INTRODUZIONE
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INTRODUZIONE Una sera, nel 1988, mi capitò di assistere a uno speciale televisivo sul problema degli hooligans inglesi. Fu prima proiettato il film “The Kop” (uscito in italiano col titolo “Ultimo Stadio”) di Alan Clarke, girato a Liverpool e successivamente seguì un dibattito sul problema. Tra le interviste che vidi ce ne fu una che mi lasciò parecchio stupito: era realizzata ad un tifoso del Manchester ed è stata riportata in un libro di Antonio Roversi. Il tifoso diceva così: “Io vado alla partita per una sola ragione: la rissa. È un’ossessione. Non posso rinunciarvi. Mi piace così tanto che quando vado in cerca di uno scontro quasi me la faccio addosso... giro per tutto il paese in cerca dello scontro... Ogni notte della settimana noi ce ne andiamo in cerca di guai. Prima della partita ce ne andiamo in giro con l’aria di persone rispettabili... poi se vediamo qualcuno che sembra un avversario gli chiediamo l’ora: se risponde con l’accento di fuori lo picchiamo e se ha del denaro lo ripuliamo.”1 Quello che mi stupì non fu tanto il discorso dello hooligan, quanto il fatto che egli era uno studente, anche abbastanza diligente, vestiva bene, non aveva l’aspetto di quelli che definivo comunemente “hooligans”. Del resto anche il film “The Kop” mi aveva sorpreso perchè la storia è quella di un impiegato bancario che la domenica si trasforma in un temibile capo hooligan. Abituato com’ero all’immagine dei tifosi violenti inglesi che ci veniva fornita da TV e stampa negli anni seguenti la strage dello Heysel, non riuscivo a capire cosa c’entrassero questi due personaggi in quel mondo di “bestie ubriache” che sapevo essere il mondo del tifo inglese. Qualche anno più tardi, nel 1992, mi trovavo a Brescia in qualità di tifoso della Fiorentina (Brescia-Fiorentina del 22-11-1992). Conoscevo la pericolosità delle due tifoserie (e infatti c’era un notevole dispiegamento di forze di polizia), ma la mia voglia di andare in “curva viola” a tifare prevalse anche quel giorno sulle considerazioni per la mia salute fisica. Fu verso le 13.30 (la partita iniziava alle 14.30) che mi avvicinai a un tifoso fiorentino con la testa e la faccia coperta di sangue. Gli chiesi cosa fosse successo e mi disse che c’erano stati scontri tra le due tifoserie e che una sassata lo aveva colpito alla testa. Quello che mi disse dopo mi è rimasto particolarmente impresso: “Noi il nostro dovere l’abbiamo fatto, ora speriamo che quelli lì facciano il loro.” (Quelli lì erano i calciatori ospiti che si stavano scaldando). Ho raccontato questi due episodi, in quanto essi hanno costituito la principale “molla” che mi ha spinto a cercare di saperne di più, a cercare di capire come mai lo hooligan inglese del documentario fosse un ragazzo “a posto” (non corrispondente all’immagine truce che avevo degli hooligans), e come mai l’ultrà fiorentino (altrettanto a posto nell’aspetto) percepiva come suo “dovere” quello di scontrarsi coi tifosi avversari, quasi che questo aiutasse la squadra a giocare meglio. Questa mia curiosità, unita alla mia passione sfrenata per il calcio e per il tifo calcistico sia italiano sia inglese, mi ha spinto a presentare questo lavoro. E proprio il caso inglese e quello italiano sono al centro di esso, perchè ritengo che l’importanza del football nelle due nazioni, nonché l’attaccamento alla propria squadra di calcio, sia molto forte e, pur con tutte le differenze che metterò in evidenza, molto simile. Nonostante tutte le diversità tra i popoli inglese e italiano, comportamenti, passioni al limite della follia come quelle descritte nel film “Fever Pitch” (uscito nei cinema nei giorni in cui scrivo), sono riscontrabili in tutto e per tutto anche nel tifoso italiano. In molte scene del film (tratto dal best seller di Nick Hornby)2 , viene da sorridere vedendo certi comportamenti 1 2 Roversi Antonio, Calcio e violenza in Europa, Bologna, Il Mulino, 1990, p.43 Honby Nick, Fever Pitch, London Indigo 1992 VII maniacali del supporter dell’Arsenal protagonista, ma i tifosi come me si riconoscono appieno in molti di essi. Caso inglese e caso italiano dunque: questo lavoro si articolerà in sette capitoli che possono essere divisi idealmente in tre blocchi, pur essendo tra loro strettamente connessi. Nei primi due capitoli affronterò l’argomento della violenza dentro e fuori gli stadi di calcio da un punto di vista storico e sociale nei due Paesi in questione. Verranno presentati e descritti i principali episodi di violenza calcistica verificatisi dagli anni sessanta (gli anni in cui possiamo datare la nascita del teppismo calcistico odierno) in poi. Nel terzo capitolo mi concentrerò sulle analogie e differenze tra mondo del calcio inglese e italiano, nell’organizzazione del tifo e nei modi in cui avvengono gli episodi di violenza e di teppismo. In particolare darò largo spazio ad argomenti quali la provenienza sociale di hooligans e ultras, il loro rapporto con le società di calcio e le istituzioni sportive, il rapporto con la squadra nazionale del proprio Paese. I successivi tre capitoli costituiscono il secondo blocco: gli argomenti trattati sono l’analisi sociologica del fenomeno della violenza negli stadi, i rapporti tra calcio, violenza e politica e l’atteggiamento dei mass media nei confronti della violenza, degli hooligans e degli ultras. Il quarto capitolo espone la trattazione e gli studi sociologici sul fenomeno hooligans in Inghilterra e sull’universo ultrà in Italia. Vedremo come l’analisi sociale si è evoluta a partire dagli anni sessanta e noteremo il grande divario tra l’Inghilterra (dove si è giunti addirittura ad una “iper-produzione” di saggi e teorie sullo hooliganism) e l’Italia (dove solo nell’ultimo decennio possiamo riscontrare un’analisi sociologica soddisfacente). Il quinto capitolo verterà sui rapporti tra calcio, violenza e mondo politico, un rapporto stretto (a volte più di quanto non sembri) in Italia, quasi inesistente in Inghilterra. In particolare verrà evidenziata la natura politicamente estremizzata degli ultras (che nascono negli anni settanta sullo sfondo dei grandi conflitti politici e dei movimenti giovanili), nonché la tematica del razzismo e dell’estremismo di destra, che si insinua da qualche anno a questa parte in modo insistente nelle curve di tutta Europa, attraverso numerosi canali. Il sesto capitolo si presenta come il più “scottante”, in quanto analizza un tema sempre dibattuto e costantemente al centro della vita quotidiana di ognuno di noi: il ruolo dei mass media, in questo caso naturalmente nei confronti della violenza negli stadi. Anche qui cercherò di mettere in luce le differenze tra i due Paesi, tenendo conto dell’esistenza e dell’importanza dei tabloids in Inghilterra e della stampa sportiva in Italia. Analizzerò l’atteggiamento che la stampa e la televisione hanno avuto e hanno tuttora nei riguardi della violenza negli stadi e più in generale del mondo del calcio. Non mancherò di sottolineare le responsabilità e le colpe (a volte notevoli) che i media inglesi ed italiani hanno avuto nei decenni scorsi, nel riportare e nel commentare gli episodi di violenza calcistica, nonché i cambiamenti di atteggiamento nei confronti del problema, verificatisi col passare del tempo. Infine delineerò quello che, a mio avviso, può essere il ruolo dei media nella lotta alla violenza, un ruolo importante (soprattutto in Italia dove i quotidiani sportivi sono tra i più letti), partendo però da un’ammissione delle colpe e degli errori del passato che si perpetuano tuttora in molti comportamenti di stampa e televisione. L’ultimo capitolo ripercorre e riprende i temi principali dei capitoli precedenti, analizzati nell’ottica della lotta alla violenza negli stadi. Descriverò cosa è stato fatto in passato, gli sviluppi odierni delle politiche anti-violenza e, comparando il caso inglese a quello italiano, indicherò le soluzioni che a mio avviso, possono migliorare la situazione di stallo e di vuoto decisionale, da anni caratteristica del nostro Paese in questo campo. In particolare l’analisi si concentrerà sul periodo Thatcheriano in Inghilterra (gli anni ottanta), sicuramente il periodo più duro e fosco per VIII quanto riguarda la violenza calcistica, un periodo di dura repressione ma di sostanziale fallimento nella lotta agli hooligans. Vedremo il perchè di questo, vedremo cosa cambiò in termini di approccio al problema dopo il disastro dello Hillsborough Stadium a Sheffield e soprattutto vedremo come oggi negli stadi inglesi (e intorno ad essi) il problema hooliganism sia del tutto marginale, mentre continua ad essere presente quando i tifosi inglesi seguono le loro squadre (in particolare la Nazionale) all’estero. Comparerò poi il “British way” col metodo seguito in Italia, che non sortisce ancora risultati accettabili e non ne sortirà se continuerà su questa strada; da più parti (soprattutto da parte delle società calcistiche e degli organi di polizia) ci si è ormai resi conto che la via da seguire è quella inglese, ma il vuoto legislativo e le resistenze nei riguardi delle soluzioni da adottare, ritardano il raggiungimento di risultati positivi. Mi permetterò infine, senza alcuna pretesa di indicare soluzioni definitive, di avanzare alcune proposte, che potrebbero integrarsi con l’applicazione del metodo inglese di lotta alla violenza, e contribuire a migliorarne i risultati, tenute presenti le differenze tra i due Paesi in termini di tifo calcistico e di tutela dell’ordine pubblico. Oltre a ciò che ho scritto poc’anzi, in questi sette capitoli mi propongo di far cadere i pregiudizi, i luoghi comuni, le generalizzazioni, la costruzione di “panico morale” ingiustificato3 , elaborati soprattutto dai media e accolti in gran parte dall’opinione pubblica. In particolare, “miti” come quello del tifoso inglese eternamente ubriaco e quindi potenzialmente violento, dell’ultrà italiano descritto come un imbecille disadattato, del bisogno di misure più dure e punitive per risolvere il problema della violenza negli stadi, devono essere cancellati all’interno del mondo del calcio, dalle istituzioni sportive e governative, soprattutto dalle forze di polizia, perché, come il caso inglese ha dimostrato, la sola repressione non porta a risultati positivi nel lungo periodo, ma anzi, favorisce il perpetuarsi della violenza. Vorrei ringraziare il Prof. Anderson per la fiducia accordatami e per i preziosi consigli fornitimi durante lo svolgimento del presente lavoro. Inoltre un ringraziamento va ai titolari dell’Archivio sul Tifo Calcistico Europeo della U.I.S.P. Romagna di Bologna e in particolare Carlo Balestri, ideatore del “Progetto Ultrà”, senza il supporto dei quali questa dettagliata panoramica sul tifo calcistico e sulla violenza negli stadi in Inghilterra e in Italia non sarebbe stata possibile. 3 Il moral panic di cui parla Cohen in Cohen Stanley, “Images of Deviance”, Harmondsworth, Penguin, 1971 IX Capitolo I INGHILTERRA: 1890–1990 UN SECOLO DI SOTTOCULTURA HOOLIGAN 1.1 ALCUNE DEFINIZIONI “If you are an English male and you like football, then you must be a drunken hooligan!”1. Suonava più o meno così la tipica frase del tifoso inglese negli anni settanta e ottanta, quando veniva trattato come “feccia” dalla polizia e additato come tale dalla stampa e perciò dall’opinione pubblica del suo Paese; è tuttora così per i supporters che si recano all’estero. L’esempio più recente di come vanno le cose quando gli inglesi seguono la loro Nazionale all’estero è datato 11 ottobre 1997: in quell’occasione (Italia-Inghilterra valevole per le qualificazioni ai Mondiali del 1998) sono emersi tutti i pregiudizi e le tensioni che caratterizzano l’accoglienza dei tifosi inglesi all’estero, da parte delle forze dell’ordine locali e più in generale da parte del Paese ospitante . Ma perché i tifosi inglesi sono ancora oggi considerati la “feccia” d’Europa? Perché dovunque si spostano vengono adottate misure di sicurezza degne di uno stato d’assedio che la maggior parte delle volte provocano disordini e arresti? Scopo di questo primo capitolo è quello di analizzare il modo in cui gli hooligans hanno contribuito all’immagine brutale che il tifo inglese ha conservato fino ad oggi. Non è del tutto sbagliato dire che gli inglesi, dopo aver esportato il gioco del calcio, hanno esportato anche il male che c’è attorno ad esso. Vedremo come incidenti e atti di teppismo sono presenti fin dall’inizio del secolo alle partite di calcio o conseguentemente ad esse (questo avviene in Inghilterra come anche in altri Paesi tra cui l’Italia); 1 “Se sei un maschio inglese e ti piace il calcio, allora devi essere per forza un hooligan ubriacone”. X ma è un certo tipo di violenza legata al calcio, il cosiddetto football hooliganism, che prende piede in Inghilterra prima che negli altri Paesi e che costituirà un esempio da imitare per i giovani tifosi o pseudo-tali di tutta Europa. Bisogna subito chiarire che per football hooliganism si intende un tipo di violenza perpetrata da spettatori alle partite di calcio, per lo più giovani, che ha la caratteristica di essere premeditata e fine a sé stessa. Lo hooligan va allo stadio principalmente per fare a botte, la partita è quasi un surrogato e comunque un pretesto per la contrapposizione fisica. Diciamo quindi che se fin dagli inizi del secolo si registrano episodi di violenza alle partite di calcio, essi sono principalmente indirizzati contro giocatori e arbitri o sfociano in rivolte cittadine contro la polizia, ma sono comunque originate dalla tensione del gioco, o da una partita finita male per la propria squadra. Anche se il termine hooligan nasce nei primi del Novecento per definire le bande di teppisti urbani (la Hooley’s Gang era una banda di giovani teppisti di origine irlandese che agiva nell’East End Londinese), il football hooliganism nell’accezione odierna appare sugli spalti degli stadi inglesi alla fine degli anni sessanta. È comunque interessante e di grande aiuto cominciare l’analisi dall’inizio della storia del calcio (alla fine dell’Ottocento) ai fini di comprendere come in realtà la sottocultura hooligan fosse presente già da allora nella mentalità soprattutto dei giovani della classe operaia (la working class), ovvero coloro che in maggioranza seguivano il calcio, e come questo comportamento sia sopravvissuto e si sia evoluto nel corso del secolo fino ai giorni nostri, coinvolgendo anche giovani provenienti da strati sociali più elevati. Il termine “sottocultura” è definibile come un processo di socializzazione che coinvolge elementi della stessa generazione (in questo caso giovani) che condividono un insieme di comportamenti che vanno dall’abbigliamento, al linguaggio, al modo di gesticolare, al modo di comportarsi in pubblico e nel caso dello hooligan al modo di combattere. Tutti questi atteggiamenti accentuano il sentimento di appartenenza a un gruppo.1 E questa sottocultura nata in Inghilterra influenzerà poi molti giovani di tutta Europa, proprio come succedeva spesso con le mode e gli stili giovanili. È questa infatti la peculiarità inglese: l’Inghilterra è sempre stata la nazione-guida nell’Europa del secondo dopoguerra, per quanto riguarda la nascita degli stili giovanili diffusisi poi a macchia d’olio in tutto il continente. Dai teddy boys degli anni cinquanta, ai mods e ai rockers degli anni sessanta, alla musica e allo stile punk degli anni settanta ed è interessante vedere come questi stili si sono diffusi anche all’interno delle football ends (le parti degli spalti situate dietro le due porte) creando poi lo stile skinhead che è quello che ha prevalso in tutte le curve d’Europa (siano esse state occupate dagli ultras italiani o spagnoli, dai siders belgi o olandesi, dai supporters tedeschi o greci). 1 definizione di Hebdige in Marchi Valerio,Ultrà: le sottoculture giovanili in Europa, Roma, Koinè, 1994 XI 1.2 ALLE RADICI DEL FOOTBALL HOOLIGANISM Nella loro opera The Roots of Football Hooliganism Dunning, Murphy e Williams2 offrono un’analisi unica e fondamentale per capire il comportamento del pubblico alle partite di calcio a partire da quando tra il 1880 e il 1890 il gioco del calcio si professionalizza. Infatti il calcio nasce in Inghilterra non tanto come gioco (esso era forse conosciuto prima in altre nazioni), quanto come sport; si parla in questo periodo di “sportivizzazione” del calcio (nasce la Football Association) in quanto esso d’ora in poi non verrà solo praticato per puro divertimento dei giocatori, ma per divertimento del pubblico che affluisce sempre più numeroso attorno ai campi da gioco. Con l’affluenza sempre maggiore di spettatori iniziano anche i primi disordini. Giocatori della squadra avversaria e arbitri sono presi di mira dai sostenitori delle squadre locali e non si contano le invasioni di campo, i tentativi di picchiare i giocatori, i danni alle strutture e ai campi di gioco, le minacce e gli insulti all’arbitro. Il tutto è di solito limitato alla durata della partita, ma non mancano episodi di violenza che sfociano poi in proteste più generali, che richiedono l’intervento delle forze dell’ordine per sedare vere e proprie battaglie urbane (esempi sono riscontrabili leggendo resoconti di giornali dell’epoca su incidenti a Glasgow e a Londra). È soprattutto la gioventù della working class che mette in atto queste proteste e violenze, contribuendo con ciò all’immagine del calcio come uno sport per la classe operaia stessa e perciò disprezzato dalle classi superiori. Nei primi del Novecento il Times parlava addirittura di “Football madness” (Pazzia del calcio) creando così un moral panic (panico morale) attorno all’argomento della violenza dei giovani operai; panico morale che ritroveremo anche nell’Inghilterra del secondo dopoguerra fino ai giorni nostri, ogni volta che la stampa (soprattutto la stampa popolare) parlerà dei vari teddy boys, mods, skinhead e hooligans. Naturalmente questi giovani sbandati di inizio secolo, i Victorian boys (ragazzi dell’età Vittoriana), sono fieri che il gioco del calcio appartenga a loro, sono fieri di essere considerati pericolosi e riproducono i comportamenti e il linguaggio usati nelle strade anche alle partite di calcio. Così il poliziotto diventa copper e poi cop, la birra che si beve nei pubs (altro motivo per il biasimo da parte delle classi più alte nei confronti degli operai loro frequentatori) diventa reeb e la pratica dello holding the street (“tenere la strada”) si trasforma alla partita in quella dello holding the end (“tenere la curva”). Come le bande giovanili non vogliono che nessun estraneo attraversi la loro strada, così non vogliono che nessun altro occupi lo spazio intorno al campo di gioco. 2 Dunning Eric, Murphy Patrick, Williams John, The Roots of Football Hooliganism, London, Routledge, 1988 XII Con l’avvento della prima guerra mondiale il campionato di calcio viene ovviamente sospeso e quando riprende dopo la fine delle ostilità, la gente ha una gran voglia di dimenticare gli orrori del conflitto. Uno dei maggiori svaghi anche per le classi più abbienti diventa proprio il calcio. Tra le due guerre cambia quindi la caratteristica dello spettatore medio alle partite: non più solo membri della working class, ma generalmente membri delle classi medie e anche classi più alte. Comunque non bisogna dimenticare che, soprattutto negli anni trenta, si assiste al fenomeno della incorporation (incorporazione) della working class nei valori più miti e più pacati delle classi superiori; ed ecco apparire negli stadi le prime donne che seguono con piacere e con attenzione le sorti della propria squadra. È in questi anni che nasce il mito dello spettatore inglese composto ed educato, mito amplificato dagli organi di stampa che lodano l’atteggiamento corretto del pubblico, tralasciando e minimizzando gli incidenti che di tanto in tanto si verificano ancora attorno ai campi di calcio. 1.3 ANNI CINQUANTA-SESSANTA: DIFFUSIONE DEGLI STILI GIOVANILI Questo mito dello spettatore educato e di esempio per tutti resisterà fino alla metà degli anni cinquanta. In questo decennio l’Inghilterra assiste impotente allo sgretolarsi del suo impero coloniale e nel 1956 la crisi di Suez dà un ulteriore colpo alla fiducia in sé stessi degli inglesi e questa perdita di sicurezza si avverte in tutti i settori della società. Emerge in questo periodo un trend che sarà destinato a ripetersi nei decenni successivi ogni volta che nasceranno nuovi stili giovanili, visti come fumo negli occhi dalle classi più conservatrici (un po’ come succedeva all’epoca dei Victorian boys), nonché come segno della decadenza dei costumi, che rifletteva una più generale decadenza nazionale. Questo trend è caratterizzato dalla creazione di “Folk Devils” (“Diavoli del Popolo”) da parte delle istituzioni e della stampa, che suscitano poi riprovazione morale (il moral panic) tra la popolazione più conservatrice, con conseguenti critiche alla società troppo permissiva e domanda di leggi e trattamenti più severi nei confronti dei “giovani sbandati”. Questo trend è stato più volte messo in evidenza da autori che si sono occupati di hooliganism e più in generale dei problemi della gioventù inglese, per citarne alcuni Cohen3, i fratelli Brimson4 e gli stessi Williams, Dunning e Murphy5. Le prime “vittime” di questo trend sono i famigerati teddy boys che appaiono nei primi anni cinquanta; influenzati dalla musica rock’n’roll 3 Cohen Stanley, Folk Devils and Moral Panic, Oxford, Blackwell, 1972 Brimson E.&D., Everwhere We Go: behind the matchday madness, London, Headline, 1996 5 Williams John, Dunning Eric, Murphy Patrick, The Roots of Football Hooliganism, London, Routledge, 1988 4 XIII americana, essi sono per lo più giovani della working class che cercano di recuperare i valori d’inizio secolo che si erano persi tra le due guerre. Valori di rudezza, sessismo, maschilismo che erano propri della rough working class (la classe operaia rude come la chiama Williams). Ed ecco quindi che nascono bande di “teds” ben decise a far valere la propria supremazia con la violenza. Il panico morale che suscita questa “gioventù bruciata” raggiunge l’apice alla fine del decennio quando si verificano gravi incidenti in occasione di alcune partite di calcio. Si tratta soprattutto dei derby infuocati di Glasgow (ma qui la contrapposizione è anche religiosa in quanto i tifosi del Celtic sono cattolici, mentre i Rangers rappresentano la maggioranza protestante) e quelli di Liverpool tra Everton e Liverpool. Per l’opinione pubblica non ci sono dubbi, i responsabili sono i teddy boys, prodotto della rozzezza e incultura della working class. I “Merseyside Maniacs” di Liverpool (così adesso li chiamano tutti) cominciano anche a far parlare di sé durante le trasferte delle proprie squadre devastando i treni che li riportano a casa. I primi anni sessanta vedono il sorgere di due nuovi stili giovanili che si rifanno soprattutto all’ondata devastante provocata dall’apparizione sulla scena musicale dei Beatles e successivamente di gruppi come i Rolling Stones e gli Who, che cambiano il modo di fare musica in Inghilterra e poi nel mondo. Nascono infatti i mods e i rockers che saranno protagonisti di battaglie e scorribande sulle spiagge del sud. I mods sono per lo più ragazzi della classe operaia e della classe media più bassa che adottano un look elegante e quasi effemminato, fanno uso di droghe come lo LSD e amano scorrazzare con i loro scooters e Lambrette. I rockers hanno la stessa provenienza sociale, ma sono più rozzi nel look, amano i capelli lunghi e odiano i mods. In realtà l’interesse che questi due modi di essere giovane nutrono per il calcio è molto scarso o saltuario, ma vedremo come la loro presenza sarà importante per la nascita dello stile skinhead che si approprierà delle football ends (le curve degli stadi inglesi) alla fine degli anni sessanta. Continua comunque il panico morale suscitato da questi stili giovanili e continua anche la campagna denigratoria che si abbatte sul calcio. Infatti nel 1966 l’Inghilterra è designata ad ospitare i Campionati del Mondo di calcio, un’occasione unica per mettersi in mostra agli occhi del mondo, che si trasforma però in un evento temuto soprattutto dagli organi di stampa. Si teme che coi Mondiali tutto il mondo possa vedere cosa sono capaci di fare gli inglesi in termini di violenza negli stadi. Durante il Campionato del 1965-66 si registra un’escalation per ciò che riguarda gli incidenti sugli spalti, ma in realtà essi non superano la media di incidenti degli anni precedenti e probabilmente nemmeno la media degli anni trenta, tanto esaltati come anni “pacifici” in questo ambito. In realtà, quello che è cambiato è l’atteggiamento della stampa che ora riporta e ingigantisce ogni più piccolo incidente allo stadio. Fortunatamente i Mondiali trascorrono senza incidenti di rilievo e meglio di così per gli inglesi non potrebbe andare visto che la nazionale di casa trionfa in una finale infuocata contro la Germania. XIV Spenti i fuochi del panico, sembra che il mondo del calcio si avvii verso una nuova era di pace, sembra che in fondo tutto il clamore suscitato dai disordini degli anni precedenti i Mondiali fosse ingiustificato, sembra che alla fine abbia trionfato il tipico fair play anglosassone. Ma sarà proprio alla fine degli anni sessanta che nascerà e si svilupperà come una malattia contagiosa quello che da allora verrà chiamato football hooliganism. 1.4 “INTO THE SEVENTIES” A partire dal campionato 1967-68 si comincia a vedere negli stadi un nuovo tipo di giovane tifoso. Egli appartiene sempre alla working class ed è fiero di questo, come per i teddy boys degli anni cinquanta anche adesso sono i valori della “classe operaia rude” a venire recuperati ed esasperati da questi nuovi elementi. E la violenza è in cima alla lista. Chi entra in uno stadio nel 1968 può vedere dietro la porta difesa dal portiere della squadra di casa, una massa di giovani più o meno consistente con i capelli rasati, giubbotti imbottiti, sciarpe con i colori della propria squadra e i tanto temuti stivali anfibi col rinforzo di ferro in punta (infatti negli anni settanta questi tifosi saranno soprannominati boot boys). Questo nuovo stile è lo skinhead destinato a diffondersi in tutta Europa e a penetrare in tutti gli stadi di calcio. Ora questi giovani hanno decisamente scelto il calcio come loro sfogo principale; essi si conoscono di solito già prima di frequentare lo stadio e in molti casi fanno parte delle street gangs dei sobborghi cittadini. Sono ostili verso tutto ciò che non è “rough working class” e soprattutto sono arrabbiati con i mods (ecco perché questi ultimi sono stati importanti per la nascita della sottocultura skinhead), che hanno a loro parere svilito e ingentilito la cultura del ceto operaio. Con il loro look effemminato i mods hanno tradito le loro origini, che invece gli skinhead vogliono recuperare ed esaltare. Da qui l’odio per i “borghesi”, per i gay, successivamente anche per i neri e in particolare per i pakistani e gli indiani, e l’esaltazione dell’operaio bianco e violento. Gli skinhead si appropriano pian piano delle football ends escludendo i tifosi più anziani e più pacifici, con questo volendo recuperare quella identificazione locale che i mods degli anni sessanta avevano abbandonato. Cominciano a circolare i primi nomi delle ends (per esempio la Kop di Liverpool, lo Shed del Chelsea, la North Bank dell’Arsenal) e anche i primi nomi delle bande da stadio, nomi volutamente violenti e d’impatto (per esempio “Headhunters”, “Yids”, “Gooners”, “Red Army”). E inevitabilmente cominciano anche le prime battaglie tra questi tifosi in quanto il loro scopo dichiarato è quello di conquistare la curva avversaria (“take an end”) e la loro più grande soddisfazione è quella di mettere in fuga gli avversari, “to give’em a good hiding” per usare l’espressione in voga tra gli hooligans . “Blood, XV Sweat and Beer”6 diventa lo stile di vita degli hooligans che accompagnano le loro “imprese” allo stadio con altre attività nel tempo libero come l’ubriacarsi nei pubs e il paki-bashing (veri e propri raids contro negozi e ambulanti pakistani). La “sindrome di Andy Capp” (personaggio dei fumetti che incarna il proletariato violento, maschilista, ubriacone e xenofobo) come la chiama Taylor7, si è impadronita di loro. Questo tipo di comportamento coglie totalmente impreparati sia il mondo del calcio sia le forze dell’ordine e in questi primi anni è facile per gli hooligans viaggiare in trasferta ed è altrettanto facile assistere a battaglie all’interno degli stadi per il dominio del territorio, col conseguente panico generale che esse provocano tra la folla attonita. Si creano le prime rivalità dovute ad incidenti precedenti e soprattutto alla vicinanza tra le città o tra i quartieri delle varie squadre. Londra è la città che conta il maggior numero di squadre e ad ogni derby è facile che si verifichino scontri tra le opposte tifoserie: West Ham, Chelsea, Tottenham, Arsenal, Millwall e altre sono in lizza per la supremazia calcistica nella città e anche i loro tifosi violenti vogliono rivendicare questa supremazia. Tutte queste rivalità tra le varie tifoserie rispondono alla “sindrome del beduino” di cui parla Harrison8, secondo la quale io combatto contro mio fratello, io e mio fratello contro mio cugino, noi contro le altre tribù e tutti i beduini contro il resto del mondo; il nemico di un amico è un nemico e il nemico di un nemico è un amico. In base a ciò si creano inimicizie profonde tra squadre per esempio di Londra, ma i tifosi londinesi saranno comunque tutti alleati contro i tifosi di altre città; nascono le inter-end alliances (in italiano si possono tradurre come “gemellaggi”) in genere tra tifosi di grandi squadre con quelli di squadre più piccole (un esempio West Ham-Orient) . Un primo tentativo di frenare questa ondata di violenza che in pochi anni spiazzò tutti, fu la recinzione delle ends e la segregazione del gruppo di tifosi in trasferta ora circondati da un cordone di polizia. Ecco come un tifoso dell’Arsenal descrive questo primo periodo per il movimento hooligan, rivendicando il fatto che tutto è partito dalla curva dell’Arsenal: “I don’t know how it started. I suppose someone nicked another kid’s scarf and it started from there. Aggro was born on the North Bank”9. È in questo clima di crescente violenza negli stadi che si aprono gli anni settanta: un decennio nel quale gli inglesi diverranno consapevoli che lo hooliganism non è un problema che affligge solo il calcio, ma è il prodotto di un più vasto problema giovanile. Il clamore e lo sconforto che provocheranno 6 Il motto deriva da un famoso discorso di W. Churchill alla nazione inglese, che diceva che per difendere la propria isola e per uscire dalla seconda Guerra Mondiale da vincitori, ci sarebbero voluti “Blood, Sweat and Tears”. “Tears” fu sostituito dagli hooligans con “Beer”. 7 Taylor Ian, “Hooligans: Soccer Resistance Movement”, London , New Society , 1969 8 Williams John, Dunning Eric, Murphy Patrick, The Roots of Football Hooliganism, London, Routledge, 1988, pp.170-171 9 “Non so come è cominciato. Credo che qualcuno abbia fregato la sciarpa a un altro ragazzo e tutto iniziò da lì. La violenza iniziò nella North Bank”. Robins David, We Hate Humans, Harmonsworth, Penguin, 1984, p.29 XVI tra la popolazione inglese le prime battaglie tra hooligans in diretta televisiva (invasioni di campo e scontri nel mezzo di esso tra fans del Chelsea e del Derby County, del Luton e del Millwall) sarà grande e ben presto si levano forti richieste di misure preventive e punitive più severe. Negli anni settanta fanno apparizione sugli spalti dei campi di calcio imponenti schieramenti di polizia. Si tenta in tutti i modi di arginare il rischio di scontri adottando anche unità cinofile e la polizia a cavallo. Nel 1977 vengono introdotte per la prima volta in uno stadio telecamere a circuito chiuso; il governo Thatcher provvederà a renderle obbligatorie negli anni ottanta. Ma tutte queste misure di prevenzione in realtà non servono ad eliminare il problema, servono semmai a spostarlo. Ora non è più solo lo stadio l’unico teatro di incidenti, gli hooligans cominciano a provocare disordini anche nei pressi di esso, nelle stazioni ferroviarie, sui treni. La situazione diventa così incontrollabile. Gli skinhead e i giovani disoccupati degli anni settanta hanno trovato nel football una grande cassa di risonanza per le loro imprese. Infatti se all’inizio degli anni settanta gli hooligans erano costituiti più che altro da lavoratori non specializzati e sottoproletariato urbano, nella seconda metà del decennio fasce sempre più nutrite di giovani disoccupati confluiscono in queste bande e sfogano la loro rabbia contro tutto ciò che rappresenta la legge e le istituzioni (oltre che ovviamente contro giovani nelle loro stesse condizioni ma appartenenti alla tifoseria opposta). È la generazione del “no future” esaltata dai gruppi punk, primi tra tutti i Sex Pistols. Questa generazione dichiarerà guerra all’establishment e a partire dal 1979 il governo Thatcher si troverà a dover rispondere colpo su colpo in questa “battaglia del calcio” (tanto che il suddetto governo si guadagnerà l’appellativo di War Cabinet anche in questo campo). 1.5 CRESCITA DEL MOVIMENTO HOOLIGAN Il primo morto accertato in seguito a una partita di calcio risale all’Agosto del 1974 quando un tifoso del Bolton viene accoltellato a morte. Questo dimostra come lo hooligan non combatte più solo con calci e pugni, ma con tutto ciò che può “servirgli”, con tutto ciò che può maneggiare; quindi pietre, coltelli, spranghe, dardi, persino arance contenenti chiodi o lamette (la pratica del lancio di oggetti ai football matches è ormai diffusa in tutti gli stadi). A quasi tutte le partite si iniziano a registrare incidenti, anche nelle divisioni inferiori. Tutto ciò è dovuto al fatto che i supporters possono viaggiare liberamente sui treni che li portano in trasferta e in questi anni la British Railways mette addirittura a disposizione treni vecchi solo per gli hooligans (in modo da riunirli tutti e renderli più facilmente controllabili dalla polizia al loro arrivo). Altri morti si registrano nel 1976 e nel 1977: ormai le squadre di calcio si sfidano per la conquista della Football League e le loro tifoserie per la conquista della “Violence League”. Non è un esagerazione, perché in realtà è XVII la stessa stampa (e soprattutto i tabloids) che inizierà a stilare una classifica delle tifoserie più violente e pericolose (nella seconda parte del lavoro analizzeremo le grandi responsabilità dei mass media in questi anni). Sicuramente in cima alla lista c’è la Red Army del Manchester United. Per tutti gli anni settanta saranno i più temuti, ogni loro trasferta sarà motivo di seria preoccupazione per le forze di polizia. Si verificano due fenomeni attorno alla Red Army: il primo coinvolge coloro che iniziano ad unirsi ai tifosi del Manchester, visti come un’armata invincibile (famoso il caso dei temibili Cockney Reds, unico caso forse di giovani londinesi che tifano per una squadra non appartenente alla loro città). Il secondo fenomeno, che alimenta allo stesso modo il mito della Red Army, è costituito dal tentativo di tutte le altre bande da stadio di spodestare dal trono della “Violence League” gli hools del Manchester. E così si distinguono per la loro violenza gli “Yids” del Tottenham (chiamati così perché la maggior parte di loro è di origine ebraica), i “Gooners” dell’Arsenal, la “Fighting Crew” del West Ham e ogni gruppo grande o piccolo che fa capo a una squadra di calcio; particolarmente sconvolgente per l’opinione pubblica sarà il fatto che pure squadre di città tranquille e con una grande tradizione universitaria come Cambridge e Oxford hanno il loro nucleo duro di hooligans che soprattutto negli anni ottanta si distingueranno per le imboscate a tifoserie ben più famigerate. Impazza intanto il dibattito politico sullo hooliganism e mentre da sinistra si mette in luce il problema della disoccupazione massiccia che ha causato tutto ciò e quindi si criticano le politiche della destra che hanno contribuito a svilupparla, da destra si sottolinea e si critica (seguendo il famoso trend citato in precedenza) la società permissiva dei primi anni settanta che ha consentito a “orde di animali di costruire le loro tane nei nostri stadi” (parole di Greyson un deputato Tory)10. I tifosi della Red Army intuendo che l’appellativo di “animali” era rivolto principalmente a loro, risposero con il coro che poi si diffuse tra tutti i teppisti inglesi: “We hate humans”. Verso la fine degli anni settanta si registra un calo negli incidenti legati al football e questo consente al governo Thatcher di insediarsi in una situazione di relativa calma da questo punto di vista. Inizia così un altro trend curioso e per certi versi perverso che caratterizzerà negli anni ottanta l’atteggiamento delle istituzioni e della stampa nei confronti della violenza negli stadi. Il governo commissiona un’indagine sul problema allo Sport Council, che tutto sommato riduce lo hooliganism a un “element of fashion”, cioè esso viene percepito come una moda giovanile alla stregua di mods, rockers e punk. L’analisi è ovviamente sbagliata e sarà smentita negli anni ottanta, gli anni sicuramente più duri e tragici per quanto riguarda il problema hooligans. Come ho scritto questo modo di porsi nei confronti delle violenza negli stadi, inaugura un trend che consisterà in continue “sensazionalizzazioni” e “deamplificazioni” del problema a seconda delle 10 Robins David, We Hate Humans, Harmonsworth, Penguin, 1984 XVIII opportunità politiche che si presentano al governo (in particolare per giustificare l’adozione di nuove e più dure misure di sicurezza o per dimostrare il loro successo) 11. Se pensiamo che pochi mesi prima della strage dello Heysel molti ritenevano il problema risolto, possiamo vedere come non c’era ancora una percezione chiara delle soluzioni da adottare. Ancora per quanto riguarda gli anni settanta bisogna dire che le “gesta” e le “imprese” degli hooligans inglesi attraversano la Manica e ben presto diventano fonte di imitazione da parte dei tifosi di tutta Europa. I primi incidenti al di fuori dell’Inghilterra (si parla naturalmente di hooliganism) si verificano a Rotterdam nel 1974 in occasione della trasferta del Tottenham per una partita di Coppa UEFA. I tifosi inglesi mettono a ferro e fuoco la città cogliendo di sorpresa la popolazione locale e le forze dell’ordine. Da allora le Coppe Europee divengono teatro di disordini ogni volta che le squadre inglesi viaggiano all’estero (dal Manchester al Chelsea, dal Leeds all’Arsenal) e, dopo i primi anni di sconcerto, avviene quell’inversione di tendenza nel comportamento dei tifosi e della polizia ospitanti che è alla base per fare un esempio recente, degli incidenti scoppiati allo stadio di Roma durante l’ultima partita dell’Inghilterra in Italia. Infatti dalla fine degli anni settanta in poi i tifosi inglesi al seguito delle loro squadre o della Nazionale saranno “aspettati al varco” e provocati in molti modi e ciò comporterà il fatto che, anche se il loro comportamento sarà pacifico, si verificheranno comunque incidenti (quasi sempre poi attribuiti alle intemperanze degli inglesi). Quindi le colpe degli incidenti in concomitanza con le trasferte all’estero dei tifosi inglesi vanno equamente divise tra ospiti e ospitanti, anche se è indubbio che gli hooligans hanno contribuito in modo decisivo all’immagine funesta dei tifosi inglesi nel mondo. Ma non ci sono solo scontri durante le trasferte delle squadre britanniche, ci sono anche i “gemellaggi internazionali”: nella seconda metà degli anni settanta si stringono alleanze con squadre olandesi, belghe, italiane (per esempio Aston Villa-Juventus-Den Haag, Ajax-Anderlecht-Chelsea). Vessilli inglesi e bandiere della Union Jack appaiono in tutte le curve d’Europa, i tipici cori che echeggiano nelle ends vengono adottati ed adattati dai tifosi di tutto il continente; il modo di vestirsi e di cantare “all’inglese” dà un senso di potenza e un look duro e violento a chi l’adotta e così paradossalmente gli hooligans diventano i modelli da imitare, ma anche i nemici numero uno per tutti quando sbarcano in Europa. È interessante notare come molti capi di tifoserie olandesi, italiane, tedesche, si rechino in Inghilterra durante gli anni settanta per vedere e studiare il modo di comportarsi dei fans e soprattutto degli hooligans, per poi tornare nelle rispettive curve ad istruire i loro “colleghi”. 1.6 LA BATTAGLIA DEGLI ANNI OTTANTA 11 Giulianotti Richard, Hepworth Mike, Bonney Norman, Football, Violence and Social Identity, London, Routledge, 1994 XIX Abbiamo visto come gli anni ottanta iniziano con un certo ottimismo da parte delle autorità nei riguardi della violenza negli stadi. In realtà gli episodi di violenza, anche cruenti, continuano; il primo morto nel 1980 è un tifoso del Crystal Palace ucciso durante scontri coi tifosi dello Swansea e questo dimostra come lo hooliganism sia ben presente anche in Galles. Altri morti si registrano nei primi anni ottanta e cambia di nuovo l’atteggiamento del governo e dell’opinione pubblica. Adesso non si parla più della violenza senza senso degli anni settanta messa in atto da animali in gabbia, ma della “cospirazione” di forze di estrema destra che sono penetrate nelle ends e hanno il solo scopo di provocare disordine sociale. L’argomento della cospirazione sarà sollevato ogni qualvolta gli incidenti attorno agli stadi assumeranno rilevanza grave e persino per la strage dello Heysel emergeranno possibili responsabilità dell’estrema destra. In realtà l’argomento della cospirazione sarà più che altro una costruzione ad arte da parte delle autorità e (anche qui) della stampa per cercare un capro espiatorio o possibili spiegazioni. Il tutto è dovuto al fatto che negli anni ottanta ci sono molti elementi nuovi che si affacciano sul panorama dello hooliganism: dall’attività del National Front prima e del British National Party poi per influenzare il comportamento degli hooligans, al crescente problema coi tifosi al seguito della Nazionale inglese, dal tramonto dello stile skinhead a favore di quello casual, a una maggiore organizzazione e pianificazione della violenza. Analizziamo questi aspetti nell’ordine proposto: per quanto riguarda l’attività di reclutamento da parte dei partiti di estrema destra all’interno delle curve, essa sarà effettivamente presente dalla fine degli anni settanta. Essa verrà analizzata più dettagliatamente nel capitolo dedicato ai rapporti tra calcio e politica: basti ricordare qui che il National Front individuò ben presto negli hooligans una possibile fonte di appoggio politico e un valido braccio armato, ciò dovuto anche al grande clamore che suscitavano gli incidenti negli stadi. In alcuni casi e con alcune tifoserie (Chelsea, Leeds, West Ham) la penetrazione del NF avrà un certo successo ma non tale da suscitare il panico generato dall’esistenza di una possibile cospirazione. Infatti gli hooligans degli anni ottanta si sono sempre distinti per non essere organizzati gerarchicamente al loro interno: agivano in massa ma senza prendere ordini da nessuno, la loro era rabbia contro tutto e tutti e questo rifiuto del capo, di qualcuno che dicesse loro cosa fare si riflesse anche nel fatto che il NF non ebbe tutto quel successo che gli fu attribuito. Esso era pur sempre un’organizzazione gerarchica, anche se sovversiva, e gli hooligans rifiutavano ogni tipo di imposizione dall’esterno. Una frase nel libro di Robins riassume bene questo concetto: “There are no more the clever, classless and free sixties, nor the racist, punk and shitty seventies, there is only one big mob up against the law” 12. E questa massa di giovani contro la legge esprimeva il 12 “Non ci sono più gli intelligenti, egualitari e liberi anni sessanta, né i razzisti, punk e sporchi anni settanta, c’è solo una grande folla contro la legge” Robins David, We Hate Humans, Harmonsworth, Penguin, 1984, p.33 XX suo stato d’animo col coro “Kill the Bill”(“Uccidi il poliziotto”) ogni volta che allo stadio si verificavano episodi di violenza. Gli anni ottanta sono gli anni in cui iniziano a registrarsi scontri e disordini provocati o subiti dai tifosi al seguito della Nazionale. Fino ad allora il National Team non aveva attirato un gran seguito per le sue trasferte in Europa. Ma a partire dai Campionati Europei in Italia del 1980 le cose cambiano, i tifosi inglesi sono numerosi e a Torino in occasione di InghilterraBelgio si verificano incidenti tra tifosi inglesi e italiani, con la polizia costretta ad usare pesantemente i manganelli. Anche gli hooligans ora trovano nelle partite della Nazionale un’occasione per dar sfoggio di sé all’estero e questo per due motivi messi bene in evidenza dai fratelli Brimson13: il primo è che viaggiare all’estero per gli hooligans è molto facile perchè possono farlo con svariati mezzi e perciò sono meno controllati e godono di una certa impunità per i loro atti vandalici. Il secondo motivo è costituito da un fatto che risale al 1977: in quell’anno la Scozia affrontò l’Inghilterra a Wembley e vinse la partita. Lo smacco per gli inglesi fu doppio sia perchè avevano perso in casa, sia perchè le ore dopo la partita videro Londra messa a ferro e fuoco dagli scozzesi festanti e chiassosi. Da allora molti tifosi più accesi e gli stessi hooligans che non seguivano la Nazionale, cominciarono a farlo in attesa di vendicarsi al prossimo match con la Scozia. Nei primi anni ottanta si verificano incidenti in occasione di partite dell’Inghilterra in Ungheria, Danimarca, Polonia, Lussemburgo. Ai Campionati del Mondo del 1982 in Spagna i sostenitori inglesi accorrono in massa anche perchè la penisola iberica è una meta turistica privilegiata per i sudditi della regina. Durante questi Mondiali c’è un clima di forte tensione analizzato da Dunning, Murphy e Williams in Hooligans Abroad: infatti è appena finita la guerra delle Falkland che ha risvegliato un forte sentimento nazionalistico tra gli inglesi e quindi anche tra i tifosi presenti in Spagna14. Non si deve dimenticare che anche la Nazionale argentina è presente col suo seguito di supporters e che la Spagna durante il conflitto ha preso chiaramente le difese della posizione argentina. Questo clima di tensione sfocia in violenti scontri tra tifosi inglesi e spagnoli, scontri ai quali partecipano anche i baschi (l’Inghilterra giocava a Bilbao) schierati con gli inglesi: questi incidenti provocano un morto tra i sostenitori britannici. Per la prima volta grandi gruppi di tifoserie sono a contatto tra loro: è un’occasione per influenzarsi a vicenda ma anche per rendersi conto della pericolosità dei tifosi inglesi da allora tutti bollati come hooligans. Dal 1982 in poi ad ogni partita all’estero della Nazionale o di squadre di club inglesi ci sarà un vero e proprio clima di tensione in cui l’aspettativa di violenza sarà altissima e ogni più piccola scaramuccia verrà riportata e molte volte ingigantita dalla stampa (prima tra tutte quella inglese). Vere e proprie 13 14 Brimson D.& E., England, my England, London, Headline, 1996 Dunning Eric, Murphy Patrick, Williams John, Hooligans Abroad, London, Routledge, 1989 XXI montature e invenzioni verranno costruite dalla stampa inglese al fine di riportare incidenti avvenuti in Germania in occasione dei Campionati Europei del 1988, in Italia durante i Mondiali del 1990 e durante varie trasferte in Svezia, Norvegia, Polonia tra il 1988 e il 1992. In realtà poco di tutto quello che venne riportato accadde veramente. Due episodi sono emblematici: il primo è la cosiddetta “battaglia di Düsselndorf” nel Giugno del 1988. Si era appena giocata Inghilterra-Olanda, incontro considerato a rischio dalle autorità tedesche che infatti avevano predisposto un imponente servizio di sicurezza attorno allo stadio. Le due tifoserie non vennero a contatto ma gli incidenti scoppiarono quando i tifosi tedeschi, provenienti da una città vicina dove la Germania aveva giocato, attaccarono gli inglesi. La polizia locale, come di solito accade in questi casi, era più indaffarata nel picchiare i tifosi inglesi che non nel convincere i tedeschi ad andare a casa e quindi gli inglesi ebbero sicuramente la peggio. Quello che però apparve sui giornali inglesi e di tutta Europa il giorno dopo era ben diverso: i responsabili erano gli hooligans britannici che avevano saccheggiato la città e nel capitolo riservato al comportamento dei mass media riporterò delle testimonianze che la dicono lunga sulle responsabilità di stampa e televisione in questo caso. Il secondo episodio riguarda “Italia 90”; i tifosi inglesi furono “confinati” con la loro Nazionale in Sardegna, dove doveva disputarsi il “girone terribile” con l’Olanda e con l’Eire. Niente di così terribile accadde per fortuna, a parte qualche incidente tra tifosi inglesi e italiani nei pressi di numerosi bar e discoteche. Il fatto clamoroso avvenne quando l’Inghilterra doveva giocare a Bologna per gli ottavi di finale. Come riporta Colin Ward, giornalista al seguito della Nazionale inglese, era addirittura stato concordato tra polizia italiana e inglese che un aereo charter sarebbe stato riempito di cittadini britannici da rispedire in patria; il giorno del volo era già stato prestabilito da mesi e tutto ciò venne fatto per dimostrare che i tifosi inglesi avevano causato problemi anche in Italia15. Quando la sera prima del match scoppiarono incidenti tra inglesi e italiani a Rimini, la polizia prese la palla al balzo e arrestò chiunque fosse inglese e si trovasse a Rimini quella sera. Sono documentati casi di padri di famiglia costretti a lasciare moglie e figli in vacanza a Rimini per essere rispediti in Inghilterra sull’aereo dei temibili hooligans (che naturalmente a Heathrow era aspettato da un buon numero di telecamere). Ho citato questi due episodi non perchè desidero prendere posizione a favore dei tifosi inglesi sempre e comunque; ci sono episodi di violenza gratuita e ingiustificata da parte degli hooligans che avrebbero meritato punizioni più severe, però è indubbio che essere trattati come la feccia d’Europa (come dicevamo all’inizio) non ha giovato e non giova a chi vuole solo vedere una partita di calcio, e i fatti precedenti lo stanno a dimostrare. 15 Ward Colin, All Quiet on the Hooligan Front: eight years that shook football, London, Mainstream, 1996 XXII