LAnima Fa Arte1

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LAnima Fa Arte1
Periodico telematico quadrimestrale a carattere tecnico-scientifico di Psicologia
con sede a Chieti in Via Vicoli, 11
Direttore Responsabile: Michele Mezzanotte
Proprietario: Valentina Marroni
Editore: Ass. L'Anima Fa Arte
Web Master: Matteo Colangeli
Curatore: Valeria Marroni
Iscrizione al Tribunale di Chieti n.6
La collaborazione è aperta a tutti gli studiosi. Gli eventuali articoli (max 20000
caratteri spazi inclusi) e i libri per le recensioni vanno inviati alla redazione:
[email protected]
Immagine in Copertina:
Jasper Johns
Figure 1, 1968
www.animafaarte.it
Rivista di Psicologia Quadrimestrale
www.animafaarte.it
N.1 Gennaio 2013
INDICE
EDITORIALE, p.3
• Michele Mezzanotte
IL DESTINO CHE BUSSA ALLA PORTA P. 5
• Gianpio Colarossi
LO STRABISMO DI VENERE. IL FILTRO D'AMORE P. 11
• Luca Urbano
ESTROIEZIONE: PER UNA TEORIA EVOLUZIONISTICA DEGLI ARCHETIPI P. 19
• Michele Accettella
L'INTUIZIONE DEL COMPLESSO. IL DEMONE MODERNO DI UMBERTO BOCCIONI P. 27
• Sara Colarossi
LA RELAZIONE. IO DO' UNA COSA A TE E TU DAI UNA COSA A ME P. 35
• Piero Di Prinzio
HYBRIS E SECOLARIZZAZIONE NEL NIBELUNGENLIED
(seconda parte) p. 41
• Valentina Marroni, Michele Mezzanotte
INTERVISTA A LUIGI ZOJA P. 47
Henri de Toulouse-Lautrec (1864-1901). Marcelle Lender Dancing the Bolero in "Chilpéric,"
1895–96. Oil on canvas.
C
ari lettori e lettrici questo nuovo editoriale
vuole inziare dedicandovi una danza; una
danza che parla di corteggiamento e seduzione, di
un uomo che corteggia una donna e di una donna
che seduce tanti uomini.
Questa donna si trova al centro della stanza e si
muove seducente a ritmo di tamburo. Intorno ad
essa degli uomini danzano avvicinandosi a lei
sempre di più con il crescere della musica. Questa
danza rituale è il Bolero che ha ispirato per secoli
l'uomo interpretandola e reinterpretandola, ma
conservando il significato originario di Anima che
seduce e attira l'uomo. Spero non sia troppo
presuntuoso augurare che questa rivista diventi per
i lettori una seducente danzatrice di Bolero.
3
Ho l'obbligo in questa sede di fare alcuni
ringraziamenti.
Ringrazio scrittori e lettori che hanno aperto e
"sfogliato" questa rivista neonata. Una piccola
creatura che cerca di respirare aria di cultura e
psicologia.
Ringrazio gli scrittori che hanno donato a
"L'Anima Fa Arte" la loro creatività e la loro
capacità intellettuale, e rinnovo loro l'invito di
partecipare nuovamente con i loro contributi.
Ringrazio i lettori che hanno donato il loro tempo
archetipico a queste letture archetipiche.
Ringrazio apprezzamenti e critiche mosse alla
rivista: c'è bisogno di entrambe per crescere sani e
forti.
Questo è il numero 1 di una Rivista di Psicologia
Editoriale
nata dalla passione letteraria e psicologica di
alcuni di noi. Mentre si pianificavano le possibilità
di editing per la rivista, rubriche ed articoli, subito
ci è venuto in mente anche una particolare forma
di relazione semplice ed efficace: l'intervista. Così
abbiamo chiesto ad alcuni noti analisti di
concederci una "chiacchierata". Quando li
abbiamo incontrati, ci ha colpito la qualità animica
dei luoghi in cui ci siamo "casualmente" ritrovati.
La prima intervista con Claudio Widmann è stata
realizzata all'interno di una graziosa chiesetta in un
paese chiamato Smerillo, nel cuore delle Marche.
Smerillo è un paese con un panorama stupendo,
nel quale Giacomo Leopardi vi si recava spesso, e
a cui ha dedicato alcuni ispirati versi poetici. Nella
chiesa c'era anche un monaco tibetano che stava
lavorando e meditando su un mandala.
La seconda "chiacchierata" si è individuata
all'aperto, a Fano, presso "una rotonda sul mare",
come ci suggeriva negli anni sessanta Fred
Bongusto. Una rotonda sul mare, due simboli
animici (la rotonda e il mare), quindi un luogo
archetipico così come la piccola chiesetta di
Smerillo.
A questo punto, non si può non pensare che
esistano dei luoghi del "fare anima", dove sia
presente il genius loci. Siamo all'interno della
psiche e la psiche è dentro di noi, siamo fatti di
psiche. A seconda del punto di vista dal quale
osserviamo, è suggestivo vedere come attorno ad
una "particolare chiacchierata" si aggregano
energie inconsuete ma consone all'occasione.
Luoghi psichici che si manifestano.
Ora presenterò i lavori che accogliamo in questo
numero 1 della rivista.
"Il destino che bussa alla porta", il primo articolo
presente, parla di psicologia attraversando la
musica classica, un sogno ed una poesia.
Attraverso immagini artistiche si approda ai
concetti di ospitalità psicologica e al "momento
giusto" dell'analisi.
GIANPIO COLAROSSI ci descrive una brillante
intuizione su Venere e il suo strabismo,
accostandolo ai concetti di divergenza, di Io e di
amore, e ci mostra come lo strabismo in realtà sia
per l'uomo una protezione quando guarda negli
occhi l'Amore.
In seguito LUCA URBANO BLASETTI propone
un'eccellente argomentazione sul concetto di
Estroiezione aggiungedolo alla terminologia
classica che oppone la Proiezione all'Introiezione,
descrivendo un percorso individuativo al di là
dell'Io.
Nell'articolo di MICHELE ACCETTELLA troviamo
elaborato il pensiero di Umberto Boccioni.
L'autore, prendendo spunto da queste riflessioni
"artistiche", elimina le barriere poste tra soggetto e
oggetto, tra mondo interiore e mondo esteriore,
proponendo un continuum energetico e psichico.
Successivamente SARA COLAROSSI, partendo da un
sogno, vuole mettere in evidenza le proprietà
corporali della Relazione, e di come quest'ultima
non possa esistere senza la materia corporea e
dell'oggetto.
Infine PIERO DI PRINZIO torna nuovamente sulla
Rivista con il suo lavoro "Hybris e
secolarizzazione nel Nibelungenleid", descrivendo
le prime cinque avventure dell'opera e
proseguendo la sua analisi psicologica. Analisi che
verrà poi ripresa nelle prossime pubblicazioni
della Rivista.
Dulcis in fundo abbiamo incontrato per questo
speciale numero 1 il grande psicoterapeuta LUIGI
ZOJA e lo abbiamo sottoposto alla nostra consueta
intervista per immagini. Vi lasciamo il piacere di
gustarla accompagnata dalle opere d'arte e dalle
curiosità che siamo riusciti ad estrapolargli.
Suggeriamo di accompagnare la lettura da un buon
vino di "vecchia annata" per salutare il vecchio
anno e iniziare con piacere edonistico il nuovo.
Tutta la redazione dell'Anima Fa Arte vi augura
Buon Anno e Buona Lettura.
MICHELE MEZZANOTTE
4
“Spetta agli Dei venire da me; non a me andare da loro"
Plotino 1
Francesco Salviati, Kairos
U
n articolo scritto partendo da una sinfonia.
Un viaggio onirico attraverso la melodia,
attraverso le note e procedendo oltre. La musica,
come ogni forma d'arte, è primitiva e vicina
all'anima: la musica è un‘esperienza archetipica.
Ciò che mi chiedo è, dove mi porterà la sinfonia
che prenderemo in considerazione, in quale luogo
archetipico ci recheremo accompagnati da lacrime
di note, guidati dal pianto dell'anima? Per tentare
di rispondere a questa domanda mi servirò di
un'intuizione, una sensazione, un pensiero ed un
sentimento, una sincronicità, un sogno, e una
poesia.
La sinfonia che prenderò in considerazione, e da
cui partirò, è la Quinta di Beethoven da lui
denominata "Il Destino Che Bussa Alla Porta".
5
In verità ho sempre avuto una certa riluttanza a
scrivere di psicologia e musica, credo che a volte
si corra il rischio di "uccidere" interprentando la
"proiezione" in maniera errata. L'emozione che
retrocede in nome di un‘ interpretazione
intellettualizzante, parole che cercano di sostituire
ciò che non possono, ciò che va oltre il tempo e lo
spazio.
Era l'anno 1807 (anche se i primi schizzi di note
risalgono al 1804) e Beethoven riesce a comporre
questa sinfonia dopo una gestazione lunga e
travagliata.
Dopo aver "ascoltato" le prime quattro note, dirà
che si tratta del "destino che bussa alla porta".
Come lavorare psicologicamente su di una
canzone, su di una musica, su di una sinfonia?
Basterebbe solo ascoltarla per poterla vivere
appieno, basterebbe sentirla raccontata da quel
particolare modo di esprimersi dell'uomo: un logos
musicale.
Tuttavia vorrei provare un lavoro tipicamente
"junghiano" attraverso i quattro tipi psicologici:
intuizione, sentimento, pensiero e sensazione,
quattro tipi per quattro note. Ci addentreremo nella
Psiche attraverso la musica, non solo ascoltandola
ma anche facendo una riflessione intuitiva, una di
pensiero, di sentimento e di sensazione. Sarebbe
ingiusto ricondurre tutto alla funzione intellettuale
e di pensiero, sarebbe come uccidere i tre quarti
della psiche descritta da Jung e successivamente
dalla Von Franz. Psicologia è anche lasciarsi
attraversare da sentimenti, intuizioni e sensazioni
che sanno già cosa fare, dove andare dentro di noi
e dentro il lettore.
Terremo anche in considerazione un accadimento
sincronistico: il pianto di un bambino durante
l'ascolto e la stesura di questo articolo. Infine
parleremo di un sogno accaduto proprio nella notte
Michele Mezzanotte
di gestazione dell'articolo e di una poesia di
Fernando Pessoa.
Un Pensiero.
La quinta sinfonia ha un'innovazione e una
particolarità: l'introduzione. Le famose quattro
note. Una sorpresa, un impatto, un sussulto che ci
conduce ad un silenzio. Un silenzio che aspetta
una risposta. Un' introduzione esplosiva e
decontestualizzata, che può essere capita solo
ascoltando il resto della sinfonia.
Il quattro, il numero primordiale dell'ordine
universale (i quattro elementi, i quattro animali
ribelli che tirano il carro cosmico, le quattro fasi
della luna, i quattro punti cardinali, i quattro lati
della croce e ancora i quattro angeli cherubini, i
quattro temperamenti, e ci sarebbero altre centinaia
di tetradi, compresa quella dei quattro tipi
psicologici), il quattro come un potenza ordinatrice
secondo la storia dell'uomo e secondo Jung, il
quattro è un destinare che etimologicamente sta
per fissare, stabilire fermamente come vedremo in
seguito.
L'introduzione irrompe e dona una direzione, un
ordine ad una psiche nel caos. Prende l'attenzione
come in una stanza piena di persone che parlano
attendendo l'ordine iniziatico.
Un Sentimento.
Ascoltando la parte iniziale ci sentiamo subito a
disagio, c'è in seguito un silenzio necessario,
terapeutico, riflessivo, ove vi è un spazio per agire
e per rispondere. La parte successiva, dopo aver
ascoltato la nostra risposta, ci prende e ci porta via,
ci trascina, ci culla, accompagnandoci tra onde di
emozioni in un mare in crescita. La nascita di
un'onda musicale (rappresentata dalle quattro note
iniziali) che ogni tanto nella canzone ci travolge
nuovamente.
Un' Intuizione.
"Il destino che bussa alla porta": le tre Moire
(Cloto, Lachesi e Atropo), che bussano e dicono
ciò che sarà, come vedremo in seguito nel sogno,
una piccola coccinella rossa con puntini neri fare la
stessa cosa. All'inizio è traumatico, inaspettato e
sconvolgente, atemporale. Quattro note per un
destino, troveranno un posto nel flusso temporale e
potremmo assaggiarlo con un sapore ed un
profumo diversi.
Le prime quattro note della sinfonia di Beethooven
sono un Kairos greco, un momento atemporale ed
emotivamente carico, un momento magico in cui
"inizio" e "fine" coincidono, un momento in cui le
possibilità si percepiscono in gran numero ma
tuttavia sono difficili da afferrare.
Una Sensazione.
Un nodo alla pancia, un vuoto, uno stomaco in
tensione che si contrae. Silenzio, le orecchie che
attendono e cercano di capire. Preso. Trasportato
fino ad essere sostenuto corporalemente dalle note.
Una Sincronicità.
Il pianto disperato di un bambino come sottofondo
alla sinfonia, irrompe. Una nascita. Un destino che
bussa alla porta della vita di ognuno di noi. Che
parte avrò nel flusso temporale? Come
procederanno nel cammino le nostre quattro note?
Un bambino che nasce, come un'immagine che
nasce e irrompe nella vita volendo vivere,
piangendo, urlando e vaggendo, cercando di farsi
notare.
Ricordiamo questo evento come una nascita
psichica di un' immagine psichica proveniente dal
mundus immaginalis. La nascita-natale è un
momento archetipico, il momento in cui un nuovo
emerge ed è destinato a vivere per morire. La
nascita può essere considerata anche come un rito
umano di rinnovamento nel quale una nuova
immagine o un nuovo essere vivente, viene alla
luce per raggiungere il suo scopo. Un' immagine
che dopo essere venuta al mondo, vuole vivere e
per vivere deve farsi notare, deve chiedere, deve
bussare alla porta della nostra casa psichica. È un
lasciarsi attraversare.
Ci vengono in mente i due personaggi famosi di
Filèmone e Bàuci e la loro storia mitica. Ci viene
in mente l'iscrizione junghiana del 1923 a
Bollingen
"Philemonis
sacrum,
Fausti
poenitentia".
Wolfgang
Giegerich2
e
James
Hillman3
riconoscerebbero gli Dei che bussano alla porta.
Qui si presentano sotto forma di Destino. Le tre
Morie vengono a bussarci, e lì entra in gioco il
nostro "volere", la nostra capacità minima di
accogliere o meno in quel piccolo spazio e tempo
del silenzio. Di dire "si" o "no". Di lasciarci
condurre da queste immagini, da questi dei e da
questi destini. Come nella sensazione precedente,
lasciarsi trasportare dalla musica psichica per
essere sostenuto corporalmente dalle note.
Possiamo decidere solo nel momento del silenzio,
dopo le prime quattro note. A quel punto possiamo
6
Il Destino Che Bussa Alla Porta
accogliere l'immagine-Dio, possiamo nutrirlo,
possiamo lasiarci attraversare e afferarlo al
momento giusto.
Riprendiamo il tema precedentemente citato del
Kairos greco, ovvero di un altro modo di intendere
il tempo, un tempo qualitativo a differenza di
Kronos, il tempo quantitativo. La parola Kairos
significa sia "momento giusto", sia "tempo di Dio".
Il Destino che bussa alla porta è un Kairos ovvero è
il tempo giusto, il tempo di un dio-immaginearchetipo che viene per essere afferrato e per
viverci vivendo lui stesso. L'atteggiamento nei
confronti del Kairos è di apertura e di accoglimento.
Viviamo in un‘ epoca dove l'accogliere non ha più
un valore, nella quale l'ospitalità è venuta meno.
Siamo più predisposti al rifiuto e al "no" nei
confronti di ospiti inattesi e sconosciuti come
Filèmone e Bàuci, piuttosto che al fatto di nutrirli
con ciò che possiamo donare loro.
Una madre nei confronti di un bambino appena
nato cerca di donare tutto ciò che può e che ha:
ospitalità e nutrimenti attraverso il seno e il latte.
Una madre si svuota al cospetto di un nuovo
arrivato che cerca vita e dona energie e vita a sua
volta. Oggi il nostro atteggiamento nei confronti
delle immagini e degli Dei è oppositivo e senza
accoglienza.
Quanti di voi ospiterebbero uno sconosciuto a casa
propria dandogli luogo e nutrimento? Dandogli
tutto ciò che si può dare, senza pensare a profitti o
conseguenze come fecero Filèmone e Bàuci? Sono
passati pochi anni dal dopoguerra della seconda
guerra mondiale e mentre prima si respirava un‘
aria di attraversamento dell'immagine, in cui la
psicoanalisi prosperava, oggi le immagini vengono
rigettate via verso una più eroica visione della vita.
Ognuno crede di costruirsi da sè. Altre
terminologie
psicologiche
parlerebbero
di
narcisismo psicologico. Claudio Widmann nel suo
ultimo libro4 si domanda come "… la diffusione del
gatto come animale d'affezione proceda in
parallelo con il diffondersi del narcisismo come
organizzazione psicologica prevalente nell'attuale
psiche collettiva."
A questo punto, parlando di ospitalità e nascita, mi
viene in mente un sogno. Un sogno di stanotte
(15/12/2012).
Vediamo
come
si
collega
all'argomento che stiamo affrontando.
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"Una donna, compagna di vita, sta partorendo.
Viene fuori un piccolo feto, minuscolo. Le prima
emozione è di gioia. Questo piccolo feto si può
tenere tra le dita, tra l'indice e il pollice,
delicatamente. Guardandolo più attentamente
notiamo che si tratta di una coccinella."
Mentre scrivo il sogno mi meraviglio di come i
temi della nascita e del destino siano presenti.
Nulla di panificato o di ponderato. Ho accolto
l'immagine che mi si presentava e la sto ospitando,
la sto nutrendo. Il tema della venuta al mondo è
presente così come un' immagine arriva a noi per
vivere. Un Dio-Destino che bussa alla porta, e in
più siamo nel periodo del nuovo nascituro per
eccellenza: il Natale.
Cosa rappresenta il piccolo feto-coccinella?
Coccinella etimologicamente significa granello
rosso. Questo piccolo e delicato animale ha diversi
appellativi e nomi: la gallinella del signore,
uccellino di Dio, cavallino di Dio, galletto d'oro,
galletto di Maria, uccellino del sole, in Francia bete
a dieu, o bete a christ, in Russia piccola mucca di
Dio, le donne in Germania le chiedono di essere
una messaggera d'amore. In ogni caso è simbolo di
messaggio
di
amore
o
della
divinità,
rappresentazione egregia dell'immagine psichica.
Portatrice di un messaggio ed hermetica.
Nel pensiero superstizioso, la coccinella ha una
capacità di capire il logos umano, il linguaggio
degli esseri umani, conoscendone anche l'avvenire
come le tre Moire, come un "Destino che bussa
alla porta": Cloto la filatrice dello stame della vita,
Lachesi colei che svolgeva il filo sul fuso ed infine
Atropo che lo recideva con lucide cesoie e in
maniera inesorabile.
Il colore rosso non ha bisogno di presentazioni,
infatti porta con sè tutta la potenza vitale in
positivo ed in negativo. Potenza di vita e potenza
distruttrice.
Un‘ immagine psichica quella della coccinella,
ovvero messaggera divina e piccolo granello di
vita. La psiche e l'Anima sono permeate di miriadi
di
immagini-granelli
che
concretizzandosi
assumono il logos umano, il nostro linguaggio.
Portano con sè vita, vogliono vita e donano vita
come un neonato appena nato che cerca nutrimento
dalla madre e dona ai genitori l'entusiasmo ed
energie
inaspettate.
Riconosciamo
nella
Michele Mezzanotte
moltitudine infinitesimale dei granelli, la
moltitudine delle immagini psichiche. Granelli di
sabbia usati per disegnare mandala psichici,
percorsi di vita umana più che concreti che tuttavia
possono essere cancellati in una piccola frazione di
movimento.
Un' altra caratteristica tipica della piccola e delicata
coccinella è il fatto di andare verso l'alto, di
dirigersi verso le vette. Tutti voi avrete sicuramente
provato a far camminare una coccinella trovata in
un verdeggiante prato di primavera, sulla propria
mano. E certamente tutti voi avrete notato che per
quanto giriamo la mano e le dita, il fragile animale
andrà verso le alture, verso l'apice, verso il punto
pìù alto che può trovare. Arrivata in quel punto, la
coccinella, spiccherà il volo verso altri luoghi e
altri venti.
L'immagine-coccinella tenta di venire alla luce, di
sorgere, di ascendere per venire alla coscienza, per
mostrarsi e quindi vivere. Non c'è null'altro di più.
Le immagini vogliono vivere.
Parliamo quindi di Ospitalità psicologica. Ancora
una volta l'etimologia della parola ci viene in aiuto
e ci spiega meglio il concetto: prendere alloggio
presso qualcuno. Le immagini psichiche prendono
alloggio presso di noi, trovano posto nella nostra
psiche e ci animano.
Riportiamo ora una poesia di Fernando Pessoa
ricca di significato emotivo.
Passa una farfalla davanti a me
e per la prima volta nell'Universo mi accorgo
che le farfalle non hanno colore nè movimento,
così come i fiori non hanno profumo nè colore.
È il colore ad avere colore nelle ali della farfalla,
nel movimento della farfalla è il movimento a
muoversi.
È il profumo ad avere profumo nel profumo del
fiore.
La farfalla è solo farfalla
e il fiore soltanto fiore.5
Questa piccola, ma grande poesia di Fernando
Pessoa ci permette di afferare meglio il concetto
dell'immagine coccinella che chiede ospitalità. Il
colore chiede ospitalità nelle ali della farfalla e il
profumo chiede ospitalità nel fiore: non è la farfalla
ad essere colorata ma il colore ad avere colore.
Mutuato nel linguaggio patologico, non è una
persona ad avere l'attacco di panico ma è l'attacco
di panico a possedere l'attacco di panico. Ogni
immagine è un Io, è autonoma e indipendente, ha
una sua vita. Tutto ciò per poter semplicemente
vivere, per poter essere dinamica.
Ogni immagine è Un destino che bussa alla porta,
ci suggerisce Beethoven con le quattro note
epocali. Un destino che etimologicamente sta per
esser fermo; il destino come qualcosa di immobile,
determinato e fisso che cerca movimento e
dinamica grazie alla psiche. La psiche viene ad
essere uno strumento umano per trasformare
l'immobile in mobile, lo statico in dinamico. È
come se gli dei-immagini-archetipi avessero
bisogno di noi a causa della loro immortale
immobilità. Noi doniamo loro movimento. In
questo mondo nulla è in stasi, anche il nostro
linguaggio scientifico ci suggerisce ciò. Prendiamo
l'immagine che abbiamo del tavolo, lo vediamo
così immobile, così fermo e statico, in verità ci
sono milioni di atomi in un movimento
apparentemente caotico e collegati fra di loro che
permettono il suo stare lì, il suo farsi materia. In
uno stesso momento temporale, in un Kairos,
troviamo mobilità ed immobilità che si incontrano,
troviamo degli dei che bussano alla porta della
vita, la porta dell'umanità e della mortalità in un
momento di sospensione.
Arrivati a questo punto, come ci può aiutare quanto
appena detto, in un temenos analitico?
Stiamo seduti di fronte ad un paziente che bussa
alla nostra porta e si accomoda sul nostro divano
analitico. Porta sogni; porta sintomi quali ansie,
angosce e paure; porta malattie; porta diagnosi;
porta follie. Ora sappiamo che questi sogni, queste
ansie, angosce e malattie non sono sue ma
provengono dal destino, provengono da un'
immobilità che vuole diventare dinamica e ha una
sua autonomia e un suo "Io". Lo attraversano
perchè vogliono vivere in questo mondo, e noi
dobbiamo dare loro ospitalità nel nostro studio e
non cacciarle via attraverso farmaci o psuedosoluzioni
psicologiche.
Lo
studio
dello
psicoterapeuta si trasforma in un luogo dove
elementi non accettati dalla realtà e dal sistema
possono trovare ospitalità, possono ricevere vita e
così come sono nati sono destinati a morire: i
sintomi si risolvono se paradossalmente si lasciano
vivere e si dona loro il senso che cercano. Queste
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Il Destino Che Bussa Alla Porta
individualità ci accompagneranno durante il nostro
percorso di vita, ci creano individui e ci mostrano
al mondo e agli altri. I nostri sintomi e le nostre
particolarità folli troveranno posto in uno studio
psicologico, troveranno spazio e vita affinchè
possano trovare anche la morte.
L'analisi ha il suo Kairos, il suo dio che bussa alla
porta, il suo momento giusto. Noi analisti abbiamo
la necessità di osservare il mondo ed il paziente dal
punto di vista della psiche, che è anche il punto di
vista del Kairos, ovvero della possibilità che si
manifesta e va accolta: il momento giusto in cui il
paziente giusto arriva dall'analista giusto; il
sintomo giusto che arriva nel momento giusto per
comunicare qualcosa di giusto alla persona giusta;
l'attimo analitico giusto in cui arriva "la lettura"
giusta; il particolare giusto nel tempo giusto; il dio
giusto al momento giusto.
Ci sono, durante il nostro vivere quotidiano e il
nostro trascorrere le lunghe ore della nostra vita,
affaccendati tra res cogitans e res extensa, momenti
in cui avvertiamo una percezione diversa delle
cose, una percezione del Kairos, la percezione di
un tempo diverso e avvertiamo una possibilità, una
piccola intuizione sfuggente che ci scivola via tra
le dita in pochissimi istanti, difficili da fissare.
Sono intuizioni, micro-sensazioni di attimi che ci
vengono a trovare e scappano via, manifestazioni
imprevedibili di "casualità" psichiche, sincronicità,
una manciata di note inaspettate e sfuggenti. È in
questi piccoli attimi di sospensione e di psiche che
si gioca la visione analitica, la visione del punto di
vista di Psiche, una fanciulla alata che accende solo
per pochi attimi e solo fugacemente, una lanterna
luminosa con cui riesce a cogliere la potenza e la
bellezza divina di Eros che la porterà alla rovina,
una rovina che sarà tuttavia la sua vita e la sua
storia.
Note e Bibliografia:
1. Plotino, Enneadi, Bompiani Editore, 2000
2. Wolfgang Giegerich, Alchimia della storia e la
morte dell'anima nella civiltà della tecnica, Moretti
e Vitali, 2008
3. James Hillman, Il mito dell'analisi, Adelphi,
2009 (nona edizione)
4. Claudio Widmann, Il gatto e i suoi simboli, Magi
Edizioni, 2012
9
5. Fernando Pessoa, Una
Biblioteca Adelphi, 2011
Sola
Moltitudine,
Michele Mezzanotte:
Psicologo - Psicoterapeuta in formazione, iscritto
all'albo dei giornalisti e degli psicologi. Presidente
dell'associazione culturale e di volontariato
psicologico "L'Anima Fa Arte". Direttore
Scientifico della rivista psicologica "L'Anima Fa
Arte".
Autore
di
diverse
pubblicazioni
psicologiche. Lavora nel suo studio privato a
Chieti e ha lavorato nella clinica psichiatrica
riabilitativa "Il Quadrifoglio".
L'Anima Fa... Libro
IL GATTO E I SUOI SIMBOLI
HO SFOGLIATO E APPREZZATO LE PAGINE DI UN PICCOLO LIBRO.
PAGINE ARCHETIPICHE. PAGINE ONIRICHE CHE SI SONO SVILUPPATE
SOTTO I MIEI OCCHI. PAGINE CHE NARRANDO UNA STORIA, HANNO
DESCRITTO I MOLTEPLICI ASPETTI IMMAGISTICI DI CUI SI CARICA
L'ARCHETIPO DI UN ANIMALE MOLTO AFFINE ALL'UOMO.
I
PERCORSI
CULTURALI E MITOLOGICI ATTRAVERSANO OGNI CAMPO DI SCIENZA
UMANA; E SCIENZA INTESA ETIMOLOGICAMENTE COME
“SCIO”
OVVERO SEMPLICE “SAPERE”.
UN
PERCORSO DI ARCHETIPI CHE ANALIZZA E INTERSECA CAMPI DI
CONOSCENZA ETOLOGICI, ARTISTICI, MITICI, FIABESCHI E LETTERARI,
UN PERCORSO CHE EVIDENZIA COME L'ANIMA
FA ARTE;
CAMPI DI
CONOSCENZA CHE INSIEME DELINEANO DURANTE LO SCORRERE
DELLE PAGINE UN PROFILO NETTO, SCANDITO DA PRECISE IMMAGINI
Claudio Wdimann, analista junghiano,
è docente di Teoria del simbolismo e di
Tecniche dell'immaginario in varie
scuole
di
specializzazione
in
Psicoterapia. Vive e lavora a Ravenna.
Impegnato conferenziere, è autore e
curatore di saggi che rileggono aspetti
ordinari e straordinari della realtà alla
luce della psicologia junghiana. Per i
tipi delle Edizioni del Girasole è stato
pubblicato il Manuale di training
autogeno, mentre per quelli della
Cittadella il libro F come Fiducia. Tra
i suoi numerosi volumi nel catalogo
delle Edizioni Magi ricordiamo Il
simbolismo dei colori, Le terapie
immaginative, La simbologia del
presepe, Sul destino, Il mito del
denaro, Gli arcani della vita.
“ONIRICHE” DIURNE.
L'AUTORE DEL LIBRO DESCRIVE QUESTO ANIMALE CREATO DALLA
LUNA, LA TIGRE DEI POVERI DIAVOLI, UN ANIMALE PREDATORE,
ORGOGLIOSO, DEFENSOR E CAPTOR, ARISTOCRATICO E ANIMALESCO
AL TEMPO STESSO, INTROVERSO E AFFETTIVO, INDIPENDENTE E
AUTOSUFFICIENTE, UN ANIMALE CHE “NÈ OBBEDISCE, NÉ
COMANDA”, PERSONIFICAZIONE DI OMBRA SIA MASCHILE E
FEMMINILE, FIGURA DEL FEMMINILE E DELL'ANIMA, IMPREVEDIBILE.
IL LIBRO SI INTITOLA “IL GATTO E I SUOI SIMBOLI” E L'AUTORE È
CLAUDIO WIDMANN. UN LIBRO CHE PUÒ ESSERE DEFINITO
L'ANALISI DI UN SOGNO AD OCCHI APERTI.
SI DISTENDONO COSÌ AMPLIFICAZIONI ARCHETIPICHE PRESE DAI PIÙ
SVARIATI AMBITI CULTURALI, PASSANDO PER DIVERSI MOMENTI
TEMPORALI, DALL'ANTICA GRECIA AI GIORNI NOSTRI: MILLENNI DI
STORIA E SIMBOLI CONDENSATI IN QUESTE PAGINE VIVIFICATRICI.
UN LIBRO IN CUI RISPECCHIARMI SU PROIEZIONI DELLA MIA ANIMA
ATTRAVERSO L'ARCHETIPO DEL GATTO.
TUTTAVIA LA QUALITÀ PIÙ BELLA DI UNA LETTURA NON È COSA NE
PENSO IO O DOVE IO MI RISPECCHIO IN ESSA, MA IN QUALI
CARATTERISTICHE CELATE E MANIFESTE DEL GATTO SI RITROVA
OGNI LETTORE CHE SI ACCINGE A SCOPRIRE UNA PARTE DI SÉ.
OGNUNO DI VOI CHE SI AVVICINERÀ A QUESTA LETTURA TROVERÀ
QUALCOSA DI GATTO IN SÉ STESSO, UN PARTICOLARE SEGRETO
NASCOSTO NELL'INCONSCIO DELLA SUA PSICHE, CHE ASPETTAVA IL
MOMENTO GIUSTO PER USCIRE ALLO SCOPERTO. UN MOMENTO
GIUSTO
CHE
NELLA
VITA
PUÒ
ESSERE
DATO
DA
SVARIATI
AVVENIMENTI APPARENTEMENTE CASUALI, E CHE ORA SI MANIFESTA
ATTRAVERSO LE RIGHE DI QUESTO LIBRO, RIGHE EVOCATIVE ED
ESAUSTIVE CHE RIESCONO A CENTRARE APPIENO L'ARCHETIPO
GATTO.
UN LIBRO ARCHETIPICO.
Michele Mezzanotte
CLAUDIO WIDMANN
10
I
n questo articolo parlerò della nascita della Dea
Venere intendendola come la nascita della
distorsione del giudizio dell’Io da parte di una
minima quantità d’amore. Questo concetto,
secondo il mio punto di vista, è metaforizzato negli
occhi di Venere cioè nello strabismo divergente
della dea che filtra l’amore. Come vedremo in
seguito, gli occhi divergenti della Dea possono
essere intesi come il Sole e come la Luna, e
possono essere paragonati ai due cavalli dell’auriga
che tirano il carro in direzioni divergenti. Lo
strabismo di Venere può essere inteso come un’
incantesimo d’amore con cui l’Io deve imparare a
convivere. Quando l’Io impara a convivere con lo
“Strabismo di Venere” (cioè quando l’auriga
impara a tenere i due cavalli che tirano in direzioni
contrastanti) allora la Dea diventa colei che unisce,
tramite la visione divergente. Infatti, vedremo, per
i Sumeri la Dea mostrandosi all’alba e al
crepuscolo (quando la Luna, l’occhio sinistro, e il
Sole,
l’occhio
destro,
sono
presenti
contemporaneamente nel cielo) si presentava come
un legame fra le divinità del giorno e quelle della
notte. Questo legame verrà inteso come un filtro
che permette all’Io di poter accedere al cospetto
dell’amore senza esserne distrutto.
“Già per i Sumeri, Venere era ‘colei che mostra la
via alle stelle’. Dea della sera, favoriva l’amore e
la voluttà; dea del mattino presiedeva alle
operazioni di guerra e alle stragi. Era figlia della
Luna e sorella del Sole. Mostrandosi all’alba e al
crepuscolo, si presentava come un legame fra le
divinità del giorno e quelle della notte. Per ciò suo
fratello era il Sole e sua sorella la dea degli Inferi.
Dalla sua parentela con il Sole – di cui era sorella
gemella – provenivano le sue qualità guerriere;
era detta la valorosa o la Signora delle battaglie.
Tutto questo in quanto stella del mattino. Ma in
quanto stella della sera era influenzata da sua
madre la Luna che predominava facendo di lei la
11
La nascita di Venere, Sandro Botticelli
Particolare, 1482-1485
divinità dell’amore e del piacere. … in quanto dea
dell’amore, regina dei desideri, detta anche
<Colei che anima il godimento e la gioia>, il suo
culto si associava alla prostituzione sacra. Il suo
mito comporta una discesa agli Inferi, il che
spiega il senso iniziatico del simbolismo
venusiano: un re di babilonia la chiama <Colei
che al levare e al tramontare del sole rende buoni i
miei presagi>”1.
Ora sappiamo che Venere era contemporaneamente
intesa come stella del mattino e stella della sera; in
quanto stella del mattino era detta “la signora delle
battaglie”, in quanto stella della sera era detta
“colei che anima il godimento e la gioia” e il suo
culto si associava alla prostituzione sacra.
Prostituzione sacra (prostituire, etimologicamente,
significa “porre davanti”) potrebbe anche
significare che la Dea poneva davanti la sacralità;
sacro è qualcosa che è degno di venerazione.
Venerare significa: implorare gli dèi; domandare
una grazia; indirizzare una domanda a Venere.
Prostituzione sacra quindi potrebbe significare
Gianpio Colarossi
“porre davanti una domanda (una preghiera) che è
degna di Venere”. Ma, che cosa gli viene chiesto
alla Dea? Forse le viene chiesto, implorato, di
essere liberati dalla spudoratezza; e il modo in cui
le viene chiesto ciò, forse, può essere rintracciato
nell’antico rito della prostituzione sacra.
La Prostituzione sacra “rievocazione simbolica di
una Ierogamia e dell’unione dell’umanità con la
divinità, era un rito di fertilità che si praticava in
connessione con un tempio. Ne erano spesso
protagoniste fanciulle vergini di buona famiglia,
oppure anche schiave, o sacerdotesse del tempio,
che nella maggior parte dei casi si univano a
stranieri. … Ogni donna del paese deve andare nel
santuario di Afrodite una volta nella sua vita e
unirsi a un uomo straniero. Nel santuario di
Afrodite si mettono sedute molte donne con una
corona di corda intorno al capo; le une vengono,
le altre vanno. In tutte le direzioni corsie diritte
passano attraverso le donne e percorrendo queste
corsie gli stranieri scelgono. Quando una donna è
giunta li non torna a casa prima che uno degli
stranieri gettandole in grembo del denaro non si
sia unito a lei fuori del tempio. Gettando il denaro
egli deve dire: ‘Io invoco la dea Militta’. Gli Assiri
chiamavano infatti Militta Afrodite. La donna
segue il primo che le abbia gettato del denaro e
non respinge nessuno. Quelle che sono belle di
aspetto e di complessione presto se ne vanno,
mentre quelle di loro che sono brutte rimangono
per molto tempo, non potendo soddisfare la legge;
e alcune tra loro rimangono anche per un periodo
di tre o quattro anni”2.
Sintetizzando possiamo dire quanto segue: la
prostituzione sacra era un rito di fertilità in cui un
uomo, uno straniero, entrava nel tempio di
Afrodite; lì si sceglieva una donna (con la quale
avere un rapporto sessuale) gettandole dei soldi nel
grembo. Dopo il rapporto sessuale (che si svolgeva
fuori dal tempio di Afrodite) la donna era libera e
poteva tornare a casa. La donna doveva restare nel
tempio di Afrodite finché qualcuno non pagava per
fare sesso con lei.
Il rito afferma che la donna era costretta a vendere
il proprio corpo per ottenere la libertà e quindi per
poter uscire dal tempio di Afrodite. In quel rito il
tempio di Afrodite era paragonabile a una prigione
per le donne; se nessun uomo pagava per fare
sesso con loro, non potevano essere libere di
tornare a casa.
Forse un motivo per cui un uomo si recava nel
tempio di Venere e pagava una donna per poter
avere con lei un rapporto sessuale era finalizzato a
provare un orgasmo sessuale. L’orgasmo può
essere inteso come la morte di un incantesimo
d’amore. Dopo un orgasmo l’uomo diventa
refrattario al desiderio sessuale; la donna può
avere vari orgasmi, uno dopo l’altro. Quindi, forse,
l’uomo pagava una donna, sia per avere un
rapporto sessuale con lei, sia per poter essere
refrattario al desiderio sessuale. Essere refrattario
al
desiderio
sessuale
significa
essere
temporaneamente
immune
all’incantesimo
d’amore, acceso da Venere, che toglie il pudore
agli uomini (maschi e femmine).
Volendo intraprendere una lettura intrapsichica,
cioè psicodinamica, del rito su esposto, possiamo
affermare quanto segue: un complesso psichico
(che possiamo osare di denominare “incantesimo
di Venere”), depotenziando le barriere psichiche
del pudore, influirà sul complesso dell’Io; di
conseguenza una persona, il cui Io è sotto gli
effetti dell’influsso dell’incantesimo di Venere, si
comporterà in modo poco morale o addirittura
spudorato. L’orgasmo sessuale (che può essere
paragonato a un antidoto per l’influsso del
complesso di Venere che agisce sull’Io) può essere
considerato come quella particolare sensazione
psichica che l’Io ricerca per ristabilire il senso del
pudore nella psiche. Forse la sessualità è un mezzo
(“meccanico”?) che l’uomo ha a disposizione per
raggiungere quella sensazione, quell’antidoto,
quella attivazione psichica, chiamata orgasmo o
anche “piccola epilessia”, che gli occorre per
ristabilire le barriere del pudore. Forse questo
discorso può dare anche senso alla masturbazione,
intesa come ricerca di quell’antidoto per
disattivare l’immoralità.
Il desiderio sessuale può essere considerato un
incantesimo d’amore.
“All’epoca della seconda guerra punica risale
l’introduzione del culto di Venus Erycina della
Sicilia. All’anno 114 a.C. si data l’apertura a
Roma di un tempio dedicato a Venere Verticordia,
ossia colei che trasforma il cuore umano. … È
stata avanzata l’ipotesi di un collegamento tra il
nome della dea (che corrisponde al sostantivo
venus, neutro) e il termine venia (‘favore’,
‘grazia’) e venenum (che vale prima di tutto
‘fascino magico’). La stessa radice ha anche il
verbo
veneror,
che
indica
propriamente
l’atteggiamento che deve tenere chi desidera
12
Lo Strabismo di Venere
ottenere il favore divino. Il concetto di venus è
stato messo quindi in relazione con un ambiente di
religiosità magica e si prestava ad indicare una
divinità benevola e propizia”3.
Afrodite, per ordine di Giunone, fu l’autrice del
primo incantesimo d’amore che aveva lo scopo di
eliminare il pudore alle persone colpite da tale
incantesimo.
L’incantesimo di cui Afrodite si servì per
soggiogare Medea all’amore di Giasone fu la
prima magia d’amore praticata tra gli uomini.
Afrodite “prese l’uccello chiamato torcicollo o
cutrettola e ne inchiodò i quattro arti ai raggi di
una ruota, poi la fece girare vorticosamente in aria
pronunciando formule magiche; così Medea
dimenticò il pudore e fu presa dal desiderio di
tradire padre e famiglia per amore di quello
straniero. Questo incantesimo (che i latini
chiamavano rota amoris) si usò da allora in poi
per infondere amore nelle persone amate”4.
In Pindaro leggiamo: “la signora dai dardi
accuminati, la dea nativa di Cipro, aggiogato
dall’Olimpo il torcicollo screziato ai quattro raggi
della ruota ineludibile, portava per la prima volta
agli uomini l’uccello che fa delirare e insegnava al
saggio figlio di Esone incantesimi di supplica
perché strappasse a Medea il rispetto verso i
genitori e desiderio di Grecia la agitasse, ardente
in cuore, con la sferza di Persuasione. E subito gli
mostrava come superare i cimenti posti dal padre,
e mescolati con olio succhi d’erbe, lenimenti ad
aspri dolori, glieli porse perché se ne ungesse, e si
accordarono di unirsi in dolce connubio”5.
Ora vediamo brevemente le vicende di Giasone e
di Medea e poi vediamo quali furono gli effetti
dell’incantesimo d’amore nella mente di Medea.
“Secondo il responso di un oracolo, Eete, figlio del
Sole, avrebbe conservato il suo regno fintantoché il
vello che Frisso aveva consacrato fosse rimasto
nel tempio di Marte. Perciò Eete stabili che
Giasone, se voleva portare via il vello d’oro,
doveva superare questa prova: mettere un giogo di
adamante a due tori dagli zoccoli di bronzo che
esalavano fiamme dalle narici e poi arare e
seminare, gettandoli da un elmo, i denti del drago,
da cui subito sarebbero sorti altrettanti uomini
armati che si sarebbero uccisi tra loro. Giunone
però volle come sempre salvare Giasone, perché
una volta era giunta a un fiume e, per mettere alla
prova le menti degli uomini, aveva assunto le
sembianze di una vecchia e chiesto di essere
13
trasportata sull’altra sponda; Giasone lo aveva
fatto, mentre altri, passati di li prima di lui,
l’avevano trattata con disprezzo. Perciò, poiché
sapeva che Giasone non avrebbe potuto portare a
termine l’impresa che gli era stata imposta senza
l’aiuto di Medea, Giunone chiese a Venere di
infiammare Medea d’amore per lui. Così, per
istigazione di Venere, Giasone fu amato da Medea
e grazie a lei superò ogni pericolo”6.
Adesso, tramite le Metamorfosi di Omero,
vedremo quali furono gli effetti dell’incantesimo
d’amore nei ragionamenti di Medea. “… una gran
fiamma si accende nel cuore della figlia del re, la
quale, dopo avere a lungo lottato, quando vede di
non poter vincere con la ragione quella folle
passione dice: <Invano, Medea, cerchi di
resistere: dev’esserci qualche dio che si oppone.
Strano comunque se non fosse questo (o almeno
qualcosa di molto simile a questo), quel
sentimento che è chiamato amore. E infatti, perché
gli ordini di mio padre mi sembrano troppo duri?
Però… sono troppo duri davvero! Perché ho paura
che muoia uno che vedo ora per la prima volta?
Quale è la causa di tanta paura? Scaccia dal tuo
petto di vergine la fiamma che vi si è accesa, se ci
riesci, infelice! Se ci riuscissi… avrei la mente più
a posto. E invece, mio malgrado, un impulso mai
prima provato mi trascina, e la bramosia mi
consiglia una cosa, la mente un’altra. Vedo il bene
e lo approvo, e seguo il male. Perché, principessa,
bruci per uno straniero e sogni nozze con uno di
un mondo che non è tuo? Anche in questa tua terra
potrai trovarlo, un essere da amare. Che lui
sopravviva oppure perisca, dipende dagli dèi. Che
sopravviva, però! Questo si può augurare anche
senza essere innamorate. E del resto, che male ha
fatto Giasone? Bisognerebbe essere ben crudeli,
per restare insensibili alla giovinezza, alla nobiltà,
al valore di Giasone! Anche se non avesse altro,
chi non incanterebbe con quel suo viso? Almeno il
mio cuore… l’ha incantato. Ma se non verrò in suo
aiuto, sarà bruciato dal fiato infuocato dei tori, si
scontrerà con nemici che spunteranno dal suolo su
cui avrà seminato, o finirà crudelmente preda
dell’ingordo drago. Se io permetterò una cosa
simile, dovrò ben dire di essere nata da una tigre,
di portare nel cuore ferro e sassi! E perché anzi
non assisto anche alla sua morte contaminandomi
gli occhi con quello spettacolo? Perché non aizzo
contro di lui i tori e i feroci figli della terra e il
drago che non muore mai? Speriamo in bene, o
Gianpio Colarossi
dèi!... Benché, che sto a pregare? Devo fare! Ma
allora venderò il regno di mio padre, e questo
straniero (e chi lo conosce?) si salverà grazie al
mio aiuto per poi spiegare le vele ai venti senza di
me, una volta scampato, e sposare un’altra mentre
io, Medea, rimango nei guai? Se è capace di fare
una cosa del genere, di preferirmi un’altra, muoia,
l’ingrato! Ma no… Ha un’aria così buona, un
animo così nobile, una figura così gentile, che non
ho da temere che m’inganni e dimentichi i meriti
miei. E prima mi darà la sua parola, e pretenderò
che gli dèi siano testimoni del nostro patto. Di che
hai paura, se sei al sicuro! All’opera dunque,
senza più indugi! Giasone ti dovrà gratitudine
eterna, si unirà a te con nozze solenni, e in tutta la
città dei Pelasgi folle di madri inneggeranno a te
chiamandoti salvatrice. E così io lascerò sorella e
fratello e padre e dèi e terra natale, portata via dai
venti? Veramente… mio padre è cattivo, veramente
la mia terra è barbara, mio fratello è ancora un
bambino, mia sorella sta dalla mia parte, e un dio
grandissimo è in me. Lascerò cose non grandi, per
cose grandi: la gloria di aver salvato i giovani
Achei, la conoscenza di un paese migliore, e città
la cui fama è giunta perfino qui, e usi e costumi dei
vari popoli, e colui che non cederesti per tutto
l’oro del mondo, il figlio di Esone, lo sposo col
quale sarò per tutti la donna più felice e più cara
agli dèi e toccherò le stelle! Però… non si parla di
non so quali montagne che si scontrano in mezzo
al mare, di Cariddi pericolosa per navi, che ora
risucchia ora rigetta le acque di uno stretto, di
Scilla vorace che ricinta di cani feroci latra sugli
abissi del mare di Sicilia? Sarà, ma stretta al mio
amore, in grembo a Giasone, a lui aggrappata, me
ne andrò per lunghe distese marine. Nulla temerò,
abbracciata a lui, o se avrò paura di qualcosa,
avrò paura solo per mio marito. Ma… lo consideri
proprio un matrimonio, Medea? Non è questo un
nome specioso con cui mascheri la tua colpa?
Guarda piuttosto che grande empietà stai per
commettere, e finché sei in tempo, evita questo
crimine!>. Così ragionava, e davanti ai suoi occhi
si erano parati la rettitudine, il dovere, il pudore, e
la voglia amorosa, sconfitta, già voltava le spalle.
Essa si stava recando agli antichi altari di Ècate,
figlia di Perse, celati in un bosco ombroso, in una
macchia appartata. E ormai si sentiva forte, e
l’ardore represso tendeva a svanire, quando scorse
il figlio di Esone, e la fiamma sopita ridivampò. Le
si arrossirono le guance, si arroventò in tutto il
viso, e come la piccola favilla rimasta nascosta
sotto un velo di cenere suole prendere alimento dal
vento, e crescere, e agitata risorgere e riacquistare
il perduto vigore, così quell’amore già fiacco, che
ormai avresti detto languente, si riaccese, come
essa vide il giovane, di fronte a tanta bellezza. E
per caso quel giorno il figlio di Esone era ancora
più bello del solito: scusiamola, se rimase
incantata. Lo guarda, e tiene gli occhi fissi sul suo
volto, come se solo ora finalmente lo vedesse, e
smarrita crede di vedere il viso di un dio, e non se
ne distacca. Ma quando lo straniero comincia a
parlare e prende la destra e sottovoce le chiede
aiuto e le promette di sposarla, allora prorompe in
lacrime e dice: <So bene cosa sto facendo, e se
sbaglio non è perché ignoro come stanno le cose,
ma perché ti amo. Ti salverai, grazie a me, ma una
volta salvato, mantieni le promesse>. Lui giura sui
misteri di Ècate triforme, la divinità che si
presume presente in quel bosco, e sul Sole, padre
del futuro suocero, che vede ogni cosa, e sul
successo della propria pericolosa impresa. È
creduto, e subito riceve delle erbe magiche,
impara come bisogna servirsene, e tutto contento
si ritira”7.
Abbiamo precedentemente affermato che il
mistero che l’Io percepisce al cospetto di Venere è
rintracciabile negli occhi della Dea.
“Se gli occhi discernono il mondo esteriore,
possiedono anche un fattore di magnetismo (cioè
esercitano un’influenza occulta e potente simile a
quella del fluido magnetico della fisica, per
esempio nell’ipnosi e nella suggestione), la cui
azione può essere tanto misteriosa quanto
possente: ‘avere lo sguardo magnetico’, ‘gettare il
malocchio’. Gli occhi riflettono lo stato fisico, ma
soprattutto psichico, dell’individuo, perché
emozioni come i sentimenti, le passioni, la gioia,
la tristezza, l’agitazione, la collera, l’astenia, la
voluttà, si manifestano nello sguardo. Per questo
gli occhi vengono anche definiti ‘specchio
dell’animo’. L’occhio evoca innanzi tutto la chiara
visione
delle
cose,
in
contrapposizione
all’accecamento dell’Io; la luce contrapposta
all’ombra;
la
chiarezza
della
coscienza
contrapposta alle tenebre dell’incoscienza. In
molte religioni, l’occhio destro è assimilato al sole
e il sinistro alla luna; entrambi, cioè, sono
assimilati ai due luminari celesti. Consideriamo,
per esempio, la mitologia egizia. Si credeva che
Horus, in origine dio del cielo, poi dio del sole
14
Lo Strabismo di Venere
possedesse un occhio-sole e un occhio-luna; il
primo ispirava terrore ed equivaleva al potere
paterno, il secondo significava morte e rinascita
(fasi oscure e luminose della luna) ed equivaleva
al potere della madre”8.
La dea Venere ha gli occhi divergenti: l’occhio
destro (personificato dal Sole, simbolo della luce,
della chiarezza, della razionalità) diverge
dall’occhio sinistro (personificato dalla luna,
simbolo dell’Inconscio personale e collettivo); ciò
significa che nel momento in cui l’occhio destro
cerca di dirigere l’interesse verso una determinata
meta, accadrà che l’occhio sinistro cercherà di
dirigere la libido verso un’altra meta.
“<Su tutte le cose, si possono fare affermazioni
esattamente contrarie>, diceva il filosofo greco
Protagora.
Questo
aforisma
si
rivela
particolarmente giusto nel simbolismo del Terzo
Occhio, o Occhio Unico, che può essere
l’espressione tanto della coscienza totale finale
quanto dell’incoscienza totale primordiale.
Usciamo dall’ ‘accecamento’ dell’incoscienza solo
in proporzione della ‘visione’ della nostra
coscienza; si può concepire l’occhio unico come
l’immagine tanto di questa ignoranza, quanto di
questa conoscenza (nel senso indù dei due
termini)”9.
La religione Cristiana raffigura l’occhio di Dio
tramite il Delta Mistico. Nel Delta Mistico vi è
raffigurato un occhio, quello di Dio, quello della
visione monoteistica, che sembra voler dire che i
due occhi di Dio sono come fossero uno perché
entrambi percepiscono la stessa visione.
“Presso i Maya, le rappresentazioni delle divinità
presentano spesso uno strabismo convergente, che
sottolinea la perfetta armonia degli opposti,
perché gli sguardi dei due occhi si uniscono a
qualche centimetro dal volto (unità degli opposti),
come si può osservare nei templi delle città di
Palenque, in Messico. Possiamo dire, a proposito
dell’Occhio Unico, del Terzo Occhio, e dello
strabismo convergente, che queste immagini
indicano che non vi è più visione da destra e
visione da sinistra, verità da destra e verità da
sinistra … <La Verità che ci renderà liberi … è
una nella percezione delle cose e implica l’unità
della saggezza>. L’occhio unico, nel suo aspetto
positivo, è dunque l’immagine della visione
perfetta della realtà, della coscienza totale, perché
è stata raggiunta la non-dualità, il Nirvana. …
L’occhio unico, come tutti i simboli, può apparire
15
anche sotto un aspetto negativo, se le forze occulte
delle passioni e degli istinti grossolani non sono
differenziati dalla presa di coscienza. Nella
tradizione cristiana, il diavolo vien talvolta
rappresentata con un occhio solo e la mitologia
greca parla dei Ciclopi di Omero, che non hanno
niente in comune con i Ciclopi di Efesto. Sono
uomini di statura gigantesca, di una bruttezza
repellente, con il loro occhio unico al centro della
fronte, che abitavano la costa sud-ovest della
Sicilia. Erano dediti alla vita pastorale, ma erano
grossolani, malefici, e vivevano isolati nelle
caverne, sgozzando gli stranieri che approdavano
alla loro riva, allo scopo di divorarli. Il più noto
era Polifemo. … Anche nella mitologia celtica e
nelle leggende irlandesi si trovano degli esseri
oscuri, deformi, titanici, che hanno un unico
occhio e son dotati di poteri straordinari
(malocchio), che evocano le forze brutali non
ancora illuminate dallo spirito, con le loro
influenze nefaste sugli esseri viventi. È evidente
che questa categoria dei Ciclopi e dei Giganti
primitivi conduceva una vita animalesca, quindi
quasi incosciente, perché, dice Jung, <l’inconscio
è uno stato prossimo alla Natura e all’animalità>.
In questi esseri i dualismi, non ancora
differenziati, sono fusi. Lo Yin e lo Yang non
possono ancora giocare il loro ruolo duale che
porta all’iniziazione (latino initiare, dar inizio
cominciare) ai misteri del processo di
individuazione, che può compiersi solo attraverso
la presa di coscienza del mutuo gioco degli
opposti”10.
Lo “strabismo di Venere” (che è un termine
popolare che sta al posto del temine medico
“strabismo
divergente”)
inteso
in
senso
concretistico è una anomalia nella posizione degli
occhi che altera la normale visione parallela degli
stimoli visivi; inteso in senso metaforico, cioè nel
senso di una condizione psichica e non fisica, può
essere compreso paragonandolo al mito dell’auriga.
“L’auriga, conduttore dei carri nei giochi
dell’ippodromo e del circo, era il più delle volte
uno schiavo ma un servo talvolta così abile che il
padrone gli faceva innalzare una statua. L’auriga
di Delfi è la statua di un conduttore di carri,
vincitore: vestito di una lunga tunica tiene nella
mano destra le redini. È il simbolo stesso della
calma, della padronanza di sé, del dominio delle
passioni. Egli riconduce il molteplice che è in noi
all’unità della volontà e della direzione. Di fronte
Gianpio Colarossi
ai movimenti ardenti e discordanti del cavalli, cioè
dei nostri istinti e delle passioni, l’auriga è la
ragione duttile e capace di adattamento, vigilante
e insieme inflessibile. Con un semplice movimento
delle dita, riconduce il cavallo riottoso alla
disciplina come la ragione riconduce all’equilibrio
e alla saggezza. Ma senza l’ardore dei cavalli e
delle passioni, non potrebbe nulla. Questo tiro di
cavalli che è l’anima, lacerata da opposte
tendenze, l’auriga lo conduce e la sua serenità
grave ma non arcigna rappresenta l’equilibrio
interiore, fatto di tensione tra forze diverse. La
mano che tiene le redini rappresenta perfettamente
il nodo che collega le forze dello spirito e quelle
della materia. Questo simbolismo può essere
avvicinato a quello del mito platonico del carro
alato”11.
Precedentemente ho riportato i pensieri che,
secondo Le Metamorfosi di Omero, passarono
nella mente di Medea colpita dall’incantesimo
d’amore di Venere; in quel monologo troviamo
frasi interrogative che seguono e contrastano frasi
esclamative (Medea afferma a se stessa: “Scaccia
dal tuo petto di vergine la fiamma che vi si è
accesa, se ci riesci, infelice! Se ci riuscissi … avrei
la mente più a posto. E invece, mio malgrado, un
impulso mai prima provato mi trascina, e la
bramosia mi consiglia una cosa, la mente
un’altra”12). Frasi interrogative e frasi esclamative
possono essere considerate come punti di vista
divergenti (l’occhio destro esclama e l’occhio
sinistro reclama), pensieri divergenti, nei riguardi
di un medesimo argomento, che passano nella
mente di Medea.
Lo strabismo di Venere (inteso a livello psichico e
non a livello fisico), inteso come un incantesimo
d’amore, si manifesta nella psiche di un individuo
attraverso punti di vista contrastanti nei riguardi di
un medesimo argomento: per esempio nella psiche
di un uomo pensieri di bramosia esclamano un
proprio punto di vista nei riguardi di una donna
mentre pensieri ragionevoli reclamano il proprio
punto di vista nei riguardi della medesima donna.
Ci chiediamo: come si risolve tale dilemma? Quale
pensiero seguiamo: quello di destra o quello di
sinistra? La bramosia o la razionalità? Come
facciamo a scegliere? C’è un modo per scegliere?
Per cercare di dare una risposta a queste domande
possiamo rivolgerci alla fisica meccanica. Innanzi
tutto dobbiamo tenere in considerazione il mito
dell’Auriga e sapere che, quando ci vengono in
mente pensieri contrastanti verso la stessa meta, è
come se stessimo guidando un carro trainato da
due cavalli che tirano in direzioni non parallele.
Quel carro procederà per vie traverse, oblique, non
procederà per vie diritte. Perché? Perché, in fisica,
la risultante di due forze che spingono in direzioni
diverse (per esempio due forze una delle quali
spinge a Nord e l’altra spinge a Est, quindi due
forze che spingono a 90° una rispetto all’altra)
come risultante darà una unica forza che spinge a
Nord-Est quindi, più o meno, al 45° grado NordEst. Se applichiamo ciò allo strabismo divergente,
inteso come strabismo psichico, possiamo capire
quanto segue: l’occhio destro (il cavallo destro
dell’auriga; la coscienza dell’uomo civilizzato)
cercherà di spingere la libido, (l’interesse,
l’energia psichica, ciò che la ragione persegue)
verso una determinata meta; l’occhio sinistro (il
cavallo sinistro dell’auriga, la parte inconscia, la
parte complessata della psiche umana) spingerà la
libido verso un’altra meta diversa dalla meta scelta
dell’occhio destro. Nella psiche di un individuo la
direzione che percorrerà la libido sottoposta
all’influsso dello strabismo di Venere, sarà una
direzione obliqua (non sarà la diritta via), sarà data
dalla nascita di un compromesso e cioè dalla
nascita di una visione della realtà concreta distorta
da un filtro d’amore.
Ma cosa accade, nei pensieri di una persona,
quando il giudizio nei riguardi della realtà concreta
viene distorto dal potere di Venere?
Prima di rispondere alla domanda dobbiamo
premettere che Venere era la Dea degli incantesimi
d’amore, dei filtri d’amore, non dell’amore puro.
Ora, per rispondere alla domanda, possiamo dire
che può succedere (per esempio) che la persona si
innamora. L’innamoramento può essere inteso
come un compromesso, cioè come la risultante
delle due forze psichiche contrastanti (occhio
destro, occhio sinistro) di cui parlavamo poc’anzi.
Quindi l’amore è un inganno? È un’illusione? È
una via traversa? È una diplopia? È un
incantesimo?
Tutte queste domande non riguardano l’amore ma
l’innamoramento. L’essere umano, il complesso
dell’Io dell’essere umano, è troppo fragile per
poter entrare a contatto con l’essenza pura
dell’amore. Forse questo è ciò che comunica lo
strabismo degli occhi di Venere; forse quegli occhi
posti in quel modo vogliono intendere che l’essere
umano non può guardare negli occhi la Dea
16
Lo Strabismo di Venere
dell’amore senza avere quella vaga (ma
determinante) impressione di non essere al centro
dell’attenzione.
Quella vaga sensazione che un uomo prova al
cospetto di una donna con occhi di Venere (e cioè
quella sensazione di non essere direttamente al
centro dell’interesse della Dea dei filtri d’amore) è
paragonabile agli effetti protettivi della maschera
da saldatura che utilizza il fabbro quando si
accinge a saldare il ferro o altri tipi di metalli. Il
fabbro non può guardare direttamente la violenta
luce sprigionata dalla fusione dell’acciaio
dell’elettrodo da saldatura (per guardarla ha
bisogno di una maschera, la maschera da saldatura)
perché quella luce, troppo violenta per l’occhio
umano, lo renderebbe cieco in poco tempo.
Fuori di metafora, possiamo affermare che l’uomo
(l’Io della psiche umana) può essere accecato
(annientato) dalla violenza dell’amore, e che lo
strabismo di Venere è un filtro protettivo, un filtro
d’amore, che può far provare all’uomo (attraverso
l’innamoramento)
una
minima
quantità
(sopportabile per l’Io) di amore allo stato puro.
Bibliografia e Note
1. Chevalier, J. Gheerbrant, A. Dizionario dei
simboli, vol. 2, p. 538
2. A., Ferrari, Dizionario di mitologia, vol.2, pp.
311-312
3. Idem, p. 532
4. Igino, Miti, Adhelphi, Milano, 2005, nota 176, p.
226
5. Pindaro, Pitiche, 4, 215-225
6. Igino, Miti, 22
7. Ovidio, Metamorfosi VII, 10-99
8. De la rocheterie, J., Il corpo nei sogni, p. 183
9. Idem, p. 187
10. Idem, pp. 189-190
11. Chevalier, J. Gheerbrant, A. Dizionario dei
simboli, vol. 1, pp. 116-117
12. Ovidio, Metamorfosi VII, 19-22.
17
Gianpio Colarossi:
psicologo, psicoterapeuta in formazione al quarto
anno del Corso quadriennale di Specializzazione
in Psicoterapia dell’Istituto di Psicoterapia Atanor
dell’Aquila. Nel maggio 2007 è nominato Cultore
della materia MPSI01 Psicologia Generale presso
la Facoltà di Scienze della Formazione
dell’Università degli Studi dell’Aquila. Nel
dicembre 2007 è nominato Cultore della materia
Elementi di Psicoterapia di Gruppo MPSI07
presso la Facoltà di Psicologia dell’Università
degli Studi dell’Aquila. Tra le sue pubblicazioni
figurano Anima e sangue (Pescara, Samizdar,
2005), L’alba del soldato (Impronte, n°10 anno
IV), Per mezzo di una pietra l’Aquila tornerà a
volare (quaderni di psicologia archetipica, n°1
anno 2009), Il canto del balbuziente e la tartaruga
canora (www.risvegliodiebe.it), La maschera del
tormento (www.risvegliodiebe.it), La speranza
della prima donna (www.animafaarte.it).
In Anima-Azione
LE CONVERSAZIONI DEL VENERDÌ
CENTRO STUDI DI PSICOLOGIA E LETTERATURA FONDATO DA ALDO CAROTENUTO
LE CONVERSAZIONI
SONO
STATE
DEL
VENERDÌ
INAUGURATE
DAL
"CENTRO STUDI DI PSICOLOGIA E
LETTERATURA" FONDATO DA ALDO
CAROTENUTO IL 14 OTTOBRE 1994.
SI TENGONO IN MANIERA INFORMALE
A ROMA, IL SECONDO VENERDÌ DEL
MESE, DA OTTOBRE A GIUGNO, CON
L'ECCEZIONE DI APRILE, CHE È IL
MESE DEDICATO AL CONVEGNO. GLI
ARGOMENTI TRATTATI RIGUARDANO:
LA PSICOLOGIA DEL PROFONDO, LA
LETTERATURA, LA CREATIVITÀ, L'ARTE
NELLE SUE DIVERSE ESPRESSIONI, IL
SOGNO, IL MITO, LE RELIGIONI, LA
COMUNICAZIONE E I FENOMENI DI
ATTUALITÀ.
CALENDARIO DELLE CONVERSAZIONI DEL VENERDÌ 2013
11 GENNAIO 2013: TWILIGHT: FILOSOFIA DELLA VULNERABILITÀ. A CURA DI MONIA ANDREANI;
8 FEBBRAIO 2013: ALDO CAROTENUTO TRA CINEMA E LETTERATURA (A CURA DEI SOCI)
8 MARZO 2013: L’OMBRA DELLE LUCCIOLE. CONVERSAZIONE A CURA DI TUTTE LE DONNE DEL CSPL.
30 MARZO 2013: PRESENTAZIONE DEL LIBRO MONDI INVISIBILI, FRONTIERE DELLA PSICOLOGIA
TRANSPERSONALE DI VIRGINIA SALLES.
SABATO 13 APRILE 2013 (ORE 10-16): 14° CONVEGNO
(SEDE ANCORA DA CONFERMARE)
DEL
CSPL: CRISI.GLOBALE@PSICHE
10 MAGGIO 2013: LA PSICOLOGIA DI SANTA EDITH STEIN. A
INTRODUCE ANTONIO DORELLA.
14 GIUGNO 2013: DECIMA CONVERSAZIONE
LUISA DE PAULA E BENEDETTA RINALDI.
SUL SOGNO:
CURA DI
ANGELA ALES BELLO.
IL SOGNO SENZA INCONSCIO. A
CURA DI
DOVE:
LIBRERIA OFFICINA LITHOS, VIA VIGEVANO 2, ROMA
QUANDO:
SECONDO
VENERDÌ DEL MESE (OTTOBRE - GIUGNO), ORE 21,30
INGRESSO LIBERO, NON OCCORRE PRENOTARE!
18
M.C. Escher (1944): Begegnung (Incontro) Litografia.
C
i accingiamo a parlare di un tema che in
psicologia risulta talmente consolidato da
necessitare di una ricerca etimologica per sondarne
l’origine. Proiezione e introiezione sono, infatti,
termini che costituiscono lo scheletro, le
fondamenta della psicologia, e tale assunto risulta
non avere soluzione di continuità nel passaggio da
una scuola di pensiero all’altra. Qui ci muoveremo
in un ambito squisitamente analitico-archetipico
per introdurre un nuovo termine che si andrà ad
aggiungere ai due citati a generare una trinità per
una dialettica più circolare rispetto a quella duale.
Tale termine è “Estroiezione” e nel definirne il
significato promuoveremo in embrione una teoria
evoluzionistica dell’archetipo.
Proiezione e introiezione sono termini che vengono
considerati di significato opposto. Se con
19
proiezione ci riferiamo a quel processo secondo
cui caratteristiche indesiderate ovvero complesse o
parzialmente estranee, vengono attribuite a
individui-animali e/o oggetti esterni al fine di poter
essere elaborate distanziandosene difensivamente;
con introiezione ci riferiamo al processo che vede
l’attribuzione
introversa
delle
medesime
caratteristiche una volta elaborate e digerite ovvero
una volta che la psiche le abbia attivate
internamente a se stessa.
L’introiezione
assume
una
connotazione
decisamente positiva e evolutivamente avanzata
rispetto alla proiezione che rimanda a uno stile
difensivo e quindi, per definizione, meno
desiderabile, per lo meno nella cultura nella quale
viviamo. In verità entrambi i processi, se
inflazionati,
producono
configurazioni
di
Luca Urbano Blasetti
personalità patologiche. Così una psiche che
adopera la proiezione incondizionatamente non si
confronterà mai con elementi indesiderabili, con la
propria ombra e risulterà quindi fissata
evolutivamente senza possibilità di crescita.
Siffatta inflazione non consentirà, altresì, alcuna
possibilità di attribuzione di caratteristiche, risorse,
energie, utili alla psiche. Portata a conseguenze
estreme questa configurazione psichica conduce al
non essere, conduce alla aberrante condizione di
essere mero osservatore di una vita le cui
caratteristiche e peculiarità energetiche sono
attribuite a terzi: “Io non sono poiché tutti gli altri
sono me”.
Nel teatro della psiche ciò è accettabile nella
misura in cui alla proiezione si alterna
l’introiezione, in una dialettica che vede i
personaggi del “dramma teatrale” alternarsi all’”Ioregista” che, a sua volta, prende parte e si
appropria dei personaggi, interagendo con loro sul
palco o osservandoli dalla platea. L’inflazione
della proiezione parla di un teatro in cui non solo
manca l’Io regista ma manca proprio il suo corpo.
Trattasi della nostra vita vissuta da terzi per paura
di viverla.
Attribuire a se stessi ogni caratteristica o energia
psichica ci parla, invece, di un preoccupante ritiro
sociale. Ci parla della tendenza a attribuirsi
incondizionatamente meriti e demeriti, energierisorse, sia nell’accezione positiva quanto in quella
negativa. Trovarsi in un teatro osservando dalla
platea i molteplici se stessi che impersonano le
diverse parti del dramma è sicuramente la
condizione a cui anela il saggio, il sapiente,
l’asceta, il mistico. E’ condizione che si pone come
punto d’arrivo in un ottica archetipico-immaginale.
Ciò nonostante è più spesso il prodromo di un
delirio di onnipotenza che rimanda a fasi evolutive
primitive, che rimanda all’incapacità di distinguere
tra se e gli altri che rimanda a quei deliri che
costituiscono nucleo psicotico di molte patologie.
Rimanda, altresì ad un’assenza di desiderio, a un
ritiro libidico.
Jung cita Von Grot per suggerire che l’energia
psichica è paragonabile a quella della fisica e che,
parimenti, ne segue le leggi. Poi si divincola dalla
trattazione di temi della fisica e, trattando di
alchimia, si occuperà dell’impiego dell’energia
psichica in termini di introiezione e proiezione.
L’alchimia è per l’appunto la sintesi della dialettica
tra proiezione e introiezione. L’uomo per spiegarsi
e per regolamentare le energie psichiche le proietta
sui metalli per processarle in ambiente protetto e
poi riappropriarsene reintroiettando l’energia
sublimata, soluta, coagulata, calcinata, mortificata
ecc.
L’alchimia è la rappresentazione più sublime della
dialettica del desiderio. Vitale nel chiarire i
contenuti del Rosarium Philosophorum lo spiega
molto bene. Un bisogno primario si trasforma in
desiderio e quindi in energia. A questo punto
questa quantità di energia ha bisogno di un oggetto
per trasformarsi. Nel caso in cui si tratti di fame la
questione si risolve nell’attribuire al cibo l’energia,
reintroiettandola nella concretezza cibandosi
dell’oggetto. Se si tratta di componenti psichiche
la questione avviene nel medesimo modo ma a
livello immaginale. Facendo un esempio
autobiografico, la ricerca di fluidità e di leggerezza
da parte di un soggetto incapace in tal senso, si
esprime attribuendo a dei pattini (rollerblade) tale
caratteristica. In verità tale risorsa è già presente
intrapsichicamente ma inattiva. L’inflazione della
non fluidità e di uno stile dell’eloquio
arzigogolato, ha certamente un suo telos, che ha
ingoiato difensivamente la sua enantiodromia. La
proiezione è quindi un metodo per concretizzare
parti psichiche inattive e sublimarle attraverso un
rito operato nella concretezza al fine di
promuovere l’introiezione della parte lavorata.
Distanziare parti indesiderate, o che inducono ad
azione indesiderata, ha come fine di ridurne
l’impatto energetico e renderle digeribili attraverso
un rito. In tal senso il rito è evidente nella
dinamica di coppia: attribuire al partner istanze
abbandoniche proprie ne permette l’elaborazione e
la trasformazione attraverso il tentativo di
insegnare al partner i buoni motivi dello stare
insieme. Oppure attribuire alla propria madre una
tendenza
all’invischiamento
permette
l’elaborazione del proprio stato di dipendenza. La
dinamica del Re e della Regina che si uniscono in
bagni successivi fino a formare l’ermafrodito
rimanda proprio a tutta questa dinamica di
proiezione-introiezione.
Vitale e con lui Perilli, ma prima di loro Hillman
hanno in tal senso inaugurato una diatriba
sull’esistenza o meno dell’Io e quindi della
legittimità della distinzione tra inconscio
e
conscio. Personalmente ritengo che conscioinconscio siano una mera questione di memoria e
di mnemosine, ma non è questa la sede. Questa è
20
Estroiezione
la sede in cui fare cenno all’esistenza o meno
dell’Io.
Chi è che sogna? Chi è che proietta e introietta e
dove? Il pantheon psichico, teorizzato da Jung e
che Hillman ha consolidato, ci prospetta una
psiche in cui l’Io non esiste, in cui le parti con
maggior energia prendono il sopravvento sulle
altre e assumono il ruolo di IO. L’unico principio
regolatore sembrerebbe essere quello di Ananche,
secondo necessità.. Est modus in Rebus. L’Io è,
quindi, un complesso che ha la stessa probabilità di
prendere l’unico “microfono” sul palco.
In quest’ottica potremmo dire che se Freud era un
nevrotico isterico con una fissazione sessuale, Jung
era uno psicotico mentre Hillman un dissociato
con personalità multipla. In tal senso la
moltiplicazione degli Io risulta giustificata.
Resta ancora molto grande la fetta di teorici che
non rinunciano all’idea dell’Io e non nego di essere
stato tra di loro. Un moderatore che abbia un certo
margine di manovra sul palco su cui si svolge il
dramma risulta l’invenzione più efficace dalla
nascita di Cristo in poi. “Estremamente efficace”
da essere panacea per la psicopatologia più di
quanto non lo sia la psicologia.
Proiezione e introiezione non potrebbero infatti
aver senso se non in funzione di un locus psichico
rispetto al quale avvenire. Proiettare e introiettare
da dove e verso dove? Così ci troviamo di fronte
alla negazione di un IO che però continua a
teorizzare processi che lo riguardano.
Lasciando però ad altri l’onere di dirimere tale
questione, qui ci vogliamo concentrare sul fatto
che i due processi citati potrebbero plausibilmente
coinvolgere contenuti archetipici.
Nell’etere si trovano le affordance di Gibson, le
immagini di Corbin e di Hillman e gli archetipi.
Tali immagini ci attraversano e sono energia in
trasformazione che si modifica secondo regole
alchemiche. Tali immagini preesistono a noi e noi
siamo solo vile materia che le immagazzina. Come
materia non portiamo nulla se non la memoria
della materia stessa. La materia è, però, il locus
espressivo dell’energia.
Più semplicemente stiamo cercando di fare una
riflessione sulla relazione che il nostro corpo ha
con il mundus immaginalis. Vogliamo riflettere sul
fatto che le immagini sono ritenute, dai teorici or
ora citati, essere nell'etere, attraversarci.
Preesistono al nostro corpo e noi le peschiamo
nella dinamica di proiezione introiezione. Ma il
21
nostro corpo che ruolo ha?
Come il cristianesimo, ci suggerisce Pereira, ha
inflazionato lo spirito, l’alchimia lo ha fatto con la
materia. Ma cosa porta di nuovo la materia nel
mundus
immaginalis?
La
materia
viene
attraversata e basta? E’ inerte e senza memoria? Le
immagini, da chi sono generate?
Vogliamo qui ridare alla materia dignità di attore e
non solo di esecutore-trasformatore e a questo
scopo nasce il termine “estroiezione”. Tutto lo
spazio analitico si può definire una continua
dialettica tra proiezione-introiezione. L’analista si
fa portatore e bersaglio volontario di proiezioni
affinché il paziente possa ritualmente agire su tali
energie, trasformarle e quindi reintroiettarle
sublimate in senso sia psicoanalitico che
alchemico. Oppure introiettare le proiezioni
dell’analista. Secondo quanto detto ogni seduta è
un sogno in cui analista e paziente attingono al
mundus immaginalis come Antonelli ama
teorizzare.
Eppure vi sono elementi che ad un tratto trovano
immagine. Se per la gran parte dell’analisi la
dialettica proiezione-introiezione domina, ad un
tratto si apre la possibilità della chiusura
dell’analisi che resta incompiuta per definizione.
Tale apertura della chiusura porta con se un
cambio di paradigma secondo cui il sognatore
cambia assetto. E’ in questa fase che il processo
estroiettivo che teorizziamo diventa più evidente.
Definite la proiezione e l’Introiezione, definiamo
estroiezione il processo secondo cui parti
psichiche tipiche e uniche del paziente trovano
improvvisamente un oggetto su cui essere
proiettate. La differenza con la proiezione risiede
nel fatto che gli elementi soggetti alla proiezione
sono elementi che trovano una immediata
corrispondenza con l’archetipo, col mito con
l’immagine, sono archetipi. Alcuni elementi invece
non hanno corrispettivo archetipico pur essendo
cosi tipici e distintivi di un paziente, non sono
ancora transpersonali. Sarebbe molto difficile fare
esempi senza ritrovarsi nell’archetipo, del resto è
improbabile che un’immagine non sia archetipica.
Potremmo infatti dire che quando l’elemento viene
estroiettato ha trovato posto nel mundus
immaginalis modificandolo impercettibilmente.
Se per la maggior parte del tempo c’è un IO che
sogna e tale Io risulta sempre connotato allo stesso
modo, se le proiezioni che opera si configurano
come parti psichiche che si trovano nell’etere, a
Luca Urbano Blasetti
metà tra l’intra e l’extrapsichico, ad un tratto
compaiono nei sogni personaggi che hanno le
caratteristiche tipiche di quell’IO, di quella
materia, della memoria di quella materia e
precedentemente assenti nel mondo delle immagini.
Come nell’evoluzionismo si fa cenno alle
mutazioni genetiche casuali che sono alla base
dell’evoluzione e che, se risultano avere un potere
adattivo superiore, si selezionano, in psicologia si
potrebbe dire che ogni individuo porta con se una
mutazione rispetto alle immagini archetipiche
seppur conformemente a queste. Del resto anche la
Giraffa che si evolve porta con se la mutazione
collo più lungo ma comunque “collo”.
Tali parti immaginali estranee, ma conformi, al
mundus immaginalis sono l’Io che sogna. Faticano
a trovare un locus proiettivo e si limitano a cercare
un integrazione con quelle parti soggette
all’introiezione. Questo significa che inducono a
elaborare gli elementi soggetti alla dinamica
proiezione-estroiezione conformemente alla loro
esistenza.
Un’immagine ci può essere utile a spiegare quanto
andiamo dicendo. Se Vitale e Perilli ci parlano di
un’immagine secondo cui le diverse parti psichiche
prendono posto sul palco e quella energeticamente
più forte conquista il primo posto prendendo il
microfono, ci chiediamo il corpo, la materia dove
si trovi? L’eccesso, se non l’inflazione dello
spirito, in perfetto stile cristiano cattolico, continua
a condizionare la teoria. Il corpo è assente
nell’immagine del teatro.
Recuperando invece l’immagine dell’ossesso,
dello sciamano, o quella più contemporanea del
medium, prendiamo a prestito l’immagine di colui
che presta il suo corpo affinché parti psichiche, e
quindi elementi immaginali, possano aver voce. Il
Medium si pone in stato di trance e fa appello alle
parti richieste dal cliente, gli spiriti, ne verifica
l’esistenza e se trova tracce di avi si fa possedere
da loro e gli da voce prestandogli il corpo.
Il pantheon psichico sfrutta quel corpo per trovare
espressione. Gli dei cercano di occupare quella
materia-corpo. Cosi come in analisi l’analista cerca
le sue parti attraverso un medium ossia il paziente.
Il frequente lapsus agito dai terapeuti che tendono
a confondere la parola paziente con la parola
terapeuta risulta a questo punto più comprensibile.
Il paziente è il medium, lo sciamano che nell’estasi
entra in contatto con il mundus immaginalis e da
voce alle richieste dell’analista che chiede di
indagare quello o quell’altro archetipo, ossia i suoi
avi. La seduta diventa un sogno, uno stato di
possessione in cui il paziente si presta perché gli
antenati sono comuni al terapeuta.
Chi ha avuto modo di fare un’esperienza di analisi
potrà facilmente cogliere il parallelismo. Non si
cada nell’errore di ritenere sciamano-medium il
terapeuta altrimenti non si coglierà la metafora. Lo
sciamano è il paziente così come il terapeuta lo è
stato. Personalmente ho chiuso la mia analisi
dicendo: “Sono anche io un paziente”.
Si è sciamani solo nel ruolo di pazienti e
paradossalmente diventando psicoterapeuti si
diventa clienti degli sciamani che chiedono
consulto. Del resto lo sciamano è ritenuto colui
che ha trovato, con l’estasi, la via per convivere
con la dimensione allucinatoria della propria
psiche, una via per convivere con la propria
psicopatologia.
Detto questo ci chiediamo quale contributo
originale, quale mutazione casuale, quale novità
porti il corpo-materia? Sotto metafora: nello stato
di quiete, nel momento in cui lo sciamano-mediumpaziente non è posseduto da alcuna immagine, non
da voce ad alcun archetipo, non riceve richiesta
alcuna dal suo terapeuta, non da voce a nessun
avo, in assenza di tutto ciò cosa o chi è? Il suo
corpo da chi è posseduto? L’individuo da cosa è
agito?
Non riteniamo possibile che ogni individuo si
esaurisca nell’essere esecutore e rappresentante
delle immagini che gli preesistono. Non sembra
inoltre sufficiente pensare che l’”essere” sia
sostanzialmente un “rappresentare”. Inoltre questo
non ci informa su come l’Essere si concepisca e si
evolva. Se noi siamo le immagini archetipiche che
ci preesistono, chi ha generato e promosso
l’evoluzione di queste?
Neumann dice chiaramente che il transpersonale
precede evolutivamente lo sviluppo del personale,
ma come quest'ultimo incide sul primo? Come il
corpo modifica gli archetipi? Come il concepito
concepisce il padre/madre?
L’individuo, il corpo, la materia porta quindi con
se una mutazione casuale rispetto al mondo degli
archetipi. Potremmo dire che l’individuo è la sua
mutazione, è il suo essere ossessivo ma con quel
particolare accento, è il suo essere paranoico ma
con quella sfumatura che non è tracciata dal DSM.
Costui è’ proprio quella sua sfumatura. Tale
sfumatura non ha immagine corrispondente nel
22
Estroiezione
Mundus Immaginalis, è orfana di archetipo,
contiene l’archetipo ma questo non la esaurisce
dato che l’archetipo non contiene la mutazione
casuale che ha carattere evolutivo, non contiene la
sfumatura. In tal senso si comprende come mai tali
parti non riescano a entrare nella dinamica
proiettiva. Senza immagine corrispondente una
parte psichica ci agisce silenziosamente e fatica a
trovare una modificazione perché ciò avviene
sull’archetipo corrispondente e non su se
medesima che ne è la mutazione casuale. Questo
ci permette anche di abbozzare un’idea sull’origine
degli archetipi e sulla loro evoluzione
parallelamente all’origine delle specie e alla loro
evoluzione.
Siamo quindi giunti a dire che vi sono parti
psichiche che cercano patria e un oggetto su cui
proiettarsi. Non facendo parte del mundus
immaginalis ma essendo mutazioni figlie della sola
materia, non possono entrare nella dinamica
proiezione-introiezione fin quando non saranno
estroiettate. Tali parti nascono con la materia, la
agiscono.
Si può proiettare ciò che è già contenuto in noi. Si
può proiettare l’archetipico l’immaginale e ciò che
è contenuto da questo. Altrettanto dicasi per
l’introiezione. Possiamo introiettare solo ciò che è
archetipico. Tali energie si trasformeranno secondo
leggi e regole alchemiche.
Ma quella sfumatura, quella mutazione solo dopo
essere estroiettata potrà entrare in tale dinamica. Il
medium quindi dopo aver dato voce agli spiriti,
alle parti psichiche condivise con gli altri
individui, dovrà partorire le sue mutazioni, dovrà
trovare un oggetto su cui proiettarle per poi
reintroiettarle. Come in una gravidanza il paziente
si fa divorare dagli immaginari mostruosi attribuiti
a queste parti psichiche ancora orfane.
A fine analisi si troveranno personaggi nei sogni
che saranno la personificazione di quella
sfumatura-mutazione. Personaggi di cui il paziente
potrà dire: “Questo personaggio sembra essere
quello che ha sognato finora”. Tale frase potrà
anche essere ricorsiva, ci potremmo cioè trovare di
fronte a più personaggi di cui potremmo dire
questa medesima cosa. Tali personaggi insieme
descriveranno la parte psichica che la materia porta
con se, descriveranno quale mutazione la materiacorpo vuole portare all’archetipo, descriveranno in
quale modo cambiare il “Mito” e, se tale
evoluzione risulterà adatta, si consoliderà nel mito
23
e nel mundus immaginalis divenendo disponibile e
venendo usata da tutti “in immagine”. Ma se ha
sognato finora “Lui” ed ora fa parte della schiera
delle parti psichiche, ora chi è che sogna? A questo
punto siamo sognati!
Stiamo qui affermando che quell’Io è regolatore,
nel senso che è colui che sogna fino a quando non
trova un’immagine su cui proiettarsi, fin quando
non viene estroiettato, partorito. A quel punto
principalmente
porta
il
suo
contributo
all’archetipico modificandolo impercettibilmente e
riuscendo a far diventare il corpo parte del
mundus immaginalis.
Estroiettare significa individuarsi, significa
individuare le parti psichiche distintive, le nostre
mutazioni-sfumature ossia quell’Io che sogna. Nel
momento in cui avviene l’estroiezione l’individuo
è più libero di far fluttuare tutte le parti comprese
quelle estroiettate. Partorisce se medesimo e si fa
entrare nel mundus immaginalis. Se la nuova
immagine avrà psichicamente valore adattivo
allora persisterà perché, disponibile a tutti una
volta entrata nel mundus immaginalis, sarà da tutti
reiterata e consolidata.
Potremmo quindi essere una mutazione o una
sfumatura che è destinata a perdersi perché non
adattiva. Ciò che viene estroiettato è l’archetipo
del non archetipico, è ciò che ancora non ha
dignità di “essere”. La psicologia è dell’IO fin
quando questo, inteso come mutazione rispetto
all’archetipico, non viene partorito, Estroiettato.
Quell’Io sognerà fin quando non subirà
l’estroiezione, finché il corpo-materia non se ne
libererà partorendolo. A quel punto saremo sognati
dagli archetipi, saremo attivi perché finalmente
passivi. A quel punto si avrà l’impressione di aver
assolto al proprio compito evolutivo di contribuire
alla crescita del mundus immaginalis, si avvertirà
cioè la stessa sensazione di compiutezza che si
avverte di fronte alla nascita di un figlio
donandolo al mondo, sapendo che non è più
proprio ma dell’archetipo, recuperando quindi la
propria memoria materica.
Gli archetipi dicono alla materia come muoversi e
questa dice loro che forma prendere.
Bibliografia e Note
Antonelli G. (2010): Discorso sul sogno, Lithos,
Roma.
Gibson J.J. (1979) The Ecological Approach to
Luca Urbano Blasetti
Visual Perception, Houghton Mifflin; tr. it. Un
approccio ecologico alla percezione visiva, Il
Mulino, Bologna (1999).
Hillman J. (1975): Re-Visioning Psychology, James
Hillman; tr.it. Revisione della psicologia, Adelphi,
Milano (1983).
Jung C.G. (1928): Energetica Psichica, in Opere
Vol. 8 (Die Dynamik des Unbewussten, Walter
Verlag, Olten, 1967) tr.it La dinamica
dell'inconscio, Bollati Boringhieri, (1976-1994).
Neumann E. (1949):Ursprungsgeschichte
des
Bewusstseins, Rascher Verlag, Zurich; tr. It. (1978)
Storie delle origini della coscienza, Astrolabio
Ubaldini, Roma.
Perilli V. M. - Perilli E. (2008): Oltre l'Io, Libreria
Universitaria Benedetti, L'Aquila.
Vitale Augusto (2001): Solve e coagula, Moretti &
Vitali, Bergamo.
Luca Urbano Blasetti:
Psicologo e Psicoterapeuta in formazione; Dottore
di Ricerca in Psicologia Dinamica sul tema
Creatività e sue componenti dinamiche;
Responsabile del Centro Emmanuel per
Tossicodipendenti di Rieti presso cui cura diversi
progetti regionali; autore di diverse pubblicazioni
psicologiche; opera nel suo studio.
24
In Anima-Azione
IL CENTRO CULTURALE JUNGHIANO TEMENOS
Alberto Giacometti
James Joyce
Amedeo Modigliani
ORGANIZZA:
UN CICLO DI INCONTRI
ARTE E PSICHE
10 DICEMBRE 2012, 14 GENNAIO E 11 FEBBRAIO 2013
DALLE 15.00 ALLE 19.00 – BOLOGNA
POSSIAMO CONSIDERARE L’ARTE COME UN FENOMENO CHE ESPRIME PARTICOLARI CONDIZIONI PSICHICHE?
ESISTE UNA RELAZIONE E UNA CONTINUITÀ TRA LA PSICHE DELL’ARTISTA E LA SUA OPERA?
ESISTONO COSTANTI PSICHICHE INDIVIDUALI E COLLETTIVE PIÙ O MENO FAVOREVOLI ALL’EVENTO ARTISTICO?
RIVOLGENDOSI ALL’OPERA E ALLA VITA DI TRE GRANDI ARTISTI DEL NOVECENTO, ALBERTO GIACOMETTI, JAMES
JOYCE E AMEDEO MODIGLIANI, I TRE INCONTRI CERCHERANNO DI DARE UNA RISPOSTA A QUESTE E AD ALTRE
DOMANDE.
PROGRAMMA
LUNEDÌ 10 DICEMBRE - A. GIACOMETTI A CURA DI DANIELE RIBOLA (ANALISTA JUNGHIANO DI LUGANO)
LUNEDÌ 14 GENNAIO - J. JOYCE A CURA DI MICHELE OLDANI (ANALISTA JUNGHIANO DI MILANO)
LUNEDÌ 11 FEBBRAIO - A. MODIGLIANI A CURA DI DANIELE RIBOLA (ANALISTA JUNGHIANO DI LUGANO)
DESTINATARI: TUTTI COLORO CHE DESIDERANO APPROFONDIRE QUESTA AFFASCINANTE TEMATICA.
SEDE: BOLOGNA, SALA BIBLIOTECA “R. RUFFILLI” – VICOLO BOLOGNETTI, 2
QUOTA DI PARTECIPAZIONE: € 60,00 AD INCONTRO + € 20,00 PER I NUOVI SOCI.
PER MAGGIORI INFORMAZIONI:
CENTRO CULTURALE JUNGHIANO TEMENOS – VIA VENTURI, 20 – BAZZANO BO
TEL. 051 830840 – CELL. 346 0867283
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In Anima-Azione
PRESENTAZIONE DEL PRIMO INCONTRO
Alberto Giacometti
Foto Cartier-Bresson
"
OLTRE AD ESSERE UNO DEI MAGGIORI ARTISTI DEL NOVECENTO, ALBERTO GIACOMETTI FU ANCHE, FORSE
SOPRATTUTTO, UN UOMO DI GRANDE CAPACITÀ ESPRESSIVA E COMUNICATIVA. NELLA PARIGI DEGLI ANNI 30-60
DIVENNE UN PUNTO DI RIFERIMENTO UMANO E INTELLETTUALE PER MOLTI ARTISTI E UOMINI DI CULTURA CHE
SCAMBIAVANO CON LUI, NEL SUO ANGUSTO E MODESTO ATELIER DI RUE
HIPPOLYTE-MAINDRON, MEMORABILI
MOMENTI DI DIALOGO. IL SUO RIGORE INTELLETTUALE, LA SUA ASSENZA DI COMPIACENZA, LA COSTANTE
FEDELTÀ A SE STESSO E ALLA PROPRIA RICERCA, NE FACEVANO UN ESSERE UMANO DAVVERO SPECIALE.
POCHI SONO GLI ARTISTI CHE QUANDO PARLANO DELLA LORO OPERA NON SCADONO IN FORME DI NOIOSA
RIDUZIONE INTELLETTUALE DELL’OPERA. CON GIACOMETTI SI HA INVECE L’IMPRESSIONE DI APRIRE DEI VARCHI
VERSO NUOVI LIVELLI DI COMPRENSIONE. CON LUI ARTE E VITA, ARTE E PSICHE, SI DANNO FINALMENTE LA MANO.
IN QUESTO INCONTRO SI CERCHERÀ DI SEGUIRE UNA TRACCIA, PER CERTI LATI DEL TUTTO EVIDENTE E
MANIFESTA E PER ALTRI MOLTO PIÙ INVISIBILE E INCERTA, CHE CI PARLERÀ NON SOLO DI ALBERTO GIACOMETTI,
MA DELL’UOMO ARTISTA, DELL’UOMO RICERCATORE. LA DOMANDA A CUI SI VORREBBE PORTARE UN’EVENTUALE
RISPOSTA NON È “COSA È L’ARTE?”, MA “IN QUALI CONDIZIONI IL DONO DELL’UOMO ARTISTA SI PUÒ
MANIFESTARE?”
DANIELE RIBOLA
"
DANIELE RIBOLA: PSICOANALISTA JUNGHIANO SVOLGE ATTIVITÀ CLINICA A LUGANO, SVIZZERA. MEMBRO
DELL'ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE DI PSICOLOGIA ANALITICA E DELL'ASSOCIAZIONE SVIZZERA DI PSICOLOGIA
ANALITICA. E' ANALISTA DIDATTA PRESSO LO JUNG INSTITUT DI ZURIGO, COFONDATORE E CO-RESPONSABILE
DELLA SCUOLA DI FORMAZIONE IN PSICOTERAPIA JUNGHIANA DI MILANO LI.S.T.A PRESSO CUI TIENE
REGOLARMENTE SEMINARI E LEZIONI. HA COLLABORATO CON LA RADIO E LA TELEVISIONE SVIZZERA E CON IL
REGISTA WERNER WEICK HA PRODOTTO NUMEROSI DOCUMENTARI. COLLABORA CON IL CENTRO CULTURALE
JUNGHIANO TEMENOS DI BAZZANO (BOLOGNA). HA AL SUO ATTIVO NUMEROSE PUBBLICAZIONI E ARTICOLI
SCIENTIFICI.
CENTRO CULTURALE JUNGHIANO TEMENOS
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DA UN GRUPPO DI APPASSIONATI E STUDIOSI JUNGHIANI ANIMATI DAL DESIDERIO DI DIFFONDERE ED
APPROFONDIRE GLI ORIENTAMENTI DELLA PSICOLOGIA ANALITICA, IL
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CONTATTO E CONFRONTO AVVALENDOSI DELLA COLLABORAZIONE DI ESPERTI E NOTI PROFESSIONISTI DEL
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EDUCATORI, O SEMPLICEMENTE PERSONE DESIDEROSE DI ARRICCHIRE IL PROPRIO PERCORSO ESISTENZIALE PER
IL PROPRIO BENESSERE E QUELLO DELLA SOCIETÀ.
26
“Destino, io ti obbedisco, e non volessi dovrei pur farlo e farlo tra i sospiri”.
(Friedrich Nietzsche, Aurora)
“Non è accordato a nessun mortale vivere secondo il suo essere superiore;
tutta la sua esistenza riposa in realtà sopra una lotta continua con le
condizioni inferiori delle possibilità di questa esistenza”.
(Umberto Boccioni, Diari)
Umberto Boccioni, Idolo Moderno,
1911
Introduzione
L
’evidenza
contenutistica
dell’opera
di
Umberto Boccioni (Reggio Calabria 1882 –
Sorte 1916) as-sume una valenza significativa, dal
punto di vista psicologico, se si affaccia in essa
l’intuizione di un percorso esistenziale che muove
verso la realizzazione ultima di una vita gravata
dall’affermazione di un démone. La qualità elettiva
di questo destino trova un indiscusso valore se si
esamina la produ-zione filosofico-artistica del
Boccioni, non tanto da un punto di vista estetico
ma, piuttosto, da un punto di vista esistenziale. Le
intuizioni e le nuove visioni futuriste del Boccioni
si espandono in un universo racchiuso dentro
27
l’intuizione della complessità dell’essere e nella
sua realizzazione ultima nell’uomo. Questa
rimanda ad un destino universale che si coglie
attraverso la visione di una dimen-sionalità
dell’essere psichico in continuo movimento:
l’uomo viene restituito al Tutto attraverso la
complessità, ossia, attraverso il (ri-)conoscimento
dei segmenti psichici suoi propri, dei singoli sfumati dello spettro mentale, si potrebbe dire.
Questi segmenti psichici sono da noi intesi come
microstrutture situazionali dell’esperienza psichica in cui convergono, simultaneamente, tutti i
processi psichici interni e tutti i caratteri
situazionali esterni esattamente in vita in quel dato
momento. Questa amalgama vitale dà forma
concreta all’esperienza, creando, nella situazione,
una microstruttura specifica e irripetibile che, a
sua volta, determina – se riconosciuta in tal senso
– l’evento creativo dell’esistenza Uomo. Per cui,
ogni singolo “atomo” esistenziale, ogni singolo
segmento
psichico
così
inteso,
sarà
necessariamente distintivo e irripetibile e, al
contempo, definitivamente responsabile della
creazione conoscitiva dell’Uomo stes-so.
Ora, se il senso ultimo ed elettivo dell’uomo è
quello di dare conoscimento e offerta di
svelamento a se stesso realizzabile attraverso un
continuum esperenziale di possibilità, questo vuol
dire che tale si potrà dare soltanto attraverso la
coscienza istantanea del “momento” reale, di quel
senso
dell’esserci totalmente all’interno dell’attimo
stesso. Questo rimanere psichicamente presenti,
Michele Accettella
ossia consapevoli della complessità inerente il
vissuto psichico, sancisce il reale esserci al mondo,
assu-mendo la forma creativa del proprio senso,
definendo, allo stesso tempo, un processo circolare
di completezza psichica. Per cui, per quanto
possibile, si può intuire la condizione per la quale
ogni uomo conserva la responsabilità di essere
partecipe al Tutto. Indipendentemente dal suo
stesso opera-re, egli è assunto partecipe di un
equilibrio di complessità olistica, tale da rendere
inevitabile ed indi-spensabile ogni elemento di
diversità di cui si compone ogni carattere
espressivo, proprio in virtù di un universale
equilibrio di energie. Quest’ultime, quindi, non si
esauriscono nell’uomo, ma si fondono, si
mescolano e si espandono – col movimento
costante dei corpi – attraverso piani plasticodimensionali nel mondo esterno. Per cui, l’uomo si
nutre, si forma e si evolve, nel suo sviluppo psichico, attraverso queste forme, questa diffrazione
dei colori dello spettro mentale: una visione piena
degli sfumati dell’Essere.
Da questo angolo d’analisi allora, l’idea del
dinamismo plastico della materia enunciata da
Umber-to Boccioni, dal suo fondamento artistico
sino alla definizione filosofica, si può considerare
come forma espressiva dell’attualizzazione
riverberante di un’interpretazione di complessità
dell’energetica psichica, che restituisce l’uomo al
fondamento
della
continuità
assoluta
dell’Energetica Universale: la fonte di ogni
creazione.
Trascendentalismo fisico: il dinamismo plastico
puro
“Noi dobbiamo partire dal nucleo centrale
dell’oggetto che si vuol creare, per scoprire le
nuove leggi, cioè le nuove forme che lo legano
invisibilmente, ma matematicamente all’infinito
plastico apparente e all’infinito plastico interiore”.
(Umberto Boccioni, Manifesto tecnico della
scultura futurista)
Eloquente sembra il fatto che, da Boccioni ad oggi,
il compito cui è chiamato l’uomo attuale sia quello
della presa coscienza di essere una dinamica
complessità soggetta alle variazioni dello spazio e
del tempo interni ed esterni al contempo. Realtà
oggettive, interne ed esterne, si condensano in una
amalgama di movimenti mercuriali che danno
forma – proprio in virtù del movimento
“osmotico” (omo-dinamico) delle energie –, al
patrimonio delle immagini che rappresentano il
sostrato psichico elettivo da cui solidifica ognuna
delle forme espressive e conoscitive della propria
natura Uomo. In virtù di questo processo costante
e dinamico, la conoscenza dell’Uomo si attualizza
attraverso il ri-conoscimento delle micro-strutture
di cui egli stesso si compone, ossia, attraverso
l’analisi puntuale
di ogni segmento psichico nel Sé, che non si
esaurisce nell’unicum qualitativo cui si ascrive nel
singolo, ma interpreta e raccoglie l’attualizzazione
puntuale del vissuto energetico globale.
Qui, si fa riferimento alla possibilità di considerare
ogni esperienza dell’uomo – in virtù di questa
mescolanza istantanea di evocazioni interne e
attualizzazioni esterne –, strutturata in una
realizzazione di vissuto come forma espressiva e
fulcro creativo della globalità di elementi che nulla
esclude: un micro-cosmo istantaneo! Questo
momento diviene allora, creazione poiché
appartiene alla nascita, al suo essere attuale e
nuovamente altro; questa creazione, infatti, si
struttura come segmento psichico mai nato prima
e, come tale, viene “tracciato” attraverso un
movimento, riconducendosi ad un movimento, che
può essere realmente vissuto – come affermerà
Boccioni – soltanto mediante l’emozione:
“Creazione ed emozione sono la stessa cosa”1.
Ora, in questo contesto si inserisce il sistema di
compensazione che include a pieno titolo
l’intuizione del Boccioni: ogni “sfumato
esperenziale” dell’uomo si attualizza e si
comprende attraverso il vissuto emozionale, ed
inoltre, tale vissuto, in virtù di un dinamismo
plastico che coinvolge ogni cosa, assumerà una
costante fluttuazione che deriva da un altrettanto
costante movimento delle forme energetiche stesse
(entropia). Così, dall’arte alla psiche dell’uomo, in
virtù del fatto che “Vede bene soltanto il pittore
che pensa bene”2, non sembra così impossibile
comprendere che l’intuizione bocconiana delle
“forme uniche della continuità dello spazio”
assiste
ad
una
modalità
olistica
di
compenetrazione tra piani che non ha confini:
l’uomo viene restituito al Tutto attraverso il
perpetuo movimento! Allo stesso modo Boccioni
affermerà che: “In realtà non esiste un riposo”3.
Per cui, ogni processo d’interazione tra il mondo
interno e quello esterno passerà attraverso
28
L'Intuizione Del Complesso
un’emozione, poiché “Non v’è possibilità di
innalzarsi a un definitivo nelle forme e nei colori al
di fuori della emozione. È l’emozione che dà la
misura, frena l’analisi, legittima l’arbitrio e crea il
dinamismo. Emozione e soggetto sono sinonimi”4.
Alla pari del dinamismo, il movimento appartiene
al Tutto. La consapevolezza dei processi dimensionali nel movimento dell’energetica psichica,
nella sua attualizzazione istantanea, si struttura
come modello attraverso cui la creazione diventa
l’unica soluzione conoscitiva. Per cui, l’intuizione
del Boccioni si afferma come creazione costante,
come luogo della propria e più personale
edificazione di “senso”. Il punto essenziale è che
dentro la medesima creazione, di qualsiasi
creazione si tratti, si compie la stessa possibilità:
“Nascere, crescere e morire, ecco la fatalità che ci
guida. Non marciare verso il definitivo è un
rifiutarsi all’evoluzione, alla morte. Tutto
s’incammina verso la catastrofe! Bisogna dunque
avere il coraggio di superarsi fino alla morte, e
l’entusiasmo, il fervore, l’intensità, l’estasi sono
tutte aspirazioni alla perfezione, cioè alla
consumazione”5.
La consumazione, come la creazione, si eleva
verso un processo di “svuotamento” interiore, un
medesimo “fare anima” – direbbe James Hillman6
–, attraverso cui la nobilitazione delle forme della
consumazione compensano la creazione alla stessa
maniera della compenetrazione dei piani, che
muoverà nuovamente, in forma circolare, una
nuova consumazione e così via: creazione e
consuma-zione
diventano
i
due
aspetti
costantemente presenti nella vita dell’Uomo.
Essenzialmente, è proprio dalla risoluzione mai
definitivamente compiuta tra queste due
opposizioni cardine, creazione e con-sumazione
(nascita e morte), che si accede alla continuità
della vita: è soltanto dal continuo susse-guirsi di
questi due processi, ad ogni livello, che si può
effettivamente parlare di esperienza di vita. Ciò a
cui effettivamente aspira l’Uomo non è tanto la
consumazione o la morte come può essere intesa
l’espressione del Boccioni in termini finalistici, ma
la morte intesa come risoluzione, uno scioglimento
della tensione del dramma oppositivo creazioneconsumazione per dare espressione all’Eterno,
ossia, alla divinità nell’Uomo.
Si potrebbe affermare che il difetto che in qualche
modo compie Boccioni sia quello di fermarsi ad
indicare la consumazione-aspirazione con la
29
perfezione; ma, accomunando aspirazione e
perfezione, si perderebbe di vista l’essere al
mondo dell’uomo, il suo vissuto “terreno”, poiché
il regno del supe-ramento dell’opposizione –
inteso in senso definitivo – non è di questo mondo!
Qui, il démone del Boccioni ha espresso se stesso
annunciando una nuova modernità attraverso le
forme dell’arte futuri-sta, lasciando l’uomo
Boccioni alle sue “lacerazioni viscerali”,
tormentato
dalla
non-appartenenza:
“Le
lacerazioni viscerali del geniale Boccioni –
affermava Dalì – sono l’annuncio anticipato del dinamismo supersonico e gli apolli gloriosi della
discontinuità della materia”7. La stessa materia che
ora viene disseminata nello spazio che esplode
nella sua universale espansione, accogliendo ogni
cosa, divenendo termine unico della continuità di
tutte le forme esistenti nella medesima continuità
(movimento, creazione, emozione), eletta come
termine unico di definizione e di visione della
reciprocità energetica d’influenza fra tutte le cose.
Viene qui, in fondo, abolita la finitezza della
materia e, quindi, dell’uomo che, (ri-)trovandosi
invischiato nella “materia universale”, è investito
di una re-sponsabilità “divina” proprio poiché egli
appartiene psichicamente al Tutto. C’è, in questo
modo, un flusso di reciprocità e di influenze
energetiche che coinvolge l’intero mondo creato.
Nel suo testo fondamentale Pittura e scultura
futuriste, testo in cui l’enunciazione filosoficoartistica boccioniana diventa “manifesto”, si
afferma: “Per andare verso lo stile plastico della
nostra epoca bisogna invece vivere la sensazione
che viene dal rinnovamento impressionista, e
dimenticare la fissità della contemplazione
tradizionale del vero, e concepire e determinare in
una forma la rela-zione plastica che esiste tra la
conoscenza dell’oggetto e la sua apparizione. […]
l’impressione vivrà quindi nella durata attraverso
la forma unica del suo svolgersi”8.
Viene mostrata, attraverso quest’invocazione allo
stile plastico, la distinzione fondamentale che
annuncia il nuovo modernismo; l’idea è quella di
sentire, di essere dentro l’oggetto e attraverso
l’oggetto, mediante la coscienza di una spazialità
di energie plastiche eterne e globali. Il processo
sotteso al fondo di questa idea è che non esiste un
vero e proprio distinguo tra soggetto ed oggetto,
non esiste un reale limite di confine tra gli
elementi, proprio in virtù di una diretta continuità
di ener-gie che investe ogni cosa. La forma
Michele Accettella
“rappresentata” deve, quindi, assumere la
medesima natura di continuità del movimento,
poiché soltanto attraverso questa si può
effettivamente cogliere la realtà, una realtà che
pone ora il soggetto all’interno della durata,
plasticamente coinvolto nella realizzazio-ne
psichica dell’oggetto stesso.
Da un particolare angolo di visione psicologica
l’idea della continuità delle energie, il senso
plastico dei movimenti dinamici che investono
soggetto e oggetto, mondo interno e mondo
esterno, sono assunti a sistema di condizione che
pone l’energia in proiezione all’interno della
continuità universa-le. In fondo, come affermava
Jung “finché viviamo siamo evidentemente
incapaci di ritirare ogni e-nergia dal mondo, di
ritirare tutte le proiezioni. Continuiamo a
mangiare, a odorare, a muoverci, e tutto questo è
psicologia in proiezione. È proiezione, è emettere,
qualcosa ci lascia costantemente: finché viviamo,
proiettiamo”9.
Allo stesso modo Boccioni, esprimendosi sulla sua
personale concezione dell’arte futurista, affermerà:
“Noi concepiamo dunque l’oggetto come un
nucleo (costruzione centripeta), dal quale partono
le forze (linee-forme-forza) che lo definiscono
nell’ambiente (costruzione centrifuga). Noi
creiamo con ciò una nuova concezione
dell’oggetto: l’oggetto-ambiente, concepito come
una nuova unità indivisibile”10.
Da una parte dunque, abbiamo il soggetto che nel
suo essere in vita inevitabilmente proietta movimenti energetici verso l’Altro, e dall’altra
abbiamo un esterno che restituisce all’uomo, in
forme differenziate, energie sotto forma di stimoli.
Al fondamento rimane l’Energia Universale in
continuità che abolisce definitivamente il distinguo
interno-esterno, confine e durata, poiché esiste un
coin-volgimento universale di movimento costante
che avvolge ogni cosa; ed inoltre, ogni cosa
contribuisce, determina e condiziona la natura
stessa del movimento e del suo perpetuo svolgersi:
“noi sinte-tizziamo tutti i momenti (di tempo,
luogo, forma, colore-tono) e ne costruiamo il
quadro. E questo quadro, come organismo
indipendente, ha una sua propria legge, e gli
elementi che lo compongono obbediscono a questa
legge creando così la rassomiglianza del quadro
con se stesso”11.
Questa Energia Universale, che dà compimento
all’intero creato, ha un valore tale da poter essere
intesa come forma espressiva di un senso vitale di
continuità universale che tocca la creazione intera,
in una forma espressiva e concezione moderna
dell’Anima Mundi. Così, il passaggio enunciato da
Boccioni che dalla contemplazione della materia
raggiunge la sensazione della materia, diventa il
nuovo modello esistenziale dell’uomo postmoderno: sentire e partecipare al movimento
universale della materia rappresenterà il precetto
fondante del rinnovamento psichico dell’uomo.
Il punto nodale della concezione boccioniana si
avvisa quando egli inneggerà al completo dinamismo, alla distruzione per la creazione, come
fondamento della verità del movimento: “Bisogna
avere il coraggio di distruggere e calpestare anche
quello che ci è caro per ricordo o per abitudine
[…]. Ci vuol del sangue, ci vogliono dei morti”12.
In questo contesto il punto di svolta del Boccioni
viene in-discutibilmente legato al senso stesso
della consumazione dove si ravvisa una certa
coscienza della dissolutezza dell’uomo, intesa nel
senso di lasciarsi alle spalle “ogni giorno” le sue
dipendenze. Vivere una vita nella finitezza, ossia,
nella
creazione
costante,
significa
dare
compimento all’essere nel-la pienezza del
presente, del suo vivere mescolato nelle forme del
proprio esserci in reciprocità osmotica col mondo
esterno, poiché, come Boccioni stesso avrà a dire:
“Oggi la nostra evoluzione mentale non ci
permette più di vedere un individuo o un oggetto
isolati dal loro ambiente”13. Da questa prospettiva
Boccioni trascende le forme stesse della
continuità, nel senso che, attuando un balzo in
avanti nei processi di assimilazione alla
complessità dell’uomo, avvicinando “perfezione”
e
“consumazione”
da
una
parte,
e
“organizzazione” e “creazione” dall’altra, riporta
l’oggetto dell’analisi esistenziale al senso ultimo
della “ricerca del definitivo nella successione di
stati d’intuizione”14. Questa ricerca si spinge verso
un vero e proprio “trascendentalismo” della forma
e della durata della fisicità. Il significante viene
indicato nel “definitivo ultimo”, nell’acquisizione
cosciente – mediante processi intuitivi di
ampliamento della coscienza sui segmenti psichici
– della radice energetica di movimento universale
che assolve ogni creazione. In quest’ottica allora,
lo studio e la visione di complessità dell’uomo
come strumenti dell’ampliamento intuitivo al Sé
(individuale e collettivo), nonché la struttura di
arricchimento psichico alla complessità, diventano
30
L'Intuizione Del Complesso
per Boccioni espressione della piena coscienza del
movimento energetico dell’uomo futurista.
L’istinto del complesso nello stato d’animo
plastico
“Noi possediamo un nuovo istinto: l’istinto del
complesso. Afferriamo TUTTO attraverso il
complesso mentre i passati coglievano POCO
attraverso il semplice. E infine tutto è semplice
quando è vita ovvero intuizione”. (Umberto
Boccioni, Pittura e scultura futuriste)
L’intuizione del Boccini in fondo, propone una
precisa diversificazione delle condizioni liminari
del-la coscienza dell’uomo; quella rappresenta
l’affermazione di un processo in divenire che vuole
pro-vocare una profonda deformazione del
complesso sistema d’attualizzazione della presa
coscienza. In questo modo l’uomo viene posto di
fronte ad un regno di complessità espressiva di
caratteri di sé che avvolge, nella creazione, ogni
sottile dinamica energetica. Boccioni afferma una
“visione” piena dell’ampliamento della coscienza
promossa attraverso l’inquadramento del senso
esistenziale della vita alla radice elementare
dell’esistenza stessa, al quantum originario,
essenziale e vitale al contem-po: Boccioni
riconduce l’uomo alla creazione. Avrà a dire egli
stesso: “Oggi l’artista si innalza all’elemento
essenziale della creazione. L’intuizione plastica lo
ha condotto su nuove vette […]”15. Quella
dell’intuizione plastica diviene allora, elemento
fondante dell’arte esistenziale del Boccioni.
Nella concezione junghiana, l’intuizione sta ad
indicare “la percezione inconscia attraverso la
quale vengono contemporaneamente in evidenza i
contenuti subliminali del soggetto e la cosiddetta
“es-senza” dell’oggetto”16; questo processo
“percettivo”, che afferra nell’istante la coincidenza
tra conte-nuti del soggetto e gli elementi
dell’oggetto, afferma lo stesso principio della
“compenetrazione dei piani”, in quella visione che
Boccioni definisce trascendentalismo fisico17. È la
“febbre
dell’intuizione”
costante
della
compartecipazione alle dinamiche del Tutto che
legittima l’esistenza dell’uomo:
[…] per Boccioni – scrive De Micheli – il
problema era quello di cogliere la realtà nella sua
totalità, nel suo assoluto, di cui fanno parte gli
elementi sia contingenti che sostanziali; di
coglierla nella sua natura unitaria e contraddittoria
31
molteplicità, nella sua vita insomma, che è parte
della vita universale. […] il rapporto con la realtà
in nessun caso poteva ridursi a un rapporto
soltanto di ordine psico-fisiologico, né soltanto di
conoscenza statica o contemplativa, astratta o
intellettuale, bensì doveva essere un rapporto di
conoscenza completa, ottenuta immedesimandosi
intuitivamente nell’oggetto e vivendone dal di dentro la sua vita nell’integrità del suo divenire18.
Qui, si cercano di superare le distinzioni promosse
dall’Io, di aprire varchi di visione intuitiva sulle
infinite dimensionalità della “materia” creativa
dell’uomo. Questo rappresenta, in fondo, un
tentativo di evasione psichica al di là del limite
della coscienza dell’Io, “giacché ogni coscienza
dell’Io è isolata e conosce il singolo in quanto
divide e distingue, e vede solo ciò che ha relazione
con questo Io”19. È questa la visione di
complessità del Boccioni: schiudere alla
disposizione mentale dell’uomo le mirabili
sfumature del creato, in un’unica materia
indistinguibile: “Proclamiamo che tutto il mondo
ap-parente deve precipitarsi su di noi,
amalgamandosi, creando un’armonia colla sola
misura dell’intuizione creativa”20. L’effetto
ricercato è l’annuncio di un movimento
“empatico” col fenome-no fisico. Questo,
rappresenta l’affermazione di una disposizione
dell’animo (lo stato d’animo plasti-co) come
forma intenzionale e soggettiva dell’“architettura
spiralica”21 di organizzazione della realtà, la quale,
in termini psichici, compie un processo di
“devozione” alla complessità e all’istinto spirituale
di elevazione al Sé. In tal senso, l’intuizione alla
complessità
raggiunge
una
definizione
“percettiva”, una modalità di vedere che conduce
l’uomo moderno alla sua natura di complessità, al
pieno riconoscimento di tutti quegli sfumati
dell’esperienza psichica di coscienza che lo
rendono consapevole della dimensionalità dei
movimenti e della sua partecipazione psichica,
come Uomo psicolo-gico, al creato.
Conclusioni
Scrive Boccioni: “Quello che ci affascina nella
vita e nelle opere del nostro tempo è quel carattere
d’indefinita e affannosa ricerca che mostra
nell’uomo veramente moderno l’imperizia di chi
maneggia una nuova materia”22.
Le visioni futuriste della complessità sono
Michele Accettella
espresse attraverso la creazione di una nuova
materia, di un nuovo momento di attribuzione di
significato alla psiche dell’uomo. In fondo, “La
psicologia si occupa dell’atto di vedere”23, e la
visione della continuità della materia enunciata da
Boccioni introduce la complessità dell’uomo
moderno, annunciando i suoi “mirabili voli e
umori” psichici che, nel Tutto, diventano
espressione di una volontà creativa costante di
movimento energetico che legittima ogni errore e
dona valore alla coscienza di sé: “Si è necessari, si
è un frammento di fato, si appartiene al tutto, si è
nel tutto – non c’è nulla che possa giudicare,
verificare, condannare il nostro errore, giacché
questo equivarrebbe a giudicare, misurare,
verificare, condannare il tutto… Ma fuori del tutto
non c’è nulla!”24.
Bibliografia e Note
1 U. Boccioni, 1914, Pittura e scultura futuriste,
Milano, p. 149.
2 U. Boccioni, 1914, Pittura e scultura futuriste,
Milano, p. 35.
3 U. Boccioni, 1914, Pittura e scultura futuriste,
Milano, p. 89.
4 U. Boccioni, 1914, Pittura e scultura futuriste,
Milano, p. 75.
5 U. Boccioni, 1914, Pittura e scultura futuriste,
Milano, p. 65.
6 J. Hillman, Il codice dell’anima (1996), trad. it.
Adelphi, Milano, 2001.
7 S. Dalì, I cornuti della vecchia arte moderna
(1956), trad. it. Milano, 2005.
8 U. Boccioni, 1914, Pittura e scultura futuriste,
Milano, p. 57.
9 C. G. Jung, Analisi dei sogni (1928-30), trad. it.
Bollati Boringhieri, Torino, 2006.
10 U. Boccioni, 1914, Pittura e scultura futuriste,
Milano, p. 58.
11 U. Boccioni, 1914, Pittura e scultura futuriste,
Milano, p. 56.
12 U. Boccioni, 1914, Pittura e scultura futuriste,
Milano, p. 17.
13 U. Boccioni, 1914, Pittura e scultura futuriste,
Milano, p. 63.
14 U. Boccioni, 1914, Pittura e scultura futuriste,
Milano, p. 76.
15 U. Boccioni, 1914, Pittura e scultura futuriste,
Milano, p. 30.
16 P.F. Pieri, 1998, Dizionario junghiano, Torino,
p. 387.
17 U. Boccioni, 1912, Manifesto tecnico della
scultura futurista, Milano, p. 169.
18 U. Boccioni, 1914, Pittura e scultura futuriste,
Milano, p. 195
19 C. G. Jung, Il significato della psicologia per i
tempi moderni (1933/34), trad. it. Bollati
Boringhieri, Torino, 1998
20 U. Boccioni, 1912, Manifesto tecnico della
scultura futurista, Milano, p. 170.
21 U. Boccioni, 1913, Prefazione al catalogo della
Esposizione di Scultura futurista del pittore e
scultore futurista Boccioni, Milano, p. 172.
22 U. Boccioni, 1914, Pittura e scultura futuriste,
Milano, p. 24.
23 C. G. Jung, Psicologia e alchimia (1944), trad.
it. Bollati Boringhieri, Torino, 1998.
24 F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli ovvero
come si filosofa col martello (1888), trad. it.
Adelphi, Milano, 2007
Umberto Boccioni, Elasticità, 1912
Michele Accettella
è psicologo analista, socio CIPA (Roma) e IAAP
(Zurigo). È autore e relatore di lavori di ricerca in
ambito junghiano. Lavora a Roma e in provincia
di Chieti.
32
In Anima-Azione
MEDICINA, PSICOTERAPIA, SPIRITUALITA’
LE ANIME DELLA CURA NEL III° MILLENNIO TRA ETICA, LEGALITÀ E LAICITÀ.
SABATO 23 MARZO 2013
MILANO, PALAZZO ISIMBARDI
con il patrocinio di
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO, DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE
PROVINCIA DI MILANO
COLLEGIO CIRCOSCRIZIONALE MMVV DELLA LOMBARDIA ,GRANDE ORIENTE D’ITALIA.
C.A.P.A.C. POLITECNICO DEL COMMERCIO
MODERATORE: AVV. LUIGI PAGANELLI, PRESIDENTE DELLA ASSOCIAZIONE OMILIA
PROGRAMMA
0RE 9,00
WELCOME COFFEE
ORE 9,30
INIZIO LAVORI
ORE 11,30
COFFEE BREAK
ORE 12,00
RIPRESA LAVORI
ORE 14,30
FINE LAVORI
L OR E NZ O PE R R ONE
"COME UN SASSO NELLO STAGNO" 2012
(MIXED MEDIA (LIBRI VERI, PLASTER GAUZE, ACRILIC PAINT)
RELAZIONE INTRODUTTIVA
GUGLIELMO CAMPIONE
MEDICO PSICHIATRA PSICOANALISTA – MILANO
"LE ANIME DELLA CURA: METAFORE E SIMBOLI DELLA TERAPIA NEL III° MILLENNIO”
MORRIS GHEZZI
ORDINARIO DI SOCIOLOGIA DEL DIRITTO UNIVERSITA STATALE DI MILANO MILANO
"IL DIRITTO DELLA SOFFERENZA, IL DIRITTO ALLA SOFFERENZA, IL DIRITTO NELLA
SOFFERENZA"
33
In Anima-Azione
CLAUDIO BONVECCHIO
ORDINARIO FILOSOFIA DELLA SCIENZA UIVERSITA DI PAVIA
“DOLORE E SOCIETA.”
CARLO BANFI
CARDIOCHIRURGO - GINEVRA
“TRAPIANTI DI CUORE, ETICA, DONAZIONE E IL CUORE COME SIMBOLO”
FEDERICO PIZZETTI
ORDINARIO DI DIRITTO PUBBLICO UNIVERSITA STATALE DI MILANO
“LA SOFFERENZA EVITABILE E LA LEGGE: PROFILI DI DIRITTO TERAPEUTICO ”
L OR E NZ O PE R R ONE
" AL PHA E OME GA”
(MIXED MEDIA (LIBRI VERI, PLASTER GAUZE, ACRILIC PAINT).
ELDO STELLUCCI
MEDICO PSICHIATRA PSICOTERAPEUTA DI FORMAZIONE JUNGHIANA, TORINO
“IL PROCESSO DI GUARIGIONE TRA INIZIAZIONE, TRADIZIONE, MISTERIOSOFICA E
PRINCIPIO DI INDIVIDUAZIONE A PARTIRE DAL LIBRO ROSSO DI C.G.JUNG”.
ANTONIO NETTUNO
PSICOLOGO PSICOANALISTA - MONZA
“L’INQUIETUDINE SOCIALE E INDIVIDUALE NELL’ETA’ DELLA CRISI”
GIOVANNI JANNUZZO
MEDICO PSICHIATRA E PSICOTERAPEUTA
Direttore Sanitario CTA "Fauni",Castelbuono, PALERMO
“PRATICA PSICHIATRICA, PSICOTERAPIA ED EVENTI PARANORMALI: VERSO UNA
CONVERGENZA TRA ESOTERISMO E SCIENZA”
CARLO CENERELLI
MEDICO OMEOPATA MILANO
“L’OMEOPATIA. UN METODO TERAPEUTICO CON UNA BASE SCIENTIFICA. MEDICINA
DI CORPO E DI ANIMA IN RIVALUTAZIONE ALLE SOGLIE DEL TERZO MILLENNIO”
34
Cosa abbiamo a che vedere con un cespo di rose,
che trema perché gli si posa sopra una goccia di rugiada?
Nietzsche, Del leggere e scrivere.
notte, mi trovo fuori casa. Il mio cane Rocco
aveva radunato tutti gli altri cani della mia
zona; Rocco era il capo di quella squadra di cani
bianchi. Poi vedo Rocco che si allontana dal
gruppo, va verso la finestra di I. e li si avvicina ad
un coyote; anche il coyote si avvicina,
distaccandosi dal sul branco, a Rocco.
Poi i due capi si fermano a poca distanza l’uno
dall’altro. Quel coyote era un capo di un gruppo
di coyote che volevano prendere il possesso della
piazza. I due capi, Rocco ed il coyote, si guardano
negli occhi, si ringhiarono e stabilirono il giorno
della lotta tra gruppi. Poi il capo coyote
indietreggia, anche Rocco indietreggia, e, uno di
schiena all’altro, tornano ai loro rispettivi branchi.
Poi Rocco, con i denti, mi prende il pizzo della
giacca e mi tira, mi accompagna, verso un punto
strategico, nel mezzo del sul branco; capii allora
che anche io facevo parte di quel gruppo e facevo
parte nella lotta. Io rimasi dove Rocco mi aveva
posizionato. Poi Rocco mise un grande cane
bianco davanti a me. Allora capii che Rocco mi
aveva messo nel gruppo per proteggermi; mi aveva
messo davanti una protezione, quel grande e forte
cane bianco che mi avrebbe difeso e non avrebbe
permesso a nessun coyote di avvicinarsi a me.
Rocco aveva fatto così perché sapeva che l’uomo
non ha i denti forti per mordere; bisognava essere
una bestia agguerrita per combattere i coyote.
Poi ci fu lo scontro e il massacro; pensai di colpire
uno dei coyote con un coltello a cui
precedentemente rifeci la punta, ma poi pensai che
non era leale usare armi in quello scontro della
natura. Vedevo cani e coyote che si massacravano,
io non correvo nessun pericolo. Poi mi avvicinai a
Rocco, che era disteso per terra, era vivo ma ferito
gravemente, aveva ammazzato molti coyote, ma
È
35
era stato morso dal capobranco. Rocco era disteso
per terra appoggiato al marciapiede di casa,
aveva il pelo macchiato di sangue, non si muoveva
perché era stremato dalla scontro; io mi
inginocchiai davanti a lui, lo accarezzai
lentamente sulla testa, sul muso, sul collo, e stavo
attento a non toccargli le ferite; lui si lasciava
accarezzare; le carezze erano l’unica cura che, in
quel momento, lo avrebbero potuto salvare.
Io e Rocco ci guardavamo negli occhi; io avevo gli
occhi lucidi, Rocco aveva gli occhi sereni (di chi
ha la coscienza pulita).
Accarezzavo Rocco, come per ringraziarlo, perché
non pensavo che lui, e gli altri cani, avrebbero
rischiato la vita per proteggermi; poi mi girai a
guardare Lola, il più vecchio cane del branco, che
era deceduta nella scontro e che era distesa al per
terra, immobile, completamente insanguinata;
guardai lentamente, uno per uno, tutti gli altri
cani morti distesi sul marciapiede; pensavo che
forse Rocco poteva ancora salvarsi perchè era
ancora vivo; accarezzandolo cercavo di dare a
Rocco la forza per combattere, per resistere e per
non abbandonarmi; lo sguardo sereno di Rocco mi
dava la forza per non pensare a Lola e agli altri
cani che erano stati nostri amici e che erano
morti; Rocco sembrava volesse dirmi che quei
cani erano morti da eroi, avevano combattuto e
purtroppo non ce l’avevano fatta.
Poi guardai il branco di coyote, li guardai uno per
uno, erano tutti morti, buttati a terra, massacrati,
chi a destra chi a sinistra; mi chiesi allora perché
c’era stato quello scontro; non riuscivo a capire
perché i due branchi si fossero scontrati a morte;
poi guardando Rocco, il capobranco, capii che
non si poneva la mia stessa domanda; Rocco,
come tutti gli altri cani, era stato pronto a morire
Sara Colarossi
perché lo scontro era inevitabile. Il sogno finì che
feci un sospiro, inginocchiato vicino a Rocco
guardai cani e coyote morti, scrollai un po la
spalle feci un mezzo sorriso e non mi venne più da
pensare al perché di quell’avvenimento.
Il lettore potrebbe chiederci: <Cosa ha a che
vedere tutto ciò con il nostro tema?>.
Apparentemente nulla!
Sappiamo che si tratta di un sogno. Certo!
potremmo tentare un analisi archetipica, ma non ci
importa in questo frangente indagare la dinamica
psichica del sognatore, non ci interessano i suoi
conflitti, le sue sofferenze, tantomeno ci interessa
il suo processo di individuazione.
Non siamo nel sogno, siamo fuori dal sogno.
Non siamo psicologi, siamo spioni.
Non siamo studiosi siamo passivi e sciocchi
osservatori.
Osserviamo la scena, cani e coyote si schierano, si
guardano, si azzuffano, si sbranano, un ragazzo
accarezza il fedele amico, sospira, si inginocchia,
sorride un pò, una domanda balena nella sua
mente: <Perchè quello scontro?> poi scrolla le
spalle, e va.
Anche noi scrolliamo le spalle e mentre le
scrolliamo ci attraversa la stessa domanda <perchè
quello scontro?>.
Forse qualcosa non ha funzionato nella relazione?
oppure il messaggio era inequivocabile?
Dunque: il termine relazione: dal lat. relatio,
relationis, da relatus, part. pass. di referre;
riportare, composto di re, addietro e ferire per
ferre, portare, portare indietro, indica l'atto o
l'azione di colui che porta con se qualcosa, o
semplicemente si porta, si appressa, nelle
vicinanze di qualcuno o di qualcosa.
Naturalmente l'azione del portare e dell'andar
presso sottende un implicito scambio.
Cioè: 'io mi avvicino a te, mi dono a te, ti porto
qualcosa di mio o di me, ma tu devi restituirmi
qualcosa di te o di tuo che io possa portare indietro
con me. Io do a te, tu dai a me!'
È questa la voce che anima e che si cela dentro la
parola relazione.
Il verbo ferre infatti designa l'atto del mercante, del
commercio e del commerciare, dello scambio e del
baratto.
Da ciò ne derivano plausibili conclusioni. Ovvero;
io posso mercanteggiare e scambiare qualunque
bene, anzi, posso scegliere di scambiare beni
esclusivamente
esteriori,
oggetti,
corpi,
informazioni; oppure scegliere di scambiare beni
interiori, emozioni e sentimenti; da ciò prendono
corpo le varie tipologie relazionali, commercio
economico, politica, potere, amicizia, amore.
Però, la logica relazionale, porta con se uno
specifico limite, un vincolo, dato proprio dallo
scambio. Lo scambio infatti è un elemento
imprescindibile che lega gli attori al portare e
portare indietro.
Il mancato soddisfacimento di uno dei due atti, di
cui si compone l'azione dello scambio, produce un
debito relazionale, una sorta di falla sul terreno di
scambio a causa del quale l'anima relazinale 'io do
a te e tu dai a me' non trova soddisfacimento, lo
scambio non si compie e il legame si sfalda.
Poste queste basi, non possiamo esimerci dal
riflettere su un altro punto sostanziale; cioè, con
quali mezzi prende corpo lo scambio?
Ovvero, quali sono gli strumenti di cui dispongo
per portare e portare indietro?
Il portare e il portare indietro sono azioni ed ogni
azione rinvia ad un agente.
Agente; da ag-ente, p. presente di agere; cioè fare,
operare, condurre. L'agente è colui che opera, che
produce, che fà in virtù di un corpo fisico e di un
corpo o di corpi energetici, emozionali.
Da ciò ne consegue che la relazione non può
prescindere né dall'azione, nè dall'agente.
Non c'è relazione senza azione, non c'è azione
senza agente.
Dunque la relazione necessita sempre di agenti
cioè di corpi tesi allo scambio, aperti al commercio
e alla comunione qualunque essa sia.
Ecco quindi che si delinea un altro sostanziale
pilastro proprio della relazione.
La relazione non può esserci senza scambio e lo
scambio non può realizzarsi senza corpi agenti e
dicenti, cioè corpi comunicanti.
Comunicare dal latino communicare significa
render comune. Comune dal lat communem;
coobligato, da com (cum) insieme e moinis o
munis (che è pure in im-munem, cioè non
munem, libero da prestazioni) e che deve aver
avuto il significato originario di obbligato a
partecipare, cioè a dare, con il diritto di ricevere
qualcosa, cosa o beneficio; da quì anche; misurare,
distribuire e scambiare.
Dunque da ciò ne consegue che la comunicazione,
è l'arte di render comune, è un patto di scambio
che obbliga i com-traenti a partecipare, dando
qualcosa, ma nello stesso tempo investe ciascuno
36
La Relazione
del diritto di ricevere qualcosa in cambio.
Ne deriva una significativa equivalenza tra il
portare e il portare indietro, e la comunicazione
anch'essa fondata sullo scambio, come si evince
dall'etimologia.
Quindi relazione e comunicazione si verificano
contemporaneamente, anzi possiamo dire che la
comunicazione è il mezzo attraverso il quale nasce
la relazione.
Lì dove c'è comunicazione c'è relazione. E ancora
non può esserci relazione senza comunicazione.
Occorre però chiarire un aspetto fondamentale: se
la comunicazione è il mezzo attraverso il quale io
porto qualcosa di me o di mio a qualcun altro,
mettendo ciò in comunione, allora non ho fatto
altro che soddisfare l'atto del portare, al quale
dovrebbe seguire il portare indietro.
È come se la relazione si dislocasse in momenti
temporali diversi: il primo è il portare che coincide
con la comunicazione, il secondo momento cioè il
portare indietro pur essendo dipendente dal primo
conserva una certa autonomia, ragion per cui il
portare indietro può verificarsi o meno.
Ma quante sono le forme di comunicazione di cui
disponiamo?
Per natura disponiamo di due strumenti di
comunicazione; la comunicazione verbale e la
comunicazione non verbale.
Queste
due
forme
di
comunicazione
apparentemente simultanee, sono in realtà
originariamente prodotte in momenti temporali
diversi; ovvero la comunicazione verbale, da verbum, parola, cioè di parola; detto a viva voce,
presuppone un agente parlante, cioè dicente. La
parola rinvia necessariamente ad un agente
parlante e vociante, cioè ad un corpo che ha
emesso un suono. Ciò significa che non c'è suono
senza un corpo sonante, che non c'è parola senza
una bocca che l'ho pronunciata.
Da ciò ne derivano importanti conseguenze,
dunque; se la parola è il prodotto del corpo allora il
corpo ne è l'origine. La parola sta al corpo come il
frutto sta alla pianta, nasce dal corpo, può
sostituire il corpo come una dignitosa
rappresentante, ma non può esistere senza corpo.
Ragion per cui, la comunicazione verbale ovvero
la messa in comune delle parole è solo il prodotto
secondario di una antecedente comunione tra corpi
agenti.
La comunicazione verbale è il prodotto
filogeneticamente recente, di una precedente
37
comunione tra corpi, gesti e azioni.
Dunque; la nostra riflessione conduce ad asserire
che, sebbene disponiamo di due canali
comunicativi verbo e corpo, in realtà essi non
nascono simultaneamente ma dislocati in momenti
evolutivi differenti; l'uno, cioè il canale verbale è
più recente; l'altro, il canale non verbale è più
antico, ovvero, è il primo canale di scambio di cui
per natura disponiamo. Ciò significa che c'è più
saggezza e autenticità nel corpo e nelle azioni di
quanta può essere contenuta nelle parole.
Attraverso questi due canali si compiono i due
tempi relazionali ovvero il portare e il portare
indietro.
Alla luce delle riflessioni etimologiche, ispirateci
direttamente dal sogno, torniamo ad osservare
nuovamente la scena onirica: cani e coyote si
schierano; si guardano; si azzuffano; si sbranano;
un ragazzo accarezza il fedele amico; sospira; si
inginocchia; sorride un pò: ogni verbo, designa
un'azione, cioè rinvia ad un agente che fà, che
opera.
La scena onirica, dunque, in tutta la sua
drammaticità, pur essendo afona e priva di
espressioni verbali, manifesta tutta la profondità
comunicativa propria della comunicazione non
verbale. Tale afonia, non inficia il valore
comunicativo e relazionale, anzi, la sospensione
della parola lascia emergere l'arcaico potere
comunicativo proprio di azioni e gesti, ovvero del
corpo.
Il sogno infatti sembra condurci proprio a questa
fonte.
É come se, ci trasportasse in uno spazio psichico
arcaico, originario, dove non c'è posto per il verbo,
ma nel quale lo scambio si realizza solo tramite
corpi, azioni e gesti.
La scena onirica evoca dunque in noi queste
riflessioni: al venir meno della parola, non viene
meno la relazione. Se la relazione trova nella
comunicazione non verbale delle solide
fondamenta, così come lo sono le radici per la
pianta, non possiamo dire lo stesso per la
comunicazione verbale. Quest'ultima infatti perde
di potere relazionale se svincolata dal sostegno
comunicativo fornitole dal corpo. Se il corpo può
fare a meno della parola, la parola, invece, non
può fare a meno del corpo da cui proviene e verso
cui si dirige. Da ciò comprendiamo come ogni
relazione si àncora sul solido terreno della
corporeità, la parola ne è solo un riflesso. Non
Sara Colarossi
esiste relazione senza corpi, cose, oggetti da
manipolare, mercanteggiare, toccare, scambiare,
amare. Giunti al cuore della parola relazione
questa è la nostra conclusione che il lettore formuli
la sua.
Bibliografia e Note
Cartelazzo, M., Cartelazzo, M., A., L’etimologico
minore, dizionario etimologico della lingua
italiana, Zanichelli editore, Bologna, 2004.
Nietzsche, F.,W., Così parlò Zarathustra, Orsa
maggiore editrice, Forlì, 1993.
Sara Colarossi
è laureata in Scienze dell’Educazione ed in Scienze
Psicologiche. Si è occupata di dinamiche di gruppi
con attività seminariali. Tra le sue pubblicazioni:
Le carezze del Diavolo, Alchimia, Un sentiero per
l'anima, Dialogo con l'angelo, Le esperienze fuori
dal corpo.
38
In Anima-Azione
39
In Anima-Azione
QUALCHE PAROLA SUL CENACOLO PERÌARXÔN:
L’IDEA
DEL CENACOLO, FORSE NON A CASO, MI È VENUTA DOPO LA MORTE DI
PENSAVO SEMPLICEMENTE DI ATTIVARE, COME A
CATANIA,
UN CORSO DI
HILLMAN. IN PRECEDENZA
PSICOLOGIA ARCHETIPICA; MA
FATALMENTE AVREI DOVUTO LIMITARE LA PRESENZA A OPERATORI DEL SETTORE E PREVEDERE UN INIZIO E UNA
FINE DELL’ESPERIENZA. INVECE, NELLE SETTIMANE PASSATE, SI È COSTRUITO PROGRESSIVAMENTE, DENTRO DI
ME, IL PROGETTO DI UN SEMINARIO PERMANENTE: UN LUOGO E UN TEMPO NEI QUALI POTER DISCUTERE
LIBERAMENTE DI TUTTO, CON TUTTI.
TUTTI
COLORO AI QUALI È CARO IL PENSARE E CONDIVIDONO UN ANGOLO VISUALE CHE, PER COMODITÀ,
POSSIAMO CHIAMARE ARCHETIPICO.
SARÀ
UTILE, NATURALMENTE, DEDICARE UNA PARTE DEL TEMPO ALLA DEFINIZIONE DEI CONCETTI E LORO
SVILUPPO STORICO.
IN
ALTRE PAROLE, DEDICHERÒ UNA PARTE DEL TEMPO A
“FARE
LEZIONE” DI CULTURA
ARCHETIPICA, PER RENDERE OMOGENEO E COMPRENSIBILE IL LINGUAGGIO; MA IL RESTO DEL TEMPO LO
DEDICHEREMO A LETTURA E COMMENTI DI TESTI, DISCUSSIONI, ECC… E POI VOGLIO TENERE APERTA LA PORTA A
CIÒ CHE VERRÀ.
LA
FREQUENZA SARÀ DI DUE VOLTE AL MESE
( 2°
E
4°
LUNEDÌ DEL MESE ALLE
19.45)
E OGNI INCONTRO
DURERÀ DUE ORE-DUE ORE E MEZZA, CON UN MINIMO DI RIMBORSO SPESE.
PER
COME LO INTENDO, NON DEVE ESSERE UN CAPESTRO PER I PARTECIPANTI: NEL SENSO CHE
AUSPICANDO UNA CONTINUITÀ DEL GRUPPO
–
–
PUR
CHI VUOLE VENIRE VIENE, PER IL TEMPO CHE DESIDERA, POTENDO
PORTARE ANCHE ALTRE PERSONE CHE FACCIANO IL PERCORSO CHE SENTONO GIUSTO.
NESSUN
OBBLIGO,
INSOMMA.
LUIGI TURINESE
CONVERSAZIONI
(TRA NATURA E CULTURA)
CON LUIGI TURINESE
ARGOMENTI 2012-13:
• FONDAMENTI DI PSICOLOGIA
ARCHETIPICA
• ELEMENTI SPIRITUALI DELLA CURA
• PER UNA CURA IMMAGINATIVA
• IL PARADIGMA PSICOSOMATICO
• CREATIVITÀ E ISTINTO
INDIVIDUATIVO
• JUNG E L’ORIENTE
• NOTE SULLA TIPOLOGIA
• APPUNTI-SEGNALAZIONI
• PROIEZIONI DI DOCUMENTARI E
INTERVISTE
• GUIDA ALLA LETTURA DELLE
IMMAGINI
• VIDEOCLIP DI GIANNA TARANTINO
40
Prima avventura
Vecchie leggende narrano fatti meravigliosi di
guerre e di battaglie,
di eroi virtuosi e forti, di giubilo e di feste, di
gemiti e di pianto …
La prima avventura ci presenta Crimilde, a vedere
bella oltre misura e dai costumi cortesi. Di altre
qualità che non siano esteriori nessun accenno.
Dei signori di Worms è detto generosi donatori e
di nobile stirpe, smisuratamente arditi e forti.
Null’altro che non sia forza, potere e ricchezza.
Viene narrato il sogno profetico di Crimilde,
riportato più sopra.
Seconda avventura
Ci viene presentato Siegfried:
… molte meraviglie si potevano dire di Siegfried,
quanto onore egli acquistasse, quanto egli fosse
bello … allevato … con la cura che si conveniva
al suo stato … Suo padre Siegmund e sua madre
Sieglide gli fecero fare ricchi abiti.
Giunto Sigfrido in età da poter portare le armi, il re
Sigmund lo ordina cavaliere con una festa
solstiziale di sette giorni:
… ne derivò grande onore a Siegmund ed a
Sieglinde da quanto distribuirono di propria mano.
Per questo motivo molti cavalieri stranieri si
recarono colà.
… menestrelli e giullari non diedero loro pace. Lo
facevano per riceverne ricompensa.
… Sieglinde, la ricca signora … distribuiva per
amore del figlio il rosso oro. Sapeva proprio
meritarsi la simpatia e la devozione della gente …
mai si videro servi esser trattati con così grande
generosità.
Terza avventura
Sigfrido sente parlare di Crimilde e della sua
41
grande bellezza.
Io voglio prendere Crimilde, la bella figlia di re
del paese dei Burgundi, per la sua grande bellezza
… anche al più potente imperatore che volesse
sposarsi converrebbe l’amore di questa ricca
regina.
I genitori di Sigfrido cercano di dissuaderlo, ma
inutilmente. A preoccuparli è proprio la fama di
Gunther e di Hagen in particolare.
Re Ghunter ha parecchi vassalli superbi, non fosse
altri che Hagen … Nel suo orgoglio egli potrà
eccedere …
Nonostante le lacrime della regina, Sigfrido
rimane fermo nella sua decisione e le chiede aiuto
per il viaggio.
… io e i miei cavalieri abbiamo bisogno di vesti
che ci facciano onore …
Vengono fatti i preparativi per il viaggio,
nonostante si pensasse … con affanno se i
guerrieri sarebbero mai di ritorno nel paese …
Arriva il momento della partenza, addolorati erano
i cavalieri; più di una fanciulla pianse; tutti nel
cuore pensavano che avrebbero sofferto per la
perdita di cari amici … Però belli erano i loro
cavalli e i finimenti di oro rosso; nessuno era più
splendido di Siegfried e dei suoi uomini.
Sette giorni37 sono necessari per raggiungere
Worms. I tredici cavalieri, tredici poiché Sigfrido
ne ha voluto solo dodici di scorta, arrivano nel
paese dei Burgundi:
… i loro abiti erano di oro rosso … i loro scudi
erano lucidi … e belli. Mai più si videro indosso a
cavalieri abiti così belli … reggevano lance scelte
ed acuminate … le briglie erano d’oro, gli altri
finimenti di seta. La gente li guardava a bocca
aperta.
Essi sono sconosciuti ai Burgundi, ma
l’ostentazione di bellezza e ricchezza è un
linguaggio comune a visitatori ed ospiti.
… erano arrivati superbi cavalieri; portavano
buoni scudi e magnifici abiti. Nessuno in
Piero Di Prinzio
Burgundia li conosceva.
Gunther fa chiamare Hagen, che evidentemente è il
più navigato a corte, perché li identifichi. Hagen
non li conosce di persona, ma bene intende la
lingua dell’esteriorità e della ricchezza, così
efficace anche oggi:
… Ben gli piacquero le loro armi e le loro vesti,
ma non li aveva mai veduti nel paese dei Burgundi.
Egli disse che da qualunque parte quei guerrieri
fossero venuti fino al Reno, dovevano certo essere
principi o messaggeri di principi.
… Belli sono i loro cavalli e buoni i loro abiti. Da
qualunque paese vengano sono eroi di grande
animo.
Dalla magnificenza che gli si mostra, Hagen
deduce di trovarsi davanti Sigfrido:
… in vita mia non vidi mai Siegfried, eppure sarei
per credere … che quell’eroe che sta là così
magnifico non sia altri che lui.
Va notato che, se l’identità può essere incerta, si da
per scontato da subito, deducendolo dalla bellezza
esteriore, che si tratta sempre e comunque di eroi.
Hagen aggiorna Gunther sui trascorsi di Sigfrido,
evidentemente anacronistici data la sua età
adolescenziale: narra di come l’eroe abbia
sconfitto i Nibelunghi, assoggettato il nano
Alberico, di come sia venuto in possesso del
relativo tesoro, della spada Balmung38 e del
cappuccio magico che rende invisibili. Riporta
come episodio indipendente l’uccisione del drago39
e la invulnerabilità conseguente al bagno nel
sangue di questo. Hagen definisce Sigfrido il
terribile uomo e consiglia Gunther di accoglierlo
bene per non meritare il suo odio.
Quello che può apparire normale prudenza è già
calcolo e differimento, è già Hybris in divenire.
Per Gunther non c’è disonore, dice Hagen,
nell’accogliere Sigfrido, nell’andargli incontro,
giacché l’eroe ha tutti i requisiti di appartenenza, è
nobile, è ricco e per di più ha il portamento del
ruolo. Siamo di fronte ad un vero e proprio codice
mafioso.
Gunther domanda a Sigfrido il motivo della sua
presenza sul Reno e Sigfrido non allude nemmeno
lontanamente al vero motivo cioè a Crimilde, ma
dichiara apertamente e senza mezzi termini che è
venuto per conquistare con la forza il regno dei
Burgundi.
… la tua terra può sentirsi soddisfatta di essere
governata da te, ma ora voglio governarla io …
terre e castelli sottoporrò alla mia spada …
La reazione dei Burgundi alla pretesa di Sigfrido,
non dimentichiamo che ha solo dodici cavalieri nel
suo seguito, oscilla tra meraviglia e ira, ma prevale
ben presto il calcolo ed il differimento della
Hybris:
… Deponete la vostra ira … il nobile Siegfried non
ha ancora messo in atto le sue minacce.
Plachiamo e con buone maniere questa contesa …
E teniamocelo amico; ciò si addice a noi molto di
più …
… Che ci gioverebbe combattere … anche se molti
eroi cadessero nella pugna, poco onore ci
deriverebbe da questa contesa ineguale …
… Essi tacquero … e poi … siate i benvenuti … vi
renderemo servigio volentieri … tutto ciò che
abbiamo è a vostra disposizione, secondo le leggi
dell’ospitalità e dell’onore. Divideremo con voi il
nostro sangue e il nostro avere.
… Si fece offrire agli stranieri il vino di Gunther
… L’umore altero del signore Siegfried si addolcì
un poco … e da allora in poi lo straniero fu veduto
volentieri dai Burgundi.
Sigfrido passa adesso le sue giornate tra i
Burgundi primeggiando nei tornei e nelle giostre e
andando in giro a cavallo al seguito di Gunther
nello svolgimento dei
quotidiani compiti
amministrativi del re.
Di Crimilde nemmeno l’ombra:
… Come giungerò a vedere coi miei occhi questa
nobile fanciulla … Ella mi è ancora sconosciuta …
Così visse vicino ai capi, questa è la verità, nel
paese di Gunther un anno intero, senza aver
veduto la fanciulla amata …
La verità è proprio questa: Sigfrido vive vicino ai
capi, non capo tra i capi, ma adolescente tra
uomini, autodeclassato quasi al ruolo di
apprendista.
Quarta avventura
I Sassoni vogliono invadere la terra dei Burgundi e
inviano a Gunther un preavviso di dodici
settimane. Gunther tratta i messaggeri con
l’abituale generosità del ricco, ma è
molto
preoccupato. Lo stesso Hagen teme che non ci sia
il tempo per radunare l’esercito; consiglia il re di
chiedere l’aiuto di Sigfrido.
Gunther è scaltro, non lo fa direttamente. Si fa
vedere rattristato e depresso. Sigfrido abbocca:
… Mi meraviglia molto … perché vi abbia
abbandonato il lieto umore di prima.
42
Hybris e Secolarizzazione Nel Nibelungenleid
E il furbo Gunther tesse bene la sua rete:
… Non posso dire a tutti la pena che devo portare
segreta nel mio cuore; la dirò soltanto agli amici
fedeli.
Sigfrido impallidisce e poi arrossisce:
…Se cercate amici, io sarò uno di quelli, e lo
prometto, sul mio onore, sino alla morte.
… Signore Siegfried, il discorso mi par buono …
mi rallegra la notizia della vostra simpatia per me.
Se vivrò, saprò ricompensarvene col tempo.
Gunther non smette di stupire: ha raggiunto lo
scopo, promette ricompensa ma subito la
subordina e la ratealizza, diluendola nel tempo e
lasciando indefinite le scadenze.
Gunther mette al corrente Sigfrido della minaccia
sassone e l’eroe non esita a mettersi al suo servizio:
… Non affliggetevi … calmate il vostro animo …
Lasciate che io conquisti per voi onore e
vantaggio… Mio re … rimanetevene sereno e
tranquillo a casa con le donne. Difenderò io il
vostro onore ed i vostri beni …
Gunther fa leva sull’ingenuità adolescenziale di
Sigfrido? Gli consente un’apparente ruolo di
superiorità? Sigfrido è giovane e forte ed idoneo
alla guerra mentre lui deve restarsene a casa con le
donne?
Ottiene, quel mio re è indicativo, un vassallo
capace e devoto.
Il valore in battaglia di Sigfrido risulterà
determinante. Di persona ferirà e catturerà
Lüdegast, uno dei re invasori; e Lüdeger il
sassone, l’altro re nemico, fratello del primo,
riconosciute le sue insegne, gli si arrenderà:
… Cessate di combattere, voi tutti che mi obbedite.
Ho incontrato qui il figlio di re Siegmund e l’ho
riconosciuto. Un malvagio diavolo lo ha mandato
a combattere contro i Sassoni.
I Burgundi trattengono come ostaggi cinquecento
prigionieri scelti tra quelli in grado di pagare i
riscatti più alti e lasciano liberi tutti gli altri,
indipendentemente, a quanto sembra, dal valore
dimostrato in battaglia.
Vengono inviati messaggeri a Worms affinché la
notizia della vittoria preceda il rientro delle schiere
vincitrici; ed uno in particolare viene inviato, di
nascosto dice il testo, a Crimilde che aspetta con
ansia notizie, dei congiunti certamente, ma
soprattutto di Sigfrido.
… I superbi Burgundi si sono comportati così
valorosamente che il loro onore è mondo da ogni
macchia … Siegfried però ha condotto a termine e
43
con prodezza l’impresa più grande che mai si sia
vista, egli conduce grandi ostaggi … Il valoroso
eroe li ha vinti con la sua forza e di essa hanno
provato il danno re Lüdegast e il suo fratello
sassone Lüdeger.
Ascolta quanto ti racconto, nobilissima regina! La
mano di Siegfried li ha fatti entrambi prigionieri
… Conduciamo in patria cinquecento o più
prigionieri sani e di quelli feriti gravi circa
ottanta, quasi tutti per mano di Siegfried …
Il volto di Crimilde si fa rosso per la gioia ( gli
adolescenti diventano così due):
… Tu mi hai portato una buona notizia, per
mercede ti farò dare un ricco vestito e dieci marchi
d’oro.
Così andavano le cose a quei tempi e forse non
solo allora! Lo stesso sconosciuto autore de I
Nibelunghi nota subito dopo:
A ricche donne tali notizie si portano volentieri.
I feriti vengono curati con ogni attenzione, ai due
re prigionieri viene lasciata, sul loro onore, libertà
di movimento; e tutti gli altri si congedano con
l’accordo di ritrovarsi a Worms dopo sei
settimane40 per una grande festa. Anche Sigfrido
se ne torna a casa, con la sola delusa speranza di
vedere Crimilde: era troppo potente per potergli
offrire oro.
I Burgundi iniziano i preparativi per la festa
annunciata.
… molte belle donne si occuparono con molta cura
degli abiti e delle cuffie che avrebbero portato …
Ute sentì dire dei molti orgogliosi cavalieri che
sarebbero venuti e molti begli abiti vennero tolti
dai panni in cui erano avvolti … fece tener pronti
abiti dei quali potessero adornarsi molte donne …
e molti giovani cavalieri burgundi. Ed anche per
non pochi ospiti forestieri vennero tenuti pronti
bellissimi abiti.
Quinta avventura
La mattina di Pentecoste si videro andare tutti,
magnificamente vestiti, cinquemila e più, verso la
festa di corte.
Il re Gunther aveva in mente ciò che da tempo
aveva capito: quanto … Sigfrido … amasse la sua
sorella, benché non l’avesse mai veduta … ed
accettò volentieri il consiglio del suo siniscalco
Ortwein di Metz:
… Se volete che questa festa vi faccia onore,
lasciate ammirare ai vostri ospiti le belle fanciulle
Piero Di Prinzio
che sono vanto della Burgundia. Che cosa fa
piacere all’uomo, che cosa si rallegra di vedere se
non belle giovinette e splendide donne? Fate
dunque venire la sorella vostra dinanzi agli ospiti.
Gunther fece dire a dama Ute e alla sua bella
figliola di venire a corte … allora furono tratti
dagli stipi belle vesti … e fermagli e diademi … Il
possente re ordinò cento cavalieri con la spada in
pugno al seguito di sua sorella e della madre … La
ricca Ute … aveva al suo seguito molte belle
donne, cento e più, adorne di sontuose vesti; anche
Crimilde …
Si videro tutte uscire dal loro appartamento. E i
cavalieri si spinsero e si affollarono …
E la vezzosa venne come l’aurora esce dalle
torbide nuvole. Allora colui che la portava in
cuore … vide per la prima volta dinanzi a sé la
fanciulla bellissima. Sulla sua veste splendevano
molte belle gemme, il di lei roseo volto aveva il
fascino dell’amore …
Come la chiara luna vince tutte le stelle, quando la
sua splendida luce esce dalle nuvole, così ella
vinceva in bellezza tutte le altre donne. Più di un
eroe sentì il proprio animo innalzarsi alla sua
presenza41.
… I cavalieri si accalcavano al suo passaggio …
L’eroe Siegfried sentiva nel suo cuore amore e
dolore.
Solo per pochi lunghissimi istanti, la bellezza è
stata in grado di arrestare la Hybris; la menzogna
ed il calcolo riprendono il controllo.
L’attenzione, dal rallegrarsi dei cuori, è riportata
sugli splendidi abbigliamenti e parla Gernot,
fratello del re:
Gunther, caro fratello, onorate dinanzi a tutti
questi eroi colui che vi ha così generosamente
offerto i suoi servigi, ascoltate il mio consiglio.
Chiamate Siegfried, perché si avvicini a mia
sorella Crimilde, affinché la fanciulla lo saluti, ciò
ne porterà vantaggio. Ella … renda omaggio a
Siegfried, perché quella nobile spada sia
guadagnata a noi.
Gli amici del re andarono dall’eroe e così
parlarono al guerriero del Niederland: il re
permette che vi avviciniate alla sua corte ( la parte
della sala riservata al re ed al gruppo più ristretto
del suo seguito ), perché la sorella di lui vi saluti,
tale onore vi spetta!
L’acconto del compenso di Sigfrido viene così
versato, incentivo per sempre maggiore servizio.
L’amore che nasce tra Crimilde e l’eroe è come
una bolla colorata, fragile e a sé, isolata dal resto,
che si solleva leggera nei respiri pesanti e grigi
della bugia e del calcolo.
Crimilde salutò il bel Siegfried con modestia
graziosa. Quando ella vide il valoroso dinanzi a
lei, una fiamma imporporò le sue guance …
L’animo del guerriero a quel saluto si sollevò …
L’eroe e la fanciulla si guardavano con occhi
d’amore, di soppiatto. Non so se la bianca mano
fu allora amorosamente accarezzata con tenera
stretta. Ma non posso credere che non l’abbia fatto
…
Né nei bei giorni d’estate, né in quelli dolci di
maggio, mai egli portò nell’anima sua tanta
fervida gioia come allora, quando toccò la mano
della fanciulla che sentiva d’amare …
A lei fu permesso di baciare il bellissimo
guerriero. Egli non aveva mai provato nulla di più
dolce …
Il re di Danimarca Lüdegast, prigioniero in attesa
di riscatto, che pure per il suo rango assiste alla
scena, ne coglie appieno il significato politico:
Più d’uno è ferito per questo inclito saluto, come
io qui vedo, dalla mano di Siegfried; che Dio
allontani da lui il pensiero di tornare in
Danimarca!
La corte e gli invitati si recano adesso in chiesa.
Gli uomini e le donne vengono separati. La Hybris
riprende il sopravvento:
Era così bella e ornata, che molti desideri si
innalzarono fino a lei; ella era nata per la gioia
degli occhi dei cavalieri. A stento Siegfried aspettò
la fine della messa cantata …
All’uscita dal duomo, a Sigfrido è permesso di
nuovo di avvicinarsi a Crimilde, che lo ringrazia
per i servizi resi:
… avete meritato l’affetto e la fedeltà di tutti i
guerrieri, come lo dicono apertamente …
… Sempre li servirò, e non poserò il mio capo sul
guanciale, finché non avrò adempiuto la loro
volontà, finché avrò vita lo farò, purché mi diate il
vostro amore …
Per dodici giorni a Crimilde è permesso di
mostrarsi in pubblico, a beneficio di Sigfrido.
Giunto il tempo del commiato, Gunther si reca da
Sigfrido per un’ ulteriore lusinga:
Consigliami tu su come io devo comportarmi. I
nostri nemici vogliono tornarsene a casa. Voglio
anche dirvi quanto mi offrono per il loro riscatto
… mi darebbero volentieri, se li lascio in libertà,
tanto oro quanto ne possono portare cinquecento
44
Hybris e Secolarizzazione Nel Nibelungenleid
cavalli da soma.
Sarebbe mal fatto da parte vostra. Dovete lasciarli
andare entrambi senza riscatto … Fatevi dare, per
garanzia, una stretta di mano...
Gunther segue il consiglio di Sigfrido rinunciando
al riscatto e saluta i suoi amici donando a ciascuno
cinquecento marchi ed a qualcuno forse anche di
più.
Anche Sigfrido, incerto se chiedere a Gunther la
mano di Crimilde, decide di ripartire. Lo dissuade
il fratello minore del re, Giselher, con giovanile
franchezza:
Dove volete andare, nobile Siegfried? Date ascolto
alla mia preghiera e rimanete qui con i cavalieri,
con re Gunther e con i suoi vassalli. Qui ci sono
belle donne e ve le lasciano vedere.
Bibliografia e Note
37. Qui come altrove la coerenza dei riferimenti
geografici è supporto alla validità della narrazione.
38. Nell’Edda la spada di Sigfrido ha nome Gramr.
39. Nell’Edda è il serpente Fafnir, fratello dei nani
Odr e Regin.
40. Tempo necessario anche per permettere ai feriti
di guarire e di metterli in grado di partecipare ai
festeggiamenti.
41. La capacità della donna di innalzare l’animo di
un uomo è attribuita al sentire cortese,
ma la
bellezza, quando è veramente intesa come tale, è
già verità. La bellezza eccezionale di Crimilde e la
poesia di questo primo incontro insieme al dolore
che accompagna l’amore, inteso come tensione
verso l’alto e anelito ad una dimensione
sovraumana, riscattano in qualche modo la Hybris
dell’esteriorità e del vano.
Piero Di Prinzio:
Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1981, nel
1993 ha ottenuto il riconoscimento dell'attività
psicoterapeutica (Legge 18.2.89 n.56).
Dal 2003 al 2005 ha insegnato, in qualità di
Docente a Contratto, Antropologia Culturale nel
Corso di Laurea Specialistica in Psicologia
Dinamica e Clinica della Personalità, presso la
facoltà
di
Scienze
della
Formazione
dell’Università degli Studi di L’aquila.
Dal 2009 è titolare dell’insegnamento di
Antropologia Culturale, Mitologia e Religioni
presso la
Scuola di Specializzazione in
Psicoterapia ATANOR ad indirizzo Analitico di
45
L’Aquila,
riconosciuta
dal
Ministero
dell’Università e della Ricerca.
Svolge dal 1982 come libero professionista in
Chieti l'attività di Psicoterapeuta
L'Anima Fa... Libro
NEI LUOGHI DEL FARE ANIMA
"SI, NEL TITOLO C'È UNA CHIARO RIFERIMENTO AL MAESTRO JAMES HILLMAN.
UN MIO COLLEGA HA DEFINITO QUESTO TESTO IL PRIMO LIBRO DI CLINICA ARCHETIPICA.
NELLA SUA COSTRUZIONE È UN LIBRO UN PO' PARTICOLARE: È UNA RACCOLTA DI SAGGI BREVI COME UN DIARIO
APERTO.
LO STILE È ABBASTANZA DIVERSO DAL SOLITO, CERCA DI ENTRARE NELLA PSICHE ATTRAVERSO LA NARRAZIONE.
NELLA PRIMA PARTE, "LO SPAZIO DI CURA", CI SONO VARI TEMI CARI ALLA PSICOLOGIA ARCHETIPICA: L'AMBIENTE, LA
STANCHEZZA DEL TERAPEUTA E COSÌ VIA.
NELLA SECONDA PARTE SONO NARRATI DEI FLASH DI SEDUTA. NON PARLO DEL CASO CLINICO IN MANIERA CLASSICA:
SONO FLASH DI MOMENTI ARCHETIPICI, RACCONTI DI UN ATTIMO. UNO STILE NARRATIVO IN PRESA DIRETTA.
NEL TESTO LAVORO AD UN TEMA A ME CARO: IL CAMPO ARCHETIPICO. QUANDO LAVORO SUL CAMPO CERCO DI
STRUTTURARE LA NARRAZIONE CHE VIENE FUORI DALLA SEDUTA, NON GUARDANDO AL PAZIENTE O ALLA RELAZIONE,
MA RIVOLGENDO LO SGUARDO AL TERZO E QUINDI ALL'ATTIVAZIONE DEI CAMPI ARCHETIPICI, ANDANDO OLTRE,
SUPERANDO LA POSIZIONE CARTESIANA."
"AD UN PAZIENTE, CHE ARRIVA IN
"SI PUÒ FARE ANIMA IIN OGNI
SEDUTA CON I SUOI DOLORI E I
LUOGO, MA È SOPRATUTTTO UN
SUOI DISAGI, GLI DICO
ATTEGIAMENTO INTERNO.
L'ANIMA È
IMMEDIATAMENTE CON
OVUNQUE.
FRANCHEZZA: QUI NON CAMBIERÀ
IN QUESTO LIBRO, MI CONCENTRO E
NULLA, PERÒ PUOI IMPARARE A
LAVORO SU COSA ACCADE NEL
UTILIZZARTI AL MEGLIO.
TEMENOS.
NEL CLINICO SI LAVORA
ATTRAVERSO UN DOPPIO REGISTRO,
LA PARTE SULLA STANCHEZZA,
SECONDO ME, È UNA DELLE
SI LAVORA NEL MISTERO E NEL
RIFLESSIONI PIÙ BELLE DEL LIBRO.
CONFINE.
IL DAIMON CI CONFINA, CI LIMITA.
CRONOS CI AIUTA A PERCEPIRE I
LIMITI.
SE NOI AVESSIMO UNA POSIZIONE
ARCHETIPICA, NON DOVREMMO
PARLA DELL'UMANITÀ DELLO
QUANDO ARRIVA LA
STANCHEZZA, NON HAI SCELTA: DEVI
RESTARE NELLA RELAZIONE, NON HAI
PRONUNCIARE PIÙ LA PAROLA
NESSUNA ÉQUIPE CHE TI PUÒ VENIRE
ARCHETIPO."
IN SUPPORTO, NESSUNO TI PUÒ
PSICOTERAPEUTA E DELLA
SOLITUDINE ASSOLUTA
DELL'ANALISTA.
AIUTARE."
"INFINE, SE MI PERMETTETE, VORREI FARE UN OMAGGIO A QUESTO BEL NOME L'ANIMA FA ARTE: PENSO CHE NON
CI POSSA ESSERE UN'ATTIVITÀ PSICHICA SE NON C'È ESTETICA, NEL SENSO ETIMOLOGICO DI "PERCEPIRE ATTRAVERSO
I SENSI".
COME DICE IL MAESTRO JAMES HILLMAN, L'ESTETICA È IL DARE IL GIUSTO ORDINE ALLE COSE, USARE IL
LINGUAGGIO IN UN CERTO MODO, AVVICINARSI ALL'IMMAGINE CON DELICATEZZA SENZA SPEZZARLA, ROMPERE
L'ISOLAMENTO IN CUI CERTE PSICOLOGIE RISCHIANO DI INCASTRARSI; IN POCHE MA EFFICACI PAROLE: RIMANERE
ADERENTI ALL'IMMAGINE."
RICCARDO MONDO
Psicologo, analista junghiano, membro del Centro Italiano di Psicologia Analitica (CIPA) e dell’International Association for
Analytical Psychology (IAAP), è presidente dell’Istituto Mediterraneo di Psicologia Archetipica, fondato in occasione
dell’ottantesimo compleanno di James Hillman, che ne è stato Presidente Onorario. È docente di Psicologia del Sogno nella
Scuola di Psicoterapia dell’età evolutiva dell’Istituto di Ortofonologia (IdO) di Roma. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo i
volumi L’arco e la freccia. Prospettive per una genitorialità consapevole (Edizioni Magi, 2003), Caro Hillman... Venticinque
scambi epistolari con James Hillman (con Luigi Turinese, Bollati Boringhieri, 2004) e Sogno arcano. Per un ascolto
immaginativo della vita onirica (con Rossella Jannello, La Parola, 2011). Vive e lavora a Catania.
46
parliamo di Atena parliamo di Giustizia,
Quando
quindi parliamo di etica. Credo che non ci
possono essere dei criteri specifici di etica nella
psicoanalisi, ma devono essere dei criteri generali
di vita dell'essere umano e di ciò che lo riguarda.
La psicologia analitica di Jung vive sul fatto di
rispettare sempre la totalità del fenomeno psichico,
inteso come riflesso del generale, quindi etica
individuale ed etica collettiva non sono scindibili.
In psicoanalisi considero giusto stare nel mezzo
degli opposti, non separarli e mantenere equilibrio
fra di essi.
L'eccessiva unilateralità di un opposto porta a
Venere Callipigia e Atena
deviazioni psicologiche, per esempio il processo
alle streghe fu dovuto dal fatto che il maschile era in un momento di unilateralità rispetto al suo opposto
femminile, che diventava strega. Anche nella società di oggi ci sono episodi di unilateralità rispetto al
maschile, basti pensare a nomi noti della politica italiana.
E poi c'è il discorso sulla bellezza. Sinceramente trovo difficile scindere tra bellezza ed etica. Ciò che è
etico è bello. La verità è sia bella che etica, è nudità. Il drappeggiarsi troppo è artificiale, mentre il
guardare le cose come sono è sia etico che estetico.
Per quanto riguarda la mia esperienza personale trovo bello sia il lavoro con il paziente, sia lo scrivere, sia
il riflettere o il corrispondere con un altra persona.
immagine mi fa venire in mente che la mia
Questa
prima pubblicazione era paradossalmente sulla
Gustav Klimt, Tod und Leben,1908-15
47
morte e sulla vecchiaia. In quel periodo lavoravo in
clinica, e avevo avuto molti pazienti anziani. È
fondamentale per la psiche percepire tutto come
limitato e finito. Tendiamo a rifiutare la morte come
esperienza, e viviamo con modalità di vita che
respingono la naturalità dei fatti e il limite. Tutti, e a
qualunque età, dovrebbero tener presente questo. Per
esempio la morte non dovrebbe essere negata ai
giovani, questo atteggiamento è molto italiano. Oggi i
bambini non si portano a vedere il corpo del nonno o
della nonna, o il medico non dice al paziente che è
prossimo alla morte.
Valentina Marroni, Michele Mezzanotte
L'analisi è la presa di coscienza dei limiti, quindi della morte: posso scegliere una professione ma non
due, posso scegliere di amare una persona, ma non troppe.
E il sonno? Sypnos nella cultura greca è il fratello di Thanathos, ovvero della morte.
Il sonno è la morte quotidiana della coscienza. Tempo fa, una trentina di anni fa, sottolineavo in un mio
scritto che la coscienza è emerogenesi, ovvero rinasce ogni giorno e non nasce da zero. Cosa perdiamo
definitivamente ogni giorno? Sarebbe interessante domandarselo.
C
i sono poche immagini di Enea con il padre sulle spalle, così come
sono poche le immagini che rappresentano un figlio che porta in
spalla il padre. In questa immagine Ettore, il padre, solleva in braccio
Andromaca, il figlio.
Mi ha sempre colpito molto questa storia e mi ha sempre commosso. Mi
identificavo con l'aspetto romantico ed eroico. Penso che la paternità sia
un gesto archetipico diverso dalla maternità. La paternità è un'adozione
più di quanto lo sia la maternità. Nella paternità ci deve essere una scelta
consapevole, mentre il materno è meno consapevole. L'archetipico nel
paterno è il legame che si crea successivamente. Nel materno
l'archetipico è precedente al legame che si istaura durante la vita tra
madre e figlio.
La paternità è una faccenda combattuta e complessa nella psiche
dell'uomo. Ciò che mi commuove nel paterno è che il rapporto, pur
essendo generato da eventi esteriori, è un legame fortissimo e non è
Joseph Marcellin Combette,
Ettore e Andromaca, 1810
M
i colpisce che un paese ai vertici del machilismo come il Messico
produca una donna di tale rilevanza. In messico un'esclamazione
frequente è ohi que padre, ovvero oh che straordinario, identificando il
padre con lo straordinario.
Un altro unilateralismo, oltre al maschile, potrebbe essere quello del
femminile.
Oggi il movimento femminista è estremamente moderato. Mi ricordo
che una femminista americana disse: "ecco siamo diventati il maschio
che noi criticavamo", una sorta di maschio pre-paterno aggiungerei.
Forse l'errore del femminismo è di essere stato molto astratto ed
ideologico.
Lo sgretolamento del paterno avviene comunque da molto prima del
femminismo. È un nodo molto complesso.
La Colonne Brisée (1944),
Frida Kahlo
Questa immagine parla anche di una femminilità ferita. Che ne pensa?
Per esempio una femminilità è ferita quando si cerca di mettere al mondo un bambino senza un padre.
Nella società cattolica è stato depotenziato il padre. In altre culture il padre è anche un ministro del culto,
nel cattolicesimo questo si è perso, il padre è il prete non un Padre.
48
Intervista a Luigi Zoja
U
n centauro è una bipolarità non ben sintetizzata tra il maschile
pre-paterno e il maschio umano. C'è un maschio combattivo e
competitivo, il maschio alfa, che controlla tutto senza sufficienti
aspetti provvidenti paterni.
Il centauro si rappresenta attraverso la violenza umana. Viviamo in
un mondo di competizione immediata nel quale c'è un'ondata di
economia che ci costringe ad essere sempre più competitivi e
perdiamo lo sguardo paterno a lungo termine, lo sguardo che guarda
al futuro. Come ho accennato prima, anche le donne hanno assunto
questo aspetto maschile di competizione violenta.
L'arte e la cultura richiedono tempo e oggi abbiamo in mano una
simil-arte e una simil-cultura, non abbiamo tempo di fare nulla.
Anche la sessualità è diventata vittima di un mondo velocizzato e
violento: non abbiamo tempo per il sesso e per l'amore.
La violenza è presente nell'analisi?
Jean Boulogne,
Ercole e il centauro Nesso
Nel temenos analitico non dovrebbe esserci violenza. Non riesco a
immaginare una violenza terapeutica.
D
Salvador Dalì, Paranoia
1944
alì è uno dei pittori più mediatici ovvero in contatto con i media.
Parliamo della paranoia. I mutamenti della tecnologia sono tali che
in un decennio vediamo tantissimi cambiamenti e siamo impreparati a
questo. La paranoia è un tipo di disturbo mentale attuale e collettivo
grazie anche all'avvento dei mass-media nella nostra vita. Una massmedia è un mezzo di comunicazione di massa, quindi deve essere
semplice. Nella sua semplicità si trova la sua pericolosità. Per esempio
ci induce l'esperienza semplificata del capro espiatorio, così non
percepiamo più la nostra ombra e finisce che tutto ciò che riteniamo
sbagliato lo proiettiamo all'esterno, verso un capro espiatorio: i politici
corrotti, gli immigrati violenti, gli ebrei e così via. I mali della società
sono da attribuire ad altri e non a noi.
Purtroppo il mezzo di comunicazione di cattiva qualità prevale su quello
di buona qualità. Anche i quotidiani si sono "televisionizzati" andando
verso la cattiva qualità e quindi non c'è rimasto quasi niente. Non è un
fenomeno solo italiano, ma mondiale.
La paranoia può essere anche costruttiva come quella di Dalì?
Sono un pò influenzato dal fatto che Dalì non mi piace, tuttavia si, la paranoia può essere costruttiva.
49
Valentina Marroni, Michele Mezzanotte
R
icordo che la mia vocazione di psicologo si è manifestata
attraverso un sentimento di allontanamento da Milano, così mi
sono diretto a Zurigo. Quello nella foto è il nuovo istituto, io ho
frequentato altri locali. Ricordo che era un luogo molto eterogeneo
dove c'erano studenti e docenti da tutte le parti del mondo. Inoltre i
docenti, all'epoca, erano molto vicini all'esperienza diretta con Jung.
C.G. Jung Institute, Zurich
H
o conosciuto Jim intorno agli anni 70, grazie alla
mediazione di un mio analista e amico: Adolf Guggenbuhl
Craig. Stavo scrivendo un'antologia.
James è stato presente anche al mio compleanno dei 60 anni.
Amava l'Italia.
Ricordo che fece un "salto" con l'articolo Lo specchio e la
finestra, così decise di smettere di avere pazienti e fare
psicoterapia delle idee.
Era una persona piuttosto riservata; era molto "vero" anche a
livello intellettuale. Il mondo commerciale ed economico lo
inglobò, forse anche ingiustamente rispetto al suo carattere.
La psicologia di Hillman ha la forza della semplicità. Hillman si è
saputo far capire dal grande pubblico. A volte, in Italia, abbiamo il
difetto della troppa accademicità e questo ci limita.
Nelle conferenze era molto bravo. Anticipava l'argomento e poi
faceva distribuire la traduzione al pubblico presente in sala. Era
un gran parlatore e riusciva a comunicare una "presenza" ed è
qualcosa che probabilmente non si può tradurre a parole. Anche
Adolf Guggenbuhl era una "presenza" che si faceva notare.
James Hillman
C
he sorpresa questa foto. Mi è stata scattata da un amico ed ero di
ritorno dalla mia esperienza americana. Già vi ho raccontato
tantissime cose su di me, anche personali. A dire il vero, in quel
momento, ero un po' preoccupato perchè dovevo cominciare da capo: ero
stato fuori tanto tempo e non mi ero trovato bene, così ho deciso di
rientrare in Italia.
"Per concludere..."
Oggi assistiamo nella società e, per riflesso, nella psicologia ad un
impoverimento culturale. Mi dispiace che alcuni professionisti non
facciano più psicologia, ma siano diventati formatori: non lo trovo etico.
Lugi Zoja
50
L'Anima Fa... Libro
PAULI E JUNG
"DAI
MILLE SOGNI CHE WOLFGANG PAULI,
UNO
DEI
FISICI
PIÙ
CREATIVI
DEL
NOVECENTO, PORTÒ IN DOTE A CARL GUSTAV
JUNG, LO PSICOLOGO CHE, INSIEME A FREUD,
AVVIÒ
L'ESPLORAZIONE
DELL'INCONSCIO,
SCATURÌ UNA STRAORDINARIA AVVENTURA
INTELLETTUALE
E
UMANA.
L'INCONTRO
PORTÒ ALLA RISCOPERTA DELLA NOZIONE DI
SINCRONICITÀ E ALLA REINTERPRETAZIONE DI
QUELLE COINCIDENZE, PRIVE DI CONNESSIONI
CAUSALI MA DENSE DI SIGNIFICATO, CHE
RICORRONO DI CONTINUO NELLA NOSTRA
ESPERIENZA QUOTIDIANA.
FECE MATURARE LA CONSAPEVOLEZZA CHE
LA STORIA DELL'UMANITÀ È PROFONDAMENTE
PLASMATA
DA
ARCHETIPI,
STRUTTURE
FONDANTI ALLE QUALI IL PENSIERO DEVE LA
PROPRIA CAPACITÀ CREATIVA, DATO CHE
COSTITUISCONO
UNA
RISERVA
PSICHICA
PRESSOCHÈ INESAURIBILE DA CUI TRARRE
ALIMENTO.
MA
SOPRATTUTTO
FU
ALL'ORIGINE DI UNA FRUTTUOSA ALLEANZA
TRA FISICA E PSICOLOGIA, TRA MATERIA E
PSICHE.
QUESTO LIBRO RACCONTA IL
SODALIZZIO
TRA
DUE
PERSONALITÀ
ECCEZIONALI E GLI STRAORDINARI EFFETTI
CHE ESSO EBBE SULLA CULTURA DEL SECOLO
SCORSO, APRENDO PROSPETTIVE DI CUI SOLO
OGGI
INIZIAMO
A
COMPRENDERE
LE
POTENZIALITÀ."
Silvano Tagliagambe ha insegnato filosofia della scienza presso le Università di
Cagliari, Pisa, Roma "La Sapienza" e Sassari. Attualmente è direttore scientifico del
progetto "Scuola digitale" della regione Sardegna. Nelle edizioni Raffaello Cortina
ha pubblicato il Sogno di Dostoevskij. Come la mente emerge dal cervello (2002).
Angelo Malinconico, psichiatra, criminologo e psicologo analista, è membro
didatta dell'AIPA e membro ordinario della IAPP. Insegna materie psichiatriche e
psicologiche presso le Università Cattolica e Statale del Molise. Tra i suoi lavori
recenti, la cura del volume Psicosi e psiconauti. Polifonia per Ofelia (Roma 2010).
51
Appunti
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