corso di net art - Domenico Quaranta
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Accademia di Belle Arti di Brera - Brera 2 Anno Accademico 2006 – 2007 CORSO DI NET ART Prof. Domenico Quaranta e-mail: [email protected] mob: 340 / 2392478 web: domenicoquaranta.net PROGRAMMA DEL CORSO 1. Definire la Net Art net.art, Net Art e New Media Art Il concetto di Networking 2. net.art: l'avanguardia digitale La mitopoiesi L'estetica del macchinico e della comunicazione La storia ufficiale della net.art Software Art Code Poetry Media Hacking & Digital Aktionism Raccontare la storia: Connessioni Leggendarie 3. Net Art La preistoria (anni Sessanta – Ottanta) I primi progetti in Rete Fonderie digitali, contesti, mailing list La crisi dell'anno 2000 La net art nel nuovo millennio Una seconda vita per la Net Art? 4. Forme, temi e linguaggi della net art Narrazione, ipertesto, multimedia Manipolare le interfacce Plagiarismo& remissaggio Archeologia dei media e estetiche low-fi Visualizzazione di dati e database Virus e sabotaggio Corpo e identità sessuali Voyeurismo e sorveglianza Copyright e condivisione BIBLIOGRAFIA Dispensa finale del corso [online all'indirizzo http://www.domenicoquaranta.net/brera07.html] AAVV, Connessioni Leggendarie, cat. della mostra, Ready-Made, Milano, 2005. [Scaricabile in formato pdf all'indirizzo http://www.domenicoquaranta.net/pdf/ConnessioniLeggendarie.pdf] Marco Deseriis, Giuseppe Marano, Net.art. L'arte della connessione, Shake Edizioni, Milano 2003 [scaricabile in formato pdf dall'indirizzo http://www.thething.it/netart] LEZIONE 1 - 9 MARZO 2007 1. Perché è così difficile definire la net art MTAA, Simple Net Art Diagram, 1997 Da Wikipedia, http://en.wikipedia.org/wiki/Net_art Internet art (often called net.art) is art or cultural production which uses the Internet as its primary medium (but not necessarily its subject, though this is often the case). Artists using this medium are sometimes called net.artists. Perchè questa definizione non funziona? A. Perché, diversamente da altre pratiche (digital art, software art, generative art, etc.) la net art è stata (secondo alcuni) o ha avuto la possibilità di essere (secondo altri), un MOVIMENTO ARTISTICO, forse persino un'AVANGUARDIA (l'ultima del '900?) B. Perché Internet ha ridefinito, ampliato e influenzato tutta l'arte che si serve dei media digitali, e anche, parzialmente, persino l'arte che si serve di mezzi più tradizionali, dalla pittura alla fotografia alla scultura. Questo fa si che esistano almeno 3 concezioni di NET ART, raramente esplicitate quando il termine viene usato: 1. Net art = MOVIMENTO [Es: Marano/Deseriis, Net.art. L'arte della connessione, 2003] 2. Net art = PRATICA ARTISTICA [Es: Rachel Greene, Internet Art, 2004] 3. Net art = tutta l'arte dei tempi di Internet [Es: Vito Campanelli, L'arte della Rete, l'Arte in Rete, 2005] 2. Proviamoci lo stesso NET ART (s.f.) L'arte della connessione (Deseriis / Marano). Ogni “progetto in rete per cui la rete sia allo stesso tempo condizione necessaria e sufficiente alla sua visione, esperienza e partecipazione.” (Steve Dietz, Beyond Interface: net art & art on the net, 1998). Chi considera la net art un movimento artistico tende generalmente a utilizzare il termine net.art, con cui definisce una stagione storica ormai conclusa collocabile nell'Europa centro-orientale e nella seconda metà degli anni Novanta e che trova il proprio punto di riferimento nella mailing list Nettime. Chi considera la net art qualsiasi pratica artistica che abbia nella rete il suo principale strumento di creazione e di distribuzione tende a utilizzare i termini net art (senza il punto) o Internet art, e a fare riferimento a un'area molto più vasta sia dal punto di vista temporale (1994 – presente) che spaziale. Questo secondo punto di vista è sostenuto da Rhizome, dai musei americani e in genere dalla critica americana. Più recente è la diffusione del termine New Media Art, che fa riferimento all'arte dei nuovi media così come è stata rivoluzionata dalla rete. Secondo questo paradigma, la net art sarebbe a sua volta un sottoinsieme di una vicenda più ampia e complessa, ma sempre determinata dall'avvento, all'inizio degli anni Novanta, della Rete e dell'informatica di consumo. 3. E io? Io sono un opportunista e un partigiano. Opportunista perché credo che la concezione che vincerà avrà la mia approvazione. Partigiano perché al momento mi do da fare affinché la prima ottenga il riconoscimento che merita. O meglio: 1. Credo che sia esistita una fase avanguardistica della net art, che si chiama net.art, che ha avuto tutti i caratteri del movimento artistico d'avanguardia, una durata temporale circoscritta e una grande capacità di colpire l'immaginario. 2. Credo che la net.art come avanguardia sia un'esperienza conclusa, ma che la net art come pratica continui a vivere e continuerà per molto tempo. È finita la fase d'avanguardia, ma i linguaggi che ha inventato e i temi che ha sollevato continueranno a fertilizzare l'arte per molto tempo (cfr.dadaismo) 3. Credo, con M. Tribe e R. Jana, che l'avvento di Internet e dei media digitali abbia, negli anni 90, trasformato l'arte dei nuovi media in qualcosa di radicalmente diverso dalle sperimentazioni dei decenni precedenti, e condivido la capacità del termine New Media Art di sintetizzare questa svolta. 4. Credo che oggi ci troviamo in una fase postmediale, in cui tutte le pratiche artistiche sono state segnate dall'avvento dell'informatica di consumo. Detto questo, non credo che net art sia una buona definizione per tutta l'arte del presente. Credo che l'espressione “condizione postmediale” lanciata da Peter Weibel sia decisamente più adatta a definire questa situazione. LEZIONE 2 - 16 MARZO 2007 net.art: l'avanguardia digitale Su quali presupposti si può affermare che la net.art è un'avanguardia? L'idea comune di avanguardia - desunta dall'analisi delle avanguardie storiche - implica: - il tentativo di superare il concetto comune di arte: l'avanguardia apre a una nuova concezione artistica; - una carica utopica che spesso si carica di implicazioni politiche, e che vede il rinnovamento dell'arte come parte di una più radicale trasformazione della società; - l'idea (condivisa da un gruppo più o meno ampio di artisti) di combattere insieme per un ideale comune, a cui corrisponde una reale attività di gruppo, un manifesto, una autodenominazione (Futurismo, Dada, Surrealismo); - la contrapposizione alla società borghese ("stupire i borghesi"), che diventa più avanti opposizione alla cultura di massa; - la costruzione di una propria "mitologia", basata su aneddoti, atteggiamenti e leggende. Le cosiddette neoavanguardie degli anni Sessanta ripropongono queste logiche, ma la loro rivolta è minata dalla consapevolezza che "cambiare il mondo" attraverso l'arte - come volevano le avanguardie storiche - non è possibile. In altre parole, viene meno la carica utopica, sostituita da una ironia tutta postmoderna (forse l'unica neoavanguardia che mantiene una componente utopica è l'arte cinetica, che trae il suo ottimismo da un'altra utopia: il miglioramento del mondo tramite la scienza e la tecnologia). Da un certo punto di vista, la net.art è un'avanguardia postmoderna: più che essere una vera avanguardia, Vuk Cosic e compagni giocano a fare l'avanguardia, adottando tutti gli strumenti della costruzione mitopeietica, e affiancandogli l'arma più forte dell'avanguardia: l'ironia. Ma per altri versi, la net.art ha avuto tutti i caratteri di una autentica avanguardia: [1] si è opposta al sistema dell'arte e alle sue modalità di attribuzione dell'aura (il museo) e del valore economico (il mercato); [2] ha cercato un rapporto immediato con lo spettatore, e ha cercato di proporgli una fruizione attiva dell'opera, sfruttando le potenzialità partecipative di Internet; [3] ha abbattuto la distinzione tra copia e originale, sviluppando opere aperte, immateriali, non vendibili; [4] ha sviluppato la tendenza delle avanguardie all'agire collettivo (dal cadavre exquis a fluxus) sfruttando le possibilità di networking messe a disposizione dalla rete, e contaminandosi con altre comunità (gli sviluppatori open source, i media attivisti. Tutto ciò l'hanno fatto, ovviamente, nella consapevolezza che sarebbe durato molto poco: il museo si sarebbe interessato alla net.art, qualcuno avrebbe trovato il modo di venderla, il filtro e la mediazione sarebbero tornata necessari, e l'artista sarebbe tornato a pesare di più del collettivo... La mitopoiesi [SUMMARY] - "Mitopoiesi. "Costruzione del mito". Usare le leggende urbane, le tecniche di intelligence, le strategie pubblicitarie, ma dirottando tutto ciò verso la creazione di una reputazione, di un personaggio - dapprima "virtuale" e poi, escrescendo, sempre più reale. [...] saccheggiare e riadattare un patrimonio antichissimo di miti e archetipi comuni a tutte le società umane, poi rielaborato nell'arte e nella cultura di massa. Trovare alcune figure topiche, risalendovi dal cinema, dal fumetto e dalla letteratura seriale ("di genere"), per poi produrne una sintesi, basata su un massimo comune denominatore: una "reputazione" intesa come opera aperta, costantemente rimanipolabile, basata sul maggior numero possibile di "ritocchi" e interventi soggettivi." Da Luther Blissett, Totò, Peppino e la guerra psichica (Release 2.0), Febbraio 2000 Tutte le avanguardie hanno trasformato in mito la loro storia: la corsa in automobile del Manifesto Futurista, il dizionario dada, la morte di Arthur Cravan e quella di Jacques Vache. Ma la net.art ha anche altre esperienze alle spalle: il culture jamming, i nomi multipli, le pratiche di manipolazione dell'informazione... La storia della net.art se la sono costruita gli artisti, con le interviste, i messaggi su Nettime, i meeting e il modo in cui li hanno raccontati, le opere... [APPROFONDIMENTO] - Domenico Quaranta: La leggenda della net.art. DA: Luca Lampo (a cura di), Connessioni Leggendarie, cat. della mostra, ottobre – novembre 2005 [APPROFONDIMENTO] - Vuk Cosic: OFFICIAL HISTORY OF NET.ART AND THEN WHAT? [MATERIALI] Alexei Shulgin: nettime: Net.Art - the origin (in Nettime, 18 Mar 1997) La storica email in cui Alexei Shulgin racconta l'origine dell'espressione net.art. Vuk Cosic, Net.art per se, 1996 Le tecniche mitopoietiche applicate al racconto di uno dei primi meeting di net.artisti, avvenuto il 21-22 maggio al teatro Miela di Trieste. Vuk Cosic, History of Art for Airports La net.art fa capolino fra una serie di classici della storia dell'arte. Vuk Cosic, Classics of net.art Un sito che vende i cataloghi ufficiali dei "classici della net.art". Bookchin + Shulgin + Blank + Jeron, Introduction to net.art (1994-1999), 1999. Le istruzioni per diventare un net.artista, incise su tavole di marmo. Olia Lialina, Last Real Net Art Museum Un museo costruito su misura per un "classico" della net.art. LEZIONE 3 - 23 MARZO 2007 L'estetica del macchinico e della comunicazione "Come principio estetico, il macchinico è associato con il processo piuttosto che con l’oggetto, con la dinamica piuttosto che con la finalità, con l’instabilità anziché con la permanenza, con la comunicazione invece che con la rappresentazione, con l’azione e con il gioco. L’estetica del macchinico non si preoccupa dei risultati o delle intenzioni delle pratiche artistiche, ma delle traduzioni e trasformazioni che avvengono nell’assemblaggio macchinico." Andreas Broeckmann, 1997 "Se non arriviamo subito a cogliere il punto nodale dell’estetica della comunicazione è per una ragione molto semplice: è perché essa non funziona più a partire dalla rappresentazione, come tutti i media tipografici e i derivati del libro. Finché cerchiamo delle rappresentazioni, finché cerchiamo di rappresentarci un certo circuito, una certa esperienza, come una funzione- specchio – il modello del libro – compiamo lo stesso semplicistico errore del fruitore medio che davanti a un quadro astratto si chiede “che cosa significa?”. Non vuol dire proprio niente, vuol fare qualcosa." Derrick De Kerckhove, 1999 "Se circoscriviamo e applichiamo la categoria del macchinico alle reti di comunicazione, essa può essere utile per individuare alcune qualità estetiche proprie della net.art, a partire dal suo carattere dinamico, processuale, non rappresentativo e non oggettuale." Deseriis-Marano, 2003 "...la net.art delle origini si caratterizzava per l’enfasi posta sul circuito comunicativo, piuttosto che sui contenuti da esso veicolati; un circuito che in realtà faceva “dello stesso fruitore il contenuto”. Questo concetto è fondamentale per collocare l’estetica della comunicazione e la net.art nel filone di ricerca delle avanguardie del Novecento." Deseriis-Marano, 2003 [APPROFONDIMENTO]: Estetica del macchinico e della comunicazione. Estratto da: Marco Deseriis, Giuseppe Marano, Net.art. L'arte della connessione, Shake, Milano 2003. Pp. 19 – 21 [MATERIALI] Heath Bunting, King’s Cross Phone-In, 1994. Non più online. Da Deseriis-Marano, Net.art..., 2003: Uno dei primi eventi che si materializza attraverso il World Wide Web, costituendo una forma embrionale di net.art, è il King’s Cross Phone- In (www.irational.org/cybercafe/xrel.html) un progetto lanciato nel 1994 dall’artista londinese Heath Bunting. Già pittore del vetro, creatore di street poster, graffiti e di interventi di comunicazione urbana di varia natura (dalle radio pirata ai primi Bullettin Board System), Bunting era venuto a conoscenza dei numeri di 36 cabine telefoniche della stazione ferroviaria di King’s Cross. Decise quindi pubblicarli sul Web e di diffonderli tramite alcune mailing list a partecipazione internazionale. Invitò quindi tutti coloro che li avevano ricevuti a chiamare simultaneamente le cabine a un orario prefissato, le sei pomeridiane del fuso orario di Greenwich di venerdì 5 agosto. Dopo avere fornito l’elenco dei numeri, il messaggio di Bunting suggeriva ai partecipanti una serie di combinazioni possibili: (1) chiama uno o più numeri e lascia il telefono squillare per un breve istante e poi attacca; (2) chiama questi numeri secondo un certo tipo di ricorrenza; (3) chiama e conversa con una persona prestabilita o inaspettata; (4) vai alla stazione di Kings Cross e osserva la reazione/risposta pubblica ai telefoni e le conversazioni; (5) fai qualcosa di diverso. Questo evento verrà pubblicizzato globalmente. Scriverò un resoconto affermando che: (1) nessuno ha telefonato; (2) un’ingente techno folla si è riunita e ha ballato al suono dei telefoni squillanti; (3) qualcosa di inaspettato è accaduto. Nessun rinfresco verrà fornito/per favore portate il pranzo al sacco. E così, all’ora stabilita, i telefoni cominciarono a squillare simultaneamente, sotto gli sguardi interrogativi degli impiegati e dei rivenditori della stazione. Passanti e avventori delle cabine, attratti dalla curiosa coincidenza, rispondevano. Si avviavano così delle conversazioni casuali, ai limiti del surreale. La rapida diffusione dei numeri attraverso la Rete, faceva sì, fatto ancora più inusuale, che molte telefonate arrivassero da paesi come gli Stati Uniti e l’Australia che con il sistema postale tradizionale sarebbe stato molto più difficile e costoso raggiungere. Heath Bunting, Communication creates conflict, 1995 Da Deseriis-Marano, Net.art..., 2003: Nel 1995 sarà la volta di Communication Creates Conflict, realizzato con il patrocinio dell’Institute of Contemporary Culture di Tokyo. In questo caso, i media utilizzati – fax, e-mail, cartoline virtuali, volantini e bigliettini cartacei – facevano esplicitamente riferimento alla mail art, che aveva già posto la questione del networking come nuova forma dell’agire estetico. Tuttavia rispetto al King’s Cross Phone-In, Communication Creates Conflict offriva al navigatore una serie di opzioni basate su un uso più specifico del Web. Accedendo all’homepage del progetto (www.irational.org/cybercafe/tokyo) e attivando i collegamenti ipertestuali contenuti in un breve componimento introduttivo di Bunting, il navigatore trovava una serie di form – moduli predisposti all’inserimento dinamico di dati – con cui poteva inviare messaggi di testo a Heath Bunting o a chiunque altro. A complemento dei processi automatici utilizzati, l’artista londinese elaborava poi un ventaglio di “opzioni poetiche”: significativo, in questo senso, era il modulo per l’invio di messaggi e-mail, dove un testo precompilato poteva essere modificato in più parti, con un numero discreto di permutazioni possibili. Heath Bunting, _readme.html, own, be owned or remain invisible, 1998 Da Deseriis-Marano, Net.art..., 2003: L’artista che meglio rendeva conto di questa mercificazione del cyberspazio (registrare un dominio significa occupare una casella, per poterla poi rivendere) era Heath Bunting. Con il progetto Own, Be Owned, Remain Invisible (Possiedi, vieni posseduto, rimani invisibile) l’artista inglese scriveva un lungo testo a metà tra l’autobiografia e il testo di denuncia, in cui quasi tutte le parole impiegate erano in realtà link a domini .com [...] Attraverso l’iniziativa, Heath Bunting denunciava la progressiva appropriazione e mercificazione dello spazio sociale della Rete. E lo faceva su un duplice livello: dicendolo con le parole, ma dimostrandolo anche nei fatti, sottolineando letteralmente come ogni termine di uso comune (gli articoli, le preposizioni, i verbi ausiliari, persino i segni di interpunzione) fosse ormai registrato come dominio commerciale.com: bastava cliccare per credere. Le uniche parole a non essere linkate erano graficamente quasi invisibili (remain invisible, appunto) e riguardavano le attività che l’artista aveva intrapreso negli anni, le radio pirata o gli spazi di socialità non occupati dal mercato, come le Bbs o il Backspace di Londra. Il testo di Bunting, che politicizzava gli esperimenti formali di Shulgin sul link, si sarebbe rivelato presto profetico: nel giro di un paio d’anni la colonizzazione commerciale del cyberspazio avrebbe prodotto una miriade di cause legali e, come vedremo in seguito, anche gradi battaglie civili sull’assegnazione dei domini e per la libertà d’espressione. Heath Bunting, Net.art Consultants, 1999 Da Connessioni leggendarie: La net.art non si è limitata a scrivere la propria storia, compilando il proprio certificato di nascita e anticipando le fasi della propria evoluzione. Con net.art Consultants, l’inglese Heath Bunting ha dato corpo alla sua riflessione ironica sulla creazione di una economia della net.art, e della istituzionalizzazione di una forma d’arte che mette in discussione i concetti di originale e di proprietà. Il progetto, semplicissimo nella concezione quanto nel design, si basa su una piattaforma che consente all’utente di donare un’opera di net.art a una istituzione d’arte. Nessun guadagno, anche se nella finzione del progetto, l’istituzione viene inserita nella lista dei possibili beneficiari pagando una retta che raggiunge i 5000 $ per un anno. Fin qui, tutto bene. Ma visitando la lista dei progetti entrati nelle prestigiose collezioni, i problemi non si fanno attendere. C’è chi ha donato un sito su cui non può vantare alcun diritto; chi ha donato lo stesso lavoro a tutte le istituzioni coinvolte nell’iniziativa. Chi ha donato al MoMA il sito del MoMA, e chi ha donato Yahoo o Google. Chi ha donato un sito che non è, né vuole essere, net.art, e chi, come Heath Bunting, ha donato un progetto che dovrebbe chiamarsi Donate net.art, e che non è altro che net.art Consultants. Così, in una sorta di testamento collettivo, la net.art espone la sua inconciliabilità con i concetti che hanno governato il mondo dell’arte fino ad allora, proprio nel momento in cui artisti e galleristi cominciano a studiare le possibili soluzioni per una sua commercializzazione. Alexei Shulgin et al., Refresh, 1996 Da Deseriis-Marano, Net.art..., 2003: Suggerendo una poetica del networking, il progetto Refresh metteva in luce diversi punti nodali. Da un punto di vista estetico evidenziava quelle caratteristiche di transitorietà e impermanenza proprie della net.art. La costruzione di un anello, di un tracciato a tappe, mostrava come in Rete la prossimità fosse segnata non da coordinate spaziali cartesiane, ma dalla capacità di mettere in condivisione una griglia di tempi. Inoltre, la performance rendeva labili i limiti tra la fruizione dell’evento (semplice navigazione lungo l’anello dei siti) e la partecipazione diretta con una propria pagina Web: la funzione dello spettatore-attore o del fruitore-interprete diveniva così una prospettiva concreta e alla portata di tutti. Tale funzione veniva incentivata dall’invito esplicito alla manipolazione e al riassemblaggio dei materiali altrui, da attuarsi scaricando altre pagine della catena e reinserendole modificate sul proprio sito o su quello originale. Refresh rendeva palese a un pubblico più ampio l’esistenza di un circuito di collaborazioni e scambi, visibile fino a quel momento ai soli addetti ai lavori. Questa “rete nella Rete” era composta da una serie di server, mailing list, media center e media lab dell’Est e dell’Ovest europeo, australiani e americani, che condividevano una vocazione globale sconosciuta anche alle esperienze delle avanguardie del Novecento più cosmopolite. Attraverso queste strutture, il lavoro di elaborazione discorsiva e di sperimentazione pratica, intessuto attraverso una vasta gamma di iniziative, si apriva ormai a connessioni e influenze diverse. Alexei Shulgin, Remedy For Information Disease, 1996 Da Deseriis-Marano, Net.art..., 2003: ... all’interno di una progressiva suddivisione della pagina in frame, Shulgin proponeva una serie di immagini animate di cui si poteva scegliere la modalità di movimento (dall’alto in basso, circolare, stroboscopica ecc.), allo scopo di curarsi dallo stress dal sovraccarico informativo: “Questo è un sistema innovativo per la cura delle malattie da informazione. Il flash cura il flash” era il paradossale motto. Alexei Shulgin, Link X, 1997 Da Deseriis-Marano, Net.art..., 2003: Nel progetto Linkx [http://basis.desk.nl/~you/linkx/], lanciato nel 1996, Alexei Shulgin pubblicava una lista di parole di uso comune quali, “link, welcome, information, money, start”. Ogni link dell’elenco rimandava non a un sito sull’informazione, i soldi, quanto a server, il cui dominio era [www.link.org], [www.welcome.com], [www.money.org], [www.start.- com] e via dicendo. In altri termini Linkx mostrava banalmente come le parole del cyberspazio non siano solo portatrici di significati, ma abbiano anche un valore sul piano dei significanti, in quanto nomi dei server. Il dominio del server è la prima informazione che il browser utilizza nel momento in cui gli chiediamo di individuare un sito. Sebbene questo indirizzo abbia un nome espresso in caratteri alfabetici, esso è associato a un numero Ip (Internet Protocol, per esempio 0.255.123.43) che identifica univocamente la macchina-server che stiamo cercando. I codici delle macchine sono numerici, ma vengono alfabetizzati tramite il Domain Name System (Dns) affinché li si possa memorizzare più facilmente. Questa sovrapposizione tra i codici alfanumerici e il linguaggio naturale crea dei “salti quantici” nei processi di attribuzione del senso. Il net.artista gioca con queste ambiguità linguistiche degli assemblaggi macchinici, mostrando ciò che le cosiddette interfacce user friendly nascondono. Alexei Shulgin, XXX, 1997 Da Deseriis-Marano, Net.art..., 2003: Facendo leva su questo genere di ambiguità, Alexei Shulgin lanciò nel 1997 un sito, XXX [www.computerfinearts.com/collection/easylife.org/ xxx], che utilizzava l’immaginario pornografico per attrarre e deviare i flussi di navigazione. Ben consapevole del fatto che la fetta più consistente del traffico di Internet è orientata verso siti di contenuto pornografico, Shulgin ne disegnò uno che si presentava con tutto il corredo di icone, slogan e promesse tipiche dell’industria del porno: hot pics, hot babes e così via. Non appena però ci si addentrava nelle pagine interne, alla ricerca di immagini più “significative”, avveniva l’imprevisto. Cliccando sulle icone per visualizzarne la versione full size si veniva sbalzati sui primi siti di net.art e di attivismo che stavano nascendo su Internet. Si finiva cioè in uno dei siti del network cui Shulgin, come artista, faceva riferimento. Intervenendo sugli hyperlink celati dietro alle fotografie, Shulgin sfruttava la pornografia per catalizzare e dirottare l’attenzione di un pubblico che altrimenti non avrebbe mai visitato i siti di sperimentazione. Da un punto di vista concettuale, questo tipo di operazione non era certo una novità. Azioni simili erano già state sperimentate dalle avanguardie del Novecento con il “deturnamento” dei messaggi pubblicitari e vari tentativi di appropriazione della cultura di massa e del linguaggio ufficiale dei media. In questo caso, però, l’intervento di Shulgin dimostrava come tramite Internet fosse possibile esercitare un controllo sulla distribuzione del messaggio stesso. Non si trattava più di deturnare la pubblicità, come avevano fatto gli artisti pop o i situazionisti, né di creare falsi giornalistici (famosi quelli del giornale satirico “Il Male” negli anni Settanta) o radiofonici (il finto sbarco dei marziani di Orson Welles), ma di aprire dei canali comunicativi e di interazione con aree di pubblico che utilizzavano lo stesso mezzo ma per scopi differenti. La scommessa era quella di non chiudersi all’interno di circuiti autoreferenziali, ma di contaminarli intrecciando diverse discorsività. LEZIONE 4 - 30 MARZO 2007 La storia “ufficiale” della net.art [DISCLAIMER: Non esiste, ovviamente, una storia ufficiale della net.art. “Ufficiale” in che senso? Chi sancisce l'ufficialità, e chi la impone? Se è stata già sviluppata una storia “ufficiale”, perchè non indagare di più e scrivere finalmente una storia “ufficiosa”? L'ufficialità cui facciamo riferimento non si stabilisce in termini di “autorità”, ma in termini di “mitopoiesi”. La net.art, abbiamo visto, si è raccontata, ha costruito la sua storia, includendo dei fatti ed escludendone altri, individuando dei momenti nodali e dei luoghi di passaggio, rivendicando i suoi padri e dichiarando la propria morte. I fatti elencati di seguito sono quelli che hanno una presenza significativa in questa storia. Se, al di la della pura elencazione, volessimo decodificarli, potremmo farlo così: “la net.art nasce nei primi anni Novanta, in seguito alla diffusione di massa dei primi browser, ma rivendica forti legami con la cultura hacker e gli esperimenti comunitari (Fidonet) degli anni immediatamente precedenti. Va incontro a una strepitosa ascesa, che vede tra le sue tappe fondamentali il “net.art thread” su Nettime, la nascita di Rhizome, il Digital Hijack e Documenta X, che sancisce il primo interessamento istituzionale; esplode tra 1998 e 2000, fase ad alta densità di operazioni di azionismo mediatico (Darko Maver, gatt.org, Vote Auction), e trova la sua massima apertura comunitaria nella Toywar (1999 – 2000); “muore” tra 2000 e 2001, in corrispondenza – e a seguito – della definitiva accettazione istituzionale, del crollo della new economy e delle Twin Towers.] 1990: Tim Berners Lee mette a punto il WorldWideWeb (WWW) 1991: Linus Torvalds rende accessibile in rete il kernel di LINUX 1991: a New York Wolfgang Staehle fonda The Thing BBS (su web dal 1995) 1993: Robbin Murphy e Remo Campopiano fondano Artnetweb come BBS (su web dal 1995) 1993: viene distribuito in rete il primo browser web, Mosaic si forma il gruppo etoy 1995: Microsoft include nel proprio sistema operativo il browser web Internet Explorer 1995, primavera: nasce a Venezia la mailing list Nettime 1996, gennaio: Next Five Minutes, Amsterdam: Nettime pubblica il suo primo digest. L'evento è la prima occasione di incontro per gli artisti che discutono sulla lista 1996, febbraio: Mark Tribe fonda a Berlino la mailing list Rhizome 1996, marzo - luglio: etoy, Digital Hijack 1996, maggio: un gelato a Trieste: la nascita della net.art (net.art per se) 1997, febbraio: l'Hamburger Kunsthalle lancia Extension, per cui Cornelia Sollfrank realizza Female Extension 1997, giugno - settembre: la net.art a Documenta X. Alla chiusura, Vuk Cosic clona il sito della manifestazione. 1997, settembre: la net.art ad Ars Electronica (Linz). 1998: Steve Dietz cura la mostra online Beyond Interface: nel saggio introduttivo introduce la distinzione tra net.art e Net Art. 1998, maggio: il Banff Centre ospita una conferenza intitolata "Curating and Conserving New Media": Cosic, Shulgin e Bunting ritengono opportuno dichiarare la morte della net.art 1998, settembre: l'Electronic Disturbance Theater (EDT) lancia il primo Floodnet, contro il sito del presidente messicano Zedillo 1998: avvio del progetto Darko Maver, poi rivendicato da Luther Blisset e 0100101110101101.org 1998: in California viene fondata la "corporation virale" RTMark 1999: 0100101110101101.org clona il sito di Hell.com 1999: RTMark mette online il sito gatt.org, parodia del sito del WTO. Dalla finta corrispondenza che ne nasce prenderanno il via le performance degli Yes Men 1999, settembre - novembre: mostra itinerante net_condition (ZKM, Graz; InterCommunication Center (ICC), Tokyo; MECAD, Barcelona): La net.art muore una seconda volta grazie all'allestimento di Jeffrey Shaw (The net.art browser) 1999, novembre: la multinazionale Etoys denuncia etoy per violazione di copiright e concorrenza sleale. Inizia la Toywar 2000, marzo: inizio del progetto Vote-auction (Ubermorgen.com) 2000, settembre: a Bologna, prima edizione del festival d-i-n-a Digital is not Analog 2000, novembre: il Walker Art Center commissiona agli 0100101110101101.org il progetto Life Sharing 2000: la Whitney Biennal include la Net Art nella sua programmazione. Invitato, il collettivo americano RTMark vende su Ebay i propri inviti 2001, gennaio: il SFMOMA inaugura 010101: Art in Technological Times 2001, marzo: il Whitney Museum propone in contemporanea 2 mostre sulla New Media Art: BitStreams e Data Dynamics 2001, giugno: grazie a Vuk Cosic, invitato dal padiglione sloveno, la net.art fa il suo ingresso trionfale alla Biennale di Venezia. 0100101110101101.org e [epidemiC] mettono in circolazione Biennale.py LEZIONE 5 - 20 APRILE 2007 Software Art Da Connessioni leggendarie: Sin da quando esiste l’idea di “computer”, nell’immaginario comune il software ha sempre avuto un’aura un po’ grigia: banali istruzioni che, eseguite dalla macchina, risparmiano a noi un bel po’ di lavoro. Ma la scrittura e la progettazione dei programmi, essendo appunto “scrittura”, ha nel tempo acquisito una propria cultura del tutto paragonabile, per complessità e importanza, alle culture che si tendono a definire con la “c” maiuscola. Così si è cominciato a parlare di etica “hacker”, di “sofware culture” e, più di recente, di “software art”... L’espressione “software art” indica una categoria pratica più che un movimento ideologico, il che fa capire la tranquillità con cui è stato accolto dagli artisti che utilizzano la programmazione come forma o mezzo espressivo. Spiega Runme.org, una delle principali cattedrali della software art: “La software art trae la sua linfa vitale e le sue tecniche dalla software culture, e adotta approcci e strategie simili a quelle usate nel mondo dell’arte... porta la software culture nel campo dell’arte, ed estende l’arte al di là delle istituzioni.” Così, software art è, nelle parole di Florian Cramer, qualsiasi lavoro che si costruisca su un “codice di istruzioni formali”, come Screen Saver di E. Karhalev e I.Khimin o net.art Consultants di Heath Bunting: un set di istruzioni per personalizzare un banale screensaver di Windows, un sistema per conferire alla net.art autorità e valore economico. Software art può essere il recupero “archeologico” di vecchi sistemi formali (l’ASCII art di Vuk Cosic), o l’utilizzo alternativo di frammenti di linguaggio privati della funzione per cui sono stati creati (la Form Art di Shulgin). Ancora, la software art può nascere dall’intervento su sistemi formali già esistenti, per intaccarne lo spirito, l’interfaccia o entrambe le cose: così Jodi e Retroyou con i giochi modificati; così Adrian Ward con Auto-illustrator, che trasforma Adobe Illustrator in un programma che disobbedisce ai nostri comandi per seguire un proprio progetto creativo; mentre [epidemiC] con downJones sendMail, rende creativo il nostro programma di posta, che si prende la licenza di intervenire sui nostri messaggi. Un filone di ricerca molto fortunato è stato quello dei browser alternativi, inaugurato dal collettivo I/O/D con The Web Stalker, che dei siti Web preferisce mostrarci la struttura, anziché il contenuto; mentre Mark Napier, con Riot, punta a sfregiare l’interfaccia, mixando tra di loro le pagine richieste al browser da diversi utenti nello stesso momento. Un lavoro che, come quelli del collettivo inglese Mongrel, mescola software culture e cultura di strada, e che adotta un processo di postproduzione che si ritrova, in forme diverse, in moltissime iniziative: così, i net.art generator di Cornelia Sollfrank creano opere d’arte mescolando materiali e pezzi di codici rubati in rete; Reamweaver, degli Yes Men, consente di fare una copia di un sito e tenerne monitorati gli aggiornamenti, autorizzando nel contempo delle semplici modifiche dei contenuti a scopo parodistico; e The Plagiarist Manifesto, di Amy Alexander, ricicla frammenti testuali in un nuovo “manifesto plagiarista” ogni volta che si accede alla pagina. Tutti esempi che spiegano come non esistano, per la software art, dei limiti formali, e come una ricerca fortemente legata, sin dal nome, all’età dell’informazione possa riconoscere i propri padri in alcuni momenti chiave dell’arte del Novecento: dada (le poesie nel cappello di Tzara), Fluxus (le istruzioni di George Maciunas e LaMonte Young) e concettuale (i Wall Drawings di Sol LeWitt). [Domenico Quaranta] I/O/D, The Web Stalker, 1997 Alexei Shulgin, Form Art, 1997 Vuk Cosic, contemporary ascii, 1998 Cornelia Sollfrank, net.art generator, 1999 Mark Napier, Riot, 1999 Eldar Karhalev e Ivan Khimin, Screen Saver, 2001 "SCREEN SAVER" Instructions: System requirements: OS Windows 98/2000/NT 1. On "Desktop" open window "Display properties", section "Screen Saver" 2. In "Screen Saver" select: "3D Text" and select "settings" 3. In the "3D Text Setup" window which opens, carry out the following: a. In section "Display" select - "Text" b. In section "Size" select - "Large" c. In section "Resolution" select - "Max" d. In section "Surface Style" select - "Solid Color" e. In section "Speed" select - "Slow" f. In section "Spin Style" select - "None" g. And most importantly, in text area simple put a full stop! 4. Move onto choice of font: a. Font "Verdana" b. Font Style "Regular" 5. OK 6. OK 7. Apply 8. OK The Yes Men SPIT, Reamweaver, 2001 Adrian Ward, Auto-Illustrator, 2001 [epidemiC], downJones sendMail, 2002 [epidemiC], Antimafia, 2002 UBERMORGEN.COM, The Injunction Generator, 2003 K-HELLO, Waste of Time, 2003 GAME ART Joan Leandre, retroYou r/C M0D series, 1999 Jodi, Untitled Game, 2000 Cory Arcangel, Super Mario Movie, 2005 Brody Condon, Adam Killer, 2000 Jodi, All Wrongs Reversed © 1982, 2004, (DVD minuti 45) Code Poetry Da Connessioni leggendarie: Secondo Florian Cramer, “ogni codice digitale è potenzialmente eseguibile da una macchina, e leggibile a un duplice livello: come codice sorgente e come output”. La code poetry gioca sulla commistione e sull’ambivalenza tra un linguaggio umano naturale e il codice informatico che, coesistenti in un unico testo, possono produrre diverse modalità di lettura. Questo linguaggio è infatti interpretabile sia dall’uomo che dalla “macchina”, ma non allo stesso modo e con risultati differenti: perché, dice ancora Cramer, “la decodifica dei codici non è un’operazione formale, ma soggettiva”. La code poetry non è un gioco autoreferenziale, né l’invenzione bizzarra di alcuni programmatori con velleità poetiche, ma raccoglie una lunga eredità. Da un lato, la commistione di codici e registri linguistici diversi appartiene a una precisa tradizione letteraria, che da Dante arriva fino ad Ezra Pound: quella dell’arricchimento continuo del linguaggio, in opposizione alla rarefazione petrarchesca. Dall’altro, il gioco combinatorio e la natura eseguibile del codice hanno radici nella cabala, negli esperimenti di Queneau e Calvino, nei calligrammi. Di conseguenza, le difficoltà poste dalla code poetry non dipendono tanto dall’utilizzo dei linguaggi macchina, quanto dalla natura sofisticata del mezzo poetico: che, da quando esiste, ha sempre avuto bisogno di note a margine. Il lavoro sul significato ha sempre avuto una controparte nel lavoro, altrettanto importante, sui significanti: la lingua, le figure retoriche, la musicalità, la struttura e la forma del testo. Il tempo e la misura, così come la lettura o l’interpretazione dei significati, sono elementi basilari anche di questo approccio alla poesia. Le varie applicazioni della code poetry rilanciano la posta in gioco con un nuovo, ulteriore elemento di senso: l’esecuzione del testo interpretato dalla macchina può produrre un risultato, un output spesso imprevedibile, in grado di confermare, annullare, negare, ribaltare, moltiplicare, i meccanismi di senso leggibili e dichiarati nel testo iniziale: il codice di input. Così, Biennale.py è, a seconda di chi lo legga, un virus informatico o il racconto di un corteggiamento sessuale; Loveletter è solo un virus, ma declamato dal filosofo Franco Berardi Bifo diventa una poesia onomatopeica dadaista, e anche piuttosto espressiva; e ASCII Forkbomb è una linea di poesia visiva che, se eseguita, provoca il collasso della macchina... [Domenico Quaranta] 0100101110101101.ORG & [epidemiC], Biennale.py, 2001 Jaromil, ASCII Forkbomb, 2002 JODI, in "Unstable Digest vol 55", luglio 2003 MEZ, in "Unstable Digest vol 55", luglio 2003 LEZIONE 6 - 27 APRILE 2007 Media Hacking & Digital Aktionism Da Connessioni leggendarie: Immaginate di inserire alcune parole chiave in un motore di ricerca e di ritrovarvi catapultati su un sito in cui un losco figuro vi punta una pistola contro dicendo: “Non fare una fottuta mossa, questo è un dirottamento digitale.” Era il 1996, quando il gruppo austro-svizzero etoy beffava il sistema di indicizzazione dei principali motori di ricerca, riuscendo a dirottare centinaia di migliaia di navigatori sul proprio sito. Anche se il Digital Hijack non aveva una finalità politica, ma autopromozionale, etoy dimostrava che la rete e i suoi flussi di informazione potevano essere manipolati. Due anni più tardi, dall’altra parte dell’Atlantico, una corporation dal nome programmatico (Registered Trade Mark, ®™ark) si trastullava con le parodie di alcuni siti di politici come Rudy Giuliani e George W. Bush. In particolare, il futuro presidente degli Stati Uniti aveva il suo da fare con un sito-ombra (georgewbush.com) che ricalcava la grafica del sito ufficiale della sua campagna, ma che metteva in bella evidenza il debole di Bush per l’alcool, condendo il tutto con slogan surreali quali “Bush is a market driven system”. La tecnica di creare siti-ombra puntava a produrre delle reazioni imbarazzanti in campo avverso (“Dovrebbero esserci dei limiti alla libertà” avrebbe detto Bush a proposito del “suo” sito) e quindi un nuovo giro di storie notiziabili. Nel giro di un paio d’anni, gli Yes Men, gruppo nato da una costola di ®™ark, avrebbero portato questa tecnica alle sue estreme conseguenze. Gestendo il dominio gatt.org e il relativo sistema di e-mail, gli Yes Men rubavano e “correggevano” l’identità della WTO impersonandola nella veste di delegati ufficiali in ben quattro conferenze internazionali e persino in televisione. Ed è ancora ricorrendo a un falso sito che il gruppo austriaco Ubermorgen “metteva i piedi nel piatto” della campagna elettorale delle presidenziali USA del 2000. Lanciando una piattaforma online per la messa all’asta dei voti dei cittadini americani al miglior offerente, Ubermorgen scatenava l’attenzione morbosa dei media e delle commissioni elettorali di vari stati dell’unione, turbati da uno slogan rivelatore: “Avvicinare il capitalismo e la democrazia”. Nello stesso periodo, anche i floodnet, gli attacchi distribuiti lanciati dall’Electronic Disturbance Teather e da altri collettivi contro i siti simbolo del capitalismo globale, si muovono all’interno di una nuova matrice performativa che agita gli spettri dell’infowar per accrescere il clamore mediatico sugli effetti perniciosi della globalizzazione. Rispetto alle forme più tradizionali di attivismo, l’azionismo mediatico è altamente consapevole dei meccanismi narrativi che soggiacciono al sistema dei media. Il cyberspazio viene quindi usato come campo di battaglia per lanciare una sfida ai media tradizionali e metterne in discussione la struttura chiusa e gerarchica. La Toywar, la grande campagna a sostegno del gruppo etoy – il cui sito viene chiuso nel dicembre del 1999 da un tribunale americano – rappresenta il momento di massima cooperazione tra i vari gruppi, che mettono in campo un ventaglio amplissimo di interventi. La campagna, vittoriosa, si rivelerà alla fine una messa in scena anche per gli attivisti che vi avevano partecipato in buona fede. A dimostrazione del fatto che l’azionismo mediatico può essere un terreno estremamente scivoloso, anche per chi pensa di esserne soggetto e protagonista. [Marco Deseriis] etoy, Digital Hijack, 1996 Cornelia Sollfrank, Female Extension, 1997 0100101110101101.ORG, Darko Maver, 1998 – 1999 Electronic Disturbance Theater, FloodNet, dal 1998 ®™ark, The Mutual Funds, 1998 (cfr. anche qui). The Yes Men, The Yes Men as WTO, 1999 – 2004 Ubermorgen, [V]ote-auction, 2000 0100101110101101.ORG, Nike Ground, 2003 LEZIONE 7 - 4 MAGGIO 2007 Info wars J.F. Sebastian / Parallel Universe: Info wars (2004, documentario, 86 min) [Per una scheda del fim, fare riferimento a: Connessioni leggendarie, cat. Visione del documentario e discussione sull'hacktivism LEZIONE 8 - 11 MAGGIO 2007 [INTERMEZZO] Arte in Second Life – discussione Materiali e link Domenico Quaranta, "NET ART RELOADED: RICOMINCIO DA SECOND LIFE", in Queer (supplemento libri del quotidiano Liberazione), 18 febbraio 2007, numero 94, pp. IV–V. Eva e Franco Mattes (a.k.a. 0100101110101101.ORG), Synthetic Performances, 2007 Gazira Babeli - Second Life Code Performer Second Front LEZIONE 9 - 18 MAGGIO 2007 Software Art - definizione e problematiche Testi di riferimento: Florian Cramer, "Dieci tesi sulla software art", in Techne05, Milano, Revolver 2005. Download pdf, 2.9 MB Florian Cramer, "Dentro e fuori la macchina", in Antonio Caronia, Enrico Livraghi, Simona Pezzano (a cura di), L'arte nell'era della producibilità digitale, Mimesis Edizioni, collana “Eterotopie”, Milano 2006, pagine 81 - 90. Pp. 171, € 16,00, ISBN 978-88-8483-469-0. LEZIONE 10 - 25 MAGGIO 2007 Raccontare la storia: Connessioni Leggendarie Connessioni Leggendarie. Net.art 1995 - 2005 Milano, Mediateca Santa Teresa, 20 ottobre - 10 novembre 2005 A cura di Luca Lampo Comitato Scientifico: 0100101110101101.ORG, Marco Deseriis, Domenico Quaranta Cosa vuol dire "raccontare" la net.art? Come si possono "mettere in mostra" performance multimediali, che si sono svolte prevalentemente in Rete, e di cui sono rimasti soltanto innumerevoli reperti sparsi per il Web? Come si più proporre al pubblico di una mostra un pezzo di code poetry, un atto di plagiarismo, un software informatico? è il computer connesso in rete l'unica soluzione? Immagini dell'allestimento e delle conferenze Net Art - La preistoria (anni Sessanta – Ottanta) 1977: Documenta 6, dedicata al Medienkonzept: la mostra propone tra l’altro alcune opere che prevedono l’utilizzo della connessione satellitare, tra cui il Satellite Arts Project di Kit Galloway & Sherrie Rabinowitz e una performance di Douglas Davis (che già nel 1976, con Seven Thoughts, aveva sperimentato per la prima volta la trasmissione satellitare a fini artistici). 1980: Kit Galloway & Sherrie Rabinowitz realizzano Hole in Space. 1982: in occasione dell’Ars Electronica Festival, l’artista canadese Robert Adrian organizza la performance via satellite The World In 24 Hours. 1983: Nam June Paik realizza Good Morning Mr Orwell, trasmessa via satellite. Roy Ascott: La Plissure du Texte 1984: A Firenze Andrea Zingoni e Antonio Glessi fondano i GMM (Giovanotti Mondani Meccanici). 1986: XLII Biennale di Venezia, dedicata al tema Arte e Scienza. La sezione “Tecnologia e Informatica”, curata da Roy Ascott, viene allestita alle corderie, e prevede immagini sintetiche, installazioni multimediali, “videodischi interattivi” (gli antenati del cd-rom) ed il Planetary Network, una rete basata su connessioni di diversa natura (fax, posta elettronica, slow scan video)grazie alla quale vengono realizzati esperimenti di dispersed authorship. 1990: L’artista italiano Tommaso Tozzi fonda Hacker Art BBS, che presenta l’anno successivo alla GAM di Bologna come opera d’arte. 1991: Wolfgang Staehle fonda a NY The Thing BBS, che diventerà nel giro di pochi anni il più ampio sistema dedicato all’arte in rete. LEZIONE 11 - 1 GIUGNO 2007 I primi progetti in Rete 1993-1994: Barbara Aselmeier, Joachim Blank, Armin Haase e Karlheinz Jeron, Handshake 1993 - 1995, Eva Grubinger, C@C – Computer Aided Curating 1994: Antoni Muntadas, The File Room 1994: David Blair, Waxweb 1994 (novembre): Douglas Davis: The World's First Collaborative Sentence 1994: Nasce Zuper! Felix Stephan Huber, Philip Pocock, Arctic Circle 1995: Eva Grubinger, Net Bikini 1995: Komar & Melamid, Most Wanted Paintings 1995: Ken Goldberg & Joseph Santarromana, The Telegarden LEZIONE 12 - 8 GIUGNO 2007 La “via americana” alla net art <SUMMARY> Le classificazioni sono fatte per essere smentite. Non esiste una “via americana alla Net Art, così come non esiste una “via europea”. Esiste piuttosto una posizione critica che oppone la net.art, di matrice prevalentemente europea, all'approccio che gli Stati Uniti hanno dimostrato, in generale, nei confronti dell'arte in Rete, analoga a quella che oppone il net criticism europeo (Geert Lovink) a quella che è stata stigmatizzata come “l'ideologia di Wired”, in cui la critica e la contestazione del mezzo si oppone, in sostanza, alla sua esaltazione, all'entusiasmo incondizionato. Allo stesso modo, gli Stati Uniti possono essere considerati i migliori rappresentanti di un atteggiamento verso la Net Art che ha contagiato anche critici, curatori, istituzioni e artisti non statunitensi, mentre la net.art ha raccolto proprio negli Stati Uniti alcuni dei suoi adepti più significativi, come RTMArk, Amy Alexander e l'Electronic Disturbance Theater. Questo atteggiamento, o “visione” americana, può essere sintetizzata in alcuni punti significativi: - tendenza a vedere nella Rete semplicemente “un altro mezzo” a disposizione degli artisti, che si oppone alla volontà europea di dare vita a una nuova avanguardia (per quanto auto-ironica, disunita e contraddittoria); questa opposizione potrebbe essere sintetizzata dal classico binomio arte / antiarte. Nella pratica, questa visione si concretizza nella volontà – manifestata da “sistemi di contesto” e istituzioni americane come ada'web, stadium e il dia center – di avvicinare artisti tradizionali alla rete, facendoli lavorare con tecnici e esperti del medium - approccio costruttivo e “neutrale” al mezzo, di contro all'approccio ironico, polemico e decostruttivo della net.art: John Simon vs Jodi, o Processing vs Runme.org - presunta “utilità” della sperimentazione artistica, che proprio in quanto sperimentazione, ricerca, può anticipare prospettive e tendenze del mercato (e quindi, deve essere da questo considerata e sostenuta); - interessamento da parte del sistema dell'arte, musei e gallerie, che vedono nella Net Art “il nuovo”, ciò verso cui dobbiamo tendere, considerato sospetto da parte della net.art, che si oppone al sistema dell'arte e si dimostra fortemente ostile ai primi tentativi di acquisizione, materializzazione, sistemazione critica; Questi elementi si possono verificare in “sistemi di contesto” come ada'web e Rhizome, nel comportamento di istituzioni come il Whitney Museum e il Guggenheim, in molti lavori e anche in una storicizzazione come quella offerta da Rachel Greene in Internet Art. APPROFONDIMENTO 1. FONDERIE DIGITALI, SISTEMI DI CONTESTO, MAILING LIST APPROFONDIMENTO 2. ADA'WEB Contesti stadiumweb dia foundation the thing; qui la vecchia interfaccia. rhizome artnetweb adaweb Musei e istituzioni GUGGENHEIM New York WHITNEY Museum of American Art SFMOMA - e-space SFMOMA - 010101. Art in Technological Times Walker Art Center - Minneapolis NB. Questa dispensa nasce come supporto didattico. È utile per seguire il filo delle lezioni e perchè mette a disposizione link a testi e a opere: serve, quindi, più per la rete a cui da accesso che non per i contenuti che mette a disposizione. Ed è da considerarsi uno strumento insufficiente di studio se non affiancata dai testi suggeriti in bibliografia e dal tessuto intertestuale da essa suggerito. Domenico Quaranta Milano, luglio 2007
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