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IL CASO PEDOFILIA Davanti allo schermo, riflessioni su dialoghi, immagini e temi C’è chi ricorda che leggendo gli abusi nella Chiesa dentro il reale fenomeno della pedofilia il coinvolgimento dei sacerdoti quantitativamente scompare Ma subito qualcuno cambia discorso... Che fatica capire nel salotto di Annozero Diario di una serata televisiva con molte facce Il serrato dibattito in studio ha seminato non pochi dubbi, soprattutto sulle affermazioni di chi forse pensava di poter imbastire un processo sommario e si è invece trovato a fronteggiare obiezioni e argomenti precisi. Molto citato il dovere di dire tutta la verità. Si è però anche lasciato che allusioni e ammiccamenti finissero spesso per farla sfumare Andrea Galli (da Avvenire) «La verità non può che fare bene alla Chiesa», diceva grosso modo, a un certo punto della trasmissione, un giovane giornalista presente in sala. Giusto. Ovvio. Solo che la «verità», nella puntata di giovedì sera di Annozero - RaiDue, titolo «Non commettere atti impuri» e come tema la pedofilia nella Chiesa - è sembrata l'ospite più citata, riverita e blandita, ma anche l'unica a essere tenuta cortesemente fuori dallo studio. Forse per evitare che disturbasse un quadro espositivo preparato, secondo un Michele Santoro più vellutato del solito, in una settimana di intenso lavoro. E a tener fuori dagli studi di Saxa Rubra la Somma Invitata non è stata certo la testimonianza toccante e sconcertante degli ex-parrocchiani di don Lelio Cantini a Firenze, vittime di un uomo indegno che, riconosceva monsignor Rino Fisichella, «non sarebbe mai dovuto diventare prete». Né è stata, appunto, la testimonianza dello stesso Fisichella e di don Fortunato di Noto - entrambi sul banco virtuale degli imputati - i quali, come ha detto ieri padre Federico Lombardi, portavoce della Sala stampa vaticana, hanno dimostrato che «nella Chiesa c'è la forte volontà di guardare in faccia i problemi con obiettività e di affrontarli con lealtà», e che «c'è chi si impegna con competenza e dedizione sul fronte della lotta alla pedofilia conoscendone assai meglio la natura e le dimensioni di quanto non risulti da prospettive condizionate dalle tesi antiecclesiali». A tenere sull'uscio madame Vérité non è stato neppure, ci pare, l'intervento del giovane delle Acli, che ha ricordato un particolare che sarebbe altrimenti passato quasi inosservato, pur in due ore di conversazione: e cioè che questa spasmodica, improvvisa passione per il destino delle vittime di abusi sessuali compiuti da religiosi o sacerdoti, passione esplosa pochi giorni dopo il successo del Family Day, suona - come dire - leggermente pretestuosa; e che per fare un buon servizio all'informazione, anche su un tema scelto con dubbio tempismo, non basta buttare sul piatto fatti o numeri scelti ad arte. Conta anche come li si racconta. A tenere a distanza Madame V., e soprattutto fuori dai teleschermi di milioni di italiani, è stato anzitutto il documentario della Bbc «Sex Crimes and the Vatican», che la lieve limatura operata da Santoro non ha attenuato nella carica calunniosa verso Joseph Ratzinger. A partire da un momento simbolico: le immagini di Benedetto XVI al balcone della Basilica di San Pietro dopo l'annuncio della sua elezione a Pontefice, inserite tra le accuse di copertura di crimini pedofili rivolte alle massime autorità della Chiesa. Un video, quello della Bbc - per citare ancora il commento di padre Lombardi -, «animato da una sensibilità ferita», che «tratta fatti drammatici in un quadro di prospettiva evidentemente parziale, e diventa gravemente ingiusto quando appunta le sue critiche sulle motivazioni di documenti ecclesiali di cui viene svisata la natura e la finalità, e quando prende di mira la figura del cardinale Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI». Madame V. è stata fatta aspettare fuori dal salotto di Annozero, un piede dentro e uno fuori, anche dall'opportuno cambio di discorso, quando don Fortunato di Noto ha proposto di leggere i casi di abusi nella Chiesa alla luce di quello che è il reale, allarmante fenomeno della pedofilia - sul cui sfondo il problema "quantitativo" del coinvolgimento di sacerdoti e simili scomparirerebbe - e soprattutto alla luce delle sue radici culturali: una pista che porterebbe ben lontano dall'ambito ecclesiale, diciamo pure ai suoi antipodi, e assai vicino ad altri ambienti, di cui forse è poco conveniente parlare. O dai quali è solo più difficile avere un ritorno immediato di share e di "immagine". Anche l'enfasi, pur doverosa, anzi sacrosanta, sul caso di Firenze, accompagnata però dal silenzio su un caso freschissimo come quello di don Marco Dessì - il missionario condannato nei giorni scorsi a 12 anni di carcere per abusi sessuali perpetrati in Nicaragua, e per il cui arresto le autorità ecclesiastiche hanno ricevuto il riconoscimento pubblico di Marco Scarpati, l'avvocato difensore delle vittime - ha finito per assumere un sapore strumentale che non meritava. Ora che dire, spento il teleschermo e archiviata una puntata santoriana migliore del solito nel tono del dibattito, ma non dissimile ad altre quanto a parzialità e forzature nel trattare vicende ecclesiali? E pensando ai peccati, alle colpe anche immonde di cui cui si sono macchiati uomini di Chiesa, al dolore che hanno causato? Forse solo che tornano alla mente le parole che affidò anni fa a Vittorio Messori un grande intellettuale ateo come Leo Moulin, per mezzo secolo docente di storia e di sociologia all'Università di Bruxelles. «Il capolavoro della propaganda anticristiana è l'essere riusciti a creare nei cristiani, nei cattolici soprattutto, una cattiva coscienza; a instillargli l'imbarazzo, quando non la vergogna, per la loro storia... da tutti vi siete lasciati presentare il conto, spesso truccato, senza quasi discutere. Non c'è problema o errore o sofferenza della storia che non vi siano stati addebitati. Invece io, agnostico ma storico che cerca di essere oggettivo, vi dico che dovete reagire, in nome della verità. Spesso, infatti, non è vero. E se talvolta del vero c'è, è anche vero che, in un bilancio di venti secoli di cristianesimo, le luci prevalgono di gran lunga sulle ombre. Ma poi: perché non chiedere a vostra volta il conto a chi lo presenta a voi? Sono forse stati migliori i risultati di ciò che è venuto dopo? Da quali pulpiti ascoltate, contriti, certe prediche?». Già, da quali pulpiti. Quante «gaffe» in quel documentario La «Crimen sollicitationis» in realtà obbliga qualunque cattolico a denunciare i fatti quando ne ha notizia certa, pena la scomunica La lettera di Ratzinger non vuole certo sottrarre alla giurisdizione dello Stato i reati: specifica quale tra i tribunali ecclesiastici se ne deve occupare A.G(da avvenire) Il documentario della Bbc è tendenzioso nell'impianto, falso in diversi punti, volto a offrire al telespettatore un quadro volutamente distorto del problema. In particolare: - Presenta quattro storie estreme di sacerdoti accusati di abusi su minori, enfatizzandole, se possibile, con il racconto di dettagli disgustosi. Il che punta a suscitare il maggior sdegno possibile e contemporaneamente a far passare i quattro casi come esemplificativi del problema delle molestie sessuali su minori da parte di membri del clero. Il che è, da una parte, esagerato e, dall'altra, fuorviante. - Nulla dice - neppure un accenno - sul problema della false accuse a sacerdoti e religiosi: è noto infatti che non si tratta di un fenomeno marginale, con l'inclusione di vicende sconvolgenti sulle quali altrove vedi in Irlanda il caso di Nora Wall - si sta iniziando ad aprire gli occhi, anche per il clima di isteria ingeneratosi ai danni della Chiesa. - Nulla dice inoltre del problema, ampiamente dibattuto in Usa e non solo, delle "recovered memories", ossia dei ricordi fatti affiorare nelle presunte vittime, in sedute psicoterapeutiche 20 o 30 anni dopo l'"accaduto", riguardo ad abusi subiti nell'infanzia e poi "rimossi". Si tratta di fonti di accusa ormai screditate dalla gran parte degli esperti, ma che hanno dato il via, tra gli anni '80 e '90, a numerosissime cause penali. Per quale obiettivo, è facile intuire. - Nulla dice, appunto, delle enormi speculazioni economiche condotte in paesi come gli Usa sul grave problema degli abusi sessuali. Facendo leva infatti sul sentimento di esecrabilità che per fortuna circonda questi delitti, in realtà si procede con l'attribuzione di episodi non documentabili a esponenti della Chiesa, individuata come ottima "mucca da mungere". Ovvero del boom di cause civili di risarcimento intentate contro una o l'altra diocesi, per fatti risalenti a 20, 30 o 40 anni prima, dove nel frattempo l'accusato è spesso addirittura deceduto. - Lascia intendere che l'istruzione Crimen Sollicitationis (1962) avesse come oggetto la pedofilia, mentre trattava degli abusi collegati al sacramento della confessione, allorquando il sacerdote confessore approfitta della propria situazione per intessere relazioni sessuali con le o i penitenti. Un solo paragrafo cita il caso della pedofilia. - Attribuisce alla stessa istruzione l'obiettivo di coprire gli abusi di sacerdoti su minori, imponendo su questi abusi una rivoltante coltre di segretezza, tale per cui chi rompe il segreto avrebbe comminata la pena della scomunica immediata. È vero invece l'opposto: il paragrafo 16 impone alla vittima degli abusi di «denunciarli entro un mese»; il paragrafo 17 estende l'obbligo di denuncia a qualunque fedele cattolico che abbia «notizia certa» degli abusi; il paragrafo 18 precisa che chi non ottempera all'obbligo di denuncia «incorre nella scomunica», da cui non può essere assolto fino a quando non abbia rivelato quello che sa o abbia seriamente promesso di farlo. Dunque non è scomunicato chi denuncia gli abusi ma, al contrario, chi non li denuncia.L'istruzione disponeva che i relativi processi si svolgessero a porte chiuse, a tutela della riservatezza delle vittime. - Presenta come un documento segreto la lettera De delictis gravioribus, firmata dall'allora cardinale Joseph Ratzinger in qualità di prefetto della Congregazione per la dottrina della fede il 18 maggio 2001, quando la lettera fu subito pubblicata negli Acta Apostolicae Sedis e figura da allora sul sito Internet del Vaticano. - Lascia intendere al telespettatore che quando la Chiesa afferma che i processi relativi a certi delicta graviora, tra cui alcuni di natura sessuale, sono riservati alla giurisdizione della Congregazione per la Dottrina della Fede, intende con questo dare istruzione ai vescovi di sottrarli alla giurisdizione dello Stato e tenerli nascosti. De delictis gravioribus e Sacramentorum sanctitatis tutela (la lettera apostolica firmata da Giovanni Paolo II e di cui la Delictis gravioribus costituisce il regolamento di esecuzione) in realtà si occupano di fissare la competenza ecclesiastica su questa materia non ad un ufficio qualunque ma alla più importante Congregazione, quella per la Dottrina della fede, la quale agisce in questi casi in «in qualità di tribunale apostolico». In sostanza, questi documenti non si occupano affatto - né potrebbero, vista la loro natura delle denunce e dei provvedimenti dei tribunali civili degli Stati. Quando i due documenti scrivono che «questi delitti sono riservati alla competenza esclusiva della Congregazione per la Dottrina della Fede» la parola «esclusiva» significa «che esclude la competenza di altri tribunali ecclesiastici» e non - come vuole far credere il documentario - che esclude la competenza dei tribunali degli Stati. Le due lettere dichiarano fin dall'inizio la portata e l'ambito proprio, che è quello di regolare questioni di competenza interna all'ordinamento giuridico canonico. L'ordinamento giuridico degli Stati semplicemente qui non viene evocato, perché è scontato che agisca secondo i propri canoni, sui quali nulla può e nulla potrebbe l'autorità ecclesiastica. - La De delictis gravioribus, come già la Crimen sollicitationis, in nulla nega il principio secondo cui - fatto salvo il segreto della confessione - chi nella Chiesa venga a conoscenza di un reato giustamente punito dalle leggi dello Stato ha il dovere di denunciarlo alle autorità competenti. Secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica le autorità civili hanno diritto alla «leale collaborazione dei cittadini» (n. 2238): «la frode e altri sotterfugi mediante i quali alcuni si sottraggono alle imposizioni della legge e alle prescrizioni del dovere sociale, vanno condannati con fermezza, perché incompatibili con le esigenze della giustizia» (n. 1916). - In generale, il documentario insinua a più riprese, specie nelle immagini ripetute e incombenti, una volontà e responsabilità di Joseph Ratzinger e del «Vaticano» nel coprire gli abusi dei sacerdoti, quando i pronunciamenti e i documenti su questa materia, a firma di Giovanni Paolo II prima e di Benedetto XVI poi, provano esattamente il contrario.
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