QUI - Communitas

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Communitas, n. 6 (2012)
http://communitas.vita.it/?p=2778
ISSN ON LINE 2280-3645
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Jacopo Guerriero
Un bibliomane pentito. Intervista a Guido Vitiello
Come un otaku ossessivo – compulsivo a suo agio solo nel rapporto con la forma libro e i suoi derivati: è
l’eroe post classico e post umanistico teso al consumo culturale e alla scoperta del mondo – malgré lui –
come grande narrazione. Leggi Guido Vitiello –I turbamenti di un giovane bibliomane, Cult, 12 euro,
192 pp. – e scoprirai eziologia e profilo di un immaginario ibrido, quello di chi sa sposare
l’infinitamente alto e l’infinitamente pop (in quarta di copertina leggiamo «Ernst Jünger e gli Ufo,
Cornelio Agrippa e Homer Simpson»). Saggi (misura bonsai) che con ironia raccontano lo scontro ilaretragico del bibliomane -il tipo psicologico si qualifica anche come nerd gutenberghiano, apprendiamocon la realtà, sempre sfuggente e sempre oscena, mai precisa come la biblioteca ideale che è quella
dell’anima, ovvero l’archivio dati mentale –di personaggi, storie, avventure intellettuali di raffinatissima
selezione – che il bibliomane accumula facendo pure della vanità la sua cifra. Partiamo da qui per una
conversazione con l’autore che avviene in occasione della sua partecipazione al Festivaletteratura di
Mantova.
Diciamo qualcosa dell’impossibile vocazione del bibliomane: considerando che, come
insegna ogni buon millenarismo, il mondo lo cambiano gli illetterati, notando che, come
scrive Lucien Polastron, il libro è il Doppio dell’uomo, l’aspirazione di categoria quale
può essere? Forse l’incoscienza organizzata contro il principio di realtà?
Dubito che la categoria possa trovare posto in una qualunque filosofia della storia. Tutt’al più la
funzione storica del bibliomane potrebbe essere questa: leggere e collezionare libri di filosofia della
storia, mentre la storia scorre beatamente altrove. I bibliomani non smuovono nulla, certo, ma non è
neppure vero che il mondo lo cambiano gli illetterati: a guidarli (e per lo più a mal consigliarli) sono di
solito proprio dei letterati – giacobini, bolscevichi e intellettuali déclassés di vario genere. Ma sono
letterati di tutt’altra natura rispetto al mio innocuo bibliomane: si tuffano nei libri per uscirne al più
presto e maneggiare la realtà con le armi che hanno attinto tra le pagine. E quando impugnano la
penna, scrivono per lo più libri orrendi (hai mai letto Lenin?). Per il bibliomane la realtà non è un
campo di battaglia ma un miraggio, è un’espressione geografica, anche se gli piacerebbe un giorno
visitarla e scattare qualche fotografia. Se il libro è un doppio dell’uomo, il bibliomane è un doppio del
libro: rilegato in pelle umana, come le poltrone di Fantozzi.
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Mi rendo conto di essere già partito male con la prima domanda: dovevo chiederti,
magari convocando Freud, del ripudio, agli esordi del libro, dell’etichetta di bibliomane
(“Ora che non sono più bibliomane…”). Sospetto sia una menzogna, pure cerchiamo di
insegnare come guarire a chi lo volesse. Perché, a dirla con la mitologia, la vita del
bibliomane sta a metà tra Prometeo (l’impulso continuo ad arricchire la propria
biblioteca) e Sisifo (tutto leggere, tutto catalogare). Dura vita…
Dura simil-vita, semmai, tanto per tornare alle metafore da pellettiere. Ma io, come forse sai, preferisco
gli esempi di Tantalo e di Mida: come il titano della mitologia, il bibliomane non riesce mai a
raggiungere la realtà; e se pure ne acciuffa un lembo, al suo tocco si trasforma subito in letteratura – che
è come l’oro del re sventurato. Ma ti assicuro che sono davvero un ex bibliomane, un disintossicato.
Forse accumulo perfino più libri di prima, ma l’oggetto-libro ha perso, ai miei occhi, molta della sua
aura, del suo carattere di feticcio. Diciamo che sono un bibliomane secolarizzato.
Questa nostra conversazione avviene in occasione della tua partecipazione al
Festivaletteratura. Anche quest’anno l’abituale (noiosissimo) gioco di contrapposizioni
cui si danno le terze pagine è cominciato: festival no, festival sì; quanto è cheap andarci…
quanto è orrido il libro ridotto a merce… quelli che protestano contro Babele da una
parte (tra gli altri, quest’anno La Capria e Onofri), quelli che difendono le manifestazioni
dall’altra (qui la compagine è complessa: ci sono i sacerdoti del politicamente corretto
insieme a chi prende parola per gusto di contrapposizione agli altri, per esempio
Veneziani). Tu perché ci vai? A Mantova è pieno di ragazze in birkenstock, è bene che tu
lo sappia e so che la cosa non ti sarà indifferente –il bibliomane, si dice nel libro, è
terrorizzato dalle ragazze in birkenstock.
Considero segno di salute psichica il non dedicare più di quindici secondi di tempo mentale a dibattiti
del genere “festival sì/festival no”, che non hanno ai miei occhi più dignità delle discussioni sulla crisi
della musica fatte in occasione di Sanremo. O almeno suppongo che sia così, perché gli articoli sui
festival non li leggo, e apprendo da te l’esistenza di una polemica in corso su Mantova. Né d’altro canto
ho mai letto un articolo sui premi letterari, o contro i premi letterari, o sulla questione delle “scuderie”
editoriali. Tutto quel che c’è da sapere della società letteraria e dei suoi riti, per quel che mi riguarda, è
racchiuso in un volumetto di J. Rodolfo Wilcock, Il reato di scrivere, curato da Edoardo Camurri per
Adelphi. Perché vado a Mantova, allora? I maliziosi penseranno: per soldi (magari!), ma in verità ci
vado in viaggio di piacere. Non ci sono mai stato, pare sia una bella città, mi hanno invitato a moderare
incontri pieni di bibliomani (c’è pure Alberto Manguel, un fuoriclasse della bibliomania), ed è tutto qui.
Quanto alle Birkenstock, ogni 21 marzo, equinozio di primavera, scrivo su Facebook questa frase: “La
stagione delle minigonne è anche la stagione delle Birkenstock: come spiegare ai miei ormoni questa
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lampante contraddizione?”. Le Birkenstock autunnali non corrono questo rischio: sono puro orrore
senza mescolanza, e i miei ormoni possono dormire sonni tranquilli.
Torniamo però alla tua natura di bibliomane ripudiata: che è successo, ti sei messo a
lavorare? Ovviamente scherzo, è solo che sono un pigro impenitente ma.. in linea di
massima pubblicare è comunque un mezzo per un fine. Leggere, invece, è solo un
piacere. Un grande critico messicano, Gabriel Zaid, ha scritto che credere o non credere
nei libri come strumenti d’azione è sostanzialmente una questione di fede. Concordi?
Se guardi bene la fotografia di copertina dei Turbamenti, dove ci sono un po’ di miei libri gettati a terra
alla rinfusa, noterai che ce n’è uno di Zaid, Los demasiados libros. Lo seguo sempre con piacere su
Letras Libres, ma questa sua affermazione mi sembra troppo generale per cavarne qualcosa. Che
s’intende per strumento d’azione? Spaccare noci con un volume d’enciclopedia? Ci sono libri che leggo
per piacere, altri che leggo per dovere, altri che leggo per lavoro, altri che leggo per amicizia, altri ancora
che leggo per necessità interiore, e così via. Nella mia lunga adolescenza da bibliomane c’era
un’ulteriore categoria: i libri letti come strumento (tortuoso, e il più delle volte fallimentare) di
seduzione, che a suo modo è una forma d’azione, o di azione surrogata. E quanto alla pigrizia, che
coltivo a un grado eroico, ha per me un’unica eccezione: scrivo solo quei libri che so per certo che
nessun altro scriverà, e che da lettore mi piacerebbe leggere. Altrimenti, preferisco attendere in
poltrona.
I Libri lo chiariscono: per il Talmud e i Veda esisteva una biblioteca già prima della
creazione. Chissà che fine hanno fatto i libri seppelliti da Noè prima del diluvio (nell’Arca
non c’era posto e io credo anche ci fosse un rischio legato al peso). Ora, è l’anno più
severo per le librerie indipendenti, quelle in cui trovi quello che non cerchi, quei luoghi
che sono il solo paradiso per chi, nell’adolescenza, legge Camus e ascolta Elio.
Facciamolo, cediamo per una volta alla tentazione del moralismo, indichiamo a chi ci
legge tre ragioni per cui non andare da Feltrinelli o Mondadori (puoi anche fare come
Omero secondo Voltaire: a chi gli avesse chiesto dove era finita l’anima di Sarpedonte,
egli avrebbe risposto con versi armoniosi cavandosi d’impaccio).
Hai omesso la terza rotta, che è quella su cui mi sono immesso quindici anni fa ricavandone
soddisfazioni incomparabili: il commercio elettronico di libri nuovi, usati e antichi. Da Feltrinelli o da
Mondadori vado in veste di curioso, per vedere cosa c’è di nuovo, e nelle librerie indipendenti faccio la
stessa cosa, con un occhio agli editori più piccoli. Per trovare quello che non cerco, poi, vado per
bancarelle, o per biblioteche. Per tutto il resto c’è la rete, che surclassa – e di molto – tutti i vecchi
paradisi del bibliomane. Anche Noè, se potesse, navigherebbe in quelle acque.
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Ho letto con interesse sul Corriere il tuo pezzo che analizzava la parabola transmediatica
del Libanese, il personaggio di De Cataldo. Che ne pensi quando leggi (se leggi) André
Schiffrin? Quanti e quali sono i rischi di feticizzazione del libro oggi? Siamo al dominio
della merce? O forse il bibliomane del futuro dovrà semplicemente abituarsi a tracciare
costellazioni, mondi? Nel senso: in fondo le nuove tecnologie continuano il trend di
abbassamento del prezzo del libro. Ognuno ha in mano in microfono, ormai. Bisogna
forse solo stare attenti a che voce si ascolta…
Ho letto poco André Schiffrin, autore da cui sono piuttosto distante per formazione e per cultura. Più
che feticismi del libro, però, mi pare di osservare di questi tempi molti casi di feticismo dell’Autore. Ma
quanto al non perdersi nella folla di voci, anni fa mi capitò di paragonare, per scherzo, la Repubblica
delle Lettere al raduno annuale degli scemi del villaggio in Amore e guerra di Woody Allen. Il lettore è
come un viandante che debba destreggiarsi in un villaggio popolato da megalomani logorroici e
attaccabottoni (gli scrittori), ciascuno convinto di essere Napoleone o Shakespeare, ciascuno convinto
che la storia che ha da raccontare meriti ore del tuo tempo prezioso. Tra questi si nasconde anche il vero
Shakespeare, ma vai a trovarlo. Ecco, il critico – il critico giornalistico, il recensore intendo – dovrebbe
essere l’amico scaltro che cerca, per quanto possibile, di preservarti da incontri spiacevoli.
Naturalmente vorrei chiederti altro. Ma chiudo con un ringraziamento: per il capitolo
sulla nascita della tragedia dalla festa delle medie. Ammettilo, è stato quello il momento
dell’agnizione. E’ lì che hai capito di essere bibliomane…
No, forse alle medie ero ancora classificabile come nerd generico, malgrado avessi già in curriculum tre
libri di cucina scritti a sei anni, la trilogia Cucina alternativa. L’aggravante della bibliomania si è
manifestata dopo. D’altro canto, la specializzazione del nerd comincia con la divaricazione dei corsi di
studio: c’è chi diventa un nerd scientifico-informatico, chi un nerd letterario. Io scelsi il Liceo classico, e
ne seguì tutto il resto. Di recente ho ritrovato la mia agenda scolastica del quarto ginnasio, una
Smemoranda, e ho scoperto con un certo sgomento che avevo trascritto a memoria, parola per parola,
mezzo libretto del Don Giovanni. Col senno di poi, quello può essere letto come il primo segno del
tracollo.