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PENTECOSTE EBRAICA E PENTECOSTE CRISTIANA L'anno ebraico è scandito da varie ricorrenze che ricordano gli eventi succedutisi dalla creazione e che ricordano la storia degli ebrei. Le principali feste ebraiche sono legate alle stagioni e ad antiche tradizioni agricole pastorali. Il calendario ebraico comprende cinque feste maggiori di origine biblica. Le tre feste "del Shavuot e Sukkoth) pellegrinaggio" associate o "feste all'esodo del dell'Egitto raccolto" e le (Pesach, due "feste penitenziali" (Rosh HaShanan e Yom Kippur). Pesach (Pasqua) è la festa più importante del calendario ebraico. Si celebra tra marzo e aprile e ricorda la liberazione dalla schiavitù egiziana. Shavuot (pentecoste) si celebra nel periodo della mietitura, cinquanta giorni dopo la Pasqua. Ricorda il dono della legge (Torah) sul monte Sinai, che trasformò gli schiavi fuggiti dall'Egitto in un vero "popolo". Lo scopo di un Yom Tov, cioè di un giorno buono è quello di gioire dei piaceri del mondo dati da Dio e di concentrarsi della preghiera e nello studio. Shavuot è il compimento del "conteggio dell'Omer" delle sette-settimane dopo Pesach. Il nome stesso "Shavuot" significa "settimane", in relazione alle settimane di attesa che precedono l'esperienza del Sinai. Poiché Shavuot cade 50 giorni dopo il primo giorno di Pasqua, a volte è conosciuto come" Pentecoste ", una parola greca che significa "vacanza di 50 giorni" (Shavuot, comunque, non ha alcun collegamento con la festa cristiana della Pentecoste). Il periodo che va da Pesach a Shavuot è caratterizzato dalla mitzwà della sefirath ha-'omer = conta dell'Omer in questa circostanza dell'orzo, che è basata sulla considerazione che il fondamento dell'esistenza del popolo d'Israele risiede nella Torà. L'uscita dall'Egitto, che viene celebrata attraverso la festa di Pesach, chiamata nella Tefillà zeman cherutenu (tempo della nostra libertà), acquisisce significato solamente in relazione alla ricezione della Torà, che si ricordi con la festa di Shavuot, zeman matan toratenu (tempo del dono della nostra Torà). Nel libro di Shemot (3,12) (tredicesima porzione settimanale della Torah Rappresenta il passo Esodo 1:1-6:1, che gli ebrei leggono durante il tredicesimo Shabbat dopo Simchat Torah, generalmente alla fine di dicembre o in gennaio.) troviamo un accenno a tale idea: "Io sarò con te, e la riprova che Io ti ho dato l'incarico, sarà che una volta avvenuta l'uscita del popolo dall'Egitto, questi adorerà il Signore su questo monte". L'uscita dall'Egitto, e tutti i miracoli che il Signore ha compiuto per liberare i figli d'Israele, non sono altro che un segno che deve portare al servizio del Signore. Dio mostra ai figli d'Israele lo scopo della redenzione dalla schiavitù egiziana prima ancora di liberarli. Si contano i giorni dell'Omer poiché da sola la liberazione dalla schiavitù ha un valore relativo, ed acquisisce veramente senso solamente se sfocia nell'accettazione della Torà, che costituisce il suo scopo reale. Il legame tra Pesach e Shavuot è talmente tanto stretto che la Torà, a differenza delle altre festività, non indica una data specifica per la festa di Shavout, che cade nel cinquantesimo giorno dall'inizio della conta dell'Omer. • Perché dal secondo giorno e non dal primo? Se la conta dell'Omer unisce concettualmente Pesach e Shavuot bisogna spiegare un'altra apparente stranezza: perchè si inizia a contare dal secondo giorno di Pesach e non dal primo? In base ad un principio generale, che a volte s'incontra nella Halachà, non si mescolano delle gioie fra loro. Il primo giorno di Pesach è legato ad un certo tipo di gioia, quella dell'uscita dall'Egitto, che costituisce una prova "forte" della creazione del mondo da parte di Dio e della provvidenza che esercita nei confronti degli uomini. Avvenimenti come le dieci piaghe, l'apertura del Mar Rosso, la caduta della manna sono eventi che sconvolgono profondamente le leggi naturali. I figli di Israele che hanno assistito all'uscita dall'Egitto sono arrivati ad una fede completa nel Signore (prestò piena fede al Signore e a Mosè suo servo), determinata proprio da tali eventi miracolosi. Questo caposaldo della fede ebraica, che Dio abbia creato il mondo ed eserciti la propria provvidenza sulle creature, non può essere mescolato con nessun'altra cosa. Per questo la conta dell'Omer non inizia dal primo giorno di Pesach, ma dal secondo, che, quando c'era il Bet ha-Miqdash, era caratterizzato da una particolare offerta, chiamata appunto 'Omer. Il midrash percepisce dietro quest'offerta un messaggio diverso da quello che ci viene dato dal primo giorno di Pesach, un altro tipo di fede: la mano di Dio è presente anche negli eventi che a noi sembrano perfettamente naturali. Quando un uomo prepara una qualsiasi pietanza deve compiere diverse operazioni che gli comportano fatica. Se al contrario si tratta di operazioni agricole non è proprio così: anche quando il contadino sta a letto, Dio in qualche modo lavora per lui, facendo splendere il sole, scendere la pioggia, soffiare il vento, ecc. Attraverso l'offerta dell'Omer gli uomini riconoscono questa "collaborazione" divina, e mostrano di avere una fede basata non solo sugli interventi divini più manifesti, ma anche su quelli apparentemente nascosti. Nella penultima berachà della 'amidà (modim anachnu) parliamo dei miracoli che il Signore quotidianamente compie per noi, in ogni momento della giornata. In questo caso non si tratta dei miracoli manifesti, dei quali molti di noi probabilmente non sono stati testimoni, ma di quelli nascosti, che dobbiamo scovare continuamente. Questa continua ricerca del nascosto costituisce una grossa prova per la nostra fede: tante e tante cose ci sussurrano continuamente che tutto quello che ci succede è completamente naturale, tutti gli eventi della nostra vita sembrano essere determinati dal caso, ogni nostro risultato sembra essere solo farina del nostro sacco. Non sempre è così. Basta solamente guardare le cose con un occhio diverso e cercare come si manifesta il continuo intervento di Dio nella natura, nella storia, nella nostra vita. Shavuot e Pentecoste Le radici ebraiche del cristianesimo sono riconoscibili anche nella strettissima corrispondenza tra la festa di Pentecoste ebraica (Shavuot), dove si ricorda il dono della Legge, e la Pentecoste cristiana, in cui cinquanta giorni dopo la Pasqua - celebriamo la discesa dello Spirito Santo sulla Chiesa radunata nel cenacolo. Sì, perché possiamo dire che nella Pentecoste gli apostoli salgono con Maria al piano superiore, come Mosè sale sulle pendici del Sinai; Dio effonde lo Spirito sulla Chiesa, nuova Legge, lo Spirito del Signore Risorto, iscritta nei cuori dei credenti; così Mosè sulla cima del monte riceve lemizwot Adonai, i precetti della Torah. Lo Spirito con i suoi doni porta la Chiesa alla missione ed all’evangelizzazione, la voce di Dio sull’Horeb rinvigorisce la missione del profeta Elia e gli dona quello slancio definitivo contro l’idolatria dei falsi profeti. Mosè parla faccia a faccia con Dio, lo Spirito ci permette di invocare Dio nei nostri cuori con l’appellativo di Abbà, l’affettuoso “Papà” del fanciullo che si rivolge al proprio padre, perché l'incarnazione, passione, morte e risurrezione del nostro Signore, Gesù, ci ha introdotti nella "famiglia" del Padre. Abramo non merita Eretz Israel fino a che non mette in pratica la mizvà dell’Omer; gli ebrei non entrano nella Terra Promessa se non nel momento in cui sostituiscono l’Omer di Manna con l’Omer del frumento di Eretz Israel. Noi non entriamo nella vita nuova della Risurrezione se non partecipiamo all'Eucaristia, che è il nuovo Pane disceso dal cielo... e se non ci lasciamo purificare e vivificare dal fuoco dello Spirito che ha raggiunto gli Apostoli nel Cenacolo il giorno di Pentecoste. Come gli Ebrei si riconoscono Popolo al momento dell'accoglimento della Torah, così i Cristiani divengono anch'essi Popolo dell'Alleanza e si riconoscono Chiesa proprio a partire da quella Pentecoste che si rinnova per ogni credente. Anche noi quindi in questo periodo dell'anno contiamo i giorni della nostra gioia, perché ""il periodo dell’Omer ha delle diverse e ben più profonde implicazioni. Si tratta del periodo che intercorre tra la festa di Pesach e quella che nella Torah si chiama Azeret, ossia conclusione (stupenda l'idea di compimento), che prende poi il nome di Shavuot o Settimane. Tale definizione è però parziale. Sarebbe corretta se la data di Shavuot fosse esplicitamente fissata. In realtà non è così. Il periodo dell’Omer non è un riempitivo per lo spazio che intercorre tra le due feste, ma è piuttosto una scala che piantata sulla festa di Pesach sale fino a Shavuot. La Torah non dà la data di Shavuot, la festa che commemora il dono della Torah perchè essa è subordinata al conteggio dei giorni/scalini che abbiamo effettuato in direzione della Torah. Ed in effetti il percorso Pesach-Omer-Shavuot è un percorso che serve a rieducare sia sotto l’aspetto materiale sia sotto quello spirituale. Se è vero che gli ebrei erano prossimi ad oltrepassare la cinquantesima definitiva porta dell’impurità allorché Iddio li trasse fuori dall’Egitto, il periodo del conteggio dell’Omer deve far loro risalire queste cinquanta tappe fino a giungere alla Torah. La Torah non si riceve in eredità, ma la si conquista giorno per giorno. La festa del dono della Torah è quindi senza data, accessibile a coloro che quotidianamente contano i propri successi in direzione della Legge."" [Tratto dallaParashat Emor] Così è anche per noi, che viviamo il "già e non ancora" del Regno e, ogni giorno, compiamo un passo verso la Risurrezione definitiva, il "mondo a venire" ('olam ha-ba), che inizia già in questo mondo, per poi sfociare nella pienezza della gloria futura. Anche la Pentecoste cristiana è connessa strettamente con la Rivelazione di Dio sul Sinai. La omonima festa ebraica, infatti, ricorda la teofania mosaica di nel roveto che arde senza bruciare. Esattamente come arde senza bruciare lo Spirito Santo, in forma di lingue di fuoco, disceso su Maria e gli Apostoli: lo stesso Spirito che feconda e edifica la Chiesa. Noi vediamo dunque il Sinai come evento storico tipologico dell’effusione dello Spirito dopo l’Ascensione. Allora è possibile comprendere che la Promessa di Dio rimane immutata nel corso della Storia della Salvezza, perché la Sua Alleanza è irrevocabile: ciò vale tanto per i nostri fratelli ebrei, quanto per noi cristiani che ci diciamo figli della Nuova Alleanza, che non annulla la precedente, ma la porta a compimento.
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