LA SANATORIA DELLA MOROSITÀ EX ART. 55 LEGGE 392/78 IN
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LA SANATORIA DELLA MOROSITÀ EX ART. 55 LEGGE 392/78 IN
LA SANATORIA DELLA MOROSITÀ EX ART. 55 LEGGE 392/78 IN MATERIA DI LOCAZIONE Relatore: avv. Sergio PAPARO avvocato del Foro di Firenze SOMMARIO: 1. La sanatoria della morosità ex art. 55 legge 392/78 in relazione ai contratti aventi ad oggetto gli immobili destinati ad uso non abitativo. – 2. La sanatoria della morosità ex art. 55 legge 393/78 in relazione all’ipotesi di contestazione parziale del canone (rapporto fra l’art. 55 legge 392/78 e l’art. 666 c.p.c.) ed alla possibilità di chiedere la sanatoria in via subordinata rispetto all’opposizione proposta in via principale. – 3. La sanatoria della morosità ex art. 55 legge 393/78 nel rito ordinario. – 4. La sanatoria della morosità ex art. 55 legge 393/78 in caso di opposizione tardiva (artt. 55 legge 392/78 e 668 c.p.c.). – 5. La condanna alle spese nel procedimento di convalida di sfratto dopo il recente intervento della Suprema Corte (sentenza 5720/1994). – 6. Nella locazione per esigenze abitative transitorie ex art. 26 lett. a) della legge 392/1978 le esigenze oggettive del conduttore rilevano indipendentemente dalla conoscenza che di esse abbia il locatore? 1. La sanatoria della morosità ex art. 55 legge 392/78 in relazione ai contratti aventi ad oggetto gli immobili destinati ad uso non abitativo. La soluzione del quesito se l’art. 55 della legge 392/78 sia o meno applicabile alle locazioni disciplinate dall’art. 27 della stessa (locazioni ad uso non abitativo) non è certamente agevolata dall’evoluzione dell’interpretazione che della norma è stata proposta dalla giurisprudenza di legittimità, soprattutto negli ultimi anni. L’iniziale orientamento del Supremo Collegio fu assolutamente costante in senso affermativo. La Corte infatti ebbe ad affermare più volte: • che dai lavori preparatori era possibile ricavare la volontà del legislatore di rendere applicabile gli artt. da 43 a 57 ad ogni locazione di immobili urbani, a prescindere dalla loro destinazione; • che quella soluzione era l’unica rispondente alla “necessità di una interpretazione unitaria della complessiva ratio legis”. La massima ricavabile da quelle decisioni fu dunque nel senso che “le disposizioni dell’art. 55 primo comma della legge 392/78 in tema di sanatoria in sede giudiziale della morosità del conduttore nel pagamento dei canoni o degli oneri accessori trovano applicazione, in mancanza di espresse limitazioni risultanti dal dato normativo nonchè di qualsivoglia incompatibilità di ordine logico, anche con riguardo alle locazioni di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo”. Successivamente le Sezioni Unite, con la sentenza 12210/1990, confermarono quel precedente indirizzo con una decisione che, seppur riferita alla questione (risolta in senso negativo) se alle locazioni non abitative sia applicabile la predeterminazione legale della gravità dell’inadempimento di cui all’art. 5, ribadì incidentalmente l’inesistenza di qualunque nesso di interdipendenza fra l’art. 5 e l’art. 55 e dunque negò che il richiamo dell’art. 5 operato dal primo comma dell’art. 55 potesse valere a condizionare (o, peggio, ad escludere) la piena operatività dell’istituto della sanatoria della morosità anche per le locazioni non abitative. Solo con la sentenza 2496/1992 il S.C. (Sezione Terza) mutò orientamento valorizzando, a fondamento della sua decisione: – il richiamo contenuto nell’art. 55 ai canoni ed agli oneri di cui all’art. 5 e dunque il riferimento espresso ad una disposizione collocata nell’ambito delle locazioni abitative ed espressamente esclusa, dall’art. 41, per le locazioni non abitative stipulate in regime ordinario; – l’impianto stesso della legge, laddove nel regime ordinario non è stata riproposta una norma del tenore dell’art. 74 che invece, nel regime transitorio, espressamente rende applicabile l’art. 55 anche alle locazioni non abitative. Nei due anni successivi peraltro la stessa Terza Sezione (con le sentenze 659/1993, 7702/1993, 10202/1994, 2232/1995 e 6023/1995) modificò nuovamente orientamento dichiarando la possibilità per il conduttore di immobile urbano adibito ad uso non abitativo di avvalersi della facoltà di sanare la morosità in udienza e/o di richiedere apposito termine di grazia ex art. 55. Tali affermazioni, peraltro, furono fatte sempre “in limine litis” in quanto le fattispecie sostanziali decise dalle pronunzie di merito sottoposte a censura attenevano esclusivamente all’ambito di operatività della predeterminazione della gravità dell’inadempimento del conduttore operata dall’art. 5. Sulla questione ha avuto occasione di “intervenire” anche la Corte Costituzionale con l’ordinanza 461/1993 con la quale – chiamata dal Pretore di Verona a pronunziarsi sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 55 della legge 392/1978 nella parte in cui (a parere del giudice di merito) esclude che l’istituto della sanatoria della morosità si applichi anche alle locazioni non abitative – ha negato la sussistenza del denunziato vizio di legittimità implicitamente avallando, sotto il profilo quantomeno della corretteza costituzionale, l’interpretazione fornita dal Supremo Collegio con la ricordata sentenza 2496/1992. GIURISPRUDENZA • Corte Costituzionale 1. È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 55 l. 27 luglio 1978 n. 392, sollevata con riferimento all’art. 3 cost., in base all’interpretazione, dibattuta in giurisprudenza, che il citato articolo escluda la sanatoria della morosità del canone per le locazioni di immobili urbani ad uso non abitativo, stipulate successivamente all’entrata in vigore della citata legge, poiché la limitazione, in via transitoria, della facoltà di sanatoria della morosità per le locazioni stipulate anteriormente, si giustifica con il fatto che il mutamento legislativo incide sulla posizione delle parti contrattualmente stabilite per le locazioni in corso, e rende quindi opportuno consentire al conduttore di sanare la morosità in sede giudiziale. Corte costituzionale 23 dicembre 1993, n. 461 Cons. Stato 1993, II, 2106 (s.m.) Giur. cost. 1993, fasc., Giust. civ. 1994, I, 593 nota (IZZO) Arch. locazioni 1994, 51 Foro it. 1994, I, 330, 6. • Cassazione 2. In tema di disciplina transitoria delle locazioni d’immobili urbani – come stabilita dal titolo secondo della l. 27 luglio 1978 n. 392 (cosiddetta sull’equo canone) – la mancanza di qualsivoglia incompatibilità di ordine logico-concettuale tra la sanatoria della morosità come regolata dalla norma processuale dell’art. 55 e le locazioni non abitative come richiamate dalla norma, anch’essa di natura processuale, di cui all’art. 74; la perentorietà di tale richiamo, senza riserve o limitazioni; la corrispondenza tra la lettera e la “ratio” della norma, escludono una interpretazione riduttiva dell’istituto della sanatoria della morosità, come descritto all’art. 55; esso, di conseguenza, è applicabile anche con riferimento alle locazioni di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione. Cassazione civile, sez. III, 24 aprile 1981 n. 2469, Giust. civ. Mass. 1981, fasc. 4.; Riv. giur. edilizia 1983, I, 196. 3. In tema di disciplina transitoria delle locazioni d’immobili urbani – come stabilita dal titolo secondo della l. 27 luglio 1978 n. 392 (cosiddetta sull’equo canone) – la mancanza di qualsivoglia incompatibilità di ordine logico-concettuale tra la sanatoria della morosità come regola dalla norma processuale dell’art. 55 e le locazioni non abitative come richiamate dalla norma, anch’essa di natura processuale, di cui all’art. 74; la perentorietà di tale richiamo, senza riserve o limitazioni; la corrispondenza tra la lettera e la ratio della norma, escludono un’interpretazione riduttiva dell’istituto della sanatoria della morosità, come descritto all’art. 55; esso, di conseguenza, è applicabile anche con riferimento alle locazioni d’immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione. Cassazione civile, sez. III, 25 giugno 1983 n. 4371, Giust. civ. Mass. 1983, fasc. 6. 4. In tema di concessione di un termine per il pagamento dei canoni locatizi scaduti, previsto dall’art. 55 della l. 27 luglio 1978 n. 392, la perentorietà del richiamo operato a detta norma dal successivo art. 74; la mancanza di qualsivoglia incompatibilità di ordine logico concettuale tra la sanatoria della morosità, come regolata dal citato art. 55 e le locazioni non abitative come richiamate dalla norma, anch’essa di natura processuale, di cui all’art. 74; la corrispondenza tra la lettera e la ratio della norma, escludono una interpretazione riduttiva dell’istituto che, di conseguenza, è applicabile anche con riferimento alla locazione di immobile adibito ad uso diverso da quello di abitazione. Cassazione civile, sez. III, 20 aprile 1984 n. 2594 Giust. civ. Mass.1984 fasc. 3-4. 5. A norma dell’art. 1188 comma 1 c.c., il procuratore “ad litem” del locatore è legittimato a ricevere il pagamento dei canoni arretrati (e/o degli oneri accessori) offerto ai sensi dell’art. 55 legge n. 392 del 1978 del conduttore di immobile urbano convenuto in giudizio per morosità e di conseguenza, ove egli rifiuti il pagamento, si determina una situazione di oggettivo inadempimento non ascrivibile a colpa del conduttore e non può, quindi, procedersi alla risoluzione del rapporto. Cassazione civile, sez. III, 27 gennaio 1986 n. 524, Giur. it. 1986, I, 1, 724 (nota). 6. In tema di concessione di un termine per il pagamento dei canoni locatizi scaduti, previsto dall’art. 55 della legge n. 392 del 1978, la mancanza di espresse limitazioni all’applicabilità di tale norma nonché di qualsivoglia incompatibilità di ordine logico-concettuale tra la sanatoria della morosità come da essa regolata e le locazioni non abitative, escludono una interpretazione riduttiva dell’istituto e comportano la sua applicabilità anche con riferimento alla locazione di immobile adibito ad uso diverso da quello di abitazione, stipulata successivamente all’entrata in vigore della richiamata legge (nella specie, il 20 gennaio 1979). Cassazione civile, sez. III, 26 luglio 1986 n. 4799, Giust. civ. Mass. 1986, fasc. 7; Riv. giur. edilizia 1983, I, 196. 7. In tema di disciplina transitoria delle locazioni d’immobili urbani – come stabilita dal titolo secondo della l. 27 luglio 1978 n. 392 (cosiddetta sull’equo canone) – la mancanza di qualsivoglia incompatibilità di ordine logico-concettuale tra la sanatoria della morosità come regolata dalla norma processuale dell’art. 55 e le locazioni non abitative come richiamate dalla norma, anch’essa di natura processuale, di cui all’art. 74; la perentorietà di tale richiamo, senza riserve o limitazioni; la corrispondenza tra la lettera e la “ratio” della norma, escludono una interpretazione riduttiva dell’istituto della sanatoria della morosità, come descritto all’art. 55; esso, di conseguenza, è applicabile anche con riferimento alle locazioni di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione. Cassazione civile, sez. III, 27 novembre 1986 n. 6995, Giust. civ. Mass. 1986, fasc. 11; Giur. it. 1987, I, 1, 1396. 8. In tema di disciplina transitoria delle locazioni d’immobili urbani – come stabilita dal titolo secondo della l. 27 luglio 1978 n. 392 (cosiddetta sull’equo canone) – la mancanza di qualsivoglia incompatibilità di ordine logico-concettuale tra la sanatoria della morosità come regolata dalla norma processuale dell’art. 55 e le locazioni non abitative come richiamate dalla norma, anch’essa di natura processuale, di cui all’art. 74; la perentorietà di tale richiamo, senza riserve o limitazioni; la corrispondenza tra la lettera e la ratio della norma, escludono una interpretazione riduttiva dell’istituto della sanatoria della morosità, come descritto all’art. 55; esso, di conseguenza, è applicabile anche con riferimento alle locazioni di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione. Cassazione civile, sez. III, 17 aprile 1987 n. 3791, Giust. civ. Mass. 1987, fasc. 4. 9. Il disposto dell’art. 5 della legge n. 392 del 1978, per il quale il mancato pagamento del canone costituisce motivo di risoluzione del contratto di locazione, ai sensi dell’art. 1455 c.c., soltanto se siano decorsi venti giorni dalla scadenza prevista – operando così una predeterminazione legale della gravità od importanza dell’inadempimento sottratta alla valutazione discrezionale del giudice – trova applicazione anche con riguardo alle locazioni di immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo, stante il richiamo anche operativo della disciplina dell’art. 55 della citata legge per l’istituto della sanatoria della morosità applicabile ad ambedue le categorie di locazioni. Cassazione civile, sez. III, 23 novembre 1987 n. 8605, Giust. civ. Mass. 1987, fasc. 11. 10.Le disposizioni dell’art. 55, comma 1, della legge n. 392 del 1978 in tema di sanatoria in sede giudiziale della morosità del conduttore nel pagamento dei canoni o degli oneri accessori, trovano applicazione, in mancanza di espresse limitazioni risultanti dal dato normativo nonché di qualsivoglia incompatibilità di ordine logico, anche con riguardo alle locazioni di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo. Cassazione civile, sez. III, 21 settembre 1988 n. 5182, Giust. civ. Mass. 1988, fasc. 8/9. 11.In tema di disciplina transitoria delle locazioni degli immobili urbani, la sanatoria della morosità prevista dall’art. 55 l. 27 luglio 1978 n. 392 è applicabile anche alle locazioni di immobili destinati ad uso diverso da quello di abitazione, in considerazione della mancanza di qualsivoglia incompatibilità di ordine concettuale, del richiamo senza riserve da parte dell’art. 74 della citata legge agli art. da 43 e 57, in corrispondenza tra la lettera e la “ratio” della norma. Cassazione civile, sez. III, 27 novembre 1990 n. 11397 Giust. civ. Mass. 1990, fasc. 11. 12.In tema di locazione di immobili urbani, l’art. 5 l. 27 luglio 1978 n. 392, sulla “predeterminazione” della gravità dell’inadempimento, al fine della risoluzione del rapporto, non trova applicazione per le locazioni ad uso non abitativo, atteso che tale norma è specificamente dettata per le locazioni ad uso abitativo, non è richiamata nella disciplina di quelle non abitative, ed altresì si correla alle peculiari regole, anche sulla determinazione del canone, che operano per le locazioni del primo tipo. Ne consegue che, per le locazioni non abitative, ferma restando l’operatività dell’art. 55 della citata legge con riguardo alla possibilità di sanare la mora, la valutazione dell’importanza dell’inadempimento del conduttore resta affidata ai comuni criteri di cui all’art. 1455 c.c. (salva la facoltà del giudice di utilizzare come parametro orientativo il principio di cui al menzionato art. 5, alla stregua delle particolarità del caso concreto). Cassazione civile, sez. un., 28 dicembre 1990 n. 12210, Giust. civ. Mass. 1990, fasc. 12. 13.In virtù dell’art. 74 della legge sull’equo canone, a norma del quale le norme processuali degli artt. da 43 a 57 della stessa legge sono applicabili alle locazioni previste dai capi I e II, le disposizioni dell’art. 55 comma 1, della legge n. 392 del 1978, in tema di sanatoria in sede giudiziale della morosità del conduttore nel pagamento dei canoni e degli oneri accessori, trovano applicazione, in mancanza di espresse limitazioni risultanti dal dato normativo, nonché di qualsivoglia incompatibilità di ordine logico, anche per le locazioni di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo. Cassazione civile sez. III, 15 marzo 1991 n. 2772, Giust. civ. Mass. 1991, fasc. 3. Riv. giur. edilizia 1991, I, 574. Vita not. 1991, 573. Arch. locazioni 1992, 334. 14.L’art. 5 della legge sull’equo canone, per il quale il mancato pagamento del canone, decorsi i 20 giorni dalla scadenza prevista, o degli oneri accessori, quando l’importo non pagato superi quello di due mensilità, è causa di risoluzione del contratto, si riferisce alle locazioni abitative e non può essere applicato, quindi, alle locazioni non abitative per le quali l’inadempimento del conduttore, ai sensi dell’art. 1455 c.c., può essere causa di risoluzione del contratto solo quando il giudice accerti che non ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse del locatore, a meno che il conduttore, avvalendosi della facoltà di purgare la mora nei termini stabiliti dall’art. 55, che è in ogni caso applicabile sia alle locazioni abitative che a quelle per uso diverso, non abbia escluso la possibilità della risoluzione impedendo, così, l’accoglimento della domanda. Cassazione civile sez. III, 17 dicembre 1991 n. 13575, Giust. civ. Mass. 1991, fasc. 12 – Conforme – Cassazione civile sez. un., 28 dicembre 1990 n. 12210, Nuova giur. civ. commentata 1991, I, 660 (nota). 15.A differenza del regime transitorio delle locazioni urbane disposto dalla l. 27 luglio 1978 n. 392 (art. 74), nel regime ordinario, in mancanza di un onnicomprensivo richiamo, l’art. 55 della detta legge – senza porsi in contrasto con il principio di eguaglianza ex art. 3 cost. – consente al conduttore di sanare la morosità dei canoni soltanto con riguardo alle locazioni per uso abitativo indicate dall’art. 5 della stessa legge e non è, quindi, applicabile alle locazioni per uso non abitativo che sono assoggettate ad una autonoma disciplina alla quale possono essere estese solo le norme sulle locazioni abitative espressamente richiamate, tra le quali non rientra quella del citato articolo. Cassazione civile sez. III, 28 febbraio 1992, n. 2496 Giust. civ. 1994, I, 593 nota (IZZO), Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 2 Foro it. 1992, I, 3015. Vita not. 1992, 1195 Arch. locazioni 1992, 787. 16.In tema di locazione di immobili urbani, l’art. 5 l. 27 luglio 1978 n. 392, sulla “predeterminazione” della gravità dell’inadempimento, al fine della risoluzione del rapporto, non trova applicazione per le locazioni ad uso non abitativo, atteso che tale norma è specificamente dettata per le locazioni ad uso abitativo, non è richiamata nella disciplina di quelle non abitative, ed altresì si correla alle peculiari regole, anche sulla determinazione del canone, che operano per le locazioni del primo tipo. Ne consegue che, per le locazioni non abitative, ferma restando l’operatività dell’art. 55 della citata legge con riguardo alla possibilità di sanare la mora, la valutazione dell’importanza dell’inadempimento del conduttore resta affidata ai comuni criteri di cui all’art. 1455 c.c. salva la facoltà del giudice di utilizzare come parametro orientativo il principio di cui al menzionato art. 5, alla stregua delle particolarità del caso concreto. Cassazione civile sez III, 20 gennaio 1993, n. 659 Giust. civ. Mass. 1993, 90 (s.m.) – Conforme – Cassazione civile sez. III, 24 giugno 1993, n. 7002 Giust. civ. Mass. 1993, 1077 (s.m.). 17.In tema di locazione di immobili urbani l’art. 5 della legge sull’equo canone sulla predeterminazione della gravità dell’inadempimento al fine della risoluzione del rapporto non trova applicazione per le locazioni ad uso non abitativo, per le quali, ferma restando l’operatività dell’art. 55 legge cit., con riguardo alla possibilità di sanare la mora, la valutazione dell’importanza dell’inadempimento del conduttore resta affidata ai comuni criteri di cui all’art. 1455 c.c., salva la facoltà del giudice di utilizzare come parametro orientativo il principio di cui al menzionato art. 5 alla stregua della particolarità del caso concreto. Cassazione civile sez. III, 29 novembre 1994, n. 10202 Giust. civ. Mass. 1994, fasc. 11. 18.In tema di locazione di immobili urbani, l’art. 5 l. 27 luglio 1978 n. 392, sulla “predeterminazione” della gravità dell’inadempimento, al fine della risoluzione del rapporto, non trova applicazione per le locazioni ad uso non abitativo, atteso che tale norma è specificatamente dettata per le locazioni ad uso abitativo, non è richiamata nella disciplina di quelle non abitative, ed altresì si correla alle peculiari regole, anche sulla determinazione del canone, che operano per le locazioni del primo tipo. Ne consegue che, per le locazioni non abitative, ferma restando l’operatività dell’art. 55 della citata legge con riguardo alla possibilità di sanare la mora, la valutazione dell’importanza dell’inadempimento del conduttore resta affidata ai comuni criteri di cui all’art. 145 c.c., salva la facoltà affidata del giudice di utilizzare come parametro orientativo il principio di cui al menzionato art. 5, alla stregua delle particolarità del caso concreto). Cassazione civile sez. III, 27 febbraio 1995, n. 2232 Giust. civ. Mass. 1995, 457. 19.L’art. 5 della l. 27 luglio 1978 n. 392 sulla “predeterminazione” della gravità dell’inadempimento, ai fini della risoluzione del rapporto, correlandosi alle peculiari regole sulla determinazione del canone dettate per le locazioni ad uso abitativo, non può essere applicato alle locazioni non abitative, la cui disciplina non richiama la disposizione del citato art. 5, alle predette locazioni non abitative è, invece applicabile l’art. 55 della stessa legge, relativo alla possibilità di sanare la mora, che, benché inserito nel complesso di norme dettate per le locazioni abitative prevede una disciplina limitatrice della risoluzione del contratto che, per la “ratio” che la ispira, è di carattere generale e rientra, per di più, tra le disposizioni processuali richiamate in tema di locazioni non abitative dagli art. 42 e 74 della legge n. 392 del 1978. Cassazione civile sez. III, 29 maggio 1995, n. 6023 Giust. civ. Mass. 1995, 182. • Merito 20.Lo speciale termine di grazia previsto dall’art. 55 l. 27 luglio 1978 n. 392 per sanare la morosità nel pagamento del canone è applicabile ad ogni tipo di locazione e quindi anche a quelle afferenti ad usi non abitativi, essendo evidente la “ratio” della norma stessa, che è appunto quella di agevolare tutti i conduttori morosi e non soltanto quelli di case di abitazione. Pretura Acireale 15 gennaio 1979, Nuovo dir. 1980, 422 (nota). – Conforme – Pretura Saluzzo 24 settembre 1979, Nuovo dir. 1980, 50 (nota). 21.La disciplina contenuta nell’art. 55 legge 392/1978, che accorda al conduttore la facoltà di sanare la morosità nel pagamento dei canoni in sede giudiziale, è applicabile soltanto ai contratti relativi ad immobili adibiti ad abitazione. Pretura Legnano 16 marzo 1979, Giust. civ. 1979, 1130, I; Riv. dir. civ. 1980, II, 186, 496 (note). Foro it. 1980, I, 539. 22.Le disposizioni sul termine per il pagamento dei canoni scaduti, contenute nell’art. 55 l. 392/1978, sono applicabili ai soli contratti relativi ad immobili destinati ad abitazione stipulati successivamente al 30 luglio 1978. Pretura Bassano Grappa 4 maggio 1979, Foro it. 1979, 1573, I; Riv. giur. edilizia 1979, I, 816; Giur. merito 1979, 817 (nota). 23.La speciale sanatoria della morosità contemplata dall’art. 55 legge n. 392/1978 è applicabile soltanto ai contratti di locazione relativi ad immobili destinati ad usi abitativi. L’art. 5 della legge stessa è parimenti applicabile solo a tali contratti, onde in tema di gravità dell’inadempimento, riprende vigore – relativamente alle locazioni di immobili non adibiti ad abitazione – il generale principio espresso dall’art. 1455 c.c. Con riferimento a tali ultimi contratti è altresì applicabile l’ulteriore generale principio di cui all’art. 1453 c.c., onde la loro risoluzione non è evitata per avere il conduttore sanato la propria morosità soltanto dopo la richiesta giudiziale di risoluzione dello stesso rapporto locatizio. Pretura Bassano Grappa 31 ottobre 1979, Nuovo dir. 1980, 45 (nota). Giur. merito 1981, 30 (nota). 24.Non è applicabile alle locazioni di immobili adibiti ad uso diverso dall’abitazione la norma che consente al conduttore di sanare in sede giudiziale la morosità nel pagamento dei canoni scaduti. Pretura Bassano Grappa 9 novembre 1979, Giur. it. 1980, I, 2, 585. 25.L’istituto della sanatoria della morosità, previsto dall’art. 55 della legge sull’equo canone, non è applicabile alle locazioni di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione. Pretura Bassano Grappa 1 dicembre 1981, Giur. it. 1983, I, 2, 129. 26.La disposizione di cui all’art. 55 l. 27 luglio 1978 n. 392 che consente al conduttore moroso di sanare la morosità in sede giudiziale o di ottenere il c.d. termine di grazia per sanare la morosità è applicabile anche alle locazioni di immobili adibiti ad uso diverso dall’abitazione. Pretura Viareggio 6 febbraio 1982, Dir. giur. 1982, 406 (nota). 27.La disciplina della sanatoria della morosità mediante il pagamento dei canoni scaduti in sede giudiziale ex art. 55 l. n. 392 del 1978 (“Equo canone”) non è applicabile alle locazioni di immobili adibiti ad uso non abitativo già in corso, ovvero successive all’entrata in vigore della predetta legge. Tribunale Messina 3 luglio 1982, Giur. merito 1982, 1103. 28.L’art. 55 l. 27 luglio 1978 n. 392, riservando la facoltà di sanare la morosità esclusivamente al conduttore di immobile adibito ad uso abitazione non può trovare applicazione nei confronti di locazione di immobile destinato ad uso diverso in virtù di contratto non soggetto a regime transitorio. Pretura Roma 9 febbraio 1983, Temi romana 1983, 137. 29.La sanatoria della morosità prevista dall’art. 55 l. n. 392 del 1978 è applicabile anche con riferimento alle locazioni di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione. Tribunale Torino 28 ottobre 1983, Riv. giur. edilizia 1984, I, 516. 30. Il pagamento avvenuto dopo l’intimazione di sfratto in udienza o nel termine fissato dal giudice non esclude la risoluzione del contratto in materia di locazioni non abitative, in quanto a queste non è applicabile l’art. 55 legge n. 392 del 1978. Tribunale Lucca 24 marzo 1990, Arch. locazioni 1990, 534. 31.L’art. 55 della legge n. 392 del 1978, riguardante la sanatoria in sede giudiziale della morosità del conduttore nel pagamento del canone (e degli oneri accessori), è applicabile anche per le locazioni di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo nel regime ordinario. Pretura Napoli, 20 novembre 1992 Arch. locazioni 1993, 156. 32. La sanatoria della morosità nel pagamento del canone di locazione – prevista dall’art. 55 della legge n. 392 del 1978, è applicabile – nel regime ordinario – soltanto alle locazioni per uso abitativo indicate dall’art. 5 della predetta legge e non riguarda, pertanto, le locazioni stipulate per uso non abitativo, che sono assoggettate ad una autonoma disciplina alla quale possono essere estese solo le norme sulle locazioni abitative espressamente richiamate tra le quali non rientra quella del citato art. 55. Pretura Verona, 26 febbraio 1994, Arch. locazioni 1995, 186. 2. La sanatoria della morosità ex art. 55 legge 393/78 in relazione 1) all’ipotesi di contestazione parziale del canone (rapporto fra l’art. 55 legge 392/78 e l’art. 666 c.p.c.) 2) alla possibilità di chiedere la sanatoria in via subordinata rispetto all’opposizione proposta in via principale (1) In via preliminare pare necessario domandarsi se l’art. 666 c.p.c. sia norma tuttora vigente o se essa debba dirsi abrogata ai sensi dell’art. 84 della legge 392/1978. La soluzione favorevole alla tesi della persistente operatività della disposizione del codice di rito è stata ritenuta, seppure implicitamente, sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza (entrambe, in verità, alquanto scarse sotto il profilo quantitativo) che hanno individuato differenti ambiti operativi delle due disposizioni in quanto destinate a disciplinare fattispecie del tutto diverse fra loro: • l’art. 666 c.p.c. ipotizza che il conduttore intimato neghi la morosità solo in ordine al quantum assunto dal locatore contestando l’ammontare del maggior importo preteso; • l’art. 55 legge 392/1978 è tipicizzato sulla differente fattispecie dell’assenza assoluta di eccezioni da parte del conduttore circa la sussistenza della mora e l’ammontare dell’importo dovuto. Sia la giurisprudenza di merito che quella di legittimità hanno affrontato il problema del rapporto fra le due differenti ipotesi sostanziali considerate dalle norme in questione ritenendo che se il conduttore nel costituirsi in giudizio si oppone alla convalida contestando la morosità allegata dal locatore ma ammettendone la sussistenza in misura inferiore, deve farsi applicazione non già dell’art. 55 della legge 392/1978 bensì della norma del codice di rito. Le differenze fondamentali fra i due istituti possono individuarsi: a) nei presupposti per la concedibilità al conduttore del termine per sanare: • ex art. 55 legge 392/78: solo su richiesta di parte, previo accertamento della sussistenza delle condizioni (soggettive ed oggettive) di difficoltà del conduttore, di cui ai commi 2 e 4; • ex art. 666 c.p.c.: anche d’ufficio ed a prescindere dalla sussistenza di condizioni di difficoltà del conduttore; b) nei limiti di concedibilità del termine per sanare: • ex art. 55 legge 392/78: per non più di tre volte (che possono diventare quattro nei casi di maggiori comprovate difficoltà del conduttore) nel corso di un quadriennio; • ex art. 666 c.p.c.: senza alcuna restrizione; c) negli effetti della sanatoria: • ex art. 55 legge 392/78: è esclusa la possibilità per il giudice di pronunziare la risoluzione del contratto; • ex art. 666 c.p.c.: al giudice compete comunque la valutazione ex artt. 1455 cod. civ. della gravità dell’inadempimento del conduttore relativamente alla parte di canone non contestato. Un precedente giurisprudenziale (Pretura Milano 10 maggio 1983) ha ritenuto che “il diverso campo di operatività delle due menzionate disposizioni le rende perfettamente compatibili tra loro, tanto che appare possibile concedere alternativamente all’intimato i termini da esse rispettivamente previsti”, rimettendosi poi alla scelta del conduttore di decidere di quale delle due facoltà avvalersi nel concreto, con i conseguenti effetti in ordine alla possibilità che il giudizio prosegua nel merito per la valutazione della gravità dell’inadempimento (nel caso in cui opti per la sanatoria parziale ex art. 666 c.p.c.). Questa soluzione, certamente apprezzabile per la finalità di ampliare le possibilità di difesa sostanziale della parte intimata di sfratto per morosità, non indica però le soluzioni necessarie da adottarsi sul piano più squisitamente processuale relativamente alla prosecuzione del processo. Infatti: • i termini di sanatoria indicati dalle due disposizioni sono nettamente diversi fra di loro (non più di 20 giorni ex art. 666 c.p.c.; fino a 90 – ed in casi eccezionali anche fino a 120 – ex art. 5 legge 392/78); pertanto il giudice dovrebbe differire comunque l’udienza in applicazione del terzo comma dell’art. 55 legge 392/78 onde armonizzare il procedimento con la possibilità che successivamente il conduttore decida di avvalersi della facoltà della legge c.d. di equo canone piuttosto che di quella del codice di rito: in tal caso appare evidente il rischio che l’intimato pur non avendo alcuna intenzione di sanare integralmente la morosità possa formulare entrambe le istanze al solo fine strumentale di dilatare i tempi processuali, optando poi per la sanatoria nel termine di cui all’art. 666 c.p.c. della sola mora non contestata; • mentre la previsione dell’art. 55 della legge 392/78 mira alla definizione del giudizio (con l’estinzione in caso di sanatoria o con la convalida in caso di mancato pagamento nel termine assegnato) quella di cui all’art. 666 c.p.c. presuppone comunque non solo il giudizio di merito – oggi da svolgersi nelle forme di cui all’art. 447 bis c.p.c. previa ordinanza di conversione del rito di cui all’art. 667 c.p.c. – ma anche la possibilità che il locatore faccia richiesta al giudice di pronunziare ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. ove l’eccezione del convenuto relativamente alla morosità contestata non sia fondata su prova scritta e non sussistano gravi motivi in contrario alla sua emanazione: l’interesse del locatore a che la decisione sulla sua istanza di emanazione dell’ordinanza di rilascio non sia rinviata oltre il termine di cui al secondo comma dell’art. 666 c.p.c. verrebbe significativamente, e gravemente, compromesso. (2) La giurisprudenza ha avuto occasione di esaminare l’ipotesi in cui il conduttore, nel costituirsi in giudizio per convalida di sfratto per morosità, in via principale ne contesti la sussistenza proponendo formale opposizione, ma in via subordinata chieda di potersi avvalere del termine di grazia per sanare la morosità intimatagli. La Suprema Corte ha ritenuto compatibile tale comportamento processuale del conduttore affermando il principio di diritto secondo cui “la contestazione della morosita”, da parte del conduttore cui sia stato intimato sfratto ex art. 658 c.p.c., qualora sia diretta ad opporsi alla convalida ed all’ordinanza di rilascio di cui all’art. 665 c.p.c., esaurisce in tali limiti la sua efficacia e, quindi, non preclude né rende incompatibile il ricorso alla sanatoria di cui all’art. 55 della legge n. 392 del 1978, introdotta a completamento più dettagliato della procedura di convalida dettata dal codice di rito per la possibilità offerta al conduttore di sanare la morosità e la cui utilizzazione comporta implicitamente, ma necessariamente, la manifestazione della prevalente volontà solutoria del conduttore, che va autonomamente valutata e regolamentata in aderenza alla ratio legis di componimento della lite”. Per “l’incompatibilità logica” fra la opposizione alla convalida e la richiesta di termine di grazia per sanare, si è invece pronunziato il Pretore di Reggio Emilia (ordinanza 21-12-1983) il quale ha ritenuto che in presenza di tali contrapposte istanze del convenuto competa al giudice di valutare in concreto quale sia l’effettiva volontà della parte anche alla luce del complessivo comportamento processuale da lui assunto in relazione alla domanda dell’attore. La soluzione favorevole alla ammissibilità dell’istanza per la concessione del termine di grazia in via subordinata alla principale opposizione, propone – sotto il profilo della gestione ulteriore del processo – le stesse questioni in precedenza indicate con riguardo all’ipotesi sub (1), cui dunque deve rimandarsi. Nota. - È doveroso segnalare, per la compiutezza delle analisi e per la novità di alcune soluzioni interpretative proposte, l’intervento, in dottrina, di A. CARRATO (La sanatoria della morosità tra l’art. 55 della legge 392 del 1978 e l’art. 666 c.p.c.) in Rassegna delle Locazioni e del Condominio, Cedam, 1995, 2, 193 e seg.. GIURISPRUDENZA (1) • Cassazione 1. In tema di procedimento per convalida di sfratto per morosità, qualora il conduttore, costituendosi in giudizio e opponendosi alla convalida, contesti la morosità quale allegata dal locatore intimante, ammettendone tuttavia l’esistenza in misura inferiore, può trovare applicazione non già l’art. 55 legge n. 392 del 1978, ma l’art. 666 c.p.c.; con la conseguenza che l’ottemperanza del conduttore all’ordine di pagamento della somma non controversa, emesso dal pretore ai sensi di quest’ultima norma, pur avendo l’effetto di impedire la convalida dello sfratto per morosità, non esclude la risolubilità del contratto all’esito del giudizio proseguito nelle vie ordinarie. Cassazione civile sez. III, 12 maggio 1993, n. 5414 Foro it. 1994, I, 1074. • Merito 2. Ove il conduttore, cui sia stato intimato sfratto per morosità, contesti in parte il debito e chieda un termine per sanare la morosità relativamente alle somme che non contesta di dovere, non può concedersi il termine di grazia previsto dal secondo comma dell’art. 55 della legge 392/78 bensì quello di cui all’art. 666 c.p.c.. Peraltro qualora lo stesso conduttore abbia chiesto in subordine il termine di cui all’art. 55 citato per pagare l’intera somma richiesta dal locatore può concedersi questo termine alternativamente a quello previsto dall’art. 666 c.p.c.; con la conseguenza che se il conduttore versa entro tale ultimo termine il canone non contestato, lo sfratto nei suoi confronti non può essere convalidato, ma egli può essere condannato al rilascio se nel prosieguo del giudizio si accerti l’infondatezza delle sue eccezioni, laddove la sanatoria della morosità prevista dall’art. 55 esclude senz’altro la risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore. Pretura Milano, ord. 10 maggio 1983 Arch. Loc. Cond. 1983, 534. (2) • Cassazione 1. La contestazione della morosità da parte del conduttore – cui sia stato intimato sfratto ex art. 658 c.p.c. – qualora sia inequivocabilmente diretta ad opporsi alla convalida ed all’ordinanza di rilascio di cui all’art. 665 c.p.c., esaurisce in tali limiti la sua efficacia e, quindi, non preclude, né rende incompatibile il ricorso alla sanatoria di cui all’art. 55 della l. 27 luglio 1978 n. 392, introdotta a completamento più dettagliato della procedura di convalida dettata dal codice di rito per la possibilità offerta al conduttore di sanare la morosità e la cui utilizzazione comporta implicitamente – ma necessariamente – la manifestazione della prevalente volontà solutoria del conduttore, che va autonomamente valutata e regolamentata in aderenza alla ratio legis di componimento della lite. Cassazione civile, sez. III, 22 maggio 1982 n. 3132, Giust. civ. Mass. 1982, fasc. 5. Giust. civ. 1982, I, 3082. 2. La contestazione della morosità, da parte del conduttore cui sia stato intimato sfratto ex art. 658 c.p.c., qualora sia diretta ad opporsi alla convalida ed all’ordinanza di rilascio di cui all’art. 665 c.p.c., esaurisce in tali limiti la sua efficacia e, quindi, non preclude né rende incompatibile il ricorso alla sanatoria di cui all’art. 55 della legge n. 392 del 1978, introdotta a completamento più dettagliato della procedura di convalida dettata dal codice di rito per la possibilità offerta al conduttore di sanare la morosità e la cui utilizzazione comporta implicitamente, ma necessariamente, la manifestazione della prevalente volontà solutoria del conduttore, che va autonomamente valutata e regolamentata in aderenza alla ratio legis di componimento della lite. Cassazione civile, sez. III, 21 agosto 1985 n. 4474, Giust. civ. Mass. 1985, fasc. 8-9. 3. In tema di locazione d’immobili urbani, qualora il conduttore cui sia stato intimato lo sfratto per morosità nel pagamento del canone, pur opponendosi alla convalida per l’eccepita inesistenza della morosità affermata dal locatore, provveda a corrispondere i canoni dovuti e chieda termine per il pagamento delle spese processuali, previa liquidazione delle stesse da parte del giudice, dimostra con tale comportamento una volontà incompatibile con l’opposizione alla convalida, per cui ove egli non adempia al pagamento delle spese nel termine fissato dal giudice, questi, ai sensi dell’art. 663 c.p.c. deve pronunciare ordinanza di convalida di sfratto, senza possibilità di rinvio della causa per un’ulteriore trattazione del merito; detta ordinanza non è impugnabile né con l’appello né con il ricorso per cassazione ex art. 111 cost. ma soltanto con l’opposizione tardiva ai sensi dell’art. 668 c.p.c., tranne nelle ipotesi in cui si sostenga che essa sia stata emessa fuori o contro le condizioni previste dagli art. 55 e 56 legge n. 392 del 1978 e 663 c.p.c. nel qual caso è impugnabile con l’appello e non direttamente con il ricorso per cassazione. Cassazione civile sez. III, 23 maggio 1990 n. 4646, Arch. locazioni 1991, 86. Giust. civ. 1991, I, 2129 (nota). • Merito 4. L’art. 55 legge n. 392 del 1978 non è applicabile nel caso in cui il conduttore, al quale sia stato intimato lo sfratto per morosità, si opponga alla convalida, in quanto sussiste una incompatibilità logica e giuridica tra la opposizione alla intimazione di sfratto per morosità e la contestuale proposizione della istanza volta ad ottenere la concessione del termine di grazia di cui al precitato art. 55. Pretura Reggio Emilia, 21 dicembre 1993 Arch. locazioni 1994, 140. 5. Una volta manifestata dal conduttore l’opposizione alla convalida di sfratto, la subordinata richiesta del termine di grazia deve essere interpretata quale istanza diretta a scongiurare, comunque, l’emissione del titolo esecutivo costituito dall’ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. Tribunale Bologna, 22 aprile 1994 Arch. locazioni 1994, 586. 3. Sanatoria della morosità ex art. 55 legge 393/78 nel rito ordinario. Secondo l’indirizzo costante della Suprema Corte l’operatività dell’istituto della sanatoria della morosità è limitata alle sole ipotesi in cui la contestazione giudiziale della morosità del conduttore sia effettuata da parte del locatore mediante lo strumento del procedimento speciale ex art. 658 c.p.c. e non anche allorché sia proposto ordinario giudizio di risoluzione del contratto per inadempimento nelle forme del processo ordinario di cognizione (oggi ex art. 447 bis, c.p.c.). Ad avallare questa interpretazione concorre anche la Corte Costituzionale che con la sua ordinanza 2/1992 ha dichiarato non fondata – in riferimento all’art. 3 cost. – la questione di legittimità costituzionale dell’art. 55 l. 27 luglio 1978 n. 392, concernente la sanatoria della morosità nel procedimento di convalida di sfratto, ove interpretata nel senso della sua inapplicabilità all’ordinario giudizio di risoluzione del contratto di locazione. Il principale – ma a ben vedere unico – argomento utilizzato dal S.C. nei suoi iniziali interventi (successivamente si è sempre limitato a richiamare “per relationem” i suoi propri precedenti “confortati” dalla statuzione della Consulta) è quello che si ricava dall’applicazione del terzo comma dell’art. 1453 cod. civ. laddove è statuita l’impossibilità per l’inadempiente di adempiere la propria obbligazione successivamente alla proposizione ad opera dell’altra parte del contratto dell’azione di risoluzione. Decisamente contraria all’orientamento della Corte di Cassazione è quasi tutta la dottrina che ha ripetutamente contestato la pochezza, al limite dell’inconsistenza, di quella “motivazione” soprattutto (ma non esclusivamente) sul rilievo che anche il giudizio speciale ex art. 658 c.p.c. mira, sostanzialmente, alla risoluzione del contratto previa esplicita dichiarazione della sussistenza dell’inadempimento contestato al conduttore con la notifica dell’intimazione di sfratto e la contestuale citazione per convalida. Nota Rende esaurientemente conto dello stato attuale della dottrina A. CARRATO (Il procedimento di purgazione della morosità di cui all’art. 55 della legge 27 luglio del 1978 n. 392 ed il suo ambito di applicazione) in Rassegna delle Locazioni e del Condominio,1994, 1, 59 e seg.. GIURISPRUDENZA • Corte Costituzionale 1. Non è fondata – in riferimento all’art. 3 cost. – la questione di legittimità costituzionale dell’art. 55 l. 27 luglio 1978 n. 392, concernente la sanatoria della morosità nel procedimento di convalida di sfratto, interpretata nel senso della sua inapplicabilità all’ordinario giudizio di risoluzione del contratto di locazione. Corte costituzionale 22 gennaio 1992 n. 2, Giust. civ. 1992, 575. Riv. giur. edilizia 1992, I, 275. Arch. locazioni 1992, 28. Cons. Stato 1992, II, 19. Foro it. 1992, I, 1363. Giur. cost. 1992, 5 (nota). • Cassazione 2. La sanatoria prevista dall’art. 55 della l. 27 luglio 1978 n. 392 è applicabile solo nel procedimento sommario di convalida dell’intimazione di sfratto per morosità ex art. 658 e ss. c.p.c. e non nel giudizio ordinario di cognizione per la risoluzione per inadempimento del contratto ex art. 1453 e ss. c.c. Ne consegue che, dopo la proposizione della domanda di risoluzione del contratto da parte del locatore, per il mancato pagamento dei canoni di locazione e degli oneri accessori, il conduttore inadempiente non può più adempiere alla propria obbligazione ed il suo comportamento non si sottrae alla valutazione del giudice di merito in ordine alla gravità dell’inadempimento ai fini del giudizio di risoluzione. Cassazione civile, sez. III, 5 luglio 1985 n. 4057, Giust. civ. 1986, I, 835 (nota). Foro it. 1986, I, 134; Giust. civ. Mass. 1985 fasc. 7. 3. La particolare sanatoria della morosità nel pagamento del canone di locazione stabilita dall’art. 55 della legge n. 392 del 1978 trova applicazione soltanto nel procedimento di convalida di sfratto per morosità di cui all’art. 658 c.p.c. e non pure qualora sia introdotto con citazione un ordinario giudizio di risoluzione del contratto per inadempimento, nel qual caso non è consentito al conduttore adempiere la propria obbligazione dopo la proposizione della domanda ai sensi del comma 3 dell’art. 1453 c.c.. Cassazione civile, sez. III, 23 ottobre 1989 n. 4292, Giust. civ. Mass. 1989, fasc. 10. 4. La particolare sanatoria della morosità nel pagamento del canone di locazione stabilita dall’art. 55 della l. 27 luglio 1978 n. 392 trova applicazione soltanto nel procedimento di convalida di sfratto per morosità di cui all’art. 658 c.p.c. e non pure qualora sia introdotto, con citazione, un ordinario giudizio di risoluzione del contratto per inadempimento, nel qual caso, ai sensi del comma 3 dell’art. 1453 c.c., non è consentito al conduttore adempiere la propria obbligazione dopo la proposizione della domanda. Cassazione civile, sez. III, 12 febbraio 1991 n. 1451, Giust. civ. Mass. 1991, fasc. 2, Nuova giur. civ. commentata 1991, I, 760. 5. La particolare sanatoria della morosità nel pagamento del canone di locazione stabilita dall’art. 55 della legge 27 luglio 1978 n. 392, trova applicazione soltanto nel procedimento di convalida di sfratto per morosità di cui all’art. 658 c.p.c. e non pure qualora sia introdotto, con citazione, un ordinario giudizio di risoluzione del contratto per inadempimento, nel qual caso, ai sensi del terzo comma dell’art. 1453 cod. civ., non è consentito al conduttore adempiere la propria obbbligazione dopo la proposizione della domanda. Cassazione civile, III, sez., 10 marzo 1993, n. 2883, Rass. Loc. Cond. 1994, 59. 6. La particolare sanatoria della morosità nel pagamento del canone di locazione e degli oneri accessori stabilita dall’art. 55 legge n. 392 del 1978 è applicabile soltanto nel procedimento di convalida di sfratto per morosità di cui all’art. 658 c.p.c., e non pure qualora sia introdotto con citazione un ordinario giudizio di risoluzione del contratto per inadempimento, nel qual caso non è consentito al conduttore adempiere la propria obbligazione dopo la proposizione della domanda ai sensi del comma 3 art. 1453 c.c.. Cassazione civile, sez. III, 19 novembre 1994, n. 9805 Arch. locazioni 1995, 69. 7. La particolare sanatoria della morosità del pagamento del canone di locazione stabilita dall’art. 55 della legge sull’equo canone trova applicazione soltanto nel procedimento di convalida di sfratto per morosità di cui all’art. 658 c.p.c. e non pure qualora sia introdotto, con citazione un ordinario giudizio di risoluzione del contratto per inadempimento, nel qual caso, ai sensi del comma 3 dell’art. 1453 c.c., non è consentito al conduttore di adempiere la propria obbligazione dopo la proposizione della domanda. Cassazione civile sez. III, 29 novembre 1994, n.10202 Giust. civ. Mass. 1994, fasc. 11. • Merito 8. Nei procedimenti di convalida di sfratto per morosità – come in tutti gli altri procedimenti di cognizione ordinaria attinenti alla mora del conducente – il giudice può concedere il termine di grazia di cui all’art. 55, comma 2 l. 27 luglio 1978 n. 392 pur in assenza dell’intimato e anche d’ufficio. Tribunale Cagliari 8 marzo 1985, Riv. giur. Sarda, 1986, 815 (nota). 9. La sanatoria della morosità nel pagamento del canone di locazione stabilita dall’art. 55 legge n. 392 del 1978, trova applicazione soltanto nel procedimento di convalida di sfratto per morosità di cui all’art. 658 c.p.c. e non anche qualora sia introdotto con citazione un ordinario giudizio di risoluzione del contratto per inadempimento, nel qual caso non è consentito al conduttore adempiere la propria obbligazione dopo la proposizione della domanda ex art. 1453 c.c.. Tribunale Catanzaro 12 marzo 1987, Arch. locazioni 1989, 118. 4. Sanatoria della morosità ex art. 55 legge 393/78 in caso di opposizione tardiva (artt. 55 legge 392/1978 e 668 c.p.c.). Con ordinanza 572 del 1987 la Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3 e 24 cost., la questione di legittimità costituzionale, esaminata per la prima volta, dell’art. 668 c.p.c., dedotta sul rilievo che al conduttore che non abbia avuto conoscenza della notifica dell’intimazione per caso fortuito o forza maggiore sarebbe riservato un trattamento deteriore rispetto a colui che, tempestivamente presentatosi all’udienza, avrebbe la facoltà di chiedere di poter sanare la morosità, facoltà che invece non sarebbe possibile – secondo l’ordinanza di rimessione del giudice di merito – nell’ambito del procedimento di opposizione tardiva a convalida. Ha rilevato la Corte che: • l’opposizione dopo la convalida, di cui all’art. 668 c.p.c., è rimedio dato a tutela di chi, per irregolarità della notifica, caso fortuito o forza maggiore non abbia avuto conoscenza dell’intimazione, ovvero (secondo quanto sancito dalla stessa Corte Cost. con la sentenza 89/1972) di chi, per gli ultimi due motivi, non sia potuto comparire all’udienza di convalida pur avendo avuto conoscenza dell’intimazione stessa; • una volta accertati i presupposti di ammissibilità dell’opposizione tardiva viene meno l’ordinanza di convalida e si dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione; • nell’ambito dell’ordinario giudizio di cognizione il conduttore può “in limine litis” avvalersi della facoltà di sanare la morosità di cui all’art. 55 della legge 392/78. Adeguandosi alla decisione del Giudice delle leggi, la Corte di Cassazione ha pronunziato la sentenza 11923 del 2-12-1993 con la quale ha così testualmente motivato: “La procedura della sanatoria della morosità, di cui all’art. 55 della legge 27 luglio 1978 n. 392, è stata ritenuta compatibile con l’opposizione dopo la convalida, di cui all’art. 668 c.p.c., dalla Corte Costituzionale con ordinanza n. 572 del 18 dicembre 1987. La ritenuta compatibilità dei due istituti comporta la necessità di stabilire come l’uno si inserisca nell’altro, poiché l’art. 55 è stato scritto in previsione dell’ordinario procedimento di convalida e non del procedimento di opposizione dopo la convalida, il quale si presenta con diverse caratteristiche rispetto al primo. Il procedimento di sanatoria di cui all’art. 55, nel procedimento di convalida, può avere due possibili modalità di attuazione. La prima si realizza mediante il pagamento da parte del conduttore, alla prima udienza, dell’importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate in tal sede dal giudice. La seconda si realizza, invece, allorquando, in mancanza del pagamento in udienza, il giudice, dinanzi a comprovate condizioni di difficoltà del conduttore, assegni a quest’ultimo un termine per provvedervi, e, in detto termine, il conduttore adempia. In entrambi i casi l’avvenuto pagamento esclude la risoluzione del contratto e, quindi, il procedimento di convalida si conclude. Nel procedimento di opposizione dopo la convalida, invece, l’avvenuto pagamento alla prima udienza, da parte del conduttore, delle somme dovute, non può automaticamente comportare la chiusura del procedimento, perché, dovrà, comunque, essere accertata l’ammissibilità della opposizione e solo dopo tale accertamento, se positivo, potranno verificarsi gli effetti sananti del pagamento. Nell’ipotesi in cui, invece, il pagamento non avvenga alla prima udienza potrà essere concesso il termine di grazia. Tale concessione non presuppone che venga preventivamente accertata l’ammissibilità dell’opposizione, perché, come dimostra l’ipotesi di pagamento alla prima udienza, i fatti idonei ad escludere la risoluzione del contratto, e cioè il pagamento corrispettivo dovuto, degli interessi e delle spese, possono verificarsi, senza che sia pregiudicato il giudizio sull’inammissibilità dell’opposizione. La legittimità di tale ricostruzione e, quindi, dell’affermazione secondo cui il giudice competente per la convalida, investito dalla opposizione non debba preventivamente pronunziarsi sull’ammissibilità della opposizione e poi dar corso alla procedura di sanatoria, trova conferma nel fatto che, in ipotesi, può non esservi coincidenza tra detto giudice, sempre competente in ordine alla procedura di sanatoria, ed il giudice competente a giudicare del merito e, quindi, anche della ammissibilità dell’opposizione. È, in proposito, da ricordare come questa Corte abbia già altra volta avuto occasione di affermare che, “per la disciplina dell’opposizione dopo la convalida (cosiddetta opposizione tardiva), il richiamo contenuto nell’art. 668 c.p.c. alle forme prescritte per l’opposizione al decreto d’ingiunzione (in quanto applicabili) limitato alle modalità dell’introduzione di detta opposizione ed alla individuazione del giudice davanti al quale va proposta, con la conseguenza che nel giudizio che ne consegue dopo la fase a cognizione sommaria, nell’ambito della quale il pretore od il conciliatore aditi possono emettere i provvedimenti sulla sospensione del processo esecutivo, previsti nell’ultimo comma del cit. art. 668, nella seconda fase a cognizione piena, sul merito dell’opposizione, qualora le questioni sollevate siano tali da allargare la materia oltre i limiti della competenza per valore del giudice adito, questi deve rimettere le parti davanti al giudice competente per valore, non diversamente da quanto avviene nell’ipotesi di opposizione tempestiva alla convalida (art. 665 e 667 c.p.c.)” (v. in tal senso Sez. III, 27 marzo 1984 n. 2024), e che “nel caso di opposizione tardiva ai sensi dell’art. 668 c.p.c., la competenza a decidere sulla relativa ammissibilità spetta al giudice competente per il merito con la conseguenza che, ove la competenza al riguardo spetti, secondo le regole ordinarie, al tribunale, è a questo giudice e non al pretore che abbia convalidato la licenza o lo sfratto che compete la decisione dell’ammissibilità di quella opposizione” (v. in tal senso Sez. III, 9 luglio 1983 n. 4641; Sez. III, 2 aprile 1992 n. 4002). È ancora da considerare che già l’art. 668 c.p.c. prevede un’ipotesi in cui il Pretore, prima ancora di pronunciarsi sull’ammissibilità e sul merito dell’opposizione, emetta dei provvedimenti che, teoricamente, detta ammissibilità presuppongono, come è quello con il quale viene disposta la sospensione dell’esecutorietà dell’ordinanza di convalida, ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo citato. E non può certo negarsi che dopo l’emissione del provvedimento di sospensione, lo stesso giudice che lo ha emesso, ovvero il giudice competente per il merito, possano dichiarare l’inammissibilità dell’opposizione dopo la convalida. Il vero è che così come la sospensione di cui all’ultimo comma dell’art. 668 c.p.c., che tende a ricondurre le parti nelle condizioni di fatto anteriori alla emanazione del provvedimento di convalida, anche la procedura di sanatoria di cui all’art. 55 della legge n. 392 del 1978, si inserisce nella fase sommaria del procedimento di opposizione dopo la convalida, nella quale tutti i provvedimenti vengono emessi senza pregiudizio dell’accertamento conclusivo cui il procedimento è diretto e che ha ad oggetto l’ammissibilità dell’opposizione ed il merito della controversia, con la conseguenza che la delibazione fatta dal pretore, in quella fase sommaria, sull’ammissibilità dell’opposizione ha di necessità carattere provvisorio, nel senso che è diretta non a decidere la causa ma a consentire che il processo giunga alla sua conclusione, attraverso quei passaggi che la legge prevede. Alla natura non definitiva di tale provvedimento, nel senso che esso non è idoneo a decidere la causa per le sue caratteristiche di strumentalità, consegue la sua revocabilità con la sentenza che decide la controversia; né, come si è già prima rilevato – e ciò attiene specificamente al secondo motivo di censura – l’avvenuta sanatoria, sia che avvenga per effetto del pagamento delle somme dovute alla prima udienza, sia che avvenga nel termine fissato dal giudice, comporta automaticamente la chiusura del procedimento, così come accade nell’ordinario procedimento di convalida, perché in quello di opposizione dopo la convalida, l’avvenuta sanatoria non pregiudica l’accertamento dell’ammissibilità dell’opposizione. Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, laddove ha ritenuto che il provvedimento con il quale il pretore, rilevata l’ammissibilità dell’opposizione, aveva concesso al conduttore il termine di grazia per sanare la morosità, avesse oltre che forma, anche natura di ordinanza e potesse quindi essere revocato dallo stesso giudice, nella specie competente, con la decisione definitiva di merito, con la conseguente irrilevanza, una volta affermata l’inammissibilità dell’opposizione, del mancato completamento della procedura di sanatoria.” In assenza di giurisprudenza di merito utile a verificare l’attuazione nel concreto del principio affermato dal Supremo Collegio, è necessario dar conto delle critiche – puntualissime – articolate dai primi commentatori di quella decisione [in particolare vanno segnalati i lavori di A. CARRATO (Opposizione tardiva a convalida di sfratto e concessione del termine per la purgazione della morosità) in Rassegna delle Locazioni e del Condominio, 1995, 2, 237 e seg.; C. CAVALLINI (In tema di decisione sull’ammissibilità dell’opposizione tardiva alla convalida dello sfratto) in Giurisprudenza Italiana, 1995, I, 1, 1121; A. SCHERMI (La sanatoria della morosità del conduttore a norma dell’art. 55 legge n. 392 del 1978 nel processo di opposizione dopo la convalida di sfratto) in Giustizia Civile, 1994, I, 2285] i quali – seppure con toni ed argomentazioni diverse – hanno posto in rilievo alcune evidenti incongruenze insite in quella decisione, ed in particolare che: • l’eventuale pagamento da parte del conduttore (opponente tardivo) dell’importo dovuto per sanare la morosità (alla prima udienza del giudizio di opposizione tardiva o nel termine di cui all’art. 55 della legge 392/78 assegnatogli dal giudice di quella procedura) non sarebbe idoneo a determinare l’immediata conclusione del processo poiché rimarrebbe impregiudicata la valutazione circa l’ammissibilità dell’opposizione, demandata all’esito del giudizio di merito da svolgersi nelle forme ordinarie; con la conseguente obbligata revoca del provvedimento inizialmente concesso ex art. 55 legge 392/78 ove l’opposizione tardiva fosse poi dichiarata inammissibile; in sostanza: la facoltà di cui all’art. 55 della legge 392/78 essendo finalizzata, con l’adempimento dell’obbligazione di pagamento, alla definizione del giudizio di convalida dovrebbe poterne caducarne immediatamente gli effetti il che invece non è – per le stesse esplicite motivazioni della Suprema Corte – che rinvia tale eventuale effetto solo all’esito del giudizio sull’ammissibilità dell’opposizione tardiva, da pronunziarsi con sentenza; • anche ove fosse concesso da parte del giudice del giudizio ex art. 668 c.p.c. l’eventuale provvedimento di sospensione dell’esecuzione dell’ordinanza di convalida “impugnata”, la natura comunque provvisoria di esso provvedimento di sospensione non consentirebbe di far “retrocedere” le parti al momento anteriore all’emissione dell’ordinanza di convalida né la farebbe venir meno; • la motivazione della Suprema Corte: a) ipotizza che il giudizio ex art. 668 c.p.c. possa svolgersi in due fasi: – la prima, nelle forme del procedimento sommario, finalizzata solo alla valutazione dei presupposti di ammissibilità dell’opposizione ed alla emanazione dell’eventuale provvedimento di sospensione dell’esecuzione; – la seconda nelle forme del giudizio ordinario di cognizione alla prima udienza del quale il conduttore potrebbe essere ammesso alla facoltà di sanare; b) ma non considera – da un lato che la sua stessa giurisprudenza ha sempre negato la applicabilità dell’art. 55 della legge 392/78 al giudizio ordinario di cognizione riferendola esclusivamente al giudizio speciale ex artt. 657 e 658 c.p.c.; – dall’altro che il rito locativo conseguente all’entrata in vigore della novella del 1990 (art. 447 bis c.p.c.) non prevede la possibilità di enucleare un’udienza preliminare diversa da quella di trattazione e decisione di cui all’art. 420 c.p.c.. Volendo rendere compatibile la decisione del Supremo Collegio (senz’altro condivisibile nella volontà di uniformarsi al corretto indirizzo della Corte Costituzionale relativo alla tutela del conduttore che senza sua colpa sia destinatario del provvedimento per convalida di sfratto) con la struttura del nuovo processo delle locazioni di cui all’art. 447 bis c.p.c. e, soprattutto, dovendosi ricercare soluzioni che siano coerenti con i principi dell’ordinamento e risolvano positivamente i rilievi critici di cui sopra si è fatto cenno, l’unica soluzione interpretativa che pare ipotizzabile è quella che si fondi: • sulla applicabilità dell’istituto della sanatoria di cui all’art. 55 della legge 392/78 anche al giudizio ordinario e non solo a quello di convalida (superando il contrario orientamento della Corte di Cassazione oppure, e comunque, valorizzando il rilievo che nel giudizio ex art. 668 c.p.c. il petitum centrale è costituito dalla “impugnazione” da parte del conduttore del provvedimento di convalida e non già dalla domanda del locatore per la risoluzione del contratto per inadempimento); • sul potere-dovere del giudice di risolvere la pregiudiziale questione circa l’ammissibilità dell’opposizione tardiva (preliminare rispetto alla concessione al conduttore opponente della facoltà di sanare) mediante sentenza ex art. 420, comma 5. GIURISPRUDENZA • Corte Costituzionale 1. È manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3 e 24 cost., la questione di legittimità costituzionale, esaminata per la prima volta, dell’art. 668 c.p.c., dedotta rilevando che al conduttore che non abbia avuto conoscenza della notifica dell’intimazione per caso fortuito o forza maggiore, è riservato un trattamento deteriore rispetto a colui che, tempestivamente presentatosi all’udienza, ha facoltà di chiedere di poter sanare la morosità. Il primo, intimato, infatti, a parere del giudice rimettente, non può avvalersi, in sede di opposizione tardiva, dell’art. 551 l. 27 luglio 1978 n. 392. Ma tale opinione non è condivisibile. L’opposizione dopo la convalida, di cui all’art. 668 c.p.c., è rimedio dato a tutela di chi, per irregolarità della notifica, caso fortuito o forza maggiore non abbia avuto conoscenza dell’intimazione, ovvero (secondo quanto sancito dalla Corte cost. con la sent. n. 89 del 1972) di chi, per gli ultimi due motivi, non sia potuto comparire all’udienza di convalida pur avendo avuto conoscenza dell’intimazione stessa. Una volta accertati i presupposti di ammissibilità dell’opposizione tardiva e venuta meno l’ordinanza di convalida, si dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione nel quale il conduttore ben può “in limine litis” avvalersi della facoltà di sanare la morosità. Corte costituzionale 18 dicembre 1987 n. 572, Giur. cost., 1987, fasc. 12. • Cassazione 2. Nel caso di opposizione all’intimazione di sfratto per morosità dopo la convalida, la procedura di sanatoria a norma dell’art. 55 della l. 27 luglio 1978 n. 392, non richiede la preventiva decisione in ordine all’ammissibilità dell’opposizione, non comportando automaticamente la chiusura del procedimento, così come accade nell’ordinario procedimento di convalida, ma restando l’avvenuta sanatoria condizionata al successivo accertamento dell’ammissibilità dell’opposizione di spettanza del giudice competente per il merito. Ne consegue che la deliberazione fatta al pretore, in quella fase sommaria, sull’ammissibilità dell’opposizione ha carattere provvisorio ed è sempre revocabile con la sentenza che decide la controversia. Cassazione civile, sez. III, 2 dicembre 1993, n. 11923 Giur. it. 1995, I, 1, 1121; Foro It. 1994, I, 1074; Arch. locazioni, 1994, 306; Giust. Civ. 1994, I, 2285; Rass. Loc. Cond., 1995, 2, 237. 5. La condanna alle spese nel procedimento di convalida di sfratto dopo il recente intervento della Suprema Corte (sentenza 5720/1994). Con la sentenza 13-6-1994 n. 5720 la Corte di Cassazione (Sezione Terza) afferma l’ammissibilità della condanna del conduttore intimato alla refusione in favore del locatore intimante, ex art. 91 c.p.c., di onorari, competenze e spese del giudizio. Ha statuito il S.C. che l’ordinanza pronunciata a norma dell’art. 663 comma 1 c.p.c., con cui lo sfratto è convalidato, deve contenere la condanna dell’intimato al rimborso delle spese sostenute dal locatore per gli atti del procedimento. Il precedente orientamento della giurisprudenza – sia di legittimità che di merito– riconosceva il diritto del locatore di ottenere la condanna del conduttore al pagamento delle spese del procedimento di convalida ma solo in separato giudizio. Con la sentenza in questione, invece la Suprema Corte fa proprio il prevalente precedente orientamento dottrinario affermando la competenza funzionale del giudice della convalida ex art. 663 c.p.c. alla statuizione in punto di spese ex art. 91 c.p.c. negando legittimità a quell’originario indirizzo. La motivazione della sentenza 5720/1994 muove dalla valorizzazione del principio – conseguente anche alla sentenza delle Sezioni Unite 6066/1983 – che l’art. 91 c.p.c. sia applicabile “con riguardo ad ogni provvedimento, tanto a cognizione piena che sommaria o cautelare e ancorché reso in forma di ordinanza o decreto, che nel risolvere contrapposte posizioni elimini il procedimento davanti al giudice che lo emette quando si renda necessario ristorare la parte vittoriosa degli oneri inerenti al dispendio di attività processuale legata da nesso causale con l’iniziativa dell’avversario”. Gli argomenti sviluppati dal S.C. considerano: • la possibilità di leggere estensivamente il termine “sentenza” adoperato dall’art. 91 c.p.c., interpretandolo sostanzialmente, ed a prescindere dalla forma, quale “provvedimento che definisce il giudizio”; • il carattere “definitivo” del provvedimento di convalida ex art. 663 c.p.c.; • il nesso di causalità esistente fra il comportamento inadempiente del conduttore e l’iniziativa giudiziale del locatore, con la conseguente “soccombenza” dell’intimato insita nel provvedimento di convalida; • le ragioni di economia processuale giacché il giudice della convalida è l’unico in condizione di valutare il comportamento anche processuale delle parti, di rilievo ai fini dell’applicazione – ovviamente dichiarata ammissibile – del disposto dell’art. 92 c.p.c. in punto di eventuale compensazione, totale e/o parziale, delle spese di soccombenza. Non v’è dubbio – e del resto la stessa sentenza ne fa riferimento – che la presa di posizione della Suprema Corte è stata orientata anche dalla riforma dei procedimenti cautelari contenuta nella novella della legge 353/1990 laddove, con l’art. 669 septies, si è tradotto in dato normativo positivo l’orientamento oramai dominante (tanto in dottrina quanto in giurisprudenza) che voleva che il giudice della procedura cautelare condannasse il soccombente alla refusione delle spese di lite ogni qual volta che, rigettando l’istanza, definiva il giudizio. Del resto, se quell’orientamento valeva (e vale oggi, per effetto della nuova disposizione) in ipotesi nelle quali il provvedimento del giudice non aveva alcuna attitudine al giudicato, a maggior ragione era ragionevole che se ne facesse applicazione nei casi in cui – come è per la convalida ex art. 663 c.p.c. – il provvedimento giudiziale è idoneo a produrre – sotto il profilo della res iudicata – gli effetti tipici della sentenza di condanna. I primi commenti alla sentenza in oggetto hanno evidenziato il pericolo che l’applicazione in concreto del principio affermato dal S.C. – laddove esclude che la statuizione sulla condanna dell’intimato alla refusione delle spese di lite possa essere posta a fondamento di autonoma domanda in separato giudizio anche ove il locatore ne faccia espressa riserva nell’ambito del giudizio di convalida – possa determinare l’interesse del conduttore intimato ad opporsi alla convalida, con la conseguente necessità del giudizio di merito, anche se la opposizione fosse riferita alla sola domanda dell’attore in punto di applicazione dell’art. 91 c.p.c.. Il timore potrebbe ritenersi fondato solo ove si ritenesse ammissibile che l’opposizione del conduttore intimato possa involgere, anticipatamente, l’an ed il quantum della statuizione del giudice ai sensi dell’art. 91 c.p.c.; il che non pare plausibile atteso che, proprio per le considerazioni che hanno orientato il S.C., la decisione del Pretore in ordine alla condanna dell’intimato alle spese di lite e/o alla compensazione delle stesse è capo obbligato della decisione e dunque, in quanto tale, sottratto alle conseguenze “impeditive” conseguenti alla opposizione della parte intimata. In tale prospettiva interpretativa potrebbe forse giovare la considerazione che l’opposizione del conduttore alla eventuale richiesta del locatore in punto di quantificazione nel minimo del termine per il rilascio ex art. 56 della legge 392/78 non ha mai costituito impedimento alla emanazione dell’ordinanza di convalida di cui all’art. 663 c.p.c. Il principio affermato dalla Corte con la sentenza 5720/1994 impone che si dia soluzione ai quesiti se sia ammissibile e quale sia, il rimedio “impugnatorio” esperibile avverso il capo del provvedimento giudiziale con il quale il Pretore abbia statuito ex art. 91 e/o 92 c.p.c. oppure abbia omesso di provvedere. Dando per scontata la risposta affermativa alla prima domanda (e ciò sia in forza dei principi generali dell’ordinamento processuale sia in base all’orientamento dottrinario e giurisprudenziale sulle analoghe fattispecie in tema di impugnabilità della statuizione sulle spese di lite nelle ipotesi di emanazione di provvedimenti di rigetto delle istanze cautelari antecedentemente alla entrata in vigore della novella del 1990) quanto alla seconda l’opzione possibile è, ovviamente, fra l’appello ed il ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost.. Parrebbe doversi preferire questa seconda soluzione (il ricorso per Cassazione) in considerazione della forma del provvedimento (ordinanza piuttosto che sentenza), come ritenuto proprio dalla qui sopra ricordata giurisprudenza in materia di impugnazione dei provvedimenti cautelari di rigetto contenenti statuizione in punto di spese ex art. 91 c.p.c.. Le motivazioni della sentenza in esame escludono – a contrariis, ma del tutto logicamente – che debba (rectius: possa) farsi applicazione dell’art. 91 e/o 92 c.p.c. nelle ipotesi di convalida di licenza per finita locazione, qui essendo del tutto esclusa ogni ipotesi di soccombenza dell’intimato conduttore, attesa la chiara natura di “condanna in futuro” del relativo provvedimento giudiziale. GIURISPRUDENZA • Cassazione 1. Il locatore ha facoltà di chiedere nell’intimazione di sfratto la condanna del conduttore alle spese processuali, che ben possono essere richieste in separata sede. Cassazione civile, sez. III, 24 novembre 1994, n. 9987 Giust. civ. Mass. 1994, fasc. 11. 2. Il principio secondo cui la pronuncia sulle spese del giudizio compete esclusivamente al giudice della causa, il quale, ai sensi dell’art. 91 c.p.c. deve provvedervi anche d’ufficio con il provvedimento che chiude il processo avanti a sé – con la conseguenza che se tale statuizione non contenga esso deve essere impugnato dall’interessato onde impedire il formarsi di un giudicato negativo sul diritto al rimborso – trova applicazione anche nel procedimento per convalida di sfratto per finita locazione, nel senso che l’ordinanza pronunciata a norma dell’art. 663 comma 1 c.p.c., con cui lo sfratto è convalidato, deve contenere la condanna dell’intimato al rimborso delle spese sostenute dal locatore per gli atti del procedimento. Cassazione civile, sez. III, 13 giugno 1994, n. 5720 Giust. civ. Mass. 1994, fasc. 6 (s.m.) Arch. locazioni 1994, 763 nota (BEONI); Rassegna delle locazioni e del Condominio,1995, 24 nota (MIRENDA). • Merito 3. A seguito di ordinanza di convalida di sfratto per finita locazione e per morosità, ben può il locatore ottenere la condanna dell’intimato al ristoro delle spese della procedura di convalida. Pretura Verona, 3 giugno 1993, Arch. locazioni, 1993, 575. 6. Nella locazione per esigenze abitative transitorie ex art. 26 lett. a) della legge 392/1978 le esigenze oggettive del conduttore rilevano indipendentemente dalla conoscenza che di esse abbia il locatore? Nell’affrontare il quesito in questione può essere utile premettere qualche breve cenno in merito al concetto di transitorietà della locazione, alla luce degli insegnamenti che si ricavano dalla giurisprudenza (soprattutto del Supremo Collegio). È stato infatti ritenuto che: • la natura transitoria delle esigenze abitative del conduttore ricorre solo “nelle ipotesi in cui l’abitazione del conduttore, in quanto eccezionale e temporanea, comporti una sua permanenza soltanto precaria o sussidiaria nell’immobile locato” mentre va esclusa nel caso in cui l’immobile rappresenti la normale e continuativa dimora del locatario; • la transitorietà può essere affermata sussistente nei rapporti nei quali l’aspirante conduttore, disponendo di propria stabile ordinaria abitazione, voglia trasferire altrove la dimora per soddisfare bisogni di carattere contingente, tali da non comportare, nemmeno sotto il profilo intenzionale, un cambiamento di residenza; • non è la maggiore o minor durata del contratto rispetto alla previsione tipica quadriennale dell’art. 1 della legge 392/1978 a poter operare quale elemento qualificante della stabilità e/o transitorietà della locazione bensì il “rapporto” stabile e/o continuativo che il conduttore faccia, per uso di sua abitazione, dell’appartamento oggetto della locazione. Due orientamenti si contrappongono circa i criteri da utilizzare per individuare nel caso concreto se la locazione debba qualificarsi o meno come “transitoria”: • da un lato si privilegia la verifica delle effettive esigenze abitative del conduttore a prescindere da quelle indicate nel testo contrattuale; “compensandosi” la posizione del locatore mediante il riconoscimento del suo diritto di proporre azione di annullamento del contratto per dolo o errore quale strumento di reazione alla domanda del conduttore diretta alla declaratoria di soggezione del contratto al disposto degli artt. da 1 a 25 della legge 392/1978; • dall’altro si dà priorità e rilevanza decisiva alle dichiarazioni contrattuali delle parti ed in particolare alla destinazione dell’immobile prospettata dal conduttore in sede contrattuale; conseguentemente il conduttore in tanto potrà impugnare con successo il contratto ex art. 79 legge 392/1978 solo ove riesca a dimostrare che la transitorietà della locazione risultante dal testo contrattuale è conseguente alla simulazione della sua effettiva e contraria volontà di condurre stabilmente l’immobile. Originariamente, e per anni, la Corte di Cassazione ha fatto proprio il primo indirizzo allorché ha affermato, ripetutamente, che: • “la natura transitoria delle esigenze abitative del conduttore va accertata con riferimento agli specifici bisogni del conduttore che l’immobile locato è destinato a soddisfare al momento della conclusione del contratto... (omissis)...; l’indagine diretta ad accertare quale delle due ipotesi ricorra nel caso concreto va compiuta avendo riguardo all’effettiva destinazione dell’immobile e con riferimento alla natura dell’esigenza abitativa del conduttore (desunta ad esempio dal sistema di vita di costui, dalla sua attività lavorativa nel luogo in cui è situato l’immobile, dalla disponibilità o non di un alloggio nel luogo di residenza anagrafica, ecc.) e non alle espressioni letterali del contratto fatto sottoscrivere dal locatore al conduttore allorquando la dichiarata transitorietà – smentita dalla situazione di fatto – abbia costituito il mezzo, vietato dall’art. 79 della l. 27 luglio 1978 n. 392, per eludere l’applicazione della normativa sull’equo canone”; • “la natura transitoria delle esigenze abitative del conduttore va accertata con riferimento agli specifici bisogni del conduttore al momento della stipulazione del contratto, a nulla rilevando che le parti abbiano contrattualmente esplicitato il carattere transitorio”; • “la natura transitoria delle esigenze abitative del conduttore deve essere accertata con riguardo alla natura dell’esigenza abitativa in relazione agli specifici bisogni del conduttore al momento della conclusione del contratto e non solo alle dichiarazioni di una o di entrambe le parti, né alle circostanze che il contratto sia stato stipulato per una durata inferiore al quinquennio o ad un canone superiore a quello ritenuto equo dalla legge”. Nel 1993 però il Supremo Collegio (con la sentenza 12947/1993) ha radicalmente mutato orientamento affermando che “per qualificare come transitoria, o meno, l’esigenza abitativa del conduttore, ai fini dell’applicazione al rapporto di locazione del regime giuridico c.d. dell’equo canone, non è sufficiente il requisito obiettivo della reale situazione di fatto desunta dall’effettiva destinazione dell’immobile locato (a prescindere dalle espressioni letterali adoperate nel contratto), ma occorre anche la consapevoleza del locatore di tale effettiva destinazione; sicché, presumendosi l’altrui buona fede, nel caso di un contratto di locazione ad uso abitativo stipulato con la previsione di un uso transitorio, il conduttore che assume la nullità di tale clausola, ai sensi dell’art. 79 legge n. 392 del 1978, per inesistenza in concreto della dedotta natura transitoria delle esigenze abitative, ha l’onere di dimostrare che questa inesistenza era ragionevolmente apprezzabile dal locatore, in base alla obiettiva situazione di fatto da lui conosciuta al momento del contratto”. Alla sentenza qui sopra riferita ha poi fatto seguito quella n. 5722 del 1994 che pare rinnovare il precedente indirizzo allorché sostiene che “la natura transitoria delle esigenze abitative del conduttore che esclude la locazione dell’immobile urbano per uso abitativo dall’ambito di applicabilità della l. 27 luglio 1978 n. 392 deve essere accertata con riguardo alla natura dell’esigenza abitativa in relazione agli specifici bisogni del conduttore al momento della conclusione del contratto e non solo alle dichiarazioni di una o di entrambe le parti, né alle circostanze che il contratto sia stato stipulato per una durata inferiore al quinquennio ad un canone superiore a quello ritenuto ‘equo’ dalla legge”. È però da dire che questa pronunzia è successiva a quella 12947/1993 solo con riferimento alla data di pubblicazione giacché in realtà si tratta di decisione assunta all’esito di udienza tenutasi in data anteriore. Ed infatti con la decisione n. 4001 del 5 aprile 1995 la Corte ha riconfermato il suo mutato orientamento affermando che “quando un contratto di locazione abitativa sia stipulato con la previsione di un uso transitorio, il conduttore, che assuma la nullità ex art. 79 l. 27 luglio 1978 n. 392 di tale clausola per inesistenza in concreto della dedotta natura transitoria delle esigenze abitative, deve dimostrare che questa inesistenza era ragionevolmente apprezzabile dal locatore in base alla obiettiva situazione di fatto da quest’ultimo conosciuta al momento del contratto, non potendo altrimenti rilevare contro il locatore né situazioni di fatto occultate dal conduttore, né la riserva mentale di costui di non accettare la clausola”. GIURISPRUDENZA • Cassazione 1. Poiché la normativa sull’equo canone – salva l’ipotesi particolare (prevista dall’art. 26, lett. a) della l. n. 392 del 1978) del conduttore che, pur avendo esigenze di natura transitoria, abiti stabilmente nell’immobile per motivi di lavoro o di studio, dettata dalla opportunità di offrire tutela ad una categoria di bisogni del tutto particolari – ha inteso tutelare l’abitazione quando essa si presenta come esigenza primaria e normale ed abbia, quindi, carattere di stabilità e continuatività, i contratti concernenti appartamenti per la sola villeggiatura o per soggiorni saltuari, nei quali manchi una dimora continuativa e stabile, rientrano fra le locazioni stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria, con conseguente inapplicabilità della legge n. 392 del 1978, indipendentemente dalla durata del contratto, essendo la transitorietà riferita non a tale durata, bensì alla natura dell’esigenza abitativa. Cassazione civile, sez. III, 1° dicembre 1983 n. 7200, Giust. civ. Mass. 1983, fasc. 11. 2. Poiché la normativa sull’equo canone – salva l’ipotesi particolare del conduttore, pur avendo esigenze di natura transitoria, abiti stabilmente nell’immobile per motivi di lavoro o di studio (art. 26, lett. a) della legge n. 392 del 1978), dettata dall’opportunità di riconoscere una categoria di bisogni del tutto particolari, meritevoli di tutela – ha inteso tutelare l’abitazione quando essa si presenta come esigenza primaria e normale ed abbia, quindi, carattere di stabilità, l’espressione “esigenze abitative di natura transitoria” contenuta negli art. 1 (comma 2) e 26 della richiamata legge non sia riferita alla durata della locazione, bensì alla natura dell’esigenza abitativa, a quei rapporti cioè in cui l’abitazione del conduttore, in quanto eccezionale e temporanea, comporti una sua permanenza precaria o sussidiaria, diversa dalla normale e continuativa dimora. Cassazione civile, sez. III, 26 giugno 1984 n. 3730, Giust. civ. Mass. 1984 fasc. 6. 3. La disciplina dei contratti di locazione di immobili ad uso di abitazione contenuta nella l. 27 luglio 1978 n. 392 si applica esclusivamente ai rapporti afferenti alle necessità primarie di alloggio di un nucleo familiare, mentre ne rimangono escluse tutte quelle ipotesi in cui la locazione, anche se determinata da un bisogno abitativo, non sopperisce a tali necessità, salvo che la locazione, secondo l’espressa previsione dell’art. 26 lett. a) della legge, pur se stipulata per esigenze abitative di natura transitoria, sia determinata da motivi di lavoro o di studio del conduttore. La indicazione di queste ultime ipotesi è da qualificarsi tassativa, e non consente di estendere la disciplina della legge ad altri rapporti di carattere transitorio, determinati da esigenze diverse, come quella della salute, non contemplate dalla norma. Cassazione civile, sez. III, 3 settembre 1984 n. 4742, Giust. civ. Mass. 1984, fasc. 8. 4. La natura transitoria delle esigenze abitative va accertata con un apprezzamento di fatto degli specifici bisogni che il locatario intende soddisfare con la punibilità dell’immobile urbano locato e non può essere desunto solo dagli elementi obiettivi delle particolari destinazioni e ubicazioni degli immobili oggetto del contratto di locazione. Cassazione civile, sez. III, 23 novembre 1984 n. 6078, Giust. civ. Mass. 1984, fasc. 11. 5. La natura transitoria delle esigenze abitative – che l’art. 26 della l. 27 luglio 1978 n. 392 esclude dall’ambito di applicabilità della nuova disciplina – va accertata con riferimento agli specifici bisogni che il conduttore intende soddisfare e soddisfi con la disponibilità dell’immobile locatogli, e non può essere esclusa solo perché la durata convenzionale risulta superiore ad un periodo stagionale (nella specie: un anno) o perché nel contratto non risulta specificata quale esigenza abitativa si intende soddisfare, normale e continuativa, ovvero saltuaria e transitoria. Cassazione civile, sez. III, 11 luglio 1987 n. 6078, Giust. civ. Mass. 1987, fasc. 7. 6. La natura transitoria delle esigenze abitative del conduttore che esclude la locazione dall’ambito di applicabilità della legge n. 392 del 1978 (art. 1 e 26 della legge cosiddetta dell’equo canone), va accertata con riguardo non alla durata della locazione ma alla natura dell’esigenza abitativa in relazione agli specifici bisogni del conduttore al momento della conclusione del contratto, restando senza rilevanza i successivi mutamenti delle esigenze abitative del conduttore medesimo (nella specie, per separazione dal coniuge), inidonei a far venir meno la natura transitoria del rapporto, prevista dalle parti all’inizio della locazione. Cassazione civile, sez. III, 20 giugno 1988 n. 4211, Giust. civ. Mass. 1988, fasc. 6. 7. La transitorietà delle esigenze abitative del conduttore (art. 1 e 26 legge n. 392 del 1978), da accertarsi dal giudice con riferimento al momento della conclusione del contratto senza tener conto di eventi cronologicamente successivi i quali possono aver reso stabile una esigenza inizialmente insorta come contingente e precaria va riferita tra l’altro a quei rapporti nei quali l’aspirante conduttore, pur disponendo di propria stabile ordinaria abitazione, voglia trasferire altrove la dimora per soddisfare bisogni di carattere contingente, tali da non comportare nemmeno sotto il profilo intenzionale un cambiamento di residenza. Le ragioni più o meno oggettivamente cogenti o soggettivamente pressanti che possono essere all’origine delle suddette esigenze abitative non incidono sul quadro della loro transitorietà quando, secondo un giudizio “ex ante” affidato ad un criterio di normale prevedibilità, esse si palesino all’atto della stipulazione dell’accordo destinate ad esaurirsi entro un tempo breve, segnatamente inferiore comunque alla durata minima quadriennale previsto nel comma 1 dell’art. 1 legge n. 392 del 1978 (fattispecie in cui il contratto dedotto in lite era stato stipulato dal conduttore per fronteggiare una situazione di emergenza venutasi a creare a seguito di eventi sismici che avevano interessato la località ove egli aveva l’abitazione e ne avevano consigliato il temporaneo, prudenziale allontanamento. Cassazione civile 23 ottobre 1989 n. 4291, Giust. civ. Mass. 1989, fasc. 10. 8. La natura transitoria delle esigenze abitative del conduttore – che comporta l’esclusione della locazione dall’ambito di applicabilità della l. 27 luglio 1978 n. 392 ai sensi dell’art. 26 lett. a) della stessa legge – va accertata con riferimento agli specifici bisogni del conduttore che l’immobile locato è destinato a soddisfare al momento della conclusione del contratto; nel senso che la suddetta natura transitoria va riconosciuta nell’ipotesi in cui l’abitazione del conduttore, in quanto eccezionale e temporanea, comporti una sua permanenza soltanto precaria o sussidiaria nell’immobile locato, mentre va esclusa nel caso in cui l’immobile rappresenti la normale e continuativa dimora del conduttore. L’indagine diretta ad accertare quale delle due ipotesi ricorra nel caso concreto va compiuta avendo riguardo all’effettiva destinazione dell’immobile e con riferimento alla natura dell’esigenza abitativa del conduttore (desunta ad esempio dal sistema di vita di costui, dalla sua attività lavorativa nel luogo in cui è situato l’immobile, dalla disponibilità o non di un alloggio nel luogo di residenza anagrafica, ecc.) e non alle espressioni letterali del contratto fatto sottoscrivere dal locatore al conduttore allorquando la dichiarata transitorietà smentita dalla situazione di fatto – abbia costituito il mezzo, vietato dall’art. 79 della l. 27 luglio 1978 n. 392, per eludere l’applicazione della normativa sull’equo canone. Cassazione civile sez. III, 18 dicembre 1990 n. 11984, Giust. civ. 1991, I, 1783. Arch. locazioni 1991, 41. 9. La natura transitoria delle esigenze abitative del conduttore, che esclude la locazione dell’immobile urbano per uso abitativo dell’ambito di applicabilità della l. 27 luglio 1978 n. 392, deve essere accertata con riguardo alla natura dell’esigenza abitativa in relazione agli specifici bisogni del conduttore al momento della conclusione del contratto e non solo dalle dichiarazioni di una o di entrambe le parti. La carenza del predetto requisito, imposto da una necessità di tutela assoluta del conduttore, in considerazione della natura primaria dell’esigenza abitativa, determina la nullità della clausola sulla durata del contratto di locazione, rilevabile dal giudice di ufficio, anche prescindendo dalle allegazioni delle parti e dalla prova della simulazione (relativa) della clausola predetta. Cassazione civile sez. III, 11 ottobre 1991 n. 10676, Giust. civ. Mass. 1991, fasc. 10. 10.La natura transitoria delle esigenze abitative del conduttore, che comporta l’esclusione della locazione dalla sfera di applicazione delle norme della l. 27 luglio 1978 n. 392, deve essere desunta non dal termine di durata della locazione stabilito dalle parti, ma dalla natura della esigenza abitativa che, nelle locazioni transitorie, in quanto diversa da quella della normale e continuativa dimora, comporta una permanenza solo precaria e saltuaria del conduttore nell’immobile, assumendo carattere eccezionale e temporaneo (nella specie, trattavasi di locazione di appartamento utilizzato da una coppia per incontri saltuari che il giudice di merito aveva ritenuto non transitoria solo a causa del termine quinquennale di durata convenzionalmente stabilito). Cassazione civile sez. III, 26 febbraio 1992 n. 2371, Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 2. Riv. giur. edilizia 1992, I, 596. Riv. giur. edilizia 1992, fasc. 6. 11.La natura transitoria delle esigenze abitative del conduttore – che comporta l’esclusione della locazione dall’ambito di applicabilità della l. 27 luglio 1978 n. 392 ai sensi dell’art. 26 lett. A della stessa legge – va accertata con riferimento agli specifici bisogni del conduttore che l’immobile locato è destinato a soddisfare al momento della conclusione del contratto; nel senso che la suddetta natura transitoria va riconosciuta nell’ipotesi in cui l’abitazione del conduttore, in quanto eccezionale e temporanea, comporti una sua permanenza soltanto precaria o sussidiaria nell’immobile locato, mentre va esclusa nel caso in cui l’immobile rappresenti la normale e continuativa dimora del conduttore. L’indagine diretta ad accertare quale delle due ipotesi ricorra nel caso concreto va compiuta avendo riguardo all’effettiva destinazione dell’immobile e con riferimento alla natura della esigenza abitativa del conduttore (desunta ad esempio dalla sua attività lavorativa nel luogo in cui è situato l’immobile, dalla disponibilità o non di un alloggio nel luogo di residenza anagrafica) e non alle espressioni letterali del contratto fatto sottoscrivere dal locatore al conduttore allorquando la dichiarata transitorietà – smentita dalla situazione di fatto – abbia costituito il mezzo, vietato dall’art. 79 l. 27 luglio 1978 n. 392, per eludere l’applicazione della normativa sull’equo canone. Cassazione civile sez. III, 3 giugno 1992 n. 6777, Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 6 – Conforme – Cassazione civile 11 ottobre 1991 n. 10676, Riv. giur. edilizia 1992, I, 353. 12.Poiché le disposizioni della l. 27 luglio 1978 n. 392 sulla determinazione del canone di locazione degli immobili per uso abitativo si applicano anche alle locazioni stipulate per esigenze abitative transitorie solo se, ai sensi dell’art. 26 della citata legge, l’immobile sia stabilmente abitato per motivi di studio o di lavoro, il conduttore che intende sostenere di essere tenuto al pagamento del canone equo, piuttosto che di quello contrattualmente stabilito, ha l’onere di provare non solo la ragione dell’occupazione (motivi di studio o di lavoro), ma anche il carattere di stabilità di questa occupazione e tale prova può, però, desumersi anche da elementi indiziari. Cassazione civile sez. III, 16 giugno 1992 n. 7410, Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 6. 13.Qualora la stipulazione di un contratto di locazione per esigenze abitative transitorie sia stata il mezzo per sottrarsi alla disciplina legale in tema di durata e canone, il contratto simulato è illecito, ed al fine di far valere la nullità delle relative clausole e l’operatività del contratto dissimulato il conduttore è ammesso a provare per testi la simulazione relativa. Cassazione civile sez. III, 13 luglio 1992, n. 8501 Foro it. 1993, I, 1134, Arch. locazioni 1993, 306. 14.Per qualificare come transitoria o meno l’esigenza abitativa del conduttore non è sufficiente considerare l’effettiva destinazione dell’immobile locato, anche se contrastante con le previsioni contrattuali, ma occorre invece la consapevolezza del locatore di tale effettiva destinazione, di conseguenza, il condutore che assuma la nullità delle clausole contrastanti con la disciplina del c.d. equo canone ha l’onere di dimostrare non solo l’inesistenza in concreto della natura transitoria delle esigenze abitative, ma anche che tale inesistenza era ragionevolmente apprezzabile dal locatore, in base alla obiettiva situazione di fatto da lui conosciuta al momento del contratto. Cassazione civile sez. III, 29 dicembre 1993, n. 12947, Giust. civ. 1995, I, 1603 nota (IZZO) – Foro it. 1994, I, 1440, Arch. locazioni 1994, 299, Corriere giuridico 1994, 741 nota (DE TILLA) – Conforme – Tribunale Milano, 30 gennaio 1995 Gius. 1995, 954 – Conforme – Tribunale Milano, 12 gennaio 1995 Gius. 1995, 954. 15.La natura transitoria delle esigenze abitative del conduttore che esclude la locazione dell’immobile urbano per uso abitativo dall’ambito di applicabilità della l. 27 luglio 1978 n. 392 deve essere accertata con riguardo alla natura dell’esigenza abitativa in relazione agli specifici bisogni del conduttore al momento della conclusione del contratto e non solo alle dichiarazioni di una o di entrambe le parti, né alle circostanze che il contratto sia stato stipulato per una durata inferiore al quinquennio ad un canone superiore a quello ritenuto “equo” dalla legge. Cassazione civile sez. III, 13 giugno 1994, n. 5722, Giust. civ. 1995, I, 1603 nota (IZZO) – Conforme – Tribunale Verona, 29 ottobre 1993, Gius. 1994, fasc. 11, 169 (s.m.) – Conforme – Tribunale Firenze, 7 dicembre 1993, Gius. 1994, fasc. 12, 207 (s.m.). 16.Quando un contratto di locazione abitativa sia stipulato con la previsione di un uso transitorio, il conduttore, che assuma la nullità ex art. 79 l. 27 luglio 1978 n. 392 di tale clausola per inesistenza in concreto della dedotta natura transitoria delle esigenze abitative, deve dimostrare che questa inesistenza era ragionevolmente apprezzabile dal locatore in base alla obiettiva situazione di fatto da quest’ultimo conosciuta al momento del contratto, non potendo altrimenti rilevare contro il locatore né situazioni di fatto occultate dal conduttore, né la riserva mentale di costui di non accettare la clausola. Cassazione civile sez. III, 5 aprile 1995, n. 4001 Giust. civ. Mass. 1995, 774. • Merito 17.Ai sensi dell’art. 26, lett. a), l. 27 luglio 1978 n. 392, la deroga alle norme sulla durata della locazione e sulla misura del canone è consentita solo quando le esigenze abitative di natura transitoria non solo esistono effettivamente, ma sono anche specificamente contemplate nel contratto, che ad esse deve fare chiaro riferimento, pur senza formule solenni sacramentali, onde possa esserne apprezzata la particolarità della causa rispetto a quella generica del tipo negoziale. Tribunale Firenze 18 aprile 1980, Vita not. 1980, 889. 18.Ha natura transitoria ed è sottratta alla disciplina dettata dal capo I della legge n. 392/1978 la locazione di un immobile urbano stipulata per uso abitativo da uno studente iscritto fuori corso presso l’università della città in cui è sito l’immobile e residente altrove, a meno che il conduttore dimostri di dovere occupare stabilmente l’unità immobiliare per seguire corsi di pratica professionale. Pretura Parma 18 ottobre 1980, Foro it. 1981, I, 2302. Dir. giur. 1982, 127 (nota). 19.La prova della simulazione di una locazione transitoria è ammissibile senza limiti (e quindi anche a mezzo testimoni e presunzioni), anche se proposta da una parte (nella specie, il conduttore), in quanto diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimilato (ovvero di un contratto di locazione per il quale artificiosamente si è aggirata la normativa legale in tema di canone). Tribunale Firenze 16 maggio 1990, Giur. merito 1992, 841. 20.L’esigenza transitoria rilevante ai fini dell’esclusione del contratto di locazione dalla tutela della legge n. 392 del 1978 deve essere espressamente evidenziata dalle parti al momento della stipula, mediante riferimento a fatti concreti relativi alle esigenze abitative del conduttore, a nulla rilevando la qualificazione del rapporto come transitorio o la pattuizione della sua durata infraquinquennale. Tribunale Milano 8 ottobre 1990, Arch. locazioni 1990, 739. 21.Spetta al conduttore, che deduca essere stato dissimulato un contratto soggetto alla disciplina legale sotto l’apparenza di locazione transitoria, di darne la prova. Tribunale Firenze 6 novembre 1990, Giur. merito 1992, 840. 22.La transitorietà delle esigenze abitative del conduttore che esclude la locazione dall’ambito di applicabilità della legge n. 392 del 1978 (art. 1 e 26 della suddetta legge) non è meramente riferibile alla durata della locazione, né va automaticamente desunta da locuzioni o formule genericamente espressive di tali esigenze adottate dalle parti in seno alla convenzione locatizia, ma deve essere accertata in concreto con riguardo agli specifici bisogni che il conduttore ha inteso soddisfare ed ha, in realtà, soddisfatto con la disponibilità dell’immobile locatogli. (Nella specie la clausola relativa alla durata biennale del rapporto e le espressioni concementi il carattere provvisorio ed eccezionale della convenzione locatizia, nonché l’uso dell’abitazione come seconda casa, contenute in contratto, in assenza di concreto riferimento a reali necessità del conduttore idonee a giustificare e a spiegare la precarietà dell’uso abitativo inerente all’appartamento locato, sono state ritenute insufficienti ad attribuire il carattere della transitorietà ad una esigenza abitativa atteggiantesi, di fatto, con i connotati tali della primarietà e della stabilità). Tribunale Milano 27 dicembre 1990, Arch. locazioni 1990, 739. 23.Ai fini della qualificazione della natura transitoria del rapporto di locazione ai sensi dell’art. 26 legge n. 392 del 1978, non deve farsi riferimento alla pura e semplice volontà dei soggetti contraenti, bensì alla obiettiva natura dell’esigenza abitativa del conduttore, che comporti una permanenza precaria o sussidiaria nell’immobile, diversa dalla normale e continuativa dimora, in base alle complessive risultanze del suo sistema di vita ed attività lavorativa. Tribunale Firenze 21 gennaio 1991, Arch. locazioni 1992, 159. 24.Perché un contratto di locazione possa ritenersi sottratto alla disciplina dell’equo canone, ai sensi dell’art. 26 lett. a) legge n. 392 del 1978, in quanto stipulato per soddisfare esigenze abitative transitorie del conduttore, occorre che siffatte esigenze siano realmente esistenti al momento della stipulazione, non essendo sufficiente una dichiarazione di intenti in tal senso del conduttore ovvero il generico richiamo nel contratto ad esigenze di natura transitoria (nella specie, in presenza di un generico riferimento del contratto all’ “uso esclusivamente abitativo di natura meramente transitoria” dell’immobile, e in difetto di prova circa la effettiva transitorietà delle esigenze abitative del conduttore, il tribunale ha ritenuto corretto presumere la ordinarietà delle stesse). Tribunale Milano, 24 maggio 1993, Gius. 1994, fasc. 7, 155 (s.m.). 25.Considerato che il principio della preminenza della situazione soggettiva ha subito un radicale ridimensionamento per effetto della sent. 18 febbraio 1988 n. 185 della Corte cost. che ha condizionato la decadenza dall’azione di risoluzione all’effettiva conoscenza – da parte del locatore – della mutata utilizzazione dell’immobile locato, per qualificare come transitoria, o meno, l’esigenza abitativa del conduttore, ai fini dell’applicazione al rapporto di locazione del regime giuridico c.d. dell’equo canone, non è sufficiente il requisito obiettivo della reale situazione di fatto desunta dall’effettiva destinazione dell’immobile locato, ma occorre anche la consapevolezza del locatore di tale effettiva utilizzazione, con il conseguente onere probatorio a carico del conduttore. Tribunale Milano, 12 gennaio 1995, Giust. civ. 1995, I, 1603 nota (IZZO).
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