Danzaterapia - R. Bianconi
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Danzaterapia - R. Bianconi
Danzaterapia Renzo Arturo Bianconi Cenni storici Uno stretto rapporto fra azione ed emozione riaffiora ogni volta che si parla di attività corporee che vadano appena di là di quelle destinate alla competizione sportiva, alla bellezza o al vigore. In ogni caso, anche prima che si compissero studi destinati a riconoscere collegamenti fra movimento e terapia, si è sempre riscontrata - nel divenire umano- la consuetudine di associarne le tappe fondamentali (nascita, pubertà, matrimonio, conferimento d'incarichi...fino ad arrivare alla morte) a manifestazioni di danza. E' dalla letteratura che ci provengono le testimonianze di correlazione fra urto dei sentimenti ed urgenza ad agire. Di urto si parla perché la cosa emerge quando più dolorosi e forti sono i sentimenti e le passioni; e di urgenza ad agire perché in gioco sono i valori di tutta una collettività. Nelle "Troadi" Euripide esecra la guerra, le persecuzioni, gli orrori, le deportazioni che ad essa fanno seguito; al culmine della disfatta, dopo aver perduto affetti, ricchezze, dignità regale, Ecuba alle donne superstiti dirà Come la madre alata fa per i suoi uccellini canterò e danzerò per voi; non certo il canto e la danza che un giorno, appoggiata allo scettro di Priamo, intonavo secondo i ritmi sonori dei Frigi. L'attitudine poi e la capacità dell'azione coreica di produrre anche effettivo sollievo da alcuni mali, la si ricava per esteso dall'argomento delle Baccanti, un altro dramma di Euripide in cui emergono precisi riscontri di quanto afferma Platone: "Le danze dei rituali dionisiaci, con i loro moti coinvolgenti, liberano le persone disturbate dai loro conflitti e dalle loro frenesie, ristabilendo la pace dell'anima". Tutta quella tragedia va letta come sostegno e conferma di quest’enunciazione. Le "Baccanti" esprimono il trionfo della danza e dell'espressione umana in opposizione alle forme rigide di governo. Il re Penteo verrà fatto uscire di senno dal dio Dioniso, e quindi ucciso dalla sua stessa madre, resa folle a sua volta assieme a quei tebani che non condividevano il culto bacchico. Il castigo si estenderà a tutto lo stato, compreso il renonno Cadmo, che non aveva esitato a richiamare tutti al rispetto divino. In questo è da ravvisare l'accostamento della vendetta di Dioniso a una vendetta della Natura che, se interviene, non fa selezione tra buoni e cattivi. L'unica possibile lettura che non risulti stridente con la totalità degli episodi è quella dell'onore a un culto divino che, venendo rifiutato, riceve dalla divinità stessa la punizione più severa e inesorabile. Ma una vendetta così tremenda, una punizione così esasperata non può che essere il riporto di una violazione altrettanto grande. Se ne deduce che la violazione ritenuta inconciliabile apparteneva a uno dei più solidi impianti di fede, e che questa fede, dunque, includeva la danza e il canto nelle sue manifestazioni. Guai a colui che brama ciò che contrasta con la legge antica. Se la danza non fosse stata ritenuta apportatrice di bene, non sarebbe stata così aspramente castigata la sua negazione. Scotendo una fiaccola ardente in vetta alla ferula, Bacco si slancia di corsa e gli erranti scatena alla corsa e alla danza e gli anima ed urge con grida, ......................onnipotente nume di Grecia. E' questa una delle più complete e forti testimonianze dell'antichità sul potere della danza. Non ci sono - fino ad arrivare ai giorni nostri - altri documenti sull'uso della danza a scopo di rimedio che incorporino anche la sua relazione con gli ordini di governo. Presso i Romani esistevano modalità varie per scacciare il maleficio (in genere ufficialmente ammesse), ma nessuna di esse include danza. Le pratiche di sciamanismo e tarantismo, la danza dello stregone e del sacerdote, stanno tra le prime notizie che incontra chi si dispone a studiare le società tradizionali; ma non si hanno riscontri probatori espressi sulla loro accettazione o meno da parte degli ordini costituiti, tranne spunti indiretti che emergono esplorando le repressioni controriformistiche. Il danzare è ben presente tra le abitudini dell'evo moderno, ma i suoi intendimenti non sono andati al di là di ciò che si definisce uno strumento socializzante. E' la letteratura che ci fornisce esempi di incontro fra esseri umani: assemblee in cui - su occasioni di ballo - si stringono alleanze, si annunciano fidanzamenti, si suggellano trattati. Prototipo è "Il Gattopardo" di Tommasi di Lampedusa; ma anche la fiaba di Cenerentola trova il suo nodo drammatico nel grande ballo del principe. La vita contadina, quando non viene svelata da raffigurazioni di lavoro, viene colta sia dalle raffigurazioni pittoriche che dai riferimenti letterari nei momenti di ristoro: questi il più delle volte mostrano gruppi e coppie danzanti. E dopo tutto cos'è l'attuale convergere coatto alla discoteca, se non un bisogno d'incontrare, di stare insieme agli altri in una condizione diversa, più intensa e più avvolgente dello scambio verbale? Ma in tutte queste manifestazioni non viene mai riconosciuta la "cura", a meno che non si voglia considerare tale l'operato di socializzazione e risocializzazione. E' nel secolo ventesimo che si ritrova lo stesso valore dell'esperienza coreica, non solo riscoperto, ma assunto quale sorgente di beneficio da chi si è dedicato a ristudiare quell'esperienza, dopo la schematizzazione che le era pervenuta dalla scena e dalla vita sociale illuministica e romantica. Le spinte propulsive degli avvenimenti coevi diedero spazio, verso il 1940 (negli Stati Uniti), a una visuale della danza praticata ancora come piacere e pretesto per lo "stare insieme" (oltre che per avvio alla scena in chi fosse dotato). Ma vi fu chi decise, in seguito, di trasferire la medesima pratica in ospedale, fino a vederla accettata dai sanitari e proseguita via via con utenti sempre più particolari, senza chiamarla ancora Danzaterapia (Chace, 1960). Nel mondo contemporaneo l'abbandono delle attività manuali da parte della maggioranza degli esseri umani, l'aumento dell'applicazione intellettiva ha indotto accumuli di tensione psichica che le persone stesse sentono il bisogno di incanalare verso una via d'uscita più ancora che nell'antichità. Il risvolto della danza destinato poi alla vera e propria cura delle malattie psichiche fu studiato (Laban, 1949) nello stesso periodo circa in cui circostanze contingenti ne permisero l'applicazione pratica. Era il momento in cui ex- combattenti statunitensi tornavano dai fronti orientale ed occidentale esauriti, depressi, con forti sensi di colpa. Occorrevano sistemi diretti, intensivi, in grado di ricomporre la personalità senza troppe attese e passaggi. L'appoggio dato dalla danza alla cura e al recupero fu tanto solido da essere immediatamente accettato. Fu così che nacque la Danzaterapia. A cosa serve Nonostante le osservazioni appena riportate, è difficoltoso affermare che, da sola, la danzaterapia conduca alla guarigione, quando si fronteggino malattie. Occorre collegarla ad altri interventi, inquadrando così un programma di cura che potrà attingere a un traguardo positivo. Questo viene affermato, malgrado l'esistenza di interi volumi sugli effetti di superamento degli stati di sofferenza; uno porta addirittura per titolo "Quando la danza guarisce" (Schott-Billmann, 1994). Al loro stesso interno però gli esempi non mostrano (nelle accezioni psichiche e comportamentali) vera guarigione nel senso clinico, ma uscita da una certa condizione di difficoltà, e progresso nelle funzioni comunicative; o, nel caso migliore, riorganizzazione di processi fisiologici di cui era stata turbata la normale sequenza, senza che fossero stati eliminati nella persona. Tanto più la danzaterapia va tenuta come puro coadiuvante là dove ci si trovi in presenza di serie patologie organiche. Nell'epoca delle polluzioni gigantesche, delle nubi tossiche, delle frodi alimentari, dei danni da inquinamento che, da soli, inducono, ahimè, ingenti disturbi alla salute, non è possibile attribuire tutte le malattie a una "perdita d'animo". Finalità principale della danzaterapia è dunque la riacquisizione di possibilità comunicative per la persona che le ha già possedute nel corso della sua vita (schizofrenia, traumi cerebrali), o l'acquisizione fin dove possibile di canali di comunicazione per chi non ne aveva fin dalla nascita (autismo infantile).Questi canali sono prevalentemente inerenti alla corporeità, al movimento, alla vocalità inarticolata ma vieppiù differenziata nei colori, altezze, intensità e durata. Possono venir inquadrati nei principi della terapia della Gestalt proposti da Fritz Perls. Come infatti avviene nella terapia classica della Gestalt, l'approccio psicologico espande ed esaspera il mondo fenomenico - così come esso è organizzato sulle istanze che integrano e potenziano il comportamento- e si focalizza sull'approccio diretto ed immediato con il paziente, senza interpretazioni né mire intellettualistiche. Come dire che questa relazione non passa solo attraverso la consapevolezza, il rendere conscio ciò che è inconscio, ma il suo livello è molto vicino a quello del rapporto tra la madre e il bambino nei primi mesi di vita: quindi pre-verbale, preedipico, pre-oggettuale. Da questo a includere la danzaterapia tra i moduli di comunicazione non verbale non esistono barriere. Essa non è altro che l'espressione non verbale di sentimenti, esperienze, idee, modi di essere. Il suono viene usato solo come coadiuvante, per quanto talvolta fondamentale (come verrà detto più avanti), mentre la parte di gran lunga più significativa è il rapporto non verbale e verbale che il terapeuta stabilisce con il paziente (Dosamantes Alperson, 1981). L'abilità dipende dalla comunicazione che viene a stabilirsi con il paziente attraverso differenti e variabili modelli di comportamento. Il tipo di danza usato varia poi a seconda dell'età, dell'estrazione, della cultura del paziente, e secondo la sua consuetudine motoria. Tutto ciò finisce per rivelare una vitalità e dei sentimenti del paziente stesso fino a quel momento inespressi e inconfessati. Egli è allora spontaneamente indotto ad "usare" il proprio corpo, senza che gli costi troppi sforzi. L'ambiente, i suoni, il coinvolgimento ritmico delle persone intorno a lui (quando ve ne siano, come quasi sempre accade), lo "tirano" dentro quasi prima che si renda consapevole che sta partecipando ad un'azione condivisa (Chace, 1953). Questo è un tipico processo gestaltico, che rende possibili gli appagamenti delle istanze espressive, le distingue fra loro e le dispone in una sequenza ordinata ed appropriata. E anche al di là del soccorso a patologie, la danzaterapia serve in genere alla riappropriazione del corpo. L'afferenza delle facoltà percettive, estese a tutta la sfera sensoriale, ha ricevuto un impulso non indifferente. All'affacciarsi della Musicoterapia si parlò di percezione vibrotattile per i non udenti, dimenticando talvolta che è la stessa facoltà tattile ad essere carente e difettosa nel mondo occidentale (dove ad esempio la vista è largamente più stimolata). Del resto, anche le attività di teatro, lo psicodramma e la danza vengono a giovarsi di quella capacità di recezione e discernimento del suono attraverso la pelle e le ossa. La terapia di danza ha sostenuto questa facoltà, con il suo potere di concentrazione riflessiva sulla totalità corporea e di estensione dei canali recettivi tattili al di là delle usuali zone canoniche. Come si svolge Essendo dunque la danzaterapia un'espressione totale della persona (richiamante corpo, sentimenti, voce, sfera volontaristica ed intellettiva), essa comporta più forme e modalità di applicazione pratica. Naturalmente le definizioni non sono mai assolute: in tutte le correnti restano alla base le dinamiche di fusione/separazione e partecipazione/individuazione, visto che si lavora per raggiungere l'autonomia espressiva; ma i procedimenti sono tra i più disparati. Nel nostro paese si ravvisano genericamente due grossi filoni di applicazione. Uno ed è quello "dell'Expression Primitive"- si evidenzia per le forme di indipendenza che persegue fin dai primi momenti. "Un corpo che...strutturando la distanza di relazione per mezzo della propria danza, struttura se stesso come rete di articolazioni interne ed esterne. Lo "stop" che per il paziente è soprattutto l'evidenza del tempo, della separazione, della morte, può finalmente diventare l'evidenza del proprio corpo integro che vibra di energia, la possibilità di una graduale ricostruzione narcisistica" (Bellia- Saccorotti, 1995). "L'Expression Primitive" consiste in danza di tipo tribale, di solito procedente per sequenze di passi ed azioni prefissate che costituiscono delle vere e proprie cellule concorrenti alla composizione totale, dove il moto corporeo si associa al tamburo e alla voce dei partecipanti che pronuncia fonemi frammentati (introdotti dal terapeuta) non appartenenti a nessuna lingua. Un altro filone mantiene una sorta di legame invisibile, dopo aver empaticamente forato gli involucri più o meno compatti della personalità in trattamento: un legame costituito da scambio interpersonale con il terapeuta su base emotivo/affettiva/nostalgica. Qui le "cellule" sono costituite piuttosto da immagini desunte dalla natura, alle quali i partecipanti danno corpo edificandovi sopra le loro personali evoluzioni, in sintonia con le suggestioni che il terapeuta provvede prima, durante e dopo. Appare emblematica di questo filone la testimonianza di un paziente riferita al suo rapporto con la terapeuta: "Maria rappresenta per me e per gli altri qualcosa che si ricollega all'amore. Se amore è dare ciò che non si ha, allora questo è ciò che dà Maria (o la danzaterapia incarnata in lei).Dare quello che si ha è facile, perché è quello che ci avanza, e si offre solamente per una questione di narcisismo. Dare ciò che non si ha è ben più difficile, e riesce solo in pochi casi. Che cosa ha guadagnato Maria lavorando con me? Che io continuassi a cercare dentro di me, senza consigli, senza suggerimenti, senza pressioni. Che cosa ho guadagnato io dal mio rapporto con Maria? Ho continuato a cercare, a percorrere questo cammino." (Fux, 1991) Si faccia attenzione al diverso uso e significato del termine narcisismo nei due esempi. Nel secondo è riferito al terapeuta, quale errata (caso mai vi fosse) conseguenza di un'offerta interessata: dimensione effettiva di una superconsiderazione di sé. Nel primo caso è riferito al paziente ed ha il significato tecnico di stima di se stessi. E' sorta in Italia nel 1998 l'A.P.I.D. (Associazione Professionale Italiana di Danza/Movimentoterapia) riunente applicatori di entrambe le forme che condividono alcuni principi fondamentali, finalità e scopi, ed enunciano nello specifico che: "La Danza/Movimentoterapia è una disciplina specifica, orientata a promuovere l'integrazione fisica, emotiva, cognitiva e relazionale, la maturità affettiva e psicosociale e la qualità della vita della persona". Definizione che accoglie tanto l'utilizzazione in ambito clinico e psicoterapico della danzaterapia, quanto riconosce le molteplici applicazioni in ambito sociale e educativo. (Puxeddu, 1998) Il trattamento collettivo ha ora l'aspetto dell'autentico "processo di gruppo" ora quello di incontro aperto. Quest'ultimo - tra l'altro - può anche darsi che avvenga materialmente all'aria aperta. Il "group process" invece segue la dinamica del "qui e ora": le persone cosa sono, come sono, perché sono fra loro; e ovviamente non ammette intromissioni né passaggi né spettatori. Si svolge in una stanza confortevole come temperatura, pavimentazione, assenza di spigoli e oggetti contundenti. Viene a volte ripreso dalla telecamera e rivisto per accrescere consapevolezza nei partecipanti. Il numero di questi si aggira sulla decina; può essere maggiore quando includa persone dello staff di cura e assistenza. Va rammentato che "l'ensemble" ideale comprende un numero più elevato di persone normali che disturbate. La durata viene a situarsi fra l'ora e mezza e le due ore; qualcosa di più qualora si dia spazio (come quasi sempre avviene) al commento verbale di quanto vissuto. Esiste una pratica di gruppo, ma non va tralasciato che esiste anche una pratica individuale di danzaterapia. In essa si ravvisano i principi di metodo, anche là dove, all'atto pratico, chi si aspettasse di vedere danza talvolta ne vedrebbe a mala pena l'ombra. Sono le coordinate di base sempre presenti, e può osare di sovrapporle chi conosce il linguaggio corporeo sia della danza sia di un'altra disciplina riabilitativa. Si legge a proposito di un trattamento individuale nel campo della bioenergetica che il paziente: "...non sapeva di poter estendere il corpo in altri modi oltre che su e giù. Non aveva idea di poter ruotare le spalle e guardarsi dietro mentre il bacino era sospinto in avanti" (Keleman, 1980). Ebbene, escursioni corporee di questo tipo vengono facilitate e sviluppate in maniera logica, graduale, articolata ed integrata da un terapeuta che abbia masticato e introiettato le modalità tecniche e compositive dell'esperienza coreica. La terapia di gruppo segue delle costanti che sembra di ravvisare in tutti i filoni metodologici. Appare intanto una continuità dell'esplicazione di moto, una volta che essa sia iniziata. Eventuali interruzioni, sospensioni repentine, riprese a distanza risultano di massima escluse in tutti gli interventi. Significa allora che lo sviluppo di endorfine ed enkefaline provocato dal movimento si arresta con l'arrestarsi del processo motorio (Rizzoli 1978). Anche l'andamento tipico della "classe di danza", fatto di cicli di spiegazioni e dimostrazioni seguite da esecuzioni dei partecipanti, non è la forma opportuna per l'instaurarsi del beneficio immediato. Il terapeuta che guida il gruppo non si viene a trovare mai ovviamente in rapporto verticale, come da maestro ad allievo. Egli non abbandona che raramente il sorriso. Questo è del tipo liberatorio, che sdrammatizza e pone fine alla crisi, e nello stesso tempo del tipo preventivo, cioè non il sorriso formale del venditore, ma quello autentico, che conferma che è uscito dalle sue preoccupazioni per sintonizzarsi con gli altri (Pasini, 1999). Da questa sintonia viene a generarsi quell'intesa più travolgente e funzionale che è la sincronia. Perseguita nelle terapie di gruppo, essa comporta che si agisca convintamente insieme; e "l'insieme" si perfeziona in un tempo comune che, se c'è, è dato ravvisare automaticamente. Non importa se i movimenti dell'uno non ricoprono l'ambito di quelli dell'altro, non importa se l'impegno dispiegato non è lo stesso, addirittura può non importare se i tempi musicali sono da qualcuno dimezzati o accresciuti nella correlazione segmentaria. Che va assieme è il "tutto", inteso come unità psicocorporea individuale, ma anche come corpo gruppale, dove non conterà nemmeno più l'esattezza della riproduzione speculare, né fra componenti né riguardo al conduttore. Il concetto di sincronia richiama etimologicamente l'argomento dell'uso della musica. Per non sovrapporsi alla musicoterapia recettiva è spesso un uso limitato. Si è detto di un tamburo e quasi nulla di più nell'Expression Primitive. Nelle ricerche di fusione perseguita, raggiunta, diluita fino ad essere dismessa, si fa uso del senso nostalgico della musica, senza possibilmente accavallarsi appunto a pratiche musicoterapiche recettive. Tra l'altro, le caratteristiche comuni si ravviserebbero anche con la musicoterapia attiva, perché è di un ruolo attivo che il partecipante s'investe danzando, suonando uno strumento o scegliendo dei brani registrati (Schipkowensky, 1977).La musicoterapia segue infatti il principio I.S.O. di Rolando Benenzon che riflette l'identità sonora del soggetto: quella somma di esperienze sonore che ne costituiscono la storia fin dall'epoca prenatale; per cui il tipo di musica viene deciso tenendo conto dell'umore prevalente del paziente (Widmann, 1977). Nella terapia di danza invece è quasi sempre il paziente stesso che seleziona la musica. L'esperienza dimostra poi che, se la musica è il bisogno dominante all'inizio di una sessione terapeutica, man mano che essa ha stimolato al movimento i partecipanti, l'interesse di ognuno si sposta sempre più dal suono ai passi e alla creazione di figure nello spazio, e l'evoluzione prosegue spessissimo nel silenzio! Viene a realizzarsi quel processo gestaltico di soddisfazione dei bisogni espressivi di cui si diceva. Le associazioni espressive del paziente scaturiscono dopo le prime battute e ispirano la totalità dell'azione, che contiene e definisce i bisogni più intimi e profondi. La risposta del paziente è dunque strettamente personale, perché non è risposta alla musica ma alla percezione nel suo insieme (Rizzoli, 1988). A quali utenze si rivolge la Danzaterapia Uno dei campi di applicazione più estesi è quello psichiatrico. Il malato psichico ha modalità comunicative da cui partire che emanano proprio da quel suo corpo che egli può vivere come involucro coprente o espressivo. Favorendo con la Danzaterapia situazioni regressive si arriva al decondizionamento e alla liberazione, e si favorisce nello stesso tempo il superamento del rapporto confusivo ed esclusivo che ha con gli oggetti, usando il gruppo eventualmente come modello in analogia a quell'Ego ausiliario, organizzatore interno (Bonaviri, 1991). Si osservano così benefici persino in quei pazienti che non partecipano attivamente alle sedute, ma stanno seduti in disparte guardando gli altri. Dopo un numero di sedute variante da tre a sei quei pazienti cominciano a muoversi e a comunicare, prendendo parte alla danza, In certi casi, dopo questo contatto iniziale, alcuni che non parlavano cominciano a parlare. Si può affermare perciò che anche pazienti fortemente regrediti, che non riescono a scrivere, o dipingere, o prender parte ad attività più complesse, trovano nella terapia di danza una strada per relazionare con gli altri e con se stessi: è da questo punto di vista che è permesso stabilire che la Danzaterapia trova un'applicazione più larga persino delle altre terapie espressive nei casi di pazienti con danni cerebrali cronici (Berrol, 1981). Il richiamo a danni cerebrali porta nel mondo dell'Handicap, dove le applicazioni della disciplina sono così vaste che non si può rammentare che le più significative. Del resto, l'attitudine a lanciarsi senza trovarsi inibiti in esibizioni è proverbiale nei deboli mentali quasi quanto nei "Down". Le risposte più sorprendenti si hanno là dove va organizzata una conoscenza e un dominio dello spazio, come avviene con plurihandicappati non vedenti, o dove ci si trova dinanzi a un'ipervista, o ancora, a una vista/rumore bianco, dove gli organi visivi operano come se fossero rivolti all'interno del corpo (Delacato, 1975): è questo il mondo dell'autismo, dove anche le sensazioni tattili sono alterate, e la parte più sensibile non risiede nelle labbra e nei polpastrelli, ma in altre zone corporee. Occorre allora realizzare non una maggiorazione compensativa delle funzioni logico- verbali, ma un potenziamento delle capacità immaginativo- motorie e senso-percettive residue. Questo presuppone a sostegno una adeguata situazione ambientale e familiare che possa interagire nel modo appropriato (Bertelli, 1994). A ciò soccorre la Danzaterapia, che include tra i suoi ingredienti tecnici l'affinamento della sensorietà e l'allentamento delle tensioni. Molte tensioni incidono, nei casi appena descritti, sul rapporto che la madre ha con il proprio figlio; ma un ruolo preminente è affidato all'uso che la madre fa del proprio corpo ed alla consapevolezza che ne ha. Tensioni che si ripetono poi nel mondo degli audiolesi, derivate dall'insuccesso e dalle difficoltà a comprendere e farsi comprendere in questo mondo pieno di suoni che il sordo potrà conoscere solo in parte o non conoscere mai. E non gli basta la protesizzazione precoce per "sentirsi" partecipe della vita: c'è bisogno di contatto corporeo diretto. Il terapeuta mediante l'azione corporea (che costituisce il principio dinamico dell'intera azione educativa) facilita il bambino audioleso nella relazione con il mondo, permettendogli quella continua riorganizzazione e quel permanente riaggiustamento che sono compresi nelle comunicazioni attive io-mondo. Queste si realizzano solo all'interno di interazioni attivamente assunte e non sono esprimibili in termini linguistico/verbali. Il danzaterapeuta è persuasivo verbalmente invece verso l'ambito della terza età, dove particolarmente richiesta è l'informazione sui vantaggi derivanti dal mantenere in forma corpo e mente e sugli svantaggi della scarsità di movimento e della sedentarietà. Dimostrare la piacevolezza del movimento, attirare l'attenzione sul senso di benessere che ne consegue, comunicare quella fiducia che a qualsiasi età permette di ottenere risultati apprezzabili, sono compiti che vengono sviluppati al meglio possibile dal danzaterapeuta. Questi è preparato a valorizzare il "qui e ora" (per gli anziani ancorati alla routine e all'attesa), a stimolare immagini e pensieri, a provocare situazioni che favoriscano l'espressione dei sentimenti; non resta nemmeno indietro nell'aumentare il senso di responsabilità personale riguardo alle condizioni psicofisiche della popolazione che gli è affidata, e neanche nel far acquisire consapevolezza a proposito dell'influenza dell'ambiente sociale sul benessere dell'individuo anziano. Quell'ambiente sociale che finisce per configurarsi come pura astrazione nelle tossicodipendenze, dove pure funziona la Danzaterapia, se si presta ascolto a relazioni circostanziate. La nostra società ha abbandonato quasi del tutto i "riti di passaggio": quelle forme arcaicizzate ma dense di significato che, segnando momenti specifici della vita, ne sostenevano lo sforzo di adattamento ad una nuova mutata condizione. Così come nella tragedia antica il rito è atto obbligatorio di reverenza divina da parte dell'uomo per una distensione del suo spirito, i riti di iniziazione (parimenti collettivi e condivisi) segnavano l'ingresso nella vita pubblica e il distacco dalla condizione simbiotica e dalla dipendenza. La vita sociale di oggi, dismesse queste forme, non fa che rinforzare tale dipendenza e simbiosi, là dove la consapevolezza ben formulata di appartenere ad un gruppo - per quanto paradossale possa apparire - favoriva l'autonomia e la responsabilità individuale. La mancanza di ritualità appare poter spingere al ricorso a sostanze artificiali (gli stupefacenti) al fine di riparare al mutismo di un corpo inadatto all'autodeterminazione e sede unicamente di nostalgie inesprimibili.< Lo sviluppo esistenziale si arresta nella "coazione a ripetere": ciclicamente a colmare il vuoto e riprovarlo e ancora colmarlo. Alla sostanza è affidato il potere di compiere "l'azione magica" di cui il corpo è insieme realtà e simbolo> (Bellia, 1995).All'interno delle comunità di recupero viene di tempo in tempo offerta l'opportunità di scoprire, attraverso il corpo stesso impegnato nel movimento e nella danza, delle dimensioni piacevoli senza l'ausilio di droghe. Può capitare che si materializzi la stessa euforia che è stata vissuta sotto l'effetto delle sostanze, a condizione che vi si giunga ponderatamente per gradi, perché il sentire e percepire differenze nel corpo può risultare per quei soggetti addirittura devastante. Poco alla volta cominciano a rendersi conto che il potere di sentirsi bene risiede all'interno di se stessi, e possono anche reggere "l'inondazione emotiva" (Plevin, 1992). Ma ancor più che al soccorso a cadute che pur sempre derivano dalla volontà individuale, la terapia di danza è giusto e opportuno che si rivolga alla prevenzione di quelle cadute. Sono da tener d'occhio interventi destinati all'infanzia sull'onda dell'esperienza coreica; interventi meritevoli di particolare riguardo, anche quando non avessero ancora l'aspetto della terapia in tutto e per tutto. Esistono interventi nella scuola pubblica e privata che vanno proprio a situarsi tra le giuste indicazioni per supplire a quella carenza di rituali nella costruzione di una entità corporea e nell'organizzazione della propria personalità a partire dalla fisicità e dai sensi. L'adolescente giocando con la propria identità nel modo dettato dall'impianto coreico (sia esso teatrale o no) si prepara uno spazio insolito che mette in luce certe dimensioni del sé che altrimenti resterebbero in ombra. La scuola italiana è tuttora carente in fatto di motricità e corporeità, nonostante siano stati compiuti progressi non indifferenti. Si stenta a liberarsi da quei principi che tendono a fare del corpo una bestia da domare o una macchina da programmare efficacemente attraverso un "dressage" meticoloso e preciso, spesso con la finalità di estendere per quanto possibile il reclutamento di nuovi talenti atletici. Il compito dell'impostazione secondo i canoni della Danzaterapia è di proporre a ciascun educando problemi motori adeguati, sollecitandolo a manifestazioni secondo il suo stile. Viene utilizzata in queste occasioni l'espressione spontanea che funziona positivamente nei confronti delle turbe del comportamento o delle semplici inibizioni, impacci o goffaggini. Condizioni tutte che sono notoriamente presenti anche negli adulti, e spesso proprio per una impostazione costrittiva ai tempi della scuola. E' per questo che la Danzaterapia viene praticata ampiamente da persone normali e trova accesso nel mondo delle nevrosi, che oggigiorno si può dire si sovrapponga quasi del tutto a quello della normalità. Si può attribuire una tale scelta al bisogno di aprire totalmente l'inconscio, pur restando perfettamente consci (Payne, 1997), o al piacere di comunicare con gli altri in forme non consentite dagli standard sociali generalmente accettati. Si effettuano (per lo più a occhi chiusi, ma non solo) esperienze su istanze interne della persona, dove il terapeuta funge da induttore di idee e minimi spunti più che di sensazioni, da cui i partecipanti desumono per proprio conto i percorsi, le immagini, i movimenti spontanei da sviluppare in conformità dei bisogni di quel preciso momento. Una diffusa modalità prende il nome di Biodanza, ed è proprio destinata alle persone in salute come via per approfittare al massimo di ogni sensazione in vista del beneficio psicocorporeo. Vi si studia il modo per arrestare il famoso "attimo fuggente", che vuol dire integrare il soggetto con se stesso, con gli altri e con l'ambiente, e dare la pienezza ad ogni azione. I praticanti affermano che all'uomo normale (cioè senza particolari disturbi o problemi) non basta mangiare, dormire, aver casa e denaro; occorrono contatti, incontri, amicizia, possibilità di esprimersi e comunicare. Resta confermato tuttavia che alcuni adulti prediligono forme più articolate tecnicamente, costituite da esercizi e veri "pezzi" coreografici, come se ne trovano in quelle realtà -tipo la DanceMusic Therapy - che riuniscono più generi espressivi.
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