce il suicidio). → ESPRESSIONE ROMANZESCA MODERNA → ROUSSEAU INIZIATORE, GOETHE → EROE NUOVO, NE' TUTTO POSITIVO NE' TUTTO NEGATIVO Foscolo è riuscito a superare entrambi, costruendo un personaggio che sia un eroe quotidiano, che abbia passioni e sventure in cui ci si possa immedesimare. I romanzi della specie dell'Ortis possono essere nocivi: 1) Per l'IPOCRISIA, perché la troppa sentimentalità del protagonista scatena nel lettore una volontà di essere situazionalmente come lui, a costo di fingere. 2) Per il DISINGANNO, nato dal onfronto che il lettore attua con se stesso e con chi ha intorno, che così rimane deluso perché da una parte ha il mondo ideale e dall'altra quello reale. I veri romanzi corruttori non sono quelli portatori di disinganno (e quindi anche di conoscenza della verità), ma romanzi come Les liaisons dangereuses Justine, giovane donna pura e quindi corruttibile. Clarissa Queste giovani insegnano le giovani donne ad allontanarsi dall'innocenza, questi romanzi insegnano a corrompere l'innocenza. I personaggi dell'Ortis non danno cattivo esempio e non provocano disinganno e sono portatori di veridicità. L'Ortis è ciò che ci fa capire che non c'è nulla di salvifico: né la ragione, né una divinità, né la razionalità, ma a Jacopo va anche riconosciuto il modo e la forza in cui si pone contro la natura e l'universo e si mantiene fedele a se stesso senza doversi appellare a ciò che viene dall'esterno. Ortis in realtà, se proprio si vuol trovare una morale, insegna che “per vivere forti si può anche morire fortemente”. Per compiere il suicidio con Jacopo Ortis bisogna essere eroici, perché egli ha riflettuto sul suicidio e l'ha scelto come alternativa eroica. Riprendendo il giudizio di Cesarotti, Foscolo dice che in Jacopo non c'è né una malattia cancerosa, né un qualcosa di morboso (quello piuttosto è in Werther). Tutto è partito dalla parola IMITAZIONE, Foscolo ha ammesso che l'Ortis e il Werther hanno una verisimiglianza. Genette, Studio sull'ipertestualità: Ulixes schema d'azione e di relazione di xson. In un contesto diverso e in uno stile diverso (es. di trasformazione). Eneide (es. di imitazione o di trasformazione diretta): eroe diverso da Achille e Ulisse, ma stile uguale e ispirazione per una parte all'Iliade e per una parte sll'Odissea (opera contenitore). Il romanzo di Foscolo è un trasformazione di Werther, cioè trasporta i personaggi in un contesto adattato e contemporaneamente è un'imitazione perché usando lo stesso stile di Werther ha raccontato una storia diversa aggiungendo delle cose. L'ultima modalità è quella della trasposizione, che investe un intero testo ma avviene in maniera sotterranea (chi attiva questo modello non necessariamente dichiara di averlo fatto, mentre chi parodizza lo dichiara). L'Ortis è una trasposizione. Fenomeno della catena di traduzioni: il momento in cui Lotte consegna le pistole a Werther (in Goethe era schroedigen vorhabens “proposito, presentimento”), diventa dapprima proposito meditato, poi, con uno slittamento nel proto Ortis diventa un atroce attentato che riguarda solo il tentativo di seduzione di Jacopo verso Teresa. Foscolo opera su un piano da una lato qualitativo e dall'altro quantitativo (riduzione del testo, soppressione, -cadono interi episodi- e coincisioni; Genette ci parla anche di estensione e dilatazione stilistica, ma non tiene conto della sostituzione che muta l'ordine degli episodi). Foscolo utilizza la sostituzione, ma anche da soppressione (anche se non totale, perché magari la sposta) e le coincisioni. LETTERA DEL 12 AGOSTO: Albert e Werther discutono del suicidio → nell'Ortis del 98 è ripresa e riprodotta pari pari, nel 1802 sparisce, ma il discorso sul suicidio di Werther viene ripescata in un episodio successivo (22/11) dissimulando la fonte. Da werther A a ortis B abbiamo una trasformazione diretta, ma anche delle coincisioni e una trasformazione qualitativa. → Prendi le dispense in via Roero di C. → Leggi la notizia bibliografica. 7/01 Genette individua 2 modalità di trasformazione tematica, CATEGORIE NARRATOLOGICHE: DIEGETICA (trasposizione di un'azione quasi identica da un testo a un altro; es. Werther, dove l'azione è concentrata in un'estensione temporale leggermente più estesa dell'Ortis, ugualmente su un paesaggio ridotto e montano, anche se Jacopo viaggia, al contrario di Werther. Ma la scansione temporale è differente: nel romanzo italiano si arriva a una narrazione del presente nella parte di Lorenzo), TRASFORMAZIONE DIEGETICA GEOGRAFICO-TEMPORALE, con modalità prossimizzante (testo esemplare adattato e avvicinato alla sensibilità del pubblico), anche attraverso il richiamo storico (caduta di Venezia ecc.). PRAGMATICA (correggere l'ipotesto per renderlo più funzionale e chiaro con un occhio più sbilanciato sulla ricezione del testo). Foscolo interviene conservando l'azione di un personaggio, ma modificandone le motivazioni (Werther si allontana da Lotte per un incarico istituzionale, Jacopo si allontana dall'amata per seguire dei corsi all'università). SEMANTICA, che può articolarsi in 2 modi: 1 translazione (protagonisti speculari a livello narrativo) 2 transvalorizzazione (caricare un personaggio di un valore più esplicito → psicologizzazione e determinazione interiore esplicita → Goethe più di Foscolo psicologizza Werther, Foscolo gioca su questo per presentarci un eroe tutto positivo, ma più tormentato). Dalla Nouvelle H. al testo foscoliano (passando per Werther) vediamo un degradamento dei personaggi da ideali (perfetti, perché perfezionano le azioni che gli altri due lasciano incomplete), a umani. Foscolo dice che i suoi eroi tendono alla perfezione epica, ma non ne sono in possesso. Laura Lettere → Nebuloso, forse più vicino a Rousseau, ma non avendo un testo sottomano non possiamo che avanzare delle ipotesi. Proto-Ortis (pseudo Sassoli) → l'imitazione di Goethe è più presente. Racconto (i protagonisti sono Teresa, Jacopo e Angelo, che poi sarà Lorenzo. Teresa è sposata, ma all'inizio suo marito non è presente perché in viaggio. Quando Jacopo annuncia la propria partenza, Teresa è fortemente combattuta tra l'amore per il marito e l'innamoramento per Jacopo. Dopo una notte insonne di lei, l'ortolano le consegna una lettera di Jacopo dove, prima di partire, lui le confessa il proprio amore. Lei piangendo si corica presso un ciliegio con un'arpa e si assopisce. Jacopo torna e, vedendo la scena, mostra desiderio verso di lei, che svegliandosi se ne accorge, discutono, fugge, Jacopo inseguendola in casa si trova in mano il ritratto di lei e guardandolo capisce di aver commesso un errore grandissimo. Fugge, mentre Odoardo -il marito- sta tornando, si sente in colpa e ha rimorso più che soffrire per la lontananza di lei. Si rifugia da Angelo dove, ricevuta una lettera in cui lei lo redarguisce e gli rinfaccia ciò che è successo, si suicida). .; Presenza insistita di Ossian, la cui probabile matrice potrebbe ritrovarsi in Goethe, al momento in cui Werther si rende conto che se prima era ispirato da Omero, ora lo è da Ossian, ma anche subito prima della scena madre -il bacio-, in cui vengono cantati alcuni versi di Ossian, così come Teresa nell'idilliaca scena sotto al ciliegio, canta versi di ispirazione ossianica. Ossian torna nella lettera 52 -Ferrara, 8 giugno- Ossian ridotto sull'auto-riflessività: immagine del paesaggio come specchio dei pensieri sull'amore per Teresa e la relazione idealizzata con lei. Per Werther Ossian è un mito lontano, per Jacopo è quasi di casa. La vicenda del Werther è molto più circorscritta al paesino di montagna, Jacopo viaggia e si muove all'interno di paesaggi ossianici. La svolta ossianica in Goethe prepara la scena principale con un esplicito richiamo letterario, nel canto di Teresa del proto-Ortis precedente l'atroce attentato c'è un inesplicito richiamo di Ossian, che diventa presentissima dopo questa scena con la chiusura su se stesso di Jacopo. Presentissimo è anche Petrarca, dapprima con il Canzoniere poi con i Trionfi, e la poesia sepolcrale (fugacità dei piaceri terreni e della vita, morte come estremo limite verso il quale tutto tende, specialmente l'amore) –> Lettera 56 del proto-Ortis, in cui viene citata una poesia delle Notti di Young in un'ottica completamente diversa. Rousseau-Foscolo: i personaggi ricoprono ruoli differenti, e pur condividendo la stessa passione e le stesse vicende -viaggio, ritratto-, i personaggio rousseauniani riescono a concretizzare la loro passione, dal momento in cui il protagonista è convinto a evitare di suicidarsi dal fatto che la vita debba essere vissuta fino in fondo. In Rousseau è Julie che muore. A livello contenutistico non c'è quasi simiglianza tra Werther e la Nouvelle. Nel proto-Ortis la vicinanza con Rousseau è molto più sentita rispetto che nelle altre edizioni: Teresa respinge Jacopo, ma ammette di amarlo usando espressioni che sono mutuate direttamente dalla Nouvelle. Jacopo parla del suicidio, come Saint-Preux, e le donne hanno la medesima reazione. La scena della seduzione viene descritta con le stesse parole in entrambi i testi. In definitiva, possiamo dire che quando Foscolo attinge da Rousseau prende non solo dei motivi, ma soprattutto dei frammenti testuali. Anche il fatto che in Rousseau muoia Julie, mentre in Foscolo Teresa non muore, perché non vuole spostare l'attenzione da Jacopo, tradendo il significato profondo del romanzo, che non rappresenta solo la storia di un amore infelice, ma anche e soprattutto la disillusione politica e sociale di Jacopo. Proto-Ortis → Werther, notte insonne delle protagoniste, entrambe contrastate (anche se Teresa è contrastata dall'amore pietoso per Jacopo e da quello profondo e coniugale per Odoardo; sa che rivedere Jacopo sarebbe un pericolo, anche se sa che le mancherà; Lotte è combattuta da entrambe le passioni, fortissime seppur diverse e per superare la notte di tormento ha bisogno dell'intervento del marito). Per Teresa al mattino il paesaggio è vuoto e desolazione. => Motivazioni diverse, diversi atteggiamenti interiori. All'interno della stessa scena (l'attentato) le donne si comportano in maniera completamente diversa (Lotte è più attiva nella scena del bacio, Teresa rimane passiva). Il marito arriva in Foscolo quando l'azione principale è già conclusa, non serve ad influirvi sopra. Utilizzo di fonti ossianiche ricollocate. Utilizzo di Rousseau con citazioni collocate in un quadro diverso. Utilizzo del quadro goethiano ma con reazioni e personaggi caratterizzati differentemente. Ortis bolognese → Goethe è molto più esplicitamente imitato, la N. H. è presente ma a livello sotterraneo. Ortis definitivo (1802) → La situazione si ribalta, Rousseau è più presente (Firenze, 25 Settembre, Ossian è presente ma è richiamato alle vicende storico-politiche e non amorose). 13/01 L'edizione bolognese ha come fonte principale il Werther, ma vi sono differenze macrotestuali (di trama): 1) Motivi dell'abbandono della vita (per Werther sono privati, per Jacopo sono politiche); 2) Motivi dell'innamoramento per la donna; 3) Motivi dell'abbandono del luogo isolato per la città. Più in risalto sono le differenze sulle motivazioni del suicidio e le diverse passionalità dei protagonisti. La nota anteposta all'edizione dell'Ortis si compone di due paragrafi, così come la nota anteposta al Werther, da cui vengono mutuate anche delle espressioni (donare lacrima, conforto). L'editore del Werther è passivo: non partecipa e non commenta, al contrario di quello dell'Ortis, definito e individuato, che agisce all'interno della trama. Diverso è anche il tono che i due personaggi usano: nel Werther un tono defilato, nell'Ortis un tono forte e atteggiamenti di gusto alfieriano, al punto che alcuni studiosi (Binni) hanno pensato che l'elemento alfieriano fosse da attribuire maggiormente a Lorenzo che a Jacopo. Lorenzo sceglie inoltre di “dedicare un monumento alla virtù sconosciuta”, quasi a riprendere il dialogo di Alfieri che legittima un non letterato come se lo fosse: Lorenzo dà insomma una veste letteraria alle lettere, che assumono importanza letteraria solo in virtù dell'azione di Lorenzo. Goethe si rivolge nella nota nel primo paragrafo ai lettori, nel secondo all'anima sensibile, Foscolo invece non si risolve al lettore, si limita a spiegare la trama, poi nel secondo si rivolge al lettore, ma a differenza di Goethe si atteggia nei confronti del lettore con un atteggiamento agonistico, da subito. I suoi destinatari sono coloro che non condannano chi si toglie la vita, essendo loro stessi in una condizione tale da non poter condannare nessuno, cioè coloro che comprendono il concetto di libera morte. Il problema dell'apologia al suicidio se lo pone anche Goethe, che decide di anteporre al romanzo due quartine in cui l'anima che ha a cuore la memoria, suicida, invita i vivi (i lettori) a non seguirla. Foscolo (Lorenzo) usa questi versi, ma nel suo avviso al lettore anteposto si può dire che giochi la carta opposta, scegliendo di fare di Jacopo un modello di libera morte, al pari di Saul e altri, dal quale il lettore potrà trarre esempio e conforto. Foscolo non sembra qui preoccuparsi, ancora (lo farà solo nella notizia), di stare compiendo un'apologia del suicidio. Per Foscolo Jacopo è la sua proiezione, Jacopo è un eroe che compie un gesto che Foscolo non compirà. Jacopo è estremamente coerente con i propri ideali, che segue fino all'estremo gesto (paradigma oblativo=sacrificio di sé). Foscolo sceglie di andare oltre la morte e il suicidio eroico, decidendo di lasciare testimonianza di sé attraverso le proprie opere, mentre a Jacopo per far ciò è necessario l'intervento di Lorenzo. Per arrivare a far compiere il gesto al protagonista, Foscolo sviluppa già delle 45 lettere dell'Ortis bolognese ('98) tematiche che resteranno fondanti anche nelle edizioni successive. Entrambi iniziano (lettera 1) con un elogio della natura, descritta in una sorta di idillio (in Foscolo quasi stereotipata): entrambi si collocano in un luogo fisico che ha le caratteristiche del locus amoenus, e in uno spazio temporale inscritto nel momento presente. Diverse sono le motivazioni che hanno spinto i due protagonisti a raggiungere quel luogo (Werther per ragioni esterne, episodio con la giovane Eleonore; Foscolo anche, che però fugge da un'accusa e ha lasciato la madre). Werther gioca a fare il seduttore e ha lasciato un cuore infranto, Jacopo fugge e celebra l'importanza dell'amore filiale. Jacopo si rallegra di essere lontano dalla vita pubblica e dalla vita eroica, a favore di una vita ordinaria ma pacifica (→ T. Gray, vv 57-72 di un'elegia: “una bassa nascita, una condizione modesta, possono impedirci di raggiungere la gloria, ma ci tengono lontani da delitti e meschinità). La scelta di Jacopo è una scelta politica, che lo tiene lontano dagli affetti familiari, però è sicuro che questa scelta lo terrà lontano dal commettere crimini. Lettera 27 dell'ortis bolognese: il modello è Rousseau (oltre al Werther), le lettere 23 e 26 di SaintPreux, in cui questi declina la tematica del confronto tra natura selvaggia e natura mansueta e la tematica della natura che ospita e amplifica i sentimenti del protagonista. Saint-Preux cerca di placare la passione per Julie correndo nella natura “morta” ai suoi occhi, così come morta è la speranza di unirsi alla ragazza (che ha definitivamente scelto di sposare un altro). Questo avviene anche in Werther (lettera del 18 agosto, natura che blandamente accompagna il suo stato d'animo malinconico, poi gli dà agio di sentirsi divinizzato. La transazione è rapida e abbastanza incurato, da questo paesaggio a un paesaggio dirupato che genera ansietà a cui Werther reagisce ordinariamente vedendovi una minaccia non solo riflessa nel suo stato d'animo, ma verso tutta l'umanità. La natura diventa la tomba aperta eternamente, in cui di generazione cadono tutti gli uomini: la natura è eterna nemica. Ortis (14 Maggio) si pone il problema ponendolo sul carattere teorico, il paesaggio è presentato in maniera pacifica e serena, con un'immagine distensiva. Il registro cambia improvvisamente nello stesso paragrafo, quando Jacopo guarda in basso, dove vede una voragine (non una tomba) con un fondo scuro, che non assume mai la dimensione di orrore o una valenza evocativa di una soluzione religiosa, ha sempre una dimensione etica, umana. 14 Marzo --> precisa volontà dell'uomo; crudeltà della natura nel Werther, mentre nell'Ortis essa amplifica i sentimenti dell'uomo, ma è l'uomo il nemico di se stesso, che si divora. L'uomo non è la vittima come nel Werther, ma è carnefice. In Rousseau la natura descritta serve per riflettere l'anima del protagonista, la natura è più semplice, si eleva nel Werther con un'implicazione religiosa, per poi abbassarsi di nuovo in Foscolo, dove a essere al centro è l'uomo, nemico di sé stesso. Dio ci è presentato come presente, non come vendicativo, da Goethe, mentre in Foscolo la religiosità riecheggia il mondo pagano e classico, e non sfocia mai in una assolutizzazione della fede. L'infinito di Foscolo rimane terreno, è un essere “hic et nunc”, il suicidio è solo la conseguenza della fine della speranza sia nella vita sia nell'aldilà, un'estrema rassegnazione. In effetti il mondo che Jacopo ci dipinge trasuda di una dimensione panica e classicheggiante. Lettera 6 (21 Settembre): Jacopo dice di provare il desiderio di conoscere la storia (=> il passato), ma poi dice che il passato è figlio del nostro amor proprio volenteroso di illudersi che l'esistenza abbia un futuro, non è consolatorio. Jacopo è costruito in modo tale da non poter fuggire alla scelta finale, che farà nel momento in cui non avrà più appigli nel mondo, in cui saranno caduti tutti gli agganci che potrebbero donargli felicità. Werther invece è in tutto e per tutto un eroe romantico, è portato dalla vicenda amorosa. Anche gli antagonisti dei due protagonisti sono descritti in maniera oppositiva: Albert è calmo e pacifico, Odoardo è in genere positivo, solo un po' pedante (in comune con Werther ha l'essere pittore). Cos'è il genio artistico? 22 Marzo (Werther): la società crea dei vincoli che convogliano il genio artistico e gli impediscono sia di manifestarsi sia di incorrere in brutte situazioni (giusti limiti come argini che consentono al rapido torrente del genio di scorrere pacatamente a margine delle aiuole coltivate dai tulipani, di coloro che sono civili e guardano al genio con preoccupazione). C'è un solo modo in cui il genio può sottrarsi a tutto questo: trasgredire. 19 Settembre (lettera 5): il genio deve ribellarsi all'essere incardinato, ma Foscolo è più esplicito e meno metaforico, Jacopo afferma che il genio deve ribellarsi e parla di mille accidenti che lo hanno molte volte gettato in mezzo al delitto quando ha deciso di ribellarsi, ma lui non teme questa scelta e prende questa strada anziché seguire il canale imposto. L'altra alternativa a tutto questo per le “anime generose” (=> non li condanna) è il suicidio. Jacopo sceglie tra queste due alternative: la rivolta politica o l'abbandono della vita. 23 Ottobre Ortis, 10 Settembre Werther: svolta narrativa di entrambi i romanzi secondo Nicoletti. Queste lettere hanno in comune il momento che immediatamente ne precede la stesura (momento di grazia, di innamoramento, sono in una fase positiva, in cui non scrivono ai loro corrispondenti a causa dell'amore, per cui cessano di essere degli storici). In realtà Jacopo avrebbe voluto scrivere a Lorenzo, ma qualcosa lo interrompeva sempre: gli inviti di Teresa (entra in gioco la nozione di storico e lo stato d'animo di felicità). Le due fanciulle dal canto loro sono raffigurate in maniera identica: Werther descrive un angelo che lui si sente impotente a raffigurare, Foscolo parla di un'angelica donna che non riesce a raffigurare. Citazioni testuali e episodi narrativi speculari: Werther evoca la Festa di Primavera di Clopstock guardando Lotte negli occhi, in cui il poeta elogia la natura che lo circonda, la celebra come intervento divino sulla terra; Jacopo, per tentare di dar voce allo smarrimento che gli provoca la vista di Teresa, cita Petrarca e Teresa riprende Alfieri. Inoltre in entrambe le lettere in scena ci sono tutti e tre i protagonisti (Werther, Lotte, Albert – Jacopo, Teresa, Odoardo), e le donne ricordano un genitore che avrebbe voluto vederle sposate e le morti: Lotte ricorda la morte della madre e si conforta col pensiero di ritrovare lei e tutti nell'aldilà, Teresa ricorda il padre e immagina di ritrovarsi in un futuro immediato loro tre in questi luoghi (hic et nunc). Teresa emerge come una donna che ha posto l'obbedienza ai valori familiari come priorità nella propria vita e cerca il conforto da Odoardo, per fargli capire che ha sposato quell'uomo anziano per volontà del padre e, rimasta vedova, lo sposa. Lotte segue il volere materno ma prevede la sua scelta futura, nell'Ortis Teresa è premiata sempre per la propria esemplarità, tanto forte da contagiare gli uomini che la amano (prima Odoardo, poi Jacopo, che rinuciano a lei in virtù della sua esemplarità). Questo carattere delle donne darà luogo alla svolta narrativa: Werther si uccide, Jacopo si allontana. Per la parte affettiva Teresa raggiunge l'eroismo che ha Jacopo per la parte politica, è oblativa come lui, si sacrifica, seppure con significato diverso. 14/01 I temi caratteristici dell'Ortis bolognese (98) ricorrono anche nelle edizioni successive. LETTERA 28/10 – LETTERA 21 AGOSTO: si parla di suicidio, lettere speculari. Della traduzione di Salom, che probabilmente aveva sotto gli occhi Foscolo, non viene riportata la discussione tra i personaggi (Werther e Albert), ma il fatto di cronaca. Werther si reca da Albert per chiedergli le pistole, e assume un atteggiamento provocatorio (si punta, giocando, una pistola alla fronte, Albert si arrabbia e inizia un dibattito. Albert è come un fratello saggio, crede che il suicidio sia condannabile in toto come atto di debolezza senza poter essere giustificato dalle motivazioni. L'unico suicidio accettabile è quello di chi si uccide per le proprie passioni, che viene scusato così come si scusa un pazzo o un ubriaco. Werther non accetta il punto di vista di Albert, dice che chi si uccide non lo fa sempre per debolezza, ma anche per reazione -fa un esempio politico: il popolo che insorge contro la tirannia-, compara il suicidio a una malattia organica). SALOM OMETTE IL DISCORSO, FOSCOLO INVECE RIPRENDE SOLO QUELLO, TRALASCIANDO IL FATTO DI CRONACA. Nella lettera 11 dell'Ortis abbiamo specularmente un confronto tra Jacopo e Odoardo. Quest'ultimo, che nella versione bolognese ha una stretta amicizia con Jacopo, lo va a trovare per annunciargli la partenza. Jacopo in un impeto di affettività lo abbraccia, Odoardo rimane impassibile, Jacopo dice che questa è la sua natura, che non gli permette di capire lo slancio di passioni (usa le stesse posizioni di Werther). Elogio delle passioni e di chi è passionale (cfr “Essay on man” di Pope, in cui si parla della “indolente apatia degli stoici, che non gli permette di vivere a pieno la loro vita): “lascia che i saggi si crogiolino nella loro infeconda apatia” e ricorda di aver letto da un poeta che “più la burrasca che la calma” dà ispirazione ai poeti e agli uomini. LETTERA 15 (31/11): snodo dell'Ortis molto noto, Jacopo si reca a casa di Teresa e la sente suonare l'arpa recitando versetti di Saffo che lui stesso aveva tradotto, vestita di bianco. Delizia nel contemplarla. Immagine estremamente manierata, non è una reazione passionale, ma estetica, quasi rococò: guarda le scarpe. Strumento nobile, che lei suona con compiacimento malinconico. Legge la poesia lirica o la narrativa di alto livello. Nel Werther anche Lotte suona, ma suona un “clavicembalo dissonante” e usa la musica per sfuggire da ciò che la infastidisce. Werther si sente invece aiutato dal questo strimpellare. Lotte legge soprattutto romanzi di non elevato livello. Ella è sentimentalmente più ambigua di Teresa, consapevole com'è della propria sensualità, seduce intenzionalmente Werther, che a un certo punto, così preso, capisce che è proprio lei che gli sta offrendo il veleno che lo ucciderà (amore come veleno). Jacopo viene invece salvato da Teresa, che mantiene un atteggiamento composto sempre. VELENO come AMORE: LETTERA DEL 6/04 (Ortis). Stesso parallelo, ma qui è Jacopo stesso che se l'è preparato. Questo essere estremamente perfetta di Teresa nell'Ortis bolognese (che ad alcuni critici risulta un troppo) si ripresenta al momento della “PROVA” (cfr Nicoletti), cioè della lontananza durante il periodo veneziano, quando Jacopo (7 e 29 dicembre) incontra la nobildonna. Qui sono ripresi Werther (va in città e si trova in difficoltà su due fronti, quello sociale e quello personale: una città rigida, di cui lui entra in contatto con la nobiltà e in particolare con il conte, che lo invita ad un pranzo, dove vede il malanimo dei commensali a disagio con lui, al punto che il conte è costretto ad allontanarlo dalla mensa. Il giorno dopo tutti parlano dell'episodio e lui vorrebbe ucciderli; incontra la signorina Von B. che lo invita a casa sua e ne è attratto perché somiglia a Lotte e il suo rango di lei diventa la causa primaria del distacco, quando lei lo umilia. => L'ingresso sociale fallisce e lui dovrebbe tornare tra le braccia di Lotte) e Rousseau (Saint-Preux va a Parigi, città tentacolare. Ha il ritratto di Julie, che dovrebbe salvarlo dalla corruzione e dalla moralità bassissima. Ma una mattina si risveglia, coi postumi della sbornia, a letto con una donna). Nell'Ortis bolognese è molto meno chiaro il motivo del distacco di Jacopo da Padova, il disagio è solo suggerito, mentre esploderà nelle edizioni successive, con la rabbia di Jacopo contro i falsi amici amici, che non sono in grado di comprendere gli spiriti sublimi li chiamano pazzi. Lui si sente strozzato (cfr Goethe). Jacopo è in crisi anche a livello personale, incontra una donna nobile, che gli ricorda l'immagine di Teresa, benintenzionata verso di lui, ma quando Jacopo è sul punto di concedersi vede l'immagine di Teresa e si allontana (torna l'immagine del veleno), rammaricato perché forse questo sarebbe stato l'antiveleno => Jacopo non fallisce, anzi è l'unico che si rende conto che il cedimento avrebbe potuto salvarlo dal suo ineluttabile destino. ELEMENTO ONIRICO (SOGNO): sogno come metafora della vita. LETTERA 22 (29/01) vs LETTERA DEL 22/05 del Werther. Immagine della passeggiata. Jacopo passeggia assorto, Werther è in una condizione simile, anche lui passeggia e riflette sulla fugacità della vita umana. Però il tema è declinato in modo differente, perché tutta la vita è un sogno, un inganno, un'illusione di realtà dell'uomo; non c'è rifugio o consolazione, se si può sottrarsi a questo mondo inconsistente (nebbia) l'unica cosa da fare è chiudersi in se stessi e cercare il mondo interiore che l'uomo intuisce dentro di sé. Jacopo invece dice che le cose che lo circondano sono inconsistenti, c'è nulla, il vuoto, non c'è conforto o consolazione. Werther ironizza su coloro che tentano di sfuggire all'essere sogno del mondo affaccendandosi grandemente, invano, perché comunque rimangono nel vuoto. Jacopo è più poetico, riflette nella natura che lo circonda l'inutilità del darsi da fare: ciò che ci circonda esiste indipendentemente da noi, non lo possiamo governare. Entrambi gli uomini non si concedono salvataggio, il darsi da fare, il battersi per qualcosa, sanno che porta a una sconfitta ineluttabile, ed entrambi loro saranno sconfitti. Jacopo aggiunge che tutto questo darsi da fare, che per Werther aveva un rigore ben preciso, non ha un ordine, ma è un caos ferino, malanno vero dell'uomo (tutto spinge in questa direzione). Lauretta ricalca la Maria di Sterne e la Eleonore del Werther. Esse sono donne vittime di un amante crudele, incarnano in sé gli esiti della passione infelice (qualcuno sostiene che esse sarebbero spie testuali che dovrebbero preannunciare al lettore attento il destino dei protagonisti maschili, anche se in realtà Jacopo non è sedotto da un'amante crudele -questa ipotesi non quadra e non tutti sono d'accordo-). Nell'Ortis definitivo Jacopo emerge con una fisionomia più netta, con tratti più eroici, più marcati (simile a Saul); il tratto politico diventa dominante rispetto agli altri; il periplo attraverso l'Italia è da una parte il distacco da Teresa, dall'altra la consapevolezza che l'Italia si stia disgregando; Jacopo non cerca più rifugio nella natura, così come la natura infelice dell'uomo è chiara e definitiva fin dall'inizio, gravando inoltre il peso della patria malata. I valori su cui si fonda l'esistenza sono: i valori familiari (madre), quelli amicali (l'editore Lorenzo) e quelli per la patria, contesa tra tre fazioni. I francesi sono quelli che ingannano con l'illusione di libertà, portando tirannia (Napoleone), gli austriaci che hanno perso con le armi e la rivogliono conquistare con i soldi, e ancora peggio gli italiani. Essi rendono inoltre inutile qualunque azione del patriota. Nell'edizione definitiva le scene idilliche sono ridottissime, a favore di quelle politiche. Odoardo è antipatico, Teresa continua il suo processo di divinizzazione, radunando in sé tutte le qualità possibili. LETTERA 23/10: nello speculare dell'Ortis bolognese (20/11), il trio che va in GITA AD ARQUA' è in situazione di armonia e amicizia, Odoardo pittore si sta divertendo a fare un ritratto di Laura (Petrarca), Teresa li prende entrambi sotto braccio; nella versione definitiva invece non c'è armonia, Odoardo è infastidito e Jacopo diventa l'interlocutore di Teresa, e la ragazza sembra essere il perno della discordia. Il padre di Teresa è disposto a sacrificare la figlia, la madre per protesta si allontana definitivamente. Foscolo attribuisce al signor T. di giocare un ruolo paterno anche nei confronti di Jacopo, che lo convince a lasciare la figlia, puntando sul piano dell'emotività e sul senso del dovere. Questa scena sembra riprendere Rousseau e il contrasto tra il padre e Sain-Preux. La figura della madre potrebbe mediare, ma non lo fa e muore senza riuscire a salvare la figlia. LETTERA DEL 14/05: Foscolo reintroduce la scena dell'atroce attentato (il BACIO), da cui derivano tutta una serie di riflessioni che giocano in maniera propria per definire meglio l'aspetto sentimentale ed emotivo, che risulta così potenziato e rinsaldato. Nel riutilizzare questa scena si rifà molto più a Rousseau che a Goethe, soprattutto per ciò che riguarda le conseguenze del bacio. ROUSSEAU: Saint-Preux descrive le conseguenze del bacio (immagine del veleno), ha avuto una sensazione di avvelenamento e di smarrimento. Ma al bacio segue l'unione dei due, che diventano amanti. Invece nell'Ortis, dopo il bacio Teresa si allontana e in Jacopo rimane un sentimento di rimorso. In lui dopo questo episodio cambia tutto, anche lui si divinizza come Teresa attraverso il bacio di lei. Teresa prende violentemente coscienza del sentimento per Jacopo, Julie lo sapeva già; Jacopo si divinizza, Saint-Preux si perde. Nell'Ortis bolognese l'oggetto-ritratto che dopo la scena del bacio cade dalle mani di Teresa non c'è. Nella versione definitiva Jacopo chiede il ritratto di Teresa, che rifiuta. Questo riecheggia la lettera di Rousseau dove Saint-Preux chiede il ritratto a Julie, che accoglie subito la sua richiesta e lui usa l'oggetto come scudo. Jacopo avrà il ritratto per mano di Teresa, che glielo mette al collo (ripresa dell'immagine di Elisa che mette al collo del protagonista il ritratto nel “Viaggio sentimentale” di Sterne. Questione del SUICIDIO. A partire dal 25/05 (Ortis 98) inizia il percorso verso il suicidio (cavalca a briglie siolte, recita Saul ecc.). Nell'Ortis 1802 (dal 25/09) la questione è posta tutta sul piano politico e sull'impossibilità di essere patriota senza commettere delitti. Nella lettera del 4/12 Jacopo fa una categorizzazione di uomini: 3 categorie da cui si esclude, escludendosi anche da qualunque consorzio umano, e quindi anche dalla vita. La lettera più esemplare è quella da Ventimiglia (19/29 febbraio), che raccoglie le motivazioni che spingono Jacopo al suicidio. Essa tiene conto del confronto tra Werther e Albert con cui è stata aperta questa lezione, ma anche della parte in cui Saint-Preux riflette sul suicidio (se la vita è orrore il suicidio rispecchia la volontà divina, che ti ha messo nella condizione di scelta tra il vivere indegnamente, cioè commettendo delitti e peccati, o morire degnamente), a cui Foscolo si riaggancia rendendo plateali le motivazioni. La scena di congedo, emotivamente carichissima, deriva da Rousseau, mentre è completamente assente dal Werther. Rousseau entra nell'Ortis quando Foscolo vuole mettere in scena la parte emotiva ed emozionale. Ma Julie muore perché si è abbassata ad essere umana diventando amante di Saint-Preux; Teresa resta divina (al suo confronto ad essere imperfetto è Jacopo, che invece rimane perfetto a livello politico). Goethe entra nell'Ortis quando Foscolo vuole mettere in scena la parte politica. Sterne entra ogni tanto. Il Werther è molto più presente quindi rispetto alla N. H., che comunque ha una parte fondamentale per quanto riguarda gli snodi narrativi.