Bushido - Giappone in Italia
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Bushido - Giappone in Italia
Nunzia Castravelli Bushido nascita ed evoluzione della via del guerriero CAPITOLO 1: La via del samurai nel periodo Kamakura (11861333) Nascita del bushidō............................................................................. 3 1.2 Il bushidō guerriero nell’età feudale...........................................19 CAPITOLO 2: I valori samuraici nel Giappone Tokugawa (16151868) Il bushidō “confuciano” nel periodo Tokugawa.......................... 24 2.1 La codificazione del bushidō.....................................................46 2.2 La popolarizzazione dei valori samuraici..................................50 2.3 Declino della classe samuraica e crollo del Bakufu..................57 CAPITOLO 3: Il bushidō e la Restaurazione Meiji ( 1868-1912) Restaurazione Imperiale e scomparsa della classe samuraica.........64 3.1I samurai da guerrieri a imprenditori.........................................70 3.2Il bushidō “imperiale” nell’era Meiji.........................................92 CAPITOLO 4: I samurai del ventesimo secolo. La strumentalizzazione del bushidō nel 2°Conflitto Mondiale.....108 4.1 Il bushidō nel Giappone postbellico………………………....114 4.2La via del guerriero secondo Mishima: < < l ’ e s s e n z a d e l l a g i a p p o n e s i t à >. . . . . . . . . .....121 Conclusioni ii Presentazione Il presente lavoro si propone di tracciare le caratteristiche principali dello spirito e dei valori che animarono la “via dei samurai”, a partire dall’epoca di Kamakura (1185-1333) quando, attraverso l’instaurazione di un sistema feudale, la casta guerriera occupò il vertice della gerarchia sociale ottenendo un potere fino al che sarebbe durato per settecento anni; Secondo dopoguerra, quando l’ideologia samuraica fu ripudiata perché simbolo di fanatismo che aveva portato il Giappone alla rovina. L’obiettivo principale è chiarire come i valori samuraici si siano adattati ed eventualmente modificati nei vari contesti storici e come, a partire dall’era Meiji, siano stati strumentalizzati dal governo allo scopo di rafforzare il sentimento nazionalistico e di fedeltà nei confronti dell’imperatore. Partendo dal periodo feudale e la nascita del bushidō guerriero, verranno trattati gli aspetti caratterizzanti l’etica samuraica di questo periodo e l’ascendente che ebbe il buddhismo zen sull’arte militare e sullo spirito dei samurai. Particolare attenzione verrà data ai valori dello shugyō, autodisciplina, del mentoku, onore, del mushin, la non mente. Il secondo capitolo riguarderà il bushidō nel lungo periodo della pace Tokugawa (1603-1868), quando l’adozione del sistema etico confuciano, la conseguente trasformazione della classe samuraica da elite guerriera a elite burocratica e la fusione di ideali feudali e confuciani portarono alla codificazione dei valori samuraici e alla nascita del cosiddetto “bushidō confuciano”, i cui ideali di coraggio (yu), lealtà (chūgi), sincerità (makoto), autodisciplina(shūgyō) e benevolenza (jin) furono alla base del sistema shogunale di questo periodo. Il terzo capitolo si soffermerà sulla sfruttamento di questi ideali nell’era Meiji quando, con l’apertura verso l’occidente, abolita ma i suoi ideali rimasero in vita. la classe samuraica fu Nel “Rescritto imperiale sull’educazione” emanato nel 1890, che fissava i principi spirituali che 3 dovevano ispirare le nuove generazioni, vennero utilizzati come base ideologica i principi confuciani e quelli del bushidō. Attraverso una ferrea propaganda nazionalistica e imperialistica il concetto di fedeltà, chūgi, verso il proprio signore verrà ridefinito, dandogli nuovo significato e orientamento: la vera lealtà era dovuta solo all’imperatore. Il quarto capitolo riguarderà la strumentalizzazione del bushidō durante il secondo conflitto mondiale: l’identificazione dei l’ideologia samuraica e l’estetizzazione del militarismo kamikaze con ad opera del governo militare. Inoltre, verrà preso in esame il ripudio della via del guerriero nel periodo post bellico. Note sull’autore: Nunzia CASTRAVELLI ([email protected]) si è laureata con lode nel 2007 in “Studi Comparatistici lingue inglese e giapponese” presso la Facoltà di Lettere e Filosofia de l’Università degli Studi di Napoli l’“Orientale”, con una tesi dal titolo: «Bushidō: nascita ed evoluzione della via del guerriero», sotto la supervisione del prof. Giorgio Amitrano attualmente Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Tokyo e del prof. Adolfo Tamburello, Decano della suddetta Università. Nel 2005/06 in qualità di vincitrice di borsa di studio dell’“Orientale” frequenta per un anno l’Università “Gakushuin Daigaku” di Tōkyō, dove frequenta corsi di lingua, cultura e mitologia giapponese. Da marzo a maggio 2008, in qualità di stagista di un progetto della Regione Campania, si è occupata presso la Biblioteca del Dipartimento Studi Asiatici dell’Università l’“Orientale” della trascrizione e catalogazione dei testi e delle serie giapponesi. Nel luglio 2008 è stata assunta presso l’Istituto Giapponese di Cultura di Roma, sede italiana della JAPAN FOUNDATION, dove per tre anni ha svolto attività di assistenza nell’organizzazione di eventi culturali e mostre sul Giappone. Nel 2012 vince il progetto Leonardo che le ha permesso di svolgere un’ esperienza come Event Officer presso la fondazione JAPAN SOCIETY di Londra, collaborando con l’Ambasciata Giapponese di Londra e la Japan Foundation. Attualmente collabora come web reporter per una testata giornalistica online Corriereromano.it, scrivendo di mostre, eventi e teatro. Si interessa di storia moderna e arte contemporanea del Giappone e dei relativi aspetti sociologici e culturali. 4 5 Capitolo I LA VIA DEL SAMURAI NEL PERIODO KAMAKURA (1185-1333) NASCITA DEL BUSHIDŌ. Il termine bushidō 武士道 indica l’insieme di regole etiche e virtù morali che i samurai erano tenuti ad osservare. Nonostante risalga al periodo Tokugawa, durante il quale si ebbe una vera e propria codificazione dei valori samuraici, già nel Kojiki e nel Nihonshoki dell’VIII secolo apparve il termine budō 武道 che si riferiva alle tattiche militari utilizzate da gruppi di ufficiali, bukan, la cui responsabilità primaria era la sicurezza della corte imperiale. Successivamente sostituì la designazione primitiva kyū ba no michi (la via dell’arco e del cavallo)1. Il significato letterale della parola bushidō è : “Via del guerriero”, dove il carattere bu 武 esprime il concetto di guerriero ed è composto, a sua volta, da due ideogrammi : tomaru 止, a sinistra, che significa sia “dominare” che “fermare” e, a destra, dall’ideogramma hoko 弋 che significa “alabarda”. carattere si legge shi 士 e rappresenta spirituale, mentre Il secondo “l’uomo” nella sua valenza il terzo carattere 道 , dō o michi, significa “via”, “sentiero”, ma anche “modo” 2 , indicando allegoricamente realizzazione spirituale, quella che conduce al satori 3 la Via della e al compimento del sé. Nitobe Inazō 4 individuò due tipologie di bushidō: uno guerriero e uno confuciano. Il primo corrisponderebbe al periodo Kamakura (1185-1333) 1 Blomberg C., 1995, The Heart of the warrior, London, Japan Library, p 8. 2 Ishii Susumu, 1985, “The formation of Bushi Bands( Bushidan)”, Journal of Japanese studies, XII, 2. 3 Termine zen che si riferisce all’illuminazione. 4 Nitobe Inazo, 1990, Bushido: The Soul of Japan, ,Tokyo, Charles E. Tuttle. 6 e Momoyama (1573-1615) ed è ricordato nei racconti epici giapponesi come lo Heike Monogatari, il Soga Monogatari, ed altre opere dello stesso genere, mentre, il bushidō “confuciano” si svilupperà nel periodo Tokugawa (1615-1868) per diventare un vero e proprio codice morale. Il bushidō “guerriero” ha quindi inizio nell’epoca di Kamakura, quando la classe guerriera occupò il vertice della gerarchia sociale, ma già nella lontana epoca Heian (794-1185) l’imperatore Kanmu, trasferita la capitale da Nara a Kyōto, fondò la prima accademia per lo studio e la pratica delle arti marziali chiamata Butokuden “Sala dei Valori del Combattimento”. Bisogna sottolineare che nel periodo Heian i samurai avevano il compito di amministrare e difendere i possedimenti terrieri dei nobili che vivevano a corte: essi erano, fondamentalmente, dei semplici servitori. Tsuchida Naoshige 5 , nella sua opera riguardante il sistema burocratico del tardo periodo Heian, sottolinea infatti che la parola samurai 侍, si riferiva a un rango sociale che veniva dopo i nobili di corte (kugyo 公卿) e dopo la nobiltà di quarto e quinto grado (shotaihu 諸大夫). Inizialmente lo shotaihu serviva come ufficiale domestico l’ex imperatore e i reggenti; il samurai, invece, serviva in case meno influenti e poteva essere promosso non oltre la carica di guardia comunale (hogan 判官). Secondo il dizionario di filologia arcaica, la parola samurai derivava dal verbo saburau che significa “servire ”, quindi il suo significato originale sembra non avere nessuna connotazione militare. Per questo motivo nel Vocabulairio da lingua de Japao, un dizionario di portoghese-giapponese compilato nel 1603 dai Gesuiti in Giappone, i termini bushi e samurai non vengono mai utilizzati come sinonimi: bushi= soldado “soldato” Opera che s’impose all’attenzione nazionale e internazionale durante lo scoppio del nazionalismo che accompagnò le vittorie del Giappone nella guerra russo-giapponese (1904-1905). 5 Cit. in Samson G.B, 1963, Japan: A Short Cultural History, Stanford, Stanford University Press. 7 samurai/saburai= bomem bonrado “persona onorevole” 6 La figura storica del samurai nacque, quindi, già nella realtà sociale dell’epoca Heian, durante la quale l’aristocrazia di corte diede vita ad una delle epoche più raffinate nella storia del Giappone, astraendosi però dai problemi reali del paese e chiudendosi sempre più in un mondo fatto di poesia, musica, arte, fino a perdere il controllo dei propri possedimenti, anche a causa di ribellioni e lotte intestine. Nello stesso periodo l’aristocrazia provinciale iniziò a trasformarsi in élite militare e da quel momento in poi samurai divenne il termine con il quale si faceva riferimento ai guerrieri o uomini d’armi e fu usato intercambiabilmente con il termine bushi, che inizialmente designava i guerrieri delle regioni orientali, conosciuti come kantō bushi : uomini bellicosi e rozzi ma abilissimi nell’uso della spada, i quali, lontano dalle raffinatezze di Kyōto, si erano trasformati e arricchiti, rendendosi indipendenti dal governo centrale; infatti, verso la fine del 1100 avevano quasi tutto il territorio giapponese sotto il proprio controllo7. L’epoca Heian si chiudeva con la guerra Genpei (1180-1185) che vide schierati l’uno contro l’altro i due potenti casati dei Taira (Heike) e dei Minamoto (Genji). La guerra finiva con la famosa battaglia di Dan no Ura (1185), con la disfatta dei Taira e la vittoria di Minamoto no Yoritomo, il quale creò il bakufu 幕府, “Governo della tenda”, la cui posizione politica fu riconosciuta solo nel 1192, quando la corte nominò Minamoto no Yoritomo Sei-i-tai Shōgun “vincitore dei barbari” o l’autorità militare, “generalissimo”. Questo titolo gli conferiva e divenne tradizionale per i dittatori ereditari che avrebbero controllato il Giappone per circa sette secoli. Sarà da questo momento in poi che la classe samuraica otterrà la sua affermazione sia militare che politica, ed il samurai, o bushi, diventerà personaggio storico 6 Cfr. Ono Susumu.(ed), 1974, Iwanami kongo jiten “The Iwanami dictonary of ancient words”, Tokyo, Iwanami Shoten, p.1475. 7 Agli occhi di alcuni studiosi Tokugawa, la classe samuraica era sorta attraverso il semplice processo dei nohei bunri, separazione di contadino e guerriero, che si era prodotta attraverso le usurpazioni dei casati dei Minamoto e Taira. 8 di primissimo piano che, con la sua visione del mondo, darà origine, come accennato prima, al bushidō “guerriero”. 1.2 Il bushidō “guerriero” nell’ età feudale. Il periodo Kamakura fu caratterizzato dal consolidamento del sistema feudale ( hoken seido 封 建 制 度 ) istituito da Minamoto no Yoritomo (1147-1199), il quale gettò le fondamenta di quello che per settecento anni sarebbe stato l’ininterrotto predominio della casta dei guerrieri. Sebbene la nascita dei codici guerrieri risalga al periodo Tokugawa, regole non scritte governanti la vita ed ogni azione del bushi esistevano già nel periodo Heian, e in seguito Minamoto no Yoritomo espresse alcune di esse negli scritti delle Leggi Casali, che regolavano le condizioni di vita e il sostentamento dei suoi vassalli. Il suo esempio fu poi seguito dai daimyō locali, e l’enfasi delle diverse Leggi Casali fu applicata ai problemi pratici. Nel 1232, queste leggi furono incorporate in un codice denominato Jōei (dal periodo annuo durante il quale venne compilato) o Go-Seibai Shikimonki. Fu il primo codice legale scritto e designato in modo specifico per la classe samuraica. Esso conteneva norme generali riguardanti la condotta della classe militare ed era basato sull’esperienza amministrativa acquisita dal governo di Kamakura. Una della norme fondamentali riguardava l’onore del bushi che veniva indicato attraverso termini come : na 名 “nome”, menmoku 面目 “aspetto”. Il dovere (giri) del bushi verso il proprio nome consisteva nel mantenere intatta la propria reputazione attraverso un comportamento decoroso, rispettando le norme imposte dall’etichetta, sopportando il dolore e vendicando qualsiasi tipo di offesa. Ad esempio, l’essere colpito era un affronto di tale gravità che poteva essere ripagato solo con la morte di colui che l’aveva offeso. Riconosciamo inoltre una clausola che fu ripetuta nella legislazione pre-Meiji, cioè l’ingiunzione contro l’interferenza in un combattimento tra bushi. La legge affermava che dovevano essere prese 9 in considerazione le circostanze del caso individuale, ma l’interferenza dei presenti era chiaramente scoraggiata in quanto chiunque entrasse in lotta per difendere l’una o l’altra parte, pur senza conoscere le cause del litigio, era responsabile e accusato di essere complice nell’eventualità che la persona da lui difesa risultasse colpevol++e. Il Codice Jōei conteneva delle ingiunzioni anche contro coloro che tentavano di ottenere delle promozioni a ranghi superiori chiedendo ai loro superiori delle raccomandazioni, poiché ciò violava l’ordine gerarchico; la punizione per un tale comportamento era l’esilio o il sequestro dei beni. Il bushidō “guerriero” fu in parte influenzato dal buddhismo zen, infatti, esso fornì il supporto ascetico alla via guerriera per cui si poté parlare di “via dello zen e del guerriero”. L’introduzione di questa disciplina avvenne nella seconda metà del XII secolo, quando un monaco Tendai8 giapponese di nome Eisai (1141-1215) giunto alla conclusione che il buddhismo giapponese fosse ormai devitalizzato, si recò in Cina ed entrò in contatto con cinesi buddhisti dediti al Ch’an9 e dopo anni di studio di questa disciplina ottenne l’illuminazione. Divenuto un maestro zen, tornò in Giappone dove fondò nel 1191 il primo tempio Rinzai nell’isola del Kyūshū. Poiché lo zen metteva in dubbio l’utilità dell’erudizione, asserendo che una mente istruita rappresentasse un ostacolo più che un vantaggio, riuscì a trovare un vasto consenso tra i guerrieri, i quali, sostanzialmente illetterati, spesso si sentivano in stato di inferiorità intellettuale nei confronti dell’aristocrazia colta. Fu allora che Eisai venne invitato a occuparsi di un tempio a Kyōto e più tardi a recarsi nella nuova capitale shogunale di Kamakura. Per capire come lo zen abbia influenzato l’etica samuraica nel periodo feudale è necessario soffermarsi sulle caratteristiche basilari disciplina. Innanzitutto di questa la scuola Rinzai, fondata dal monaco Eisei non rimase l’unica esistente: nel 1227 un monaco di nome Dōgen, discepolo 8 Setta di Buddhismo cinese introdotta in Giappone da Saichō (806). 9 Sistema di pensiero fondato da Bodhidarma nel VI sec. a.C in Cina, che combina elementi di Buddismo indiano e di Taoismo cinese e che in Giappone è noto come Zen. 10 di Eisai, dopo aver studiato lo zen del ramo Ts’ao-Tung fondò la seconda scuola zen del Giappone detta Sōtō. Le due scuole si differenziavano per il diverso modo di raggiungere l’illuminazione. La scuola Sōtō raccomandava la meditazione da seduti (zazen 座禅) per permettere alla mente di distaccarsi dal mondo della falsa realtà e pervenire all’illuminazione; mentre la scuola Rinzai utilizzava degli enigmi ( kōan 考 案), esercizi di riflessione su problemi apparentamene assurdi che non avevano soluzioni logiche e servivano per esaminare la comprensione non razionale. I maestri avevano persino l’abitudine di dare bastonate e colpi affinché il discepolo fosse trasportato in uno stato mentale disponibile all’illuminazione10 . Semplificando molto, la base filosofica del buddismo zen è rappresentata dall’importanza attribuita alla meditazione e al rifiuto della razionalità, o meglio consiste in uno sforzo che cerca oltre la logica ciò che la logica non può concepire e nello stesso tempo non è nemmeno l’affermazione totale dell’intuizione, poiché è uno sforzo che cerca in modo logico una soluzione alla quale l’istinto non può riuscire. 11 Lo zen aveva poco in comune con le altre correnti buddiste: non erano necessarie immagini sacre da adorare e poca importanza veniva attribuita alle scritture, infatti il dogma centrale era l’inutilità del dogma. Il principale insegnamento trasmesso al discepolo era che niente può essere insegnato e la comprensione è possibile solo ignorando l’intelletto e prestando ascolto agli istinti e all’intuizione, per questo motivo venne definita “religione dell’anti-mente”. Oltre a ciò, un aspetto molto importante è la necessità di conservare la pace dello spirito al cospetto del caos, portando la pace mentale, risultato della meditazione, nella vita quotidiana. A questo proposito, l’influenza dello zen nella cultura giapponese fu così profonda da 10 incidere sulle arti come la pittura, la poesia e il senso estetico in Thomas Hoover, 2001 La cultura zen, Mondadori, Milano. 11 Cfr. Isao Yamazaki, 1942, “L’anima del Giappone” in Il Giappone:volume dedicato all’amicizia italo-giapponese, s.l.,Margotti, p. 77. 11 generale. 12 L’arte della calligrafia, shōdō 書道, o l’arte di servire il tè, cha no yu 茶の湯, sono esempi dove, in un certo qual modo, si evince lo sforzo di cercare di ottenere, tramite la meditazione, un’immagine oltre il limite delle parole e un fenomeno oltre il pensiero logico13. Per quanto concerne, invece, l’arte militare, lo zen ebbe un ruolo rilevante nel maneggio della spada e dell’arco considerati simboli del samurai. Alla base del maneggio della spada c’era la reazione istintiva: il guerriero zen non agiva seguendo una programmazione razionale ma attraverso l’intuizione e ciò gli conferiva un incredibile vantaggio sull’avversario evitandogli di dover riflettere su ogni movimento 14 . Un altro elemento importante era l’identificazione con la propria spada. Così si esprime in proposito lo studioso dello zen D.T.Suzuki: Quando la spada è maneggiata da un guerriero il cui sviluppo spirituale è tale che egli la impugna come se non la reggesse affatto, essa si identifica con l’uomo, acquisisce un’anima, si muove con tutte quelle sottigliezze che sono state radicate in lui, lo spadaccino. L’uomo svuotato di tutti i pensieri, di tutte le emozioni promosse da paura, senso di insicurezza, desiderio di vittoria, non è consapevole di usare la spada: uomo e spada si trasformano in strumenti impugnati, per così dire, dalla mano dell’inconscio15. Il bushi doveva quindi liberare la propria mente da emozioni e paure e concentrarsi sulle distrazioni dell’avversario e non appena si presentava l’occasione di colpire, non doveva riflettere bensì agire direttamente. Secondo una credenza di origine shintoista, la spada di un samurai era considerata come 12 13 posseduta da uno spirito individuale. Infatti, se il D.T Suzuki, 1938, Zen Buddhism and its influence on Japanese culture, Kyoto, Eastern Buddhist Society. Ibidem. p.77. 14 Cfr. L.King Wiston, 1993, Zen and the way of the Sword, N.Y, Oxford University Press. 15 D.T.Suzuki, 1959, Zen and Japanese culture, Princeton N.J, Princeton University Press, p.146. 12 samurai subiva una sconfitta sul campo di battaglia, si recava ad un santuario a pregare per far ritornare lo spirito nella spada. Per questo motivo il fabbro, costruttore di spade era considerato come una figura quasi sacerdotale e la forgiatura della spada un vero e proprio rituale. Tra i maestri spadai celebri ricordiamo Masamune (1264-1344), di cui esistono ancora oggi 41 spade . La spada e la discendenza da una stirpe militare erano grandi motivi di orgoglio per un bushi : prima di gettarsi in battaglia infatti invocava il proprio nome e quello dei suoi antenati vantandone le gesta militari. Per quanto riguardava invece il tiro con l’arco, i metodi elaborati dai maestri zen per insegnare tale disciplina erano completamente diversi rispetto al maneggio della spada. Innanzitutto l’uso dell’arco richiedeva totale distacco da esso per focalizzare tutta l’attenzione sul bersaglio. La respirazione era fondamentale per assicurare la tranquillità dello spirito e la perfetta concentrazione; nel momento in cui l’arciere riusciva ad avere piena padronanza dell’arco si dedicava al tiro della freccia, che doveva essere scoccata per intuizione spontanea16. Lo spirito dell’arciere doveva proiettarsi sul bersaglio che poteva essere colpito dalla freccia nel momento in cui la mente raggiungeva l’imperturbabilità, ciò era possibile solo attraverso il fudōshin 不 動 心 ovvero l’immobilità del cuore/mente, grazie alla quale il bushi restava calmo evitando di farsi coinvolgere dalla pressione degli eventi circostanti. Naturalmente ciò non era semplice, il samurai doveva possedere due virtù basilari necessarie per il raggiungimento di questo stato mentale : il mushin 無心 e lo shūgyō 修業 . Per quanto riguarda il concetto di mushin, il suo significato letterale è “non-mente”. Essendo una“via dello spirito”, il bushidō 16 E. Herrighel, 1975, Lo zen e il tiro con l’arco, Milano, Adelphi. 13 presupponeva il raggiungimento di uno stato interiore di vacuità che, come visto precedentemente, era necessario soprattutto durante il combattimento. Lo stato di mushin ha come fondamento il muga 無 我 “non io” : situazione psicologica in cui veniva eliminato ogni autocontrollo e quindi scomparivano paura e circospezione. Suzuki definisce la situazione del muga come “un’estasi in cui è normalmente accompagna l’azione” 17 assente la consapevolezza che ,ciò comporta il superamento dell’io che osserva e giudica e la derivazione del munen 無念 “non pensiero” che non significa abolizione della ragione ma semplicemente che non esiste più il pensiero che si frappone tra cose e conoscenza delle cose stesse, poiché esse si rivelano direttamente nell’ animo. Lo shugyō rappresentava l’autodisciplina, il dominio di se stessi, il controllo dei sentimenti, come già anticipato precedentemente esso era fondamentale nella vita del bushi. Ad esempio, tradire sul volto le proprie emozioni era considerato poco virile, per questo bisognava essere calmi e composti. Secondo Ruth Benedict 18 per i giapponesi l’autodisciplina permetteva di vivere fino in fondo, infatti come dice un proverbio “fa sparire la ruggine del corpo facendo di un uomo una spada lucente e affilata”. Inoltre lo shūgyō permetteva al bushi di vivere le difficoltà con gioia poiché venivano considerate strumenti utili per mettere alla prova se stessi. Era vergognoso, ad esempio, cedere agli stimoli della fame, ricordiamo un detto che dice “Gli uccellini pigolano quando aspettano l’imbeccata, ma il samurai tiene lo stecchino tra i denti”. Si comporta cioè come se avesse appena mangiato. Il fatto che una disciplina tanto meditativa quanto lo zen avesse avuto un riscontro così forte tra i samurai, uomini d’azione, potrebbe risultare un paradosso, eppure, se guardati da un certo punto di vista, meditazione e combattimento sono affini giacché entrambi hanno bisogno di una rigorosa autodisciplina. I guerrieri conducevano vita semplice e vicina 17 D. T Suzuki, 1975, Saggi sul buddhismo zen, Roma, ediz. Mediterranee, p. 375. 18 Autrice dell’opera Il crisantemo e la spada, 1993,Bari, Dedalo, p. 257. 14 alla natura, disprezzavano il denaro e nello zen trovavano la forza richiesta dal proprio codice di coraggio fisico e di lealtà assoluta. Queste caratteristiche erano peculiari nel codice guerriero feudale, coloro che le possedevano erano considerati individui superiori e per questo degni di rispetto. In più bisogna considerare la posizione del bushi nei confronti dello Shintō e del buddhismo Māhayāna: sebbene egli leggesse i sutra 19 , visitasse i templi e pregasse come qualsiasi altra persona, la sua professione lo costringeva a trascurare i precetti d’entrambe le religioni: visto che in combattimento uccideva, secondo le regole buddiste egli era un peccatore che sarebbe rinato come un ashura, uno spirito infernale, in uno dei tanti inferni. Da un punto di vista shintoistico invece poiché il bushi aveva a che fare in battaglia con la morte e il sangue, era continuamente esposto alle impurità. Per queste motivazioni il buddhismo zen fu la religione della classe guerriera. Esso si svilupperà ancora di più durante gli anni successivi alla caduta del governo Kamakura, quando con il governo Ashikaga (1333-1573), fondato da Ashikaga Takauji, si ebbe la piena fioritura di questa disciplina vissuta però da un punto di vista più estetico o artistico. Infatti, lo Shōgun esteta Ashikaga Yoshimitsu (1358-1408), nipote di Takauji, contribuì alla fondazione della scuola di pittori paesaggisti e allo sviluppo del teatro Nō; incoraggiò le tendenze letterarie dei suoi guerrieri, gettò le fondamenta per la diffusione della cerimonia del tè, dell’ikebana e dell’architettura zen ( ricordiamo che è a lui che si deve la costruzione del celebre Kinkakuji o Padiglione d’Oro). Inoltre, importante era l’osservanza dell’etichetta e il dovere per un bushi di essere un esempio comportamentale. Nel 1336 Ashikaga Takauji promulgò il Kenmu Shikimoku, codice diretto alla classe guerriera che seguiva la tradizione dello Jōei Shikimonki. Esso però conteneva anche delle nuove caratteristiche che apparvero nella legislazione giapponese fino alla fine del periodo Tokugawa. Il primo articolo, ad esempio, esortava a fare economia criticando la mondanità, 19 il bere e il gioco d’azzardo. Era Testi religiosi in sanscrito che riportano i discorsi del Buddha e dei suoi discepoli. 15 evidente che il trasferimento dello shogunato a Kyōto aveva dato vita ad una fusione tra la raffinatezza della corte e il vigore della classe militare, e se quest’ultima durante il periodo Kamakura attingeva allo zen per ottenere forza sul campo di battaglia, la corte Ashikaga vedeva in esso una forma di evasione estetica e consolazione spirituale in un periodo caratterizzato da guerre, invasioni e sommosse. Il periodo Ashikaga si concluse con la guerra Ōnin che aveva distrutto il potere shogunale. Il Giappone divenne un insieme di feudi e il potere passò nelle mani dei daimyō. Inizialmente questi erano semplici comandanti di truppe che col tempo acquisirono anche l’autorità civile, oltre a quella militare che già avevano; essi, secondo il codice dei samurai esigevano assoluta fedeltà. Nel 1568 Oda Nobunaga (1534-1583), daimyō di una regione situata tra il distretto della capitale e il Kantō, marciò su Kyōto e vi istallò uno shōgun a sua scelta. Egli fu il primo grande unificatore del Giappone, seguito da Toyotomi Hideyoshi (1536-1598) e da Tokugawa Ieyasu (1542-1616). Toyotomi Hideyoshi, in particolare, è ancora oggi considerato figura chiave nella storia del Giappone, l’epoca in cui operò fu definita Momoyama (nome del castello che fece edificare a sud di Kyōto). Pur essendo di origine contadina riuscì a divenire capo indiscusso del paese, unificandolo e portando la stabilità che in Giappone mancava ormai da troppo tempo. Uno dei metodi che seguì per raggiungere tali obiettivi fu quello di arrestare le trasformazioni sociali che avevano avuto luogo nei decenni precedenti. Nel 1588 ordinando a tutti i contadini di consegnare le spade ristabilì una netta distinzione tra aristocrazia e popolo, in più promulgò leggi che impedissero ai dipendenti militari di lasciare il servizio del loro signore per diventare mercanti o lavoratori. Dieci anni dopo, Hideyoshi costituì un consiglio di daimyō alla cui testa era Tokugawa Ieyasu, suo fedele vassallo, al quale affidò il compito di governare il paese fino alla maggiore età del figlio Hideyori, il quale non riuscì mai a governare il paese in quanto il potere, dopo la battaglia di Sekigahara (1600), passò nelle mani di Ieyasu. Trasferita la capitale a Edo, Ieyasu fondò lo shogunato Tokugawa e ottenne, nel 1603, come 16 lontano discendente dei Minamoto, la carica di shōgun dando vita ad una dinastia che sarebbe durata fino al 1867. 17
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