La `Salama da sugo - Salamina ferrarese` Relazione storica
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La `Salama da sugo - Salamina ferrarese` Relazione storica
La ‘Salama da sugo - Salamina ferrarese’ Relazione storica Relazione storica Sds rev_4.doc Pag. 1 di 9 La “Salama da sugo ferrarese”, o più semplicemente Salamina ferrarese è da oltre cinquecento anni il prodotto principe della gastronomia ferrarese. Se le origini temporali rimangono piuttosto incerte, certo è invece il suo luogo di nascita, ovvero Ferrara, dove era particolarmente apprezzata alla corte dei duchi d'Este1. Tra il XV e il XVI secolo la città degli Este, sia per le politiche matrimoniali sia per la presenza di una rinomata Università, era un intrigo di culture internazionali. Oltre all'arricchimento della biblioteca di corte ed alle molteplici presenze intellettuali che davano vita alla città, nell'arco di poco più di un secolo si succedettero alla corte estense duchesse aragonesi, francesi ed austriache che vi introdussero modelli e abitudini diverse. In questo ambiente l'idea di festa e banchetto era molto arricchita, soprattutto grazie alla presenza di due scalchi di corte2, nonché trattatisti, tra i più importanti dell'epoca: Giovan Battista Rossetti e Cristoforo da Messisbugo, di cui si parlerà più dettagliatamente in seguito. Ma la corte di Ferrara si distinse anche per l'attenzione che rivolgeva alla crescita scientifica, in particolare al problema fondamentale di quel periodo, ovvero la nutrizione. Francesco Benzi, figlio di Ugo Benzi, medico senese e trattatista di scienze dell'alimentazione, dedicò ad Ercole I due trattati dai titoli "De fructibus vescendis" e "De venenis et morsibus ordaceam", mentre a Borso (primo duca della città dal 1450 al 1471) appartenevano un "Tacuinum sanitatis" (1467) e un "Retrato de tute le herbe e de le loro virtù" (1471) quest'ultimo pagato ben 20 ducati d'oro ad un certo Giovanni da Lodi autore del libro3. In tale contesto culturale e in un intreccio tra storia e leggenda, ritroviamo le origini della “Salama da sugo - Salamina ferrarese” , inizialmente pietanza forte nei pranzi ducali al tempo degli Estensi, in seguito alimento dei contadini di molte zone del ferrarese (che ne rimangono i più genuini depositari), ed infine piatto delle grandi occasioni e circostanze della vita dei ferraresi. La leggenda attribuisce il merito del suo prosperare a Lucrezia Borgia, sposa ad Alfonso d'Este agli inizi del '500. Essa divenne famosa alla corte di Ferrara per il suo 1 Gli Este, famiglia italiana di origine longobarda, si insediò a Ferrara alla fine del XII secolo e vi regnò fino al XVII. Il momento d'oro per il ducato estense cominciò con Ercole I (1431-1505) fino ad Alfonso II (1533-1597), prima di passare sotto il controllo dello Stato Pontificio nel 1628 e il conseguente trasferimento della corte a Modena. 2 Lo scalco, altrimenti detto senescalco, era colui che attendeva all'organizzazione delle vivande e dei banchetti presso una corte; più che un semplice cuoco, era una figura che raggruppava in sé il direttore di ristorante, organizzatore di pranzi e cene scenografiche nonché addetto alle relazioni esterne 3 B. Di Pascale, "Bancehtti estensi. La spettacolarità del cibo alla corte di Ferrara nel Rinascimento", ed. La Mandragora, Imola 1995. Relazione storica Sds rev_4.doc Pag. 2 di 9 mecenatismo e la passione con la quale si dedicava all'intrattenimento. In tale epoca di feste e banchetti, quando i primi grandi maestri di cucina come Cristoforo da Messisbugo cominciano a dare vita a quella che sarà poi la vera gastronomia italiana, Ferrara divenne uno dei principali centri della civiltà rinascimentale, attirando su di se numerosi personaggi illustri che vi venivano a soggiornare, ospitati e nutriti a spese della corte 4. Ma le prime testimonianze scritte riguardanti lavorazioni simili alla “Salama da sugo Salamina ferrarese” , risalgono al periodo rinascimentale. In tale epoca l'opera più rappresentativa era il ricettario composto da Cristoforo da Messisbugo, dal titolo " Banchetti composizioni di vivande e apparecchio generale" del 1549, nel quale sono riportate le abitudini gastronomiche dell'epoca, la preparazione delle ricette ed il servizio della tavola. Quanto all'utilizzo della carne di maiale, il Messisbugo manifesta un'attenzione particolare, maggiore rispetto a quella dimostrata dai precedenti trattatisti, soffermandosi dettagliatamente sulle operazioni di insaccatura dei salumi rifacendosi alla tradizione locale5. Prodotti simili alla Salamina citati nel ricettario sono le investiture e le mortadelle di ficato, ossia di fegato. Le prime sono degli insaccati ricavati dai tagli della gola, del lombo, delle orecchie e della lingua del maiale, lasciati macerare per qualche giorno sotto sale e poi conservati in vasetti di vetro immersi vino rosso. Al momento opportuno vengono asciugati dal vino con degli "strazzi bianchi" ed insaccati con lo stesso procedimento impiegato per la preparazione mortadelle di carne6. Per l'impasto delle mortadelle di ficato il Messisbugo, invece, prescrive l'impiego della carne di maiale ben macinata, sale, pepe, vino vermiglio e fegato, ma anche milza e rognone. Dopo quasi due secoli di silenzio, ai primi del '700, l'illustre storico ferrarese Antonio Frizzi sarà il primo autore a fornire abbondanti informazioni sulle origini e la storia della “Salama da sugo - Salamina ferrarese”. Nell'opera dal titolo " Memorie per la storia di 4 I numerosi Registri delle Spese di allora, conservati presso l'Archivio di Stato Estense, offrono una "sofferta" testimonianza delle ingenti spese che gli Este si sobbarcavano in tali occasioni, come quando ospitarono Federico III d'Asburgo, e tutto il suo seguito (ben 2000 uomini), durante la sua marcia verso Roma per essere incoronato, da Niccolò V, Imperatore del Sacro Romano Impero (1452). Comolli C, "Cucina e feste presso la corte ferrarese del '400" , articolo pubblicato su "Appunti di gastronomia", n. VI, pag. 27. 5 Faccioli E., "L'eccellenza e il trionfo del porco", Comune di Reggio Emilia Assessorato alla Cultura, Mazzotta, Milano 1982, pag. 45. 6 Ibidem, pag. 47. L'uso del vino rosso è presente anche nella preparazione della Salama da sugo ferrarese. In questo caso però la sua unica funzione è di aromatizzante per le carni, e non conservante come sostiene, confondendosi, Piero Camporesi, il maggiore commentatore dell'Artusi. Infatti, descrivendo il prodotto, lo vede "…rinchiuso in una solida vescia e messo a macerare, sempre nel vino, per uno o due anni". INSOR, "Atlante dei prodotti tipici: i salumi", Franco Angeli, Milano, 1989, pag. 58. Relazione storica Sds rev_4.doc Pag. 3 di 9 Ferrara", l'autore afferma che i primi produttori della “Salama da sugo - Salamina ferrarese” furono i porcaioli o, più precisamente, i montanari provenienti dalle provincie di Trento, Bormio e di Morbegno. Questi in inverno scendevano nelle vallate del Po e, sistemandosi principalmente nella città di Ferrara, vi trasferirono con il tempo i segreti e le arti della lavorazione. L'autore, tuttavia, rimane piuttosto vago circa l'epoca alla quale far risalire tale fusione culturale7. Lo stesso Frizzi appare altresì più preciso quando attribuisce alla città di Ferrara, ed unicamente ad essa, i natali della “Salama da sugo - Salamina ferrarese”, e lo fa tramite un poemetto giocoso intitolato, non a caso, "La Salameide" (1722). In esso scrive (canto III, ottava XXXVI)8: " Del fegato di porco a poca carne misto col ferro pesto e sminuzzato un succoso salame usa formarne la mia Ferrara non altrove usato. Pel purpureo liquor, che suol spicciarne da quel porfido molle ond'è formato giuro i vostri conviti io stimo un trullo, Mecenate, Eliogabalo e Lucullo" Con l'aiuto di rime briose e divertenti, il Frizzi ricostruisce, in chiave fantastica, l'origine del nome del prodotto, attribuendolo alla battaglia di Salamina e alla conseguente vittoria degli ateniesi sui persiani: tornati sul campo di battaglia, i vincitori greci constatarono che il sale della spiaggia e le spezie che i persiani portavano con loro per mantenere più a lungo i cibi, avevano impedito la putrefazione dei corpi dei soldati uccisi. Provarono, quindi, ad applicare i due ingredienti alla lavorazione delle carni di maiale, ed il risultato fu un gustoso salame che prese, per l'appunto, il nome dell'isola: Salamina. 7 Probabilmente tra il XV e XVI secolo: in tale periodo la dinastia estense avviò una secolare opera di bonifica del suolo e canalizzazione delle acque che, seppur diretta a valorizzare le proprietà ducali e aristocratiche, contribuì alla prosperità dell'agricoltura, favorendo insediamenti di comunità rurali. Iori Galluzzi M.A., "La cucina ferrarese", Franco Muzzio Editore, Padova 1987, pag. 15. 8 Il termine "succoso" si riferisce al sugo, piccante e squisito, che la Salama libera durante la cottura e che poi viene servito a parte in una salsiera. La tradizione ferrarese vuole la «Salama da sugo – Salamina ferrarese» d'obbligo nei banchetti nuziali proprio per le virtù afrodisiache attribuite al sugo; un detto locale così recita: " metar in tal sangv di spus un poch ad murbin " ovvero "mette nelle vene degli sposi un certo pizzicorino". Longhi G., "Le donne, i cavalier, l'armi, gli amori e …la Cucina Ferrarese", Grafiche Mignani, Bologna 1968, pag. 128. Relazione storica Sds rev_4.doc Pag. 4 di 9 Nel 1761, pochi anni dopo la pubblicazione de "La Salameide", Don Domenico Chendi, parroco di Tresigallo, cittadina in provincia di Ferrara, pubblicò il volume "L'agricoltore ferrarese" edito dalla Stamperia Camerale di Ferrara. Il libro, una sorta di manuale di agronomia tutt'oggi molto apprezzato e consultato nonostante le profonde modifiche, è suddiviso in 12 capitoli, uno per ogni mese. In essi sono raccolte e descritte tutte le operazioni e le tecniche per la lavorazione dei campi, la conservazione dei prodotti, l'amministrazione delle aziende e le varie attività domestiche. Nel capitolo relativo al mese di dicembre è dettagliatamente descritta la "domestica beccaria" ovvero la lavorazione del maiale in casa, tradizione, questa, comune a tutti gli agricoltori ferraresi; tra i prodotti derivati dalla lavorazione del maiale, l'autore si sofferma in modo particolare sulla preparazione, conservazione e "gustazione" della “Salama da sugo - Salamina ferrarese” (Salame da succo così come viene chiamato), fornendone la ricetta, tuttora commercialmente valida: "per ogni peso di carne grassa ben pestata: 10 once di sale; 1 oncia di pepe; 4 libbre di cotiche pestatissime; 1 libbra di fegato pestatissimo; 1 oncia di cannella in bacchetta e in polvere; 1/8 oncia di chiodi di garofano; mezza noce moscata 4 bicchieri di vino rosso". Relativamente all'insaccatura, il Chendi suggerisce che " per tali salami è bene servirsi di vesciche di suino o gossi di pavone, stantechè riescono belli, tondi, e ben caldi senza pelarli o romperli li si portano in tavola colla minestra e tagliati subito così caldi mandano fuori il succo assai piccante del quale col cucchiaio ognuno dei commensali ne infonde nella sua parte di minestra" 9. Il Salame da succo descritto dal Chendi è l'antesignano della moderna Salama: rotonda, servita caldissima, con sugo abbondante e molto piccante, da prelevare con il cucchiaio. Il procedimento di lavorazione descritto e consigliato dal Chendi resta oggi ancora più che valido. Tuttora nelle campagne ferraresi non è difficile incontrare qualche 9 D.V. Chendi, "L'agricoltor ferrarese…", Ferrara (1775), Cassa di Risparmio di Ferrara, ediz. 1980. Relazione storica Sds rev_4.doc Pag. 5 di 9 contadino che continua a produrre le Salamine seguendo i dettami di quel tempo, impiegando ancora la cannella e i chiodi di garofano per aromatizzare l’impasto10. Andando avanti negli anni, giungiamo al grande Pellegrino Artusi, che nel manuale "La scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene" (1891), include la “Salama da sugo Salamina ferrarese” nel capitolo dei "tramessi", ovvero piatti di minor conto che si servono tra una portata e l'altra, e la cita come specialità di Ferrara dal sapore "piccante ed appetitoso". Quando indica i metodi per cucinarla, il grande maestro si sbaglia, suggerendo un'ora e mezza per i tempi di cottura piuttosto che quattro, così come vuole la tradizione. Sarà forse da imputare alla cottura frettolosa la scarsa presenza del sughetto nella “Salama da sugo Salamina ferrarese” consumata dall'Artusi, che infatti non esita a segnalare, a margine del capitolo: "il sugo di cui si vantano talvolta non apparisce, o se pure, non è molto copioso"11. La cottura della “Salama da sugo - Salamina ferrarese”, infatti, richiede una particolare attenzione, ed anche una buona dose di pazienza, se si vuole apprezzare appieno l'aroma e l'inconfondibile gusto del prodotto. Come operazione preliminare, i ferraresi usano mettere a bagno la Salama in acqua tiepida, per ammorbidire le incrostazioni esterne che poi vanno delicatamente spazzolate. Poi si avvolge il salume in un telo fine di cui si cuciono i lembi. La cottura va eseguita in modo che la Salama non tocchi il fondo del recipiente, e perciò la si appende nella pentola ad un bastoncino poggiato agli orli. Va fatta sobbollire in acqua tiepida, a fiamma bassissima, per almeno 5 ore. Una volta cotta, va liberata dallo spago e tagliata all'apice, ricavandone un'apertura dalla quale si raccoglie con il cucchiaio l'impasto, diventato molto morbido. Il sugo per il condimento, che in cottura si sarà separato e depositato sul fondo della pentola, va distribuito sul prodotto e sul contorno. Servita fredda può essere tagliata a fette ma, in questo caso, il sugo rimane assorbito nell’impasto. La “Salama da sugo - Salamina ferrarese” è uno dei rari prodotti della gastronomia italiana che può annoverare un'illustre letteratura quasi per ogni fase della sua lavorazione. Una veloce carrellata tra le citazioni non può non ricordare Riccardo Bachelli che nell'opera " Il mulino del Po " (1938) "impernia su di essa [la «Salama da sugo ferrarese»] la seduzione dell'inesperto Princivalle da parte di Snizia, patetica figura di meretrice rurale, 10 Sembra che questa consuetudine sia stata lentamente, ma non del tutto, abbandonata durante l'ultima guerra. INSOR, "Atlante dei prodotti tipici: i salumi", Franco Angeli, Milano 1989, pag. 58. 11 Artusi P., "La Scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene", Firenze (1891) ediz. 1991. Relazione storica Sds rev_4.doc Pag. 6 di 9 indicandone in cinque anni la giusta misura dell'invecchiamento"12. Oppure Aroldo Cannella, scrittore per la " Rivista di Ferrara", che nel 1933 pubblica un articolo sulla «Salama da sugo - Salamina ferrarese”, svelandone i segreti della conservazione e della stagionatura e limitandone, rispetto all'autore precedentemente citato, i tempi di stagionatura: "avere cura di lasciarla impiccata per dodici mesi. […] Nel lungo periodo di stagionatura si compie nella vescia quello strano fenomeno o mistero alchimistico, come meglio vi garba, per cui la salama diventa " la Salama da Sugo", non mai abbastanza lodata"13. Ed infine Alfredo Panzini nel "Dizionario Moderno delle parole che non si trovano nei Dizionari comuni" (ed. 1931) definisce la “Salama da sugo .- Salamina ferrarese” come un insaccato: "farcito di fini carni suine con marsala e droghe. Si cuoce con grande cura. Più è vecchia più è pregiata"14. Alcuni testi di gastronomia locale inseriscono, infatti, oltre al vino rosso impiegato per aromatizzare le carni, anche la Grappa, per “vivificare” il sughetto e come variante alla ricetta rinascimentale.15 Difficile elencare tutti coloro che hanno scritto ed elogiato i pregi della Salama, ieri come oggi: da Mascagni a Greta Garbo, da Ungaretti al Carducci, solo per citarne qualcuno. Proprio il poeta toscano, premio Nobel per la letteratura nel 1906, ne apprezzò talmente tanto il sapore da citarla più volte nelle lettere personali indirizzate agli amici. A darne notizia è lo scrittore ferrarese Giorgio Bassani nel suo libro "Il giardino dei Finzi Contini". Egli, riferendosi ad un cofanetto in possesso dei Finzi Contini nel quale erano gelosamente conservate 15 lettere del Carducci, scrive: "ben cinque di esse trattavano dell'unico soggetto di una certa Salama da Sugo delle nostre campagne che il poeta, ricevutola in dono, aveva mostrato di apprezzare altamente.16 In epoche più recenti Mario Soldati, uno tra i primi giornalisti televisivi, contribuì in modo determinante a diffondere la conoscenza della “Salama da sugo - Salamina ferrarese” su vasta scala. Era il 1958 quando nel programma televisivo da lui stesso condotto, "Viaggio 12 Barberis C., "L'elogio della Salama", articolo pubblicato in "Premiata Salumeria Italiana", n. 6/1992, pag. 25. Il tempo di stagionatura (invecchiamento) indicato dall'autore in cinque anni, è riferibile ai primi dell'800, epoca nella quale è ambientato il romanzo. La tecnica di produzione attuale prevede, invece, una durata massima di un anno, senza che per questo vengano alterate le caratteristiche organolettiche e qualitative che hanno reso celebre il prodotto. Un tempo, invece, la «Salama da sugo - Salamina ferrarese» si faceva stagionare per minimo due anni sotto la cenere. 13 Longhi G., "Le donne, i cavalier, l'armi, gli amori e …la Cucina Ferrarese", Grafiche Mignani, Bologna 1968, pag. 127. 14 Ivi, pag. 117. 15 Ivi, pag. 128. 16 Ivi, hpag. 124. Relazione storica Sds rev_4.doc Pag. 7 di 9 nella valle del Po alla ricerca dei cibi genuini", si sofferma lungamente ad esaltare le caratteristiche del prodotto e l'ambiente a cui era legato. Lo stesso Soldati definì la “Salama da sugo - Salamina ferrarese” come "un pasto più che sufficiente e soddisfacente". Seguirà nel 1967 l'"Annuario dell'Accademia italiana della cucina. Itinerari della buona tavola" nel quale la città di Ferrara viene epitetata come "la celebre città della Salama da Sugo". Ad oggi la “Salama da sugo - Salamina ferrarese” rimane un insaccato tra i più celebrati e ricercati. Del legame che esiste tra il prodotto e la città di Ferrara ne sono testimonianza personaggi indimenticabili, come l'Alfonsa ad esempio, rinomata cuoca di un ristorante tipico degli anni 30/40, simbolo di un'epoca, non troppo lontana, in cui la trattoria scandiva i ritmi del vivere sociale. Lo racconta Folco Quillici, giornalista e scrittore, nell'introduzione al volume "La Cucina ferrarese", ricordandola così: "unica vera esperta e onesta, valida giurata che avrebbe potuto esprimere un voto di lode o di condanna" sulla Salama logicamente. "Al ristorante dell'Alfonsa approdavano intellettuali, uomini politici, artisti di passaggio; da lei si assaporava la vera cucina della città estense e, per questa fama, molti venivano apposta da Roma o Milano […]"17. Nella provincia ferrarese la “Salama da sugo - Salamina ferrarese” è conosciuta ed apprezzata quale prodotto di alta gastronomia locale e per questo proposta ai clienti dai ristoranti tipici e dai negozi specializzati. I consumi del prodotto hanno registrato negli ultimi anni un forte aumento, tale a volte da superare l'offerta , in contro tendenza a quanto avviene per altri salumi. La «Salama da sugo - Salamina ferrarese”, infatti, è passata da pietanza per palati raffinati a prodotto tipico ben noto e ricercato, e non pochi turisti scelgono di acquistarne qualche esemplare come ricordo di un viaggio a Ferrara. Un prodotto quindi ad alto valore gastronomico, fortemente legato alla storia e alla cultura della sua terra di origine. Del resto Ferrara è nota da molti secoli per la sua pregiata arte salumiera, come ricorda Ortensio Landi, scrittore del XVI secolo, che nella sua opera "Commentario delle più notabili e mostruose cose d'Italia" così ricorda la città: "Che ti dirò della magnifica città di Ferrara, unica maestra del far salami …"18. 17 Iori Galluzzi M.A., "La cucina ferrarese", Franco Muzzio Editore, Padova 1987. 18 Landi O., "Commentario delle più notabili e mostruose cose d'Italia", Bariletto, Venezia 1569. Relazione storica Sds rev_4.doc Pag. 8 di 9 Bibliografia 1. AGER, "Viaggio intorno ai prodotti agricoli e alimentari di qualità italiani", Edizioni Tellus, Roma 2001; 2. Artusi P., "La Scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene", ristampa a cura di Giunti Industrie Grafiche, aprile 2001; 3. Bacchelli R., "Il mulino del Po’", Mursia, Milano 1967; 4. Caminiti M., Pasquini L., Quondamatteo G., "Mangiari di Romagna", Garzanti, Milano 1960; 5. Chendi D.V., "L'agricoltor ferrarese: in dodeci mesi secondo l'anno diviso a comodo di chi esercita l'agricoltura: con molte altre curiose, e del pari vantaggiose notizie spettanti all'economia, interessanti anco il pubblico, non che il privato", Farap, Ferrara 1980; 6. Comoli C., "Cucina e feste presso la corte ferrarese del '400", tratto da "Appunti di gastronomia", n. VI, pag.23; 7. Di Pascale B., "Banchetti estensi. La spettacolarità del cibo alla corte di Ferrara nel Rinascimento", edizioni La Mandragora, Imola, 1995; 8. Ferrari A., "Emilia in bocca", Editrice del Vespro, Palermo 1977; 9. INSOR, "Atlante dei prodotti tipici: i salumi", Franco Angeli, Milano 1989; 10. INSOR, "Atlante dei prodotti tipici: i salumi", edizioni Agra-Rai Eri, Roma 2001; 11. Longhi G., "Le donne, i cavalier, l'armi, gli amori e …la Cucina Ferrarese", Grafiche Mignani, Bologna 1968; 12. Pozzetto G., “La Salama da sugo ferrarese”, Panozzo Editore, Rimini 2002 13. Quondamatteo G., "Grande dizionario (e ricettario) gastronomico Romagnolo", Grafiche Galeati, Imola 1978. Relazione storica Sds rev_4.doc Pag. 9 di 9
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