germogli africani
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germogli africani
Pubblicazione trimestrale del servizio volontario internazionale - Anno XXV - Maggio 2012 - Sped. in abb. post.art. 20/c. - L. 662/96 - Fil. di Brescia Autorizz. del Tribunale di Brescia n° 64/89 del 12/02/1989 In caso di mancata consegna rinviare all’UFFICIO POSTALE DI BRESCIA CMP detentore del conto per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa. Servizio Volontario Internazionale esserci 02 GERMOGLI AFRICANI LE MICRO BURUNDI MIVO – NGOZI Realizzare un vivaio di piante azoto-fissanti – € 500 Il feroce disboscamento sta causando la progressiva erosione del suolo. Con il tuo aiuto implementeremo un vivaio per introdurre nella zona 10.000 piantine in grado di arricchire e proteggere il terreno. MOZAMBICO MOCODENE - INHAMBANE Implementare un corso di potatura e innesti – € 450 Per avere un frutteto non basta piantare gli alberi, occorre saperli curare. Per questo, desideriamo fornire agli agricoltori che riceveranno le nostre piantine da frutta le conoscenze necessarie per ricavare il massimo dai loro campi. UGANDA KAPEDO E KARENGA – KARAMOJA Ristrutturare la futura sede del progetto di Kotido – € 10.000 Lo SVI, presente in Karamoja dal 1984, sta per concludere il suo intervento a Iriiri, ma ha già ricevuto una richiesta di aiuto: più a nord, la diocesi di Kotido ha messo a disposizione un edificio, che però necessita di ristrutturazioni. Grazie al tuo aiuto potremo avviare un nuovo progetto a favore dei contadini karimojong! VENEZUELA LAS AMAZONAS – CIUDAD GUAYANA Realizzare 10 orti famigliari – € 500 Continua la distribuzione di sementi alle famiglie della comunità e agli studenti della scuola Zamora. Grazie al tuo aiuto, potranno coltivare ortaggi biologici, migliorando la loro alimentazione. VENEZUELA BARRIO LIBERTADOR II – SAN FELIX Realizzare un corso di formazione per un gruppo di salute integrale – € 150 In questo settore della città opera un gruppo di promotrici sociali, già formate su salute integrale e organizzazione di comunità. Con il tuo contributo potremo aiutare il gruppo a consolidarsi. VENEZUELA LAS CLARITAS Realizzare un corso di manualità artigianale – € 400 L’obiettivo è formare le donne in modo che possano svolgere una semplice attività artigianale, per creare reddito e aiutare la famiglia. Aiutaci a sostenere la loro emancipazione! Le micro sono un semplice strumento per sostenere insieme il peso di uno sviluppo più giusto. Sostieni lo SVI attraverso le micro! [ph Damiano Rossi] 2 ZAMBIA MUMENA E MATEBO – SOLWEZI Costruire un tetto per il laboratorio di produzione delle tegole – € 250 Le tegole realizzate dagli studenti andranno a sostituire la paglia che ora copre i tetti delle loro piccole abitazioni. La tua solidarietà può aiutarci a offrire agli studenti un luogo più accogliente. EDITORIALE LA DECRESCITA IMPOSTA Sulla via del rigore per soddisfare i mercati finanziari, il calo delle risorse pubbliche mette a rischio il volontariato internazionale. Nel rinnovare il nostro impegno, chiediamo ai lettori di farsi portavoce dei valori di giustizia che perseguiamo da più di quarant’anni. Giornali e TV continuano a essere occupati quasi interamente dalla crisi, tra mercati, spread, rendimenti di borsa e pesanti ricadute sul mondo del lavoro (tema quest’ultimo che tocca ormai buona parte delle famiglie dei paesi occidentali). I nostri governanti sono disorientati e preoccupati, non è chiaro se per le conseguenze patite dalle famiglie o se per l’incapacità a individuare un percorso che li mantenga a galla, senza farne ulteriormente precipitare l’indice di gradimento presso gli elettori. Per la verità, già da tempo esiste una corrente di pensiero di alcuni illuminati economisti che ci avverte sull’impossibilità di portare ancora avanti una logica dello sviluppo basata sulla continua crescita dei consumi; questo percorso non può che portarci, presto o tardi, a un punto di criticità insostenibile per il pianeta. Essi ci invitano ad agire nella logica della decrescita, un concetto sul quale anche la nostra piccola testata si è spesa con alcune riflessioni di Aldo Ungari. Tuttavia, a quanto pare l’unica decrescita alla quale i governi occidentali sembrano pensare è quella dei fondi da destinare alle politiche sociali e, fra queste, alla cooperazione allo sviluppo, rendendo la vita ancora più difficile a coloro che subiscono maggiormente il peso dell’ingiusta distribuzione mondiale della ricchezza (il sud del mondo). In questo contesto, è sempre più impegnativo portare avanti le nostre attività di aiuto allo sviluppo in Africa e America Latina, soprattutto perché l’accesso alle risorse economiche è arduo. La possibilità stessa di proseguire nella nostra attività è a rischio; di conseguenza, abbiamo sempre bisogno di contare sul sostegno e la vicinanza degli amici che ci conoscono e conoscono le nostre attività, persone semplici, consapevoli dell’importanza di non interrompere quei processi di aiuto che riusciamo a sviluppare in sinergia con le comunità povere d’Africa e America Latina. Desidero pertanto chiedere ai lettori di esserci di aumentare il loro sforzo nel sostenere l’organismo, se possibile sollecitando amici e conoscenti a starci vicino e sostenerci; il semplice passaparola di chi apprezza l’operato delle nostre volontarie e dei nostri volontari è la migliore campagna di comunicazione e raccolta fondi possibile. Da parte nostra, non cesseremo di assicurare un impegno continuo, proponendo stimoli nuovi, nella logica di favorire la cooperazione fra i popoli ed equilibri meno ingiusti degli attuali. È proprio in questa direzione che si muovono i nostri ultimi sforzi editoriali [maggiori info all’interno e su www.svibrescia.it]. Il primo ha l’obiettivo di aprire una finestra su quelli, volutamente, che abbiamo titolato “Germogli Africani”: questo è infatti il titolo del libro bilingue che rivisita il lavoro svolto dallo SVI in Uganda, nella regione del Karamoja, uno degli impegni più significativi della nostra storia. Il secondo contributo editoriale, ancora dedicato all’Africa, vuole presentare ai lettori una vicenda esemplare, il percorso compiuto dall’amico Gino Filippini: un impegno personale di quarant’anni, passando per quasi tutte le esperienze africane dello SVI, per approdare infine alla baraccopoli di Korogocho. Non a caso, chi lo ha conosciuto proprio durante quest’ultima esperienza, lo ricorda come il seminatore; dalla sua generosità sono davvero spuntati tanti e promettenti germogli africani Infine, potete sostenerci partecipando alla Festa SVI!, da venerdì 8 a domenica 10 giugno, presso il piazzale della locomotiva del Castello di Brescia: momenti di condivisione, riflessione e convivialità per proseguire il cammino con il sud del mondo. Mario Rubagotti 3 esserci 03 Editoriale La decrescita imposta 05 Passione d’Africa Karibu! 06 08 Progetti Mozambico – Come gli africani Zambia – Il vento fa il suo giro 10 Socio FOCSIV Verso il 2015 11 14 17 “Aiutare a sognare è diventato il mio mestiere”: mestiere”: un libro per proseguire l’opera di Gino Filippini (www.svibrescia.it) esserci a cura del Servizio Volontario Internazionale S.V.I. V.le Venezia, 116 25123 Brescia tel. 030 3367915 fax 030 3361763 www.svibrescia.it E-mail: [email protected] [email protected] Numero chiuso in redazione il 24 maggio 2012. Il prossimo numero uscità a settembre 2012. 4 Sostenibilità Una via campesina per l’Europa La nuova corsa all’oro Dossier Germogli africani Progetti – Venezuela Io sono SAPAGUA! Il dono delle piccole cose Oltre la merce SVI Italia News La festa SVI! 19 Campagne Supercent Una scelta di buon senso 21 Medio Oriente Il diritto all’insurrezione 22 La Parola Ripartire dal Concilio 23 Suggestioni CD - Little broken hearts Libri - La follia di Dio Film - Mare deserto Web - www.camminacammina.wordpress.com Gruppo di redazione Direttore responsabile: Claudio Donneschi; Coordinamento di redazione: Michele Vezzoli; Gruppo di redazione: Federico Bonzi, Sandro De Toni, Lia Guerrini, Claudia Pisano, Gabriele Smussi. Realizzazione grafica: Daniela Mena, Dominique Palumbo (impaginazione), Elena Viscardi (progetto grafico), Michele Vezzoli (immagini). Tipografia: GAM - Rudiano (Bs) Come collaborare: CCP: 10236255 CC bancario n° 000000504030 Banca Etica - filiale di Brescia IBAN: IT02L0501811200000000504030 Stampato su carta riciclata ecologica Revive Pure Natural Offset, usando energia pulita. PASSIONE D’AFRICA KARIBU! “Tu hai lasciato la tua casa e tu sei nella tua casa”, proverbio africano. “Accoglienza significa tante cose, ma soprattutto esprime disponibilità a offrire attenzione e ascolto, a regalare gesti concreti anche in modo semplice; è una parola concreta perché traduce quello che esprime in gesti e simboli”, (J. P. Piessou). Quante volte, ho pronunciato e sentito le parole “Odi, odi” – l’equivalente mal tradotto del nostro “È permesso?” – e, altrettante volte, la risposta, il solare ed eloquente “Karibu!”, che non è “Avanti, ti do’ il permesso di entrare”, ma è: benvenuto, ti accolgo, con le braccia, la mente e il cuore aperto; vieni e prendi posto nella mia casa, che ora è anche la tua. Di seguito, i riti dell’accoglienza: all’ospite è offerto immediatamente uno sgabello, un posto per sedere e poi i membri della famiglia porgono i loro saluti, stringendo le mani. Offrire una cosa o salutare una persona a due mani esprime la totalità e la pienezza del gesto; si dà tutto quello che si ha, senza riserva. Nel momento del saluto, l’inchino. “L’inchino rappresenta il gesto del rispetto e della venerazione. È uno degli importanti gesti di rispetto e considerazione insegnati fin dalla più tenera età. Un gesto che mette la memoria, la storia e la prospet“Vieni e prendi posto nella mia casa, che ora è anche tua” tiva (il futuro) in rapporto tra loro, dicendo in modo implicito che ogni essere umano è un anello della catena. In Africa si dice che chi non sa accogliere non sa vivere, né sperare. L’accoglienza è una bellissima occasione per celebrare la propria vita e quella altrui”, (P. Anastasio Kahango in “La scorza, il legno, il cuore”). La prima cosa che si offre è il cibo e se qualcuno deve cucinarlo, qualcun altro intrattiene il benvenuto perché il primo dono è quello del tempo: per l’ospite c’è una completa disponibilità, senza dare mai l’impressione che si abbia fretta o altro da fare. Il primo e più importante ospite di una famiglia africana è l’Antenato, depositario della memoria; gli si offre da bere ogni volta che lo si invoca come protettore della famiglia o della casa. Spesso l’Africa è definita culla dell’umanità, nell’accezione di generatrice dei primi esseri umani; in questa sede, culla è facilmente accostabile al gesto primario e amorevole di chi accoglie un nuovo figlio. Ti accolgo così come sei. Senza riserve. Chissà, sarà forse questa una delle sensazioni più forti e inspiegabili che hanno affascinato e affascinano i viaggiatori d’Africa? Jean Pieree Piessou, mediatore culturale, studioso e artista, in un suo articolo intitolato “La calebasse e la NOSTALGIA Da Mivo, Burundi, Nicoletta Quartini Mentre un discepolo stava facendo i vespri serali, un rospo cominciò a gracchiare. Il discepolo gettò un sasso per farlo tacere, e così fu. Una voce dall’alto allora disse: “Credi che le tue preghiere siano migliori di quelle del rospo?”. Dopo un anno dalla mia partenza, la domanda che mi assilla maggiormente è cosa mi manca di più dell’Italia; sabato mi è stata fatta nuovamente e questa volta la risposta è venuta da sé. “Il silenzio”, ho detto distrattamente. L’interlocutore mi ha guardato perplesso, alla ricerca di indizi. Allora ho cercato di spiegarmi. Leggi l’articolo completo su www.svibrescia.it moka del caffè” offre un’interessante lettura multiculturale dell’accoglienza. “Tra la moka del caffè italiana e la calebasse Africana del Benin e del Togo – recipiente ricavato dalla zucca scavata – non c’è alcuna sostanziale differenza. Entrambi gli oggetti richiamano al grande valore dell’accoglienza e alla centralità dell’ospite nella casa e nella famiglia. I due oggetti sono differenti nella loro composizione, ma ciò non toglie nulla a quanto rappresentano e continuano a rappresentare. Potrei anche dire che la moka nelle famiglie italiane, come la calebasse in quelle africane, rappresenta un oggetto magico, che sa coniugare la realtà con l’immaginazione e il desiderio dell’incontro con l’Altro.” Irene Lorandi 5 SOSTENIBILITÀ UNA VIA CAMPESINA PER L’EUROPA La Commissione Europea si appresta a modificare la Politica Agricola Comunitaria – PAC, mantenendosi nel solco liberista degli ultimi 30 anni. L’alternativa, per il nord e il sud del mondo, è la tutela dell’agricoltura contadina. Intervista* a Fabrizio Garbarino dell’Associazione Rurale Italiana, membro di Via Campesina – Europa. Ci battiamo ormai da una quindicina d’anni perchè la PAC prenda in carico le istanze dell’agricoltura contadina, quella europea, ma di riflesso quella di tutto il mondo. Noi crediamo che una riforma radicale della PAC possa aiutare sia i nostri territori, sia i paesi in via di sviluppo dove i nostri prodotti, pesantemente foraggiati, vengono esportati distruggendo le economie locali. Non siamo per l’abolizione della politica agricola, anzi: l’agricoltura dovrebbe essere un problema di tutti, non soltanto degli operatori del settore; crediamo quindi che le politiche pubbliche se ne debbano far carico. Con l’entrata nell’Unione Europea dei paesi dell’est abbiamo acquisito circa sei milioni di contadini; vogliamo che questi numeri rimangano tali, perchè tanti contadini determinano un territorio socialmente vivo e la rinascita dei mercati locali. L’agricoltura contadina produce ricchezza e relazioni, al sud 6 e al nord del mondo [ph Damiano Rossi] Nella vostra riflessione è centrale il concetto di sovranità alimentare: di cosa si tratta? La sovranità alimentare è il dirittodovere dei territori di coltivare e consumare il proprio alimento. Si tratta di ribaltare il paradigma in base al quale sono altri – il mercato mondiale, le politiche della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale – che decidono cosa i contadini debbano coltivare. Pensiamo che sia un problema dei paesi in via di sviluppo, ma in realtà è ormai pesantemente presente nei nostri territori perchè i contadini europei devono sottostare a politiche che distruggono la sovranità alimentare. L’agricoltura potrebbe essere l’ancora di salvezza per i giovani posti di fronte alla crisi europea dell’industria e dei servizi, ma la tendenza è esattamente opposta: dal 2003 al 2010 il settore agricolo ha subito una concentrazione spaventosa, con la scomparsa del 20% delle imprese. Credo che l’agricoltura possa essere una grande opportunità; lo posso dire con cognizione di causa perchè assieme ad altre persone abbiamo creato nel 2001 una cooperativa agricola nella langhe piemontesi, dove alleviamo capre. Il fatto che l’agricoltura sia ormai un settore quasi complemente appannaggio di persone anziane sta moritificando i territori a livello di frizzantezza culturale. Se l’agricoltura tornasse a essere una priorità non solo sarebbe un’ancora, ma un modo per rilanciare il territorio e l’economia. ASCOLTA LE INTERVISTE SU VIA CAMPESINA EUROPA E IL LAND-GRAB: su www.svibrescia.it è disponibile il file audio delle interviste complete riportate in queste pagine. L’attuale impianto della PAC permette di inondare i paesi del Sud del mondo con prodotti agricoli sotto-costo, grazie ai sovvenzionamenti diretti alle grande industrie dell’export. E’ un circolo vizioso che stronca i piccoli contadini del sud e rende quelli del nord degli assistiti, in balia dei prezzi definiti su mercati internazionali. E’ possibile rompere questo schema? L’Associazione ha prodotto centinaia di documenti nei quali dimostriamo che se le sovvenzioni per l’esportazione venissero arrestate, quest’agricoltura energivora e distruttiva dell’economia dei paesi in via di sviluppo smetterebbe di funzionare. L’agricoltura contadina in questi anni ha comunque resistito; basterebbe, non tanto sovvenzionare, quanto equiparare a livello legislativo l’agricoltura contadina e quella industriale. Lo stesso problema delle migrazioni è legato a paesi in via di sviluppo che vedono la propria agricoltura distrutta. Si tratta di un circolo vizioso, creato dal capitale e dal neo-liberismo; si potrebbe staccare la spina a questa politica, basterebbe volerlo, con un importante mobilitazione anche delle persone comuni. I quarantacinque miliardi di euro della PAC sono soldi nostri; vogliamo che vengano spesi diversamente, in quanto cittadini europei. SOSTENIBILITÀ LA NUOVA CORSA ALL’ORO È la corsa alla terra nei paesi del sud del mondo: dal 2001 un’area grande come l’Europa orientale (227 milioni di ettari) è stata venduta o affittata a investitori istituzionali, la maggior parte negli ultimi due anni. Intervista* a Elisa Bacciotti, responsabile delle campagne di Oxfam Italia. “La nuova corsa all’oro. Lo scandalo dell’accaparramento delle terre nei paesi del Sud del mondo” è un rapporto di Oxfam pubblicato nel settembre del 2011. Da cosa deriva questo rinnovato interesse degli investitori per l’agricoltura? La crisi finanziaria scoppiata nel 2008 ha portato molti investitori internazionali, sia pubblici, sia privati a considerare l’investimento in terra come sicuro perchè la terra è scarsa. Essendo un bene in esaurimento diventerà sempre più prezioso; si investe su un bene scarso, il cui valore aumenterà. Ci sono però altri fattori molto importanti. La terra viene utilizzata per produrre cibo, ma anche per seminare colture impiegate nella produzione di energia (sono i cosiddetti agrocarburanti o biocarburanti). Alcuni stati, in particolare l’Unione Europea e gli Stati Uniti, hanno incentivato la produzione di agrocarburanti e questo ha provocato una nuova corsa alla terra non per produrre cibo e sfamare le persone, ma per sfamare i serbatoi delle nostre macchine. Considerando che il pieno di un SUV può assorbire l’equivalente della produzione agricola necessaria per sfamare una persona per un anno intero, possiamo capire l’impatto che il land-grab può avere sulla sicurezza alimentare nel mondo. Molte Associazioni della società civile come Oxfam criticano il fenomeno degli investimenti sui terreni agricoli del Sud del mondo, ma secondo gli economisti neoliberisti gli investimenti giocano un ruolo decisivo per lo sviluppo e per ridurre la povertà. Se fatto secondo certi criteri – innanzitutto la sostenibilità e la creazione di sviluppo in loco – l’investimento nel sud del mondo è un fattore posi- L’accaparramento dei terreni da parte degli speculatori mette a rischio la sovranità alimentare degli africani tivo. Il problema della povertà globale non può essere risolto attraverso la donazione di aiuti; l’investimento, fatto da imprese e soggetti di varia natura, è importante. Lo sviluppo non è solo economico, ma anche umano. Alcuni investimenti fatti negli ultimi anni per creare le filiere locali, come nel caso del commercio equo e solidale, sono meritori. In questo caso si distingue però tra l’investimento ai fini di una produzione sostenibile e il land-grabbing che letteralmente porta via la terra sotto i piedi di chi la abita, in un modo irrispettoso dei diritti umani e non tenendo conto del consenso delle persone che quella terra la abitano da decenni e la lavorano per assicurarsi una vita dignitosa. In alcuni casi si tratta di un’esproprazione contraria ai diritti umani. Il land-grabbing è un nuovo colonialismo; questa nuova corsa all’oro che è la corsa alla terra non è un fattore di sviluppo. I governi dei paesi del Sud del mondo, anziché attuare politiche di sviluppo centrate sull’autonomia e la sovranità alimentare, finiscono con lo svendere i terreni alle multinazioni, ai fondi sovrani e ai grandi investitori stranieri. Cosa si può fare per frenare il fenomeno del’accaparramento di terre? I casi di studio che abbiamo illustrato nel rapporto “La nuova corsa all’oro” (disponibile sul sito di Oxfam Italia) evidenziano il ruolo dei governi del sud del mondo o meglio: sono fondamentali le élite di questi governi che dispongono formalmente del potere di alienare la terra, al di là dei diritti consuetudinari più o meno formalizzati delle persone che ci vivono. Tra le raccomandazione che facciamo nel rapporto ce ne sono sia ai compratori – essenzialmente chiediamo loro di astenersi dal comprare questo tipo di terreni – sia ai governi, che dovrebbero evitare di vendere la terra con metodi e pratiche non rispettosi dei diritti umani. La comunità internazionale qualcosa sta già facendo perchè il Comitato sulla sicurezza alimentare mondiale – l’organo delle Nazioni Unite che decide le principali strategie sul tema – ha promulgato il 12 maggio le linee guida per l’acquisizione responsabile della terra, linee che dovrebbero guidare l’azione di governi e imprese. È un primo passo concreto, importante e necessario; il limite è che si tratta di regole volontarie, mentre la società civile chiede che prima possibile siano promosse linee vincolanti. * Interviste a cura di Bendinelli/Vezzoli 7 MOZAMBICO PROGETTI COME GLI AFRICANI Sapete quelli che vi dicono che per gustare pienamente un viaggio in Africa devi vivere proprio come loro, alla loro maniera? Lasciate perdere, sono tutte balle! Prendete voi una chapa (i taxi di qua), che non è altro che un pick-up aperto senza alcun appiglio, con minimo vent’anni e 300.000 chilometri nel motore. Salgono dalle quindici alle venticinque persone (con relativi bagagli) e gli unici che riescono a sedersi e ancorarsi con le mani sono i cinque o sei passeggeri al bordo del cassone. Gli altri? Viaggiano in piedi, appesi, aggrappati al vicino che si aggrappa al vicino che si aggrappa al vicino che si aggrappa a quello seduto sul cassone sperando che non sia una vechietta di settant’anni, perché se gli scappa la presa finiamo giù, tutti insieme, come dei birilli. Se poi le strade sono sterrate, piene di buche e le macchine viaggiano senza luci e per frenare l’autista deve mettere fuori il piedino perché i freni si sono rotti anni addietro, ecco, capite allora che il suggerimento di muoversi in Africa proprio come fanno gli africani lascia un po’ a desiderare. Oppure, per immedesimarsi con gli africani, perchè non provare a portare il secchio dell’acqua in testa, come fanno le donne di qua? Se lo fanno loro lo potrò fare anch’io! Balle, appunto! Primo: il secchio pieno di acqua in equilibrio sulla testa è impossibile da tenere, men che meno mentre cammini. Secondo: se anche riesci a tenerlo in equilibrio, finché cammini per una cinquantina di metri va tutto bene, ma se devi fare mezzo chilometro o più allora il collo comincia a maledirti, mentre senti i dischi vertebrali che si C’ERA UNA VOLTA UN PEZZO DI LEGNO Da Iriir, Uganda, Michela Gazzetta ogni giorno, in ciascuna tappa, proponeva la rappresentazione della favola di Pinocchio. I 10 ciclisti indossavano una maglia rosa che riportava un consiglio verde: “Save the environment, plant more trees” [salva l’ambiente, pianta più alberi] e passeggiando in bicicletta si capisce quanto sia importante che questo venga fatto al più presto. Dopo mesi di preparativi, il 16 aprile è partito da Kotido il 1° Karamoja tour: la carovana della Cooperazione Italiana ha toccato i distretti ugandesi nei quali 5 ONG italiane (tra cui lo SVI) stanno realizzando un progetto di emergenza. Insieme ai ciclisti viaggiava una compagnia teatrale ugandese che Leggi l’articolo completo su www.svibrescia.it schiacciano uno sull’altro. Quando poi ti senti dire, “Non ti preoccupare, siamo arrivati” e te lo ripetono per i successivi due chilometri, lascia perdere il secchio e inizia a benedire l’acqua che esce dal rubinetto. Tuttavia, c’è una cosa che mi piace fare come loro e con loro ed è andare per le comunità e vedere se quello che insegniamo durante i corsi di agricoltura viene messo in pratica. Allora scopri quello che ha provato a fare inserti di varie piante da frutta e ti mostra, tutto soddisfatto, il proprio lavoro. C’è chi ha sentito del vicino che ha fatto il corso di formazione e allora ti chiede se può partecipare anche lui; c’è anche chi ha fatto un orticello, proprio come aveva visto fare durante il corso o chi, invece, con manie di grandezza, ne ha fatto uno in stile Valle-degli-Orti. Gli chiedi allora come riesce a dare da bere a tutta quella terra e lui risponde che ha l’acqua vicino a casa, ma non devi dimenticarti di tradurre perchè per loro vicino significa circa 700 metri! Infine, può capitare di visitare una comunità per un incontro, fissato alle nove del mattino, che inizia alle undici, ma che si protrae per tre ore rispetto alla mezz’ora che avevi pianificato; ma nel frattempo le donne hanno cucinato un pranzetto niente male, che consumiamo tutti insieme e non fa niente se cè sempre quella maledetta sabbia che s’infila dappertutto, anche nel cibo cucinato (basta masticare adagio) o se il mio dialogo con la gente che non sa il portoghese si limita alle tre parole di scizua che sono riuscito a imparare. Non fa niente, perché quando mi sentono parlare scizua ridono del mio accento e del fatto che secondo loro sto imparando benissimo la loro lingua. Loro sono contenti; e io pure. Un abbraccio dal Mozambico, Luca Turelli 8 Karamoja: un tour ciclistico-teatrale per sensibilizzare sui problemi ambientali PROGETTI ZAMBIA IL VENTO FA IL SUO GIRO Passaggio di consegne a Mutanda: Caterina Becorpi è sostituita da Stefano Verzelletti. Inizia una nuova avventura, nel segno della continuità di relazioni vere e intense. Il vento Carezze rotonde portano via il pensiero, calore tenero e oscillazione delicata creano le note. La mente si perde consapevole nelle risposte in divenire alle domande sospese nella vela sospinta della leggerezza indefinita, verso la boa che si dovrà girare dopo il quotidiano. Siamo ad aprile e da circa un mese e mezzo la casa di Mutanda è abitata da un nuovo inquilino, che dall’Italia ha scelto l’Africa come sua dimora per i prossimi tre anni... è arrivato Stefano! Il suo arrivo significa però anche partenza, poiché il mio tempo a Mutanda nell’ambito di questo progetto è giunto alla fine; il tempo scivola tra le mani e gli imprevisti della vita lo fanno scorrere ancora più velocemente, mescolando vorticosamente le sensazioni, che alla fine risultano come una nebulosa opaca il cui significato è tutto da decifrare... Il cuore e la mente mi portano altrove, ma in questo momento di bilancio posso dire che l’esperienza con lo SVI mi ha cambiata: io che ero tutta professionalità e obiettivi specifici ho dovuto fare bruscamente marcia indietro e accettare notevoli compromessi derivanti dalla condivisione della quotidianità con i colleghi; ma, allo stesso tempo, ho anche potuto sperimentare da parte di chi segue il progetto dall’Italia quell’umanità e quella comprensione che difficilmente si trovano in un Il supporto all’agricoltura resta uno degli obiettivi primari dello SVI in Zambia ambiente di lavoro tout court... Lasciare il progetto Zambia dello SVI non si traduce necessariamente nel lasciare il paese. In questa parte di mondo potrebbe ancora andare avanti la mia vita; il rapporto con le persone che ho conosciuto a Mutanda continuerà ad accompagnarmi e finché potrò supporterò al meglio chi è arrivato, nella consapevolezza delle difficoltà, ma anche delle cose buone che si stanno realizzando. Il freddo intanto sta arrivando prima del tempo e nonostante il sole sia piacevolmente caldo il vento spazza gli alberi, i campi e le strade, lasciandomi addosso un brivido costante; guardo dalla finestra dell’ufficio e penso che mi mancherà il rumore dei banani attraversati dai vortici d’aria, così come mi mancherà il cielo stellato, nero come la pece una volta calato il sole. Tra poco sarà il momento dei bagagli, dei saluti – tristi e allegri, contemporaneamente – e delle raccomandazioni; ma un sorriso in particolare metterò nella borsa e una risata gustosa mi riscalderà durante il lungo viaggio, per ricordarmi della storia di una donna che con tenacia ha camminato per affermare il proprio diritto alla vita e ancora oggi, nonostante tutto, la affronta con gioia e gratitudine... Caterina Becorpi 9 SOCIO FOCSIV VERSO IL 2015 Il count down volge alla fine: entro quella data, fissata dal Vertice di capi di Stato e di Governo nell’epocale Dichiarazione del Millennio, dovremmo raggiungere gli 8 Obiettivi di Sviluppo del Millennio. Un parziale successo, anzi, uno scandaloso immobilismo dei governi. A soli tre anni da quella scadenza vincolante per assicurare un futuro sostenibile alle popolazioni povere dei Sud del mondo, ma anche a quelle dei paesi ricchi del Nord, la disillusione e lo scoraggiamento fanno breccia nella società civile internazionale che tanto si è battuta in questi 12 anni per spronare i governi nazionali a mantenere gli impegni assunti nel 2000. Pur consapevoli della parzialità dei risultati attesi con l’adozione dei Millenium Development Goals (MDGs) – basti pensare che il primo di essi si accontenta di dimezzare il numero dei poveri e degli affamati sul pianeta, consegnando deliberatamente al loro destino mezzo miliardo di persone che nel 2015 continuerebbero a subire le conseguenze dell’ingiusta distribuzione della ricchezza e del cibo – i rappresentanti delle Organizzazioni Non Governative di tutto il mondo si sono battuti affinché fossero raggiunti almeno quei poco ambiziosi traguardi. Qualche risultato è stato conseguito; tuttavia, la mappa a macchia di leopardo dei successi registrati nella decade passata lascia troppi buchi neri (come è stato riconosciuto nel 2010, durante il vertice di verifica voluto dalle Nazioni Unite). È decisamente aumentato il numero di bambini e bambine che vanno a scuola, soprattutto nell’Africa sub-sahariana; rispetto al 1990 i malati di AIDS sono calati del 30%; la distribuzione di zanzariere ha contribuito significativamente a calmierare la malaria; la percentuale di persone con accesso all’acqua potabile è notevolmente cresciuta nelle zone rurali e si è stabilizzata al 94% in quelle urbane; la deforestazione ha diminuito i suoi ritmi insostenibili. Tuttavia, di fronte a tutto questo il solo dato relativo al numero di persone che ancora vivono in estrema povertà basta a inchiodare al banco degli imputati i Governi inadempienti, i potentati economici e gli affaristi criminali. Oggi, 1,4 miliardi di persone vivono scandalosamente con meno di 2 dollari al giorno; 1 miliardo circa di persone lottano contro la fame e la malnutrizione cronica. Il 60% dei bambini del sud est asiatico è sottopeso; nei paesi poveri la percentuale di bambine senza scolarizzazione è 3,5 volte superiore a quella relativa ai paesi ricchi. I disabili, le donne e le fasce più vulnerabili delle popolazioni dei Sud del mondo restano ai margini dei progressi ottenuti e patiscono evidenti discriminazioni e vessazioni; la possibilità di disporre di un medico durante la gravidanza è doppia per le donne dei paesi ricchi; i bambini che muoiono prima dei 5 anni di vita diminuisce, ma in modo insufficiente: ogni 6 secondi un bambino soccombe alla malnutrizione e alle malattie. Questo quadro, appena tratteggiato, lascia intuire la preoccupazione con la quale nel 2010 il Segretario Generale ONU, Ban Ki Moon, si è rivolto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite chiedendo un colpo di reni e una significativa inversione di tendenza per recuperare negli ultimi 5 anni i ritardi accumulati. La retorica delle diplomazie internazionali, con in bella mostra quella del nostro paese, ha risposto ancora una volta con una piena adesione verbale senza minimamente agire per tradurre in scelte e programmi concreti le altisonanti dichiarazioni. Al vertice fissato per il prossimo 2013, al fine di valutare le ultime proiezioni sui risultati degli MDGs, non si potrà che sancire il loro parziale successo o forse, per meglio dire, la loro totale insufficienza e inadeguatezza rispetto alle pur ribassate aspettative. Per questo, oggi, la società civile internazionale e alcuni Governi dei paesi poveri, stanno adoperandosi per proporre nuovi obiettivi e nuove strategie per il post-2015. Fra le tante, ci piace sostenere quella avanzata dal governo della Colombia per proseguire nella lotta alle povertà fissando degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) che ripropongano ai decisori mondiali l’assoluta necessità di dotare la comunità internazionale di mete vincolanti per consentire a noi e alle generazioni future di continuare ad abitare questo nostro pianeta in pace e in armonia con il creato. Sergio Marelli Segretario Generale FOCSIV 10 DOSSIER GERMOGLI AFRICANI Tra gli infiniti problemi che affliggono l’Africa, si muovono anche speranze di cambiamento. Doppio focus sull’Africa: da un lato, l’eterna promessa di progresso delle democrazie parlamentari; dall’altro, il libero accesso a un bene fondamentale, la terra, per le donne africane. IL CAMBIAMENTO PASSA ANCHE PER L’URNA Nel 2012 si susseguiranno molte elezioni nell’Africa sud-Sahariana; il rischio che si svolgano nell’indifferenza generale è pari a zero. Tranne alcune eccezioni, il tasso di partecipazione è sempre stato alto, come le speranze suscitate dalla democrazia. D’altro canto, i presidenti africani hanno la tendenza ad attardarsi al potere oltre il dovuto, mentre i tassi di crescita economica del PIL, seppure elevati – 6% i media – registrano uno scarso impatto sul livello di vita delle popolazioni; in questa situazione, il desiderio di cambiamento degli africani passa soprattutto dalle urne. In alcuni casi gli scrutini sono stati accompagnati da violenze, ma si è trattato di eccezioni (come in Costa d’Avorio, dove la crisi postelettorale ha causato 3.000 morti). Ogni anno una decina di elezioni si svolgono senza incidenti e il 2012 dovrebbe confermarlo. L’avvicinarsi delle scadenze fa comunque salire la tensione anche nei paesi più stabili, nei quali l’alternanza democratica è rispettata dai vari candidati. In Senegal le presidenziali del 26 febbraio scorso si sono svolte nella calma generale, dopo le violenze che hanno segnato la candidatura del presidente uscente: Abdoulaye Wade (85 anni), al potere dal 2000, si presentava per un terzo mandato nonostante la Costituzione lo vieti. Per Macky Sall è stato un trionfo: il nuovo presidente ha ottenuto al secondo turno il 66% dei voti. Ora, ha di fronte diverse emergenze, come la crisi alimentare nel nord del paese, dove circa 800.000 persone sono a rischio-fame a causa della siccità. In Mali Amadou Toumani Touré avrebbe dovuto lasciare il potere dopo le presidenziali di aprile. Tut- tavia, in marzo c’è stato un golpe dell’esercito e, un mese dopo, i civili sono ritornati al potere. Al presidente ad interim, Dioncounda Traorre, è stato affidato il compito di portare il paese alle elezioni entro 40 giorni. Altri paesi restano in zone d’ombra. In Angola José Eduardo Dos Santos (69 anni), è al potere dal 1979; il paese è in pace dal 2003 e sono programmate le elezioni presidenziali nel 2012. Si svolgeranno regolarmente? In Zimbabwe la situazione sembra bloccata: il governo di Harare mostra una facciata di ottimismo, ma lo spettro delle elezioni del 2008 e dei successivi disordini non è stato dimenticato. Nonostante le buone parole del presidente Robert Mugabe (87 anni), si teme una reazione autoritaria di fronte a un possibile cambiamento di rotta politica. La libertà e l’indipendenza, tanto Lavorare la terra non significa accedere alla sua proprietà per molte donne africane [ph dossier di Damiano Rossi] 11 DOSSIER acclamate da Mugabe, saranno rispettate? In altri paesi africani i processi elettorali potrebbero provocare violenze. Il Kenya ritornerà alle urne per le legislative e le presidenziali alla fine del 2012. Nonostante il ritorno del multipartitismo nel 1991, la politica è ancora un affare etnico e dopo le ultime elezioni ci sono stati più di 1.500 morti (i cui responsabili potrebbero comparire davanti alla Corte Penale Internazionale prima degli scrutini). Come si svolgerà lo scrutinio presidenziale del prossimo novembre in Sierra Leone, paese segnato da una guerra civile con un altissimo numero di vittime (50.000 morti fra il 1991 ed il 2002)? A causa delle violenze fra i partigiani delle varie fazioni, da settembre a dicembre 2011 gli assembramenti politici sono stati proibiti. In Ghana le elezioni dovrebbero svolgersi in dicembre, con tensioni fra i vari partiti politici. In Somalia, nell’agosto del 2012 è prevista un’alternanza politica che non dovrebbe implicare consultazioni nazionali, anche se il periodo di transizione, instaurato nel quadro di un processo di pace imposto dalla comunità internazionale, non ha interrotto insurrezioni e lotte in varie zone del paese. TERRA E LIBERTÀ (NEGATA) Le donne africane forniscono il 70% della produzione alimentare 12 del continente, costituiscono circa la metà della manodopera agricola e si occupano dell’80-90% della trasformazione, immagazzinamento e trasporto degli alimenti. Tuttavia, secondo Joan Kagwanja, esperta dell’ONG Alleanza per una rivoluzione verde in Africa – AGRA, “Le donne molto spesso non hanno diritto alla proprietà fondiaria”. Questo diritto è generalmente riservato al capofamiglia e le donne vi hanno accesso solo attraverso l’intermediazione di un parente di sesso maschile; inoltre, sono obbligate a consegnare a un uomo il ricavato della vendita dei prodotti agricoli, senza poter decidere del suo uso. Secondo uno studio effettuato in Zambia, più di un terzo delle vedove è stato privato dell’accesso alla terra dopo la morte del marito. “È questa dipendenza dagli uomini che rende vulnerabili numerose donne africane”, spiega ad Afrique Renouveau la signora Kagwanja. L’AIDS ha reso ancora più fragili i diritti delle donne: le vedove, i cui mariti sono morti a causa della malattia, sono spesso accusate di aver introdotto il contagio in famiglia; per questa ragione è accaduto che le loro terre e i loro beni fossero confiscati. Di fronte a questa situazione, i militanti stanno lottando per far adottare o rafforzare leggi che contrastino norme sociali e pratiche tra- L’80% della trasformazione dei prodotti agricoli è realizzata dalle donne dizionali. I ricercatori dell’Istituto internazionale di ricerca sulle politiche alimentari – IFPRI di Washington osservano che la marginalizzazione delle donne in Africa è un problema antico. Prima della colonizzazione la proprietà e l’accesso alle terre assumevano varie forme, ma essenzialmente spettavano a stirpi, clan e famiglie, sotto il controllo di capi maschi. I membri di una stirpe o di un clan dovevano consultare il loro capo prima di utilizzare le terre. Fatta eccezione per alcune comunità madrilineari, i diritti fondiari spettavano soltanto ai figli maschi. Prima del matrimonio, una donna poteva accedere alla terra del padre, ma in numerose comunità perdeva questo diritto sposandosi; infatti, si supponeva che avrebbe avuto accesso ai terreni del marito o della famiglia del coniuge. Quando il marito moriva, le sue terre spettavano però ai figli o a un parente di sesso maschile. La colonizzazione ha portato in Africa i regimi fondiari occidentali; oggi, parecchi paesi africani applicano tanto il diritto tradizionale della proprietà fondiaria quanto i modelli occidentali. Per garantire alle donne l’accesso alla terra è stato proposto di separare la proprietà delle terre dal loro utilizzo; in ogni caso l’uomo non avrebbe il diritto di vendere senza l’accordo della o delle mogli ed eredi (il Ghana dispone di una normativa simile). Le proposte di cambiamento, comunque, sono difficili da mettere in pratica. In Uganda, per esempio, Uganda Land Alliance ha fatto pressione affinché i titoli di proprietà fossero intestati contemporaneamente a uomini e donne; il progetto di legge non è mai stato adottato. In Mozambico gruppi della società civile hanno fatto adottare nel 1997 una legge che garantiva alle donne l’accesso alle terre, ma l’applicazione è risultata molto difficile: i tribunali consuetudinari, ai quali fa appello la maggior parte delle donne DOSSIER In alcuni paesi africani l’accesso alla terra per le donne è garantito dalla legge, ma il cammino è ancora lungo in ambito rurale, considerano ancora l’uomo come il capofamiglia e, pertanto, detentore della proprietà sulle terre. In Ghana la legge del 1985 sulla successione e quella relativa all’obbligo di dichiarazione del capo famiglia miravano ad assicurare la sicurezza delle vedove e dei figli. Se un uomo moriva senza lasciare testamento, la legge sulla successione sanciva che i suoi beni sarebbero stati ripartiti equamente fra la vedova, i figli e gli altri membri della famiglia allargata. Tuttavia, secondo uno studio realizzato dalla FAO, poche donne erano al corrente di queste leggi e le pratiche tradizionali continuavano a regolamentare il diritto all’eredità. Come democratizzare il sistema di distribuzione delle terre? Secondo la signora Kagwanja dell’AGRA, le donne vorrebbero che i loro diritti fondamentali fossero iscritti nella Costituzione e che la legge garantisse senza ambiguità l’uguaglianza. Inoltre, le istituzioni giuridiche dovrebbero agire con equità, rispettando le donne. “Le istituzioni sono molto centralizzate” - sottolineava Kagwanja - “gli uomini sono alla testa dei meccanismi di regola- mentazione del litigio e i ricorsi in giustizia sono molto costosi e intimidatori”. Sicuramente è necessario un vasto cambiamento culturale. Da interviste effettuate, sembrerebbe che gli uomini non siano molto recettivi all’idea che le donne possano prendere decisioni in merito alla gestione dei terreni. È un paradosso! Il lavoro delle donne è essenziale per la produttività ed è informalmente riconosciuto, ma le terre sono al di fuori della loro portata giuridica. Ci sono comunque stati alcuni progressi. In Swaziland le donne non possono essere proprietarie di terre, in quanto considerate alla stregua dei minori; tuttavia, alcune donne sieropositive che non avevano più accesso alle terre dopo la morte del marito sono riuscite a negoziare con una donna capo-clan, affinché convincesse gli altri capiclan maschi a fornire loro le terre da utilizzare per soddisfare i propri bisogni. In Rwanda nel 1999 il governo ha adottato in campo ereditario una legge che conferisce alle donne gli stessi diritti degli uomini, in netto contrasto con le norme tradizionali; così, le vedove e gli orfani del genocidio del 1994 hanno potuto otte- nere i terreni e i beni loro confiscati in precedenza. Numerosi organismi delle Nazioni Unite – la FAO, il Fondo di sviluppo delle Nazioni Unite per le donne, il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo – si sono uniti a organismi non governativi per sensibilizzare le donne sui loro diritti. Una delle strategie adottate è stata migliorare il loro ruolo nelle attività di trasformazione agricola, rafforzando la centralità delle contadine nella produzione e nella sicurezza alimentare. La giusta rivendicazione dei diritti delle donne in campo agricolo non può essere disgiunta dalle lotte contro le nuove forme di colonialismo che stanno colpendo i paesi africani, fra le quali l’accaparramento di terre da parte di investitori locali o internazionali [il land grab], finalizzato alla produzione di prodotti alimentari. Questa problematica sta minando alla base la possibilità di perseguire l’obiettivo della sovranità alimentare, rendendo difficile ai paesi africani produrre quello che consumano e consumare quello che producono. Gabriele Smussi 13 VENEZUELA PROGETTI IO SONO SAPAGUA! 25 anni non sono uno scherzo. Lo sanno bene, le donne di SA.PA.GUA che sono qui di fronte a noi, oggi, con gli occhi lucidi e il sorriso, orgogliose ed emozionate nel giorno in cui si celebra la loro storia. SAPAGUA significa Salud para Guayana, salute per Guayana, la terra che ci ospita, in Venezuela; non è una terra facile: qui, 25 anni fa morivano di dissenteria centinaia di bambini e altrettanti per denutrizione. Eppure, è anche una terra ricca di risorse e di desiderio di riscatto, dove, 25 anni fa, queste donne non sono state rimaste a guardare, ma hanno scelto di fare! È così che hanno iniziato, con l’aiuto di esperti di medicina naturale e di un programma di recupero della denutrizione, a insegnare alle mamme come curare i bambini con le piante e con rimedi a portata di mano (e di tasche), camminando nei barrios per portare salute e speranza, partendo dalla convinzione che la salute è primaria e deve essere un diritto di tutti. Eccole qui: Gisela, Ligia, Rosa, Petra iniziarono 25 anni fa, fianco a fianco coi volontari dello SVI, con corsi su alimentazione sana, prevenzione delle malattie più comuni e salute integrale, organizzando gruppi, moltiplicando le conoscenze acquisite, preparando prodotti naturali a prezzo solidale; e ancora lo stanno facendo! Nelly, Efigenia, Elena, Marilena, tante le strade percorse, gli eventi, i corsi, le conferenze, le riunioni mensili che continuano, oggi come allora. Ascoltarle raccontare questi anni è un regalo, guardare negli occhi queste donne volontariamente impegnate per la salute della Guayana, senza ricevere nulla in cambio, se non la soddisfazione di avere contribuito a migliorare le condizioni di vita di una famiglia, di un bambino, di una mamma e molte volte a salvarla, qualcuna di queste vite. 14 Oggi ci sono tante persone nel salone, ad applaudire queste donne; tanta gente che, in un modo o nell’altro, ha preso parte alla storia di SAPAGUA ed è bello vedere con i propri occhi il senso del costruire insieme, del sentirsi parte di un ideale più grande, vedere gente che si riabbraccia, che guarda le fotografie ed esclama “Qui c’ero anch’io!” Ed è meraviglioso osservare i nuovi gruppi, che si sono formati negli ultimi due anni, accompagnati da noi volontari. È bello scrutarli ad uno ad uno, capire il significato della continuità e accorgersi che stanno scoprendo il senso di appartenenza a un’organizzazione, a un movimento popolare fatto di persone Le donne di SAPAGUA 25 anni fa hanno deciso di fare la differenza esattamente come loro, che provengono dagli stessi barrios, con le stesse difficoltà e opportunità. Donne proprio uguali a loro, comuni e semplici, un giorno di 25 anni fa hanno deciso di fare la differenza! Mentre accendo le candeline della torta, nella mia privilegiata posizione di spettatrice, mi guardo intorno. Questi volti, queste donne e mani che si tengono strette le une alle altre, come le mani del logo dell’organizzazione... Penso che siamo ciò che facciamo e tutte loro, oggi più che mai, sono qualcuno, sono SAPAGUA! Lia Guerrini PROGETTI VENEZUELA IL DONO DELLE PICCOLE COSE In Italia pensavo di avere uno stile di vita abbastanza semplice e sobrio: stufa a legna per scaldarsi, pochi acquisti, l’indispensabile, eppure... mi sbagliavo, e su quante cose ci si ricrede durante l’esperienza del volontariato! In Venezuela la vita può esser ancora più semplice (e umile), come le persone che ci abitano. Questa è la loro ricchezza. All’inizio si fa un po’ fatica, vengono a mancare comodità e abitudini, ma col passare dei mesi ci si rende conto che queste mancanze in realtà sono preziose opportunità per cambiare prospettiva. Solo il tempo, i momenti di condivisione con le persone e l’avvicinarsi al loro mondo permettono di cogliere questa ardua proposta, che fa traballare la terra sotto i piedi. Per me, ha significato cambiare i paradigmi della cultura che mi ha formato e in cui mi sono riconosciuta fino a poco tempo fa; ha significato cambiare la quantità per la qualità e imparare ad apprezzare le cose più semplici, proprio perché qui anche quelle considerate scontate e banali in realtà non lo sono e per ottenerle si fatica. Occorre apprezzare e valorizzare lo sforzo che le persone fanno quotidianamente, la passione che mettono nel cambiamento che viene loro proposto. Così, un piatto di riso con le carote e i fagiolini, cucinato da una delle donne che partecipa ai corsi di alimentazione sana – vive in un rancho di lamiera e spesso non ha neppure i soldi per pagarsi un biglietto dell’autobus per andare dal dottore – diventa più prezioso di un’aragosta; ascoltare i drammi di vite non raccontate è un regalo; salutare i vicini al mattino e al ritorno, la sera, ti fa sentire che condividi la stessa strada e un po’ le vite che ci abitano. Gesti piccoli che da noi sono superati, ma che non smettono di avere valore, cui probabilmente, con la cri- L’attenzione all’ambiente, per esempio attraverso il riciclaggio, è centrale nei progetti venezuelani si in corso nel nostro mondo, siamo chiamati a ritornare. Non si tratta di mera nostalgia verso un’epoca - più umana e solidale anche tra sconosciuti - che non ho vissuto, abbandonata in nome di un progresso che inevitabilmente ci ha reso più individualisti; non si tratta solo di un auspicio personale per la nostra società, quella decrescita di cui tanto si parla… Piuttosto, vuol dire apprezzare e condividere la semplicità, proprio quei piccoli gesti che ti permettono di accogliere una maniera differente di fare le cose. Tirando le somme, sono queste le piccole cose che permettono di parlare la lingua della cultura in cui ci si trova a operare come volontari; è l’unico modo affinché le proposte di cambiamento siano comprese, interiorizzate e attuate in modo sostenibile. Apprendere ad amare il dono delle piccole cose le rende grandi; è un altro dei regali di questa Terra, che porterò nella valigia al mio ritorno. SEMI, CULLA DI SOGNI Da Las Amazonas, Venezuela, Giovanna Ferrari C’è davvero molto da imparare dalla terra. Un’importante occasione è stata la Feria de la semilla campesina a Sanare, un paesino a piedi delle Ande. In questo luogo così piccolo è nata la proposta del programma governativo Todas la manos a la siembra. Il momento più emozionante è stato sicuramente il trueque (baratto) di sementi: ci siamo scambiati semi per semi, senza l’uso del denaro, proprio per sottolineare che le sementi, come il cibo, non possono sottostare alle leggi del mercato. Leggi l’articolo completo su www.svibrescia.it Claudia Marini 15 VENEZUELA PROGETTI OLTRE LA MERCE Qualche giorno fa al Centro de Formaciòn Guayana – che collabora con lo SVI ormai da diversi anni – è risuonata nella nostra testa una sveglia all’ascoltare la frase “El conocimiento no tiene proprietario”: ci siamo resi conto che siamo totalmente assuefatti al modello in cui siamo cresciuti. Secondo Paolo Romagnosi Las Claritas è un posto che accoglie accoglie,, sentimenti, percorsi, storie [ph Ginammi] Infatti, proveniamo da una cultura dove tutto viene scambiato secondo le regole del mercato e ormai ci siamo abituati a un’idea mercantilistica anche del sapere; la conoscenza è una merce come un’altra e quindi soggetta alle regole di compravendita. In questa modo possono accedere a questa conoscenza sono le persone che godono di una certa disponibilità economica, escludendo di fatto i meno abbienti. La conoscenza andrebbe invece condivisa, in maniera tale che sia accessibile a tutti e raggiunga il maggior numero di persone. A pochi giorni di distanza abbiamo visto che questa non era solo una bella frase, buttata lì in un’oratoria, ma qualcosa di concreto, messo in pratica, se non da tutti, da alcune persone che hanno vissuto in prima persona i benefici di questo passaggio del sapere. Parte del nostro lavoro come volontari a Las Claritas è negli orti, scolari e famigliari; rappresentano un’occasione per parlare di alimentazione sana e problemi ambientali. Questa proposta è qualcosa di nuovo per le persone del posto, abituate principalmente a lavorare in miniera; se ci aggiungiamo l’idea di non utilizzare 16 pesticidi e diserbanti, per praticare invece un modello di agricoltura biologica, ecco che la cosa si complica. Tuttavia, non siamo dei Don Quijote lanciati contro i mulini a vento: sappiamo infatti che è possibile realizzare questi orti perché ci sono esperienze simili, anche vicino a Las Claritas. Cercando qualcuno in grado di aiutarci con gli orti, abbiamo incontrato persone che hanno una conoscenza slegata da studi accademici, ma acquisita faticosamente con l’esperienza diretta, frutto della capacità di osservazione e interpretazione della natura. Queste persone si sono rese disponibili a dedicare tempo ed energie, a condividere ciò che hanno appreso, senza un ritorno economico. È importante però essere obbiettivi e vedere i problemi che questo modello pone. Ci troviamo infatti nella situazione di cercare informazioni in internet; in questi casi dobbiamo verificare con attenzione la fonte dell’informazione, infatti può capitare di imbattersi in persone che si inventano esperti in agricoltura biologica, oppure erboristi. Mentre scriviamo questo articolo ci ritorna alla memoria quel “Vedrete che alla fine dei tre anni sarà più LA FORBICE TRA NORD E SUD Paolo Romagnosi, 4 anni a Las Claritas (Venezuela), fotografati nei racconti de “La polvere rossa”. Viviamo due schizofrenie molto forti: nel mondo occidentale abbiamo tempi molto accelerati e un completo coma delle relazioni umani; in America Latina è l’esatto contrario: i tempi sono lentissimi, però c’è un vivere relazioni che è addirittura ingombrante. Uscendo di casa, facevo ottocento metri per andare da Manuela e organizzare il lavoro della giornata e ci impiegavo due ore. La sera, capitava spesso di trovarci in trenta persone – di estrazione profondamente diversa: il commerciante, la puttana, il minatore, la donna di casa – e si discuteva per ore su quello che avevo detto il Presidente, su cosa aveva fatto il parlamento, sulla crisi europea. Questi esempi rendono bene la forbice che si è creata tra i grandi valori, le cose fondamentali che devono caratterizzare la vita comunitaria e quello che effettivamente non c’è più nel nostro occidente. Ascolta l’intervista completa su www.svibrescia.it quello che vi portate a casa di quello che avrete dato”, commento spesso pronunciato dai volontari rientrati. Siamo qui solo da sei mesi e alcune frasi captate si sono già fissate in noi, facendoci capire che è possibile vivere secondo un altro modello. Valentina Cavanna ed Emanuele Terzi Per restare sempre informato sulle nostre attività iscriviti alla newsletter visitando il sito www.svibrescia.it 1. VISITE AI PROGETTI Nel mese di maggio Claudio Chiappa, coordinatore dei progetti SVI in Africa, si è recato a Mutanda (Zambia), dove operano i volontari Stefano Verzeletti e Caterina Becorpi, coadiuvati dalla burundese Gahimbare Maria Goretti. L’inserimento di Stefano, arrivato in Zambia a fine febbraio, procede positivamente, mentre sta terminando l’esperienza di Caterina. Nel progetto sono ora attesi nuovi volontari. Mario Rubagotti visiterà nel mese di giugno il progetto di Mivo (Burundi) in una fase delicata della sua evoluzione; il nostro consigliere Massimo Ginammi farà altrettanto con i progetti di Ciudad Guayana e Las Claritas (Venezuela). 2. VOLONTARI IN TRANSITO Lo scorso maggio è tornata in Italia per una breve vacanza Giovanna Ferrari, operativa nel progetto di Las Amazonas (Venezuela). Giovanna ha incontrato la Commissione Venezuela e il Consiglio SVI, esprimendo soddisfazione per il lavoro fin qui svolto; si presentano infatti interessanti prospettive di sviluppo. 3. PROGETTI Grazie al finanziamento del Comune di Brescia è al via un nuovo progetto in Burundi che coivolgerà nei prossimi due anni cinque ONG bresciane (SVI, SCAIP, MMI, FONTOV e FONSIPEC) presso le Diocesi di Ngozi, Muyinga e Kirundo. Si tratta di un passo ulteriore verso un maggior coordinamento tra queste organizzazioni, anche in seguito all’esperienza analoga che si sta svolgendo in Mozambico. 4. ATTIVITÀ NEL TERRITORIO Il 24 maggio 2012 si è svolta presso la sede di Viale Venezia la consueta Assemblea ordinaria dei soci per l’approvazio- ne del bilancio. In un momento delicato come l’attuale, l’Assemblea chiama tutti i soci e amici a un ulteriore impegno per continuare a camminare a fianco delle comunità povere dell’Africa e dell’America Latina. Il 26 maggio è terminato il Corso di formazione SVI al volontariato internazionale: i 18 partecipanti al 1° anno sono invitati a continuare il percorso che riprenderà in ottobre, mentre i 14 del 2° anno potranno collaborare all’interno delle Commissioni, in attesa dell’eventuale impegno in prima fila in un progetto. Si è conclusa con buoni risultati “L’Arte si fa pane”, la tradizionale mostra-mercato di oggetti d’arte e antiquariato organizzata dallo SVI per auto-finanziare i progetti. La mostra è stata inaugurata il 14 aprile con la visita del Sindaco di Brescia, Adriano Paroli. Un caloroso ringraziamento ai volontari che hanno curato con impegno e passione questa 13° edizione, agli artisti e ai tanti amici che hanno offerto gli oggetti. Il nostro più vivo ringraziamento a quanti hanno visitato la mostra e portando a casa un libro o un’opera d’arte hanno trasformato l’arte in pane: un aiuto concreto alle comunità dell’Africa e dell’America Latina con le quali stiamo camminando. Il 19 e 20 maggio si è svolta la campagna di sensibilizzazione per il diritto al cibo della FOCSIV, “Abbiamo riso per una PUBBLICAZIONI Il 4 maggio è stato presentato all’Istituto Pastori di Brescia il libro “Germogli africani. Agroforestry in Karamoja, un’esperienza di cooperazione e incontro fra culture” di Bronzini, Bonomo e Piazza. Il libro, edito da SVI e illustrato con gli splendidi scatti di Damiano Rossi, illustra il lavoro svolto, approfondisce aspetti della cultura locale e ripercorre la nostra presenza in Karamoja. Ulteriori presentazioni sono state realizzate presso il Centro Sociale “28 maggio” di Rovato e a Ghedi, in quest’ultimo caso all’interno di una serie di eventi dedicati alla memoria di Luigi Bezzi (il volontario, scomparso nel 2005, fu uno tra i primi a dare vita all’esperienza in Karamoja). SVI ITALIA VITA DELLO SVI cosa seria”. Grazie a circa 500 volontari, amici e gruppi missionari è stato possibile allestire in provincia di Brescia un centinaio di postazioni per distribuire 10.600 kg di riso. Si tratta di un buon risultato, che permetterà alle volontarie a ai volontari SVI di continuare a contribuire alle necessità di molte popolazioni nel sud del mondo. 5. 8-9-10 GIUGNO: LA FESTA SVI! Si stanno svolgendo in questi giorni gli ultimi preparativi della Festa SVI che si svolgerà presso il Castello di Brescia. Per l’occasione abbiamo organizzato una lotteria a premi (puoi richiederne un blocchetto presso la nostra segreteria e aiutarci così a distribuire i biglietti). Alla Festa SVI condivideremo momenti di convivialità, grazie alla gastronomia tipica e alle serate in musica e di intrattenimento per i bambini, ma anche di approfondimento: nella giornata di sabato 9, a partire dal mattino, si svolgerà un convegno-tavola rotonda presso i Padri Saveriani, sul tema del rapporto tra cooperazione e immigrazione. Assieme ad altre 12 ONG lombarde festeggeremo inoltre i 40 anni della FOCSIV, la Federazione degli Organismi Cristiani di Servizio Volontario Internazionale di cui lo SVI è socio fondatore. Lo SVI ha collaborato inoltre alla realizzazione del libro “Africa: sognare oltre l’emergenza. Gino Filippini, quarant’anni a fianco degli ultimi”. Presso la libreria delle Paoline, editrice del volume, si è svolta la prima presentazione, seguita da incontri a Rezzato (il paese di Gino), all’Università Cattolica di Brescia e a Iseo. Queste opere sono acquistabili presso le librerie, ma anche nella nostra sede, con la possibilità di riceverle con spedizione postale (le spese di invio sono a carico dell’acquirente). Info e contatti: Stefano Savardi, 030.3367915, [email protected]. 17 SVI ITALIA LA FESTA SVI! Venerdì 8, sabato 9 e domenica 10 giugno presso il piazzale della locomotiva in Castello, a Brescia, ci sarà la Festa SVI. Tra convivialità e riflessione, desideriamo far conoscere e sostenere l’operato dei nostri volontari e volontarie. Si tratta per noi della prima esperienza e il timore di essersi imbarcati in un’impresa superiore alle nostre forze è grande: sono poche le persone disponibili a impegnarsi per molte ore, nel corso di tre giorni e gli aspetti organizzativi sono molteplici, ma i volontari non si lasciano intimorire dalle difficoltà. La riuscita dipenderà da molti fattori: il meteo, la pubblicità, il numero di collaboratori, ecc. Eppure, allo SVI siamo abituati alle sfide, mettendo in campo tutto ciò che possiamo in termini di riflessione e buona volontà per affidarci poi, ma dovremmo dire soprattutto, alla Provvidenza: fatto quel che si deve, accadrà quel che ci verrà concesso. Qual è lo scopo della Festa SVI? Lo SVI è un piccolo organismo che conta molto sull’autofinanziamento: occorre innanzitutto far conoscere quanto di buono i nostri volontari e le nostre volontarie riescono a fare nel mondo, con l’aiuto di Dio. Poi, dobbiamo chiedere sostegno alle persone di buona volontà, affinché ci aiutino a continuare il nostro impegno. Infine, la festa sarà un’occasione di incontro e scambio: accanto a un banchetto per illustrare le nostre attività, avremo il piacere di ospitare alcune associazioni di migranti, desiderose di farsi conoscere e dialogare con gli ospiti della festa. Ci saranno occasioni di convivialità, grazie alla gastronomia tipica delle feste popolari e intrattenimenti per le famiglie, in particolare per i bambini, con l’aiuto del Gruppo Scuola SVI, di Baba 18 Intrattenimento e riflessione, scambio e interazione culturale saranno al centro della Festa SVI Jaga, del Teatro Telaio e altri gruppi volontari che hanno dato la loro disponibilità. Non mancherà la musica serale, con gruppi emergenti e affermati. Sarà possibile visitare il Castello, grazie alla guida dell’Associazione Speleologica Bresciana (è indispensabile prenotarsi per formare piccoli gruppi). Avremo persino un paio di prestigiatori per l’intrattenimento dei bambini! Inoltre, non potevamo rinunciare all’opportunità per fare della Festa SVI un’occasione di riflessione. Ed ecco allora l’idea di invitare la cittadinanza e gli altri organismi di volontariato internazionale di ispirazione cristiana a festeggiare la ricorrenza del quarantesimo della fondazione della FOCSIV (Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario). Per questa ragione abbiamo organizzato un convegno nella giorna- ta di sabato 9 giugno (mattina e primo pomeriggio), in cui porre in discussione un tema per noi di estrema attualità: il rapporto fra cooperazione e immigrazione. Nello scorso anno abbiamo affrontato questo tema internamente allo SVI; ora allarghiamo la platea del dibattito. Il convegno si svolgerà nella sala Romanino del Centro Saveriano di Animazione Missionaria – CSAM in via Piamarta, 9 in città, presso il complesso San Cristo dei Missionari Saveriani (il centro, in Zona a Traffico Limitato, dispone di un ampio parcheggio; i visitatori possono accedervi transitando obbligatoriamente per il varco di piazza Tebaldo Brusato. Tuttavia, suggeriamo a chi può di utilizzare mezzi pubblici e biciclette: rispettiamo l’ambiente!). Mario Piazza CAMPAGNE SUPERCENT È un supereroe sui generis: è piccolo, proprio come un centesimo; è semplice, come può esserlo un disegno a matita su foglio di carta; pensa positivo, perché crede che insieme si possa ricominciare, a partire dalle piccole cose. Nell’attuale periodo di crisi economica emerge un incremento del disagio, soprattutto nelle famiglie dove è a rischio o è venuta meno la fonte di reddito. In questo contesto, Fondazione Opera Caritas San Martino e Congrega della Carità Apostolica hanno inteso rendere ancora più feconda la loro azione, con spirito di collaborazione e cooperazione, unendo sforzi e competenze in un progetto comune, sotto l’egida della Caritas diocesana. É nato così il progetto Supercent che consiste nella raccolta su vasta scala di piccole erogazioni di denaro, effettuate dagli utenti dei servizi bancari. Queste piccole erogazioni comportano per i singoli donatori un modestissimo esborso, ma possono dar luogo, se unite tra loro, a un’importante risorsa per i casi di povertà più urgenti. Le somme raccolte confluiranno in un apposito fondo finalizzato a rispondere in modo capillare ai bisogni di singoli e famiglie nel fare fronte alla crisi sempre più drammatica. Le erogazioni fin qui effettuate hanno permesso di aiutare 34 famiglie presenti nei diversi paesi della Diocesi di Brescia; le urgenze maggiori hanno riguardato le spese per l’affitto e le utenze domestiche, la salute e gli alimentari. Per facilitare la risposta delle molte persone che hanno raccolto l’appello “Aiutami ad aiutare le famiglie in difficoltà nel far fronte alle spese per casa, cibo, salute”, Supercent propone una nuova modalità di adesione: l’autorizzazione permanente di addebito (modulo RID). Questo strumento permette infatti di far crescere il Fondo di microbeneficenza in un modo ancora più semplice e comodo: basta compilare il modulo RID, che può essere scaricato dal sito internet della campagna (www.supercent.it) o ritirato presso la Caritas Diocesana di Brescia. In questo modo si darà alla propria banca l’ordine di effettuare una donazione che sarà ripetuta mensilmente e senza alcun costo aggiuntivo per il donatore. Il modulo RID dev’essere consegnato al proprio sportello bancario, oppure alla Caritas Diocesana di Brescia, anche tramite la parrocchia. L’operazione di addebito può riguardare anche pochi spiccioli – semplici briciole – che però, mese dopo mese, si trasformeranno in un aiuto prezioso per chi vive una situazione di bisogno. A sostegno della campagna è stata realizzata una sequenza di quattro spot, con la regia di Claudio Uberti e l’apporto dell’Ufficio Comunicazioni della Diocesi di Brescia. Gli spot, visibili anche su www.svibrescia.it, raccontano la storia di un bambino e della sua famiglia alla scoperta del valore dei centesimi: le monetine, apparentemente senza valore, sono in grado di fare la differenza se si mettono insieme. Supercent è un’occasione per coinvolgere le nostre comunità, affinché prendano consapevolezza, anche attraverso piccoli segni, dell’urgenza di sostenere le famiglie in difficoltà. La campagna prosegue ora anche nella Diocesi di Bergamo, grazie alla Caritas locale, con le stesse finalità e modalità operative. 19 CAMPAGNE UNA SCELTA DI BUON SENSO È ancora possibile fermare l’acquisto dei cacciabombardieri F-35: se abbiamo dei soldi, questi servono per aiutare le persone e le famiglie che oggi non ce la fanno da sole, questa è la priorità. Intervista* a Flavio Lotti, Coordinatore nazionale della Tavola per la Pace. È un fatto grave, perchè siamo in assenza di progettualità politica. Nel caso della difesa, governo dei tecnici vuol dire appaltare le questioni della sicurezza ai militari, corresponsabili dello spreco avuto in questi anni. Se il nostro paese ha ancora oggi 180.000 soldati, pur impiegandone militarmente dai 10 a 30.000, è dovuto anche alla responsabilità dei militari, e tra questi Di Paola. Immagine tratta da www.opalbrescia.org Nel mese di aprile il Parlamento ha votato una mozione che obbliga il governo a subordinare qualunque decisione relativa all’acquisto di armi, inclusi i cacciabombardieri F-35, alla ridefinizione degli assetti e degli obiettivi delle nostre forze armate. Cos’è accaduto? Si tratta innanzitutto di un primo risultato, frutto della grande mobilitazione che c’è stata e che dovrà continuare a esserci per impedire l’acquisto dei cacciabombardieri F35; ci consente di avere altro tempo, per far crescere nell’opinione pubblica la conoscenza delle gravi scelte che questo governo intende fare: decine di migliaia di miliardi rischiano di essere buttati per l’acquisto di armi inutili, bruciando una parte importante di risorse che ci servirebbero per uscire dalla crisi. 20 Il modello militare che il Ministro Di Paola ha in mente è estremamente aggressivo: è quello delle guerre che si stanno combattendo ancora oggi in Afganistan e che si sono combattute il Libia e Iraq. Non è il modello dell’ONU, del peacekeeping e delle missioni di pace, ma della guerra aperta su vasta scala che per essere combattutta ha bisogno di cacciabombardieri e portaerei, anche perchè si tratta di guerre che ci si prepara a combattere lontano dai nostri confini, a dispetto dell’art. 11 della Costituzione. Nella storia della Repubblica non è mai accaduto che Ministro della Difesa fosse un militare, l’Ammiraglio Di Paola. È capitato in una sola altra occasione, negli anni ‘80 e per un breve periodo. Dal 2007 al 2012 i fondi destinati dall’Italia a sanità, istruzione, politiche sociali, non autosufficienza e giovani si sono ridotti da 1 miliardo e mezzo di euro a 0,193 miliardi. Nel nome della ricetta della Banca Centrale Europea il governo chiede sacrifici alle classi medie, ma nel 2012 l’Italia spenderà 23 miliardi di euro per la difesa; e l’eventuale programma per l’acquisto di 90 bombardieri F-35 costerà altri 10 miliardi, esclusa la manutenzione. Sono previste penali per recedere dal contratto di acquisto degli F-35? Non ci sono ancora penali perchè non abbiamo firmato niente; abbiamo quindi la possibilità di invertire la rotta e impedire questo enorme spreco di denaro pubblico. Per farlo e per avere successo abbiamo bisogno che tante persone alzino la voce. Abbiamo la necessità di fare qualcosa che non ho bisogno di definire pacifista: è una scelta di buon senso. Se abbiamo dei soldi, questi servono per creare nuovi posti di lavoro e aiutare le persone e le famiglie che oggi non ce la fanno da sole, questa è la priorità. *Ascolta l’intervista completa su www.svibrescia.it MEDIO ORIENTE DIRITTO ALL’INSURREZIONE SIRIA – L’uragano di obici che si è abbattuto sui quartieri di Homs, sulla piccola Zabadani, su Idib e Duma ha evidenziato la rabbia di un clan dispotico che, di fronte a un avvenire incerto, teme di perdere quello di cui si è appropriato: un paese intero, le sue risorse e ricchezze. Di fronte a tale odio, come non comprendere il processo di autodifesa che si è affermato, a partire dalle coraggiose defezioni dei soldati? I massacri, le torture di bambini, gli stupri, le famiglie oltraggiate o straziate hanno portato all’autodifesa popolare. Le defezioni si sono moltiplicate, quelle provenienti dall’esercito e quelle dei giovani che rifiutano la leva. L’8 febbraio 2012 l’ONG “Medici senza frontiere”, appoggiandosi a 16 testimonianze, denunciava: “La Siria diventa un gigantesco centro di detenzione; il semplice fatto di essere ferito porta a essere sospettato e accusato: si viene sospettati prima di essere dei bisognosi di cure”. Resistere a questo terrore è possibile soltanto con l’adesione massiccia della popolazione; da diversi mesi i comitati locali hanno organizzato mobilitazioni e dal dicembre 2011è stato lanciato un movimento di disobbedienza civile. Con lo stesso sostegno sociale, medici siriani, assistenti e studenti in medicina hanno messo in piedi coordinamenti sanitari per assicurare le cure ai feriti, in condizioni drammatiche: garage, cucine e cantine sono diventati luoghi nei quali effettuare interventi senza anestesia, senza materiale e farmaci. Troppo spesso i commentatori dei mezzi di comunicazione parlano della Siria, non delle siriane e dei siriani. Mettendo in rilievo l’importante posizione regionale del paese, la geopolitica sostituisce l’analisi e la comprensione delle ragioni dell’insurrezione. Questa sollevazione è partita dalla periferia – Deraa, dove la popolazione è scesa nelle strade dopo aver constatato che numerosi bambini erano stati torturati nel marzo 2011 – fino ai quartieri popolari di Damasco e Aleppo. In questa repubblica socialista, dalle caratteristiche monarchiche, alla morte del padre dittatore Hafez Al-Assad il clan ha scelto un erede presenta- bile dal punto di vista diplomatico, il quale ha accentuato le controriforme neoliberali, iniziate a metà degli anni ‘90. C’è stata una nuova alleanza fra i corrotti che occupavano le strutture statali e i capitalisti provenienti dal partito Baas e dal settore privato. La reticella di sicurezza minima (per esempio, i beni alimentari distribuiti a basso prezzo) si è ben presto bucata e la popolazione contadina ha iniziato a impoverire e migrare verso le città. Dall’inizio del 2011 si è costruito un fronte sociale e politico anti-dittatoriale, per definizione eterogeneo, la cui forza risiede nel suo radicamento in seno alle varie fasce sociali. Questa è stata l’origine del processo insurrezionale, il cui obiettivo era rovesciare il potere dispotico che occupa il paese. Quest’ultimo è sempre stato stabile, soprattutto grazie al rispetto diplomatico manifestato dalle potenze occidentali: a titolo d’esempio, nel 2008 Bachar Al-Assad fu invitato a Parigi alla sfilata militare del 14 luglio e troneggiava accanto a Mubarak e al presidente francese. Il governo israeliano era conscio che, al di là della retorica antisionista, il regime di Damasco assicurava la tranquillità sulla frontiera del Golan e il governo russo poteva disporre di un accesso all’unica base navale militare nella regione, quella di Tartus, oltre a un mercato d’esportazione per le proprie armi. Questa configurazione è stata messa in discussione dalla rivolta popolare. Alcuni si sono dimostrati molto reticenti nel sostenere gli insorti, adducendo la possibilità che i Fratelli Mussulmani potrebbero disporre di una influenza maggioritaria nel quadro di una democrazia liberale. Quando un popolo si solleva contro una dittatura, opponendosi a grande maggioranza a qualsiasi intervento militare straniero, si conquista attraverso terribili sofferenze il diritto di decidere il proprio avvenire. Riuscendo a far valere i propri diritti, il popolo siriano può sfuggire agli scontri confessionali attizzati dall’attuale regime, che sta tenendo in ostaggio sunniti, aluiti, sciiti, curdi e diverse correnti cristiane (drusi e armeni ortodossi). Perché le conquiste possano diventare definitive è necessario abbattere la dittatura e ogni reticenza di fronte a questo obiettivo significa rifiutare al popolo insorto l’insieme dei diritti che possono derivare da una vittoria antidittatoriale; detto in altri termini: vuol dire sostenere il clan Assad e i suoi accoliti, assumendosene le responsabilità. Gabriele Smussi 27 febbraio 2012, centro di Idlib, Siria: palazzo danneggiato dai bombardamenti dell’esercito siriano (ph AP / Rodrigo Abd) 21 LA PAROLA RIPARTIRE DAL CONCILIO 50 anni fa Giovanni XXIII apriva il Concilio Vaticano II. In una lettera di alcune settimane fa, il nostro Vescovo Luciano invitava la Diocesi e, in particolare, i Presbiteri a diffondere la conoscenza dei lavori conciliari, a partire da semplici forme di catechesi. Conversazione con Fratel Tommaso Bogliacino di Eremo Betania. Per molti, il Concilio ha sancito una netta discontinuità rispetto al passato, recuperando in primo luogo la centralità della Parola. Tuttavia, la sensazione è che le comunità parrocchiali continuino a disconoscere la Parola, vittime di letture moraleggianti e superficiali, incapaci di coglierne le sfumature alla luce delle sottostanti categorie linguistiche, storiche e di senso del greco e dell’ebraico, stravolte in adattamenti improvvisati. Come colmare questo divario tra la Parola e la nostra comprensione? Preferisco, come Papa Giovanni, usare la parola rinnovamento, con delle linee di discontinuità, ma soprattuto di riscoperta del Vangelo. Per colmare il divario tra la Parola e la nostra comprensione occorre cercare di vivere il fatto che la parola di Dio è la parola di un amico a degli amici (Dei Verbum): il Verbo si è fatto carne, fratello, amico. La centralità della Parola e dell’Evangelo non è fatta, secondo il Concilio, di formule, idee esatte e dogmi, ma di eventi che permettono di fare incontri. Prima del Concilio si temeva la Parola, anche perchè troppo ricondotta al libro, alla parola definitiva, intoccabile perchè scritta da Dio. Eravamo e siamo tutt’ora una religione del Libro; il Concilio ha rinnovato questa visione, spingendoci verso il mistero di persone che s’incontrano. Per la comprensione servono inoltre traduzioni più attente e fedeli al testo originario; soprattutto è utile non fermarsi alla formula statica, cercando invece un ascolto d’amicizia. Nella Parola si scopre il viso di Gesù Cristo, che è colui che la compie pienamente. Ecco perchè consideriamo i Vangeli il compimento della Bibbia: non si conosce Cristo se non si conosce la Parola e viceversa. Più che comprendere la Parola dobbiamo farla e questo passa per un ascolto comunitario, ma soprattutto per la realizzazione della parola in persone evangeliche. Secondo il Concilio non sono determinanti le formule, le verità da catechismo o il primato delle preoccupazione moralistica: un’evangelizzazione nuova dei cristiani passa prima di tutto per la capacità di capire e sentire le sofferenze, le gioie, le speranze, il vissuto concreto delle persone (Gaudium et spes). Una seconda, grande frattura segnata dal Concilio è il recupero dell’idea di una comunità che concelebra la liturgia e, a partire da questa condivisione, rilancia la propria conversione (andare oltre). Il messale si è arricchito di svariate formule e sfumature e spesso, anche della possibilità di improvvisare, seppure con parole pertinenti al momento liturgico. Perchè durante la liturgia spesso non c’è traccia di questo arricchimento, di questa varietà, di questa comunità concelebrante? La religione e la fede possono essere vissute come una questione di riti e formule, verità provenienti dall’alto, misteri posti al di sopra, se non contro, l’uomo. Il cristianesimo diventa allora un insieme Betania è un luogo di accoglienza, riposo e riflessione 22 di idee che devono essere trasmesse soprattutto dal prete o dal Vescovo, la celebrazione diventa un rito che sacralizza e salva: è il rito stesso che conta ed è il prete che fa la messa. Il Concilio invita al contrario a scoprire la Liturgia, una celebrazione tra amici, nel mistero di un banchetto gratuito, un’alleanza nel cibo e nella bevanda che va oltre le apparenze. L’Amico non si vede con gli occhi del corpo, ma è presente nella comunità che si riunisce, s’incontra e prega. Si ha paura di parlare di concelebrazione, ma sono tutti i cristiani a concelebrare, non come presbiteri, ovviamente, ma con ruoli diversi, dove ognuno ha voce e svolge un diverso servizio, riconosciuto come proprio (il lettorato, la preghiera dei fedeli, ecc.). A dimostrazione che è sempre un problema di relazione, sono le persone che fanno la differenza, anche nella Liturgia, riuscendo ad arricchirla e a renderla diversa a seconda dei momenti e dei periodi del calendario liturgico. Certo, il clima si è fatto pesante, sembra tornare a dominare la paura, il ritorno alla Legge, al dominio esclusivo del prete nella Liturgia. Lo stesso momento liturgico è vissuto ancora come minaccia e sentito come assoluto. È proprio in questo clima che occorre educare a vivere la Liturgia e la Parola, nel rispetto del rituale e oltre esso, mettendoci il cuore, sottolineando segni, gesti e preghiere che stimolino la partecipazione di tutti. EREMO BETANIA si rivolge a chiunque sia alla ricerca di una sosta, individualmente o a piccoli gruppi; qui, la quotidianità è fatta di piccoli gesti, di semplicità laboriosa, di convivialità e condivisione. Per chi è sfiduciato, in situazione di disagio o affaticato, Betania (Pratello di Padenghe, Brescia) offre la possibilità di rimettersi in ascolto. Info e contatti: www.sites.google. com/site/eremobetania/ [email protected] SUGGESTIONI ASCOLTARE NORAH JONES Little broken hearts Blu Note 2012 LEGGERE ALBERTO MAGGI La follia di Dio Il Cristo di Giovanni Cittadella Editrice 2010 VEDERE EMILIANO BOS E PAUL NICOL Mare Deserto 2011 NAVIGARE www.camminacammina. wordpress.com Norah Jones e il musicista-produttore Brian Burton – in arte Danger Mouse – lo scorso autunno si sono chiusi in uno studio a Los Angeles e in due mesi, ispirandosi alle reciproche esperienze, hanno scritto partendo da zero testi e musiche per dodici brani, registrando l’album “Little broken hearts”. Come se non bastasse, hanno suonato tutti gli strumenti; difficile da credere, stando al risultato, che non sembra frettoloso, né improvvisato. Molto curati gli arrangiamenti, con abbondanza di archi e chitarre acustiche spesso in primo piano. La voce di Norah Jones, sempre calma e ispirata, disegna melodie con quel modo consapevole di cantare che a volte è quasi un sussurro, come nel brano di apertura “Good morning” che fa subito capire che siamo al cospetto di un album che vale la pena ascoltare con cura. La scelta di “Happy pills” come primo singolo non sembra molto convincente, ma all’interno dell’album si possono trovare momenti alti e intensi, come la splendida ballata “4 broken hearts”, l’affascinante e ipnotica “After the fall” o la bellissima “Miriam”, uno di quei brani che viene voglia di riascoltare subito. Questo quinto album solista di Norah Jones risulta prezioso, perché ha il raro pregio di essere raffinato e semplice al tempo stesso. Ci vorrebbe uno storico* per scovare le ragioni che, a un certo punto del nostro cristianesimo, hanno fatto sparire la Storia dal vangelo raccontato nelle nostre parrocchie. Purtroppo, questo furto ha spalancato le porte a una interpretazione infantile della questione Gesù di Nazaret. La figura di un rabbi che non aveva studiato al seguito di nessun altro rabbi e che si prendeva la libertà di infrangere uno dopo l’altro gli equilibri di potere di una chiesa che si frapponeva tra Dio e l’uomo, si riduce alla statuetta di un bimbo nato in una capanna per intenerire il mondo col proprio sacrificio (abbastanza incomprensibile a questo punto). Prima di morire per i nostri peccati Gesù muore assassinato perché parla il linguaggio di una verità intollerabile (e incomprensibile) non solo per i potenti del tempo, infatti “Neppure i suoi fratelli credevano in lui” (Gv 7,5) e “Molti dei suoi discepoli si allontanarono e non andavano più con lui” (Gv 6,66). Il Vangelo di Giovanni sconta ancora oggi la radicalità del messaggio (non ha un suo anno liturgico ed è offerto ai fedeli a spizzichi e bocconi): nessuna chiesaistituzione può essere mediatrice tra Dio e l’uomo; è la vicenda di Cristo che costituisce il ponte tra l’ecclesia-comunità e Dio. “Se lo lasciamo fare... tutti crederanno in lui!” (Gv 11,48), diranno allarmati sommi sacerdoti e farisei al tribunale del sinedrio; lasciare libero Gesù significherebbe la bancarotta dell’istituzione religiosa. Tutto il mondo religioso si pone all’erta, pronto a cogliere i segnali della venuta dell’atteso Messia, per eliminarlo. Avete presente la storia della rana bollita?* A furia di stare a mollo in pentola non si accorge che la temperatura si alza e piano piano finisce con lo svenire, salvo rendersi conto, ormai troppo tardi, di essere cotta a puntino; proprio come le nostre coscienze, annegate nell’indifferenza dall’industria dell’informazioneintrattenimento. Un anno fa partiva dalle coste della Libia assediata dalla guerra un gommone di profughi, destinazione l’Italia. Sono in 73 e non hanno molti viveri, perché credono che il viaggio durerà meno di un giorno. Finiranno alla deriva, col motore spento, senza bussola e cellulare (buttati in mare dal capitano, impaurito dall’arrivo di un elicottero, arrivato per gettare sei bottigliette d’acqua e due pacchetti di biscotti e poi ripartito). In un tratto di mare solcato da decine di navi della NATO e nonostante l’allarme della guardia costie- ra italiana, resteranno a morire in questo mare deserto di umanità. Questo documentario della televisione svizzera, visibile sul web (http://www.rsi.ch/) ha cercato e raccolto i 9 superstiti, sparsi tra Italia, Tunisia e Norvegia. Il 24 marzo 2012 l’inchiesta è stata proiettata nella sede del Consiglio d’Europa, a Strasburgo; durante un’Assemblea plenaria dello stesso è stato approvato un rapporto che inizia a identificare le responsabilità per i profughi abbandonati nel Mediterraneo, ma è molto più arduo il percorso da fare per ricostruire un’umanità ferita a morte, la stessa che riempie gli occhi incerti e stupefatti dei 9 superstiti. Un gesto riparatore, una ricucitura, tikkun olam nella tradizione giudaica*: decine di persone che per fermare l’involuzione culturale di questo paese hanno deciso di partire e incontrarsi, camminando. Cinque piccoli torrenti che hanno scelto di confluire il 5 luglio all’Aquila, simbolo del degrado di uno Stato lontano dai cittadini e di un riscatto sempre possibile. Le partenze vanno da nord a sud: Reggio Calabria, Messina, Genova, Venezia, Santa Maria di Leuca (Le), Roma; l’iniziativa replica il viaggio Milano-Napoli effettuato da circa 700 persone nel 2011. Le adesioni formali sono centinaia: enti locali, associazioni, comitati, semplici cittadini, il mondo della cultura e del sociale. Chi ha provato a mettersi sui sentieri con l’unico obiet- tivo di passare alcuni giorni camminando, liberandosi dall’ansia di controllo e potere della prestazione, sa che nel percorso tracciato dal proprio corpo nello spazio e nel tempo si nasconde una dimensione sorprendente di riflessione e di incontro. Le Tribù d’Italia, che hanno avviato nel 2009 un percorso di scambio e confronto culturale a tutto campo, hanno ragione: camminare è ricucire fratture, col paesaggio, con la natura, con gli altri e noi stessi. È nei gesti semplici che si annidano i cambiamenti rivoluzionari. Nicola Minessi *peruanoclandestino 23 SOSTIENI I NOSTRI PROGETTI PARTECIPA ALLA FESTA SVI! Venerdì 8, sabato 9, domenica 10 giugno Piazzale della Locomotiva Castello di Brescia Intrattenimento per i bambini, musica e gastronomia, riflessione e scambio interculturale con la presenza delle Associazioni dei migranti: trovi il calendario degli appuntamenti all’interno di esserci e su www.svibrescia.it. i la solidarietà tra con lo SVI per vivere da protagonist i popoli
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