Armi leggere e di piccolo calibro

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Armi leggere e di piccolo calibro
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Armi Convenzionali
Armi leggere e di piccolo calibro
INTRODUZIONE
Le armi leggere sono le principali protagoniste sia nelle guerre dimenticate, sia
dei conflitti “a bassa intensità” per una serie di motivazioni quali la relativa
facilità di trasporto e l’ampia disponibilità di tali armi sui mercati.
Inoltre, il basso costo delle armi leggere permette tanto l’ampia proliferazione che
l’acquisto anche da parte di forze non ben sostenute finanziariamente, come quelle
irregolari, che si possono giovare anche di altri elementi quali la manutenzione
elementare, il facile impiego e la lunga durata dell’arma stessa.
Ogni anno l’abuso di armi leggere determina un aumento dei morti, dei feriti e dei
traumi psicologici, sia nel contesto dei conflitti nazionali e internazionali, sia degli
abusi nell’applicazione della legge, della repressione violenta dei diritti
democratici e delle violazioni del diritto all’autodeterminazione dei popoli.
Le armi leggere incrementano la violenza, l’insicurezza, la paura e l’instabilità,
con la quale fanno i conti milioni di rifugiati e sfollati.
Molte di queste tragedie potrebbero essere evitate, con dei controlli più rigidi
sull’accesso e sulla disponibilità di armi, a livello nazionale e internazionale.
In conclusione, la “facile” disponibilità di armi leggere e di piccolo calibro è una
delle principali cause di violazioni del diritto umanitario internazionale e del
deterioramento della situazione dei civili, poiché aumenta le tensioni, il
coinvolgimento di civili e il prolungamento della durata del conflitto.
DEFINIZIONE DI ARMI LEGGERE E DI PICCOLO CALIBRO
Tutt’oggi non esiste una definizione unanimemente riconosciuta dell’espressione
“armi leggere e di piccolo calibro”. E’ proprio la mancanza di chiarezza sulla
definizione e l’assenza di una lista comune che definisca con sufficiente
precisione quali armi debbano rientrare nella categoria a costituire il primo
ostacolo per la valutazione dell’impatto che queste armi hanno sui conflitti in atto
e soprattutto per la creazione di strumenti di controllo.
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Bisogna tener presente che per poter avviare un qualunque tentativo di
monitoraggio e di controllo del settore occorre delinearne l’esatto profilo, sia a
livello nazionale, sia ancor più per la necessaria azione internazionale.
Un Panel di esperti dell’ONU ha proposto la seguente definizione di armi leggere:
“Le armi leggere o di piccolo calibro sono di diverso tipo: vanno dalle armi
bianche (coltelli o machete) alle armi di calibro immediatamente inferiore a quelle
recensite nel Registro delle armi convenzionali delle Nazioni Unite, ad esempio i
mortai inferiori a 100 millimetri. Le armi qui considerate sono essenzialmente le
armi da fuoco, leggere o di piccolo calibro, fabbricate secondo delle
caratteristiche militari così da essere utilizzate come strumenti di guerra mortali.
Sono utilizzate da tutte le forze armate, compresi i corpi di sicurezza interna, ad
esempio per la protezione o l’autodifesa, gli scontri ravvicinati, i tiri diretti ed
indiretti e contro i mezzi terrestri o aerei se relativamente vicini. Per armi di
piccolo calibro intendiamo, in linea generale, le armi individuali, e per armi
leggere quelle collettive.
Partendo da questa definizione generale e dalle constatazioni che ci sono state
possibili, abbiamo classificato come segue le armi impiegate nell’ambito dei
conflitti dei quali si occupa l’ONU:
1)
2)
3)
4)
5)
Armi di piccolo calibro:
revolvers e pistole automatiche;
fucili e carabine;
mitragliatrici;
fucili d’assalto;
mitragliatrici leggere.
Armi leggere:
6) mitragliatori pesanti;
7) lanciagranate portatili applicabili a fucili d’assalto o fissi;
8) cannoni antiaerei portatili;
9) cannoni anticarro portatili, fucili senza rinculo;
10) lanciamissili e lanciarazzi anticarro portatili;
11) lanciamissili antiaerei portatili;
12) mortai di calibro inferiore a 100 millimetri.
3) Munizioni ed esplosivi:
13) cartucce e munizioni per armi di piccolo calibro;
14) proiettili e missili per armi leggere; contenitori portatili di missili o proiettili
monouso per sistemi antiaerei o anticarro;
15) bombe a mano antiuomo e anticarro;
16) mine terrestri;
17) esplosivi.
Nel 1998 un allegato all’“Azione Comune” adottata dal Consiglio dell’Unione
Europea ha proposto un’altra definizione di armi leggere.
“a) Armi di piccolo calibro ed accessori concepiti per uso militare:
•mitragliatrici (compresi le mitragliatrici pesanti);
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•mitragliette, comprese le pistole mitragliatrici;
•fucili automatici;
•fucili semiautomatici, se sono concepiti e/o messi sul mercato come modelli per
forze armate;
•moderatori di suono (silenziatori).
b) Armi leggere portatili individuali o collettive:
•cannoni (compresi i cannoni automatici), obici e mortai di calibro inferiore a
100mm;
•lanciagranate;
•armi leggere anticarro, armi senza rinculo (razzi lanciati con dispositivi da
spalla)
•missili anticarro e lanciatori;
•missili antiaerei/sistemi di difesa aerea portatili (Manpads).”
IL QUADRO NORMATIVO IN ITALIA
In Italia non esiste una definizione e una disciplina specifica per le armi piccole e
leggere.
In linea generale la legislazione sulle armi si suddivide in due grandi categorie: le
armi da guerra e le armi comuni da sparo.
La prima comprende alcuni tipi di armi piccole, fino ad arrivare alle armi
atomiche e nucleari, la seconda categoria contempla piccole armi utilizzate per
difesa personale, per fini sportivi o da caccia, ovvero armi antiche utilizzate a fini
di collezione.
Su questi due filoni principali si sono, nel tempo, costruiti due distinti sistemi
normativi che contemplano disposizioni relative all’ordine interno (porto d’armi,
custodia, fabbricazione, messa in vendita etc.) e norme sulle esportazioni.
Le armi leggere, quali definite dalle Nazioni Unite, ricadono in parte nella prima e
in parte nella seconda categoria.
La legislazione italiana risulta una delle più rigorose, per ciò che concerne
immatricolazione e catalogazione e per l’obbligatorietà della licenza del porto di
tutte le armi comuni da sparo, quali definite dalla legge 110/75.
Senza entrare nel merito delle disposizioni relative ai privati, gli obblighi per gli
esercenti di attività commerciale di armi comuni da sparo vigenti in Italia
prevedono che, secondo l’art. 31 del TULPS (Testo Unico di Pubblica Sicurezza),
non si possano fabbricare armi comuni da sparo, introdurle nello Stato, esportarle,
farne raccolta per ragioni di commercio o di industria, o porle comunque in
vendita, senza licenza del Questore.
Secondo l’art. 46 del regolamento applicativo, la domanda per l'autorizzazione ad
importare (introdurre dall’estero) armi comuni da sparo, oltre alle generalità e alla
firma del richiedente, deve indicare:
a) lo Stato da cui i materiali sono importati e la ditta, persona od ente, che li
fornisce;
b) le generalità e la residenza del destinatario, nonché il luogo dove i materiali
devono essere ricevuti;
c) la specie e la quantità dei materiali. L’art. 48 del regolamento applicativo del
TULPS precisa altresì che per l’importazione (così come per l’esportazione) la
licenza è rilasciata dal Questore della Provincia nella quale si trova il comune
dove le armi sono dirette.
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Oltre alla licenza del Questore, secondo quanto introdotto dall’art. 12.1 della
legge n°110/75, tutti coloro che importano più di tre armi comuni da sparo nel
corso di un anno, devono munirsi anche di apposita licenza del Prefetto.
L’esportazione delle armi comuni da sparo è ancora regolata dall’art. 31 del
TULPS, dall’art. 46 del regolamento applicativo e integrata dall’art. 16 della legge
n°110/75.
La licenza deve essere rilasciata per ogni singola spedizione dal Questore. Nella
domanda per il rilascio si devono indicare, parimenti a quanto prescritto per le
importazioni:
a) lo Stato a cui i materiali sono diretti, e la ditta, persona od ente cui sono ceduti;
b) la fabbrica o il deposito da cui partono;
c) la specie e la quantità dei materiali.
La licenza deve essere rilasciata per ogni singola spedizione ed esibita agli uffici
di dogana.
L’esportazione deve avvenire entro 90 giorni dal rilascio della licenza di polizia.
Per l’esportazione di armi comuni da sparo sono obbligatori la visita doganale e il
controllo della guardia di finanza.
La vigente definizione di arma da guerra è prevista dalla legge n°110/75.
L’articolo 1 statuisce che sono armi da guerra “le armi di ogni specie che, per la
loro spiccata potenzialità di offesa, sono o possono essere destinate al moderno
armamento delle truppe nazionali o estere per l’impiego bellico”.
La licenza è necessaria per la fabbricazione, l'importazione e l'esportazione e,
come introdotto dalla legge n°110/75, per l’attività di riparazione delle armi
predette o di parti di esse, di munizioni, di uniformi militari o di altri oggetti
destinati all'armamento o all'equipaggiamento di forze armate.
Le modalità di richiesta di autorizzazione della licenza sono dettagliate nel
regolamento applicativo del TULPS. Esse sono molto simili a quelle per le armi
comuni da sparo, anche se debbono essere presentate direttamente al Ministero
dell’Interno e sono sottoposte, in alcuni casi, a controlli più stringenti.
Prima dell’approvazione della legge 185/90, la disciplina sulle importazioni ed
esportazioni di armi da guerra era regolamentata dall’art. 28.2 del TULPS e dagli
articoli 58-41 del Regolamento applicativo.
La legge 185/90 introduce regole ben più complesse per il controllo e la
trasparenza dei trasferimenti di materiale di armamento. Per alcune tipologie di
armi da guerra (fucili tipo guerra) valgono ancora le passate disposizioni.
L’intera materia dell’acquisto e della vendita, fino all’approvazione della nuova
normativa, restava inoltre coperta da segreto militare.
Nel 1990 è stata approvata la legge n° 185 che introduce nuove norme sul
controllo e la trasparenza dei trasferimenti italiani di materiale d’armamento.
Oggetto della disciplina della legge n° 185 sono solo i materiali d’armamento.
L’art. 2 della legge li definisce come “quei materiali che, per caratteristiche
tecnico costruttive o di progettazione sono tali da considerarsi appositamente
costruiti per un prevalente uso militare di corpi armati o di polizia”.
Con la dizione «prevalente uso militare», una delle più avanzate nel contesto
internazionale, si è voluto riferirsi non solo a prodotti ad esclusivo uso militare,
ma anche ad alcuni materiali a doppio uso civile e militare.
L’ASSETTO PRODUTTIVO IN ITALIA
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Negli anni Ottanta, il numero delle imprese attive nella produzione militare era
stimato nell’ordine delle 300; alla fine del decennio le stime variavano tra le 300 e
le 200, delle quali però soltanto 30-50 ricoprivano un ruolo significativo in
termini di quota di fatturato militare.
Ciò non contrasta con il dato che la maggior parte di tali imprese dipendeva dalle
commesse del Ministero della Difesa (basso export su fatturato e alto fatturato
militare su quello totale).
I principali gruppi industriali del settore erano cinque:
• le imprese Iri (36% del fatturato totale), principalmente Aeritalia, Selenia e
Fincantieri;
• le imprese Efim (21%): Agusta, Oto Melara, Breda Meccanica bresciana;
• il gruppo Fiat (16%) con Fiat Avio, Iveco DVD, Snia BPD;
• le imprese a capitale estero (12%): Contraves, Marconi e Oerlikon;
• le imprese private (14%) tra cui Aermacchi e Rinaldo Piaggio (entrambe
partecipate da Aeritalia) e la Elettronica.
Negli anni Novanta, il settore cambia notevolmente fisionomia:
prima con la liquidazione dell’ente pubblico Efim, avviata nel 1992, quando il
Commissario liquidatore ne ha ceduto in affitto le attività industriali al gruppo IriFinmeccanica, e conclusasi nel 1994 con l’acquisto da parte di Finmeccanica di
tutte le aziende operanti nel settore;
Poi con la creazione all’interno di Finmeccanica di un polo di produzione per la
difesa (attualmente composto da Alenia Difesa, nata dalla fusione di Aeritalia e
Selenia, Alenia Marconi Systems, una joint venture paritaria al 50% tra
Finmeccanica e la BAE Systems, la divisione Otobreda, la Avionic Systems and
Equipment Division, la Whitehead Alenia Sistemi Subaquei S.p.A. (WASS) e la
International Naval Systems Division) e il consolidamento della presenza di
partecipazioni minoritarie Finmeccanica nel capitale di importanti produttori
privati italiani (Aermacchi, Piaggio, Elettronica).
Oggi Finmeccanica costituisce il “campione nazionale” dell’industria della difesa
italiana, in quanto detiene circa il 70% (comprese le società partecipate) delle
capacità produttive nazionali;infine, con la riduzione della presenza del gruppo
Fiat nel settore, attraverso un calo di attività e la cessazione di alcune imprese.
Attualmente le aziende del gruppo operanti nel settore sono Fiat Avio, Iveco e
SNIA BDP Difesa e Spazio (il 15% delle capacità produttive nazionali).
La produzione di armamenti e la loro esportazione in Italia è, quindi, controllata
da due grandi gruppi industriali: uno pubblico, Finmeccanica, e l’altro privato, la
Fiat, che occupano rispettivamente il 13° e il 37° posto nella classifica SIPRI delle
100 principali industrie mondiali produttrici di armi.
Al 31 dicembre del 1999 le società iscritte al Registro Nazionale delle Imprese e
dei Consorzi di Imprese, tenuto, in applicazione alla legge 185/90, presso il
Segretariato Generale della Difesa e Direzionale Nazionale degli Armamenti
(SG/DNA), erano 156.
Le imprese che producono armi leggere da guerra e relativo munizionamento sono
14.
Il criterio utilizzato per individuarle è stato il riconoscimento ufficiale da parte
dell’impresa della propria produzione militare, principalmente attraverso le fonti
aziendali e la pubblicità su organi specializzati, quali Jane’s Infantry Weapons, e
l’iscrizione dell’impresa all’Albo Fornitori e Appaltatori (AFA) e/o al Registro
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Nazionale delle Imprese e Consorzi di Imprese operanti nel settore difesa,
entrambi istituiti presso il Segretariato Generale della Difesa e Direzione
Nazionale degli Armamenti (SG/DNA).
Finmeccanica è presente nel comparto delle armi leggere attraverso la controllata
(100%) Alenia Difesa, tra le cui divisioni quella che produce armi leggere e
relativo munizionamento è la Otobreda, o meglio la Breda Meccanica Bresciana,
che è una delle sue unità produttive.
La Breda produce fucili ad alta precisione (shotguns), armi anticarro e antiareo
(anti-aircraft, anti-missile, anti-tank weapons).
Il gruppo Fiat è presente nel settore degli armamenti leggeri con la società SniaBpd Difesa e Spazio, controllata tramite Fiat Avio S.p.A., a cui sono confluite le
attività militari della Gilardini group S.p.A. - che controllava la Borletti Fb srl e la
Simmel Difesa S.p.A. (spolette e munizionamento) -, della SNIA Bpd - che
controllava la Misar S.p.A. (bombe e mine) e la Sipe Nobel S.p.A. (esplosivi) - e
della Valsella Meccanotecnica S.p.A. (bombe e mine).
La produzione italiana di armi leggere da guerra è, però, dominata dalla Beretta
Holding S.p.A., un’azienda multinazionale a controllo familiare. Infatti, nel 1997
la famiglia Beretta ha riacquistato le azioni del gruppo (33%) che la belga FNHerstal deteneva attraverso la Browning.
La Beretta Holding SpA opera in più di 60 Paesi attraverso 13 aziende, dal 1995
tutte sotto il suo diretto controllo. Il gruppo si è ampliato negli ultimi due anni
prima con l’acquisto nel dicembre 1999 della finlandese Sako, di cui la Beretta
Holding ha acquisito il 100% della azioni per circa 40 miliardi di lire, e poi nella
primavera del 2000 con l’acquisizione della Uberti, per circa 10 miliardi di lire, di
cui il gruppo detiene l’86% delle azioni.
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